Hai firmato un contratto di finanziamento con una banca o una finanziaria e ora ti stai accorgendo che alcune clausole ti penalizzano in modo evidente? Ti chiedi se ci sono clausole vessatorie nel contratto, se sono valide e come puoi difenderti per farle annullare o disapplicare?
Nei contratti di finanziamento, soprattutto quelli standard predisposti dall’istituto di credito, possono nascondersi clausole squilibrate che favoriscono solo il creditore. Alcune di queste possono essere considerate vessatorie, e quindi nulle o inefficaci nei confronti del consumatore o del piccolo imprenditore.
Cosa si intende per clausola vessatoria?
– È una condizione contrattuale che, se non è stata oggetto di trattativa individuale, crea un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti
– È considerata tale se impone oneri ingiustificati, limita eccessivamente i diritti del debitore o attribuisce al creditore poteri unilaterali
– Ai sensi del Codice del Consumo (art. 33-36), queste clausole sono nulle se non espressamente approvate e giustificate
Quali sono le clausole vessatorie più comuni nei contratti di finanziamento?
– Clausole che consentono alla banca di modificare unilateralmente il tasso di interesse
– Clausole che impongono penali sproporzionate in caso di estinzione anticipata
– Clausole che escludono ogni responsabilità della banca anche in caso di errore o negligenza
– Clausole che vietano al debitore di opporre eccezioni o lo obbligano a rinunciare alla tutela giudiziale
– Clausole che prevedono fori esclusivi in sedi lontane o sfavorevoli per eventuali controversie
– Clausole che consentono alla banca di risolvere il contratto anche per lievi inadempimenti, senza possibilità di sanatoria
– Clausole che impongono obblighi a carico del debitore sproporzionati rispetto all’entità del finanziamento
Come si riconosce una clausola vessatoria?
– Non è stata oggetto di vera trattativa
– È scritta in modo tecnico o poco chiaro
– Ti impone obblighi che non corrispondono a diritti equivalenti della banca
– Ti impedisce o limita il diritto di difenderti
– Viene approvata con una firma “per accettazione specifica” ma senza spiegazioni adeguate
Cosa puoi fare se hai firmato un contratto con clausole vessatorie?
– Verifica il contratto con l’aiuto di un professionista esperto
– Contesta formalmente alla banca le clausole ritenute abusive
– Invia un reclamo scritto e chiedi la rinegoziazione delle condizioni
– Presenta un’istanza all’Arbitro Bancario Finanziario o una segnalazione all’Antitrust
– Se la banca non recede, puoi agire in giudizio per chiedere la nullità parziale del contratto
Cosa puoi ottenere con una buona difesa?
– L’eliminazione delle clausole abusive
– Il rimborso delle somme pagate in eccesso (es. interessi, penali, commissioni)
– Il ricalcolo del piano di ammortamento
– Il riconoscimento di un danno patrimoniale se hai subito effetti negativi
– Il rafforzamento della tua posizione in caso di contenzioso o pignoramento
Un contratto squilibrato può essere contestato anche dopo la firma. La legge tutela chi ha firmato in buona fede senza conoscere le vere implicazioni delle clausole imposte dalla banca.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto bancario e tutela del contraente debole nei contratti di finanziamento ti spiega quali sono le clausole vessatorie più diffuse, come riconoscerle e cosa fare per difenderti se le hai sottoscritte.
Hai dubbi su un contratto di prestito, mutuo o finanziamento? Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo le clausole una per una e ti diremo se puoi farle annullare, chiedere rimborsi o rinegoziare le condizioni a tuo favore.
Introduzione
Nei contratti di finanziamento – come mutui bancari, prestiti personali, leasing finanziari o altre forme di credito – le clausole vessatorie sono pattuizioni contrattuali che determinano un significativo squilibrio a carico del cliente (generalmente il debitore/consumatore) nei rapporti con la banca o l’intermediario finanziario. In altre parole, si tratta di condizioni predisposte unilateralmente dal finanziatore che, malgrado il principio di buona fede, finiscono per penalizzare in modo eccessivo il debitore, limitandone diritti o aggravandone gli obblighi contrattuali oltre i limiti di equità.
Nel contesto italiano, le clausole vessatorie sono oggetto di una disciplina specifica soprattutto quando il cliente è un consumatore, ossia una persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. La normativa di riferimento distingue tra:
- Contratti tra professionisti (o tra non consumatori): applicazione delle regole generali del Codice Civile (artt. 1341-1342 c.c.), che prevedono ad esempio l’obbligo di doppia sottoscrizione per determinate clausole “onerose” o particolarmente gravose;
- Contratti tra professionista e consumatore (B2C): applicazione del Codice del Consumo (D.lgs. 206/2005), artt. 33-36, che definisce in modo dettagliato cosa sia una clausola vessatoria, ne prevede la nullità di protezione e istituisce meccanismi di controllo (anche amministrativo) su tali clausole.
Questa guida – aggiornata a luglio 2025 con le ultime novità normative e giurisprudenziali – esaminerà in ottica avanzata (ma con intento divulgativo) le clausole vessatorie nei contratti di finanziamento dal punto di vista del debitore. Saranno analizzati:
- Il quadro normativo italiano rilevante (Codice Civile vs Codice del Consumo, disposizioni speciali in materia bancaria);
- Le tipologie di clausole vessatorie tipiche nei contratti di finanziamento, con esempi pratici (mutui, credito al consumo, leasing, ecc.);
- I profili di responsabilità di banche e intermediari che inseriscono clausole vessatorie (sanzioni, nullità delle clausole, etc.);
- Gli strumenti di tutela del debitore, sia giudiziali (cause in tribunale, azioni di nullità, eccezioni in procedure esecutive) sia stragiudiziali (ricorsi all’Arbitro Bancario Finanziario – ABF, segnalazioni all’Autorità Garante, mediazione, ecc.);
- Una rassegna di sentenze recenti e pronunce autorevoli in materia (Corte di Cassazione, tribunali di merito, decisioni ABF e provvedimenti dell’AGCM) con riferimenti a casi pratici;
- Domande e risposte frequenti (FAQ) per chiarire i dubbi comuni di consumatori e imprenditori;
- Tabelle riepilogative e schemi comparativi per sintetizzare i punti chiave;
- Simulazioni pratiche di casi concreti (scenario debitori vs banche) per applicare i concetti a situazioni reali in Italia.
Importanza della tematica: le clausole vessatorie nei contratti di finanziamento possono avere un impatto economico e giuridico notevole sui debitori, ad esempio imponendo costi aggiuntivi indebiti, limitando i diritti di difesa del cliente o alterando l’equilibrio delle prestazioni. Per questo, la legge prevede la loro nullità in funzione protettiva e affida ai giudici (nonché ad autorità come l’AGCM e sistemi ADR come l’ABF) il compito di eliminarle dal contratto e tutelare il contraente debole. Come vedremo, una clausola dichiarata vessatoria è nulla, ma il contratto di finanziamento rimane efficace per il resto: il risultato è che quella particolare pattuizione viene “espunta” dal contratto, e la banca non può applicarla al consumatore.
Nei prossimi paragrafi, partendo dal quadro normativo, analizzeremo dettagliatamente quali clausole possono definirsi vessatorie in un contratto di finanziamento e come il debitore possa riconoscerle e reagire.
Quadro Normativo: Codice Civile vs Codice del Consumo
In Italia la disciplina delle clausole vessatorie è duplice, a seconda della natura delle parti contrattuali coinvolte:
- A) Contratti tra parti non consumatrici (B2B o contratti tra privati non rientranti nel Codice del Consumo): vale la disciplina generale delle condizioni generali di contratto nel Codice Civile, in particolare gli artt. 1341 e 1342 c.c.
- B) Contratti tra professionista e consumatore (B2C): trova applicazione il Codice del Consumo (artt. 33-38 del Capo relativo ai contratti del consumatore), che recepisce la direttiva UE 93/13/CEE sulle clausole abusive.
Vediamone i tratti salienti e le differenze.
Clausole vessatorie e condizioni generali nel Codice Civile (art. 1341-1342 c.c.)
L’art. 1341 c.c. prevede che le condizioni generali predisposte da un contraente vincolano l’altro se, al momento della conclusione, questi le ha accettate (normalmente firmando il contratto). Tuttavia, il comma 2 dell’art. 1341 c.c. richiede che talune clausole di particolare gravità siano approvate specificamente per iscritto dal contraente aderente, pena la loro inefficacia. Si tratta, in sostanza, delle clausole vessatorie in senso civilistico (anche dette “clausole onerose”): l’art. 1341, co. 2 elenca in modo tassativo una serie di condizioni che si presumono particolarmente gravose per l’altro contraente e che necessitano di una doppia sottoscrizione (una firma ulteriore oltre a quella in calce al contratto) per essere valide.
Esempi di clausole ex art. 1341 c.c. che richiedono approvazione separata:
- Clausole che limitano la responsabilità del predisponente (es. esoneri o forti limitazioni di responsabilità della banca);
- Clausole che danno facoltà al solo predisponente di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione (es. diritto della banca di sciogliere unilateralmente il contratto in qualsiasi momento);
- Clausole che impongono all’altro contraente decadenze (perdite di diritti) o limitazioni alla possibilità di opporre eccezioni (es. termini perentori molto brevi a carico del cliente per contestare estratti conto, oppure rinuncia anticipata a eccezioni);
- Clausole che prevedono deroghe alla competenza dell’Autorità giudiziaria (es. clausole compromissorie di arbitrato obbligatorio, o patti di foro esclusivo in luogo diverso dalla residenza del cliente);
- Clausole che stabiliscono rinnovazioni tacite del contratto o proroghe automatiche oltre una certa scadenza, oppure che impongono al cliente restrizioni contrattuali nei rapporti con terzi (ad es. divieti di cessione del credito per il cliente, ecc.).
💡 Nota: L’elenco contenuto in 1341 c.c. è considerato tassativo (chiuso) dalla giurisprudenza. Ciò significa che solo le clausole rientranti nelle categorie espressamente previste (o strettamente analoghe) richiedono la specifica approvazione. Ad esempio, la Cassazione ha chiarito che l’elenco dell’art. 1341, co. 2 non può essere arbitrariamente esteso ad altre fattispecie non previste. Un caso applicativo recente: il Tribunale di Milano (sent. n. 3373/2024) ha escluso che una clausola “floor” sul tasso minimo di interesse fosse assimilabile alle clausole vessatorie di cui all’art. 1341 c.c., proprio perché attinente all’oggetto principale del contratto (il tasso di interesse) e non rientrante nelle categorie di cui all’elenco tassativo. In quel caso, dunque, non era richiesta la doppia firma per la validità della clausola floor.
Effetti giuridici (ambito B2B o generale): se una clausola rientrante nell’art. 1341 co.2 c.c. non è stata sottoscritta specificamente, essa è inefficace nei confronti dell’altro contraente (non vincola il cliente). Attenzione: al di fuori dell’ambito consumeristico, questa è l’unica forma di tutela prevista – non si parla di nullità dell’intera clausola in senso stretto (si preferisce definirla inefficacia relativa) e soprattutto, se il cliente firma specificamente, la clausola è valida anche se onerosa. In altre parole, nel rapporto tra parti non consumatori la doppia firma “salva” la clausola vessatoria, rendendola efficace e opponibile.
Va inoltre ricordato l’art. 1342 c.c., che estende la regola della specifica approvazione anche ai contratti per adesione su moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti, quando contengano le medesime clausole vessatorie di cui sopra. Inoltre, l’art. 1370 c.c. prevede che in caso di dubbio sul significato di una clausola predisposta unilateralmente, l’interpretazione vada fatta nel senso più favorevole al contraente che non l’ha predisposta (principio interpretativo pro aderente), a tutela della parte debole.
Clausole vessatorie nei contratti del consumatore (Codice del Consumo)
Quando il debitore è un consumatore e la controparte è un professionista (es. una banca, una finanziaria, o anche un’impresa che concede dilazioni di pagamento), si applica la disciplina speciale del Codice del Consumo (artt. 33-38). Questa disciplina, in larga parte derivante dal diritto UE, qualifica come vessatoria ogni clausola che “malgrado la buona fede, determina a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”. La valutazione di vessatorietà avviene caso per caso, tenendo conto di: natura del bene/servizio, circostanze al momento della conclusione del contratto, altre clausole del contratto o di altro collegato. Importante: non sono valutate vessatorie le clausole che riguardano la definizione dell’oggetto principale del contratto o l’adeguatezza del corrispettivo, purché siano formulate in modo chiaro e comprensibile. Ciò significa, ad esempio, che una clausola che fissa il tasso di interesse di un finanziamento (elemento essenziale del corrispettivo) non potrà essere dichiarata vessatoria se è redatta in modo trasparente e comprensibile; il giudice non può sindacare nel merito se il tasso è “troppo alto” o “squilibrato”, salvo che non si violino altre norme (ad es. usura). Questo principio – previsto dall’art. 34, comma 2 Cod. Cons. – è stato applicato, ad esempio, per ritenere non vessatoria la clausola floor sul tasso minimo: essendo parte dell’oggetto del contratto (la determinazione degli interessi dovuti), purché chiara, essa è sottratta al giudizio di vessatorietà.
Il Codice del Consumo fornisce due elenchi di clausole vessatorie: una lista “nera” (clausole sempre nulle) e una lista “grigia” (clausole presumibilmente vessatorie). Vediamole in dettaglio.
Clausole sempre nulle (black list) – art. 36 comma 2 Cod. Consumo:
Sono considerate nulle in ogni caso, anche se oggetto di trattativa individuale, le clausole che hanno per oggetto o per effetto di:
a) escludere o limitare la responsabilità del professionista per morte o danno alla persona del consumatore causati da fatto/omissione dello stesso professionista;
b) escludere o limitare i diritti del consumatore in caso di inadempimento totale/parziale del professionista (es: clausole che limitano il diritto del cliente di risolvere il contratto o di chiedere risarcimento se la banca è inadempiente; oppure clausole che limitano i rimedi del consumatore se il servizio finanziario risulta difettoso);
c) estendere l’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto modo di conoscere prima (es: condizioni contrattuali aggiuntive o regolamenti richiamati ma non portati a conoscenza del cliente prima della firma).
Queste tre tipologie sono considerate così gravi da essere colpite da nullità di protezione anche se il professionista sostenesse di averle negoziate col cliente. Ad esempio, una clausola che esonera la banca da responsabilità per danni alla persona del cliente (si pensi a un caso di lesione causata da un comportamento gravemente colposo in fase di erogazione del credito) sarebbe nulla a prescindere, poiché contraria a principi inderogabili di tutela. Analogamente, una clausola che privi il consumatore delle normali azioni legali in caso di inadempimento della banca è radicalmente nulla.
Clausole presumibilmente vessatorie (grey list) – art. 33 comma 2 Cod. Consumo:
Il Codice del Consumo elenca una serie articolata di clausole che “si presumono vessatorie fino a prova contraria”, ossia condizioni che, se presenti in un contratto B2C, si presumono squilibranti a danno del consumatore, salvo che il professionista provi il contrario. Questo elenco (molto corposo, lettere a) fino a v-ter)) è detto “lista grigia” e comprende ad esempio clausole che mirano a:
- Limitare fortemente le responsabilità o gli obblighi della banca verso il cliente. Ad esempio, la clausola che “esclude ogni responsabilità della banca per eventuali disservizi” in un contratto di finanziamento sarebbe presumibilmente vessatoria; oppure la clausola che limita il diritto del consumatore di compensare debiti e crediti verso la banca.
- Vincolare definitivamente il consumatore mentre la prestazione del professionista è condizionata alla sua volontà. Nel finanziamento, potrebbe essere la clausola per cui la banca si riserva di erogare il prestito solo a certe condizioni unilaterali, mentre il cliente resta vincolato comunque.
- Trattenere somme versate dal consumatore se il contratto non si conclude o recede, senza reciprocità. Esempio: clausola caparra confirmatoria squilibrata a favore della banca; oppure spese istruttoria non restituite se il mutuo non viene concesso, senza parità di trattamento se invece è la banca a non dare seguito.
- Imporre al consumatore penali o risarcimenti manifestamente eccessivi in caso di inadempimento o ritardo. Clausola penale e interessi di mora: se l’importo è “manifestamente eccessivo” rispetto al danno o alle condizioni, è presumibilmente vessatoria (es: tasso di mora enormemente superiore al tasso base, tale da fungere da multa sproporzionata).
- Consentire solo al professionista (banca) di recedere dal contratto, trattenendo somme pagate, senza analogo diritto per il consumatore. Ad esempio, se la banca può sciogliere il finanziamento a sua discrezione e tenere commissioni già incassate, mentre il cliente non può fare altrettanto, la clausola è squilibrata.
- Permettere al professionista di recedere da contratti a tempo indeterminato senza congruo preavviso (nel credito a tempo indeterminato, come aperture di credito in conto corrente, l’intermediario deve dare un preavviso ragionevole prima di revocare il fido, salvo giusta causa).
- Fissare termini di disdetta troppo anticipati per evitare tacite proroghe. Ad es., se un contratto di finanziamento richiede al consumatore di comunicare recesso con eccessivo anticipo, pena rinnovo automatico, è un termine capzioso.
- Estendere l’adesione del consumatore a clausole aggiuntive non conosciute (concetto simile al punto c) della black list, es: rinvio a condizioni generali non fornite in fase precontrattuale, o condizioni aggiunte in allegati non consegnati).
- Consentire modifiche unilaterali del contratto da parte della banca senza giustificato motivo. Questa è una clausola tipica: il cosiddetto ius variandi. Se la banca si riserva di modificare interessi, costi o altre condizioni a suo piacimento, senza specificarne i motivi e senza dare possibilità di recesso al cliente, la clausola è presumibilmente vessatoria. (Nota: esistono eccezioni per servizi finanziari, vedi oltre).
- Stabilire il prezzo solo al momento della consegna del bene/servizio, o aumentarlo senza diritto di recesso per il consumatore. Nel finanziamento, l’equivalente è: clausole che permettono di aumentare i tassi o costi successivamente senza dare al cliente la possibilità di svincolarsi se l’aumento è eccessivo.
- Riservare al professionista il diritto di interpretare unilateralmente il contratto o accertare la conformità. Es: la banca si riserva di decidere unilateralmente se il cliente ha adempiuto correttamente o meno, o di interpretare ambigue clausole a proprio favore – chiaramente squilibrato.
- Limitare la responsabilità del professionista per atti dei suoi agenti o subordinare l’adempimento a onerose formalità per il consumatore.
- Limitare la facoltà del consumatore di opporre eccezioni (obbligandolo a eseguire comunque le prestazioni anche se l’altro inadempiente). Ad esempio, clausole tipo “pay now, litigate later”, in cui il debitore deve pagare prima e può contestare solo dopo, sono presumibilmente vessatorie in ambito consumer.
- Consentire al professionista di sostituire sé stesso con un terzo nel contratto, se ciò riduce le tutele del consumatore. Ad esempio, cessione del contratto di finanziamento a una finanziaria terza senza garantire le stesse condizioni di tutela al cliente.
- *Imporre al consumatore clausole di decadenza, limitazioni probatorie, inversione dell’onere della prova, restrizioni alla libertà contrattuale verso terzi, o deroghe alla competenza del giudice (ad esempio clausole arbitrali obbligatorie o forum diversi). Questo punto (lett. t) include clausole compromissorie e di foro competente diverso dalla residenza del consumatore, che infatti la lettera u) poi ribadisce specificamente per il foro. Queste sono tra le clausole vessatorie più frequenti: patti che obbligano il consumatore ad avvalersi di un arbitro anziché del giudice ordinario, oppure a spostarsi in un tribunale lontano dal proprio domicilio per eventuali cause. Tali patti, se non negoziati, sono presunti vessatori e dunque nulli.
- Subordinare l’assunzione di obblighi del professionista a condizioni sospensive dipendenti dalla sua mera volontà, a fronte di impegni immediati del consumatore (clausole potestative unilaterali a favore del finanziatore).
- (Le successive lettere v-bis e v-ter aggiungono come vessatorie le clausole che limitano eccessivamente il diritto del consumatore di accedere a procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie – ADR – diverse da quelle scelte dal professionista. Sono norme introdotte nel 2015 che vietano di vincolare il consumatore a un solo tipo di ADR o rendere troppo difficile usarle in ambito consumo).
Come si vede, molte di queste categorie riprendono concetti simili a quelli dell’art.1341 c.c., ma in modo più ampio. Inoltre, l’elenco del Codice del Consumo non è tassativo: il giudice può dichiarare vessatoria anche una clausola non elencata se ricorre la condizione generale del “significativo squilibrio” di diritti/obblighi, valutato caso per caso. L’elenco funge da guida e crea presunzioni: spetta al professionista provare l’eventuale equità o trattativa di una clausola elencata, per vincere la presunzione di vessatorietà.
Eccezioni ed esclusioni: alcune clausole non sono considerate vessatorie per legge. L’art. 34 co.3-4 esclude:
- Clausole riproduttive di norme di legge o trattati internazionali vincolanti per tutti gli Stati UE. Cioè se una clausola ricalca un obbligo previsto da una legge, non può essere “abusiva” (es: clausola che richiama un obbligo derivante da normativa antiriciclaggio per il cliente).
- Clausole o elementi di clausola effettivamente trattati individualmente col consumatore. Se il contratto non è “prendere o lasciare” ma il consumatore ha potuto discutere e modificare il testo, allora quella clausola non è considerata vessatoria. Attenzione: il Codice prevede che, nei contratti conclusi su moduli standard, è onere del professionista provare che c’è stata vera trattativa su quella clausola. E la giurisprudenza è rigorosa: per non applicare le tutele consumeristiche, la trattativa deve essere seria, effettiva e individuale, nel senso che il cliente ha potuto incidere realmente sul contenuto di quella pattuizione, e non una semplice spiegazione o firma di stile. Una pronuncia ha chiarito che indicazioni generiche del tipo “clausola discussa e approvata” non bastano; servono riscontri di una negoziazione sostanziale (Cass. civ. VI-2, ord. n. 497/2021).
Infine, l’art. 35 Cod. Consumo prescrive che le clausole devono essere redatte in modo chiaro e comprensibile; in caso di dubbio sul senso, vale l’interpretazione più favorevole al consumatore. Una clausola poco chiara sul piano linguistico o informativo può essere dichiarata vessatoria proprio per difetto di trasparenza (il che realizza uno squilibrio perché il consumatore non comprende le conseguenze economiche). Ad esempio, l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) nel 2018 ha sanzionato come vessatorie le clausole di alcuni mutui in franchi svizzeri proprio perché “redatte con formulazione non chiara e trasparente”, impedendo al cliente di comprendere pienamente rischi e oneri: ciò in violazione dell’art. 35 Cod. Consumo. Questa decisione (Provv. AGCM n. 27214/2018 – caso Barclays mutui CHF) è stata confermata dal TAR Lazio nel 2023. Dunque, la mancanza di chiarezza e comprensibilità è di per sé indice di vessatorietà.
Effetti giuridici (ambito B2C): se una clausola è dichiarata vessatoria:
- Essa è colpita da nullità di protezione: una nullità parziale che colpisce la clausola, lasciando però valido il resto del contratto. Il contratto di finanziamento resta quindi in piedi, ma la clausola abusiva non ha efficacia verso il consumatore. Ad esempio, se è nulla una clausola penale, il consumatore non dovrà pagare la penale; se è nulla una clausola che spostava la competenza territoriale, quella clausola è come non apposta (vale la competenza ordinaria).
- Nullità rilevabile d’ufficio e solo a vantaggio del consumatore: il giudice può dichiarare di sua iniziativa la nullità di una clausola vessatoria, anche se il consumatore non l’aveva espressamente contestata, purché emergano dagli atti gli elementi per valutarla. Tuttavia – come vedremo più avanti – la Cassazione ha di recente precisato che l’intervento officioso del giudice non può supplire del tutto all’inerzia della parte: il consumatore dovrebbe quantomeno allegare la circostanza ed eventualmente la clausola contestata, perché il giudice possa attivarsi (su questo, v. oltre sezione Tutela del debitore). In ogni caso, la nullità può essere fatta valere solo dal consumatore: solo il contraente debole può invocarla o rinunciarvi. Ciò significa ad esempio che la banca non può chiedere l’annullamento del proprio contratto invocando la nullità di una clausola vessatoria: la legge la protegge solo a favore del consumatore.
- Conseguenze restitutorie: la nullità comporta che le parti devono restituire ciò che hanno ricevuto in esecuzione della clausola nulla. Quindi se, ad esempio, il consumatore ha pagato una somma in base a una clausola poi dichiarata nulla (una commissione, una penale, interessi non dovuti, ecc.), ha diritto a riaverla indietro. La nullità non pregiudica invece quanto eseguito per il resto del contratto valido.
- Regole speciali settoriali: in materia di contratti di finanziamento, esistono alcune norme speciali che stabiliscono conseguenze analoghe alla nullità di protezione. Ad esempio, l’art. 125-bis del Testo Unico Bancario (D.lgs. 385/93, come introdotto dal D.lgs. 141/2010) prevede che, nei contratti di credito ai consumatori, se non sono rispettati determinati obblighi informativi pre-contrattuali o se il contratto non contiene indicazioni obbligatorie sul costo del credito (TAEG, ecc.), il consumatore non è tenuto a pagare interessi e oneri oltre al tasso legale. È una forma di “sanzione civilistica” che tutela il consumatore: di fatto equivale a considerare nulle o inopponibili le clausole economiche non trasparenti, riducendo il contratto al rimborso del solo capitale con interesse legale. Anche l’art. 117 TUB dispone che le clausole relative a tassi, prezzi e condizioni, se non sono redatte in forma scritta o se rinviano a determinazioni unilaterali successive non approvate dal cliente, sono nulle e si applicano in loro luogo condizioni standard (es. tasso BOT per interessi, condizioni di minor onerosità). Queste norme completano la tutela del consumatore in ambito bancario oltre al Codice del Consumo.
Deroghe per i servizi finanziari: vale la pena notare che lo stesso Codice del Consumo prevede alcune eccezioni settoriali per il settore finanziario:
- Se il contratto ha ad oggetto servizi finanziari a tempo indeterminato (es. conto corrente bancario, carta di credito revolving senza scadenza, fido a revoca), il professionista può inserire clausole che permettono di recedere senza preavviso (con giusta causa) o di modificare le condizioni con preavviso in presenza di giustificato motivo, nonostante quanto detto sulle lettere h) e m). Ciò riconosce l’esigenza di flessibilità per contratti duraturi e revocabili: es. la banca può riservarsi di variare il tasso del fido se c’è un giustificato motivo, purché avvisi il cliente il quale può recedere subito.
- Se il contratto riguarda servizi finanziari anche a tempo determinato, il professionista può variare senza preavviso (ma con giustificato motivo) tassi di interesse o altri oneri, derogando alle lettere n) e o) che vieterebbero prezzo futuro o aumenti unilaterali, purché il consumatore sia informato immediatamente e possa recedere. In pratica, ad esempio, per un mutuo indicizzato è lecito prevedere che il tasso vari ad ogni periodo in base a un indice di mercato (non è considerato “aumento unilaterale illegittimo” se c’è una clausola di indicizzazione chiara). Infatti l’art. 33 co.6 cod. cons. esenta le clausole di indicizzazione dei prezzi consentite dalla legge, a condizione che siano chiaramente descritte le modalità di variazione.
- Sempre per strumenti finanziari e prodotti collegati a mercati (azioni, tassi variabili di mercato, valute), alcune voci della lista grigia (h, m, n, o) non si applicano, data la natura intrinsecamente variabile di quei prezzi. Ad esempio, in un mutuo in valuta estera o tasso variabile, le clausole che adeguano l’importo al cambio o all’indice sono ammesse purché trasparenti.
Riassumendo in chiave comparativa, ecco le differenze principali tra la tutela civilistica e quella consumeristica riguardo alle clausole vessatorie:
Aspetto | Disciplina generale (art. 1341-1342 c.c.) | Disciplina consumo (artt. 33-36 Cod. Cons.) |
---|---|---|
Ambito di applicazione | Contratti B2B (tra professionisti) o tra privati non consumatori; condizioni generali predisposte unilateralmente. | Contratti B2C (professionista vs consumatore); anche condizioni unilaterali in contratti individuali predisposti dal professionista. |
Elenco clausole vessatorie | Tassativo e limitato (art. 1341 co.2 c.c.): solo le clausole ivi indicate (o analoghe) sono “vessatorie” ai fini della doppia firma. | Non tassativo (esemplificativo): art. 33 co.2 fornisce una lista grigia di esempi, ma il giudizio si estende a qualunque clausola squilibrante. |
Requisito formale di validità | Doppia sottoscrizione necessaria: senza firma specifica la clausola è inefficace. Con la firma, anche clausola onerosa è valida. | Trasparenza e chiarezza: tutte le clausole devono essere comprensibili; in caso di dubbio interpretativo, prevale il senso più favorevole al consumatore. La doppia firma non è sufficiente a salvare una clausola vessatoria: anche se evidenziata o firmata, se è squilibrata rimane nulla (salvo trattativa vera). |
Trattativa individuale | Se il cliente contratta e modifica la clausola, questa cessa di essere vessatoria ai sensi dell’art. 1341 (perché non è più condizione generale predisposta). | Clausola non vessatoria se negoziata realmente col consumatore. L’onere della prova della trattativa grava sul professionista e deve essere seria ed effettiva. Eccezione: le clausole della “black list” (art. 36 co.2, esoneri responsabilità ecc.) sono nulle comunque, anche se trattate. |
Effetti della violazione | Clausola non specificamente firmata = inefficace (non vincola l’aderente). Il resto del contratto resta valido. | Clausola vessatoria = nulla (nullità parziale di protezione). Il resto del contratto resta valido (a meno che la clausola nulla fosse essenziale e il consumatore non avrebbe concluso il contratto senza di essa). Nullità rilevabile d’ufficio dal giudice e invocabile solo dal consumatore. |
Possibilità di controllo esterno | Non prevista un’autorità ad hoc; tutela affidata al giudice su eccezione di parte (o sua valutazione in caso di mancata firma). | Tutela collettiva e amministrativa: associazioni consumatori possono agire con azione inibitoria per far cessare l’uso di clausole abusive. L’AGCM può dichiarare vessatorie clausole B2C e sanzionarne l’uso (fino a 40-50 mila € di multa). Le decisioni AGCM vanno pubblicate e costituiscono un “precedente” consultabile pubblicamente. È ammessa anche la class action (azione di classe) da parte di gruppi di consumatori lesi da clausole analoghe, per ottenere tutela risarcitoria o inibitoria. |
Come si evince da questa comparazione, la tutela del consumatore è più ampia: ad esempio, una clausola vessatoria resta nulla anche se il consumatore ha firmato ogni pagina del contratto. Se quella clausola crea uno squilibrio ingiusto, la specifica firma non la legittima. Ciò è stato ribadito in giurisprudenza: “in presenza di una clausola vessatoria, l’approvazione per iscritto ex art. 1341 c.c. non esclude l’invalidità della clausola ai sensi del Codice del Consumo”. In pratica, le regole civilistiche sulla doppia firma coesistono ma non bastano: un foro diverso dal luogo di residenza, ad esempio, anche se sottoscritto separatamente, potrà essere dichiarato nullo dal giudice se il cliente è un consumatore (trattandosi di clausola presumibilmente vessatoria ex art. 33 lett. u) Cod. Cons.).
Dopo aver chiarito l’impianto normativo, passiamo ad esaminare nel concreto quali clausole risultano vessatorie nei contratti di finanziamento e come riconoscerle.
Clausole vessatorie tipiche nei contratti di finanziamento
Nei contratti di finanziamento (mutui, prestiti, aperture di credito, leasing, finanziamenti al consumo, ecc.), alcune clausole ricorrono frequentemente e sono state oggetto di scrutinio per vessatorietà. Di seguito illustriamo le principali categorie di clausole vessatorie “tipiche” in tale ambito, con esempi pratici e riferimenti normativi/giurisprudenziali. Si tenga presente che ogni clausola va valutata nel contesto specifico del contratto, ma quelle elencate sono generalmente sospette di squilibrio a danno del debitore.
1. Clausole che limitano la responsabilità della banca o dell’intermediario
Sono clausole con cui la banca cerca di esonerarsi o limitare i propri obblighi in caso di problemi. Ad esempio: “La banca non risponde di eventuali danni derivanti da ritardi nell’erogazione del finanziamento”, oppure “il cliente rinuncia a qualsiasi contestazione sul comportamento della banca”. Tali clausole sono vessatorie in ambito consumeristico perché limitano le azioni e i diritti del consumatore in caso di inadempimento del professionista (violando l’art. 33, comma 2, lett. b Cod. Cons.). Rientrano spesso anche nella lettera a) dell’art. 33 quando escludono responsabilità per danni, e nella lettera q) se riguardano atti di ausiliari della banca.
Esempio pratico: una banca inserisce in un contratto di mutuo una clausola che recita: “La banca non è in alcun caso responsabile per le conseguenze pregiudizievoli derivanti da ritardi nell’istruttoria o nell’erogazione dell’importo mutuato”. Questa è una limitazione generale di responsabilità: se, ad esempio, il ritardo facesse saltare un rogito immobiliare causando danni al mutuatario, tale clausola vorrebbe esimere la banca. Nel Codice del Consumo, una simile clausola è presuntivamente vessatoria e quindi nulla, poiché limita i diritti del consumatore verso un’inadempienza del professionista. Anche sotto il profilo civilistico generale, sarebbe considerata clausola onerosa ex art. 1341 c.c. (limitazione di responsabilità), dunque richiederebbe doppia firma per avere efficacia (firma che però non servirebbe a salvarla se il cliente è consumatore).
Clausole di esonero totale per dolo o colpa grave della banca sarebbero comunque nulle per contrarietà a norme imperative (non si può esonerare la responsabilità per dolo o colpa grave, art. 1229 c.c.). Se riguardano danni alla persona del consumatore, rientrano addirittura nella black list di nullità assoluta (art. 36, co. 2, lett. a)).
Attenzione: Non tutte le limitazioni di responsabilità sono vietate: se la clausola riproduce un disposto di legge, non è vessatoria (art. 34 co.3). Ad esempio, la banca può richiamare le norme che escludono la sua responsabilità nei pagamenti non autorizzati oltre certe somme, perché previsto dalla normativa PSD2, e ciò non sarà vessatorio in quanto è recepimento di legge.
2. Clausole di ius variandi e modifica unilaterale delle condizioni
In contratti di durata (come molti finanziamenti, specie aperture di credito, fidi, carte revolving), la banca talvolta inserisce clausole che le permettono di modificare discrezionalmente tassi, commissioni o altre condizioni del contratto. Una formulazione tipica: “La banca si riserva la facoltà di modificare, in qualsiasi momento, il tasso di interesse e le altre condizioni economiche del finanziamento, dandone comunicazione scritta al cliente”.
Queste clausole, se non accompagnate da una giustificazione oggettiva e dal diritto di recesso del cliente, sono generalmente vessatorie. Infatti, l’art. 33, co. 2, lett. m) Cod. Cons. considera vessatoria la clausola che “consente al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto […] senza un giustificato motivo indicato nel contratto stesso”. E la lett. h) considera vessatorio recedere da contratti a tempo indeterminato senza preavviso ragionevole. Pertanto, nello scenario consumeristico, la facoltà della banca di variare condizioni ad libitum è nulla salvo che:
- il contratto sia di per sé a tempo indeterminato o a durata indeterminata e ricorra un giustificato motivo nel caso concreto con diritto di recesso per il consumatore (questo è quanto l’art. 33 co. 3-4 ammette in deroga per i servizi finanziari);
- oppure la clausola indichi chiaramente i motivi specifici che possono giustificare la modifica (es. variazione dei tassi di politica monetaria, mutamento di determinati costi di provvista) e preveda una forma di tutela per il cliente (preavviso e possibilità di estinguere il rapporto senza penalità se non accetta).
Nella prassi, per conformarsi all’art. 118 TUB, le banche inseriscono clausole ius variandi che prevedono: preavviso di almeno 2 mesi, comunicazione scritta al cliente delle variazioni sfavorevoli, e facoltà per il cliente di recedere entro lo stesso termine senza spese (salvando condizioni precedenti). Questo meccanismo previsto dal TUB (per contratti a tempo indeterminato, tipicamente conti e servizi) è considerato lecito e di fatto rende la clausola non vessatoria, perché c’è un giustificato motivo e un diritto di recesso. Se invece la clausola non rispetta tali requisiti (ad esempio: “ci riserviamo di modificare i tassi a nostro insindacabile giudizio”), sarà nulla.
Esempio: in un contratto di carta di credito revolving, una finanziaria inseriva la clausola “L’emittente potrà variare in aumento il tasso d’interesse applicato dandone semplice avviso sul proprio sito internet”. Questa condizione è stata ritenuta vessatoria dall’ABF in quanto priva di giustificato motivo contrattuale e senza congruo preavviso né diritto di recesso per il consumatore: viola l’art. 33, lett. m) e anche l’art. 118 TUB (che impone preavviso scritto e motivo). Pertanto, l’ABF (Arbitro Bancario Finanziario) ha dichiarato nulla la variazione e ordinato di applicare il tasso originario, con rimborso di quanto indebitamente pagato in più.
Un’altra clausola collegata è quella che consente alla banca di modificare unilateralmente il tasso di cambio o altri parametri in contratti in valuta: se ciò avviene senza criteri chiari, la clausola è opaca e abusiva. Nel caso dei mutui in franchi svizzeri di Barclays menzionato sopra, l’AGCM ha considerato vessatoria la clausola che, nel rimborso anticipato, faceva ricalcolare il capitale residuo in modo complesso e sfavorevole al cliente (doppia indicizzazione), perché la struttura era tale da non essere comprensibile ex ante e lasciava il consumatore esposto a variazioni unilaterali impreviste. È stata quindi dichiarata nulla, obbligando l’intermediario a ricalcolare correttamente il dovuto.
In conclusione: lo ius variandi indiscriminato è vietato. Una clausola di finanziamento è legittima solo se la variazione è collegata a parametri oggettivi, comunicata e con facoltà di recesso per il cliente. In mancanza, la clausola sarà vessatoria ai sensi dell’art. 33 lett. m) Cod. Cons. e art. 118 TUB, comportando la nullità di eventuali aumenti di costi non concordati.
3. Clausole penali, interessi di mora e altri oneri manifestamente eccessivi
Molti contratti di finanziamento prevedono, a tutela della banca, dei costi aggiuntivi a carico del cliente in caso di ritardato pagamento o inadempimento: interessi moratori ad un tasso elevato, commissioni di insoluto, penali per risoluzione anticipata dovuta a inadempimento, ecc. Sebbene la banca abbia diritto di tutelarsi, tali importi non possono essere eccessivi o punitivi oltre il lecito, altrimenti la clausola è vessatoria (art. 33, co.2, lett. f: somma a titolo di risarcimento o penale manifestamente eccessiva in caso di inadempimento/ritardo).
Interessi di mora: sono gli interessi dovuti su ogni rata scaduta non pagata, spesso fissati 2-3 punti percentuali sopra il tasso ordinario. Se però il tasso di mora risulta troppo elevato rispetto al tasso nominale (ad es. nominale 5%, mora 15% annuo) potrebbe essere considerato sproporzionato. Attenzione però: la vessatorietà si valuta anche considerando eventuali danni e mercato; la giurisprudenza su interessi di mora ha spesso più riguardo al tema dell’usura (se la somma di nominale+mora supera il tasso soglia usura, allora c’è nullità ex legge antiusura, vedi oltre). Ma indipendentemente dall’usura, un tasso di mora eccessivo potrebbe essere ridotto dal giudice usando l’art. 1384 c.c. (facoltà di ridurre penali equitativamente) o ritenuto vessatorio se squilibrato. Ad esempio, il Tribunale di Monza (sent. n. 727/2024) ha ritenuto nulla per indeterminatezza e vessatorietà la clausola sugli interessi di mora in un mutuo che non indicava chiaramente la misura o la calcolabilità degli stessi: il cliente non poteva ex ante valutare l’onere, quindi clausola nulla.
Commissioni di insoluto o spese forfettarie di recupero crediti: se il contratto prevede, ad ogni ritardo, un addebito fisso es. 50€ per “spese sollecito”, occorre verificarne la giustificazione. La Banca d’Italia ha normato che le sole spese di sollecito effettivamente sostenute possono essere addebitate, ma importi forfettari elevati e sganciati dai costi reali possono essere considerati penali mascherate. Una clausola che imponesse 100€ per ogni rata pagata in ritardo di oltre 5 giorni, ad esempio, rischia la vessatorietà ex lett. f se tale cifra è sproporzionata rispetto al danno effettivo (in genere il danno è il mancato interesse per quei giorni + poche spese postali).
Penale per estinzione anticipata dovuta a inadempimento (risoluzione anticipata): alcuni contratti prevedono che, in caso di risoluzione del finanziamento per grave inadempimento del debitore, quest’ultimo debba pagare, oltre al capitale residuo e interessi maturati, anche una penale aggiuntiva (ad es. il 5% del capitale residuo) come compenso al finanziatore. Questa è una clausola penale a tutti gli effetti. Se l’ammontare è eccessivo, lettera f) la colpisce. Inoltre, se il cliente è un consumatore, potrebbe applicarsi l’art. 33, lett. e) se trattiene somme pagate senza reciprocità (in risoluzione la banca trattiene magari rate pagate in anticipo?), o la lett. g) se la banca può trattenere importi non prestando servizi non eseguiti. Ma principalmente rientra tra le penali eccessive.
Da notare che nel settore specifico dei mutui e prestiti, la legge spesso limita per conto suo le penali di estinzione anticipata volontaria. Ad esempio, per i mutui immobiliari per l’acquisto prima casa, la Legge n. 40/2007 (decreto Bersani) ha abolito le penali di estinzione anticipata per mutui stipulati dal 2007 in avanti, e limitato quelle dei mutui precedenti (massimi percentuali decrescenti). Similmente, la direttiva UE 2014/17/UE sui mutui e la direttiva 2008/48/CE sul credito al consumo prevedono che l’eventuale indennizzo per rimborso anticipato non possa superare certi limiti (ad es. 1% del capitale rimborsato se mancano più di 1 anno alla scadenza, 0,5% se meno di 1 anno, per il credito al consumo). Dunque, se una clausola prevede penali più alte di quanto consentito dalla legge speciale, è nulla per contrasto con norma imperativa (e comunque vessatoria perché squilibrata). Ad esempio, se in un prestito personale del 2020 comparisse “penale per estinzione anticipata 5% del capitale residuo”, sarebbe in contrasto con l’art. 125-sexies TUB (che recepisce la direttiva 2008/48) e quindi inapplicabile.
Caso recente – rimborso costi in caso di estinzione anticipata: Molti finanziamenti al consumo prevedevano clausole secondo cui certi costi (es. commissioni iniziali, costi assicurativi) non sono rimborsabili al cliente in caso di estinzione anticipata del prestito. Questa pattuizione è stata oggetto di contenzioso dopo la sentenza Lexitor della Corte di Giustizia UE (2019), che ha stabilito che il consumatore ha diritto a riduzione proporzionale di tutti i costi in caso di rimborso anticipato. Clausole che negano tale rimborso sono state dichiarate nulle in quanto vessatorie. Tribunale di Torino (sent. 6614/2024) e Tribunale di Nocera Inferiore (sent. 1911/2025, in appello) hanno affermato che le clausole contrattuali dirette a limitare la possibilità di ottenere il rimborso di alcune tipologie di costi in caso di estinzione anticipata del finanziamento sono nulle ex art. 36 Codice del Consumo (nullità di protezione) indipendentemente dalla doppia sottoscrizione. In pratica, se il contratto diceva “le commissioni up-front non sono rimborsabili se il cliente chiude il prestito prima della scadenza”, quella previsione è nulla perché in contrasto col diritto del consumatore a un’equa riduzione del costo totale del credito (art. 125 TUB, attuativo della direttiva). Nel caso deciso a Nocera 2025, la finanziaria appellante voleva negare il rimborso di costi up-front e assicurativi, ma il Tribunale ha rigettato l’appello e confermato il rimborso, citando la normativa e qualificando vessatorie le clausole che lo escludevano. Pertanto, qualsiasi clausola che imponga al consumatore perdite economiche ingiustificate in caso di estinzione anticipata (volontaria o dovuta a risoluzione) è sospetta di vessatorietà (let. f oppure b ed e di art. 33) e può essere annullata.
In generale, la valutazione di “manifestamente eccessivo” è lasciata al giudice caso per caso. Un criterio è comparare la penale/danno con l’interesse dell’istituto e con i parametri legali (soglie usura, normative di settore, tassi medi). Se la clausola supera di molto tali parametri, è vessatoria. Ricordiamo anche che, se una clausola finanziaria dovesse portare il TAEG effettivo sopra la soglia d’usura, interviene la sanzione ex art. 1815 c.c. (nullità della pattuizione di interessi usurari e loro gratuita del prestito) separatamente dal Codice del Consumo. Ad esempio, se sommando interessi nominali e mora e commissioni di estinzione anticipata si supera il tasso soglia, la conseguenza è la gratuità del credito (niente interessi né mora). Questa è una tutela ulteriore del debitore (di natura pubblicistica/penale) che spesso rende superfluo appellarsi alla vessatorietà in tali casi, poiché la clausola viene comunque travolta dalla legge antiusura.
4. Clausole di decadenza dal beneficio del termine e risoluzione anticipata unilaterale
Nei contratti di finanziamento è comune una clausola che prevede la decadenza dal termine in capo al debitore al verificarsi di certe condizioni: ad esempio, se il cliente salta il pagamento di anche una sola rata, la banca può richiedere immediatamente il rimborso integrale di tutto il debito residuo (c.d. clausola risolutiva espressa). Questa clausola in sé non è illecita: è prevista anche dall’art. 40 TUB per i mutui (che consente la risoluzione anticipata se il debitore omette il pagamento di un certo numero di rate). Generalmente i contratti di mutuo prevedono la risoluzione dopo 7 rate non pagate (come da TUB) per i consumatori, o 2 rate per altri. Se però una clausola ponesse condizioni più stringenti della legge (es. decadenza se salti 1 sola rata in un mutuo di consumatore, contro le 7 previste), potrebbe essere contestata come vessatoria perché squilibrata (significa che per un lieve ritardo si perde immediatamente il beneficio del termine). Rientrerebbe nella lettera t) di art. 33 (decadenze a carico del consumatore). La lettera t) difatti menziona proprio “sancire a carico del consumatore decadenze” come clausole presumibilmente vessatorie. Dunque, una clausola che preveda decadenze particolarmente gravose va valutata con sospetto.
Esempio: un contratto di leasing prevede che se il cliente paga con più di 5 giorni di ritardo una qualsiasi rata, perde il beneficio del termine su tutte le rate residue (cioè deve restituire subito l’intero capitale) e l’intermediario può risolvere il contratto incamerando anche i canoni già pagati. Questa combinazione di effetti è stata ritenuta vessatoria dal Tribunale di Ancona (sent. 15.10.2024): sommando gli effetti di varie clausole (decadenza + trattenimento canoni + penali), si creava un indebito vantaggio per la finanziaria e un pregiudizio grave per il consumatore; il Tribunale ha dichiarato nulle, in quanto abusive, tali clausole cumulative. Insomma, se la clausola risolutiva è accompagnata da conseguenze economiche penalizzanti senza equilibrio, il giudice può intervenire.
D’altra parte, la banca ha diritto di tutelarsi contro l’inadempimento: clausole risolutive ragionevoli (es. decadenza dopo vari insoluti, come da normativa) sono lecite. Diventa vessatoria quando l’evento risolutivo è eccessivamente lieve (un solo ritardo minimo) e soprattutto se la clausola esclude diritti del consumatore (es. non permette di rimediare, o consente alla banca di trattenere somme iniquamente). In tal caso, la combinazione potrebbe anche violare l’art. 33 lett. b) (escludere le azioni del consumatore in caso di adempimento inesatto del professionista: immagina la banca che risolve e incamera tutto impedendo al cliente di reagire).
Nota su fideiussioni e garanzie collegate: Spesso i finanziamenti sono accompagnati da fideiussioni omnibus o polizze. Alcune clausole tipiche delle fideiussioni bancarie sono state ritenute vessatorie o nulle. Ad esempio, la clausola di “rinuncia al beneficio di escussione e ai termini dell’art. 1957 c.c.” in fideiussione: il garante rinuncia alla regola che lo libererebbe se la banca non agisce tempestivamente. Questa clausola incide pesantemente sui diritti del garante. Se il garante è un consumatore (ad es. un parente che garantisce il prestito di un familiare, senza interesse professionale), allora quella clausola potrebbe essere valutata vessatoria (limita le eccezioni/opponibilità ex art. 33 lett. t oppure b) Cod. Cons.). Tuttavia, va detto che la giurisprudenza recente tende a considerare tali clausole come non vessatorie in sé stesse se corrispondono a schemi diffusi e giustificati dalla funzione della garanzia. Ad esempio, Cassazione, Sez. Unite, 6 aprile 2023 n. 9479 (caso di fideiussioni omnibus) ha affrontato anche il tema delle clausole ABI di garanzia: ha precisato che non sono automaticamente abusive clausole come quella di rinuncia all’art.1957 c.c. o similari, sebbene vietate in sede antitrust come intese fra banche. In altri termini, la Cassazione ha detto: il fatto che Banca d’Italia avesse censurato quelle clausole in quanto frutto di un accordo anticoncorrenziale tra banche, non le rende di per sé vessatorie ai sensi del Codice del Consumo nei confronti del singolo consumatore. Per dichiararle abusive serve comunque verificare se creano squilibrio e se sono state negoziate. Dunque, attenzione: non tutte le clausole “sfavorevoli” al garante consumatore saranno considerate vessatorie; alcune (es. deroga art.1957) vengono talora ritenute lecite perché inerenti all’oggetto della fideiussione o comunque non incluse in art. 33. Su questo punto, ad esempio, un’ordinanza del Tribunale di Bergamo del 2024 ha escluso la vessatorietà della clausola di “deroga all’art.1957 c.c.” in fideiussione specifica, in quanto non rientrante fra quelle dell’art. 33 e considerata usuale nel rapporto di garanzia. Si tratta comunque di situazioni borderline: se il garante è consumatore, potrebbe anche vedersela riconosciuta come vessatoria in altri casi (specie se non firmata separatamente ex 1341 c.c., sarebbe comunque inefficace in base al Codice Civile).
5. Clausole di foro competente o arbitrato che derogano alla tutela ordinaria
Questa è una delle clausole vessatorie più comuni nei contratti di finanziamento: la banca, nel contratto standard, inserisce una clausola che stabilisce il foro esclusivo di eventuali controversie in una sede a lei congeniale (tipicamente la sede legale della banca o del mediatore creditizio), diversa dalla residenza del cliente. Oppure prevede che “qualsiasi controversia sarà devoluta ad un arbitro” (clausola compromissoria).
Nel regime B2C, tali clausole sono espressamente individuate come vessatorie. L’art. 33, co.2, lett. t) include “deroghe alla competenza dell’Autorità Giudiziaria” e limitazioni delle azioni legali come ipotesi di vessatorietà. E la lett. u) menziona specificamente “stabilire come sede del foro competente una località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore”. Dunque, una clausola di foro diverso è in lista grigia e si presume vessatoria se non provato che fu negoziata col cliente. In pratica, quasi sempre viene dichiarata nulla, perché raramente un consumatore ha effettivamente contrattato tale clausola (di solito è predisposta e basta). Anche la Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che il foro del consumatore è inderogabile se la clausola non è frutto di trattativa, e la doppia sottoscrizione ex art.1341 c.c. non basta a renderla efficace nei confronti del consumatore. Ad esempio, Cass. 1464/2018 ha dichiarato nullo un foro diverso (sede banca) in un contratto con consumatore, benché il contratto l’avesse richiamato e il cliente l’avesse firmato, in quanto clausola vessatoria ex art.33 Cod. Cons. e art.36 (nullità rilevabile d’ufficio in ogni stato).
Lo stesso dicasi delle clausole arbitrali: imporre al consumatore di rivolgersi a un arbitrato invece che al giudice ordinario priva il consumatore di alcune garanzie (es. appello, costi di arbitrato ecc.), quindi è considerato squilibrio. L’AGCM ha più volte sanzionato imprese – incluse finanziarie e società di leasing – per aver inserito clausole compromissorie nei contratti con consumatori senza adeguata informativa e senza negoziazione, qualificandole come vessatorie (casi su contratti telefonici, leasing auto, ecc.). Una clausola arbitrale è valida con un consumatore solo se la firma è successiva all’insorgenza della lite (compromesso) o se realmente negoziata a parte.
In sintesi: il consumatore per legge ha diritto di essere citato presso il foro del proprio domicilio; qualsiasi patto che lo obbliga a fare altrimenti non avrà effetto (clausola nulla ex art.36 Cod. Cons.). E se la banca tentasse comunque di far valere la clausola, il giudice ordinario potrebbe rilevarne la nullità d’ufficio.
N.B.: In alcuni contratti di finanziamento non standard (es. contratti con micro-imprese non qualificate come consumatori) le banche a volte inseriscono clausole arbitrali amministrate (es. Camera arbitrale bancaria). In quei casi, non essendo consumatore, vale solo l’art.1341 c.c.: quindi se il cliente-impresa ha firmato specificamente, la clausola arbitrale è valida. Tuttavia, se la micro-impresa è in posizione di debolezza sostanziale, potrebbe tentare di far valere la nullità per vizio di meritevolezza o abuso di dipendenza economica, ma sono argomenti più complessi e meno garantiti rispetto alla tutela consumeristica.
6. Clausole che impongono rinunce o limitazioni di difesa al debitore
Queste clausole fanno sì che il consumatore rinunci anticipatamente a diritti o mezzi di difesa che la legge normalmente gli attribuirebbe. Alcuni esempi:
- Clausole di rinuncia all’eccezione di inadempimento: il cliente si impegna a eseguire sempre la prestazione (pagare le rate) anche se contesta inadempimenti della banca, senza poter sospendere il pagamento. Questo rientra espressamente tra le clausole vessatorie (art. 33, lett. r: “limitare o escludere l’opponibilità dell’eccezione d’inadempimento da parte del consumatore”). Un tipico esempio è nei prestiti finalizzati: se acquisto un bene a rate con finanziamento, alcune clausole vorrebbero impedirmi di sospendere i pagamenti anche se il bene risulta difettoso e il venditore inadempiente. Ma la legge (art. 125 quinquies TUB) in realtà protegge il consumatore in questi casi (credito collegato: possibilità di azioni dirette). Quindi clausole che dicono “continuerai a pagare anche se il bene non funziona” sono nulle.
- Clausole di riconoscimento di debito irrevocabile o accertamento unilaterale del credito: es. “Il piano di ammortamento predisposto dalla banca si intende da te accettato come ricognizione del debito, salvo errori di calcolo”. Se ciò toglie al consumatore la facoltà di contestare ad esempio modalità di calcolo degli interessi, è problematico. Potrebbe ricadere nella lettera p) (diritto esclusivo del professionista di interpretare il contratto) o t) (limitazioni prove/inversione onere prova). Un caso: clausole secondo cui “il saldo comunicato dalla banca si intende definitivamente approvato se non contestato entro X giorni” – possono essere viste come decadenze che limitano la facoltà di opporre eccezioni (vessatorie ex lett. t).
- Clausole di mandato irrevocabile al finanziatore su diritti del consumatore: ad es., nei contratti di cessione del quinto talvolta il debitore firma un mandato irrevocabile al datore di lavoro di pagare le quote allo stipulante. Questo non è vessatorio in sé (è necessario per far funzionare la cessione), ma se ci fossero clausole che impediscono al debitore di revocare consensi in situazioni di abuso, potrebbero sollevare dubbi. Tuttavia, in quell’ambito c’è normativa speciale (DPR 180/50) che tutela già il debitore.
In generale, ogni clausola che restringe le difese legali del debitore (rinuncia preventive a opporre eccezioni, a fare domande riconvenzionali, limitazioni di prova ecc.) sarà guardata con estremo sospetto dal giudice. Il Codice del Consumo ne vieta la maggior parte (lett. t, r, p, ecc.). Ad esempio, la Cassazione ha ritenuto vessatoria la clausola che limitava i diritti risarcitori del consumatore in caso di inadempimento dell’intermediario.
7. Clausole di indicizzazione e tasso variabile opache
Nei mutui e finanziamenti a tasso variabile o indicizzati a valute, le clausole che definiscono i criteri di variazione del tasso o del capitale devono essere particolarmente chiare. Non sono di per sé vessatorie (anzi, come visto, se chiare attengono all’oggetto principale del contratto e non sono valutabili per vessatorietà), ma se scritte in modo poco intellegibile possono diventare abusive per difetto di trasparenza.
Caso Mutui in valuta estera: in Italia negli anni 2000 furono venduti mutui indicizzati al Franco Svizzero, con meccanismi di doppia conversione del capitale residuo. Molti clienti non compresero che se il franco si rivalutava, il loro debito in euro aumentava invece di diminuire con le rate. La clausola di indicizzazione era complessa e non spiegata adeguatamente. L’AGCM, nel provvedimento citato (Barclays 2018), ha dichiarato vessatorie tali clausole perché “impedivano al cliente di comprendere pienamente le conseguenze economiche del contratto”, violando il requisito di chiarezza ex art. 35 Cod. Cons.. La conseguenza è stata la nullità delle clausole di indicizzazione e l’obbligo per la banca di restituire quanto indebitamente percepito in più (in pratica ricalcolo come se il tasso fosse restato iniziale). Il TAR Lazio 2023 ha confermato questa impostazione. Anche alcune decisioni dell’ABF hanno seguito l’orientamento: il Collegio di Coordinamento ABF nel 2021 ha attribuito valore di “prova privilegiata” a quel provvedimento AGCM n. 27214/2018, riconoscendo la vessatorietà delle clausole di doppia indicizzazione nei mutui in valuta.
Tasso variabile e clausole floor/ceiling: come già accennato, una clausola floor (che fissa un tasso minimo oltre il quale il tasso variabile non scende) non è stata ritenuta vessatoria di per sé dal Tribunale di Milano 2024. Ciò perché essa incide sull’oggetto principale (il prezzo del denaro) ed era chiaramente indicata (Euribor negativo considerato zero, con interessi almeno pari allo spread). Tuttavia, se una clausola floor non fosse stata adeguatamente evidenziata o fosse stata presentata in modo fuorviante al consumatore, si potrebbe discutere di violazione di obblighi di trasparenza bancaria (più che vessatorietà in senso stretto). Ad esempio, in Spagna le clausole floor furono dichiarate nulle per mancanza di trasparenza, non perché il concetto di minimo fosse di per sé illecito, ma perché i clienti non erano stati informati chiaramente delle implicazioni. In Italia, ad oggi, i tribunali (Milano, Roma in passato, ecc.) tendono a considerare le floor valide se chiare. Dunque una floor non è una clausola vessatoria tipica, a meno che la sua mancata simmetria (assenza di cap corrispondente) e la mancata evidenza informativa configurino squilibrio informativo. Nel dubbio il giudice potrebbe usare l’art. 35: se il contratto enfatizzava “tasso variabile” ma celava la floor in nota, potrebbe dichiararla non vincolante per carenza di chiarezza.
Clausole di arrotondamento e spread addizionali: alcune clausole prevedono ad esempio che il tasso variabile venga arrotondato sempre per eccesso allo 0,10% superiore, oppure aggiungono costi se l’indice assume valori negativi. Se tali clausole non sono adeguatamente evidenziate o risultano non reciproche (sempre a sfavore del cliente), si possono considerare vessatorie perché il consumatore difficilmente ne coglie la portata. Rientrano in parte nella lettera p) (diritto del professionista di interpretare unilateralmente una clausola) se di fatto la banca ha mano libera nel calcolo, o nella lettera n)-o) se alterano il prezzo finale senza diritto di recesso.
8. Clausole contrarie a norme di legge imperative (trasparenza, usura, anatocismo)
Alcune clausole di finanziamento possono essere nulle non tanto per vessatorietà intrinseca, ma per contrasto con norme imperative del diritto bancario civile. Le includiamo perché, dal punto di vista del debitore, sono comunque clausole invalide di cui può chiedere tutela, sebbene formalmente la nullità discenda dalla legge speciale anziché dagli artt.33-36 Cod. Cons. (in alcuni casi c’è comunque sovrapposizione).
- Clausole di anatocismo: L’anatocismo (produzione di interessi su interessi scaduti) è vietato in generale dall’art. 1283 c.c., salvo casi particolari (accordi dopo il maturare degli interessi, usi normativi per conti correnti a certe condizioni ormai superati). Nei contratti di finanziamento classici (mutui con ammortamento) non c’è anatocismo vietato, perché gli interessi di ogni rata sono calcolati solo sul capitale residuo e la rata li estingue periodicamente. La questione del piano di ammortamento “alla francese” è stata oggetto di dibattito: alcuni sostenevano che esso celasse un anatocismo (per via dell’interesse composto implicito nella rata costante). La Cassazione è intervenuta più volte affermando che il piano francese non costituisce anatocismo illegittimo, ma un semplice criterio di calcolo: gli interessi maturano sul capitale residuo e non su interessi a loro volta. Da ultima, Cass. 29 maggio 2024 n. 15130 ha ribadito che l’ammortamento francese non viola l’art.1283 c.c. e non genera una voce occulta di interessi oltre quelli pattuiti (sconfessando dunque chi lo impugnava come clausola nulla). Ne consegue che la clausola di ammortamento alla francese è lecita e non può essere attaccata come vessatoria di per sé. Invece, se mai il contratto prevedesse esplicitamente la capitalizzazione periodica degli interessi non pagati (ad es. capitalizzazione mensile degli interessi di mora), ciò sarebbe nullo per contrasto con art. 1283 c.c. e normativa di trasparenza (oggi la capitalizzazione degli interessi passivi è ammessa solo su base non inferiore al trimestre e purché reciproca con stessi intervalli per interessi attivi – delibera CICR 2000 e succ. mod.). Un esempio: un contratto di mutuo che dicesse “gli interessi di mora non pagati alla fine di ogni mese verranno capitalizzati nel debito” sarebbe sicuramente nullo in quella parte. In termini consumeristici, una clausola che applichi anatocismo occulto può essere vista come vessatoria ex art. 33 lett. t) (inversione onere della prova? no, più come squilibrio generico) ma, più direttamente, è nulla per legge.
- Clausole che violano obblighi di trasparenza: come accennato, se manca l’indicazione di TAEG, o se il contratto non consegnato ecc., il TUB sanziona queste mancanze con nullità parziale a tutela consumatore. Ad esempio, art. 117 TUB – se il tasso d’interesse non è indicato chiaramente per iscritto, la clausola è nulla e sono dovuti interessi legali. Art. 125-bis TUB – se in un credito ai consumatori manca il TAEG o è indicato in modo inferiore al reale, il consumatore paga solo interessi al tasso legale (questa era giurisprudenza pre-2010; dal 2010 l’art.125-bis specifica solo la nullità delle clausole difformi, ma la sostanza è analoga: il costo non pattuito correttamente non è dovuto). Tali clausole/mancanze non richiedono di evocare il concetto di vessatorietà, ma è utile sapere che il debitore può farle valere. Ad esempio, se il modulo contrattuale di finanziamento non riportava la misura degli interessi e delle spese, il cliente può eccepire la nullità di tali pattuizioni e pagare solo il tasso BOT ex art.117 TUB (spesso inferiore a quanto pattuito).
- Clausole contrarie a norme di ordine pubblico economico: su tutte, la già citata usura. Non è in senso tecnico una clausola vessatoria (perché l’usura è vietata per legge a prescindere dal “significativo squilibrio”), ma dal punto di vista del debitore è un’altra strada per contestare il contratto. Un tasso d’interesse pattuito sopra la soglia è nullo ex art. 1815 c.c. (mod.), e si converte in contratto gratuito. Anche commissioni, spese e penali concorrono a questo calcolo se collegati all’erogazione del credito. In diversi giudizi, i debitori eccepiscono l’usurarietà complessiva del contratto sommando interessi corrispettivi, moratori, penali e commissioni: se c’è superamento, chiedono la restituzione di tutti gli interessi pagati. Questo è un potentissimo strumento di difesa giudiziale (trattato nel c.p. art.644 e L.108/96 sul piano penale, e art.1815 sul piano civile).
In conclusione, il debitore-consumatore in un contratto di finanziamento può incontrare varie clausole sfavorevoli, ma la legge fornisce numerose armi per neutralizzarle: dalla nullità per vessatorietà alla nullità per illiceità, fino alla riduzione equitativa o all’applicazione di tassi legali. Nel prossimo capitolo, approfondiremo come il debitore possa far valere concretamente queste tutele – sia attraverso azioni giudiziarie che con strumenti stragiudiziali, nonché quali responsabilità ricadono sugli intermediari finanziari che inseriscono clausole abusive.
Profili di responsabilità di banche e intermediari
L’inserimento di clausole vessatorie in contratti standard di finanziamento comporta conseguenze giuridiche non solo sulla validità delle clausole stesse, ma può esporre la banca o l’intermediario a responsabilità sia private che pubbliche:
- Responsabilità contrattuale verso il cliente: se la banca applica una clausola poi dichiarata nulla come vessatoria, dovrà restituire al consumatore le somme indebitamente percepite in forza di quella clausola (restauro della situazione precedente). Ad esempio, se ha incassato una penale di €1000 che risulta vessatoria, dovrà rimborsarla. Inoltre, potrebbe essere tenuta al risarcimento di eventuali danni ulteriori patiti dal consumatore a causa di quella clausola abusiva. Pensiamo a un tasso di mora molto elevato che abbia causato una lievitazione del debito e magari il pignoramento della casa: il consumatore, oltre a far eliminare la clausola e rideterminare il dovuto, potrebbe cercare di dimostrare danni (es. spese legali, stress psicologico) da chiedere come risarcimento. Non è semplice quantificare tali danni, ma la possibilità esiste, specie se si dimostra una condotta grave dell’intermediario (malafede, violazione obblighi informativi).
- Perdita di diritti contrattuali: una clausola nulla non può essere pretesa dalla banca. Quindi la banca potrebbe trovarsi privata di una tutela che credeva di avere. Esempio: se contava su una clausola di foro esclusivo a proprio vantaggio e questa è nulla, dovrà accettare di litigare davanti al giudice del luogo del consumatore. Se contava su una clausola compromissoria, questa non le impedirà di essere chiamata in tribunale ordinario. Oppure, se confidava di poter tenere una commissione in caso di estinzione anticipata, e la clausola è nulla, non potrà incassarla e se l’aveva già incassata la dovrà restituire. Insomma, la conseguenza civilistica diretta per la banca è che vede ridotto il suo beneficio contrattuale: il contratto resta in piedi ma “depurato” delle clausole a suo favore squilibrate.
- Sanzioni amministrative da parte dell’Autorità Antitrust (AGCM): dal 2012 il Codice del Consumo (art. 37-bis) consente all’AGCM di agire contro le clausole abusive. L’AGCM può aprire un’istruttoria d’ufficio o su segnalazione (ad es. di associazioni consumatori) e, se riscontra clausole vessatorie in uso nei moduli contrattuali di una banca, può adottare un provvedimento che dichiara vessatorie quelle clausole e ne vieta l’ulteriore utilizzo. L’Autorità può anche comminare una sanzione pecuniaria amministrativa fino a €10.000 (o 5.000 in alcuni casi) per ogni inottemperanza, aumentabile in caso di particolare gravità o recidiva. In realtà, a seguito della direttiva UE 2019/2161 (“Omnibus”), i massimali di multa per infrazioni consumeristiche in UE sono aumentati; in Italia il D.lgs. 170/2022 ha portato le sanzioni massime per clausole vessatorie sino al 4% del fatturato annuale dell’impresa nei casi di infrazioni diffuse o gravi. Quindi le banche rischiano multe anche rilevanti se insistono con clausole abusive. Ad esempio, l’AGCM ha sanzionato banche per clausole su conti correnti che prevedevano comunicazioni esclusive via PEC nonostante il consumatore avesse diritto a cartaceo – mostrando la trasversalità dell’intervento. I provvedimenti AGCM vengono pubblicati sul sito dell’Authority e la banca può essere obbligata a darne evidenza (es. pubblicazione estratto sul proprio sito), con ovvio danno reputazionale. Le decisioni AGCM possono essere impugnate al TAR, ma come visto nel caso Barclays, non sempre l’azienda riesce ad annullarle (TAR Lazio ha confermato sanzione a Barclays nel 2023, anche se voci indicano che il Consiglio di Stato nel 2024 potrebbe aver rivisto in parte la questione – aspetto in evoluzione).
- Controlli delle Autorità di vigilanza settoriali: Bankitalia, IVASS, CONSOB a seconda del tipo di intermediario, possono intervenire se le clausole vessatorie si collegano a violazioni di normative di settore. Ad esempio, Bankitalia verifica il rispetto delle Norme di Trasparenza bancaria: se un intermediario inserisce clausole che violano le disposizioni sulla forma dei contratti, sulla pubblicità dei tassi o sulle commissioni, Bankitalia può avviare procedimenti sanzionatori (multando i responsabili, tipicamente gli esponenti aziendali, per violazione delle Istruzioni di Vigilanza). Queste sanzioni sono indipendenti dalle cause civili: colpiscono la condotta non conforme. Un caso: l’applicazione di interessi anatocistici in c/c oltre i limiti temporali fu sanzionata da Bankitalia negli anni 2000; oggi la vigilanza punirebbe, ad esempio, una banca che non rimborsa il premio assicurativo non goduto al debitore in estinzione anticipata, perché c’è una norma (art. 125 TUB e Regolamento IVASS) che lo impone – la sua violazione può costituire illecito amministrativo. Va detto, comunque, che la funzione dell’AGCM copre specificamente l’abusività delle clausole, mentre Bankitalia vigila su trasparenza e correttezza complessiva: i confini talora si sovrappongono. In virtù di protocolli, spesso è l’AGCM che prende in carico la parte “clausole vessatorie” e Bankitalia non duplica l’intervento, salvo per le materie riservate (es. trasparenza creditizia).
- Responsabilità in sede giudiziale (cause individuali e di classe): la banca può subire cause da singoli consumatori o class action. Nel caso di cause individuali, se un consumatore ottiene dal giudice l’accertamento di clausola vessatoria, la banca sarà condannata a rifondere spese legali e a restituire importi. Se ricorrono i presupposti, come detto, potrebbe dover risarcire ulteriori danni. La Class Action (oggi disciplinata dal Codice di procedura civile, art. 840-bis e segg.) permette ad un gruppo di consumatori o utenti di agire con un’unica azione contro la banca che abbia utilizzato clausole identiche o simili causando un danno a tutti. Una class action potrebbe, ad esempio, chiedere il risarcimento per tutti i clienti di una certa finanziaria che hanno pagato una penale dichiarata vessatoria. In Italia le class action in ambito bancario finora sono state poche e di difficile gestione (richiedono omogeneità di posizioni), però sono un deterrente ulteriore.
- Immagine e rapporto con la clientela: al di là delle sanzioni legali, va sottolineato che il reputational risk per una banca che perseveri con clausole abusive è elevato. Provvedimenti AGCM vengono ripresi dalla stampa specializzata, e i consumatori sono sempre più informati grazie anche a portali web (ad es. la stessa AGCM mantiene un elenco pubblico delle clausole dichiarate vessatorie e delle imprese coinvolte). Banche e intermediari seri tendono quindi ad adeguare i contratti per evitare di essere bollati come scorretti. Ad esempio, dopo la sentenza Lexitor e le azioni di AGCM su rimborso costi, la maggior parte delle finanziarie ha modificato i moduli inserendo la formula di rimborso pro-rata dei costi, per non incorrere in contenziosi e sanzioni.
In sintesi, la banca che inserisce clausole vessatorie rischia grosso: da un lato perde comunque l’efficacia di quelle clausole (quindi minore tutela contrattuale e possibile obbligo di restituzione soldi), dall’altro può subire procedure sanzionatorie pubbliche e cause plurime. Questo quadro normativo “deterrente” mira a incentivare le banche a predisporre contratti equilibrati e chiari. Non a caso, molte banche hanno dei compliance program interni: sottopongono le condizioni generali a verifiche legali, e talora ricorrono perfino allo strumento dell’interpello all’AGCM previsto dall’art. 37-bis Cod. Cons.: le imprese possono chiedere preventivamente all’AGCM di esprimersi sulla vessatorietà di clausole che intendono usare. Se l’AGCM “promuove” la clausola, poi non potrà sanzionarla in futuro (salvo mutare scenario). Questo strumento – finora usato poco – evidenzia comunque la responsabilità proattiva richiesta agli intermediari.
Strumenti di tutela del debitore (giudiziali e stragiudiziali)
Dal punto di vista pratico, un debitore che si trovi in un contratto di finanziamento contenente clausole vessatorie ha a disposizione vari percorsi per tutelare i propri diritti. Si possono distinguere le tutele giudiziarie, che coinvolgono i tribunali, e le tutele stragiudiziali o alternative, che permettono di risolvere la questione senza arrivare davanti a un giudice civile. Vediamole nel dettaglio, ricordando che non sono mutuamente esclusive: anzi, spesso è consigliabile percorrere prima la via stragiudiziale e solo in caso insoddisfacente rivolgersi al giudice.
Tutela giudiziale
1. Eccezione di nullità nel corso di una controversia: il modo più frequente in cui una clausola vessatoria viene fatta valere è quando la banca agisce contro il debitore (per esigere un pagamento) e il debitore, in sua difesa, eccepisce la nullità di una o più clausole contrattuali. Ad esempio, la banca chiede un decreto ingiuntivo per 10.000€ di interessi di mora e penali; il consumatore fa opposizione sostenendo che la clausola che prevedeva quella penale è abusiva quindi nulla, e dunque l’importo non è dovuto. In tal caso, il giudice, se riconosce vessatoria la clausola, rigetterà in tutto o in parte la domanda della banca. Questa è un’eccezione di nullità (che come detto è rilevabile d’ufficio anche dal giudice): il consumatore può limitarsi a segnalarla, e il giudice ha il dovere di valutarla in autonomia alla luce del Codice del Consumo. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 9479/2023 ha stabilito che il giudice del monitorio (decreto ingiuntivo) deve esaminare e motivare sull’eventuale presenza di clausole abusive, e se omette di farlo il provvedimento non può passare in giudicato su quell’aspetto. Ciò significa che anche se il debitore non si è opposto in tempo al decreto ingiuntivo, in sede di esecuzione forzata potrà far valere la nullità di clausole vessatorie a sua tutela. La Cassazione ha infatti affermato – in linea con la Corte di Giustizia UE – che il giudice dell’esecuzione deve poter valutare d’ufficio la vessatorietà di clausole alla base del titolo, anche se il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo. Questa è una garanzia fondamentale per il consumatore: non perde mai la possibilità di liberarsi da una clausola ingiusta, nemmeno se inizialmente non si è opposto. (Certo, è bene opporsi subito per evitare esecuzioni, ma l’ordinamento chiude ogni scappatoia che permetterebbe alla banca di “consolidare” l’illecito). Il principio è di ordine pubblico: la tutela del consumatore è talmente importante che l’accertamento sulla vessatorietà sfugge ai limiti del giudicato se non affrontato espressamente.
Tuttavia, attenzione: la stessa Cassazione (SU 2023) e i primi tribunali dopo di essa hanno chiarito che ciò non significa che il consumatore possa restare totalmente passivo. Il giudice deve esaminare d’ufficio, ma sulla base di ciò che emerge dagli atti. Se il contratto non è nemmeno prodotto in giudizio, o il consumatore non indica quale clausola contesta, il giudice non è tenuto a svolgere un’indagine esplorativa per conto del consumatore completamente silente. Ad esempio, Tribunale di Bergamo sent. n. 505/2024 (giudice P. Rossi) ha rigettato l’istanza di un consumatore che in opposizione all’esecuzione si era limitato a dire genericamente “il giudice verifichi la nullità di eventuali clausole abusive del mio contratto” senza indicarne alcuna né spiegare il nesso con la somma richiesta. Il tribunale ha affermato un principio: il controllo d’ufficio va fatto sulla base del quadro assertivo introdotto dalla parte; non si può supplire alla completa inattività del consumatore interessato. In altre parole, il debitore deve comunque portare all’attenzione del giudice il contratto e la clausola sospetta, anche solo con un cenno, altrimenti il giudice non può inventarsi motivi di nullità senza base negli atti. Questo equilibrio è importante: la giurisprudenza post-SU sta delineando i confini tra l’intervento officioso del giudice e l’onere minimo di allegazione in capo al consumatore.
2. Azione giudiziale di accertamento/nullità/ripetizione: il consumatore non deve per forza aspettare di essere convenuto in giudizio dalla banca. Può anche agire in via proattiva, citando la banca davanti al tribunale per far dichiarare la nullità di una clausola e ottenere rimborso di quanto pagato. Ad esempio, un cliente potrebbe, dopo aver estinto il mutuo, intentare causa per sentir dichiarare vessatoria la clausola “x” con condanna della banca a restituirgli la penale pagata. Questo tipo di causa è un’azione di accertamento e restituzione (o risarcimento se ci sono danni). È ammissibile e frequente. In genere, conviene quando il consumatore ha già eseguito la prestazione e vuole indietro i soldi. Si può fare anche in corso di rapporto, ad esempio per far dichiarare nulla una clausola di un contratto ancora in essere e ottenere un’ingiunzione a non applicarla più (o la restituzione di importi già addebitati).
3. Azione inibitoria collettiva: come visto, le associazioni dei consumatori possono promuovere un’azione inibitoria (ex art. 37 Cod. Cons.) avanti al tribunale competente (spesso il Tribunale delle imprese di Roma se su scala nazionale) per far cessare l’uso di condizioni generali di contratto abusive. Questa azione non mira a risarcire i singoli, ma a ottenere un provvedimento che vieti all’impresa di continuare a utilizzare quelle clausole per il futuro, nell’interesse collettivo dei consumatori. Può anche essere chiesto di pubblicare la decisione su giornali nazionali, a mo’ di sanzione pubblicitaria. Diverse inibitorie sono state fatte nel campo bancario: ad esempio, associazioni hanno agito contro clausole di conto corrente che prevedevano spese eccessive di chiusura, ottenendone la cessazione; oppure contro finanziarie che imponevano arbitrati. L’inibitoria è cumulabile con le sanzioni AGCM: c’è una sorta di coordinamento ma possono coesistere. Dopo la riforma class action, oggi le associazioni potrebbero anche preferire la class action risarcitoria, ma l’inibitoria rimane più snella se l’obiettivo è solo fermare la prassi.
4. Class action (azione di classe): introdotta compiutamente dal 2020, consente a uno o più consumatori (o utenti) di agire in rappresentanza di una classe di soggetti lesi dalla medesima pratica illecita di un’impresa. Nel caso di clausole vessatorie, la class action può essere utilizzata per ottenere risarcimento o restituzione per tutti i consumatori che abbiano subito gli effetti di quelle clausole. Ad esempio, un’associazione potrebbe promuovere class action contro una banca che ha applicato a migliaia di clienti una clausola abusiva di rimborso costi anticipati, chiedendo la restituzione a favore di tutti. L’azione di classe è complessa (va certificata, etc.) e richiede omogeneità di situazioni (tutti i contratti uguali), ma se condotta a buon fine può risarcire in un colpo solo intere platee. Dato il carattere avanzato e di cost management, nel contesto bancario non se ne sono viste molte – complici possibili accordi transattivi – ma rimane un’arma sul tavolo.
Iter e tempi giudiziari: una causa ordinaria in tribunale su clausole vessatorie può durare in media 1-3 anni in primo grado (a seconda del rito – solitamente ordinario civile; a volte è possibile il procedimento sommario di cognizione ex art. 702-bis c.p.c. se la questione è documentale e di pronta soluzione). Il costo per un singolo può essere un deterrente, ma se l’importo in ballo non supera 5.000€ spesso è competente il giudice di pace, dove il rito è più rapido e semplice (e volendo ci si può difendere personalmente, anche se in materie tecniche è sconsigliato). Notare che in ambito finanziario la legge prevede che prima di agire in giudizio la parte debba esperire un tentativo di composizione stragiudiziale: la L. 98/2013 ha esteso la mediazione obbligatoria alle controversie bancarie e finanziarie, ma è stato chiarito che il ricorso preventivo all’ABF (vedi infra) assolve tale condizione di procedibilità. Dunque spesso prima di far causa conviene o è necessario passare dall’ABF o da un mediatore.
Tutela stragiudiziale (ADR e altri strumenti)
1. Reclamo interno alla banca: ogni banca/intermediario per normativa di Banca d’Italia deve avere un ufficio reclami. Il debitore che rileva una clausola potenzialmente vessatoria può (e dovrebbe) presentare un reclamo scritto all’intermediario, evidenziando la clausola e spiegando perché la ritiene illegittima/nulla, chiedendo quindi la sua disapplicazione e l’eventuale rimborso delle somme pagate in forza di essa. Il reclamo scritto (via PEC o raccomandata) è importante anche per costituire un primo atto formale. La banca ha 30 giorni (per servizi bancari) per rispondere. Spesso, prevedibilmente, la banca difenderà la validità delle proprie clausole e respingerà il reclamo (o non risponderà affatto). Tuttavia, vi sono casi in cui – se la questione è chiara, magari già oggetto di interventi AGCM – la banca può accogliere parzialmente il reclamo per evitare contenzioso (es. offrire una riduzione della penale, o rimborsare parzialmente un costo). In ogni caso, il reclamo è un passaggio quasi obbligatorio: ad esempio, per poter poi ricorrere all’ABF è richiesto aver prima esperito il reclamo verso la banca.
2. Arbitro Bancario Finanziario (ABF): l’ABF è un sistema di risoluzione alternativa delle controversie bancarie e finanziarie, istituito da Banca d’Italia, a cui possono rivolgersi clienti (consumatori o anche imprese) per controversie fino a 200.000 € se vertenti su diritti di credito, o di qualsiasi importo se solo accertative (senza richiesta di denaro). Il ricorso all’ABF è rapido ed economico: si fa online, costa solo €20 di contributo (rimborsato se si vince) e la decisione arriva in circa 6-9 mesi. Le decisioni ABF non sono vincolanti come una sentenza, ma se l’intermediario non vi si conforma entro 30 giorni, la notizia viene pubblicata sul sito ABF e su due quotidiani nazionali (lista dei “cattivi pagatori” delle decisioni). In pratica, il tasso di ottemperanza è altissimo (oltre 98%). Dunque, l’ABF è uno strumento efficace per il consumatore. In tema di clausole vessatorie, l’ABF si è pronunciato più volte: pur non potendo “annullare” formalmente la clausola (non ne ha il potere, essendo un organo non giurisdizionale), di fatto ne disapplica gli effetti, ordinando alla banca di non applicarla o di restituire importi addebitati in base ad essa, motivando sulla base della normativa di nullità. Ad esempio, l’ABF ha accolto ricorsi di consumatori per la restituzione dei costi up-front in caso di estinzione anticipata dopo Lexitor, affermando la vessatorietà delle clausole contrarie e disponendo il rimborso pro-quota dei costi al cliente. Altra tipica decisione ABF: dichiarare l’inefficacia di un aumento unilaterale dei tassi perché la relativa clausola ius variandi era illegittima (mancato preavviso/motivo), e quindi far ricalcolare il piano di ammortamento secondo il tasso originario. L’ABF ha anche competenza su conti e altri servizi: ad es., ha ritenuto vessatoria la clausola che addebitava “commissione di massimo scoperto” non concordata e ne ha imposto la restituzione al cliente, reputandola nulla per difetto di trasparenza.
In sintesi l’ABF offre vantaggi: procedura scritta, nessun avvocato richiesto (anche se spesso è utile farsi assistere da consulenti), costo minimo, decisioni tendenzialmente favorevoli quando la legge è dalla parte del cliente. Lo svantaggio è che, non essendo una sentenza, non crea un precedente vincolante al 100% e in rari casi l’intermediario potrebbe non eseguire (ma ne subirebbe il danno reputazionale pubblico). In caso di esito sfavorevole, il consumatore mantiene comunque il diritto di rivolgersi poi al giudice ordinario.
3. Mediazione e negoziazione assistita: per le controversie finanziarie, è obbligatorio un tentativo di mediazione civile (D.lgs. 28/2010) prima di accedere al giudice, come già accennato. Questo tentativo può essere svolto presso un organismo di mediazione accreditato (ad es. le Camere di commercio offrono servizi di mediazione bancaria). In alternativa, alcune categorie di controversie possono essere risolte con una negoziazione assistita tra avvocati (ma in materia bancaria la negoziazione non è condizione di procedibilità obbligatoria, lo è la mediazione). In pratica però, la mediazione in materia di clausole vessatorie può avere esiti modesti se la banca non vuole rinunciare a clausole per non creare precedenti. Spesso le banche in mediazione propongono soluzioni transattive individuali: ad esempio, offrono una riduzione a saldo e stralcio del debito contestato se il cliente rinuncia alle cause. Sta al consumatore valutare. La mediazione ha comunque il merito di costringere le parti a sedersi e, quantomeno, far comprendere alla banca la determinazione del cliente (o viceversa far capire al cliente la posizione della banca). Se non si trova accordo, si ottiene il verbale necessario per procedere in giudizio.
4. Segnalazione all’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato): un singolo consumatore può inviare un esposto all’AGCM indicando che nel contratto di una certa banca ha rinvenuto clausole vessatorie. L’AGCM valuta se aprire un’istruttoria. Non è detto che lo faccia per singoli casi, ma se riceve più segnalazioni simili o nota che la pratica può incidere su molti consumatori, potrebbe procedere. La segnalazione è gratuita (si può fare anche via mail modulistica sul sito AGCM). Se l’AGCM apre il procedimento, poi il consumatore segnalante può essere contattato per fornire documenti, ecc., ma l’azione la conduce l’Authority. I tempi non sono brevissimi (diversi mesi, un provvedimento tipicamente richiede 6-12 mesi di istruttoria). L’esito però può beneficiare tutti: un provvedimento AGCM che dichiara vessatoria una clausola inibisce l’azienda dal riproporla, e viene diffuso pubblicamente. Inoltre, un provvedimento AGCM ha valore probatorio nei giudizi civili: la Cassazione ha affermato che l’accertamento di vessatorietà compiuto dall’AGCM, se confermato da eventuale giudizio amministrativo, costituisce un indizio importante (quasi una prova privilegiata) a cui il giudice civile può richiamarsi. Quindi, segnalare all’AGCM è un atto di “cittadinanza attiva” che può portare a risultati sistemici. Naturalmente, per il problema individuale di quel consumatore, è più immediato agire con ABF o giudice per ottenere rimborso; la via AGCM è complementare per fermare la pratica a monte.
5. Altri ADR di settore: per completezza, citiamo che esistono altri organismi di risoluzione alternative:
- L’Arbitro per le Controversie Finanziarie (ACF) presso la CONSOB, ma riguarda prodotti finanziari (investimenti), non i contratti di finanziamento/credito.
- Conciliatore BancarioFinanziario – ADR: è un organismo di mediazione specializzato in materia bancaria, a cui le parti possono decidere volontariamente di rivolgersi per un tentativo di conciliazione. Non è obbligatorio, ma alcune banche vi aderiscono volentieri.
- Ombudsman bancario: figura storica dell’ABI poi soppressa in favore dell’ABF.
- OCC (Organismi composizione crisi): non rilevano qui, a meno che la controversia sulle clausole rientri in una procedura di sovraindebitamento o simili.
In pratica, oggi l’ABF copre la stragrande maggioranza delle ADR bancarie per i clienti retail.
Tabella comparativa dei principali strumenti di tutela:
Strumento | Chi può attivarlo | Tempi stimati | Esito | Note |
---|---|---|---|---|
Eccezione in giudizio (difesa) | Consumatore convenuto (es. decreto ingiuntivo, esecuzione) | Legati ai tempi del giudizio (6 mesi – 2 anni) | Giudice può dichiarare clausola nulla, ridurre importi pretesi dalla banca, rigettare richieste. | Rilevabile d’ufficio, ma meglio indicare clausola contestata. Sospende efficacia titolo se accolta. |
Azione individuale in tribunale (accertamento nullità + restituzione) | Consumatore (attore) | 1-3 anni (tribunale) | Sentenza che accerta nullità clausola, condanna banca a rimborsi + spese legali. | Serve mediazione prima. Costi legali a carico banca se consumatore vince. Sentenza con valore di giudicato per le parti. |
Azione inibitoria collettiva | Associazione consumatori legittimata (elenco Min. Sviluppo Economico) | 6 mesi – 1 anno (procedimento sommario) | Ordinanza tribunale che inibisce l’uso di specifiche clausole e ordina pubblicazione del provvedimento. | Non dà risarcimenti ai singoli. Utile per fermare pratica generale. |
Class action (azione di classe) | Consumatori aderenti alla classe (anche tramite associazione o comitato rappresentativo) | 2-4 anni (certificazione classe + merito) | Sentenza che condanna banca a risarcire o restituire importi a tutti i membri della classe, o dichiara non dovute certe somme. | Procedura complessa (filtro ammissibilità). Efficace per danni diffusi modesti individualmente ma rilevanti collettivamente. |
Reclamo interno alla banca | Cliente (anche non consumatore) | 30-60 giorni per risposta | Accoglimento parziale o totale con risposta banca, oppure diniego. | Obbligatorio per poi ricorrere ABF. La risposta scritta della banca può chiarire la posizione (utile come prova in seguito). |
Arbitro Bancario Finanziario (ABF) | Cliente (consumatore o no) dopo reclamo respinto o senza risposta | ~6-9 mesi (istruttoria scritta + decisione collegiale) | Decisione ABF motivata: se accoglie, ordina alla banca di pagare o fare qualcosa (es. ricalcolo). Non vincolante formalmente ma quasi sempre ottemperata. | Costo 20€ per ricorrente. Limite valore 200k € se richiesta somma. Presentazione online semplice. Non richiede avvocato. |
Mediazione presso organismo | Cliente (con eventuale avvocato) e Banca | 3-4 mesi (incontri) | Accordo transattivo, oppure esito negativo (verbale mancata conciliazione). | Obbligatoria come tentativo prima del giudizio. La banca spesso partecipa per dovere normativo più che per reale volontà conciliativa. Può portare a sconti/soluzioni creative (es. rinegoziazione contratto). |
Segnalazione all’AGCM | Chiunque (consumatore o associazione) | Variabile (6-12 mesi indagine) | Provvedimento dell’AGCM che dichiara vessatorie clausole X, Y, Z dei contratti, e ingiunge alla banca di cessarne l’utilizzo + eventuale sanzione pecuniaria. | Non dà rimborso diretto al segnalante, ma può essere utilizzato poi dal segnalante in giudizio per ottenere il suo rimborso (fornendo base autorevole). Banca può fare ricorso al TAR/Consiglio di Stato contro provvedimento AGCM. |
Come si vede, il ventaglio di tutele è ampio. In genere, un consumatore accorto dovrebbe:
- Leggere bene il contratto prima di firmare e, se nota clausole dubbie, chiedere chiarimenti o modifiche. Se la banca non modifica, almeno prenderne coscienza.
- Se già firmato, e si accorge di una possibile vessatorietà, evitare di dare esecuzione supina: ad esempio, se c’è una penale, può pagarla “con riserva di ripetizione” e poi subito reclamare.
- Reclamare per iscritto alla banca evidenziando la clausola e chiedendo di non applicarla o rimborsare quanto addebitato.
- In caso di diniego, valutare un ricorso ABF (più rapido per rimborsi) o, se l’importo è alto/disputa complessa, avviare un’azione legale.
- Nel frattempo, eventualmente, segnalare all’AGCM se pensa che la pratica riguardi molti (ad es. modulistica standard).
- Se la banca intraprende azioni (ingiunzione, ecc.), contestare immediatamente eccependo la nullità delle clausole vessatorie: questo può cambiare radicalmente l’esito di un decreto ingiuntivo o di un pignoramento (il giudice può ridurre notevolmente la somma pretesa dalla banca se elimina interessi, penali, spese varie abusive).
Da notare anche che per i contratti di finanziamento legati all’acquisto di beni di consumo, c’è una tutela ulteriore: se il consumatore subisce inadempimento dal venditore (es. merce difettosa) e c’è un finanziamento collegato, può sospendere il pagamento e rivalersi anche sul finanziatore (art. 125 quinquies TUB). Questo non è proprio sulle clausole vessatorie, ma è bene tenerlo a mente: eventuali clausole nel contratto di credito che dicano “pagherai comunque anche se il bene è difettoso” sarebbero sicuramente nulle perché contrarie a questa norma e vessatorie.
Giurisprudenza più aggiornata (2023-2025)
Negli ultimi anni, complice anche l’intervento di Corti europee e Sezioni Unite della Cassazione, vi sono state numerose pronunce in tema di clausole abusive nei contratti bancari e finanziari. Elenchiamo alcuni precedenti significativi recenti (sentenze e decisioni fino a metà 2025) che hanno affinato la materia:
- Cassazione Civile, Sezioni Unite, 6 aprile 2023 n. 9479: pronunciata in forma di principio di diritto nell’interesse della legge, ha stabilito tre punti cardine: (1) il giudice che emette un decreto ingiuntivo su domanda di un professionista deve verificarne d’ufficio la presenza di clausole vessatorie nel contratto sottostante; (2) se ciò non avviene, quel decreto (non opposto) non copre con giudicato implicito la validità delle clausole, per cui in sede di esecuzione il giudice può ancora sindacarle; (3) in caso di opposizione tardiva (ad es. nelle forme dell’opposizione a precetto o agli atti esecutivi), le SU hanno delineato la procedura per recuperare il controllo di abusività, in linea con i dicta della Corte di Giustizia del 17 maggio 2022 (cause riunite). Questo arresto (in un caso di fideiussione con clausola di deroga foro del consumatore) è fondamentale perché adegua definitivamente il processo italiano ai requisiti UE di effettività della tutela consumer. In concreto, da questa sentenza discende che un debitore consumatore può sempre far valere la nullità di clausole vessatorie, anche se colpevolmente non si è opposto a un decreto ingiuntivo: non perderà il diritto di tutela, potendo sollevare la questione successivamente. Al contempo, però, la Cassazione ha precisato che il giudice non può supplire totalmente alle mancanze probatorie: spetta al consumatore dedurre almeno gli elementi di fatto minimi (quali clausole, quale contratto) su cui esercitare il controllo. Questa sentenza è stata accolta con favore dalla dottrina per il suo bilanciamento tra tutela UE e principio dispositivo.
- Tribunale di Bergamo, 27 febbraio 2024 n. 505: applica i principi di Cass. SU 9479/2023. Interessante perché rigetta l’opposizione del debitore il quale chiedeva solo genericamente il rilievo d’ufficio della nullità senza indicare quali clausole né come incidessero sul credito in esecuzione. Il Giudice (dott. Paolo Rossi) afferma chiaramente che il potere officioso del giudice non può colmare le mancanze probatorie delle parti, e che il controllo va fatto sul quadro assertivo introdotto. Principio: “il rispetto dell’effettività non può giungere al punto di supplire integralmente alla passività del consumatore”. Questa pronuncia, favorevole alle banche, pone un limite ragionevole: il debitore deve cooperare indicando almeno la clausola o producendo il contratto. Ciò non contraddice la Cassazione, ma ne specifica l’attuazione pratica. D’ora in poi, i ricorsi del consumatore in esecuzione dovranno essere più specifici per avere chance.
- Tribunale di Milano, 26 marzo 2024 n. 3373: (già citato) ha escluso la vessatorietà della clausola floor sul tasso minimo in un mutuo. Ha argomentato che la clausola floor, concorrendo a determinare la prestazione principale (gli interessi dovuti), non rientra tra quelle elencate dall’art. 1341 c.c. e attiene all’oggetto del contratto, dunque non necessita di specifica approvazione scritta né può considerarsi vessatoria di per sé. Inoltre, ha rilevato che l’elenco dell’art. 1341 c.c. è tassativo e non estensibile analogicamente. Questa sentenza, segnalata su riviste specializzate, conferma un orientamento pro-banche su questo specifico tema. Da notare però che riguardava una società mutuataria (non un consumatore), quindi in realtà il Codice del Consumo non era applicabile: il giudice ha ragionato in ottica 1341 c.c. e ha concluso che la floor non rientra nelle clausole onerose ivi previste (non limitava responsabilità, non era penale, ecc.). È comunque uno spunto: anche se fosse stato un consumatore, la floor essendo chiara non avrebbe potuto essere censurata ex art.34 co.2 Cod. Cons. (salvo dimostrare opacità).
- Tribunale di Torino, 30 dicembre 2024 n. 6614: (anticipata sopra) ha giudicato nulle ex art.36 Cod. Cons. le clausole che limitavano il rimborso di costi in caso di estinzione anticipata. Questo probabilmente in un caso di credito al consumo: il tribunale ha quindi recepito a livello di merito i principi di Lexitor, qualificando come abusive le clausole di non-rimborsabilità. La particolarità è che ne sancisce la nullità indipendentemente dalla doppia firma o meno, segno che l’orientamento attuale è di tutela piena sul rimborso pro-rata. È un precedente importante perché è del fine 2024, quindi già allineato anche alla modifica normativa italiana (infatti a fine 2021 il legislatore ha chiarito che la riduzione dei costi si applica a tutti i costi, recependo Lexitor; ma qui parliamo di contratto 2015 soggetto alla vecchia norma, interpretata alla luce del diritto UE).
- Tribunale di Nocera Inferiore, 4 giugno 2025 n. 1911: in appello, conferma la rimborsabilità pro-quota sia dei costi up-front che recurring e dei premi assicurativi in caso di estinzione anticipata di un finanziamento del 2015, richiamando la direttiva 2008/48/CE art.16 e l’art.125 TUB dell’epoca. Respingendo l’appello della finanziaria, il Tribunale dichiara vessatorie le clausole che negavano tali rimborsi e applica il criterio pro rata temporis (come da linee guida ABI-Ania 2008 e Reg. ISVAP 35/2010 citati in sentenza). Questa decisione, oltre a ribadire la nullità delle clausole, dettaglia anche come si calcola il rimborso dovuto (premio assicurativo da restituire in proporzione al periodo non goduto, caricamenti esclusi in proporzione, ecc.). È un esempio di come i tribunali ormai risolvano nel merito i calcoli una volta tolte di mezzo le clausole abusive.
- Tribunale di Ancona, 15 ottobre 2024: ha dichiarato nulle in quanto abusive una serie di clausole combinate in un contratto di finanziamento, rilevando che la loro sommatoria generava uno squilibrio e violava la buona fede contrattuale. Il caso riguardava probabilmente un leasing o prestito in cui c’erano: clausola di risoluzione anticipata per lieve inadempimento + trattenimento canoni pagati + penale aggiuntiva + forse altro. Annullando tutte queste pattuizioni, il Tribunale ha dato un forte segnale: anche la combinazione di più clausole che singolarmente potrebbero sembrare lecite può risultare vessatoria nel complesso se l’effetto congiunto è eccessivamente penalizzante per il consumatore.
- Cassazione Civ., Sez. VI-2, ord. 14 gennaio 2021 n. 497: (non recentissima, ma rilevante per contenuto) ha precisato quando si può parlare di trattativa individuale che esclude la vessatorietà. Ha richiesto i criteri di serietà, effettività e individualità della trattativa e onere della prova a carico del professionista. Questa pronuncia è diventata un riferimento per molte decisioni successive (spesso citata in dottrina e nei giudizi di merito) per respingere i tentativi degli intermediari di sostenere che “la clausola fu discussa” senza concrete evidenze. Insomma, una banca non può semplicemente far firmare al cliente una dichiarazione “dichiaro che abbiamo negoziato individualmente tutte le clausole”: i giudici la considerano priva di valore se non corroborata da fatti (es. corrispondenza precontrattuale, modifiche al testo standard apportate su richiesta del cliente, etc.).
- Corte di Giustizia UE (varie): oltre ai noti precedenti (Caso Aziz 2013, e successive in materia di esecuzioni spagnole, caso Lexitor 2019 sul credito, etc.), segnaliamo la pronuncia Lexitor (CGUE 11/9/2019) che come detto ha influenzato l’interpretazione italiana sui costi anticipati, e le quattro sentenze CGUE del 17 maggio 2022 (cause Polonia e Spagna riunite) che hanno spinto la Cassazione SU 9479/23 a intervenire. Tali sentenze affermavano che la direttiva 93/13 osta a norme processuali nazionali che impediscano l’esame di clausole abusive per preclusioni formali (es. decadenze da opposizione). Il nostro ordinamento si è quindi adeguato come visto.
- Decisioni ABF degne di nota:
- Collegio di Coordinamento ABF, dec. n. 6167/2014: (datata ma significativa) dichiarò vessatoria la clausola di commissione di massimo scoperto non pattuita chiaramente e ne dispose la restituzione. Fu uno dei primi casi di ABF che utilizzò il Codice del Consumo per affermare la nullità parziale del contratto di conto corrente.
- ABF Milano, dec. 23525/2021: ha riconosciuto efficacia di prova all’accertamento AGCM 2018 su mutui in CHF e di conseguenza ha dichiarato non dovuti gli importi di indicizzazione eccedenti, ordinando l’adeguamento del conteggio estintivo.
- ABF Napoli, dec. 11915/2019: ha ritenuto vessatoria una clausola di polizza CPI abbinata al mutuo che negava il rimborso premio in caso di estinzione anticipata, ordinando alla banca (che aveva venduto la polizza) la restituzione pro-rata.
- ABF Roma, dec. 1236/2020: ha giudicato nulla la clausola di un prestito finalizzato che imponeva un indennizzo fisso per ogni rata pagata in ritardo (5% importo rata), perché sproporzionato (vessatoria ex art.33 lett.f), disponendo il ricalcolo senza tali oneri.
Questa carrellata dimostra che la tutela del consumatore-debitore è un settore in fermento costante, con giudici sempre più attenti all’equilibrio contrattuale e orientati dalle linee guida europee. Nel 2025 e oltre, è lecito attendersi:
- Un aumento delle cause in cui i giudici (anche d’ufficio) epurano i contratti da clausole abusive, anche in fasi avanzate (esecuzioni).
- Un consolidamento dei principi SU 2023 a livello di merito (come visto già a Bergamo 2024).
- Intermediari più prudenti nella redazione contrattuale per evitare sanzioni e contenziosi (ad esempio, molte clausole contestate sono già state riviste nelle nuove condizioni generali).
- Ulteriori pronunce su aspetti ancora dibattuti: ad esempio la questione dei tassi di mora (il MEF sta valutando di includerli nel calcolo usura, il che risolverebbe molte cause in radice). O la questione spese di gestione/incasso rid, che in passato fu controversa (oggi una spesa per incasso rata elevata potrebbe esser vista come costo occulto).
- L’impatto delle nuove direttive UE in arrivo (ad es. la futura direttiva sul credito al consumo che sostituirà la 2008/48 e rafforzerà alcune tutele).
In ogni caso, la giurisprudenza recente conferma un messaggio: le clausole vessatorie non hanno cittadinanza nei contratti di finanziamento e i giudici italiani, sostenuti dall’ordinamento UE, sono pronti a intervenire per ripristinare l’equità contrattuale ogniqualvolta sia compromessa.
Domande Frequenti (FAQ) su clausole vessatorie nei finanziamenti
D1: Cosa si intende esattamente per “clausola vessatoria” in un contratto di finanziamento?
R: È una clausola predisposta unilateralmente dalla banca o finanziaria che crea un significativo squilibrio ai danni del cliente debitore, limitando i diritti di quest’ultimo o aggravandone gli obblighi in modo ingiusto. Ad esempio, patti che esonerano completamente la banca da responsabilità, che impongono penali esorbitanti al cliente inadempiente, o che gli fanno rinunciare a diritti di difesa, sono tipiche clausole vessatorie. Nel contesto dei finanziamenti a consumo, il Codice del Consumo ne prevede la nullità di protezione: in pratica, anche se il cliente ha firmato il contratto, quelle clausole non producono effetti perché considerate abusive e come tali nulle. In sintesi, sono le “condizioni capestro” che sbilanciano il contratto a favore della banca.
D2: Può farmi qualche esempio concreto di clausole vessatorie in mutui o prestiti?
R: Certamente. Ecco alcuni esempi reali:
- Clausola di foro competente lontano: es. “Per qualsiasi controversia è competente esclusivamente il Foro di Milano” inserito in un contratto con un consumatore residente altrove. Questa clausola è vessatoria (art. 33, lett. u Cod. Cons.) e nulla, a meno che non sia stata davvero negoziata col cliente. Il consumatore ha diritto di essere citato nel foro del suo domicilio.
- Clausola di penale eccessiva: es. “In caso di mancato pagamento di una rata, sarà dovuta una penale pari al 10% dell’importo della rata per ogni mese di ritardo”. Una penale del genere, cumulandosi, porta a somme enormi rispetto al debito: presumibilmente vessatoria (art. 33, lett. f) e riducibile/nulla.
- Clausola “salvo buon fine” unilaterale: es. “L’erogazione del prestito avverrà a insindacabile giudizio della banca entro 60 gg dalla firma; in caso di mancata erogazione il cliente non avrà nulla a pretendere”. Questa pone il consumatore vincolato mentre la banca può liberamente decidere di non eseguire: è squilibrata (art. 33, lett. d: impegno definitivo del consumatore vs condizione potestativa banca).
- Clausola di ius variandi libero: “La finanziaria potrà modificare in ogni momento le condizioni economiche del prestito comunicandolo con lettera semplice al cliente”. Manca giustificato motivo e diritto di recesso: vessatoria (lett. m) e anche contraria ad art. 118 TUB.
- Clausola di rinuncia ad eccezioni: “Il debitore si impegna a pagare puntualmente ogni rata anche qualora eccepisca inadempimenti della banca o contestazioni sul contratto”. Vessatoria perché limita l’opponibilità dell’eccezione d’inadempimento (lett. r).
- Clausola “floor” sul tasso: “Il tasso variabile non potrà scendere sotto il 3% annuo (tasso floor)”. Di per sé, se ben evidenziata, non è considerata vessatoria perché attiene all’oggetto del contratto (il prezzo). Diverrebbe problematica solo se non chiara per il cliente (trasparenza) o se il cliente fosse indotto a credere di avere un variabile senza minimi.
- Clausola di non restituzione costi: “In caso di rimborso anticipato, le commissioni iniziali si intendono interamente acquisite dalla banca e non verranno restituite”. Questa è stata dichiarata vessatoria e nulla dalla giurisprudenza recente perché contrasta col diritto del consumatore alla riduzione dei costi in caso di estinzione anticipata (art. 125 TUB).
- Clausola arbitrale obbligatoria: “Qualunque controversia sarà decisa da un arbitro unico secondo il Regolamento XXX; le parti rinunciano al ricorso al giudice ordinario”. Questa clausola, se imposta in un modulo di mutuo, è vessatoria (deroga a giurisdizione: art. 33 lett. t)). È nulla se non negoziata.
- Clausola di decadenza immediata: “Il mancato pagamento di una sola rata comporta la decadenza dal beneficio del termine e l’obbligo di immediato rimborso di tutto il debito residuo”. Su mutui di consumatori sarebbe in contrasto con la norma (di solito servono 7 rate scadute) e appare eccessiva (decadenza per lieve ritardo, lett. t).
D3: Come posso riconoscere se nel mio contratto di prestito ci sono clausole vessatorie?
R: Occorre leggere con attenzione tutte le condizioni, specie quelle scritte in caratteri piccoli o con richiami a leggi. Alcuni segnali d’allarme:
- Clausole che iniziano con formule tipo “Il cliente rinuncia espressamente a…”, “Il cliente riconosce e accetta che…”: spesso anticipano una limitazione di diritti. Leggetele attentamente e chiedetevi: sto rinunciando a qualcosa che la legge normalmente mi dà? (es. al foro competente della mia città, o al termine per contestare errori, etc.).
- Clausole con contenuto fortemente sbilanciato: se leggendola pensate “accidenti, questo punto favorisce solo la banca e a me impone qualcosa di pesante”, potrebbe essere vessatoria. Ad esempio: penali, costi aggiuntivi, facoltà solo per la banca.
- Clausole scritte in linguaggio molto tecnico o oscuro: la mancanza di chiarezza può indicare intento vessatorio. Un testo che non capite, magari su calcoli di interessi, valute, ecc., potrebbe celare uno squilibrio.
- Confronto con le liste di legge: potete confrontare con l’elenco dell’art. 33 Cod. Consumo (lo abbiamo riportato in questa guida). Se una clausola del vostro contratto rientra in una di quelle categorie (foro diverso, modifiche unilaterali, eccessive penali, ecc.), c’è una forte probabilità che sia vessatoria.
- Consultare fonti affidabili: esistono siti web, guide (come questa) e anche le decisioni AGCM pubblicate, che riportano esempi concreti di clausole dichiarate vessatorie. Ad esempio, l’AGCM sul suo bollettino ha casi di contratti di finanziamento: se trovate la stessa formulazione nel vostro, state sicuri che è vessatoria. Anche le associazioni dei consumatori pubblicano elenchi di clausole abusive frequenti.
In pratica: se una clausola vi appare ingiusta (“perché mai dovrei pagare questo se la banca fa quello?”) o vi toglie tutele (“non potrò fare causa se succede…”, “dovrò comunque pagare anche se…”), quasi sempre è il tipico caso di vessatorietà. In caso di dubbio, fate valutare il contratto da un esperto (un avvocato civilista o un’associazione consumatori). Il linguaggio giuridico a volte maschera la sostanza: ad esempio “deroga ex art. 1462 c.c.” significa “niente eccezione d’inadempimento per te”; “clausola risolutiva espressa ex art. 1456” con dettagli molto punitivi può implicare decadenza onerosa. Un occhio esperto saprà subito collocarla.
D4: Ho firmato il contratto con la banca che includeva clausole vessatorie. Avendole firmate, ormai sono vincolato a rispettarle?
R: Se lei è un consumatore, no, non ne è vincolato. Le clausole vessatorie, per definizione di legge, sono nulle indipendentemente dalla firma. La “firma” (anche la doppia firma) non “convalida” una clausola vessatoria in ambito consumeristico. Quindi, pur avendo sottoscritto il contratto in ogni sua parte, lei può successivamente contestare quelle clausole e rifiutarsi di adempierle, senza violare il contratto (sarà poi eventualmente un giudice a confermare che erano nulle). Per esempio, se ha firmato una clausola che fissa il foro competente altrove, non è obbligato ad andare a quella sede: potrà agire o difendersi presso il suo foro e far valere la nullità della clausola di deroga. Oppure se ha firmato una clausola di penale 10%, non è tenuto a pagarla se risulta vessatoria: potrà pagare solo il dovuto senza penale e opporsi all’eventuale richiesta di penale.
Attenzione: questo non significa che può semplicemente ignorare la clausola da solo. L’ideale è formalizzare la contestazione: es. scrive alla banca “La clausola X è vessatoria e non intendo applicarla”. Così risulta che non accetta di spontanea volontà quell’obbligo. In giudizio poi la nullità può essere fatta valere e dichiarata. Ma la cosa importante da sapere è: la firma non preclude la tutela. A differenza di altri casi in cui “se firmi hai accettato”, qui la legge la protegge. La nullità per vessatorietà è pronunciabile d’ufficio dal giudice e non sanabile nemmeno con consensi successivi. Quindi, anche a distanza di anni, potrà sollevare la questione.
Fa eccezione il caso in cui la banca provi che quella clausola è stata oggetto di specifica trattativa e modifica: se lei l’ha davvero negoziata (es. “alla prima stesura c’era penale 5%, io ho contrattato e loro l’hanno ridotta al 3% e ho accettato”), allora potrebbe non essere considerata vessatoria perché frutto di trattativa (art.34 comma 4 Cod. Cons.). Ma in pratica, quasi mai le banche negoziano le clausole standard con consumatori individuali. E comunque spetta alla banca dimostrarlo.
Riassumendo: la clausola vessatoria è nulla e lei non è tenuto a rispettarla, firma o non firma. Se la banca insiste nel farla valere, potrà difendersi e il giudice gli darà ragione (oltre al fatto che la banca rischia sanzioni per averla usata).
D5: Quali rimedi immediati ho se scopro di aver pagato somme non dovute a causa di una clausola abusiva?
R: Il primo passo è chiedere il rimborso alla banca, evidenziando per iscritto che la clausola relativa è nulla per vessatorietà. Questo è il reclamo: nella lettera indichi il contratto, la clausola (magari citando la norma del Codice del Consumo pertinente) e l’importo che ritiene indebito, chiedendone la restituzione. La banca può rispondere in 30 giorni. Se rifiuta o non risponde, può:
- Ricorrere all’ABF (Arbitro Bancario Finanziario) se la somma richiesta è entro 200.000 € (nel 99% dei casi lo è). L’ABF, come detto, è rapido e poco oneroso e spesso dà ragione ai clienti quando c’è un evidente squilibrio contrattuale, ordinando il rimborso.
- In alternativa, può agire in giudizio con un’ingiunzione di pagamento (decreto ingiuntivo) contro la banca, allegando il contratto e la prova del pagamento indebito. Non è insolito: se la clausola è manifestamente nulla (ad es. interessi usurari pagati, o penale non dovuta), lei può richiedere al giudice un decreto ingiuntivo per ripetizione di indebito. Si passa però dal tribunale con costi e tempi maggiori; per importi piccoli conviene ABF o giudice di pace.
- Class action: se la sua situazione è comune a molti (es. migliaia di clienti hanno pagato quella commissione illegittima), potrebbe unirsi a un’azione di classe o segnalarlo a un’associazione per valutarla. Ma per tempi e complessità, sul piano individuale ABF/causa sono più diretti.
In tutti i casi, conviene agire tempestivamente. La nullità è imprescrittibile come eccezione, ma la richiesta di rimborso di somme indebitamente pagate soggiace alla prescrizione decennale da quando il pagamento è avvenuto. Quindi non lasci passare troppi anni. Ad esempio: se ha pagato per 5 anni una commissione poi scoperta nulla, può chiedere indietro quelle degli ultimi 10 anni (in linea di massima). Non c’è un termine fisso brevissimo, ma agire prima evita contestazioni (la banca potrebbe sostenere la prescrizione se son passati oltre 10 anni dal pagamento).
Riassumendo: lettera di reclamo subito, poi ABF entro pochi mesi se la banca nega, e in ~6-9 mesi potrebbe avere una decisione a suo favore con cui tornare dalla banca a pretendere i soldi. Se anche dopo ABF la banca (caso raro) non paga, allora con quella decisione in mano può andare dal giudice: difficilmente la banca si incaponirà fino a quel punto.
D6: Chi decide se una clausola è vessatoria? Devo rivolgermi al giudice o lo può fare anche un’autorità?
R: Formalmente, la nullità della clausola vessatoria può essere dichiarata solo da un giudice ordinario (tribunale o giudice di pace) in una sentenza o ordinanza. Però, come abbiamo illustrato, esiste la possibilità di un accertamento da parte di un’autorità amministrativa (AGCM) che dichiara la vessatorietà di clausole usate dall’azienda in generale. Questo provvedimento AGCM non annulla i singoli contratti (non ne ha il potere), ma fa sì che quelle clausole siano considerate illegittime nell’ordinamento e vietate per il futuro all’impresa. Se l’AGCM ha già dichiarato vessatoria la clausola X in un contratto tipo, il singolo consumatore in causa può presentare quella decisione al giudice: è molto probabile che il giudice si adegui e dichiari nulla la clausola nel caso concreto (per coerenza). Ad esempio, AGCM dichiarò vessatoria la clausola di un finanziamento in franchi svizzeri; quando casi analoghi sono arrivati ai tribunali, questi hanno richiamato quel provvedimento per confermare la nullità.
Inoltre, abbiamo l’ABF che, pur non essendo un giudice, nelle sue decisioni di fatto valuta la vessatorietà e dispone rimedi. L’ABF quando decide scrive “considerata la natura vessatoria di questa clausola, il ricorso va accolto e la banca deve restituire tot”. Non è una “sentenza”, ma se la banca ottempera, in concreto la clausola è come se fosse stata annullata per quel cliente. Se la banca non ottempera, poi l’unica via è il giudice per farsi valere.
Quindi: il giudice ordinario è l’arbitro finale per dichiarare una clausola nulla e inopponibile. Si può arrivare a lui direttamente (causa individuale) o indirettamente (difendendosi in una causa intentata dalla banca). Prima, però, possiamo avere:
- L’AGCM che emette un provvedimento di natura generale: utile, ma va eventualmente reso concreto dal giudice nel caso specifico (anche se alcune imprese potrebbero spontaneamente adeguarsi dando sollievo ai clienti coinvolti per evitare cause).
- L’ABF che risolve singoli casi senza sentenza, ma con alta efficacia pratica se la banca si adegua.
In termini di chi decide, direi: in Italia la competenza sulle clausole abusive è condivisa tra l’AGCM (profilo amministrativo-generale) e l’autorità giudiziaria (profilo del singolo contratto). Non esiste un “arbitro unico” con potere di annullamento erga omnes come può essere in altri paesi la class action giudiziale. La nostra sistema ha questo doppio binario, ma ben coordinato. In ogni caso, se vuole la certezza assoluta nel suo contratto, deve arrivare a un provvedimento giudiziale (anche un decreto ingiuntivo dove il giudice le riconosce il rimborso per nullità clausola è sufficiente). Però tanti casi si risolvono prima: se la banca vede che la clausola è indifendibile, può evitare di farvi andare dal giudice.
D7: Sono un piccolo imprenditore (ditta individuale). Posso anch’io invocare le clausole vessatorie se faccio un finanziamento business?
R: La tutela del Codice del Consumo in senso stretto si applica solo se lei è “consumatore”, definito come persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale. Nel momento in cui lei stipula un finanziamento come impresa (ad esempio per finanziare la sua attività, comprare macchinari ecc.), lei non è considerato consumatore, bensì professionista o imprenditore, per cui non gode delle norme speciali sulle clausole vessatorie del Codice del Consumo. Questo significa che:
- Non può invocare l’art. 33 e segg. Cod. Cons. per far dichiarare nulla una clausola per significativo squilibrio. Quella protezione specifica (nullità di protezione, ecc.) non opera per i contratti B2B.
- Rimane però tutelato dall’art. 1341 c.c. (clausole onerose): quindi se nel contratto standard la banca ha clausole tipo foro esclusivo, arbitro, limitazione di responsabilità, ecc., queste sono valide solo se specificamente approvate per iscritto. Se la banca non gliele ha fatte firmare separatamente, lei può eccepire la inesistenza/inefficacia di quella clausola. Ad esempio, se la clausola arbitrale non è stata oggetto di doppia firma, lei (anche come imprenditore) non è vincolato ad arbitro e può adire il giudice ordinario.
- Inoltre, anche tra imprese vale la regola generale di buona fede contrattuale: clausole del tutto sproporzionate potrebbero essere contestate invocando magari l’art. 1366 c.c. (interpretazione in buona fede) o l’art. 1375 c.c. (esecuzione secondo buona fede). Non c’è una nullità automatica, ma il giudice potrebbe interpretare restrittivamente o disapplicare per contrarietà a norme imperative. Per esempio, clausole che violino palesemente normative di settore (usura, trasparenza) sono comunque nulle anche se l’utente non è consumatore.
- Da segnalare: la L. 108/1996 sull’usura, la L. 154/1992 sulla trasparenza bancaria e le disposizioni TUB art. 117 e 118 valgono per tutti i clienti (non solo consumatori). Quindi se la banca ha messo una clausola che contrasta con norme imperative bancarie, lei, imprenditore, può contestarla ugualmente. Esempio: se non le hanno indicato il TAEG in un leasing, potrebbe ricorrere al giudice per nullità della clausola interessi (TUB 117). Non è “vessatoria” in senso Cod. Consumo, ma comunque illegittima.
- Esiste poi un concetto di “microimprese” a cui l’UE e talvolta la legge italiana estende alcune tutele: ad esempio, la normativa sui servizi di pagamento equipara le micro-imprese ai consumatori in certi diritti. Per le clausole vessatorie, non c’è una equiparazione generale delle microimprese ai consumatori, se non forse in alcune normative regionali o settoriali. Quindi non si può contare su questo, salvo casi specifici.
Dunque, lei come ditta individuale deve fare affidamento sulle regole civilistiche generali:
- firmare sempre specificamente le clausole onerose ex 1341 (se non gliele presentano separatamente, può poi opporle come non efficaci);
- se ritiene una clausola ingiusta, può negoziarla (le banche con imprese a volte negoziano di più che con consumatori);
- se proprio è stata subita e applicata, può comunque reclamare e rivolgersi all’ABF anche, perché l’ABF accetta ricorsi anche da imprese. L’ABF non applicherà il Codice del Consumo, ma magari troverà tutela in altre norme (ad es. la buona fede contrattuale).
- Anche l’AGCM può intervenire per clausole verso non consumatori solo se configurano un abuso di dipendenza economica o pratica commerciale scorretta business-to-business, ma è raro.
Insomma, se è un finanziamento strettamente legato alla sua attività, la strada “clausole vessatorie Codice Consumo” è preclusa. Restano però:
- Nullità per violazione di norme imperative generali (usura, trasparenza).
- Inefficacia se mancano requisiti formali (doppia firma).
- Strumenti contrattuali come la rescissione per lesione enorme (difficile) o eccessiva onerosità sopravvenuta (non c’entra con clausole iniziali).
- Ovviamente, possibilità di trattativa: una PMI può avere potere contrattuale per far eliminare clausole troppo dure, specie se è un cliente importante per la banca.
**D8: Qual è la differenza tra una clausola vessatoria e altre situazioni come l’usura o l’anatocismo?
R: La differenza sta nel fondamento giuridico e nelle conseguenze:
- Una clausola vessatoria è un concetto del diritto dei consumatori: è una clausola di per sé valida secondo il Codice Civile (non viola direttamente una norma imperativa specifica) ma che è considerata iniqua e squilibrata. La sua nullità è relativa (di protezione) e va fatta valere dal consumatore, in base al Codice del Consumo. Esempio: clausola foro competente, clausola penale alta – non c’è una legge che dice “vietato stabilire un foro diverso” in generale (tra aziende si può fare), è il Codice del Consumo che la rende nulla per proteggere il consumatore.
- Usura: è quando il tasso di interesse (comprensivo di commissioni e oneri) supera una soglia fissata dalla legge (tassi soglia trimestralmente pubblicati). L’usura è un reato (art. 644 c.p.) e comporta la nullità assoluta della clausola di interesse (art. 1815 c.c. co. 2): in caso di usura, “non sono dovuti interessi”. Quindi, se un contratto di prestito prevede interessi usurari, il giudice applica direttamente la sanzione di legge: tutti gli interessi decadono, e il cliente restituisce solo il capitale senza interessi. Questo vale per qualsiasi soggetto (non solo consumatore). L’usura non è questione di equilibrio contrattuale soggettivo, ma di superamento di un limite oggettivo di legge. Una clausola d’interessi usurari è certamente vessatoria in senso lato (squilibratissima!), ma giuridicamente non la si definisce così: la si definisce illegale. Quindi la affronterò come nullità per contrarietà a norma imperativa penale/civile, non c’è bisogno di invocare il Codice del Consumo (anche se nulla vieta di citare entrambi).
- Anatocismo: è la capitalizzazione di interessi su interessi. La legge in generale lo vieta salvo patti successivi alla maturazione degli interessi o usi normativi (oggi nei conti correnti è ammesso l’anatocismo periodico purché reciproco e non inferiore a trimestrale). Se c’è una clausola contraria (es: interessi mensili capitalizzati sul debito), è nulla per violazione dell’art. 1283 c.c. (norma imperativa di ordine pubblico economico). Quindi, come per l’usura, è una nullità assoluta, non collegata alla qualifica del cliente. L’anatocismo è spesso visto come “pratica scorretta”, ma tecnicamente la si contesta per legge speciale piuttosto che come clausola vessatoria. In un contratto di mutuo, come spiegato, di solito non c’è anatocismo manifesto perché l’ammortamento è già strutturato su interessi semplici periodici (non si calcolano interessi su interessi scaduti, ma su capitale via via decrescente). Però se ci fosse (es. alcune forme di consolidamento di arretrati con interessi su interessi), si agirebbe ex art. 1283 c.c.
- Trasparenza ed altre violazioni TUB: se manca il TAEG, se la clausola non indica i costi chiaramente, ecc., intervengono nullità testuali previste dal TUB o dal Codice Civile (art. 117 TUB, 125-bis TUB, 1284 c.c. per interessi non determinati). Anche queste nullità valgono per chiunque, e il giudice le applica d’ufficio spesso, perché sono norme a tutela anche di interessi pubblici (trasparenza del mercato).
In sintesi:
- Clausola vessatoria: concetto di squilibrio contrattuale in B2C -> nullità relativa pro-consumatore. Esempio: clausola foro, arbitrato, penale eccessiva.
- Usura/anatocismo: violazioni di specifiche norme di legge (tassi soglia, divieto capitalizzazione) -> nullità assolute o conversione ex lege. Non serve essere consumatore per invocarle. Esempio: un imprenditore può far annullare interessi usurari ma non poteva far annullare il foro diverso.
- Effetti: a volte coincidono: entrambe portano a non pagare certi importi. Ma ad es. con usura si annulla l’intera clausola di interessi e restano solo interessi legali se pattuiti usurari dal principio (o zero se usura sopravvenuta in incasso). Con vessatorietà di una penale magari il giudice potrebbe anche ridurla (tecnicamente dovrebbe annullarla tutta, ma c’è l’art. 1384 c.c. per ridurre penali se non consumer).
In pratica un consumatore in causa spesso invoca entrambi: dice “questa clausola di interessi di mora è vessatoria e inoltre porta il TAEG sopra soglia, quindi usuraria”. Il giudice valuta entrambe: se accerta usura, risolve tutto con 1815 c.c. (interessi zero) senza nemmeno dover parlare di vessatorietà. Se non c’è usura ma la mora era alta, potrebbe dire comunque che era vessatoria (se consumer) e quindi ridurla o annullarla. Spesso i legali tentano più strade in parallelo.
D9: Cosa succede al contratto di finanziamento se una clausola importante viene dichiarata nulla perché vessatoria? Si scioglie tutto il contratto?
R: No, di regola no. Il Codice del Consumo è chiaro: “Le clausole considerate vessatorie […] sono nulle, mentre il contratto rimane valido per il resto” (art. 36, co.1). Dunque vige il principio della conservazione del contratto senza la clausola abusiva. Ad esempio, se in un prestito viene eliminata come nulla la clausola di penale di estinzione anticipata, il prestito continua semplicemente come se quella penale non esistesse: il cliente potrà estinguere anticipatamente senza penali, ma dovrà ovviamente restituire capitale e interessi dovuti. Oppure, se viene cassata la clausola di tasso floor, il contratto resta valido ma il tasso di interesse, in assenza di floor, fluttuerà liberamente (in pratica si applica come se floor = 0). In caso di foro competente nullo, il contratto di finanziamento resta in essere e, se sorgono liti, si applicheranno le regole generali di competenza (foro del consumatore).
Solo in casi eccezionali, se la clausola abusiva era così essenziale che le parti non avrebbero concluso il contratto senza di essa, allora il contratto potrebbe non reggere. Ma è un’ipotesi scolastica: nei finanziamenti, la clausola essenziale è il tasso di interesse e l’importo da restituire. Se venisse mai dichiarato vessatorio l’intero meccanismo di interessi (cosa che di solito non avviene – se era troppo, si riduce, non si annulla tutto), allora bisognerebbe vedere. In generale, la giurisprudenza tende semmai a sostituire la clausola nulla con un criterio legale suppletivo: per esempio, tasso illegittimo? Applico tasso legale o BOT ex lege. Clausola di commissioni nulla? La ignoro (quindi commissioni zero). Il contratto continua con ciò che resta.
La direttiva UE prevede espressamente che non si può “salvare” la clausola modificandola, salvo casi eccezionali: dev’essere semplicemente eliminata. Non si può neanche in favore del consumatore, di solito. Unica eccezione: se la rimozione della clausola portasse ad annullare il contratto a danno del consumatore (es. nel leasing, togliendo ogni penale il contratto magari non sta in piedi e la banca potrebbe chiedere risoluzione), i giudici possono sostituire la clausola con un criterio legale per proteggere il consumatore da conseguenze peggiori. Ad es., su interessi indicizzati nulli, alcuni tribunali hanno applicato tassi legali invece di lasciare il contratto senza interessi (che avrebbe potuto far rescindere il contratto alla banca, evento sfavorevole al consumatore se magari deve restituire tutto subito). Questo però è finezza: la regola resta che cade solo la clausola, non l’intero contratto.
Quindi può stare tranquillo: far valere una clausola vessatoria non significa perdere il finanziamento o dover restituire subito i soldi avuti. Significa anzi spesso risparmiare costi e mantenere il finanziamento alle condizioni legalmente corrette.
D10: La banca ha inserito clausole che ritengo vessatorie e non vuole sentir ragioni quando glielo faccio notare. Posso denunciarla a qualche Autorità?
R: Sì, come accennato, può segnalarla all’Autorità Garante della Concorrenza e Mercato (AGCM), che è competente per le clausole vessatorie nei contratti con consumatori. La segnalazione può essere inviata anche semplicemente via PEC, allegando copia del contratto e evidenziando le clausole contestate, spiegando perché secondo lei sono vessatorie. L’AGCM valuta e, se ritiene, avvia un’istruttoria. Se la banca viene ritenuta in violazione, l’AGCM può emanare un provvedimento che dichiara quelle clausole vessatorie, le vieta per il futuro e spesso impone una sanzione pecuniaria (di solito qualche migliaio di euro per clausola, ma come detto i massimali sono aumentati). La banca sarebbe obbligata a pubblicare sul suo sito o altrove un estratto della decisione (una forma di “messa alla gogna” per scoraggiarla e informare i consumatori).
Può segnalare anche ad altre autorità, ma l’AGCM è specifica sulle clausole. Se la questione riguarda anche profili di trasparenza, potrebbe inviare per conoscenza anche a Banca d’Italia – UIF (se è magari un intermediario finanziario vigilato). La Banca d’Italia però non risponde al singolo in genere, può al massimo avviare ispezioni.
Un’altra entità: la Polizia Municipale/Repressione Frodi talvolta raccoglie segnalazioni per pratiche commerciali scorrette che possono includere clausole. Ma meglio passare dall’AGCM, che ha proprio la delega su queste.
In parallelo, come detto, può adire l’Arbitro Bancario se vuole il rimborso. La segnalazione AGCM è più per punire la pratica generale che per risolvere il suo caso individuale (per il quale l’AGCM non le darà un risarcimento).
Infine, consideri di informare anche un’associazione di consumatori (tipo Adusbef, Altroconsumo, Unc, ecc.): molte di esse hanno osservatori sulle clausole e potrebbero già avere cause o segnalazioni in corso contro quella banca per quelle stesse clausole. Unendosi a un’iniziativa collettiva magari si ottiene più forza. Ad esempio, Altroconsumo negli scorsi anni ha fatto campagne contro polizze CPI abbinate ai mutui con clausole vessatorie, raccogliendo adesioni per azioni comuni.
D11: Se la banca insiste a volermi applicare una clausola che ritengo nulla (ad esempio mi chiede di pagare una penale che non reputo dovuta), cosa posso fare nell’immediato per non soccombere?
R: In situazioni di urgenza, ad esempio la banca condiziona un’attività (tipo la cancellazione di ipoteca, o il rilascio di un documento) al pagamento di quella penale, e lei vuole opporsi, può valutare un ricorso d’urgenza al giudice civile. Lo strumento è l’art. 700 c.p.c. (procedimento d’urgenza), che si può usare quando c’è pericolo di un danno imminente e irreparabile e non c’è un rimedio tipico. Potrebbe chiedere un provvedimento che inibisca alla banca di pretendere quella clausola o sospenda i suoi effetti, in attesa del giudizio di merito sulla nullità. Devo dire però che convincere un giudice della necessità e urgenza in questi casi non è banale: bisogna dimostrare che, p.es., la mancata cancellazione ipoteca le impedisce di vendere casa (danno grave), e che la penale pretesa è palesemente nulla. È successo: ci sono state ordinanze che in via cautelare hanno bloccato segnalazioni in Centrale Rischi basate su interessi usurari, ad esempio, ordinando alla banca di correggere, perché c’era pericolo per il cliente. Quindi, se la pressione della banca configura un danno immediato (per es. minaccia di segnalarla “a sofferenza” per una somma non dovuta: questo rovinerebbe il suo merito di credito, dunque si può chiedere un inibitoria), allora sì, si può reagire in urgenza.
In mancanza di urgenza, la via rimane quella ordinaria (opposizione in sede monitoria, ABF, etc.).
Se la banca addirittura passa direttamente a esigere somme via decreto ingiuntivo, come detto farà opposizione indicando la nullità. Il giudice dell’opposizione in quel caso può sospendere la provvisoria esecutorietà del decreto se c’è fondamento (nel caso di clausole nulle, spesso sospende). Così nell’immediato non deve pagare, e si discute.
Quindi: non pagare subito a occhi chiusi se convinto dell’illegittimità, ma formalizzare la contestazione e passare per vie legali se serve. Se la banca minaccia ritorsioni immediate (pignoramenti, segnalazioni), consulti subito un legale per valutare misure cautelari. Di solito, conoscendo la legge, molte banche se vedono un reclamo ben argomentato su una clausola chiaramente nulla preferiscono soprassedere piuttosto che incaponirsi (sanno che rischiano di perdere in causa e dover pagare spese). Possono fare resistenza passiva (non rispondere, o rispondere genericamente), ma raramente forzano la mano su clausole palesemente indifendibili. Invece, se la questione è controversa (tipo ammortamento francese – lì la banca è sicura di aver ragione), ovvio che spingerà.
D12: Dopo la pronuncia delle Sezioni Unite 2023, se ho un decreto ingiuntivo già passato in giudicato contro di me per un mutuo non pagato, posso ancora far valere clausole vessatorie (es. tasso di mora) in fase di esecuzione?
R: Sì, in teoria ora sì. Prima era dibattuto: alcune corti dicevano di no, che se non ti sei opposto per tempo te la tieni. Ma la Cassazione SU 9479/2023 ha affermato che il giudice dell’esecuzione deve poter valutare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole del contratto su cui si fonda il titolo esecutivo anche se quel titolo (es. decreto ingiuntivo) è definitivo. Quindi, se non ha mai sollevato la questione prima, può farlo nel processo esecutivo (ad esempio con un’opposizione all’esecuzione ex art.615 c.p.c. entro i limiti di quella sede) o, come nel caso originario SU, in sede di distribuzione delle somme (opposizione ex art.512 c.p.c.). Bisogna però stare attenti: la Cassazione in quell’occasione ha usato un mezzo processuale anomalo (il ricorso straordinario ex art.111 Cost in cui poi il PM è intervenuto per sollecitare il principio di diritto). Nella prassi, meglio fare così: se è iniziata l’esecuzione immobiliare contro di lei sulla base di un decreto ingiuntivo per un mutuo, può presentare un’opposizione all’esecuzione sostenendo che parte del credito ingiunto non era dovuto per nullità di clausole abusive (per es. tutti gli interessi di mora, o certe commissioni), chiedendo quindi la riduzione del debito eseguibile. Il G.E. a questo punto, secondo la Cassazione, deve esaminare la questione. Potrebbe sospendere l’esecuzione se ritiene la questione fondata e l’importo contestato rilevante. Poi deciderà sul merito.
Da notare: se invece il giudice dell’ingiunzione aveva già valutato espressamente la clausola (magari l’opponente l’aveva rilevata e il giudice l’aveva respinta), allora su quella c’è giudicato interno e non la si può rimettere in discussione in esecuzione. Ma se, come di solito accade, l’ingiunzione è stato emesso inaudita altera parte senza menzionare nulla, e lei non si è opposto, la questione è rimasta implicita e quindi non coperta da giudicato (questo è l’insegnamento SU).
Quindi sì, ha una “seconda chance”. Ma deve attivarsi appena possibile in esecuzione. Nel caso concreto delle SU, addirittura il debitore l’aveva sollevata tardissimo (dopo la vendita e in sede di distribuzione!). Le SU han detto che comunque andava affermato il principio e, benché quel debitore avesse rinunciato al ricorso poi, han colto l’occasione di enunciare la regola nell’interesse della legge. D’ora in avanti, i giudici dell’esecuzione ne terranno conto. Ed effettivamente, nel 2023-2024 alcuni G.E. hanno cominciato a controllare d’ufficio la presenza di possibili abusi.
Ricordi però di presentare il contratto e indicare la clausola: perché il G.E. non ha il fascicolo monitorio completo se non glielo portate. Allegare il mutuo al 615 e dire “vede, c’era clausola di foro o di mora al 18%” etc., e spiegare perché è nulla.
D13: Un tasso di interesse alto è una clausola vessatoria?
R: Di per sé, l’entità del tasso (prezzo del denaro) non rientra nella valutazione di vessatorietà se era indicato in modo chiaro al consumatore. Cioè, il giudizio di vessatorietà “non attiene all’adeguatezza del corrispettivo” (art. 34 co.2 Cod. Cons.). Ciò significa che non posso far dichiarare nulli degli interessi solo perché li reputo troppo alti, a meno che non superino la soglia di legge dell’usura (in tal caso è usura, non vessatorietà). Se il tasso era 12% e soglia usura 15%, non è illegale, nemmeno se il mutuo medio sul mercato era al 5%. Si presume che sul prezzo ci sia stata libera contrattazione (o che uno poteva rifiutare se lo riteneva sconveniente). La vessatorietà entra in gioco su aspetti diversi: penali, costi nascosti, squilibri di obblighi ecc., ma non sul “prezzo equo” del credito. Fa eccezione il caso in cui il tasso fosse presentato in modo ingannevole: es. contratto a tasso variabile con minimo nascosto, o TAEG dichiarato 10% ma effettivo 20%. Lì però si parla di difetto di trasparenza e violazione obblighi informativi, non proprio di “squilibrio” in sé. Il giudice può sanzionare quell’opacità applicando la sanzione di legge (nullità clausola e tasso legale ad es.).
Quindi: tasso alto ma chiaro -> valido (salvo usura). Tasso che appare basso ma in realtà con clausole lo aumentano in modo non chiaro -> quelle clausole aggiuntive sono vessatorie/nulle. Ad esempio, se ti dico TAN 5% e poi c’è clausola che a fine anno addebito una commissione dell’1% sul capitale residuo extra-interessi (non evidenziata nel TAEG), quella commissione potrei attaccarla come vessatoria (costo occulto). Ma se fin dall’inizio il contratto recita TAN 6,5% e TAEG 6,8% chiaramente, non posso dire “eh ma 6,5% è alto in assoluto” e chiedere di abbassarlo per vessatorietà. Posso solo rinegoziare con la banca o cercare surroga altrove.
D14: Quali tutele offre l’Arbitro Bancario Finanziario sulle clausole vessatorie?
R: L’ABF, pur non potendo formalmente “annullare” una clausola (non è un giudice), di fatto può:
- Dichiarare non dovuti gli importi richiesti in base a quella clausola, ordinandone la restituzione al cliente. Ad esempio, se la banca ha addebitato €200 di commissioni asserendo “da contratto doveva pagarle”, e l’ABF ritiene la clausola contrattuale nulla, accoglie il ricorso e dispone che la banca rimborsi i €200.
- Imporre un comportamento conforme: se la clausola prevedeva che la banca facesse qualcosa a suo vantaggio, l’ABF può ordinare di non darvi seguito. Es: se c’è una clausola di risoluzione anticipata abusiva, l’ABF può ingiungere alla banca di non considerare risolto il contratto solo per quel lieve ritardo, ripristinando il piano originario.
- Riconoscere eventuali interessi o indennizzi: l’ABF può anche assegnare interessi dalla data dell’indebito al rimborso, o un piccolo indennizzo per inconvenienti (di solito no, ma se la banca ha tenuto bloccato un importo a causa di clausola nulla potrebbe dare un tasso di mora a favore cliente).
Va detto che l’ABF decide in equity, oltre che secondo diritto: quindi potrebbe in certi casi aggiustare un po’ il tiro. Per es., su una penale eccessiva potrebbe non dire “zero penale” ma “la banca restituisca metà perché quell’importo era manifestamente eccessivo rispetto al danno” – anche se tecnicamente se vessatoria sarebbe nulla integrale. Dipende. Ma in genere l’orientamento è allineato ai tribunali.
Il bello dell’ABF è che è rapido e la banca di solito si conforma. Quindi come tutela pratica è efficacissima: lei non affronta i costi di una causa, ottiene risposta motivata. E se la banca non paga, viene pubblicizzata come inadempiente (cosa che le banche, tenendo alla reputazione, evitano scrupolosamente: su migliaia di decisioni l’anno, solo poche decine non vengono eseguite e spesso da finanziarie minori).
Quindi l’ABF offre al consumatore un metodo agile per far valere i propri diritti su clausole vessatorie, senza doversi addentrare nelle aule di giustizia. Tenga conto solo che:
- Deve prima aver fatto reclamo scritto alla banca e atteso 30 giorni.
- Ha un limite di 200.000 € se chiede importi (ma per la maggior parte di questioni di clausole è più che sufficiente).
- Non può decidere su materia fiscale (non rileva qui) né su servizi di investimento (c’è l’ACF per quelli).
- Se la materia è molto complessa giuridicamente (tipo questioni sull’efficacia di un decreto ingiuntivo) forse ABF dirà di no perché c’è un procedimento giudiziario in corso (ABF declina se la stessa materia è sub iudice o è già stata decisa da un giudice). Ma ad es. se la questione è di farvi rimborsare costi, nessun problema.
D15: Cos’è la nullità di protezione e in cosa differisce dalla nullità “normale”?
R: La nullità di protezione (come quella delle clausole vessatorie) è una nullità speciale prevista per tutelare una parte debole, e ha due caratteristiche principali:
- Relatività soggettiva: può essere fatta valere solo dalla parte debole (qui il consumatore) e non dall’altra. Ciò impedisce alla banca di approfittarne. Esempio: se il contratto ha una clausola vessatoria, la banca non può chiedere di annullare il contratto o invalidare il rapporto sostenendo quella nullità; solo il consumatore può chiederla o eccepirla.
- Conservazione del contratto: come detto, la nullità colpisce la singola clausola, non l’intero contratto. Questo sempre nell’interesse del consumatore, perché magari a lui conviene mantenere il contratto senza quella clausola sfavorevole (esempio: mantiene il mutuo ma senza la clausola di tasso floor). Se invece invalidasse tutto, il consumatore magari dovrebbe restituire subito il capitale residuo – un danno per lui. La nullità di protezione evita ciò.
Inoltre, questa nullità può essere rilevata d’ufficio dal giudice anche se il consumatore non l’ha esplicitata (purché, come dicevamo, il contesto lo permetta). La ratio è che la norma è posta a tutela di interessi super-individuali (equilibrio contrattuale di una categoria debole).
Diversa è la nullità “normale” (assoluta) dove tipicamente può farla valere chiunque vi abbia interesse, anche la parte “forte”, e il giudice in certi casi deve rilevarla d’ufficio (es. nullità per illiceità della causa va rilevata da giudice comunque). Nella nullità di protezione invece il giudice può rilevarla d’ufficio ma poi la pronuncia solo se il consumatore vi si “avvale”. In pratica, se persino il consumatore dicesse “non voglio farla valere perché magari ci ho guadagnato” (ipotesi rara ma immagini un caso in cui la clausola vessatoria fosse a vantaggio del consumatore, scenario quasi impossibile, ma ipotizzi), allora quella nullità rimane latente.
Un caso di scuola: polizza assicurativa con clausola vessatoria – nullità pro consumatore – ma se il consumatore per assurdo volesse confermarla, non potrebbe la compagnia dire “eh ma è nulla comunque”. No, se a lui andasse bene e non la eccepisce, rimane valida tra loro.
Questa particolarità serve a proteggere il consumatore anche da se stesso, in un certo senso, lasciandogli però la libertà.
In conclusione, la nullità di protezione è un meccanismo flessibile e orientato al consumatore: invalida la clausola sleale, conserva il resto e può essere azionata solo dal beneficiario della protezione. È un concetto creato apposta per la disciplina consumeristica (lo troviamo anche in materia di contratti di multiproprietà, ecc. con la stessa logica). Nel contesto dei finanziamenti, è ciò che consente di epurare i contratti dalle clausole ingiuste senza sconvolgere l’equilibrio economico sottostante, se non a vantaggio del consumatore.
Tabelle riepilogative
Tabella 1 – Clausole vessatorie tipiche nei finanziamenti e riferimenti normativi
Clausola vessatoria tipica | Descrizione/effetto | Riferimento Cod. Consumo | Conseguenza se nulla |
---|---|---|---|
Foro competente diverso (patto di foro esclusivo luogo sede banca) | Impone al consumatore di far causa/ricevere cause in un foro lontano dalla sua residenza. | Art. 33, comma 2, lett. u) (deroga foro del consumatore) e lett. t) (deroga competenza A.G.). | Nulla. La controversia va trattata nel foro del consumatore per legge (art. 66-bis Cod. Cons.). Clausola priva di effetti. |
Clausola compromissoria (arbitrato obbligatorio) | Obbliga il consumatore ad adire un arbitro privato invece del giudice ordinario. | Art. 33, co.2, lett. t) (deroga a giurisdizione) – rientra nelle “limitazioni a facoltà di agire”. | Nulla. Il consumatore non è vincolato all’arbitrato; può adire il tribunale ordinario. Se la banca avvia arbitrato, il consumatore può rifiutare. |
Clausola di esonero/limitazione di responsabilità della banca | Esclude o limita la responsabilità della banca per danni da sua condotta. Es: “banca non responsabile di ritardi nell’erogazione”. | Art. 33, co.2, lett. a) (morte/danni persona) o lett. b) (inadempimenti della banca in generale). | Nulla. La banca resta pienamente responsabile come previsto dal codice civile. La clausola non la protegge. |
Clausola ius variandi sine causa | Facoltà per la banca di modificare unilateralmente tassi o condizioni senza specifici motivi contrattuali o senza diritto di recesso del cliente. | Art. 33, co.2, lett. m) (modifica unilaterale senza giustificato motivo). Let. h) (recesso da indeterminati senza preavviso, se pertinente). | Nulla. Le variazioni apportate in base a tale clausola sono inefficaci. Si applicano condizioni originarie. Se la banca ha rispettato art.118 TUB (giustificato motivo, preavviso, recesso), la clausola è lecita; altrimenti, variazioni annullate. |
Clausole di decadenza dal termine e risoluzione anticipata eccessivamente gravose | Sciolgono il contratto o rendono esigibile tutto il debito al verificarsi di inadempimenti lievi (es. una rata saltata). | Art. 33, co.2, lett. t) (decadenze a carico consumatore, restrizioni a eccezioni). Potrebbe violare anche norme TUB (es. art.40 c.2 TUB prevede almeno 7 rate insolute per risolvere mutuo consumatore). | Nulla nella parte eccedente. Es: clausola “una rata non pagata = risoluzione” contrasta con TUB => non applicabile, vale la legge (7 rate). Il contratto non si risolve automaticamente per un lieve inadempimento; la banca potrà agire solo nei limiti di legge. |
Penale manifestamente eccessiva per inadempimento | Importo forfettario o percentuale sproporzionata dovuta dal cliente se inadempiente (es. mora cumulativa, penale di risoluzione). | Art. 33, co.2, lett. f) (“somma a titolo di risarcimento/penale manifestamente eccessiva”). | Nulla pro-quota eccedente equità. Di solito il giudice annulla l’intera penale. In alcuni casi può ridurre la penale a quanto ritenuto equo (c’è dibattito se applicare 1384 c.c. in contesto consumer). Comunque il consumatore non paga l’importo eccessivo. |
Clausola di rinuncia a opporre eccezioni (patto di non contestazione) | Il consumatore dichiara di rinunciare a eccepire inadempimenti altrui o altri diritti di difesa. Es: “pagherai senza opporre eccezioni”. | Art. 33, co.2, lett. r) (“limitare o escludere l’opponibilità dell’eccezione d’inadempimento da parte del consumatore”). Anche lett. t) (limitazione facoltà di opporre eccezioni). | Nulla. Il consumatore mantiene il diritto di sospendere pagamenti se l’altra parte inadempiente (art.1460 c.c.) e di opporre in giudizio tutte le eccezioni previste. |
Clausola di esclusione rimborso costi/commissioni in caso di estinzione anticipata | Stabilisce che certi costi (up-front, premi assicurativi) non vengono restituiti se il cliente chiude anticipatamente il finanziamento. | Art. 33, co.2, lett. e) (trattenere somme se consumatore recede, senza analogo diritto per consumatore). Anche lett. b) (limitare azioni consumatore in caso di adempimento parziale del prof.) se impedisce chiedere rimborso. Inoltre viola art.125-sexies TUB. | Nulla. Il consumatore ha diritto alla riduzione del costo totale del credito pro-rata. La banca deve restituire la quota-parte di costi relativi al periodo non goduto. Clausole contrarie sono prive di effetto e sanzionabili (AGCM, Bankitalia). |
Clausola di determinazione unilaterale o interpretazione esclusiva | Attribuisce alla banca il potere di stabilire discrezionalmente una condizione contrattuale o di interpretare a proprio vantaggio una clausola. Es: “La banca a suo insindacabile giudizio stabilirà se il bene è conforme e quindi se erogare”. | Art. 33, co.2, lett. p) (“riservare al professionista il diritto esclusivo di interpretare una clausola o accertare la conformità della prestazione”). | Nulla. La clausola non vincola il consumatore. L’interpretazione resta in capo al giudice secondo criteri oggettivi, e decisioni unilaterali ingiustificate della banca possono essere disconosciute. |
Clausola floor (tasso minimo) – (se opaca o non evidenziata) | Fissa un limite minimo al tasso variabile (es. Euribor <0 considerato 0). Se non chiaramente comunicata, può sorprendere il cliente. | Se chiara: esclusa da valutazione vessatorietà (oggetto del contratto). Se non trasparente: viola art. 35 (mancata chiarezza). Non rientra nelle lettere specifiche, eventualmente lett. p) per potere unilaterale? | Caso 1: chiara: Valida (non vessatoria per Cod. Cons.). Caso 2: poco chiara (es. non menzionata in contratto ma in doc allegato): potrebbe essere dichiarata nulla per difetto di trasparenza, con ri-calcolo interessi senza floor. (Tribunali italiani finora l’hanno convalidata se era nel contratto). |
Tabella 2 – Confronto tutela civilistica vs consumeristica (riassunto)
Aspetto | Codice Civile (1341 c.c.) | Codice del Consumo (33-36) |
---|---|---|
Ambito soggettivo | Qualsiasi contraente (anche B2B, privati) se uno impone condizioni generali. | Solo contratti professionista vs consumatore (B2C). |
Identificazione clausole | Elenco chiuso (limitazioni responsabilità, recesso unilaterale, decadenze, foro arbitrato, ecc.). | Elenco aperto di situazioni squilibrate (oltre 20 lettere) + clausola generale “significativo squilibrio”. |
Requisito di validità | Doppia firma richiesta sulle clausole onerose elencate. Senza, clausola inefficace. Con firma, pienamente valida anche se gravosa. | Trasparenza e chiarezza: tutte le clausole devono essere comprensibili. Doppia firma irrilevante ai fini della vessatorietà: anche se firmata, se squilibrata è nulla. |
Possibilità di trattativa | Se clausola è stata negoziata, non è più “condizione generale” => fuori da 1341. | Clausola negoziata individualmente non è vessatoria (eccetto black list) – onere della prova in capo al professionista. |
Conseguenza giuridica | Clausola inefficace se non sottoscritta a parte. Se sottoscritta, vincolante. | Clausola nulla (nullità parziale) se vessatoria, anche se firmata. Nullità vale solo a favore del consumatore (non invocabile da banca). Contratto salvo il resto. |
Rilevabilità in giudizio | Deve essere eccepita dalla parte aderente (nullità relativa per difetto di forma); giudice può rilevarla in presenza di evidenza (es. manca firma su clausola che la richiede). | Rilevabile d’ufficio dal giudice anche se il consumatore non l’ha eccepita esplicitamente (purché elementi in atti). Nullità solo pro-consumatore: il giudice non la pronuncia se il consumatore stesso in causa preferisce non avvalersene. |
Autorità di controllo | Nessuna autorità specifica per 1341; tutela lasciata a giudice su caso singolo. (Salvo settori regolati) | AGCM può intervenire (dichiarazione clausole vessatorie, sanzioni); associazioni consumatori possono agire inibitoria. Meccanismi di ADR dedicati (ABF ecc.). |
Esempio applicativo | Clausola arbitrato in contratto tra due imprese: valida se parte aderente l’ha firmata separatamente; se no, inefficace. | Clausola arbitrato in contratto di credito al consumo: nulla comunque (anche se firmata), salvo provi negoziazione vera (raro). Consum. può disattenderla. AGCM potrebbe sanzionare la finanziaria se la inserisce nei moduli. |
Tabella 3 – Giudiziale vs Stragiudiziale: come far valere le clausole vessatorie
Metodo | Vantaggi | Svantaggi | Quando usarlo |
---|---|---|---|
Opposizione / difesa in giudizio (es. contro decreto ingiuntivo, pignoramento) | – Sospende o impedisce alla banca di ottenere somme non dovute (es. giudice può sospendere ingiunzione). – Autorità giudiziaria super partes, decisione vincolante. – Possibilità di appello se va male (garanzie processuali). | – Tempi lunghi, costi di avvocato elevati (ma se vince, spese a carico banca). – Stress del processo. – Giudizio pubblico (ma oggi non così rilevante). | – Quando la banca ha già avviato un’azione legale e occorre reagire (è obbligatorio opporsi per non subire). – Quando la posta in gioco è alta o serve un titolo esecutivo contro banca (es. grande rimborso). |
Causa attiva individuale (azione di nullità + rimborso) | – Rimedio completo: ottiene accertamento nullità e condanna banca a pagamento. – Effetto di giudicato: la questione viene definita una volta per tutte. – Possibilità misura cautelare se urgente (inibitoria provvisoria). | – Costi e tempi della giustizia ordinaria. – Necessaria mediazione iniziale (tempi aggiuntivi). – Esito incerto (giudici potrebbero interpretare diversamente, ma su clausole di solito c’è uniformità). | – Quando la banca non cede su un rimborso significativo e altre vie sono fallite. – Se bisogna creare un precedente (es. clausola nuova non ancora sanzionata: una sentenza può aprire la strada anche per altri). |
Arbitro Bancario Finanziario (ABF) | – Rapido (decisione in pochi mesi). – Economico (€20). – Procedura semplice (tutto documentale, niente udienze). – Alta probabilità di compliance della banca senza ulteriori azioni. – Anche se non vincolante, de facto risolve la maggior parte dei casi. | – Non vincolante: se la banca non paga, occorre comunque giudice per esecuzione (ma rimane la pubblicità negativa). – Non gestisce casi oltre 200k € di rimborso richiesto. – Non può valutare questioni già decise dal giudice (no casi pendenti). | – Per ottenere restituzioni di importi medio-piccoli in modo rapido (tipico: rimborso commissioni, spese, interessi di mora). – Come test: spesso se vince ABF, la banca paga. – Adatto al 90% dei reclami su clausole vessatorie nei finanziamenti. |
Segnalazione AGCM | – Gratuita, semplice. – Possibile sanzione e stop clausola per tutti i consumatori (impatto generale). – Non richiede di essere parte formale: l’Authority fa indagine d’ufficio. | – Non risolve il suo caso specifico pecuniariamente (AGCM non può imporre rimborsi, solo vietare clausole e multare). – Tempi medi (diversi mesi). – Esito incerto (AGCM valuta discrezionalmente se intervenire). | – Quando si vuole fermare una pratica pericolosa per tanti consumatori, oltre al proprio caso. – Come pressione indiretta sulla banca: a volte l’avvio istruttoria AGCM induce la banca a conciliare col segnalante per mitigare la posizione. – Se altre vie individuali non sono percorribili (es: importo esiguo ma si vuole far valere un principio). |
Mediazione/Negoziazione | – Possibilità di accordo creativo: es. banca potrebbe offrire condizioni migliorative su altro, o rinegoziare contratto. – Meno conflittuale, riservata. – Può salvare rapporto di fiducia con banca (se interessa). | – Se la banca è rigida, diventa una perdita di tempo formale. – Spesso gli intermediari inviano legali senza potere effettivo di transigere in modo significativo. – Può ritardare la soluzione (allunga i tempi pre-giudizio). | – Quando c’è margine per una transazione: es. cliente e banca vogliono evitare causa, magari per clausola dubbia. – Se il cliente è disposto ad accettare un compromesso (es. rimborso parziale) pur di chiudere presto. – Step obbligatorio in molte materie: va fatto comunque, quindi tanto vale tentare seriamente. |
Azione inibitoria (collettiva) | – Ferma l’uso futuro di clausole scorrette: tutela preventiva per la collettività dei consumatori. – Procedura relativamente rapida (spesso via d’urgenza). – Non espone i singoli al rischio di spese (agisce associazione, eventualmente su costi coperti da fondi associativi). | – Non dà ristoro economico ai consumatori che hanno già subito la clausola (serve altra azione per quello). – Richiede l’attivazione di un’associazione rappresentativa: il singolo da solo non può. | – Quando c’è un set di condizioni generali chiaramente abusive diffuse sul mercato e si vuole ottenerne la cessazione immediata. – In parallelo a iniziative risarcitorie: prima si blocca la pratica, poi si chiederanno i danni. – Esempio: modulistica standard di prestito con 5 clausole vessatorie – associazione fa inibitoria per farle rimuovere da tutti i contratti. |
Class action risarcitoria | – Potenzialmente consente rimborso/danni a un gran numero di consumatori in un solo procedimento. – Fa più paura alle aziende, che spesso preferiscono transare se ammessa. – Decisione vincolante per tutti gli aderenti, efficiente su larga scala. | – Procedimento lungo e complesso (fasi di ammissibilità, ecc.). – Non sempre facile individuare classe omogenea (banche differenziano condizioni, potrebbe complicare). – Il singolo consumatore deve aspettare esito collettivo, meno controllo individuale sul caso. | – Quando tanti consumatori hanno subito identico pregiudizio economico da clausole uguali. Esempio: 10.000 clienti hanno pagato ciascuno 50€ di commissione nulla – individualmente pochi farebbero causa, insieme conviene. – Richiede coordinamento tramite associazioni o studi legali organizzati. |
Simulazioni pratiche (casi esemplificativi)
Per chiarire ulteriormente come operano le clausole vessatorie e le tutele del debitore, proponiamo alcune simulazioni di casi reali in contesto italiano, illustrando come si applicherebbero le norme e gli strumenti descritti.
Scenario 1: Prestito personale con modifica unilaterale del tasso di interesse
Situazione: Mario sottoscrive un prestito personale di €10.000 a tasso variabile con durata 5 anni. Il contratto prevede una clausola: “La finanziaria, in presenza di mutate condizioni di mercato, si riserva la facoltà di aumentare il tasso di interesse fino a 2 punti percentuali, dandone comunicazione scritta al cliente”. Dopo 1 anno, la finanziaria invia una lettera a Mario comunicando che, “viste le mutate condizioni di mercato”, il TAN passa dal 6% all’8% a partire dalla rata successiva, senza ulteriori spiegazioni e senza offrire a Mario la possibilità di estinguere anticipatamente senza penali. Mario si chiede: può la finanziaria farlo? Cosa può fare lui?
Analisi: La clausola descritta è un tipico ius variandi unilaterale sul tasso. Per essere legittima dovrebbe rispettare art. 118 TUB: giustificato motivo, preavviso di 2 mesi, diritto del cliente di recedere senza spese entro la decorrenza della modifica. Nella simulazione, la comunicazione di Mario sembra unilaterale e immediata (non rispetta 60 gg preavviso) e non menziona un concreto giustificato motivo (frase generica “mutate condizioni di mercato”). Inoltre non si accenna al diritto di recesso di Mario. Dunque la clausola viola le norme di trasparenza e appare vessatoria ai sensi art.33, lett. m) Cod. Cons. (modifica unilaterale senza giustificato motivo). Mario può:
- Inviare subito un reclamo scritto contestando l’illegittimità dell’aumento, richiamando l’art.118 TUB e il carattere vessatorio della clausola. Chiederà di continuare alle condizioni originarie.
- Se la finanziaria insiste o ignora, Mario può portare la questione all’ABF. L’ABF in casi analoghi ha dichiarato inefficaci aumenti applicati in difetto di giustificato motivo e preavviso, ordinando di ricalcolare il piano di ammortamento al tasso originario e restituire eventuali interessi in più pagati nel frattempo.
- Mario può anche, in via prudenziale, pagare le rate secondo l’importo originario (6%) mettendo in mora la finanziaria per la parte eccedente (8%-6%=2% che rifiuta di pagare). La finanziaria potrebbe minacciare inadempimento per quella differenza; Mario avrebbe solide ragioni contrattuali per opporsi.
- In ultima analisi, se la finanziaria dovesse risolvere il contratto per questo (evento possibile ma rischioso per lei), Mario potrebbe difendersi in giudizio sostenendo che la risoluzione è illegittima perché basata su un rifiuto di sottostare a clausola nulla. Il giudice gli darebbe ragione, presumibilmente.
Esito atteso: L’ABF o un giudice dichiarerebbero la clausola inapplicabile: Mario continuerebbe a pagare al 6%. La finanziaria, se vuole realmente indicizzare il tasso, dovrebbe concordare con Mario un nuovo contratto o offerta (magari Mario potrebbe accettare un tasso maggiore ma con facoltà di estinguere senza penali). Se la finanziaria non recede, il contratto prosegue a tasso invariato. Mario grazie agli strumenti di tutela non subisce quell’aggravio unilaterale.
Scenario 2: Mutuo immobiliare con penale per estinzione anticipata oltre i limiti di legge
Situazione: Anna ha un mutuo a tasso fisso di €150.000 acceso nel 2006 per 20 anni. Nel contratto c’è una clausola: “In caso di estinzione anticipata, il mutuatario corrisponderà una penale del 2% sul capitale residuo”. Nel 2025 Anna vende casa e vuole estinguere il mutuo anticipatamente. Sa che dal 2007 la legge Bersani ha abolito le penali per estinzione anticipata prima casa, ma il suo mutuo è del 2006 (prima della Bersani). Secondo gli accordi ABI, la penale massima per mutui prima casa stipulati ante 2007 dovrebbe essere 0,5% circa (decrescente). La banca però sostiene che vale il contratto e chiede il 2% sul residuo (€50.000 residuo -> penale €1.000). Anna è incerta: deve pagare quanto firmato o può opporsi?
Analisi: Questo è un caso misto di normativa sopravvenuta e vessatorietà. La legge Bersani (40/2007) in combinato con un accordo ABI-Ministero ha reso non dovute o fortemente ridotte le penali di estinzione anche per mutui pregressi. La clausola contrattuale che prevede 2% confligge con quell’accordo attuativo (che aveva efficacia generalizzata perché recepito da CICR e abi). Quindi Anna può sostenere intanto che la clausola è “illegittima per contrasto con norme imperative sopravvenute”, dunque nulla ex art.1419 c.c. in quanto tale. Inoltre, come clausola vessatoria, è presumibilmente abusiva ex art.33, lett. f (penale eccessiva), e lett. e (trattenere somma se il consumatore recede, senza simmetria). Anna può:
- Contestare per iscritto alla banca citando la Bersani: spesso le banche in questi casi cedono e applicano le penali ridotte “di prassi” (0,5%).
- Se la banca insiste sul 2%, Anna potrebbe pagare sub iudice: ossia pagare la penale per chiudere il mutuo, ma con riserva scritta di ripetere quella somma. Subito dopo, avvierebbe un ricorso ABF o un’azione di rimborso.
- Un ricorso ABF è molto indicato: l’ABF ha trattato molti casi simili e di solito dà ragione al cliente applicando la legge Bersani. Quindi disporrebbe la restituzione della parte eccedente la penale equa. Nel caso, se equa era 0,5% (€250) e la banca ne ha chiesti €1.000, ABF direbbe: clausola vessatoria, restituisci €750.
- In parallelo, Anna potrebbe segnalare la pratica all’AGCM, perché la banca sta applicando condizioni in violazione di una norma protettiva. L’AGCM in passato ha multato banche che non rispettavano la Bersani su estinzioni anticipate.
Esito atteso: Anna otterrà la restituzione dell’80% della penale. O via ABF, o via causa se necessario, ma è molto probabile che la banca stessa, ricevuto il ricorso ABF, preferirà transare restituendo il dovuto per evitare condanna. In definitiva, la clausola contrattuale “2% penale” viene superata dalla norma imperativa (che è un motivo in più oltre alla vessatorietà): non dovrà pagarla, salvo la parte eventualmente minima consentita.
Scenario 3: Finanziamento finalizzato con merce difettosa e clausola “pay regardless”
Situazione: Luca acquista un televisore a rate tramite finanziamento concessogli dal punto vendita in partnership con una finanziaria. Firma un contratto di credito al consumo di €1.200 da restituire in 24 rate. Nel contratto c’è una clausola: “Il consumatore si obbliga a corrispondere le rate anche qualora la merce acquistata presenti vizi o difetti, fermo restando i suoi diritti verso il venditore”. Purtroppo, dopo 1 mese il televisore risulta gravemente difettoso; il venditore non lo sostituisce né ripara in modo risolutivo. Luca sospende il pagamento delle rate perché non intende pagare per un bene guasto. La finanziaria lo sollecita dicendo che, per contratto, deve pagare comunque, perché il finanziamento è separato dalla compravendita. Luca rischia segnalazione come cattivo pagatore. Che fare?
Analisi: Qui la clausola è esattamente una di quelle previste nella grey list: impedire al consumatore di opporre l’eccezione d’inadempimento (di fornitura difettosa). In più, la situazione rientra nell’art.125-quinquies TUB: essendo credito collegato (finanziamento finalizzato all’acquisto di un bene), se il bene è difettoso e il consumatore ha agito contro venditore invano, può sospendere il pagamento e ha diritto alla risoluzione del finanziamento (o riduzione) in parallelo alla risoluzione della vendita. Quindi la legge speciale già gli dà ragione. La clausola “pay regardless” è vessatoria e nulla, oltre che in contrasto col TUB e Codice Consumo (diritto di recesso entro 14gg e collegamento contrattuale).
Luca dovrebbe:
- Scrivere sia al venditore che alla finanziaria, comunicando che il contratto di vendita è inadempiuto e che sospende le rate invocando l’art.125-quinquies TUB, chiedendo contestualmente la risoluzione del finanziamento collegato.
- Segnalare che la clausola contrattuale che pretenderebbe il pagamento a prescindere è nulla ai sensi degli artt.33 lett. r) e 36 Cod. Cons..
- Se la finanziaria lo ha segnalato come moroso a una centrale rischi, Luca può fare ricorso all’ABF chiedendo la cancellazione della segnalazione e il ripristino del piano solo dopo eventuale sostituzione bene (oppure risoluzione del contratto con restituzione eventuali rate pagate). L’ABF in simili casi solitamente tutela il consumatore, specie se questi ha evidenze di aver contestato il bene e attivato garanzia legale.
- In caso estremo, Luca potrebbe anche rivolgersi al giudice, citando venditore e finanziaria in un unico giudizio, chiedendo la risoluzione della vendita per inadempimento e, di conseguenza, dichiarare cessato l’obbligo verso la finanziaria (con restituzione delle rate se pagate). Ma spesso non serve arrivarci: il venditore potrebbe accettare la risoluzione o la finanziaria, messa di fronte alla violazione, preferisce evitare contenzioso.
Esito atteso: Luca non dovrà pagare le restanti rate; il contratto di finanziamento verrà sciolto contestualmente alla restituzione del televisore difettoso. La finanziaria non potrà esigere penali o interessi ulteriori perché la causa è il difetto della merce (rientra nei rischi del venditore e suoi partner finanziari). La clausola che vorrebbe obbligarlo comunque è inefficace. Qualora Luca avesse già pagato alcune rate, ha diritto a riavere indietro gli importi (magari tramite compensazione col venditore o direttamente dalla finanziaria, in base agli accordi interni che spesso venditore e finanziaria hanno).
Scenario 4: Carta di credito revolving con costi non trasparenti
Situazione: Sara ottiene una carta di credito “revolving” (che consente di rateizzare il rimborso) con un plafond di €3.000. Le viene detto a voce “TAN 16%, TAEG intorno al 18%”. Il contratto è lungo e Sara non legge tutte le condizioni. Dopo qualche mese, nota che il debito non cala quasi per niente nonostante paghi le rate. Scopre dall’estratto conto che oltre agli interessi ci sono ogni mese €10 di “commissione di gestione” e €5 di “premio assicurativo” facoltativo (che però era pre-flaggato e incluso). Tali costi non erano stati evidenziati. Cerca nel contratto e trova: in fondo, in caratteri piccoli, c’è una clausola: “Spese mensili di gestione €10; assicurazione facoltativa contro impago pari a €5 mensili (salvo rinuncia scritta)”. Sara si sente ingannata: quelle voci fanno lievitare il costo effettivo oltre il 25%. Vuole contestare la legittimità di queste clausole.
Analisi: Qui entriamo in trasparenza e vessatorietà per difetto di chiarezza. Le clausole che prevedono spese mensili fisse di gestione e assicurazione dovevano essere chiaramente comunicate e incluse nel TAEG. Se così non è stato, la banca ha violato l’art. 125-bis TUB e le Istruzioni di trasparenza (costituendo pratica scorretta). Dal lato vessatorietà: la clausola di assicurazione “facoltativa salvo rinuncia” che addebita €5 di default è potenzialmente vessatoria perché di fatto obbliga il consumatore a un servizio accessorio non richiesto (inoltre lettera v-bis vieta di imporre un unico canale ADR, non attinente qui; ma in generale imporre servizi non voluti è pratiche commerciali scorrette). La commissione di gestione mensile di per sé non è illegittima se dichiarata, ma se non era evidenziata può essere considerata un costo occulto e quindi la clausola è vessatoria per violazione obblighi di trasparenza (art. 35 Cod. Cons.).
Sara può:
- Reclamare alla società emittente chiedendo la rimozione di quelle spese non pattuite chiaramente e il ricalcolo del piano di rimborso. Può sostenere che l’assicurazione non l’ha mai voluta e quindi chiederne l’annullamento retroattivo (e rimborso premi). E la commissione di gestione se non era nel SECCI (informazioni europee standardizzate), chiederne la restituzione.
- Se negano, ricorre all’ABF. L’ABF su carte revolving ha spesso deliberato rimborsi quando costi come polizze facoltative non erano stati effettivamente richiesti e serviti al cliente (spesso ordina storno premi assicurativi non espressamente accettati). Anche la commissione di €10 se non chiaramente contrattualizzata potrebbe essere stornata.
- Inoltre, l’AGCM ha sanzionato in passato le finanziarie per pubblicità ingannevole su revolving omettendo costi. Sara può segnalare la cosa all’AGCM (specialmente se pubblicamente la finanziaria pubblicizza TAEG più bassi senza includere quei €15 mensili fissi).
- Sul piano contrattuale, se volesse una causa: potrebbe eccepire la nullità ex art.117 TUB di quelle commissioni non esplicitamente convenute e chiedere al giudice di dichiarare non dovuti tali importi e ridurre il saldo. Ma prima di arrivare in tribunale, ABF è adeguato.
Esito atteso: Sara otterrà: l’annullamento dell’assicurazione (nessun premio futuro e rimborso di quelli addebitati, salvo il periodo coperto in cui se è stata coperta e non ha avuto sinistri magari glieli lasciano pagati). Riguardo la commissione €10, la società potrebbe sostenere che era in contratto (anche se in piccolo). Se ABF rileva scarsa trasparenza, potrebbe dichiararla non esigibile oltre un certo limite o non dovuta affatto. Ad esempio, ABF potrebbe dire: “La commissione mensile di gestione, non evidenziata nel modulo SECCI e di cui il cliente non ha avuta percezione, è da considerarsi nulla; la banca rimborsi gli importi già addebitati a tale titolo e astenersi dal futuro addebito”. Così il costo effettivo di Sara torna quello prospettato. Se la finanziaria rifiutasse, Sara con quella decisione ABF in mano avrebbe un ottimo caso per un decreto ingiuntivo per i € finora pagati indebitamente.
Questo scenario evidenzia come a volte la vessatorietà si manifesta come mancanza di chiarezza e aggiunta di costi occulti: il Codice del Consumo tutela anche questo (art. 35, e lett. l e p in un certo senso per clausole non portate a conoscenza).
Scenario 5: Piccola impresa con contratto di leasing e clausola di garanzia fideiussoria dubbia
Situazione: La ditta individuale di Marco stipula un leasing per un macchinario, valore €50.000. Marco firma sia il contratto di leasing che una fideiussione omnibus a garanzia dei canoni, come richiesto dalla società di leasing (è lui stesso garante in quanto amministratore, per rafforzare l’impegno). Nella fideiussione c’è la clausola “Il fideiussore rinuncia ai benefici di cui agli artt. 1944, 1955 e 1957 c.c.”. In particolare la rinuncia all’art.1957 c.c. significa che se la società di leasing non chiede tempestivamente i pagamenti dopo la scadenza del leasing, comunque la garanzia resta valida (senza tale clausola, la fideiussione si estinguerebbe se il creditore non agisce entro 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale). Dopo un paio d’anni, la ditta di Marco entra in difficoltà e saltano vari canoni. La società di leasing tarda però a dichiarare risolto il contratto e a escutere la garanzia: aspetta più di un anno dalla scadenza finale del leasing, poi chiama Marco fideiussore a pagare il residuo. Marco invoca l’art.1957 c.c. dicendo: “la garanzia è estinta perché non avete agito tempestivamente”. La società replica: “Hai rinunciato a quel beneficio firmando la fideiussione”. Marco sostiene che quella rinuncia era una clausola vessatoria non negoziata e quindi non valida (in quanto gli toglie un diritto importante).
Analisi: Marco qui non è un consumatore, è un imprenditore, quindi formalmente le tutele Cod. Cons. non si applicano. La fideiussione l’ha firmata come parte del pacchetto leasing (B2B). Si può però argomentare che la clausola di rinuncia ai termini dell’art.1957 è una clausola onerosa ex art.1341 c.c. (decadenza da un diritto a favore dell’aderente) che necessitava di specifica approvazione. Di solito queste fideiussioni fanno firmare ogni singola clausola vessatoria per esteso (se predisposte secondo schema ABI, hanno doppia firma finale con elenco lettere). Se la firma manca, Marco sicuramente può eccepire inefficacia per difetto di doppia sottoscrizione.
Se la firma c’è (magari l’ha messa), allora in ambito civile “generale” la clausola è valida. Marco proverà allora un approccio diverso: pochi tentativi possibili:
- Sostenere che la fideiussione fu predisposta secondo lo schema ABI che Banca d’Italia ha censurato come intesa anticoncorrenziale (Provv. Bankitalia n.55/2005) e che quindi alcune clausole sono nulle per il combinato di art.2 L.287/90 (vietato intese restrittive concorrenza) e 1418 c.c. Questa è una strada che molte imprese hanno usato in giudizio per invalidare le fideiussioni omnibus standard. In particolare le clausole di reviviscenza, di rinuncia 1957, ecc. facevano parte dello schema vietato. Molti tribunali hanno dichiarato nulla per illiceità della causa la fideiussione conformemente a quello schema.
- Potrebbe sostenere in subordine che la clausola è contraria a norme imperative di protezione (ma 1957 c.c. non è imperativa, è dispositivo, perciò la rinuncia è lecita in generale).
- In un contesto consumeristico, una clausola del genere sarebbe vessatoria (limita eccezioni opponibili). Ma qui non può appellarsi al Codice del Consumo.
Dati i precedenti: Cass. SU 2023 ha detto che la conformità allo schema ABI non implica vessatorietà automatica, ma quello era in contesto consumer. In contesto impresa, la nullità avviene per ragioni antitrust se la Banca d’Italia/AGCM e poi ABF l’hanno evidenziata. E in effetti ABF ad esempio dichiara nulle le fideiussioni omnibus conformi ABI per violazione legge antitrust (non per vessatorietà). Quindi Marco potrà:
- Presentare comunque un ricorso ABF contestando che la richiesta di pagamento è illegittima perché la garanzia è nulla ex art.1418 in quanto stipulata su intesa illecita (allega doc provvedimento Bankitalia 2005 e eventuale giurisprudenza). L’ABF spesso accoglie e dichiara nulla la fideiussione in toto, esonerando il garante.
- In caso ABF negativo, l’ultima risorsa è il tribunale: fare opposizione al decreto ingiuntivo che la società di leasing presumibilmente chiederà contro di lui come fideiussore. In opposizione invoca la nullità per intesa restrittiva. Buone chance, molti tribunali si sono uniformati (non tutti in modo identico, ma c’è favore verso i garanti su quel punto).
Esito atteso: Se l’argomentazione antitrust regge, la clausola di rinuncia 1957 (e in effetti l’intera fideiussione standard) viene dichiarata nulla, liberando Marco dalla garanzia. Se quell’argomento non passasse, la rinuncia è valida e Marco sarebbe obbligato. Tuttavia, nel mondo consumer (immaginiamo fosse un privato che garantiva un prestito al figlio), la clausola sarebbe senz’altro vessatoria ex art.33 lett. t) (limitazioni eccezioni e decadenze) e quindi nulla a vantaggio del garante-consumatore. Dunque questa simulazione mostra il diverso esito a seconda dello status: impresa vs consumatore.
In ogni caso, la lezione per Marco e simili: queste clausole vanno firmate con consapevolezza. Quando possibile, contrattare per eliminarle in fase di stipula (anche se banche raramente cedono su 1957, perché per loro è cruciale tenere viva la garanzia).
Conclusioni
In questa guida abbiamo esaminato in dettaglio cosa sono le clausole vessatorie nei contratti di finanziamento, come la legge italiana (aggiornata al 2025) le individua e le sanziona, e quali strumenti pratici ha un debitore – sia esso consumatore, privato o piccolo imprenditore – per difendersi da condizioni contrattuali inique. Si tratta di una materia in continua evoluzione, affinata da sentenze recenti e interventi delle Autorità. Il fil rouge è chiaro: l’ordinamento, in ossequio anche al diritto UE, tende sempre più a tutelare la parte debole (debitoriale) assicurando che i contratti di credito siano equilibrati e trasparenti. Le clausole che derogano a questo principio di equilibrio vengono espunte e neutralizzate, senza pregiudicare il contratto nel suo complesso.
Dal punto di vista pratico, per un debitore è fondamentale:
- Conoscere i propri diritti, cioè sapere quali clausole non devono preoccuparlo perché inefficaci (ad esempio, se vede “foro di …” sa già che può contestarla) e non lasciarsi intimidire da pretese basate su tali clausole.
- Agire tempestivamente: appena ravvisata una clausola abusiva applicata, attivare i rimedi (reclamo, ABF, ecc.). Il tempo gioca a favore, perché evita l’aggravarsi di posizioni debitorie e facilita recuperi.
- Documentare tutto: tenere copia del contratto, delle comunicazioni con la banca, estratti conto, ecc. Spesso l’esito positivo di ABF o causa dipende dall’avere prove tangibili (es. il foglio informativo senza quella clausola, o la mancanza di doppia firma su una condizione).
- Farsi assistere: la materia è complessa; un avvocato esperto di diritto bancario o un consulente delle associazioni dei consumatori può rapidamente individuare clausole nulle e impostare le giuste mosse. Visti i valori in gioco (mutui, prestiti), investire in una consulenza può far risparmiare migliaia di euro indebitamente pretesi.
Per le banche e gli intermediari, il messaggio implicito è di adeguarsi proattivamente: predisporre contratti chiari, eliminare in partenza condizioni vessatorie (soprattutto ora che l’AGCM ha poteri sanzionatori incisivi) e privilegiare relazioni contrattuali trasparenti. Questo non solo evita contenziosi e multe, ma fidelizza la clientela in un settore dove la reputazione di correttezza è un asset fondamentale.
Infine, un cenno alle prospettive: la normativa consumeristica potrebbe ulteriormente rafforzarsi con l’implementazione di nuove direttive UE (ad esempio in tema di crediti al consumo e azioni collettive). Inoltre, il crescente impiego di contratti digitali e smart contracts in ambito finanziario pone nuove sfide: occorrerà vigilare che la contrattazione digitale non si traduca in nuove forme di clausole squilibrate “nascoste” in click-wrap o simili. Ma i principi cardine rimarranno gli stessi: chiarezza, equilibrio, buona fede.
Dal punto di vista del debitore italiano, oggi più che mai vale la pena conoscere i propri diritti: molti problemi (penali spropositate, costi occulti, tassi modificati arbitrariamente) possono essere risolti a suo favore semplicemente invocando le norme già esistenti e la giurisprudenza consolidata. Questa consapevolezza di poter contestare le clausole ingiuste senza subire passivamente è forse il guadagno più importante degli ultimi decenni di evoluzione legislativa. Un contratto di finanziamento non è più un diktat immutabile: se iniquo, può essere riequilibrato per via legale.
In conclusione, “clausole vessatorie” non è solo un concetto teorico, ma uno strumento concreto di tutela: nominandole e riconoscendole, il debitore acquisisce un potere contrattuale implicito. Il nostro ordinamento gli fornisce gli strumenti per far valere la propria posizione, ripristinando condizioni eque. Come si suol dire, “la legge aiuta chi sa aiutarsi”: conoscere queste tutele è il primo passo per un rapporto con banche e finanziarie basato su trasparenza e correttezza reciproca.
Fonti principali utilizzate:
- Codice del Consumo (D.Lgs. 206/2005), artt. 33-36 (Clausole vessatorie) – Normattiva, testo vigente.
- Codice Civile, art. 1341 c.c. (Condizioni generali – clausole onerose) e art. 1342 c.c. – Disciplina generale dei contratti.
- Cassazione Civile, Sez. Unite, 6 aprile 2023 n. 9479: principio di diritto su rilevabilità d’ufficio delle clausole abusive e effetti su decreto ingiuntivo non opposto.
- Tribunale di Milano, 26 marzo 2024 n. 3373: clausola floor su tasso mutuo non vessatoria perché attiene all’oggetto del contratto.
- Tribunale di Torino, 30 dicembre 2024 n. 6614: clausole che limitano il rimborso di costi in caso di estinzione anticipata nulle ex art.36 Cod. Consumo.
- Tribunale di Nocera Inferiore, 4 giugno 2025 n. 1911: conferma diritto a riduzione costi e nullità clausole contrarie, con richiamo a art.125 TUB.
- Tribunale di Bergamo, 27 febbraio 2024 n. 505: il giudice non supplisce alla totale inerzia del consumatore nel dedurre clausole abusive (post Cass. SU 2023).
- D.Lgs. 385/1993 (TUB), in particolare artt. 117, 118, 125-bis, 125-sexies, 125-quinquies – Norme su forma, trasparenza, ius variandi e collegamento contratti di credito.
- Decisioni Arbitro Bancario Finanziario (ABF): Collegio Coordinamento 2023 su mutui in CHF (provv. AGCM 2018 clausole non trasparenti); decisioni vari Collegi su penali estinzione (post Lexitor) e su commissioni occulte.
- Autorità Garante Concorrenza e Mercato (AGCM) – Provvedimento n. 27214 del 13/06/2018 (caso Barclays – mutui indicizzati a franco svizzero), confermato da TAR Lazio 2023.
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Hai firmato un contratto di finanziamento e ti sei accorto solo dopo di condizioni sbilanciate, costi nascosti o penali eccessive?
Temi che il contratto contenga clausole vessatorie che potrebbero essere annullate?
Molti contratti di finanziamento, soprattutto quelli proposti da istituti o società finanziarie, includono clausole che limitano i diritti del consumatore o impongono obblighi sproporzionati. Ma puoi reagire e far valere i tuoi diritti.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza in dettaglio il contratto di finanziamento firmato e le condizioni applicate
- 📌 Individua le clausole potenzialmente vessatorie secondo il Codice del Consumo
- ✍️ Prepara istanze di nullità parziale e atti di contestazione da inviare alla finanziaria
- ⚖️ Ti rappresenta in giudizio o nella trattativa stragiudiziale per ridurre il debito o ottenere rimborsi
- 🔁 Ti assiste in percorsi di rinegoziazione o estinzione anticipata senza penali abusive
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in diritto bancario e finanziario
- ✔️ Consulente per la tutela dei consumatori contro clausole abusive e contratti squilibrati
- ✔️ Consulente legale per privati e famiglie sovraindebitate, anche in ambito di credito al consumo
Conclusione
Le clausole vessatorie non sono valide se squilibrano il contratto a danno del consumatore.
Con la giusta assistenza puoi contestare penali illegittime, difenderti da pretese abusive e tutelare il tuo patrimonio.
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