Eredità Con Beni E Debiti All’Estero: Cosa Fare Con L’Avvocato

Hai ricevuto un’eredità con beni e debiti situati all’estero e non sai come gestirla? Ti stai chiedendo se sei obbligato ad accettare tutto, come si calcola la successione internazionale e cosa rischi se non agisci in tempo?

Le eredità con elementi internazionali sono sempre più frequenti, ma anche complesse: coinvolgono normative di diversi Stati, beni di natura diversa, crediti, conti correnti esteri e debiti non sempre noti. Sbagliare un solo passaggio può esporti a responsabilità patrimoniali gravi.

Cosa succede se accetti un’eredità con beni e debiti all’estero?
– Acquisti diritti su immobili, conti correnti, azioni, quote societarie e altro situati all’estero
– Ma assumi anche tutti i debiti, fiscali e privati, del defunto in base alla legge applicabile
– Puoi essere chiamato a rispondere anche con il tuo patrimonio personale, se accetti senza beneficio d’inventario
– Devi rispettare le normative di successione dello Stato dove si trovano i beni (es. imposte, dichiarazioni, tempistiche)

Quale legge si applica in una successione internazionale?
– In genere, si applica la legge dell’ultimo domicilio abituale del defunto (secondo il Regolamento UE 650/2012)
– Ma il defunto può aver scelto nel testamento la legge della propria cittadinanza
– Ogni Stato ha regole diverse su legittimari, quote disponibili, debiti ereditari, responsabilità degli eredi

Quando l’intervento dell’avvocato è indispensabile?
– Se ci sono beni in più Stati (immobili, conti, partecipazioni)
– Se l’eredità comprende debiti, mutui, imposte o pendenze giudiziarie all’estero
– Se ci sono conflitti tra eredi, testamenti in lingue diverse, o dubbi su rinunce e accettazioni
– Se hai bisogno di coordinare dichiarazioni di successione in Italia e all’estero
– Se vuoi accettare con beneficio d’inventario o predisporre una rinuncia strategica

Come puoi difenderti dai rischi di un’eredità con debiti?
– Verifica con precisione il contenuto dell’asse ereditario: sia i beni che i debiti
– Presenta tempestivamente la dichiarazione di successione nei Paesi interessati
– Valuta l’accettazione con beneficio d’inventario per limitare la responsabilità ai beni ereditati
– Se i debiti superano i beni, puoi rinunciare all’eredità anche all’estero, secondo le forme previste
– Attenzione: ogni Stato ha regole diverse su rinuncia, termini e tassazione

Cosa puoi ottenere con la giusta assistenza legale?
– Una gestione sicura e coordinata della successione tra Italia e Paesi esteri
– La protezione del tuo patrimonio personale da responsabilità e pignoramenti
– L’accesso regolare ai beni esteri (es. sblocco di conti, trasferimento di proprietà)
– La possibilità di pianificare la successione fiscale e risparmiare sulle imposte
– La risoluzione di eventuali conflitti con altri eredi o autorità straniere

Gestire un’eredità internazionale senza assistenza è rischioso. Ogni errore può trasformarsi in una perdita patrimoniale o in una lunga causa transfrontaliera. Solo un avvocato esperto può guidarti nella scelta più sicura.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in successioni internazionali, beni all’estero e difesa patrimoniale degli eredi ti spiega come affrontare un’eredità con beni e debiti situati all’estero, quali scelte hai e come tutelarti legalmente e fiscalmente.

Hai ricevuto una comunicazione di eredità con immobili o debiti in un altro Paese? Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo l’assetto ereditario, le normative coinvolte e ti diremo se conviene accettare, rinunciare o attivare strumenti legali per proteggerti.

Introduzione

Quando si affronta una successione ereditaria con elementi di internazionalità – ad esempio perché il defunto possedeva beni all’estero o aveva debiti contratti in un altro Paese – la complessità giuridica aumenta in modo esponenziale. In tali casi è fondamentale avvalersi di un avvocato esperto in successioni internazionali, capace di orientarsi tra normative nazionali e sovranazionali per tutelare al meglio gli interessi dell’erede (o del chiamato all’eredità). Questa guida avanzata, aggiornata a luglio 2025, fornisce un quadro approfondito della normativa italiana ed europea in materia successoria, con particolare attenzione al punto di vista del debitore (cioè dell’erede che si trova a far fronte ai debiti ereditari).

Affronteremo i principali strumenti giuridici a disposizione (accettazione con beneficio d’inventario, rinuncia, strumenti di pianificazione come trust, holding e patti di famiglia), analizzeremo le norme UE (come il Regolamento n. 650/2012 sulle successioni internazionali) e i profili tributari (imposte di successione in Italia e all’estero, trattati contro le doppie imposizioni), senza tralasciare le più recenti sentenze e novità legislative. Troverete inoltre tabelle riepilogative, casi pratici e una sezione di domande e risposte frequenti, per chiarire dubbi operativi.

Iniziamo delineando il quadro normativo di riferimento a livello internazionale ed europeo, per poi passare alle opzioni operative di chi è chiamato a un’eredità con passività, agli aspetti fiscali e agli strumenti di tutela patrimoniale.

1. Quadro normativo per le successioni internazionali

Una successione internazionale o transfrontaliera si configura quando concorrono elementi di più Stati: ad esempio, il defunto (de cuius) era residente in un Paese diverso da quello di origine, possedeva beni in più Stati o aveva eredi sparsi in diverse giurisdizioni. In tali situazioni, potrebbero essere coinvolti contemporaneamente le autorità e gli ordinamenti giuridici di Stati diversi, con il rischio di conflitti di legge e di competenza. Per affrontare queste problematiche, a livello europeo è intervenuto il Regolamento (UE) n. 650/2012 (noto come Regolamento Successioni), applicabile alle successioni apertesi dal 17 agosto 2015. Vediamo in sintesi come funziona e in quali casi si applica.

1.1 Il Regolamento UE n. 650/2012 (Successioni internazionali in ambito UE)

Il Regolamento UE 650/2012 ha introdotto regole uniformi di diritto internazionale privato in materia successoria per gli Stati membri partecipanti, al fine di individuare l’autorità competente e la legge applicabile alle successioni con elementi di estraneità. Irlanda, Danimarca e (sin dall’origine) il Regno Unito hanno optato out, cioè non aderiscono al regolamento (il recesso del Regno Unito dall’UE nel 2020 non ha quindi mutato la sua posizione, già esclusa). Questo significa che per le successioni transnazionali riguardanti l’Italia e un altro Paese UE (eccetto quelli menzionati) si applicheranno le norme del regolamento; se invece sono coinvolti Paesi extra-UE o quei Paesi UE non aderenti, bisognerà far riferimento alle norme nazionali di diritto internazionale privato (si veda infra §1.2).

Principi cardine del Regolamento 650/2012: in estrema sintesi, il regolamento stabilisce che un unico organo giurisdizionale (es. il tribunale o il notaio di uno Stato membro) possa occuparsi dell’intera successione internazionale, applicando un’unica legge nazionale ad essa. Ciò evita frammentazioni: l’idea è che tutta l’eredità, ovunque situata, sia regolata da un solo ordinamento, determinato secondo criteri uniformi. In particolare:

  • Competenza giurisdizionale: di regola appartiene allo Stato in cui il defunto aveva l’ultima residenza abituale. Le autorità di tale Stato (tribunale o altro organo competente, in Italia il tribunale o un notaio designato) potranno decidere su tutte le questioni successorie. In via sussidiaria, se il defunto non risiedeva in alcuno Stato membro e aveva beni in uno Stato membro, possono essere competenti le autorità di quest’ultimo (es. un cittadino extra-UE con beni in Italia: il regolamento prevede criteri di competenza sussidiaria per evitare vuoti di tutela).
  • Legge applicabile: la regola generale è che si applica la legge del Paese in cui il defunto aveva la residenza abituale al momento della morte, indipendentemente dalla cittadinanza e dal fatto che tale Paese sia o meno UE. Questo criterio unico governa l’intera successione: lex successionis unitaria. È però concessa al testatore una certa autonomia: facoltà di scelta della legge (cosiddetta professio iuris). Il de cuius può scegliere tramite testamento che la sua successione sia regolata dalla legge del Paese di cui ha la cittadinanza (se ha più cittadinanze, può sceglierne una qualsiasi). Ad esempio, un cittadino italiano residente stabilmente in Francia potrà optare per la legge italiana, se lo desidera, per assicurare l’applicazione delle norme italiane (ad es. in tema di quota di legittima) alla sua eredità. In mancanza di scelta espressa, come detto, varrà la legge dell’ultima residenza abituale.
  • Eccezione del “collegamento più stretto”: in situazioni atipiche, se il defunto aveva spostato la residenza poco prima di morire e aveva legami manifestamente più stretti con un altro Stato, può applicarsi la legge di quest’ultimo Stato, per evitare applicazioni artificiali della legge di una residenza meramente occasionale. Si tratta di una clausola di salvaguardia da usare con cautela: l’esempio tipico è la persona che, dopo aver vissuto per decenni nel Paese A, si trasferisce nel Paese B solo pochi mesi prima del decesso – in tal caso la legge del Paese A (con cui la vita del defunto aveva un collegamento più sostanziale) può eccezionalmente prevalere.
  • Portata della legge applicabile: una volta individuata, la legge nazionale applicabile governa tutti gli aspetti della successione (principio di unità della successione). Ciò include la determinazione dei beneficiari (eredi, legatari), la ripartizione dei beni, le quote riservate ai legittimari (eventuale forced heirship), i poteri dell’esecutore testamentario o amministratore dell’eredità, la responsabilità per i debiti ereditari, ecc.. Importantissimo: la legge successoria designata dal regolamento copre l’intero asse ereditario, ovunque situato (beni mobili e immobili, in territori UE o extra-UE). Ad esempio, se risulta applicabile la legge italiana alla successione di un cittadino italiano residente in Germania, tale legge si applicherà sia ai beni in Germania sia a quelli in Italia, negli USA o altrove, fornendo criteri unitari (nei limiti in cui gli altri Paesi riconoscano tale legge straniera, v. infra).
    • Eccezione: alcune materie sono escluse dal regolamento e continuano a essere regolate dalle leggi nazionali proprie. Tra queste, gli aspetti fiscali, i regimi patrimoniali tra coniugi (comunione o separazione dei beni, che seguono altre normative), le donazioni anteriori (che restano soggette alla legge ad esse applicabile), nonché questioni societarie, assicurative, trust ecc. (il regolamento non incide sulla titolarità di immobili in altri Stati se richiedono specifiche formalità). Ad esempio, la determinazione delle imposte di successione è espressamente esclusa: ogni Stato applica il proprio regime fiscale ai beni ereditari (si veda §3).
  • Riconoscimento di decisioni e atti: il Regolamento prevede meccanismi per far sì che una decisione emessa in uno Stato membro (es. una sentenza successoria o un atto di notorietà ereditaria ricevuto da un notaio) produca effetti facilmente negli altri Stati membri. In pratica, semplifica la circolazione degli atti successori in UE, evitando di dover ripetere procedimenti in ogni Paese.
  • Certificato successorio europeo (CSE): uno degli strumenti innovativi del regolamento è il Certificato Successorio Europeo, un documento rilasciato dall’autorità competente (ad esempio dal notaio o tribunale che gestisce la successione) che attesta lo status di erede, legatario, esecutore o amministratore dell’eredità e i relativi poteri. Il CSE è valido contemporaneamente in tutti gli Stati membri UE partecipanti, senza bisogno di ulteriori formalità. Ciò consente agli eredi di dimostrare in qualsiasi Paese UE la propria qualità ereditaria e, ad esempio, di farsi intestare beni del defunto (come immobili o conti bancari) che si trovino all’estero. Il certificato non sostituisce i documenti nazionali (ad es. in Italia rimangono utilizzabili la dichiarazione di successione o l’atto notorio per uso successione), ma offre un’alternativa più standardizzata e immediatamente efficace all’estero. In Italia, il CSE viene rilasciato dal notaio o dal tribunale competente; ad esempio, un erede italiano potrà richiederlo per riscuotere un conto in Francia intestato al defunto, presentando il certificato presso la banca francese.

Esempio pratico: Mario, cittadino italiano residente in Spagna, muore lasciando beni in entrambi i Paesi. In assenza di testamento, la legge applicabile all’intera successione (sia per i beni in Italia sia per quelli in Spagna) sarà quella spagnola (ultima residenza abituale). Le autorità spagnole saranno competenti a regolare la successione e potranno rilasciare un Certificato Successorio Europeo agli eredi di Mario. Con tale certificato, gli eredi potranno farsi riconoscere come titolari dei beni di Mario in Italia senza dover aprire una seconda procedura davanti al giudice italiano. Le norme di diritto sostanziale spagnolo (ad es. in tema di riserve a favore dei figli, che in Spagna differiscono da quelle italiane) si applicheranno all’asse ereditario nel suo complesso.

Attenzione: il regolamento (art. 34) prevede l’ammissibilità del rinvio nei casi in cui la legge applicabile sia quella di un Paese terzo (non UE) che a sua volta rinvia alla legge di un altro Stato. Questo meccanismo complesso esula dagli scopi pratici di questa guida; basti sapere che, in casi eccezionali, potrebbe doversi tener conto delle norme di conflitto del Paese extra-UE coinvolto. Ad esempio, se il regolamento designa la legge di uno Stato extraeuropeo, e la normativa di tale Stato prevede che la successione immobiliare sia regolata dalla legge del luogo in cui si trova l’immobile, potrebbe scattare un rinvio alla legge di quest’ultimo Paese, e il regolamento consente di accettarlo per assicurare un risultato coerente. Si tratta di situazioni specialistiche in cui l’assistenza di un legale esperto è imprescindibile.

Ultimi sviluppi giurisprudenziali UE: La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha recentemente chiarito alcuni aspetti applicativi del Regolamento 650/2012. Ad esempio, in una sentenza del 12 ottobre 2023 (causa C-21/22) è stato confermato che anche un cittadino di Stato terzo residente in un Paese UE può avvalersi della professio iuris prevista dall’art. 22 del regolamento, scegliendo la legge del proprio Stato di cittadinanza per disciplinare l’intera successione. Tuttavia, la Corte ha anche precisato che se esiste un accordo bilaterale pregresso tra lo Stato membro e lo Stato extra-UE interessato che fissa diversamente la legge applicabile senza consentire tale scelta, l’accordo prevale: in tal caso la persona non potrà scegliere la legge del proprio Stato di cittadinanza se il trattato internazionale (ancora in vigore) impone un altro criterio. Questo pronunciamento evidenzia l’interazione tra il Regolamento UE e le convenzioni bilaterali esistenti (tema su cui torneremo parlando di imposte di successione, §3.2).

In sintesi, il Regolamento UE 650/2012 rappresenta lo strumento principale per gestire in modo coordinato le successioni transfrontaliere in ambito europeo, permettendo di predeterminare la legge applicabile e di concentrare le procedure in un unico Stato, con riconoscimento reciproco degli effetti negli altri Stati UE. Rimane però fondamentale valutare caso per caso: in presenza di beni o debiti extra-UE o in Paesi non aderenti (come il Regno Unito), occorrerà combinare queste norme con le leggi nazionali applicabili.

1.2 Successioni con Paesi extra-UE: la legge applicabile secondo il diritto italiano

Se la successione coinvolge Stati non aderenti al Regolamento 650/2012 (o se il decesso è avvenuto prima del 17/8/2015), entrano in gioco le norme di diritto internazionale privato di ciascun Paese. Dal punto di vista italiano, la disciplina è dettata dalla Legge 31 maggio 1995 n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato). In particolare, l’art. 46 L. 218/1995 stabilisce che, salvo diversa disposizione di convenzioni internazionali, la successione è regolata dalla legge nazionale del defunto al momento della morte. Dunque, in mancanza di Regolamento UE, l’Italia adotta il criterio della cittadinanza del de cuius: ad esempio, se muore un cittadino statunitense con beni in Italia, si applicherà la legge degli Stati Uniti (legge nazionale del defunto); se muore un cittadino italiano residente in Argentina, la legge italiana (essendo egli cittadino italiano).

L’art. 46 prevede inoltre una limitata forma di scelta di legge simile alla professio iuris: il soggetto può, mediante testamento, sottoporre l’intera successione alla legge di uno Stato nel quale risiedeva, a patto che vi sia un legame effettivo. Questa opzione consente, ad esempio, a un italiano emigrato stabilmente in un Paese extra-UE, di disporre che alla propria successione si applichi la legge locale anziché quella italiana. La clausola tuttavia richiede attenzione e coordinamento con l’ordinamento straniero coinvolto (che deve ammettere tale scelta).

Da notare che, a differenza del Regolamento UE, la legge italiana del 1995 mantiene la distinzione tra beni mobili e immobili in alcuni casi di rinvio: se la legge nazionale straniera richiamata distingue tra mobili (legge nazionale) e immobili (legge del luogo dove l’immobile si trova), questa differenza viene rispettata (principio del rinvio parziale recepito dall’art. 13 L. 218/95 e confermato da Cass. Sez. Unite n. 25767/2021). Ciò significa, ad esempio, che per un cittadino britannico deceduto proprietario di un immobile in Italia, la legge applicabile a tale immobile potrebbe risultare quella italiana (lex situs) in virtù del rinvio operato dalla legge britannica – situazione complessa che ha richiesto l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite della Cassazione.

In ogni caso, nell’ambito extra-UE le cose possono complicarsi: occorre verificare se esistono accordi bilaterali tra l’Italia e l’altro Stato sulla cooperazione in materia successoria e, in assenza, applicare le regole di conflitto italiane ed estere. Ad esempio, con la Svizzera vige una Convenzione italo-svizzera del 1868 (ancora applicabile) che prevede criteri propri. Con il Regno Unito (ora extra-UE) non c’è convenzione specifica sulle successioni: si applicherà la legge nazionale del defunto (es. cittadino UK -> diritto inglese), ma il diritto inglese distingue tra immobili (lex rei sitae) e mobili (legge dell’ultimo domicilio). Il risultato pratico può essere che un immobile in Italia di un cittadino britannico sia devoluto secondo la legge italiana (che prevede ad es. le quote dei legittimari), mentre i beni mobili seguano la legge inglese (che consente piena libertà di testare). È evidente come situazioni simili richiedano la consulenza di un legale specializzato per coordinare le diverse normative e assicurare il rispetto dei diritti degli eredi e dei creditori.

Riassumendo: per le successioni fuori dall’ambito del Regolamento UE, l’Italia applica di regola la legge nazionale del defunto, con possibilità di scelta limitata della legge di residenza (art. 46 L.218/95). Tale legge regolerà la successione, fatte salve le norme imperative italiane (come l’ordine pubblico, ad es. la tutela minima dei legittimari potrebbe essere fatta valere in Italia come principio di ordine pubblico internazionale). Inoltre, parallelamente, si dovranno seguire le procedure locali per i beni situati all’estero (un doppio binario procedurale: es. una probate in Inghilterra per i beni colà, e una dichiarazione di successione in Italia per i beni italiani).

Il ruolo dell’avvocato in questa fase: un avvocato esperto può determinare quale legge sia applicabile alla successione e quale autorità sia competente, evitando errori che potrebbero portare a controversie future. Ad esempio, aiutando il cliente a inserire in testamento una clausola di scelta della legge più opportuna, oppure individuando la strategia migliore (se aprire la successione in Italia o all’estero). Soprattutto, il legale verifica come la legge identificata tratta i debiti ereditari e quali strumenti di tutela prevede, come vedremo nella sezione successiva.

2. Ereditare debiti: accettazione dell’eredità, beneficio d’inventario e rinuncia

Un principio fondamentale dell’ordinamento italiano (comune a molti altri Paesi) è che l’erede subentra non solo nei beni, ma anche nei debiti del defunto. L’asse ereditario comprende attivo e passivo: crediti, beni e debiti del defunto passano agli eredi. Pertanto, chi accetta l’eredità di una persona indebitata rischia di dover pagare i debiti ereditari eventualmente anche oltre il valore dei beni ricevuti, se non adotta precauzioni. Questo scenario è particolarmente delicato dal punto di vista del debitore: l’erede potrebbe trovarsi egli stesso esposto come debitore verso i creditori del defunto. Fortunatamente, il diritto italiano offre alcuni strumenti di protezione, in primis l’accettazione con beneficio d’inventario e la facoltà di rinuncia all’eredità.

In questa sezione esamineremo le opzioni dell’erede di fronte a un’eredità gravata da debiti, illustrando gli effetti di ciascuna scelta e le strategie difensive possibili. Accenneremo inoltre al caso in cui anche l’erede abbia propri debiti personali (creditori dell’erede che potrebbero aggredire l’eredità) e alle tutele in tali frangenti.

2.1 Accettazione pura e semplice: rischi e conseguenze

L’accettazione dell’eredità è l’atto con cui il chiamato diventa erede a tutti gli effetti, acquisendo i beni ma anche i debiti del defunto. In assenza di esplicita accettazione, il chiamato ha fino a 10 anni di tempo dalla morte per decidere (salvo diffide): trascorso tale termine senza rinuncia né accettazione, si considera come se avesse rinunciato (art. 480 c.c.). Tuttavia, attenzione: l’accettazione può avvenire anche in modo tacito, compiendo un atto che implica la volontà di accettare (art. 476 c.c.), ad esempio disponendo dei beni ereditari come proprietario. Pagare i debiti del defunto di per sé non costituisce accettazione tacita se è un atto dovuto di conservazione, ma vendere un bene ereditato sì. Dunque, chi è incerto spesso non deve toccare l’asse ereditario prima di aver preso una decisione consapevole.

Con l’accettazione pura e semplice, l’erede confonde il patrimonio del defunto con il proprio: ne consegue che egli risponde illimitatamente dei debiti ereditari, anche oltre il valore dei beni acquisiti. In pratica, se i debiti superano i beni ereditati, l’erede dovrà pagarne la differenza con il proprio patrimonio personale. I creditori del defunto potranno agire direttamente contro l’erede, considerandolo debitore a tutti gli effetti. Esempio: Tizio muore lasciando 50.000 € in beni e 100.000 € di debiti; Caio, suo erede, accetta puramente: Caio dovrà pagare interamente i 100.000 € di debiti, usando i 50.000 € ereditati e aggiungendo 50.000 € di tasca propria.

Questo rischio rende l’accettazione semplice sconsigliabile se vi è incertezza sulla solvibilità dell’asse. Un avvocato può aiutare a valutare la situazione: inventariare attivo e passivo prima di decidere. Se i debiti ereditari sono ingenti o poco chiari (es. possibili debiti fiscali, cause pendenti, fideiussioni…), conviene optare per le forme di accettazione che limitano la responsabilità o addirittura rinunciare.

Va detto che in caso di più eredi, la responsabilità per i debiti in Italia è proporzionale alla quota ereditaria di ciascuno (non solidale). Ad esempio, se tre coeredi accettano e uno ha il 50%, gli altri il 25% a testa, ciascuno risponde dei debiti ereditari solo fino a concorrenza di quella percentuale. Ciò non toglie che ogni erede, per la sua parte, possa trovarsi a pagare con propri beni se la sua quota di eredità non copre i debiti di pari quota.

Creditori del defunto: dopo l’accettazione semplice, possono agire indifferentemente sul patrimonio ereditato o su quello personale dell’erede. Se invece l’eredità rimane giacente (nessuno accetta) o se l’erede accetta con beneficio d’inventario, come vedremo, i creditori dovranno rispettare certe procedure.

Creditori dell’erede: occorre considerare anche l’altro lato. Se l’erede ha propri debiti antecedenti, i suoi creditori possono cercare di aggredire i beni ereditari una volta confluiti nel suo patrimonio. Approfondiremo questo nel §2.4, ma basti qui notare che un accettazione pura rende immediatamente i beni ereditari parte del patrimonio dell’erede, quindi potenzialmente pignorabili dai suoi creditori personali (es. Equitalia/Agenzia Entrate Riscossione per cartelle esattoriali a carico dell’erede, banche per debiti personali, ecc.).

L’accettazione pura è dunque una scelta da ponderare attentamente. Se l’asse è chiaramente attivo (molti beni e pochi debiti), può essere la via più semplice per entrare in possesso dell’eredità. Ma se c’è il minimo dubbio che i debiti possano eccedere o intaccare i beni, è prudente attivare il beneficio d’inventario.

2.2 Accettazione con beneficio d’inventario: separazione dei patrimoni e tutela dell’erede

L’accettazione col beneficio d’inventario è l’istituto chiave di protezione dell’erede in caso di debiti ereditari (artt. 484 ss. c.c.). Consiste nel dichiarare l’accettazione “salvo buon fine dell’inventario”, ossia mantenendo separati il patrimonio del defunto e quello personale dell’erede. Gli effetti principali sono:

  • Responsabilità limitata: l’erede risponde dei debiti ereditari solo entro il valore dei beni ereditati. Non deve intaccare il proprio patrimonio personale per pagare i debiti del defunto. In altre parole, i creditori dell’eredità potranno soddisfarsi solo sulle attività ereditarie, e se queste non bastano dovranno accontentarsi (l’eventuale debito residuo rimane insoddisfatto e l’erede non ne risponde oltre). Se invece dopo aver pagato tutti i debiti resta un attivo, questo spetta all’erede.
  • Separazione patrimoniale: i beni ereditari rimangono separati da quelli personali finché dura lo stato di liquidazione. Ciò offre vantaggi anche ai creditori del defunto, perché impedisce che i creditori personali dell’erede facciano sparire i beni ereditari prima che siano soddisfatti i debiti ereditari. Importante: il beneficio d’inventario è opponibile a tutti i creditori, anche all’Erario. Ad esempio, l’Agenzia delle Entrate Riscossione (ex Equitalia) non può pignorare un immobile ereditario per debiti tributari dell’erede finché quell’immobile è “bloccato” nell’asse beneficiato; prima vengono i creditori del defunto eventualmente.
  • Procedura di inventario e liquidazione: per avvalersi del beneficio, l’erede deve seguire una procedura: dichiarare l’accettazione beneficiata (davanti a un notaio o al cancelliere del tribunale) e far redigere l’inventario dei beni ereditari entro i termini di legge (generalmente 3 mesi dalla dichiarazione, prorogabili dal giudice). L’inventario è un atto formale che elenca attivo e passivo dell’eredità. Completato l’inventario, l’erede potrà gestire i beni ereditari ma dovrà attenersi alle regole di liquidazione stabilite dal codice (artt. 491–500 c.c.) per soddisfare i creditori ereditari.

In particolare, esistono diverse modalità di liquidazione dei debiti ereditari in regime di beneficio:

  • Liquidazione individuale (art. 495 c.c.): se entro 30 giorni dal deposito dell’inventario nessun creditore fa opposizione (v. oltre), l’erede beneficiato può pagare i debiti man mano, senza un ordine prestabilito, usando le somme disponibili o vendendo beni previa autorizzazione giudiziaria. È la via più snella, ma non garantisce che tutti i creditori vengano soddisfatti in ordine temporale (non c’è un termine fisso per concludere i pagamenti). Un creditore ritardatario potrebbe ancora farsi vivo finché non decorrono i termini di prescrizione (di norma 10 anni per i crediti ordinari) e aggredire beni residui. Dopo 5 anni dalla dichiarazione di beneficio, comunque, i beni mobili ereditari diventano definitivamente dell’erede libero da vincoli se non sono stati reclamati (art. 493 c.c.).
  • Liquidazione concorsuale (artt. 498-500 c.c.): se uno o più creditori/legatari fanno opposizione entro 30 giorni dall’inventario, l’erede deve seguire una procedura concorsuale simile a un piccolo fallimento dell’eredità, sotto controllo giudiziario, rispettando la par condicio creditorum. Si presentano tutte le domande di credito e si soddisfano i creditori in proporzione o secondo i privilegi, vendendo i beni con autorizzazione del tribunale. Questa procedura garantisce equità fra creditori ma è più lunga e onerosa.
  • Rilascio dei beni ereditari (art. 507 c.c.): è una facoltà estrema per l’erede oppresso dai debiti: consiste nel cedere tutti i beni ereditari ai creditori, abbandonando l’eredità in loro favore. In pratica l’erede beneficiato può chiedere al tribunale di essere esonerato dall’amministrazione e lasciare che i creditori prendano i beni ereditari e li liquidino per pagarsi. Con il rilascio, l’erede perde ogni diritto sui beni ereditari rilasciati ma contemporaneamente è liberato da ogni obbligo verso i creditori del defunto (non dovrà integrare nulla di persona). È come una rinuncia sopravvenuta, però possibile solo nel contesto di un’accettazione beneficiata già in atto e con autorizzazione giudiziaria.

In tutte queste ipotesi, se l’attivo non basta a pagare tutti i debiti, i creditori chirografari rimasti insoddisfatti non possono rivalersi sul patrimonio personale dell’erede. Possono eventualmente rifarsi solo su eventuali legatari per ottenere da questi il contributo (limitato al valore del legato) ai debiti, ex art. 496 c.c. (diritto di regresso contro i legatari). Ma non hanno azioni ulteriori contro l’erede oltre il patrimonio ereditario.

È evidente dunque il vantaggio del beneficio d’inventario: l’erede viene protetto dall’insolvenza ereditaria. Il contrappeso è che l’erede non può disporre liberamente dei beni ereditati finché non paga tutti i creditori ereditari secondo le regole; in più deve sopportare oneri formali (costi di inventario, perizie, eventuale intervento di un notaio, e possibili autorizzazioni giudiziarie per vendite). Non da ultimo, finché dura la liquidazione, l’erede deve amministrare i beni con la diligenza del buon padre di famiglia e può essere responsabile per colpa grave (art. 491 c.c.) in caso di danni al patrimonio ereditario.

Quando conviene accettare con beneficio? Sempre quando esiste il dubbio che i debiti possano eguagliare o superare i beni, o quando comunque non si ha un quadro chiaro. Ad esempio, se nell’asse ereditario ci sono possibili passività nascoste (accertamenti fiscali pendenti, contenziosi legali non definiti) o beni di valore incerto (imprese, partecipazioni) che potrebbero rivelarsi meno fruttiferi del previsto, il beneficio tutela l’erede da brutte sorprese. In alcuni casi, l’accettazione beneficiata è addirittura obbligatoria per legge: ad esempio, se l’erede è un minore o interdetto, la legge impone che possa accettare solo col beneficio (art. 471 c.c.), proprio per proteggerlo.

Va sottolineato che la dichiarazione di beneficio va fatta prima di compiere atti che altrimenti implicherebbero accettazione tacita. Se un chiamato vende un bene ereditario o ne dispone senza aver prima dichiarato il beneficio, perde il diritto al beneficio e si considera accettante puro (art. 489 c.c.). È quindi cruciale muoversi in fretta con l’assistenza di un notaio/avvocato per formalizzare l’accettazione beneficiata e procedere all’inventario entro i termini.

Esempio pratico: Caia eredita dal padre un patrimonio immobiliare di €500.000 ma anche debiti bancari per €600.000. Se Caia accetta con beneficio d’inventario, metterà all’asta gli immobili e supponiamo ricavi €500.000: pagherà i creditori (la banca) in base alla graduatoria; dopo aver destinato l’intero ricavato, resteranno €100.000 di debito non pagato. Caia non ne risponderà con i propri soldi: quei €100.000 saranno persi per la banca. Se invece Caia avesse accettato semplicemente, la banca avrebbe diritto di escutere anche stipendio e casa personale di Caia fino a ottenere i €100.000 mancanti.

In sostanza, il beneficio d’inventario trasforma l’erede in un amministratore/liquidatore dell’asse ereditario separato. Molti giuristi lo paragonano a una sorta di “procedura concorsuale di diritto di famiglia”. Per l’avvocato che assiste l’erede, ciò comporta attività come: predisporre l’istanza di accettazione beneficiata, coordinare il perito o notaio per l’inventario, consigliare sull’opportunità di liquidazione individuale o concorsuale, richiedere autorizzazioni per vendite, ecc., il tutto per assicurare che l’erede segua correttamente la procedura e non decada dal beneficio per errori.

2.3 Rinuncia all’eredità: rinunciare ai beni per non avere debiti

L’ultima opzione a disposizione del chiamato che tema i debiti ereditari è quella di rinunciare all’eredità (artt. 519 ss. c.c.). La rinuncia è l’atto formale con cui si dichiara di non voler accettare l’eredità; di conseguenza il rinunziante è come se non fosse mai stato chiamato, perde ogni diritto sui beni ereditari ma al contempo non assume alcun obbligo per i debiti del defunto.

La rinuncia va resa con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale competente, ed è un atto solenne e irrevocabile (salvo rare eccezioni, come l’ipotesi di scoperta di un testamento prima ignoto). Non si può porre condizioni o termini: è una dichiarazione pura e semplice di abbandono.

Perché rinunciare? Se dall’analisi iniziale emerge che l’eredità è nettamente passiva (debiti ben superiori ai beni, oppure solo debiti e nessun attivo di rilievo), la soluzione più sensata è spesso rinunciare, per evitare qualsiasi coinvolgimento. Ad esempio, familiari di persone defunte indebitate spesso rinunciano per non trovarsi a loro volta perseguiti dai creditori. Anche quando l’asse è attivo ma i rischi superano i benefici (ad esempio beni difficilmente liquidabili e potenziali passività di importo incerto), la rinuncia può essere preferibile alla faticosa gestione con beneficio.

Effetti principali della rinuncia:

  • Chi rinuncia è considerato come mai chiamato: l’eredità passa ad eventuali altri chiamati secondo l’ordine di legge o secondo il testamento (ad es. subentra un sostituto o si accrescono le quote degli altri coeredi). Se tutti rinunciano, l’eredità verrà devoluta agli ulteriori parenti successibili; se non ve ne sono, si devolve allo Stato (art. 586 c.c.). Lo Stato, per legge, acquista l’eredità sempre col beneficio d’inventario, dunque non paga i debiti oltre il valore dei beni (in pratica i creditori avranno solo i beni eventualmente finiti al Demanio e null’altro).
  • Il rinunciante non può essere costretto a ripensarci dai creditori del defunto. Diversamente dal beneficio, la rinuncia pone il rinunciante fuori dal novero: i creditori del defunto non hanno titolo contro di lui perché non è erede. Tuttavia, c’è un’importante eccezione: i creditori personali del rinunciante (non del defunto, ma dell’erede rinunciante) possono trovarsi danneggiati dalla sua rinuncia, in quanto così viene meno un patrimonio su cui avrebbero potuto soddisfarsi. Per tutelarli, la legge prevede all’art. 524 c.c. che i creditori del rinunciante possano, entro 5 anni, chiedere al tribunale di annullare la rinuncia e accettare l’eredità in luogo del rinunciante, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti. È una sorta di revocatoria fallimentare speciale. Ad esempio, se Tizio era indebitato e rinuncia all’eredità di suo padre (attiva) per sottrarre quei beni ai propri creditori, questi ultimi potranno far dichiarare inefficace la rinuncia di Tizio e farsi assegnare i beni ereditari che gli sarebbero spettati, fino a pagarsi. Da ricordare: questa azione è riservata ai creditori del rinunciante (erede potenziale), non ai creditori del defunto. Questi ultimi non hanno strumenti per forzare un chiamato ad accettare; potranno semmai sperare che altri eredi accettino, o che l’eredità resti allo Stato che liquiderà i beni.
  • La rinuncia può sempre essere revocata (cioè si può accettare dopo aver rinunciato) finché l’eredità non è stata accettata da altri soggetti aventi diritto (art. 525 c.c.) o dallo Stato. In pratica, se Caio rinuncia ma nessuno degli ulteriori parenti ha ancora accettato, Caio può ripensarci e accettare (ovviamente pagando i debiti, a quel punto). Questa situazione può capitare se emergono poi elementi nuovi (es. si scopre un tesoro nell’asse o si raggiunge un accordo con i creditori). Attenzione: la revoca della rinuncia è comunque un’accettazione pura e semplice, quindi non si può revocare la rinuncia e contestualmente chiedere il beneficio – occorre scegliere bene i tempi.

Effetti sui legati: la rinuncia all’eredità non tocca eventuali legati disposti a favore del rinunciante (art. 649 c.c.). Il legatario non è erede e può accettare il legato indipendentemente dall’eredità. Quindi una persona potrebbe rinunciare come erede ma beneficiare comunque di un legato lasciatogli dal defunto. Tuttavia, se il legato è onerato di condizioni o obblighi, e la persona rinuncia all’eredità per non pagare debiti, bisogna valutare se il legato possa essere oggetto di azioni dei creditori ereditari (in genere no, perché i creditori ereditari hanno diritto verso l’eredità in capo a chi l’ha accettata; se tutti rinunciano e i beni vanno allo Stato, i legatari rispondono solo pro-quota col loro legato ai creditori ex art. 534 c.c.).

Esempio: Paolo muore lasciando debiti per 200.000 € e nessun bene di valore, se non cose di scarso valore affettivo. I figli rinunciano entrambi. Nessuno paga i creditori, che resteranno insoddisfatti (salvo procedere a insinuarsi presso l’eredità giacente o lo Stato per eventuali beni). I figli evitano di accollarsi i 200.000 di passivo. I creditori non possono far nulla contro i figli (non essendo eredi), a meno che uno dei figli non avesse un proprio creditore che si attivasse ex art. 524 c.c. – scenario possibile ma statisticamente raro. In definitiva la rinuncia ha “scaricato” i debiti sul nulla, lasciando i creditori del defunto senza azioni praticabili (diverso se ci fossero beni: in tal caso i creditori potrebbero chiedere al tribunale di nominare un curatore dell’eredità giacente per liquidare quei beni a loro favore, ex artt. 528 ss. c.c.). Infatti, se tutti rinunciano e l’eredità è vacante, il tribunale su istanza di creditori o interessati può nominare un curatore che amministra temporaneamente l’asse per soddisfare i creditori con i beni esistenti. Il curatore può anche promuovere un fallimento dell’eredità se il defunto era un imprenditore insolvente, ma questo ci porta a questioni concorsuali oltre l’ambito di questa trattazione.

Accettazione beneficiata vs Rinuncia: Spesso la scelta è tra queste due. La rinuncia è radicale: si abbandona tutto, debiti e crediti. Il beneficio d’inventario è una soluzione intermedia: si accetta ma ci si protegge. Un avvocato esperto valuterà la convenienza dell’una o dell’altra a seconda del caso concreto:

  • Se l’attivo ereditario è nullo o trascurabile rispetto ai debiti, la rinuncia evita spese inutili (inventario, pratiche) e possibili code, soprattutto se non vi sono particolari beni affettivi da salvare.
  • Se l’attivo c’è ed è significativo, e magari c’è interesse a mantenerlo in famiglia (casa, azienda, ecc.), allora l’accettazione beneficiata consente di tentare di pagare i debiti col patrimonio ereditario, sperando avanzi qualcosa.
  • Talvolta la decisione può dipendere dalle trattative coi creditori: un avvocato può negoziare accordi transattivi con i creditori del defunto (ad esempio, saldo a stralcio dei debiti se l’erede accetta e paga subito una percentuale). Se si prospetta un accordo favorevole, l’erede può preferire accettare beneficiando, liquidare i creditori secondo l’accordo e chiudere la vicenda.

Va ricordato infine che la rinuncia non è sempre libera: se il defunto aveva obblighi di mantenimento o alimentari verso qualcuno, l’erede che rinuncia potrebbe dover contribuire comunque entro il valore dell’eredità (art. 580 c.c.). Sono casi particolari (ad es. il genitore defunto doveva alimenti al figlio minorenne: se l’altro genitore rinuncia, il patrimonio ereditario può essere vincolato a garantire quell’obbligo pregresso).

In sintesi: Rinunciare all’eredità azzera i rischi ma fa perdere ogni diritto sui beni del defunto. È la scelta preferibile quando i debiti ereditari superano di molto i beni, o se comunque non si vuole avere a che fare con una situazione complicata. Occorre però farlo correttamente (atto pubblico o in tribunale) e tener conto delle conseguenze familiari (altri parenti potrebbero trovarsi chiamati al posto nostro). Ad esempio, se un figlio rinuncia, la sua quota va ai suoi figli (i nipoti del defunto) salvo diversa rappresentazione: bisogna quindi gestire la rinuncia anche eventualmente per i minori con autorizzazione del giudice tutelare.

2.4 Erede debitore: i creditori personali dell’erede e l’eredità

Abbiamo finora considerato i rapporti tra erede e creditori del defunto. Ma cosa succede se l’erede ha propri debiti? In questi casi l’erede si trova tra due fuochi: da un lato i creditori ereditari, dall’altro i suoi creditori personali, interessati a pescare nel patrimonio accresciuto dall’eredità.

Occorre distinguere alcune situazioni:

  • Erede con debiti che accetta l’eredità (pura o beneficiata): non appena l’erede acquista i beni ereditari, questi (al netto del regime del beneficio) entrano nel suo patrimonio e diventano aggredibili dai creditori personali dell’erede. Ad esempio, se Tizio eredita un immobile e aveva un debito pregresso, il suo creditore può ipotecare o pignorare l’immobile ereditato. L’unica salvaguardia è se Tizio ha accettato con beneficio e i creditori del defunto non sono stati ancora pagati: durante quel frangente, come detto, i beni ereditari sono vincolati prima ai creditori ereditari. Ma una volta soddisfatti questi, l’eventuale residuo attivo unito al patrimonio di Tizio può essere preso dai creditori di Tizio come qualsiasi altro bene.
    • Esempio: Caio ha un debito con una banca di €50.000. Erede di uno zio, accetta (anche con beneficio) un patrimonio di €100.000 netto. Terminata la liquidazione ereditaria, Caio si ritrova con €100.000 in conto. La banca di Caio potrà pignorare quel conto per recuperare i 50.000, a nulla rilevando che quei soldi provengano da un’eredità.
  • Erede con debiti che rinuncia all’eredità: potrebbe essere il caso in cui l’eredità è attiva, ma l’erede rinuncia magari per non far incrementare il proprio patrimonio su cui i suoi creditori potrebbero avventarsi. Attenzione però, come già spiegato, la legge tutela i creditori dell’erede rinunciante con l’azione ex art. 524 c.c.. Dunque, se dall’esterno appare che la rinuncia sia stata fatta in pregiudizio dei creditori personali (cioè per non far entrare i beni nel patrimonio e sottrarli alla garanzia dei creditori), questi potranno farla annullare dal giudice entro 5 anni e farsi assegnare i beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti. Quindi rinunciare per non pagare i propri debiti è spesso inutile, se il patrimonio ereditario ha valore: i creditori personali possono intervenire. Questo vale se l’eredità era attiva; se invece era passiva e la rinuncia era giustificata comunque, i creditori dell’erede difficilmente spenderanno risorse per far accettare un’eredità con più debiti che attivo.
  • Pignoramento di “diritti ereditari”: finché il chiamato non ha accettato, tecnicamente non è erede e non ha diritti definitivi sui beni, quindi i suoi creditori non possono pignorare i beni ereditari direttamente (perché non sono ancora di sua proprietà). Tuttavia, la giurisprudenza ammette che possa essere pignorata la quota di eredità del debitore una volta aperta la successione: in pratica il creditore può rivolgersi al tribunale per espropriare i diritti successori del chiamato debitore. Questo è un procedimento complicato: il creditore può ottenere che sia nominato un curatore che accetti l’eredità in nome e luogo del debitore chiamato (se costui non ha rinunciato) e poi si liquidino i beni per pagare il creditore procedente. In dottrina e giurisprudenza si discute, ma è generalmente ammesso che i creditori personali possano anche citare in giudizio il chiamato ex art. 481 c.c. per far fissare un termine per accettare, e se il chiamato accetta, subito procedere con pignoramento sui beni ereditari. In sostanza, un chiamato all’eredità molto indebitato non può aspettarsi di ignorare l’eredità: i suoi creditori lo sorveglieranno.
    • Esempio reale: un caso frequente è quello delle cartelle esattoriali: se un contribuente con debiti fiscali eredita un immobile, l’Agenzia Entrate Riscossione può iscrivere ipoteca o attivare un pignoramento sull’immobile ereditato non appena risulti accettata l’eredità, e in alcuni casi può addirittura – tramite il giudice – sollecitare l’acceptation forcée (accettazione forzata) se l’erede temporeggia solo per sfuggire al fisco. La giurisprudenza però sul punto è cauta, perché nessuno può essere obbligato ad accettare; tuttavia, se c’è malafede, i creditori troveranno rimedi (vedi art. 524 c.c.).

Il punto di vista del debitore-erede: se una persona indebitata intravede la possibilità di ereditare beni, dovrebbe coordinarsi con i suoi creditori (se possibile) o comunque studiare con un avvocato soluzioni di composizione del debito. Ad esempio, se ereditando potrà pagare parte dei suoi debiti personali, potrebbe convenire accettare e poi transare. Se invece l’eredità è modesta e i debiti personali ingenti, accettare significherebbe solo far confluire beni che i creditori prenderanno comunque, senza beneficio per l’erede; in tal caso, magari conviene rinunciare e lasciare che eventuali altri successori prendano i beni. Ma come visto, la rinuncia può essere ribaltata dai creditori: dipende da quanto valore ha l’eredità e dal tempo che i creditori impiegano ad attivarsi.

Caso pratico: Luigi ha debiti personali per 300.000 €. Alla morte del padre eredita una casa di valore simile. Se rinuncia, i suoi creditori (banche) quasi certamente chiederanno al giudice di farli subentrare, perché c’è una casa liquidabile che potrebbe soddisfarli. Quindi Luigi non otterrà vantaggio nel rinunciare (se non ritardare un po’ le cose). Una soluzione migliore, seguita con l’avvocato, potrebbe essere: Luigi accetta l’eredità con beneficio d’inventario (per non rischiare sorprese oltre la casa), vende la casa e con il ricavato negozia un saldo e stralcio con i suoi creditori personali (magari offrendo 200.000 subito per chiudere 300.000 di debiti). In questo modo, usa l’eredità per liberarsi dei suoi debiti con uno sconto, e chiude entrambe le partite. Questo approccio “strategico” evidenzia come la pianificazione e la consulenza legale siano essenziali.

2.5 Sintesi delle opzioni dell’erede di fronte ai debiti ereditari

Di seguito una tabella riepilogativa che confronta le caratteristiche di accettazione pura, accettazione con beneficio d’inventario e rinuncia all’eredità, dal punto di vista della responsabilità per i debiti:

OpzioneResponsabilità per debiti ereditariProcedura e formalitàPatrimonio dell’eredeVantaggiSvantaggi
Accettazione pura e sempliceIllimitata – l’erede risponde con tutti i propri beni, anche oltre il valore dell’eredità.Nessuna formalità obbligata (può essere tacita); consigliato atto notarile di accettazione per sicurezza giuridica.Si confonde immediatamente col patrimonio erede; beni ereditari aggredibili dai creditori personali dell’erede.Semplicità, immediato possesso dei beni; nessuna restrizione gestionale.Rischiosissima se ci sono debiti: l’erede può rovinarsi pagando passività superiori all’attivo.
Accettazione con beneficio d’inventarioLimitata al valore dell’attivo ereditario – l’erede non paga oltre quanto ricevuto. Debiti eccedenti restano insoluti.Dichiarazione formale davanti a notaio o tribunale prima di atti dispositivi; inventario nei termini; gestione separata e (se opposizione) concorsuale dei debiti.Separazione dei patrimoni finché dura la liquidazione: creditori ereditari privilegiati sui beni ereditari; creditori personali dell’erede temporaneamente esclusi finché i beni sono nel vincolo.Protegge il patrimonio personale dell’erede; consente di incamerare l’eredità se solvibile; l’erede prende solo l’eventuale attivo netto.Procedura complessa e con costi (inventario, autorizzazioni); l’erede non dispone liberamente dei beni finché non paga i creditori ereditari; richiede tempo e diligenza (pena decadenza dal beneficio).
RinunciaNessuna – il rinunciante non è erede, dunque non è debitore verso i creditori del defunto.Dichiarazione formale da notaio o in tribunale; annotazione nei registri dello stato civile. Revocabile finché eredità non accettata da altri.L’eredità non entra mai nel patrimonio dell’erede. (Attenzione: i creditori personali possono far annullare la rinuncia entro 5 anni se li pregiudica).Elimina totalmente il rischio di dover pagare debiti ereditari; procedura semplice.Perdita di qualunque diritto sui beni ereditari; altri familiari o lo Stato subentrano; il rinunciante non può più rivalere pretese sull’asse. I creditori personali possono opporsi (in caso di eredità attiva).

Come si vede, per un punto di vista prudente (debitor-friendly), l’accettazione con beneficio d’inventario è spesso la scelta ideale quando si vuole evitare di ereditare debiti eccessivi senza però perdere eventualmente i beni: bilancia responsabilità e diritti. La rinuncia è la soluzione drastica quando l’asse è fortemente passivo. L’accettazione pura, invece, è da riservare a situazioni in cui si ha la certezza che i debiti siano modesti o inesistenti rispetto ai beni.

Ruolo dell’avvocato: un avvocato fornisce un’analisi preliminare dell’asse ereditario (due diligence su attivo e passivo), consiglia quale delle tre vie intraprendere, predispone gli atti necessari (dichiarazione di beneficio o rinuncia) e segue l’erede nei passi successivi (inventario, comunicazioni ai creditori, opposizioni, ecc.). Inoltre, il legale potrà difendere l’erede in caso di contestazioni giudiziarie – ad esempio, se un creditore impugna la rinuncia o se sorgono dispute con altri coeredi sulla gestione dell’asse.

3. Profili fiscali dell’eredità internazionale: imposta di successione e tasse estere

Oltre alle questioni civilistiche, un’eredità con beni all’estero pone anche problemi fiscali. Bisogna chiedersi: dove e su cosa si pagano le imposte di successione? E come evitare la doppia imposizione (essere tassati due volte sugli stessi beni, in Italia e all’estero)? Questa sezione affronta i profili tributari delle successioni transnazionali, con focus sulla normativa italiana (Testo Unico Successioni e Donazioni, D.lgs. 346/1990 e successive modifiche) e sui trattati internazionali vigenti. Inoltre, esamineremo aspetti peculiari come la tassazione di trust e vincoli di destinazione nel contesto successorio – ambito oggetto di un’importante riforma nel 2024 – e i benefici fiscali eventualmente applicabili (come l’esenzione per aziende di famiglia trasferite a eredi).

3.1 Imposta di successione in Italia: criteri di territorialità e aliquote

L’imposta di successione italiana colpisce il trasferimento di ricchezza mortis causa a favore degli eredi/legatari. Dopo essere stata abolita nel 2001 e reintrodotta (in forma ridotta) nel 2006, oggi l’imposta si applica con aliquote contenute (4%, 6%, 8% a seconda del grado di parentela) e franchigie generose (es. 1 milione di euro esente per coniuge e figli). Per questo è spesso detto che l’Italia, rispetto ad altri Paesi, è un “paradiso fiscale” in materia di successioni e donazioni. Ma qui ci interessa come funziona l’imposta quando l’eredità ha collegamenti con l’estero.

Criterio generale (territorialità): L’art. 2 del D.lgs. 346/1990 (Testo Unico Successioni, “TUS”) stabilisce che:

  • se il defunto era residente fiscalmente in Italia al momento della morte, l’imposta di successione si applica su tutti i beni ovunque situati (principio di tassazione mondiale o worldwide taxation);
  • se invece il defunto risiedeva all’estero (non fiscalmente residente in Italia), l’imposta si applica solo sui beni esistenti in Italia.

Il legislatore italiano adotta quindi un criterio personale basato sulla residenza del de cuius: chi muore residente in Italia lascia un patrimonio tassabile globale; chi muore residente fuori, sarà tassato solo per eventuali beni situati in Italia. Nota: la residenza rilevante è quella fiscale (concetto non esplicitato nel TUS, ma interpretato in base alle norme IRPEF, ossia residenza anagrafica o domicilio di fatto in Italia per la maggior parte del tempo). La cittadinanza non conta ai fini fiscali (può essere italiano ma non residente: tassato solo su beni in Italia; oppure straniero ma residente in Italia: tassato su tutto il mondo).

Esempio: un cittadino italiano residente in Brasile che muore con beni in Italia e Brasile: non essendo residente in Italia, l’Italia tasserà solo i beni siti in Italia (p.es. una casa a Roma); il Brasile tasserà secondo le sue leggi i beni ovunque o in Brasile. Viceversa, un cittadino tedesco residente in Italia: Italia tassa tutto (anche un immobile che aveva in Germania), la Germania in genere nulla perché non residente (salvo alcune eccezioni se beni in Germania, v. oltre).

Aliquote e franchigie attuali: in Italia le aliquote dipendono dal rapporto di parentela col defunto: 4% per coniuge e parenti in linea retta (figli, genitori) sulla quota ricevuta oltre una franchigia di 1.000.000 € per beneficiario; 6% per fratelli e sorelle (franchigia 100.000 € cadauno) e altri parenti fino al 4° grado (senza franchigia per costoro); 8% per soggetti estranei (nessuna franchigia). Le persone con disabilità grave (legge 104) godono di franchigia più alta (1,5 milioni). Ad esempio, un figlio che eredita 1,5 milioni paga il 4% su 500.000 € (20.000 €). Molte successioni rientrano nelle franchigie e di fatto non pagano nulla. Questo spiega perché in Italia l’imposta di successione incide marginalmente sul gettito, a differenza di Paesi come Francia, Regno Unito, USA dove le aliquote e le basi imponibili sono ben maggiori.

Beni esteri e crediti d’imposta: se l’Italia tassa beni esteri (perché il deceduto era residente in Italia), può sorgere doppia tassazione: lo Stato estero dove si trovano i beni potrebbe tassare anch’esso la trasmissione di quei beni (magari con una estate tax o inheritance tax locale). Per evitare ciò, l’ordinamento prevede due strumenti: le convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni (se esistenti) e, in assenza, un credito d’imposta unilaterale interno.

3.2 Convenzioni internazionali e credito d’imposta: evitare la doppia imposizione

A livello globale, i trattati bilaterali specifici sulle imposte di successione sono pochi, poiché molti Paesi le hanno abolite o comunque privilegiano accordi su redditi piuttosto che sul patrimonio. L’Italia ha in vigore solo 7 convenzioni in materia di imposte sulle successioni: con USA (Stati Uniti), UK (Regno Unito), Francia, Svezia, Grecia, Danimarca e Israele. Di queste, la convenzione con la Francia copre anche le donazioni. Non esistono trattati con altri Paesi importanti (Germania, Spagna, Svizzera, etc.), quindi spesso si applicherà il meccanismo interno.

Le convenzioni mirano a ripartire la potestà impositiva ed evitare che due Stati tassino entrambi gli stessi beni ereditari. In genere adottano due modelli di soluzione:

  • Metodo dell’imputazione (tax credit): uno dei due Stati, tipicamente quello di residenza del defunto, concede un credito d’imposta per le imposte pagate nell’altro Stato sui beni ivi situati. È il caso delle convenzioni con USA, UK e Francia. Ad esempio, nel trattato Italia-USA, se un cittadino/residente italiano possedeva beni negli USA tassati dall’estate tax americana, l’Italia deve riconoscere un credito pari all’imposta pagata negli USA (entro il limite dell’imposta italiana riferibile a quegli stessi beni). Inoltre quel trattato prevede un meccanismo particolare di pro-rata sulle franchigie USA da applicare anche a cittadini italiani, in modo da non penalizzare chi non è domiciliato negli USA.
  • Metodo dell’esenzione o esclusione: uno Stato rinuncia a tassare certi beni se li tassa l’altro Stato. È il caso dei trattati con Svezia, Grecia, Danimarca, Israele, dove in genere i beni situati in uno dei due Paesi sono tassati solo da quel Paese e esentati nell’altro. Ad esempio, la convenzione Italia-Grecia potrebbe stabilire che un immobile in Grecia di un deceduto residente in Italia sia tassato solo in Grecia e completamente esente da imposta italiana.

Ogni convenzione ha regole proprie, per cui è sempre necessario esaminarla in concreto. Ad esempio, la convenzione con il Regno Unito (1978) prevede che l’Italia conceda un credito d’imposta per l’eventuale Inheritance Tax britannica su beni in UK. Quella con gli USA (1955) contiene clausole per coordinare le franchigie (gli USA hanno un’esenzione altissima, che però viene pro-rata per i non domiciliati negli USA), e poi prevede credito per evitare doppie tassazioni residue.

In assenza di convenzione, soccorre l’art. 26, co.1, lett. b) del TUS che recita: dall’imposta di successione dovuta in Italia si detrae “le imposte pagate a uno Stato estero, in dipendenza della stessa successione ed in relazione ai beni esistenti in tale Stato, fino a concorrenza della parte dell’imposta italiana proporzionale al valore di detti beni”. In pratica, se un bene estero ha scontato un’imposta successoria locale, l’Italia riconosce un credito fino alla quota di imposta italiana corrispondente a quel bene.

Questo credito unilaterale però non sempre elimina del tutto la doppia tassazione, specie in casi complessi. Due esempi spiegano il perché:

  • Esempio 1: de cuius residente in Italia con beni in Germania e Italia, erede residente in Germania. La Germania tassa l’erede residente su base mondiale (include anche i beni in Italia). L’Italia tassa su base mondiale (de cuius residente). Risultato: doppia imposizione su tutti i beni. Il credito d’imposta italiano opera solo per le imposte tedesche pagate sui beni in Germania. Quindi la doppia tassazione viene eliminata limitatamente a quei beni (Italia sconta l’imposta italiana per la parte riferibile ai beni tedeschi, riconoscendo il credito per l’imposta tedesca su essi), ma rimane per i beni situati in Italia (tassati due volte: dalla Germania perché erede vi risiede, e dall’Italia perché beni in Italia). In mancanza di un trattato, i beni italiani restano doppiamente tassati perché il credito italiano non copre l’imposta estera sui beni in Italia (la norma concede credito solo per imposte estere relative a beni esteri).
  • Esempio 2: de cuius con doppia residenza (ipotizziamo Italia e Stato A) e beni anche in un terzo Stato B. Sia l’Italia sia lo Stato A tassano su base mondiale, e lo Stato B tassa i beni sul suo territorio. Un medesimo bene in Stato B viene tassato da B (per territorialità) e da Italia e A (per worldwide). L’Italia darebbe credito solo per imposta pagata in B su quel bene, ma non per l’eventuale imposta pagata in A, perché A non è Stato di localizzazione di quel bene. Potrebbe dunque succedere che un bene subisca triple imposizioni e il meccanismo di crediti unilaterali risolva solo parzialmente la questione.

Curiosità: proprio per evitare questi inconvenienti, le convenzioni internazionali, se presenti, spesso stabiliscono regole chiare su chi tassa cosa. Ad esempio, la convenzione Italia-Regno Unito stabilisce che immobili e beni materiali sono tassati solo nello Stato dove si trovano, crediti solo nello Stato di residenza dell’avente diritto, etc., e poi un conguaglio a credito. La rarità di queste convenzioni fa sì che nella pratica molti casi si risolvono col citato art. 26 TUS.

Eredità di immobili all’estero: i beni esteri ereditati devono comunque essere dichiarati in Italia nella dichiarazione di successione (se il defunto era residente in Italia). Tuttavia, per gli immobili all’estero non sono dovute le imposte ipotecarie e catastali (che invece si pagano per immobili in Italia). Dal punto di vista fiscale, oltre all’imposta di successione, occorre ricordare che gli immobili esteri posseduti da residenti italiani sono soggetti a una patrimoniale annuale, l’IVIE, e i conti esteri a IVAFE, ma questi riguardano la situazione post-successione (carico sugli eredi).

Residenza dell’erede irrilevante per l’Italia: notare che l’imposta italiana non considera la residenza degli eredi nel criterio di collegamento. Ad esempio, un de cuius residente in Italia con unico erede residente all’estero: l’Italia tassa tutti i beni ereditari (anche se l’erede vive fuori); viceversa, un de cuius estero con erede residente in Italia: l’Italia tassa solo i beni in Italia, a prescindere che l’erede sia italiano. Questo può creare, come visto, situazioni di concorrenza fiscale con Paesi che invece guardano alla residenza dell’erede (Francia, Germania, ad es. tassano se l’erede è residente). Ci si trova quindi in casistiche di doppia imposizione non perfettamente reciproche – da risolvere via crediti d’imposta.

Novità 2024 – Trust e altri veicoli: Nel 2024 c’è stata una riforma significativa: il D.Lgs. 18 settembre 2024 n. 139 (attuativo della delega fiscale, L. 111/2023) ha razionalizzato l’imposta sulle successioni e donazioni, in particolare disciplinando espressamente la tassazione dei trust e vincoli di destinazione. Prima v’era incertezza (giurisprudenza altalenante sulla tassazione immediata o differita dei trust). Ora, l’art. 1 del TUS è stato modificato prevedendo esplicitamente che l’imposta si applica anche ai trasferimenti derivanti da trust ed altri vincoli di destinazione. Inoltre, è stato introdotto un nuovo comma 2-bis all’art. 2 TUS che definisce i criteri di territorialità per i trust: se il disponente (settlor) del trust è residente in Italia al momento della segregazione patrimoniale (quando conferisce i beni nel trust), l’imposta si applica su tutti i beni destinati ai beneficiari, ovunque situati; se il disponente è non residente, l’imposta si applica solo sui beni esistenti in Italia trasferiti ai beneficiari. Di fatto, questo allinea il trattamento dei trust al medesimo criterio di territorialità basato sulla residenza del disponente (simile a quello del de cuius per le successioni) e chiarisce che il presupposto d’imposta sorge già al momento del vincolo (sebbene la liquidazione definitiva possa avvenire all’attribuzione ai beneficiari).

Queste novità indicano che se un trust era stato utilizzato per pianificare la successione, comunque gli asset in trust entreranno nel calcolo dell’imposta di successione/donazione secondo le nuove regole. Ad esempio, un cittadino italiano che aveva trasferito in vita beni in un trust estero: alla sua morte, quei beni non cadono in successione (perché proprietà del trust), ma fiscalmente ora la legge dice che il trasferimento a trust era già soggetto ad imposta come donazione. Se non assolto prima, l’evento mortis causa (attribuzione finale ai beneficiari) lo concretizza e l’Agenzia delle Entrate potrà richiedere l’imposta. Attenzione: la riforma del 2024 è recente e la prassi applicativa dovrà consolidarsi; è comunque segno di un giro di vite contro l’utilizzo di trust per eludere l’imposta di successione.

Aziende di famiglia e partecipazioni societarie: L’ordinamento italiano prevede un’esenzione dall’imposta (base imponibile azzerata) per i trasferimenti di aziende, rami d’azienda o partecipazioni di controllo a favore di discendenti o coniuge, a condizione che gli eredi/donatari proseguano l’esercizio dell’impresa o detengano le partecipazioni per almeno 5 anni (art. 3, co.4-ter D.lgs. 346/90). Questa agevolazione mira a favorire la continuità delle imprese familiari. Ad esempio, il passaggio di una quota societaria significativa dal padre ai figli non sconta imposta di successione se i figli mantengono l’attività per 5 anni. Importante nel contesto internazionale: l’agevolazione vale anche se l’azienda ha sede all’estero, purché inclusa nell’attivo ereditario tassato in Italia. Naturalmente occorre verificare se anche il Paese estero prevede tassazioni sull’azienda (es. in alcuni Paesi l’equivalente imposta è comunque zero per aziende). In pratica, per un imprenditore con holding estera, l’esenzione può applicarsi al trasferimento delle quote della holding se ricorrono i requisiti (partecipazione di controllo, parentela, continuazione attività). Questo è uno dei motivi per cui a volte si organizzano i patrimoni in società holding: oltre a benefici organizzativi e di governance, c’è un possibile vantaggio fiscale successorio. Occorre comunque rispettare le condizioni (ad esempio, se la holding è estera, gli eredi devono mantenere la partecipazione; in caso di cessione anticipata nei 5 anni, decadrebbe l’esenzione con obbligo di versare l’imposta).

Doppia imposizione su successioni immobiliari tipica: pensiamo a un immobile in Francia ereditato da un residente in Italia. Francia tassa in base alla residenza dell’erede (se l’erede non è francese, tassa solo immobile in Francia). Italia tassa in base alla residenza del de cuius (se deceduto era italiano, tassa tutto, compreso immobile in Francia). Entrambi tassano quell’immobile. Fortunatamente, Italia e Francia hanno convenzione: in questo caso, il metodo è del credito. L’Italia concederà credito per l’imposta francese pagata su quell’immobile, evitando doppia tassazione. Se invece l’immobile fosse in un Paese senza trattato, l’Italia applicherebbe il suo 4/6/8%, e poi darebbe credito per l’eventuale tassa estera su quell’immobile (che in assenza di franchigie italiane può essere completamente compensato visto che le aliquote estere di solito sono più alte). In pratica, ad oggi la maggior parte delle successioni internazionali finisce per non scontare grosse doppie imposizioni perché: o c’è trattato, o c’è il credito interno, e soprattutto perché l’aliquota italiana è bassa. Il problema può porsi se l’altro Paese calcola la tassa su base erede e con aliquote diverse, portando a incongruenze (come visto per la Germania, che tassa in base all’erede e potrebbe non riconoscere nulla sull’Italia).

Consiglio pratico: quando si affronta un’eredità con beni esteri è opportuno coinvolgere un consulente fiscale o commercialista esperto in doppie imposizioni. Bisognerà presentare la dichiarazione di successione in Italia (entro 12 mesi dalla morte) indicando anche i beni esteri, e parallelamente eventuali dichiarazioni o procedure nel Paese estero (ad esempio, nel Regno Unito la “Probate” con pagamento di Inheritance Tax se dovuta). L’avvocato/consulente coordinerà il calcolo delle imposte in entrambi i sistemi e richiederà i crediti d’imposta spettanti, evitando pagamenti duplicati. Inoltre, va valutato se è opportuno chiedere il rilascio di certificati di pagamento estero da allegare alla pratica italiana per documentare il credito.

3.3 Trust, holding e strumenti esteri: aspetti fiscali e antielusivi

Abbiamo anticipato alcune questioni relative ai trust sul fronte civile e fiscale. Approfondiamo brevemente come trust, fondazioni, holding estere possano incidere sulla pianificazione successoria e quali cautele fiscali servono:

  • Trust a fini successori: Molte persone istituiscono trust (magari trust esteri in giurisdizioni con normativa favorevole) per allocare il patrimonio ai beneficiari in occasione della propria morte, evitando così la procedura successoria tradizionale. Dal punto di vista fiscale italiano, finora c’era incertezza sul quando scattasse l’imposta di successione/donazione: se subito al momento del trasferimento in trust (tesi dell’Agenzia Entrate e di parte della giurisprudenza) o solo al momento dell’assegnazione finale ai beneficiari (tesi di altra giurisprudenza, ad es. Cass. SS.UU. 18725/2017). Con la riforma 2024 (D.lgs. 139/2024) ora è chiaro che il trasferimento a trust è soggetto a imposta come donazione (salvo casi di trust con beneficiari non determinati? Ci sono ancora dettagli interpretativi da chiarire). In ogni caso, l’utilizzo del trust non evita l’imposta, la quale verrà prelevata in un momento o nell’altro. Anzi, l’Italia sta rafforzando il monitoraggio fiscale sui trust: risposte recenti dell’Agenzia (es. Risoluzione n. 170/2025 citata in Fiscomania) confermano che anche passaggi tra trust (trust “beneficiario” di altro trust) possono essere tassati come donazione all’8%.
  • Elusione di legittima e trust: sul piano civile, qualcuno ha usato trust inter vivos per far uscire beni dal patrimonio ereditario e così aggirare le quote di legittima. La Cassazione però è intervenuta: ha qualificato questi trust come atti di liberalità (donazioni indirette) soggetti ad azione di riduzione da parte dei legittimari lesi. Ad esempio, la sentenza Cass. 5073/2023 ha chiarito che un trust discrezionale a favore di terzi, se lede la quota dei legittimari, può essere attaccato dai figli o coniuge mediante azione di riduzione, rendendo inefficaci gli atti di dotazione al trust nei limiti necessari a reintegrare la legittima. Quindi il trust non è un porto sicuro contro i diritti dei legittimari: non viene considerato un patto successorio nullo, ma gli atti dispositivi in trust sono riducibili se pregiudicano la legittima. Per di più, la Corte ha escluso che tali atti siano nulli: sono validi ed efficaci, semplicemente inefficaci per la parte eccedente (non risolvono l’intero trust, solo decurtano il necessario). Ciò dà stabilità alla pianificazione: il trust rimane valido e opera per la parte non lesiva, preservando la volontà del disponente entro i limiti di legge. Dal punto di vista difensivo del legittimario: attenzione, chi vuole agire in riduzione contro beni conferiti in trust deve aver accettato l’eredità con beneficio d’inventario, come già ricordato (art. 564 c.c. e Cass. 787/2022). Il trustee non è un coerede, quindi è equiparato a un terzo (donatario) ai fini dell’azione di riduzione; pertanto il legittimario attore deve mantenere il beneficio d’inventario per poter chiedere la riduzione. Questo è un dettaglio tecnico cruciale: se l’erede agisce senza beneficio contro un trust, l’azione è improponibile. Dunque, ancora una volta, si vede come il beneficio d’inventario sia consigliabile quando ci sono trust o donazioni da contestare.
  • Società estere/Holding: Porre beni in una società (italiana o estera) può avere vari scopi: facilitare il trasferimento (si trasferiscono azioni/quote e non tanti beni singoli), ottenere vantaggi fiscali (in alcuni Paesi non c’è imposta sulle successioni societarie), o proteggere da pretese. Tuttavia, l’Italia ha strumenti per contrastare l’esterovestizione (finte residenze estere di società di fatto amministrate dall’Italia). Se un soggetto crea una holding estera solo per possedere la casa di famiglia in Italia e ridurre le tasse, rischia accertamenti: la società potrebbe essere considerata fiscalmente residente in Italia e quindi i trasferimenti tassati qui. Nel contesto successorio, la holding di per sé non evita la legittima: gli eredi avranno diritto alle quote della holding secondo le regole della legge applicabile alla successione. Certo, la presenza di una holding può complicare le cose per un legittimario: ad esempio, se un genitore sposta tutti i suoi beni in una holding e poi lascia la maggioranza a un figlio, gli altri figli legittimari dovranno agire in riduzione chiedendo il valore delle azioni come complemento di legittima. Operazioni di questo tipo possono essere valutate come possibili abusi se il solo scopo era sottrarre beni alla garanzia dei legittimari o dei creditori. Ad ogni modo, in Italia non esiste una riserva di legittima su specifici beni, solo sul valore: quindi la holding non impedisce di ottenere il controvalore in caso di lesione (anche se il bene sottostante non viene smembrato). Dal lato fiscale, se la holding è in un Paese con imposta di successione nulla (es. uno Stato che non tassa le successioni societarie), l’erede potrebbe pagare solo l’imposta italiana (se dovuta) sulle quote. Con le aliquote italiane attuali, come detto, spesso nulla o poco. Quindi l’ottimizzazione fiscale è limitata ma c’è: evitare che un Paese estero imponga tassazioni pesanti. Ad esempio, tenere immobili UK in una società offshore un tempo evitava la UK inheritance tax al 40%; oggi però il Regno Unito ha chiuso molte scappatoie per immobili residenziali (charge on enveloped dwellings, etc.). Inoltre, l’Italia ha introdotto obblighi di monitoraggio fiscale (Quadro RW in dichiarazione) su attività estere, trust, società estere controllate (CFC rules) ecc., per cui ogni struttura estera va valutata anche per possibili costi fiscali annuali.

In conclusione, trust, holding e altri veicoli sono strumenti utili nella pianificazione patrimoniale internazionale, ma devono essere utilizzati correttamente, con sostanza economica e nel rispetto delle norme, altrimenti possono essere inefficaci contro creditori e legittimari e persino controproducenti fiscalmente. È fondamentale avvalersi di professionisti (avvocati, notai, fiscalisti) in fase di pianificazione per disegnare assetti robusti e conformi alla legge.

4. Strumenti di pianificazione e tutela patrimoniale con elementi internazionali

Dal punto di vista del de cuius debitore (ossia colui che, in vita, intende prevenire problemi ai propri eredi se ha debiti o assetti complicati), e dal punto di vista degli eredi che vogliono proteggere il patrimonio familiare, esistono vari strumenti giuridici proattivi. Alcuni li abbiamo già toccati (trust, holding, ecc.), qui li inseriamo in una visione d’insieme di pianificazione successoria con beni all’estero e potenziali debiti:

  • Testamento con scelta della legge e clausole mirate: Redigere un testamento internazionale, avvalendosi della facoltà di scegliersi la legge applicabile (se ne ricorrono i presupposti, v. §1.1), può evitare incertezze e far sì che si applichino regole più adatte al caso. Ad esempio, un imprenditore italiano residente all’estero potrebbe preferire la legge italiana per garantire continuità aziendale attraverso l’istituto del patto di famiglia (che la legge straniera non prevede) o, al contrario, un italiano emigrato che vuole piena libertà dispositiva potrebbe prendere altra cittadinanza e scegliere la legge di quel Paese senza legittima. Il testamento può anche contenere disposizioni per il pagamento dei debiti (es. indicare quali beni destinare a tal scopo, nominare un esecutore testamentario che vigili sulla liquidazione delle passività, ecc.).
  • Patto di famiglia: Istituto introdotto dalla legge italiana (L. 55/2006) – consente all’imprenditore di trasferire in vita l’azienda o le partecipazioni societarie a uno o più discendenti, con l’accordo di (e liquidazione compensativa verso) gli altri legittimari. Il patto di famiglia è un contratto, quindi sottratto all’impugnazione successoria (i partecipanti vi rinunciano concordemente). Questo strumento evita litigi tra eredi e garantisce la stabilità dell’impresa oltre la generazione. In ottica debiti: se l’azienda è gravata da debiti, il patto può gestire anche quelli, ad esempio accollandoli all’assegnatario insieme all’azienda. Inoltre, trasferendo l’azienda prima della morte, la si cristallizza fuori dalla massa (salvo collazione se il patto non coinvolge tutti). Un avvocato può consigliare il patto di famiglia quando c’è una società familiare con componenti all’estero: si evita che, alla morte, la società debba esser divisa o gestita da eredi litigiosi; col patto si stabilisce tutto in anticipo. Attenzione però: i creditori dell’imprenditore potrebbero opporsi se il patto è lesivo dei loro diritti (in teoria potrebbero tentare una revocatoria del patto se l’imprenditore era insolvente). La legge tutela in primis i legittimari consenzienti; per i creditori occorre eventualmente predisporre accordi separati o considerare procedure concorsuali.
  • Accordi transattivi con i creditori prima della morte: Se una persona è gravemente indebitata e vuole evitare di trasmettere rogne agli eredi, può valutare con l’avvocato la strada di un accordo con i creditori in vita (ad esempio un piano di rientro, oppure l’adesione a procedure come la composizione negoziata della crisi o piano del consumatore se applicabile, per chiudere i debiti). In tal modo, si “ripulisce” il patrimonio prima del decesso. Questo è più facile a dirsi che a farsi: tuttavia, dal 2021 il nuovo Codice della Crisi ha introdotto strumenti anche per sovraindebitati (procedure di esdebitazione) che potrebbero essere sfruttati. Farlo in vita evita che gli eredi debbano poi rinunciare o gestire eredità difficili. Naturalmente richiede la collaborazione attiva del debitore.
  • Polizze vita e prodotti assicurativi: Le assicurazioni sulla vita sono spesso impiegate come strumento per trasferire somme agli eredi fuori dall’asse ereditario. Infatti il beneficiario di una polizza vita riceve il capitale iure proprio, e tali somme non entrano nella successione (art. 1920 c.c.) né sono soggette ad imposta di successione (sono esenti). Inoltre non sono aggredibili dai creditori del defunto (salvo premi sproporzionati versati a ridosso della morte con intento fraudolento). Questo significa che, ad esempio, un genitore può stipulare una polizza vita a favore dei figli: alla morte, i figli incasseranno direttamente dall’assicurazione, senza dover dividere con eventuali altri creditori ereditari (i creditori chirografari del defunto non possono toccare quel capitale assicurato). Anche i creditori personali dell’erede non possono intercettare la somma prima che sia erogata (dopo, se confluisce sul conto del figlio, diventa pignorabile, ma almeno arriva a destinazione). Le polizze vita, specie in contesto internazionale (dove a volte si usano life insurance di diritto lussemburghese o similari per private banking), sono strumenti efficaci per proteggere una parte del patrimonio da aggressioni esterne e per evitare trafile successorie. Bisogna però non ledere la legittima: se i premi pagati erano tali da svuotare il patrimonio a danno dei legittimari, questi potrebbero agire (c’è dibattito se possano impugnare la polizza, ma la Cassazione tende a escludere la polizza dall’azione di riduzione in quanto non è eredità né donazione, creando però un potenziale squilibrio). In generale, un planning bilanciato può destinare una quota a polizza per garantire liquidità immediata agli eredi (magari per pagare debiti o imposte), lasciando il resto nei beni tradizionali.
  • Fondazioni e no profit: Alcuni patrimoni internazionali con scopi filantropici vengono destinati a fondazioni familiari o enti simili. Questo esula un po’ dal tema “punto di vista del debitore”, ma se un soggetto volesse evitare che i creditori o eredi discutano su certi beni, potrebbe segregarli in una fondazione. Le fondazioni (specie di diritto estero, tipo private foundations in alcuni ordinamenti) possono fungere da “cassaforte” per i beni di famiglia. Anche qui però, i legittimari non possono essere privati totalmente: conferire tutto in fondazione potrebbe scatenare cause (la fondazione è analoga a una donazione – revocabile o riducibile se fraudolenta). In Italia è ancora raro, ma si vedono casi internazionali di Stiftung o fondazioni di famiglia in Liechtenstein, Panama etc., costituite per custodire i beni e sfuggire a tassazione e successione. Va detto che la legislazione antiriciclaggio e antielusiva le tiene d’occhio; e l’Italia tassa pesantemente i trasferimenti a entità non commerciali (8% senza franchigie se non rientrano nell’esenzione per ONLUS e simili).

Takeaway di questa sezione: Pianificare per tempo, con strumenti ad hoc, è la chiave per evitare emergenze successorie. Il “debitore” avveduto può predisporre come saranno pagati i suoi debiti (es. nominando un executor di fiducia), può alleggerire l’asse destinando beni in trust con istruzioni precise o in polizze, può mettere al sicuro l’azienda con un patto di famiglia, e così via. Ogni strumento ha pro e contro, e va calibrato sulle leggi applicabili. Un avvocato specializzato in wealth management internazionale lavorerà spesso in team con il notaio e il fiscalista per costruire la soluzione ottimale.

Non bisogna pensare che questi siano privilegi per ricchi: anche su patrimoni modesti, un consiglio mirato (ad es. rinuncia pilotata a favore di nipoti, o scelta di legge per evitare complicazioni) può fare la differenza tra un iter successorio sereno e uno catastrofico.

5. Domande e risposte frequenti (FAQ)

Di seguito proponiamo una serie di domande comuni, con risposte sintetiche, riguardo alle eredità con beni/debiti esteri. Questa sezione funge da rapido vademecum per chi cerca soluzioni pratiche ai dubbi più ricorrenti.

D1: I debiti del defunto passano sempre agli eredi? Posso evitarlo?
R: I debiti del defunto sono ereditari al pari dei beni: chi accetta l’eredità subentra anche nelle passività. Tuttavia l’erede ha due opzioni per non rispondere illimitatamente: accettare con beneficio d’inventario (pagando i debiti solo nei limiti dell’attivo ereditario), oppure rinunciare all’eredità (in tal caso non paga nulla, ma neppure riceve beni). Con una di queste soluzioni l’erede può evitare di dover estinguere personalmente eventuali debiti superiori all’asse ereditato. Se invece accetta puramente, sì, dovrà pagare tutti i debiti, anche attingendo al proprio patrimonio.

D2: Ho scoperto dopo aver accettato che mio padre aveva grossi debiti nascosti: posso rimediare?
R: Purtroppo se hai già accettato espressamente senza beneficio (o hai compiuto atti che equivalgono ad accettazione tacita), non è più possibile chiedere il beneficio d’inventario o rinunciare. L’accettazione è irrevocabile (salvo casi di dolo o errore estremi, difficili da far valere) e ti vincola a rispondere dei debiti noti e ignoti. In linea di principio resteresti obbligato verso i creditori ereditari per intero. Puoi però provare a negoziare con i creditori una transazione se l’alternativa per loro è di non essere pagati (ad esempio, offrire una parte subito in cambio di stralcio del resto). Oppure potresti – se il debito è insostenibile e ricorrono i requisiti – valutare procedure personali di esdebitazione. Ma evitare la responsabilità post-accettazione è pressoché impossibile per via giudiziaria. Ecco perché andrebbe sempre fatto un inventario prima di accettare.

D3: I miei fratelli ed io abbiamo ereditato debiti. Io vorrei accettare con beneficio, loro no. È possibile?
R: Sì, ogni chiamato può scegliere indipendentemente. Se alcuni eredi accettano in modo semplice e altri con beneficio, coesisteranno due situazioni diverse. Tuttavia, ciò è sconsigliabile: l’eredità di fatto diverrebbe indivisa ma parte “pura” e parte “beneficiata”, creando confusione nella gestione. Di solito o tutti accettano con beneficio (magari agendo insieme, semplificando l’inventario) oppure chi è più prudente può addirittura rinunciare lasciando che altri accettino a loro rischio. Se accettate tutti ma con modalità differenti, i creditori potrebbero concentrare le azioni contro chi ha accettato puramente (più facile) e lasciare in pace chi ha il beneficio fino ad esaurimento dell’altro. Dunque in una famiglia è bene concordare una linea comune. Si noti anche che se uno rinuncia, la sua quota va a favore di altri (per rappresentazione o accrescimento): ad esempio se un figlio rinuncia, i suoi figli subentrano (con obbligo di accettare con benificio se minorenni) o, se non ne ha, la sua parte accresce agli altri fratelli.

D4: Come funziona il beneficio d’inventario concretamente?
R: Occorre fare una dichiarazione di accettazione beneficiata (dal notaio o in tribunale) e redigere un inventario dettagliato dei beni e debiti. Poi:
– Se non ci sono opposizioni di creditori entro 30 giorni, l’erede può iniziare a pagare i debiti man mano con le disponibilità ereditarie (liquidazione individuale). Deve comunque rispettare eventuali cause di prelazione (privilegi, ipoteche) e avere autorizzazione del tribunale per vendere immobili o beni importanti.
– Se qualche creditore fa opposizione, bisogna instaurare una sorta di procedura concorsuale (davanti al tribunale) in cui si accertano tutti i crediti e si soddisfano pro quota (liquidazione concorsuale).
L’erede agisce come amministratore: paga i creditori, eventualmente vende beni ereditari per fare cassa (con permesso del giudice), e alla fine redige un rendiconto. Se dopo aver pagato tutti rimane qualcosa, diventa suo definitivamente; se invece i beni non bastano, i creditori rimasti scoperti non possono rivalersi oltre. Durante il processo, l’erede deve conservare i beni ereditari separati. Dopo 5 anni, i beni mobili eventualmente rimasti diventano suoi liberi (i creditori tardivi perdono diritto su quei mobili).

D5: Se tutti i chiamati rinunciano all’eredità, i debiti del defunto chi li paga?
R: In tal caso l’eredità si definisce giacente, e infine viene devoluta allo Stato (che non può rinunciare, per legge). Lo Stato però accetta sempre con beneficio d’inventario ex lege, quindi paga i debiti solo entro il valore dei beni ereditari. Lo Stato di solito non interviene attivamente per pagare i creditori: se ci sono beni, i creditori possono chiedere al tribunale la nomina di un curatore dell’eredità giacente che li liquidi. Se non ci sono beni (eredità passiva pura) i creditori semplicemente rimangono insoddisfatti – non c’è nessuno da obbligare. Quindi, se tutti rinunciano e l’asse è negativo o nullo, i debiti restano inesigibili. È il motivo per cui i creditori spesso preferiscono un erede beneficiato piuttosto che nessun erede: almeno quello potrà amministrare eventuali beni per pagare in parte i crediti, mentre lo Stato difficilmente si prende cura attiva a meno di patrimoni rilevanti.

D6: Ho beni in più Paesi: dovrò fare la successione in tutti?
R: Dipende dalla situazione. Se il Regolamento UE 650/2012 si applica (vedi §1.1), l’idea è proprio di evitare procedimenti multipli: il Paese UE competente (di solito quello dell’ultima residenza) amministra la successione intera e rilascia eventualmente un Certificato Successorio Europeo che vale anche altrove. Però, nei fatti, per i beni situati fuori dall’UE o in Paesi non aderenti, occorrerà spesso seguire le formalità locali. Esempio: immobile negli USA – servirà una procedura di probate negli USA, indipendentemente dal certificato europeo (che lì non ha valore legale). Immobile in UE (es. Germania) – il certificato europeo consentirà di registrare agli eredi la proprietà senza fare un processo in Germania. In sintesi: generalmente un solo procedimento principale (in Italia o altro Paese UE) è sufficiente per dichiarare gli eredi e regolare la successione, ma poi l’esecuzione locale (trasferimento del bene) può richiedere atti locali. Un avvocato locale o un notaio straniero potrà usare la documentazione (testamento, certificato) dell’altro Paese per fare gli adempimenti. Nel caso di depositi bancari esteri, spesso la banca accetta il certificato o i documenti successori dell’estero senza ulteriore intervento giudiziario. Quindi non necessariamente dovrai “fare la successione” in tutti i paesi: dovrai però interfacciarti con ognuno per far riconoscere i tuoi diritti di erede (con documenti apostillati, certificati, ecc.).

D7: Cos’è il Certificato Successorio Europeo e come si ottiene?
R: È un documento introdotto dal Regolamento UE 650/2012, rilasciato su richiesta dagli organi dello Stato competente sulla successione (in Italia, dal notaio incaricato o dal tribunale). Attesta chi sono gli eredi, legatari, esecutori, quali diritti hanno e su quali beni (può indicare ad es. che Tizio è erede dell’intero patrimonio o quota 1/2). Serve per far valere lo status di erede negli altri Stati UE senza dover tradurre e legalizzare sentenze o atti nazionali. Per ottenerlo, gli eredi presentano domanda all’ufficio competente (in Italia, tipicamente al notaio che cura la pratica successoria, il quale la inoltra all’Autorità designata – attualmente lo stesso notaio può emetterlo in base alla Convenzione Internazionale dei Notai). Una volta emesso, il Certificato viene rilasciato in più copie autentiche valide 6 mesi, rinnovabili. Il certificato contiene i dati essenziali: defunto, data della morte, legge applicabile, eredi e quote, eventuali limitazioni ai poteri (es. se c’è beneficio d’inventario verrà indicato). Con questo certificato, ad esempio, potrai vendere un immobile in un altro Stato UE o far aggiornare un registro immobiliare all’estero. Nota: il CSE non sostituisce i documenti nazionali (puoi anche non chiederlo se operi solo in Italia), ma semplifica molto fuori. Non è utilizzabile fuori dall’UE, ma alcuni Paesi extra-UE comunque lo considerano un documento probatorio di fatto (se tradotto).

D8: In caso di beni o conti all’estero, devo dichiararli nella successione italiana?
R: Sì, se il defunto era residente in Italia, nella dichiarazione di successione italiana vanno indicati tutti i beni, anche quelli esteri. Questo ai fini fiscali: ad esempio, si dichiarerà il conto in Svizzera col suo saldo, l’immobile in Francia col suo valore. L’imposta italiana verrà calcolata su base mondiale, poi detratti eventuali crediti per imposte pagate all’estero (vedi §3.2). Se invece il defunto non era residente in Italia, ma aveva beni in Italia (es. casa vacanze), in Italia farete la dichiarazione di successione limitatamente a quei beni. Ricorda che oltre alla dichiarazione di successione (che assolve imposta di successione se dovuta), per gli immobili in Italia ci sono imposte ipocatastali (2%+1% generalmente, salvo agevolazioni prima casa). Per immobili esteri, ipocatastali italiane non si applicano, ma potresti averle pagate nel Paese estero. Ogni sistema fiscale è diverso: fai attenzione a rispettare entrambe le normative. Un caso tipico: conto corrente in Germania ereditato – la Germania potrebbe aver già trattenuto una tassa di successione su quel conto se l’erede risiede in Germania; l’Italia lo tassa pure, ma dovrà darti credito. Preparati a fornire prova del pagamento estero al Fisco italiano.

D9: Eredito un immobile all’estero, dovrò pagare tasse in quel Paese?
R: Di solito , la maggior parte dei Paesi tassa le successioni di immobili situati nel proprio territorio (principio di territorialità). Quindi, ad esempio, un immobile negli USA sconta l’estate tax USA (se supera certe soglie), uno in Francia sconta l’imposta francese (con aliquote progressive per gli eredi non diretti). Ci sono Paesi che non prevedono imposta di successione affatto (es. Portogallo, Svezia dal 2004, Canada, Australia – questi ultimi tassano come capital gain eventuale plusvalore ma non hanno inheritance tax). In ogni caso, dovrai svolgere le pratiche locali: spesso un avvocato o notaio estero dovrà farti riconoscere erede e liquidare eventuali tasse locali prima di trasferire il bene a tuo nome. La buona notizia è che, come spiegato, l’Italia ti darà credito per quell’imposta estera nei limiti dell’equivalente italiano, quindi raramente pagherai due volte. Se il Paese estero ha aliquota più alta dell’italiana (molto probabile, visti i nostri massimali 8%), finirai per pagare di più all’estero e nulla in Italia su quel bene. Ad esempio, immobile in UK del valore di 500k £ ereditato dal figlio: UK impone 40% sul valore eccedente franchigia 325k, quindi circa 70k £ di tassa; l’Italia su 500k da figlio chiederebbe 4% di 400k (detratta franchigia 1000k) = 16k €. Il credito d’imposta italiano per le 70k £ pagate in UK azzera completamente i 16k dovuti in Italia (anzi, pagherai molto di più in UK).

D10: Ho un trust estero di cui sono beneficiario dopo la morte di mio padre: devo pagare tasse?
R: La situazione fiscale dei trust è in evoluzione. Se il trust trasferisce beni a te come beneficiario in seguito alla morte di tuo padre (disponente), questo trasferimento è equiparato a un’attribuzione a titolo gratuito. Secondo la nuova normativa (2024) è soggetto a imposta di successione/donazione in Italia, con le aliquote normali, come se tuo padre ti avesse lasciato quei beni (o quel capitale) direttamente. Occorre vedere se l’imposta è già stata pagata al momento dell’istituzione del trust: in alcuni casi il fisco considerava tassato all’ingresso quando i beni venivano vincolati in trust. Se invece non fu tassato prima, ora con la legge nuova dovrebbe essere tassato all’uscita (attribuzione). Insomma, tu beneficiario non scappi dall’imposta successoria, salvo che il trust stesso fosse strutturato in modo da cadere in esenzioni (ad es. trust caritatevole). Dovrai quindi presentare una dichiarazione di successione (o di donazione) per quei beni, indicando che provengono dal trust del defunto. Attenzione anche alle tasse estere: se il trust è in un Paese che tassa le distribuzioni ai beneficiari, potresti avere un prelievo anche lì. Infine, se il trust ti trasferisce beni esteri, valgono le regole di territorialità: se il disponente era residente in Italia, è come se ereditassi beni esteri (tassati in Italia e estero, con crediti). Il consiglio è farsi assistere da un fiscalista specializzato in trust per capire dove, quando e quanto dichiarare.

D11: Sono un creditore e il mio debitore è morto lasciando solo eredi che hanno rinunciato. Ho perso tutto?
R: Non necessariamente tutto, ma la situazione è complicata. Se tutti i chiamati noti hanno rinunciato, puoi:
– Chiedere la nomina di un curatore dell’eredità giacente (art. 528 c.c.) per far inventariare eventuali beni e liquidarli verso i creditori. Devi farlo entro 10 anni dall’apertura della successione (dopo, lo Stato sarà divenuto erede automaticamente). Il curatore amministrerà e potrai insinuarti su quell’asse. Se però davvero non c’erano beni, la procedura sarà infruttuosa.
– Se sospetti che i chiamati abbiano rinunciato con l’accordo tacito di far prendere l’eredità a loro figli o altri, puoi monitorare eventuali accettazioni successive da parte di altri parenti. Ma non puoi costringere nessuno ad accettare.
Azione ex art. 524 c.c.: come creditore del rinunciante, puoi tentare questa carta solo se sei creditore di un chiamato che ha rinunciato e riesci a provare che la sua rinuncia ti ha leso (es. c’era attivo sufficiente a saldarti). Se il giudice accoglie, la rinuncia è annullata e quell’erede entra nell’eredità beneficiata per soddisfare i tuoi crediti. Questa è in pratica l’unica strada per “revocare” una rinuncia, ma devi essere creditore personale del rinunciante, non semplice creditore del defunto.
In sintesi, se l’eredità era un “peso” e tutti l’hanno rifiutata, è molto probabile che rimarrai senza garanzie. Dovrai vedere se il defunto aveva magari lasciato debiti garantiti (es. ipoteca su un bene) – in tal caso potresti aggredire quel bene anche se eredi non ce ne sono, attraverso esecuzione concorsuale su eredità giacente. Da debitore questo scenario (tutti rinunciano e i creditori rimangono con nulla) può sembrare ideale, ma di fatto presuppone che non ci fossero asset appetibili; ed è comunque una scelta dolorosa per la famiglia (perdere tutto).

D12: Cosa comporta ereditare un conto corrente all’estero?
R: Bisogna comunicare la morte alla banca estera e presentare la documentazione successoria (spesso tradotta e legalizzata). Molte banche internazionali accettano il Certificato Successorio Europeo se in UE. Potrebbero bloccare il conto finché non paghi eventuali tasse di successione locali (es. in Svizzera alcuni cantoni applicano tassa, in altri no). Una volta riconosciuto come erede, potrai trasferire i soldi. Fiscalmente, se il defunto era residente in Italia, quel conto va nella dichiarazione di successione italiana (valore alla data del decesso) e l’eventuale imposta estera pagata (es. in Francia c’è impôt de succession sui conti, in UK viene tassato l’intero asse quindi anche i conti concorrono) sarà scomputata dall’italiana. Come erede dovrai poi dichiarare quel conto nel monitoraggio fiscale (RW) per il periodo in cui resterà intestato a te all’estero. Se sei residente all’estero e il defunto pure era all’estero, in Italia non fai nulla; ma dovrai seguire le regole del Paese dove il conto si trova. Ad esempio, conto a Hong Kong: Hong Kong non tassa successioni, quindi dovrai solo far sbloccare la somma presentando testamento o atto di famiglia, e poi potrai rimpatriarla. Attenzione a eventuali regimi di successione forzata su conti: alcuni paesi islamici, ad esempio, applicano la Sharia ai depositi, quindi la banca potrebbe volere un Probate locale con ripartizione secondo la legge locale (non usuale per conti di stranieri, ma possibile se il conto è soggetto a legge locale). Conviene farsi seguire da un legale nel paese del conto se rilevante.

D13: Posso scegliere la legge italiana per la mia successione anche se vivo all’estero, così garantisco la legittima ai miei figli?
R: Sì, il Regolamento UE 650/2012 consente a chi ha cittadinanza italiana (anche se risiede fuori) di optare per la legge italiana nella disposizione testamentaria. Ciò fa sì che, ovunque tu muoia, le regole di devoluzione siano quelle italiane (quote legittima per coniuge e figli, ecc.). Questo è utile se risiedi in un Paese senza legittima (es. UK) ma vuoi comunque tutelare i figli; o viceversa se risiedi in un Paese con leggi che non ti piacciono (es. legge islamica locale) e preferisci l’italiana. Attenzione però: gli Stati extra-UE non sono tenuti a onorare la tua scelta. Se hai beni in un Paese non UE, potrebbero comunque applicare la loro legge locale su quelli (per es., immobili in un Paese islamico potrebbero essere soggetti a Sharia a prescindere). Tuttavia, almeno dentro l’UE (o negli stati che riconoscono la scelta) la tua volontà verrà rispettata. In scenario inverso, un italiano può scegliere legge straniera solo se ne ha la cittadinanza: un italiano puro non può “scegliere la legge inglese” se non è cittadino UK. Quindi la scelta serve più che altro a chi ha doppia cittadinanza. Comunque, nel tuo caso (residente estero, cittadinanza italiana) sì, puoi far testamento scegliendo legge italiana; così i tuoi beni ovunque verranno ripartiti come da codice civile italiano. Ricorda di indicarlo chiaramente nel testamento con formule tipo: “Ai sensi dell’art.22 Reg.UE 650/2012 scelgo che la presente successione sia regolata dalla legge italiana”.

D14: Cosa può fare un avvocato per aiutarmi in un’eredità internazionale con debiti?
R: Moltissimo. In sintesi, un avvocato esperto:

  • Analizza i documenti (testamenti, atti di proprietà, estratti conto, contratti di mutuo ecc.) e individua quali leggi si applicano, quali beni e debiti ci sono, quali rischi per l’erede.
  • Consiglia la strategia: ad esempio se accettare, come e dove avviare le pratiche (se aprire la successione in Italia o altrove), se è meglio rinunciare o accettare con beneficio, ecc.
  • Cura la procedura: redige le dichiarazioni di accettazione o rinuncia, coordina con notai per inventari o atti pubblici, rappresenta l’erede in tribunale se necessario (es. per opposizioni, nomina curatore eredità giacente, ricorsi vari).
  • Gestisce i creditori: notifica loro l’apertura della successione, li invita a farsi avanti entro termini, tratta eventualmente piani di pagamento, li informa se c’è un beneficio d’inventario e quali sono le regole (spesso i creditori non le conoscono bene e il legale deve “educarli” sulla par condicio). Li rappresenta eventualmente nella formazione dello stato di graduazione dei crediti.
  • Collabora con colleghi esteri: se servono pratiche in altri paesi, il tuo avvocato italiano potrà contattare corrispondenti all’estero e fornire loro la documentazione necessaria (ad esempio, far predisporre le apostille, traduzioni giurate, etc.).
  • Tutela in sede fiscale: provvede alla compilazione o supervisione della dichiarazione di successione in Italia, calcola le imposte e chiede i crediti d’imposta spettanti, prevenendo contestazioni del Fisco. Può anche assistere nel reperire certificati di pagamento di tasse estere da esibire qui.
  • Consulenza pianificatoria: se sei il futuro de cuius preoccupato per i tuoi cari, l’avvocato ti aiuta a predisporre testamenti, trust, patti di famiglia, assicurazioni, facendo in modo che al momento opportuno i tuoi eredi trovino una situazione ordinata e, per quanto possibile, priva di lacune normative. Questo include ad esempio scrivere nel testamento come vanno pagati eventuali debiti, nominare un fiduciario per vendere certi beni e pagare i creditori, ecc., riducendo il carico emotivo e pratico sugli eredi.

In sostanza l’avvocato in queste vicende è sia regista (coordina notai, commercialisti, avvocati esteri, autorità competenti) sia tutore legale che previene errori e difende in caso di cause. Date le complessità di una successione internazionale, rivolgersi a un legale specializzato è altamente raccomandato: il costo dell’assistenza sarà probabilmente ripagato da ciò che si risparmia evitando doppie tasse, sanzioni o cause lunghe.

D15: I miei fratelli vivono all’estero e non vogliono occuparsi della successione di nostro padre (residente in Italia). Posso fare tutto io?
R: Sì, è possibile che uno solo degli eredi segua le pratiche: ad esempio tu in Italia puoi presentare la dichiarazione di successione per tutti (indicando anche i fratelli non residenti), puoi fare l’inventario come erede beneficiato anche per loro se essi aderiscono, e così via. Magari nomineranno te come procuratore per rappresentarli negli atti. Se però intendono proprio disinteressarsi, valuta con un legale la strada migliore: ad esempio, potrebbero rinunciare e lasciar ereditare tutto a te (se c’è fiducia e un accordo di famiglia). Oppure possono fare una procura notarile a tuo favore per accettare a nome loro con beneficio d’inventario e poi gestire. Dovrai anche comunicare con loro su questioni tipo: li liquidi delle loro quote? (una sorta di accordo transattivo interno). Attenzione che se i fratelli non firmano nulla, tu non puoi accettare per loro (a meno che non abbiano rilasciato procura). Non esiste rappresentanza automatica tra coeredi. Quindi la cosa migliore è convincerli a farti delega formale. In assenza, se restano inerti, l’eredità resta giacente nella loro parte: potresti tu chiedere la nomina di un curatore per la parte non accettata – situazione anomala. Molto meglio ottenere collaborazione minima. Un avvocato può predisporre le procure necessarie e spiegarle a distanza. Essendo all’estero, i tuoi fratelli potranno fare la procura presso consolati italiani o notarile locale apostillata.

Queste sono alcune delle domande più frequenti. Ovviamente ogni caso ha particolarità che sfuggono alle risposte generali, quindi queste FAQ sono indicative e non sostituiscono una consulenza specifica.

6. Casi pratici e simulazioni (solo Italia)

Passiamo ora a qualche simulazione pratica per vedere in concreto come si applicano i principi esposti. I seguenti casi, sebbene semplificati, riflettono situazioni tipiche affrontate nella pratica, dal punto di vista del debitore (sia esso il de cuius o l’erede che si ritrova debitore).

Caso 1: “Eredità transfrontaliera con debiti superiori ai beni”
Mario, cittadino italiano, muore nel 2025 residente in Italia. Lascia: un appartamento in Italia (valore €200.000, ipotecato per mutuo residuo €50.000), un conto in banca in Italia (€20.000), e uno chalet in Svizzera (valore €300.000, ma gravato da un leasing ipotecario di €250.000). Inoltre aveva debiti personali: una carta di credito (€10.000) e una causa persa con risarcimento danni da €100.000 (sentenza poco prima della morte). Un patrimonio quindi di attivo lordo €520.000, passivo €410.000 circa. Eredi: due figli (Anna e Bruno). Entrambi figli adulti, senza troppa conoscenza giuridica. Se accettassero puramente, erediteranno netti €110.000 in teoria; ma dovranno pagare il risarcimento di €100.000 col loro patrimonio se i beni ereditari non bastano. Cosa fare con l’avvocato? In questo scenario, l’avvocato consiglierebbe:

  • Accettazione con beneficio d’inventario per entrambi. Si fa inventario: casa Italia €200k, chalet CH €300k, conto €20k; debiti: mutuo €50k, leasing CH €250k, carta €10k, risarcimento €100k, totale €410k. Attivo netto stimato €110k. Nessun creditore fa opposizione (ipotizziamo).
  • Anna e Bruno vendono subito lo chalet svizzero (col consenso della leasing bank) ricavando €300k con cui estinguono €250k di leasing. Rimangono €50k da quell’operazione. Usano €50k + i €20k del conto per pagare la carta (€10k) e parte del risarcimento (€60k pagati). Restano €40k di risarcimento non soddisfatti.
  • La casa in Italia, ipotecata, la mettono in vendita: supponiamo la vendano €200k e chiudano il mutuo (€50k) con parte del ricavato. Rimangono €150k. Con questi pagano il residuo risarcimento €40k. Avanzano €110k.
  • Tolte spese varie, diciamo rimangono €100k da dividere tra Anna e Bruno. I creditori sono stati tutti soddisfatti o quasi (il risarcimento è stato pagato integralmente; la banca mutuo e leasing pure; la carta pure). I €100k finali sono loro libero patrimonio.
    Se invece avessero accettato in modo semplice: i creditori avrebbero potuto aggredire i beni subito. Magari i figli avrebbero dovuto sborsare di tasca se le vendite tardavano. Con la procedura ordinata, hanno realizzato il netto senza dover aggiungere capitale proprio.
    Se i debiti fossero stati maggiori (es: risarcimento €180k, quindi passivo €490k > attivo €520k, però quasi pari), il beneficio li proteggeva dall’eventuale buco. Con l’accettazione semplice, avrebbero rischiato di dover ipotecare le proprie case per coprire.

Caso 2: “Erede imprenditore indebitato e l’eredità come via d’uscita”
Luigi ha debiti personali per €300.000 con varie banche. È sull’orlo del default. Nel 2025 muore sua madre, lasciandogli in eredità la casa di famiglia (valore €250.000, libera da ipoteche) e €50.000 sul conto, nessun debito. Luigi, se accetta, erediterà €300.000 di beni, ma i suoi creditori glieli pignoreranno appena diventa proprietario. Luigi consulta un avvocato, che propone una strategia:

  1. Accettare l’eredità con beneficio d’inventario (nel suo caso non per proteggersi dai debiti materni – che non ci sono – ma per guadagnare tempo e controllo sui beni ereditari, tenendoli separati dai suoi).
  2. Ottenere autorizzazione a vendere la casa ereditata. L’avvocato spiega ai creditori personali che Luigi sta liquidando un bene ereditato: propone di transare i debiti offrendo il ricavato pro-quota.
  3. Luigi vende la casa a valore di mercato: €250.000. Sommati ai €50.000 di conto, ha €300.000 ereditari liquidi segregati. Con l’aiuto legale, negozia con le banche un accordo: pagare il 70% del dovuto subito in cambio di saldo a zero. Ottenuto l’accordo, paga €210.000 ai creditori, che stralcia €90.000 di debito. Gli rimane €90.000 di eredità netta. Chiude il beneficio d’inventario mostrando che i creditori ereditari non ce n’erano, quindi quei €90k residui li intasca come erede.
  4. I creditori personali ottengono più di quanto forse avrebbero preso da esecuzioni forzate lunghe e costose; Luigi si libera dai debiti (anche se ha dovuto sacrificare la casa di famiglia, ma l’avrebbe persa comunque via pignoramento).
    Se Luigi avesse rinunciato all’eredità sperando di tenere la casa in famiglia, i suoi creditori avrebbero potuto farsi autorizzare ad accettare l’eredità in sua vece ex art. 524 c.c. e poi liquidare la casa. Quindi la rinuncia non li avrebbe fermati. Invece così Luigi, collaborando e usando l’eredità come leva, ha ottenuto una soluzione sostenibile. Questo caso evidenzia l’importanza di coordinare successione e posizione debitoria dell’erede.

Caso 3: “Patto di famiglia e prevenzione di liti e insolvenze”
Il signor Rossi ha 70 anni, tre figli. Possiede una srl di famiglia (valore €2 milioni) e alcuni immobili, ma anche debiti derivanti da fideiussioni prestate per l’azienda (€500.000 potenziali). Rossi è malato e teme che alla sua morte i figli litigheranno per l’azienda e i creditori (banche) si rifaranno su immobili e azienda. Con l’aiuto di un avvocato e un notaio, stipula un patto di famiglia: trasferisce subito le quote della srl al figlio primogenito che già lavora nell’impresa, e contestualmente assegna agli altri due figli alcuni immobili a titolo di liquidazione delle loro quote di legittima sul valore dell’azienda, concordando che questi beni soddisfano le loro spettanze. Tutti firmano il patto. Inoltre Rossi stipula un’assicurazione sulla vita indicendo come beneficiari i tre figli in parti uguali per €500.000 (in modo da coprire l’eventuale escussione delle fideiussioni). Quando Rossi muore:

  • L’azienda non entra neanche in successione (era già del figlio), e il patto di famiglia impedisce contestazioni: i fratelli non possono chiedere altro sull’azienda. L’impresa continua senza intoppi e senza dover dividerne la proprietà.
  • Gli immobili assegnati restano a quegli eredi che li avevano avuti (il patto produce effetti di donazione ma non revocabili né soggetti a riduzione, perché i legittimari hanno già accettato la sistemazione).
  • I debiti da fideiussione: le banche escutono la polizza vita di Rossi (che è fuori dall’asse ereditario) pagando i €500k, oppure se escutono gli eredi, questi usano il capitale assicurativo che hanno ricevuto per adempiere. In ogni caso, i creditori vengono soddisfatti senza intaccare i beni ereditari.
  • La restante eredità di Rossi (eventuali altri beni minori) viene accettata senza problemi, con poco o nessun debito residuo.
    In questo scenario ben pianificato, non c’è neppure bisogno di beneficio d’inventario: il de cuius ha “pulito” e predisposto l’assetto. I creditori non restano danneggiati (anzi, polizza alla mano, vengono pagati; se la polizza non bastasse, potrebbero aggredire i beni residui di Rossi, ma erano pochi e i figli con accordo interno potrebbero integrare). Un patto di famiglia non è sempre così facile – tutti gli interessati devono collaborare – ma mostra come un intervento in vita può prevenire l’insorgere di eredità contenziose e situazioni debitorie ingestibili post mortem.

Caso 4: “Successione internazionale senza Regolamento: legge nazionale e problemi di foro”
Un ultimo caso più giuridico: John, cittadino britannico residente in Italia, muore nel 2025. Lascia una casa in Toscana e investimenti finanziari a Londra. Ha moglie e due figli. John fece testamento dicendo “lascio tutto alla moglie”. In UK, vige libertà di testare e niente quote obbligatorie per i figli. In Italia, però, i due figli avrebbero diritto ciascuno a 1/4 come legittima (essendoci coniuge e due figli: legittima totale 1/2 patrimonio ai figli, 1/4 al coniuge). Qual è la legge applicabile? John non ha scelto legge nel testamento. Essendo cittadino UK, ma residente abituale in Italia, il Regolamento UE 650/2012 dice: legge italiana (residenza prevale in mancanza di professio). Quindi la successione andrebbe regolata dalla legge italiana che prevede la legittima per i figli. I figli potrebbero agire in riduzione contro la madre per ottenere la loro quota. Tuttavia, attenzione: il Regno Unito non applica il Regolamento e considera la propria legge. Se i figli provano a far valere l’ordine italiano sulla banca di Londra per congelare i fondi, il diritto inglese dirà: il testamento valido lascia tutto alla moglie, i figli non sono beneficiari, la banca consegnerà alla moglie. I figli dovrebbero iniziare causa in Italia (dove c’è la casa) per la riduzione; otterrebbero ragione e la casa verrebbe forse divisa diversamente. Ma i soldi a Londra ormai li ha presi la moglie. Potrebbero tentare un’azione in UK ma la legge inglese non riconosce la legittima come ordine pubblico suo (al più i figli minori potrebbero far causa per financial provision ma se adulti, nulla). In sintesi, due risultati diversi a seconda del Paese: in Italia moglie condannata a dare ai figli la quota su casa; in UK nessuna pretesa per loro sui conti. La moglie potrebbe rifiutarsi di applicare la sentenza italiana sui soldi. Se i figli provano a forzare in UK, UK dirà legge applicabile per beni mobili di un britannico è la lex domiciliae (forse Italia, ma UK non ha aderito al reg. UE; però UK potrebbe autonomamente applicare la legge italiana se dottrina renvoi glielo suggerisce; ma di solito per mobili deceduto UK applica legge del domicilio – che era Italia in effetti…questo è complicato!). In pratica, i figli avrebbero un bel grattacapo giuridico internazionale.
Soluzione che avrebbe evitato il problema: se John avesse scelto la legge inglese (sua nazionalità) per la successione, allora anche l’Italia avrebbe applicato la legge inglese, che consente di lasciare tutto alla moglie, e i figli non avrebbero potuto lamentarsi (forse solo un assegno alimentare ex art. 46 co.2 L.218/95 se proprio dipendenti economicamente). Questo è un esempio in cui scegliere la legge straniera avrebbe dato uniformità ed evitato conflitti. Inversamente, se John voleva i figli comunque protetti, avrebbe potuto far testamento assegnando loro delle somme, oppure (non avendo scelto) almeno i figli possono lottare in Italia. Ma la disarmonia rimane. Un avvocato che avesse seguito John in vita gli avrebbe certamente suggerito: “hai due ordinamenti in ballo, scegli uno e allinea il tutto” – a seconda degli obiettivi (tutelare coniuge o figli).

I casi sopra dimostrano come, con le conoscenze adeguate, sia possibile anticipare e risolvere molte questioni. Ogni scenario successorio con elementi esteri e debiti è un piccolo progetto da gestire: l’assistenza professionale fa la differenza nei risultati.

Conclusioni

Affrontare un’eredità con beni e debiti all’estero è un compito complesso che richiede competenze multidisciplinari. Dal diritto internazionale privato (per stabilire legge applicabile e giurisdizione) al diritto civile (per gestire accettazione, rinuncia, quote di legittima, azioni dei creditori) e fino al diritto tributario (per ottimizzare l’imposizione e sfruttare crediti d’imposta), le sfide sono molte.

Questa guida ha esaminato in dettaglio gli strumenti e le strategie a disposizione, con un’attenzione particolare al punto di vista “difensivo” del debitore – sia esso l’erede che teme di ereditare debiti, sia il de cuius che vuole proteggere i suoi cari dai propri debiti. Abbiamo visto che l’ordinamento offre soluzioni preventive (beneficio d’inventario, patti di famiglia, trust, polizze) e rimedi successivi (azione di riduzione, strumenti di tutela dei creditori, ecc.) per bilanciare gli interessi in gioco: da un lato garantire che i creditori legittimi vengano soddisfatti per quanto possibile, dall’altro non penalizzare oltremodo chi eredita, che non deve essere rovinato da debiti altrui oltre il valore ricevuto.

È emerso con forza un concetto: la pianificazione anticipata è la chiave. Coinvolgere un avvocato esperto prima – ossia al momento di predisporre il passaggio generazionale, o subito dopo l’apertura della successione prima di compiere scelte irreversibili – può trasformare una potenziale crisi in una situazione gestibile. Al contrario, trascurare questi aspetti può portare a perdite ingenti di patrimonio (pagare più tasse del dovuto, o pagare debiti che si potevano evitare, o perdere beni per mancate azioni).

In un contesto ormai di famiglie “globali” (con legami affettivi ed economici che superano i confini) e di crescente mobilità, le successioni internazionali diventeranno sempre più frequenti. Il Regolamento europeo sulle successioni ha semplificato molto per i Paesi UE, ma restano sacche di complessità con paesi terzi. Inoltre, la normativa fiscale è in continuo divenire (lo dimostra la riforma italiana del 2024 sui trust e possibili future modifiche alle aliquote di successione) e bisogna stare al passo per evitare errori.

Chi legge questa guida, sia esso avvocato, imprenditore o privato cittadino, dovrebbe aver ricavato alcuni principi fondamentali:

  • Valutare sempre l’asse attivo/passivo e scegliere consapevolmente se e come accettare l’eredità. La legge offre opzioni: usarle appropriatamente fa la differenza tra protezione e rovina.
  • Coordinare le leggi applicabili: un piccolo sforzo (es. testamento con professio iuris) può evitare conflitti enormi. Allo stesso modo, conoscere i trattati e il diritto internazionale privato impedisce di restare spiazzati da norme straniere.
  • Non sottovalutare la fiscalità: la doppia imposizione è un pericolo, ma le soluzioni ci sono (convenzioni, crediti interni). Pianificare il passaggio di asset in modo fiscalmente efficiente (esenzioni aziendali, collocazione di beni in Paesi senza imposta, ecc.) può far risparmiare molto.
  • Strumenti di asset protection: trust, holding, assicurazioni, patti di famiglia, sono tasselli di un mosaico che deve essere disegnato su misura. Nessuno strumento è universale o perfetto, vanno combinati in base agli obiettivi (proteggere dai creditori? evitate liti tra eredi? massimizzare il netto eredità? ecc.).
  • Il ruolo centrale del legale: solo un professionista qualificato può tenere insieme tutti i fili – legale, fiscale, internazionale – e guidare la famiglia attraverso il processo. Dalla giurisprudenza più aggiornata (es. Cass. 2023 sui trust, CGUE 2023 su Regolamento) agli adempimenti pratici, l’avvocato informato farà risparmiare tempo, soldi e stress.

In chiusura, gestire “beni e debiti all’estero” in una successione non è mai semplice, ma con le giuste conoscenze (come quelle che abbiamo cercato di condensare qui) e con l’affiancamento di un avvocato di fiducia, si possono evitare errori fatali e trasformare un momento critico in un percorso risolutivo. Il debitore (erede o de cuius) non è senza speranza: il diritto, se ben utilizzato, offre riparo e strumenti equi. Come recita un antico brocardo, “usus modernus pandectarum” – l’uso moderno delle pandette, ovvero adattare i principi giuridici alle esigenze attuali – è ciò che dobbiamo fare: prendere istituti classici (beneficio d’inventario nato nel 1942, legittima radicata da secoli, trust di common law, etc.) e usarli per risolvere i problemi di oggi, come un’eredità con beni in quattro Paesi e creditori in agguato.

Affrontando la questione con questa mentalità proattiva e informata, “cosa fare con l’avvocato” diventa chiaro: pianificare, proteggere e procedere con sicurezza nell’interesse di tutte le parti coinvolte.


Fonti

  1. Regolamento (UE) n. 650/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 4 luglio 2012 – Regolamento Successioni (testo consolidato).
  2. Corte di Giustizia UE, sentenza 12 ottobre 2023, causa C-21/22 – Caso OP vs Gawlica, scelta della legge di uno Stato terzo e rapporto con accordi bilaterali.
  3. Cassazione Civile, Sez. II, sent. n. 787/2022 – Necessità di accettazione con beneficio d’inventario per legittimario che agisce in riduzione contro donatari non coeredi (principio esteso ai trust).
  4. Cassazione Civile, Sez. I, sent. n. 5073/2023 – Trust a fini successori, qualificazione come liberalità non donativa ex art. 809 c.c., soggetta ad azione di riduzione (non nullità) nei limiti della lesione di legittima.
  5. Osservatorio Wealth, 29 nov. 2024 – Successioni transnazionali: legge applicabile e contrasto alle doppie imposizioni – Approfondimento su Reg. UE 650/2012 e trattamento fiscale internazionale delle successioni.
  6. Eutekne – R. Barone, 2 dic. 2020 – Convenzioni limitate per le successioni internazionali – Rassegna delle convenzioni bilaterali italiane sulle imposte di successione e credito ex art. 26 TUS.
  7. D.Lgs. 18 settembre 2024 n. 139 – Riforma dell’imposta sulle successioni e donazioni in attuazione della L. 111/2023 (delega fiscale), novità su trust e vincoli di destinazione.
  8. Ministero Economia e Finanze – sito Finanze.gov.it, sezione Convenzioni – Elenco e testi delle convenzioni bilaterali italiane contro le doppie imposizioni, incluse quelle su successioni (USA 1955, UK 1966, etc.).

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Conclusione

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