Hai sottoscritto un contratto di leasing ma ti trovi in difficoltà e non riesci più a pagare i canoni? Oppure sei una società che ha già interrotto i pagamenti e ora riceve solleciti, richieste di rientro o minacce di risoluzione? Ti stai chiedendo cosa succede se l’utilizzatore non paga i canoni di leasing e quali sono le conseguenze legali e patrimoniali?
Il mancato pagamento dei canoni di leasing è considerato un grave inadempimento contrattuale, ma questo non significa che sei automaticamente rovinato o senza via d’uscita. Puoi ancora difenderti, rinegoziare o evitare le conseguenze peggiori.
Cosa succede se smetti di pagare i canoni di leasing?
– Il concedente ti invia solleciti e lettere di costituzione in mora
– Dopo il mancato pagamento di due canoni consecutivi, può chiedere la risoluzione del contratto
– Ti può intimare la restituzione immediata del bene (auto, macchina industriale, immobile, ecc.)
– Può richiederti il pagamento dei canoni residui, spesso con penali
– In caso di leasing finanziario, può agire giudizialmente per il recupero dell’intero credito
Il concedente può riprendersi il bene?
Sì. Se il contratto è risolto per inadempimento, la società di leasing ha diritto alla restituzione del bene, anche forzatamente. In certi casi può anche ottenere un decreto ingiuntivo per riavere il possesso.
Devi comunque pagare tutti i canoni anche dopo la restituzione?
Dipende dal tipo di contratto e dalle clausole sottoscritte. Spesso, nei leasing finanziari, è previsto che tu debba pagare:
– I canoni scaduti e non pagati
– Una penale per la risoluzione anticipata
– Il valore attuale dei canoni futuri scontati
– Le spese di recupero e i danni per l’usura del bene
Quando il leasing può essere contestato o rinegoziato?
– Se vi sono clausole vessatorie nel contratto
– Se il contratto è stato strutturato in modo sproporzionato rispetto alla tua capacità economica
– Se l’inadempimento è parziale, e puoi dimostrare la volontà di rientrare
– Se hai subito danni per vizi del bene ricevuto o mancata consegna
– Se il concedente ha agito con eccessiva rigidità e senza valutare soluzioni alternative
Come puoi difenderti se non riesci più a pagare?
– Verifica attentamente il contratto di leasing: clausole, penali, condizioni di recesso
– Negozia una ristrutturazione del debito o un piano di rientro
– Se la situazione è compromessa, valuta la restituzione concordata del bene
– In caso di risoluzione, analizza la legittimità dell’azione giudiziaria
– Se hai altri debiti, puoi valutare la procedura di sovraindebitamento, che consente di bloccare azioni esecutive e ristrutturare tutti i debiti, incluso il leasing
Cosa rischi se non reagisci in tempo?
– Il pignoramento dei tuoi beni personali o aziendali
– L’iscrizione a ruolo e cartelle esattoriali per imposte non versate collegate
– La perdita del bene in leasing senza possibilità di riscatto
– La segnalazione in Centrale Rischi e difficoltà di accesso al credito futuro
Non pagare i canoni di leasing non è la fine, ma un momento critico da gestire con lucidità. Esistono strumenti per rimediare, ma devi attivarli subito, prima che il concedente agisca in via giudiziale.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto bancario e crisi da indebitamento d’impresa e privati ti spiega cosa accade quando non paghi i canoni di leasing, quali sono i tuoi diritti e come difenderti per evitare danni maggiori.
Hai ricevuto una diffida o un atto giudiziario per un leasing non pagato? Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Verificheremo il contratto, la tua posizione e le possibili alternative per fermare la procedura e salvare i tuoi beni o la tua azienda.
Introduzione
Il contratto di leasing finanziario strumentale è uno strumento diffusissimo per finanziare l’acquisto di beni mobili destinati all’attività d’impresa, come macchinari, veicoli o attrezzature. In uno schema tipico, una società finanziaria (il concedente) acquista il bene scelto dall’impresa o privato utilizzatore, e lo concede in uso a quest’ultimo (l’utilizzatore o conduttore) dietro pagamento di canoni periodici. Al termine, l’utilizzatore ha facoltà di acquistare la proprietà del bene pagando un prezzo prefissato di riscatto. Durante la durata del leasing l’utilizzatore assume tutti i rischi relativi al bene, anche di perimento, ed è tenuto a conservarlo e manutenere a proprie spese.
Ma cosa accade se l’utilizzatore non paga i canoni di leasing alle scadenze convenute? Dal punto di vista del debitore (utilizzatore), l’inadempimento comporta conseguenze sia contrattuali che legali: il concedente potrà risolvere il contratto, reclamare la restituzione del bene e agire per recuperare il credito residuo. La disciplina italiana sul leasing finanziario – consolidata dalla Legge n. 124/2017 – ha introdotto regole specifiche, ispirate a un principio di equilibrio (cosiddetto patto marciano), per evitare arricchimenti indebiti e tutelare l’utilizzatore anche in caso di morosità grave. In questa guida approfondiremo in chiave avanzata tali profili: normativa vigente (aggiornata a giugno 2025), recentissime sentenze di Cassazione, aspetti fiscali e contabili, nonché strategie difensive e soluzioni pratiche per il debitore. Troverete inoltre domande e risposte frequenti, tabelle riepilogative e modelli di atti utili a comprendere meglio la materia dal punto di vista dell’utilizzatore inadempiente.
Il contratto di leasing finanziario strumentale: caratteristiche generali
Per contestualizzare le conseguenze dell’inadempimento, è utile richiamare sinteticamente la natura del leasing finanziario strumentale. In base alla definizione normativa introdotta dalla L. 124/2017, la locazione finanziaria è il contratto con cui una banca o intermediario finanziario acquista (o fa costruire) un bene su scelta dell’utilizzatore, mettendoglielo a disposizione per un tempo determinato, verso corrispettivo periodico, e con diritto per l’utilizzatore di acquistare la proprietà a scadenza pagando un prezzo prestabilito. L’utilizzatore assume tutti i rischi inerenti al bene sin dalla consegna, compresi perimento e deterioramento, ed è normalmente contrattualmente obbligato ad assicurarlo e mantenerlo in stato regolare.
Dal punto di vista economico, il canone di leasing non è un semplice corrispettivo di un noleggio, ma rimborsa il finanziamento concesso dal lessor per l’acquisto del bene, includendo quota capitale (costo del bene) più interessi, oneri e margine di profitto del concedente. Spesso è previsto un anticipo (maxi-canone) versato dall’utilizzatore alla stipula, per ridurre il rischio del concedente e l’ammontare dei canoni successivi. La durata del leasing in genere copre la vita economica del bene: nei leasing strumentali (macchinari, attrezzature) la durata tende a coincidere con l’intera vita utile del bene, mentre in altri casi (es. beni a rapida obsolescenza) può essere inferiore.
Un aspetto cruciale è che, pur non essendone proprietario fino all’eventuale riscatto finale, l’utilizzatore sopporta ogni rischio relativo al bene. Le comuni clausole contrattuali di “inversione del rischio” prevedono ad es. che l’utilizzatore continui a pagare i canoni anche se il bene subisce vizi, ritardi di consegna o perdite/danni per causa non imputabile al concedente. Parimenti, se il bene perisce o viene sottratto, l’utilizzatore resta obbligato a pagare i canoni residui (eventualmente coperti dall’assicurazione). Tali pattuizioni, in deroga alle norme sulla locazione ordinaria, sono ritenute valide dalla giurisprudenza data la natura finanziaria del leasing, in cui il concedente acquista il bene nell’interesse e su indicazione dell’utilizzatore, trasferendo a quest’ultimo sia i rischi sia le azioni e garanzie verso il fornitore.
Riassumendo: nel leasing finanziario il concedente rimane proprietario formale del bene sino a riscatto, ma l’utilizzatore ne ha la disponibilità e utilità economica, pagando canoni che rimborsano un finanziamento. Questa struttura contrattuale incide sulle tutele e rimedi in caso di mancato pagamento dei canoni, come vedremo: la permanenza della proprietà in capo al concedente facilita la restituzione del bene in caso di risoluzione, ma l’assunzione dei rischi da parte dell’utilizzatore comporta che quest’ultimo, se inadempiente, non possa semplicemente “liberarsi” senza ulteriori conseguenze economiche.
Obbligo di pagamento dei canoni e nozione di grave inadempimento
L’utilizzatore è contrattualmente tenuto a pagare puntualmente i canoni periodici alle scadenze convenute. Il contratto di leasing prevede normalmente un calendario rateale e specifica che il mancato o ritardato pagamento costituisce inadempimento. In genere, per rafforzare l’obbligo, i contratti contengono clausole di decadenza dal beneficio del termine (tutte le rate a scadere diventano immediatamente esigibili in caso di morosità) e/o una clausola risolutiva espressa per mancato pagamento. Inoltre è prassi la previsione di interessi di mora su ogni importo pagato in ritardo, spesso a tassi superiori (es. tasso contrattuale aumentato di alcuni punti percentuali).
Tuttavia, non ogni inadempimento pecuniario dà diritto automaticamente al concedente di risolvere il contratto. Il Codice Civile stabilisce che nei contratti a prestazioni corrispettive la risoluzione è consentita solo se l’inadempimento di una parte non è di scarsa importanza (art. 1455 c.c., “principio di gravità”) e consente alle parti di pattuire risoluzioni automatiche via clausole ex art. 1456 c.c. (clausola risolutiva espressa). Nel leasing finanziario, la Legge n. 124/2017 ha tipizzato cosa si intende per grave inadempimento dell’utilizzatore in ambito finanziario, fissando una soglia minima di morosità. L’art. 1, comma 137 L.124/2017 recita infatti:
“Costituisce grave inadempimento dell’utilizzatore il mancato pagamento di almeno sei canoni mensili o due canoni trimestrali anche non consecutivi (o un importo equivalente) per i leasing immobiliari, ovvero di quattro canoni mensili anche non consecutivi (o un importo equivalente) per gli altri contratti di locazione finanziaria.”
In altri termini, per i leasing di beni mobili strumentali (non immobiliari) il legislatore presume la gravità dell’inadempimento al mancato pagamento di almeno 4 canoni mensili (anche non consecutivi) oppure, se la fatturazione è trimestrale, almeno 4 mensilità equivalenti. Per i leasing immobiliari la soglia è più ampia (6 mensilità o 2 trimestralità). Questa previsione “tipica” è volta a tutelare l’utilizzatore da risoluzioni facili o pretestuose da parte del finanziatore: impedisce che una singola rata saltata o un ritardo minimo possano portare automaticamente alla perdita del bene e degli importi versati. In passato, prima del 2017, la giurisprudenza ammetteva clausole risolutive espresse molto rigorose (anche risoluzione per il mancato pagamento di una sola rata) in nome dell’autonomia contrattuale. Oggi, clausole che prevedano la risoluzione per mancato pagamento di un numero di canoni inferiore a quello indicato dalla legge devono considerarsi inefficaci, perché in contrasto con la nuova disciplina imperativa sulla gravità dell’inadempimento. Di conseguenza, se il contratto stabilisse ad esempio la risoluzione automatica dopo 1 o 2 rate non pagate, tale pattuizione non potrebbe più essere fatta valere dal concedente: occorrerebbe comunque attendere che la morosità raggiunga la soglia legale (4 mensilità per i leasing strumentali) per poter agire in risoluzione senza incorrere in un sindacato del giudice sulla non scarsa importanza (art.1455 c.c.).
Eccezione – altri inadempimenti: va precisato che la soglia di cui sopra si riferisce all’inadempimento finanziario (mancato pagamento dei canoni). Il contratto di leasing può però prevedere altre obbligazioni a carico dell’utilizzatore (es. obbligo di manutenzione, di non cambiare destinazione d’uso al bene, di non sublocare senza consenso, di assicurare il bene, ecc.). In caso di violazioni “gestorie” di tali obblighi, se esse sono di gravità tale da compromettere in modo significativo gli interessi del concedente, è ammessa la risoluzione secondo il diritto comune. Ad esempio, l’abbandono del bene, il suo uso improprio, il mancato mantenimento con conseguente deprezzamento notevole del valore del bene, oppure il venir meno delle garanzie patrimoniali dell’utilizzatore, possono costituire giusta causa di risoluzione anche se i canoni sono pagati regolarmente. Le parti possono inserire clausole risolutive espresse specifiche per questi casi (in ossequio all’art. 1322 c.c. sulla libertà contrattuale) e la L.124/2017 non le esclude, in quanto la norma si limita a regolamentare la gravità dell’inadempimento finanziario (morosità nei pagamenti). Pertanto, il concedente potrà invocare la risoluzione per inadempimenti diversi dal mancato pagamento (purché seri), oppure – se presenti rate insolute ma sotto-soglia – potrà comunque agire giudizialmente chiedendo la risoluzione ex art. 1455 c.c. provando la gravità in concreto.
Tabella – Soglia di “grave inadempimento” nel leasing finanziario (art.1 co.137 L.124/2017):
Tipo di contratto di leasing | Morosità minima per grave inadempimento |
---|---|
Leasing immobiliare (bene ad uso abitativo o non) | ≥ 6 canoni mensili (anche non consecutivi) o ≥ 2 canoni trimestrali (anche non consecutivi) o importo equivalente non pagato. |
Leasing strumentale (beni mobili, es. macchinari, autoveicoli, attrezzature) | ≥ 4 canoni mensili (anche non consecutivi) o importo equivalente (p.es. 1 canone trimestrale e 1 mensile, ecc.) non pagati. |
Nota: Le soglie sopra indicate rappresentano il requisito minimo legale perché l’inadempimento sia considerato grave ex lege. Ciò non toglie che, superate tali soglie, la gravità sia automatica. Viceversa, per morosità inferiori, una risoluzione sarà preclusa (se basata su clausola espressa) o dovrà passare al vaglio del giudice (che difficilmente la concederà per pochi ritardi lievi). In ogni caso è opportuno per l’utilizzatore evitare di accumulare arretrati: se si prospetta difficoltà nel pagamento, è consigliabile attivarsi per tempo (si veda oltre) perché una volta superata la soglia dei 4 canoni non pagati, il concedente avrà titolo per procedere con la risoluzione.
Procedura di risoluzione del contratto per inadempimento (morosità)
Quando si verifica un inadempimento qualificabile come grave (ad esempio, quattro rate di leasing strumentale impagate), il concedente ha facoltà di dichiarare la risoluzione del contratto di leasing. Esaminiamo i passi tipici di questa procedura, evidenziando i diritti e doveri delle parti.
1. Dichiarazione di risoluzione – diffida o clausola risolutiva espressa:
Nella prassi, i contratti di leasing finanziario contengono una clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c., che lega la risoluzione automatica al mancato pagamento dei canoni. Questa clausola va ora letta alla luce della L.124/2017, cioè opererà quando la morosità raggiunge la soglia di gravità (come visto sopra). Il concedente, tramite lettera raccomandata o PEC inviata all’utilizzatore, comunica di volersi avvalere della clausola risolutiva e dichiara risolto di diritto il contratto per inadempimento. Contestualmente, viene intimato all’utilizzatore di versare immediatamente tutti gli importi dovuti e di restituire il bene. Spesso la comunicazione contiene una diffida ad adempiere con un breve termine (ad es. 15 giorni) entro cui regolarizzare il pagamento per evitare la risoluzione, oppure è preceduta da solleciti di pagamento. Dal punto di vista legale, se è presente la clausola risolutiva espressa, non sarebbe neppure necessaria la diffida ad adempiere formale ex art. 1454 c.c. (che richiede almeno 15 giorni): la risoluzione può essere dichiarata immediatamente, salvo concedere per cortesia un ultimo termine di grazia. In mancanza di clausola espressa, il concedente dovrebbe invece attivare la procedura di diffida ad adempiere ai sensi di legge (intimando per iscritto l’utilizzatore a pagare entro almeno 15 giorni, con avvertimento che, decorso inutilmente il termine, il contratto si intenderà risolto di diritto). Trascorso detto termine senza esito, la risoluzione si verifica automaticamente ex lege.
Di seguito un esempio semplificato di lettera inviata dal concedente all’utilizzatore moroso:
Oggetto: Risoluzione contratto di leasing n. 12345 per inadempimento
Egregio Sig. XYZ,
con riferimento al contratto di leasing finanziario n. 12345, relativo a [descrizione bene], La informiamo che risultano impagati n. 4 canoni mensili (scadenze: 01/03, 01/04, 01/05, 01/06/2025), per un importo totale di € XX.XXX,00. Tale inadempimento, ai sensi dell’art. 1, co. 137 L.124/2017 e dell’art. … del contratto, costituisce grave inadempimento.
Pertanto, la scrivente società dichiara risolto di diritto il suddetto contratto di leasing, volendosi espressamente avvalere della clausola risolutiva prevista. Le intimiamo di restituire immediatamente il bene oggetto del leasing (nello stato di uso in cui si trova) e di voler corrispondere entro e non oltre 10 giorni dal ricevimento della presente tutte le somme ancora dovute contrattualmente, indicate nel prospetto allegato (canoni scaduti, interessi di mora, spese legali, etc.), salvo conguaglio di quanto sarà ricavato dalla successiva vendita del bene come da art. 1 co.138 L.124/2017.
In difetto, ci vedremo costretti ad adire le vie legali competenti per ottenere la restituzione coattiva del bene e il recupero del credito, con aggravio di spese a Suo carico.
Distinti saluti.
Società Alfa Leasing S.p.A. – Ufficio Legale.*
Come vediamo, la lettera comunica la risoluzione e ordina la riconsegna del bene, riservandosi il calcolo finale del dovuto una volta venduto il bene (salvo conguaglio). Da questo momento, l’utilizzatore non ha più titolo per detenere o utilizzare il bene in leasing: deve riconsegnarlo al più presto al legittimo proprietario (il concedente). Egli perde anche il diritto di riscattare la proprietà del bene a fine contratto, in quanto la risoluzione anticipata fa venir meno l’opzione di acquisto (tranne casi di accordo successivo differente).
2. Restituzione del bene al concedente:
È interesse dell’utilizzatore collaborare e restituire spontaneamente il bene appena il contratto è risolto, per evitare ulteriori complicazioni. Il bene andrà consegnato nel luogo e con le modalità previste (spesso il contratto indica che, in caso di risoluzione, l’utilizzatore deve spedire o rendere disponibile il bene al domicilio del concedente, a proprie spese). Se l’utilizzatore non restituisce il bene, il concedente potrà agire giudizialmente per ottenerne il rilascio coattivo. In particolare, potrà richiedere un provvedimento di ingiunzione o un ordine di consegna ex art. 605 c.p.c. (esecuzione per consegna di beni mobili), da eseguirsi tramite ufficiale giudiziario. Il contratto di leasing, se redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata, costituisce titolo esecutivo ai sensi dell’art. 474 c.p.c. per la restituzione del bene (oltre che per il pagamento delle somme) – condizione spesso soddisfatta poiché molti contratti di leasing vengono stipulati per atto notarile. In tal caso, il concedente può procedere direttamente con esecuzione forzata per il rilascio, senza dover ottenere prima una sentenza. Se invece il contratto non ha forma di titolo esecutivo, sarà necessario un ricorso al giudice: tipicamente il concedente chiederà un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo per la restituzione del bene, oppure un provvedimento d’urgenza (se vi è pericolo nel ritardo, ex art. 700 c.p.c.) per poterne rientrare in possesso velocemente. Una volta munito di titolo esecutivo, l’ufficiale giudiziario potrà recarsi presso l’utilizzatore, anche con l’ausilio della forza pubblica se occorre, per ritirare il bene. Trattenere il bene senza titolo costituisce per l’utilizzatore un illecito: oltre all’esecuzione civile, potrebbe configurarsi il reato di appropriazione indebita (art. 646 c.p.) qualora l’utilizzatore, dopo la risoluzione, non restituisca un bene di cui detiene il possesso senza più titolo. Ciò a maggior ragione se egli tenta di distrarre o nascondere il bene, o peggio di venderlo a terzi (vendere un bene altrui costituisce anche reato di truffa o ricettazione per l’acquirente consapevole).
Attenzione: dal momento della risoluzione, l’utilizzatore non è più legittimato a usare il bene. Continuare ad utilizzarlo o rifiutarsi di restituirlo espone a responsabilità sia civili (per il deterioramento ulteriore e per l’eventuale lucro cessante del concedente che non può riallocare il bene) sia potenzialmente penali. Conviene quindi cooperare e riconsegnare tempestivamente.
3. Calcolo degli importi dovuti e vendita del bene (principio del “patto marciano”):
Contestualmente alla risoluzione, il rapporto economico tra le parti deve essere liquidato. Il concedente non può semplicemente tenersi tutte le somme già incassate e pretendere anche tutte le restanti, in aggiunta al bene, senza criteri: ciò creerebbe un indebito vantaggio. Viceversa, nemmeno l’utilizzatore può aspettarsi di uscire senza debiti se il valore del bene e quanto già pagato non coprono il credito del concedente. La L.124/2017 ha stabilito, all’art.1 comma 138, una formula di equa regolazione, che possiamo riassumere così:
- Il concedente ha diritto alla restituzione del bene oggetto del leasing (come detto).
- Il concedente dovrà procedere a rivendere o ricollocare sul mercato il bene restituito, secondo criteri di trasparenza e al miglior valore ricavabile (valore di mercato).
- Dal ricavato della vendita, il concedente trattiene un importo pari a: canoni scaduti e non pagati fino alla data di risoluzione + canoni a scadere (solo quota capitale) non ancora maturati + prezzo pattuito per l’opzione finale di acquisto + spese sostenute per il recupero, la stima e la conservazione del bene.
- Se il ricavato della vendita eccede tale importo, il surplus va restituito all’utilizzatore (utilizzatore ha diritto a quel conguaglio positivo).
- Se invece il ricavato è inferiore all’importo dovuto calcolato, resta a carico dell’utilizzatore la differenza negativa, che il concedente potrà esigere come credito residuo.
Questa regola di saldo, definita come un patto marciano legislativo, mira a riequilibrare le posizioni: il concedente recupera il suo investimento (capitale non ancora recuperato nei canoni, interessi maturati e costi) ma non può lucrare oltre (deve dare all’utilizzatore l’eventuale eccedenza se il bene vale di più); l’utilizzatore, dal canto suo, non perde ciò che ha già pagato (nessuna restituzione dei canoni pagati è dovuta, in quanto coprono il godimento passato del bene), però non deve neppure pagare più di quanto pattuito se il bene ha ancora un buon valore di realizzo. In sintesi, il concedente viene messo nella condizione economica in cui sarebbe stato se il contratto fosse proseguito regolarmente fino al termine, evitando arricchimenti indebiti a suo favore.
Vediamo più in dettaglio come funziona la procedura di vendita del bene e il calcolo del conguaglio, anche con un esempio numerico.
Procedura di vendita o ricollocazione del bene: L’art.1 comma 139 L.124/2017 impone al concedente di vendere o ricollocare il bene sul mercato con criteri di celerità, trasparenza e pubblicità, ottenendo il miglior prezzo possibile. In particolare, il prezzo di vendita dev’essere determinato sulla base di valori risultanti da pubbliche rilevazioni di mercato effettuate da soggetti specializzati (es. listini di settore, quotazioni di usato). Se non esistono valori di riferimento pubblici per quel bene specifico, si deve fare una stima tramite perito indipendente scelto di comune accordo dalle parti entro 20 giorni dalla risoluzione, o in mancanza di accordo su una terna proposta dal concedente su cui l’utilizzatore può indicare la sua preferenza. Il perito deve essere indipendente (nessun legame col concedente) e il concedente deve informare l’utilizzatore sull’andamento della procedura. In sostanza, la legge intende evitare che il concedente venda sottocosto o a soggetti compiacenti, danneggiando l’utilizzatore (che avrebbe meno surplus o più debito). Ad esempio, per beni standardizzati (un veicolo, un macchinario diffuso) ci saranno listini e il concedente può rapidamente vendere sul mercato dell’usato a prezzi correnti; per beni speciali, sarà nominato un perito stimatore e il bene andrà collocato con criteri di evidenza. L’utilizzatore non partecipa alla vendita ma ha il diritto di controllo: deve essere informato e può contestare eventuali irregolarità. Infatti, se il concedente viola queste regole (ad es. vende il bene a un prezzo artatamente basso, o ritarda troppo la vendita causando ulteriore deprezzamento), l’utilizzatore potrà eccepire in giudizio l’inadempimento del concedente e la non debenza di parte del credito per la quota che avrebbe potuto ricavarsi con una corretta vendita. Come vedremo, recenti sentenze di Cassazione hanno dichiarato nulla una clausola contrattuale che permetteva al concedente di procrastinare arbitrariamente la vendita e decidere se detrarre il ricavato, proprio perché lesiva dell’equilibrio contrattuale.
Esempio pratico di calcolo (simulazione):
Supponiamo che la società Beta Srl abbia in leasing un macchinario del costo originario di €100.000. Il contratto prevede 60 canoni mensili di circa €1.800 (di cui una parte interessi), e un’opzione finale di acquisto a €5.000. Beta Srl ha versato un anticipo di €10.000 e ha pagato regolarmente 20 canoni, poi è incorsa in difficoltà e dopo aver saltato 4 rate il contratto viene risolto anticipatamente. Alla data della risoluzione, i canoni scaduti e impagati sono 4 per un totale di circa €7.200 (solo quota capitale ~ €6.000, interessi ~€1.200). I canoni residui a scadere sarebbero 36; considerando solo la quota capitale (escludendo interessi non maturati) ipotizziamo una somma di €60.000 di capitale residuo non ancora rimborsato. Aggiungiamo il prezzo di riscatto finale €5.000. In totale, il credito del concedente a fronte dell’operazione ammonta a: 6.000 (canoni scaduti quota cap.) + 60.000 (capitale canoni futuri) + 5.000 (riscatto) = €71.000 (tralasciamo interessi di mora e spese per semplicità). Ora, il macchinario viene riconsegnato e venduto all’asta o sul mercato dell’usato. Ipotizziamo due scenari:
- Scenario A: Mercato favorevole – il macchinario usato viene venduto a €80.000 netto di costi. Il concedente trattiene €71.000 a copertura del dovuto. Rimane un surplus di €9.000, che deve restituire all’utilizzatore Beta Srl. Quindi Beta, pur avendo perso il macchinario, riceve indietro €9.000 a titolo di eccedenza. In totale, Beta Srl avrà pagato: €10.000 anticipo + €36.000 di canoni (20×1.800) = €46.000, ma ne recupera €9.000 dopo la vendita; costo effettivo sostenuto = €37.000, che corrisponde ai canoni per il periodo di utilizzo + equo compenso.
- Scenario B: Mercato sfavorevole – il macchinario usato viene venduto solo a €50.000 (es. perché obsoleto o guasto). Il concedente trattiene l’intero ricavato €50.000 e rimane un disavanzo di €21.000 rispetto ai €71.000 dovuti. Questa differenza di €21.000 resta a carico dell’utilizzatore, che dovrà pagarla al concedente come debito residuo. Beta Srl dunque, dopo aver già pagato €46.000, si trova ad avere un ulteriore debito di €21.000 verso la società di leasing (tipicamente formalizzato in un decreto ingiuntivo o atto di precetto). Il concedente, sommando €50.000 incassati dalla vendita + €21.000 che otterrà da Beta = €71.000 totale, recupera integralmente il suo credito in linea capitale.
Come evidenziano gli esempi, l’utilizzatore sopporta il rischio che il valore di mercato del bene sia basso (scenario B): dovrà comunque coprire il dovuto, anche se il bene è stato restituito. D’altro canto, beneficia dell’eventuale alto valore (scenario A) recuperando la differenza, cosa che in passato non era scontata senza la norma del 2017. In entrambi i casi, i canoni già pagati dall’utilizzatore rimangono acquisiti dal concedente (non vengono rimborsati), in coerenza con il principio che la risoluzione nei contratti di durata non ha effetto retroattivo sulle prestazioni già eseguite (art. 1458 c.c. primo comma). Quei canoni infatti hanno remunerato il godimento del bene per il periodo in cui Beta Srl lo ha utilizzato, e non devono essere restituiti (né Beta li potrebbe richiedere indietro). Semmai, Beta viene liberata dal pagare tutti i canoni futuri, sostituiti dal conguaglio sopra calcolato.
Importante: La clausola contrattuale tipica dei leasing prima della riforma prevedeva spesso che, in caso di risoluzione per inadempimento, il concedente potesse trattenere tutti i canoni pagati a titolo di indennità e inoltre chiedere l’intero importo dei canoni residui come penale. Questo portava il concedente a conseguire sia il bene sia tutte le somme, con possibile forte sproporzione. La giurisprudenza considerava tali pattuizioni come clausole penali, soggette a possibile riduzione ex art. 1384 c.c. se manifestamente eccessive, o come nulle se comportavano un arricchimento ingiustificato. Con la L.124/2017, per i contratti da essa regolati, non si applica più l’art. 1526 c.c. (sulla vendita con riserva di proprietà) e il legislatore ha imposto questa specifica modalità di liquidazione. Ne deriva che qualsiasi patto difforme (ad esempio che lasci al concedente sia i canoni sia il bene senza conguaglio) deve ritenersi invalido per contrarietà a norma imperativa. La Cassazione ha infatti affermato che è nulla la clausola che consenta al concedente, in caso di risoluzione, di ottenere sia tutti i canoni sia il valore residuo del bene, perché determina un ingiustificato arricchimento a suo favore, squilibrando il sinallagma contrattuale. Al contrario, è lecita la clausola che preveda, coerentemente con la legge, l’acquisizione dei canoni riscossi e il pagamento dei soli canoni a scadere diminuiti dell’importo ricavato dalla vendita del bene. In pratica, i contratti post-2017 già incorporano la regola del comma 138, e per i contratti precedenti la giurisprudenza sta allineando l’interpretazione per conformità ai nuovi principi (v. sezione Giurisprudenza).
4. Recupero del credito residuo (se dovuto):
Se, a conti fatti, dalla vendita del bene risulta un credito residuo a carico dell’utilizzatore, il concedente agirà per recuperarlo. Nella maggior parte dei casi di risoluzione per morosità, soprattutto in settori dove i beni si deprezzano rapidamente, l’incasso della vendita è insufficiente e l’utilizzatore resta debitore di un certo importo. Questo debito residuo comprende in sostanza la porzione di capitale del finanziamento non coperta dalla vendita, più eventuali interessi contrattuali maturati, interessi di mora e spese legali. Come si procede al recupero? Il decreto ingiuntivo è lo strumento tipico: il concedente – spesso dopo aver venduto il bene per determinare l’esatto importo – presenta ricorso al giudice per ingiunzione di pagamento, allegando il contratto di leasing, il prospetto dei canoni non pagati, la prova della risoluzione e la documentazione della vendita del bene con il ricavato. Se la documentazione è regolare, il giudice emette un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo per la somma dovuta. L’utilizzatore debitore ha 40 giorni per saldare o proporre opposizione (vedi oltre la sezione difese). In assenza di opposizione, il decreto diviene definitivo e il concedente potrà passare all’esecuzione forzata sui beni del debitore (pignoramenti di conti, beni mobili, immobili, crediti verso terzi, ecc.) per recuperare coattivamente la somma.
Nel caso l’importo residuo sia molto elevato e l’utilizzatore sia in evidente insolvenza, il concedente potrebbe anche presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) dell’utilizzatore, se si tratta di un imprenditore soggetto a fallibilità, qualora il debito superi le soglie di legge e vi siano indizi d’insolvenza. In passato molte società di leasing ricorrevano a questa leva per costringere al pagamento, minacciando la procedura concorsuale. Oggi, con la riforma della crisi d’impresa, permane la possibilità di istanza di fallimento, ma spesso il recupero avviene per via esecutiva individuale.
Va ricordato che gli interessi moratori sui canoni scaduti continuano a maturare sino al saldo; inoltre l’utilizzatore soccombente dovrà in genere rifondere anche le spese legali di ingiunzione ed eventuale esecuzione. Pertanto, la somma finale da pagare può crescere sensibilmente col tempo. Un comportamento collaborativo e tempi rapidi nella definizione riducono il peso di questi oneri.
5. Chiusura dei rapporti contrattuali e contabili:
Con la risoluzione, tutte le obbligazioni future vengono meno, tranne quelle di saldo come sopra. Il contratto di leasing spesso prevede anche una clausola penale a carico dell’utilizzatore inadempiente per coprire spese amministrative, oppure la decadenza da eventuali benefici (es. la restituzione di depositi cauzionali viene usata in compensazione). Tali previsioni sono generalmente valide entro i limiti del risarcimento del danno effettivo. In pratica, chiuso il conto economico con il conguaglio, il rapporto contrattuale tra concedente e utilizzatore cessa definitivamente (salvo eventuali contenziosi giudiziari che proseguano). L’utilizzatore non avrà più alcun diritto sul bene (a meno che, caso raro, rinegozi un nuovo leasing per riottenere lo stesso bene, ma sarebbe un nuovo contratto).
Riepilogo: In caso di mancato pagamento dei canoni oltre la soglia legale, il contratto viene risolto; l’utilizzatore deve restituire il bene; il concedente vende il bene e calcola l’importo dovuto; l’utilizzatore riceve indietro l’eventuale eccedenza oppure resta debitore del conguaglio mancante. Il concedente può agire esecutivamente per recuperare tale credito residuo. I canoni già pagati non si restituiscono. Il tutto secondo un meccanismo che bilancia i contrapposti interessi, evitando un ingiusto profitto al concedente ma anche evitando che l’utilizzatore possa usufruire del bene senza pagarne interamente il valore.
Tutele e difese per l’utilizzatore inadempiente
Dal punto di vista del debitore (utilizzatore), subire la risoluzione di un leasing è chiaramente un evento pregiudizievole: si perde il bene, spesso strategico per l’attività, e si rischia di dover comunque pagare ingenti somme. Ci sono però alcune tutele che l’ordinamento e la prassi offrono all’utilizzatore, sia ex ante (prima della risoluzione) che ex post (in sede di contenzioso sul debito). Elenchiamo le principali strategie e difese:
A. Prevenzione: rinegoziazione e moratorie – La migliore tutela è evitare di arrivare alla risoluzione. Se l’utilizzatore attraversa difficoltà finanziarie temporanee, è consigliabile comunicare tempestivamente con la società di leasing per cercare una soluzione concordata. Spesso le finanziarie, pur tutelate dal bene, preferiscono evitare la costosa procedura di recupero e sono disponibili a rinegoziare il piano di pagamento. Si può chiedere, ad esempio, una dilazione dei canoni arretrati, una temporanea sospensione (“moratoria”) delle rate con allungamento della durata, o la rimodulazione dei canoni (es. abbassare l’importo mensile estendendo il contratto). Durante periodi di crisi generalizzata (come durante la pandemia COVID-19) sono state introdotte moratorie legislative sui leasing, permettendo alle PMI di sospendere i pagamenti per alcuni mesi senza decadere dal contratto. Ad esempio, il Decreto Cura Italia nel 2020 includeva i canoni di leasing tra le scadenze finanziarie sospendibili su richiesta. Anche fuori da misure di legge, molte società di leasing aderenti ad Assilea applicano protocolli di ristrutturazione del debito: si può proporre un “piano di rientro” versando una parte del dovuto subito e il resto in più mesi. Queste opzioni, se attuate prima che la morosità diventi grave, possono evitare la risoluzione e consentire all’utilizzatore di mantenere il bene. Ovviamente, è richiesta la buona fede: il concedente valuterà la convenienza (spesso richiederà garanzie aggiuntive, ad esempio un avallo bancario sulle nuove scadenze, o un coobbligo).
B. Cessione del contratto o vendita del bene a terzi – Un’altra via, se l’utilizzatore non riesce più a sostenere il leasing, è trovare un terzo interessato a subentrare nel contratto. Molti contratti vietano la cessione senza consenso del concedente, ma il consenso può essere concesso se il subentrante offre adeguate garanzie. In pratica, l’utilizzatore può accordarsi con un’altra azienda interessata al macchinario: questa prenderebbe in carico il leasing (pagando i canoni residui e riscattando poi il bene) magari dietro un compenso per i canoni già pagati. Il concedente dovrà approvare e formalizzare una cessione del contratto di leasing o un subentro. Questa soluzione permette all’utilizzatore originario di uscire dal contratto evitando la risoluzione e potenzialmente recuperando parte di quanto versato (dal subentrante). In alternativa, l’utilizzatore potrebbe proporre al concedente di vendere direttamente il bene a un terzo e utilizzare il ricavato per chiudere anticipatamente il leasing: alcune società di leasing consentono il “riscatto anticipato” concordato, in cui l’utilizzatore paga subito il capitale residuo (magari con i soldi avuti dal terzo acquirente) e acquista il bene per rivenderlo. Tuttavia, queste operazioni vanno pianificate prima che il concedente avvii la risoluzione, altrimenti il bene non è più nella disponibilità dell’utilizzatore per essere ceduto.
C. Contestazioni sulla risoluzione e opposizioni giudiziarie – Se la risoluzione è già stata dichiarata dal concedente ma l’utilizzatore ritiene di avere motivi di contestazione, può farli valere nelle opportune sedi:
- Opposizione a decreto ingiuntivo: come visto, il concedente in genere chiederà un decreto ingiuntivo per il pagamento del residuo. L’utilizzatore ha 40 giorni per proporre opposizione (atto di citazione innanzi al tribunale), esponendo le proprie difese. Su cosa può basarsi l’opposizione? Per esempio:
- Contestazione dei conteggi: verificare se la somma richiesta è calcolata correttamente secondo la legge. L’utilizzatore potrebbe sostenere che il concedente non ha detratto un valore di realizzo congruo. Se il bene non è stato ancora venduto, potrebbe eccepire che il credito è prematuro (in realtà il comma 138 impone di dedurre quanto ricavato dalla vendita effettuata o da “altra collocazione”; in mancanza di vendita il concedente in teoria non può sapere l’importo esatto da chiedere). In pratica però i concedenti chiedono l’ingiunzione magari dopo aver stimato il presumibile ricavato. L’utilizzatore può quindi contestare il metodo di stima e pretendere che si segua la procedura di legge (perito indipendente ecc.). La Cassazione ha chiarito che il diritto dell’utilizzatore alla restituzione delle somme già pagate sorge solo dopo la restituzione del bene e la determinazione dell’equo compenso; analogamente, il diritto del concedente a pretendere l’eventuale eccedenza si concreta solo all’esito della vendita. Pertanto, un decreto ingiuntivo emesso senza tener conto del ricavato effettivo potrebbe essere prematuro.
- Violazione delle forme di vendita: se il concedente ha venduto il bene al di fuori dei criteri di legge (ad esempio a trattativa privata senza perizia su un prezzo inferiore al mercato), l’utilizzatore può contestare che il creditore non ha soddisfatto l’onere di massimizzare il ricavato. In sede di causa, si può chiedere una CTU per accertare il reale valore di mercato al tempo, e sostenere che il debito andrebbe ridotto dell’importo che si sarebbe ricavato con corretta gestione. Non è semplice, ma è una linea difensiva possibile.
- Clausole contrattuali nulle: se il contratto (magari anteriore alla legge) conteneva clausole di confisca integrale dei canoni o penali e il concedente si è basato su quelle per chiedere importi extra, l’utilizzatore può far valere la nullità parziale di tali clausole ex art. 1526 c.c. analogico e art. 1384 c.c. (come riconosciuto da Cassazione). In effetti, la Cassazione ha escluso la nullità automatica dell’intera clausola penale se è eccessiva, privilegiando la riducibilità della penale entro limiti equi. Un utilizzatore astuto potrà quindi chiedere al giudice dell’opposizione di ridurre la penale, qualora il concedente stia di fatto conseguendo un vantaggio sproporzionato (es. cumulo canoni + bene).
- Eccezioni di inadempimento del concedente o del fornitore: l’utilizzatore potrebbe opporre che non avrebbe pagato perché il bene presentava gravi vizi o il concedente stesso ha violato obblighi. Queste difese sono però limitate, perché di regola l’utilizzatore non può sospendere il pagamento per vizi (clausole di hell or high water nel leasing), dovendo eventualmente agire contro il fornitore. Tuttavia, se i vizi rendevano impossibile l’uso del bene, l’utilizzatore potrebbe aver diritto a risolvere il leasing per impossibilità sopravvenuta, come qualche sentenza ha ammesso (in caso di mancata consegna del bene, una clausola che imponga comunque il pagamento è stata ritenuta invalida). Sono situazioni limite: ad esempio, se il macchinario non ha mai funzionato per vizio originario, l’utilizzatore potrebbe contro-dedurre che egli è inadempiente perché il bene era inutilizzabile e chiedere la risoluzione per colpa del fornitore. Non è una linea semplice, perché il concedente di solito è estraneo ai vizi, ma in equity potrebbe essere considerata.
- Errore nel calcolo interessi/usura: come ogni contratto finanziario, va controllato il tasso di interesse implicito. Se la somma degli interessi applicati eccedesse i tassi soglia antiusura, l’utilizzatore potrebbe eccepire l’usurarietà (in passato alcuni hanno contestato contratti di leasing per interessi di mora usurari). In caso di usura, si applicherebbe la sanzione della non debenza di alcun interesse (art. 1815 c.c.). Questa è una difesa tecnica, spesso sostenuta da perizie econometriche. Va detto che la giurisprudenza non è uniformissima sul calcolo del TEG nei leasing, ma è un tema affrontato.
- Opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi: se il concedente procede direttamente con un atto di pignoramento (ad esempio basandosi su un titolo esecutivo stragiudiziale), l’utilizzatore può proporre opposizione all’esecuzione per far valere le stesse contestazioni di cui sopra, o opposizione agli atti se ci sono vizi formali. Tuttavia, queste opposizioni non sospendono facilmente l’azione, salvo ottenere dal giudice una sospensiva provvisoria dimostrando fumus di fondatezza (ad esempio evidenziando pagamenti effettuati ma non conteggiati, etc.).
- Trattativa sul debito residuo: a volte, l’utilizzatore può raggiungere un accordo transattivo anche dopo la risoluzione. Se il concedente prevede difficoltà di recupero (es. l’utilizzatore minaccia fallimento, o la società è nullatenente), potrebbe accettare uno sconto sul dovuto in cambio di un pagamento immediato. Ad esempio, con la formula del saldo e stralcio, l’utilizzatore offre una certa somma (magari proveniente da un finanziatore terzo) in via transattiva a chiudere ogni pendenza, liberandosi dal resto del debito. Ciò può convenire a entrambi: il concedente incassa subito senza lungaggini giudiziarie, l’utilizzatore evita il protrarsi dell’azione legale o il fallimento. Naturalmente il margine di sconto dipende da quanto il concedente giudica altrimenti recuperabile (se l’utilizzatore è solvibile, difficilmente faranno sconti; se invece rischia insolvenza, saranno più flessibili).
In generale, dal punto di vista dell’utilizzatore moroso, è fondamentale monitorare che il concedente rispetti i suoi obblighi post-risoluzione: vendere presto e bene il bene. Se notate dilazioni eccessive, mancanza di trasparenza o prezzi di favore, raccogliete prove (es. quotazioni, esperti) perché potrebbero servire per rideterminare il debito. Ricordiamo che, come ha statuito di recente la Cassazione, l’insinuazione del credito del concedente deve avvenire sulla base di una stima salvo conguaglio sul prezzo effettivo poi ricavato: segno che il valore definitivo va accertato col realizzo effettivo, e se c’è scostamento, si effettua conguaglio. Questo principio vale sicuramente in ambito fallimentare (art. 177 CCII, v. oltre), ma riflette un criterio generale di correttezza.
D. Procedure concorsuali dell’utilizzatore: qualora l’utilizzatore sia un imprenditore in stato di crisi, l’apertura di una procedura concorsuale (concordato preventivo, liquidazione giudiziale ex fallimento, ristrutturazione) incide sul leasing. In particolare, in concordato preventivo è prassi che l’azienda debitrice continui ad usare i beni in leasing e spesso nel piano di concordato propone di restituirli o riscattarne una parte. Il concedente in concordato viene trattato come un creditore privilegiato sul bene (similmente a un creditore pignoratizio, perché il bene è legalmente suo). L’utilizzatore potrebbe sfruttare il concordato per liberarsi di leasing onerosi: nel piano può prevedere la risoluzione dei leasing e offrire al concedente il bene e una percentuale del debito residuo. Se il concordato è omologato, anche il concedente è vincolato al trattamento ivi previsto.
E. Fallimento (liquidazione giudiziale) dell’utilizzatore: questo caso lo affrontiamo nella sezione successiva dedicata, ma notiamo qui che se l’utilizzatore fallisce, il curatore può sciogliersi dal contratto con un semplice atto, e il concedente dovrà insinuarsi al passivo per il credito residuo. Ciò può limitare il recupero (perché nel fallimento il concedente sarà chirografario per l’eventuale differenza, dopo restituzione del bene). Dal lato dell’utilizzatore, se persona fisica, successivamente può ottenere l’esdebitazione (cancellazione dei debiti residui non soddisfatti) e quindi liberarsi di eventuali strascichi del leasing.
F. Usura e ricalcolo interessi: come accennato, una difesa tecnica è far verificare se il contratto applica tassi oltre soglia o interessi di mora usurari. Ad es., in alcuni giudizi si è discusso se sommare interesse corrispettivo e mora per valutare l’usura. La Cassazione (SU n.19597/2020 in ambito mutui) ha stabilito che ai fini dell’usura si considera il tasso moratorio di per sé e l’eventuale superamento soglia comporta riduzione degli interessi al tasso legale, non nullità dell’intera clausola. Nel leasing, qualora gli interessi di mora fossero usurari, l’utilizzatore potrebbe chiedere di non pagarli o ridurli. Queste contestazioni richiedono consulenze e spesso trovano soluzioni nella rideterminazione in sede di CTU, più che far cadere il debito principale.
G. Vizi del bene e eccezione di difetto di causa: se il bene oggetto del leasing risulta totalmente inservibile per vizi occulti originari, l’utilizzatore potrebbe opporre che non vi è causa nel pretendere il pagamento per un bene inutilizzabile. In taluni casi estremi, i giudici hanno riconosciuto il diritto dell’utilizzatore di non pagare canoni futuri quando, ad esempio, il bene (un macchinario) non ha mai funzionato per colpa del fornitore. In genere però, i contratti di leasing trasferiscono all’utilizzatore le azioni contro il fornitore e mantengono l’obbligo di pagare i canoni al concedente indipendentemente dalle controversie col fornitore. Quindi l’utilizzatore dovrebbe rifarsi sul fornitore per i danni, ma nel frattempo pagare. Se però il fornitore è insolvente o irreperibile, c’è stato spazio per argomentare un fallimento della causa del contratto (il leasing presuppone che il bene funzioni). Questa è una difesa di ultima ratio e comporta in pratica cercare di risolvere il leasing non per morosità ma per inadempimento del fornitore; non sempre percorribile, ma da valutare con un legale in casi di beni affetti da vizi insanabili.
In conclusione, dal lato dell’utilizzatore: conviene sempre cercare accordi prima che la situazione precipiti. Se si arriva alla risoluzione e alle vie legali, le difese tecniche esistono ma l’esperienza insegna che i margini di successo completo (ossia evitare di pagare) sono ridotti, a meno di irregolarità commesse dal concedente. Tuttavia, come vedremo tra poco, l’evoluzione giurisprudenziale recente è stata in alcuni casi favorevole agli utilizzatori, soprattutto riguardo ai contratti più vecchi e alle clausole squilibrate.
Aspetti contabili per l’utilizzatore (cenni)
Dal punto di vista contabile, il trattamento del leasing per l’utilizzatore dipende dal sistema contabile adottato.
- Società che applicano i principi contabili nazionali (OIC): in Italia, il leasing è tradizionalmente contabilizzato col metodo “patrimoniale” (anche detto metodo operativo): il bene in leasing non viene iscritto tra le immobilizzazioni dell’utilizzatore, che imputa a Conto Economico i canoni periodici come costi per godimento beni di terzi (voce B8 del bilancio civilistico). In Nota Integrativa viene dato conto dei contratti di leasing in essere e degli impegni residui (pagamenti futuri). Quindi, prima della risoluzione, l’utilizzatore ha a bilancio semplicemente un costo periodico. Eventuali maxi-canoni anticipati possono essere rilevati come risconti attivi e ripartiti sulla durata del contratto, in modo da competenziare i costi correttamente. Se interviene la risoluzione anticipata, l’utilizzatore deve stornare eventuali risconti attivi residui (imputando a costo l’importo non ancora ammortizzato del maxi-canone o anticipi) e contabilizzare le sopravvenienze derivanti dal conguaglio finale. Ad esempio, se a seguito della risoluzione l’utilizzatore riceve un rimborso (surplus da vendita), questo affluirà come una sopravvenienza attiva straordinaria. Viceversa, se deve pagare un debito residuo, dovrà rilevare una sopravvenienza passiva (onere straordinario) e un debito verso il concedente. Tale debito, se di importo significativo, comparirà tra le passività finanziarie di bilancio fino al pagamento.
- Società che applicano i principi contabili internazionali (IFRS): dal 2019 è in vigore il principio IFRS 16 Leasing, che stravolge la rappresentazione per l’utilizzatore: il leasing finanziario (e anche molti leasing operativi) va rilevato a stato patrimoniale, iscrivendo fin dall’inizio un’attività per diritto d’uso del bene (RoU asset) e una passività finanziaria pari al valore attuale dei pagamenti futuri. In pratica l’utilizzatore IFRS contabilizza come se avesse acquistato il bene a debito. Di conseguenza, paga i canoni ma in bilancio registra l’ammortamento del diritto d’uso e gli interessi sul debito, invece del semplice costo per canoni. In caso di risoluzione anticipata del leasing, l’utilizzatore IFRS deve stornare dal bilancio l’attività per diritto d’uso residua e la passività relativa. Di norma, ciò comporta rilevare un utile o perdita da estinzione: ad esempio, se la passività residua eccede il valore netto contabile dell’attività (caso tipico se mancano pochi canoni: il debito rimasto potrebbe essere minore del valore d’uso residuo, oppure viceversa), c’è un impatto economico. Il conguaglio pagato o ricevuto sarà anch’esso contabilizzato nell’utile/perdita da chiusura contratto. In sostanza, a conto economico IFRS comparirà una perdita se l’operazione di risoluzione ha costi netti, oppure un provento se l’utilizzatore recupera più valore (evenienza rara). Un utente IFRS quindi vede riflessi più marcati: ad esempio, un’azienda quotata dovrà spiegare in bilancio che ha dismesso anticipatamente un ROU asset, pagando magari penali, il che ridurrà l’utile dell’anno.
Implicazioni contabili della risoluzione per l’utilizzatore: in entrambi gli approcci, la risoluzione di un leasing è un evento da gestire attentamente:
– Nel metodo OIC, il focus è sulle rettifiche di conti d’ordine (impegni residui da eliminare) e sul trattamento degli anticipi. Se l’utilizzatore aveva capitalizzato oneri accessori (es. costi di stipula leasing) e li stava ammortizzando, dovrà spesare immediatamente la parte non ammortizzata alla data di risoluzione (perché il contratto non c’è più). Inoltre, se c’è un debito residuo significativo, andrà evidenziato (es. come debito verso altri finanziatori).
– Nel metodo IFRS, la risoluzione è trattata come una modifica contrattuale: IFRS 16 prevede che se un lease termina anticipatamente, si rimuove il RoU asset e il lease liability e si rileva la differenza a conto economico. Ciò può impattare indicatori (EBITDA migliora perché spariscono canoni futuri, ma si registra magari una loss one-off se la penale è alta). Gli analisti guardano a questi effetti.
Profilo fiscale collegato (accenno): va segnalato che, per i soggetti IAS adopter, esiste un regime di “derivazione rafforzata” per cui la rappresentazione IFRS è rilevante anche fiscalmente. In caso di risoluzione anticipata, eventuali differenze (utile/perdita) confluiranno nell’imponibile. Spesso, tuttavia, il fisco prevede norme ad hoc: ad esempio la deducibilità delle perdite su leasing. Se la risoluzione comporta una perdita (perché magari il bene restituito vale meno del debito residuo), tale perdita dovrebbe essere fiscalmente deducibile come componente negativo di reddito dell’esercizio (in quanto inerente all’attività). Analogamente, un eventuale provento da risoluzione (surplus ricevuto) sarà imponibile.
Aspetti fiscali del leasing: deducibilità dei canoni e altri profili
Trattamento fiscale dei canoni di leasing (utilizzatore impresa): uno dei vantaggi del leasing per l’utilizzatore è la deducibilità fiscale dei canoni pagati, alle condizioni stabilite dall’art. 102 TUIR (per i soggetti IRES) e 54 TUIR (per i lavoratori autonomi). La normativa sulla deducibilità dei canoni di leasing è stata modificata più volte negli ultimi anni, al punto da essere definita “ballerina”. Attualmente (regole in vigore dal 2014 in poi) si può sintetizzare così per le imprese:
- I canoni di leasing relativi a beni mobili strumentali (macchinari, attrezzature, veicoli a uso strumentale, ecc.) sono sempre deducibili nell’esercizio di competenza, indipendentemente dalla durata contrattuale, purché la deduzione avvenga in un periodo non inferiore al 50% del periodo di ammortamento fiscale del bene. In pratica, se un bene avrebbe un coefficiente di ammortamento fiscale del 20% annuo (5 anni vita fiscale), il leasing può anche durare meno (es. 3 anni), ma l’impresa dovrà comunque portare in deduzione i canoni su almeno 2,5 anni (metà di 5). Se il contratto dura meno, si dovrà ripartire la deduzione in più esercizi rispetto a quelli effettivi (tramite variazioni extra-contabili in dichiarazione dei redditi). Ad esempio, nel caso di 3 anni effettivi su un bene con vita fiscale 5 anni, l’impresa dedurrà i canoni su 2,5 anni minimi: in pratica significa che dedurrà integralmente i canoni di quei 3 anni più, per i restanti 2,5-3 anni, dedurrà “a vuoto” (tramite variazioni in diminuzione) l’importo residuo non dedotto in precedenza. Questo meccanismo evita vantaggi eccessivi da leasing brevi rispetto all’ammortamento. Per contratti stipulati dal 1° gennaio 2014, il periodo minimo è dimezzato (50%): in precedenza (tra 2008 e 2013) era ai 2/3 del periodo di ammortamento, e ancora prima (fino al 2007) era 50%. La riforma 2014 ha quindi reso meno stringente la durata minima per mobili, portandola a metà (in parte uniformando con i lavoratori autonomi, vedi dopo). In ogni caso, oggi una regola pratica è: durata minima fiscale per poter dedurre senza pro-rata = 50% vita utile, ma anche se il leasing è più corto, non perdi la deduzione, la posticipi.
- I canoni di leasing relativi a beni immobili strumentali (es. capannoni, uffici) sono anch’essi deducibili senza vincolo di durata contrattuale minima, però devono essere dedotti in un periodo non inferiore a 12 anni. Questa è la regola entrata in vigore per contratti dal 2014: unificata a 12 anni minimo, indipendentemente dal coefficiente di ammortamento (che per immobili è normalmente 33 anni al 3%). In passato, la norma era più complessa: per contratti 2012-2013 serviva almeno 2/3 del periodo di ammortamento con minimo 11 e massimo 18 anni. Dal 2014 semplificato: se anche il leasing immobiliare dura solo, poniamo, 8 anni, l’azienda dedurrà comunque i canoni spalmati su 12 anni (quindi deducendo 8/12 ogni anno e finendo 4 anni dopo la fine del leasing). Se il leasing dura più di 12 anni, deduce per la durata effettiva (nessun problema, 12 è solo il minimo). Questa regola impedisce di dedurre troppo velocemente il costo di un immobile rispetto all’acquisto (dove ci vorrebbero 33 anni per ammortizzarlo).
- Per gli autoveicoli a deducibilità limitata (autovetture aziendali non strumentali al core business, soggette alle limitazioni art.164 TUIR: 20% deducibilità su max €18.075 costo), vige un caso a sé: i canoni sono deducibili nella stessa misura come se l’auto fosse acquistata, quindi in un periodo almeno pari all’intero periodo di ammortamento fiscale dell’auto. Poiché un’auto si ammortizza al 25% annuo (4 anni), significa che il leasing auto deve essere dedotto su almeno 4 anni. Infatti la legge (art.164 TUIR) già prevede che per le auto in leasing, la deduzione annua massima è quella che si otterrebbe ripartendo il costo massimo deducibile (€18k circa) in 4 anni: ergo se il leasing auto dura meno, la deduzione si spalma comunque su 4 anni. Questa norma c’era anche prima del 2014 ed è rimasta (il prospetto [22] lo conferma).
In tutti i casi sopra, se il contratto termina anticipatamente (come nel caso di risoluzione per inadempimento), la prassi fiscale prevede che l’impresa effettui i conguagli delle quote non dedotte. Secondo l’Agenzia delle Entrate, se un leasing viene risolto prima del minimo fiscale, la parte di canoni non ancora dedotta può essere dedotta nell’esercizio di risoluzione come componente straordinaria (in quanto a quel punto è certa la chiusura del contratto). La norma infatti dice che la deduzione deve avvenire in un periodo non inferiore al minimo: se il contratto si chiude prima, è comunque rispettato il limite minimo temporalmente, e si può dedurre la rimanenza. Ad esempio: leasing di bene mobile iniziato nel 2022 durata 4 anni su vita fiscale 8 anni -> minimo deduzione 4 anni. Se risolve dopo 3 anni (2025), nei primi 3 anni l’azienda avrà dedotto 3/4 del totale (seguendo il limite), rimane 1/4 da dedurre: in dichiarazione 2025, essendo il contratto terminato, si deduce l’ultimo 1/4 (o meglio, si rimuove la variazione in aumento che aveva posticipato quella quota). Dunque non c’è perdita di deducibilità, ma solo slittamento. Discorso analogo per immobili: minimo 12 anni, se un leasing immobiliare finisce al 10° anno per risoluzione, i 2 anni mancanti di quote potenzialmente si recuperano come costo nell’anno di risoluzione (o negli anni successivi come variazione in diminuzione, interpretazioni differiscono). In pratica, la risoluzione anticipata non penalizza definitivamente l’impresa sul piano reddituale: i costi li dedurrà comunque fino a concorrenza di quanto pagato. Naturalmente, se parte dei canoni non è stata pagata perché il leasing si risolve e viene venduto il bene, quell’importo non pagato non è un costo sostenuto e quindi non deducibile (ma l’impresa potrà dedurre il debito residuo eventualmente pagato come costo). Ad esempio, se l’impresa versa un conguaglio di €20.000 dopo la risoluzione, quello è un costo deducibile (trattandosi di onere contrattuale per estinzione leasing).
Riassumendo in una tabella semplificata per imprese (contratti stipulati dal 2014 in poi):
Bene in leasing | Durata minima fiscale per deducibilità canoni | Note |
---|---|---|
Beni mobili strumentali | 50% del periodo di ammortamento ordinario del bene. | Esempio: bene ammortamento 8 anni -> deducibilità su ≥4 anni. Se leasing dura 3 anni, deduzione spalmata su 4. |
Beni immobili strumentali | 12 anni. | Esempio: leasing 8 anni -> deduci in 12 (quindi prosegui deduzioni post-contratto). Se leasing ≥12 anni, deduci normalmente durante il leasing. |
Autovetture uso promiscuo (ded. 20%) | Intero periodo di ammortamento (4 anni per autovetture). | Importo deducibile limitato ex art.164 TUIR (€18k * 20%). Se leasing più corto, deduci comunque su 4 anni. |
Per i lavoratori autonomi (professionisti), le regole sono analoghe ma con qualche differenza storica: dal 2014 anche per loro i canoni sono deducibili con minimi 50% periodo amm.to per i beni mobili, nell’arco di 12 anni per immobili, e intero periodo per autovetture. In più, esiste una restrizione: i leasing immobiliari stipulati da professionisti dal 2010 al 2016 non erano deducibili affatto (era in vigore un divieto introdotto dal 2010, poi abolito dal 2017). Quindi un avvocato che avesse preso in leasing uno studio nel 2012 non poteva dedurre i canoni; dal 2017 in poi la deduzione è ammessa ma sempre su almeno 12 anni. Questo è un dettaglio storico ma spiega voci come “non sono deducibili i canoni dei contratti stipulati dall’1/01/2010” per immobili per autonomi.
IVA sui canoni di leasing: i canoni di leasing finanziario sono soggetti a IVA (imposta sul valore aggiunto) come prestazioni di servizi. L’aliquota IVA dipende dal bene (in genere 22% per beni standard). L’utilizzatore se è soggetto IVA potrà detrarre l’IVA assolta nei canoni, secondo le regole ordinarie di detrazione (ad esempio per autovetture uso promiscuo, IVA detraibile 40%). In caso di risoluzione anticipata, il trattamento IVA prevede che se alcuni canoni erano già fatturati ma non incassati e vengono stornati, la società di leasing può emettere una nota di credito IVA per recuperare l’IVA su quei canoni non riscossi (dopo l’accertamento dell’irrecuperabilità del credito, oggi semplificato grazie al DL 73/2021). Per l’utilizzatore ciò significa che dovrà stornare la detrazione IVA eventualmente operata su quelle fatture mai pagate (rendendo neutra l’IVA di competenza su costi non sostenuti). Inoltre, l’eventuale somma di conguaglio addebitata all’utilizzatore (es. risarcimento danno) è generalmente soggetta a IVA anch’essa, considerandola parte del corrispettivo contrattuale. Su questo c’è dibattito, ma l’Agenzia Entrate tende a ritenere imponibili IVA anche gli importi versati a seguito di risoluzione di leasing come integrazione del corrispettivo pattuito. Quindi, se l’utilizzatore paga €10.000 di differenza finale, potrebbe ricevere fattura + IVA 22% su tale importo. Fortunatamente potrà detrarre anche quell’IVA, essendo collegata all’operazione iniziale.
Imposte indirette: la stipula di un contratto di leasing sconta di solito imposta di registro in misura fissa (€200) o proporzionale a seconda dei beni (per immobili c’è un 1,5% se prima casa in leasing, ecc.). Nel nostro contesto (beni strumentali) la risoluzione anticipata va registrata solo se il contratto era registrato, ma in genere non comporta imposta ulteriore se era già pagata all’inizio (la risoluzione volontaria anticipata potrebbe scontare 1% registro sul patto risolutorio se c’è corrispettivo, non però se per inadempimento: inadempimento è causa di scioglimento naturale, senza corrispettivo, quindi direi no imposta specifica se non eventuale €200 fissi).
Detraibilità costi residui: se a seguito della risoluzione l’utilizzatore paga una penale o una indennità al concedente, tale importo è deducibile dal reddito d’impresa perché inerente al contratto di leasing (non è una sanzione amministrativa ma un onere contrattuale). Allo stesso modo, se l’utilizzatore perde un eventuale maxi canone anticipato non goduto, beh quello lo aveva già dedotto per competenza o lo dedurrà per intero a risoluzione come costo. Viceversa, se l’utilizzatore incassa dal concedente un rimborso (surplus vendita), quello sarà da contabilizzare come sopravvenienza attiva tassabile ai fini IRES/IRPEF, trattandosi di recupero di costi dedotti in passato (o comunque provento da estinzione debito). Fiscalmente sarà un componente straordinario positivo imponibile.
Caso di bene distrutto o perito prima della fine: uno scenario particolare è quando il bene va distrutto (incidente, furto) durante il leasing. In tal caso, di solito l’assicurazione indennizza il concedente, ma spesso l’indennizzo non copre interamente il debito residuo. L’utilizzatore può trovarsi a dover pagare differenze. Fiscalmente, l’eventuale penale per perdita bene può essere dedotta come costo (è risarcimento a leasing). Non confondiamo con il nostro tema, ma è una sfaccettatura: la perdita del bene è assimilata a risoluzione anticipata.
In sintesi, il fisco italiano tende a equiparare il leasing all’acquisto finanziato, imponendo durate minime di deduzione per evitare vantaggi temporali. Ma al contempo, riconosce tutti i costi effettivamente rimasti a carico dell’utilizzatore come deducibili, anche se sostenuti in via risarcitoria alla fine. Dunque, dal punto di vista del debitore, se paga caro l’epilogo del leasing, almeno avrà un risparmio fiscale sulle somme pagate (deducibili dal reddito imponibile) – magra consolazione, ma da non dimenticare. Ad esempio, i €21.000 di differenza pagati da Beta Srl nello scenario B dell’esempio saranno deducibili e produrranno un beneficio fiscale (ipotizzando IRES 24% + IRAP, un ~27-28%, pari a circa €5-6.000 recupero imposte).
Risoluzione del leasing e procedure concorsuali (fallimento/utilizzatore insolvente)
Il fallimento o insolvenza dell’utilizzatore incide in modo particolare sul rapporto di leasing. In Italia, già la legge fallimentare (R.D. 267/1942) prevedeva all’art. 72-quater L.F. una disciplina ad hoc per i leasing nelle procedure concorsuali. Oggi, con il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) in vigore dal 15 luglio 2022, tali regole sono confluite nell’art. 177 CCII. Vediamo in sintesi cosa accade se l’utilizzatore entra in liquidazione giudiziale (nuovo nome del fallimento).
Contratto pendente al momento della dichiarazione di liquidazione giudiziale: se l’impresa utilizzatrice fallisce mentre il leasing è ancora in corso (non era stato risolto prima), il curatore fallimentare ha la facoltà di sciogliersi dal contratto oppure di subentrare nel contratto. È una scelta analoga a quella per altri contratti pendenti (art. 172 CCII e vecchio art.72 L.F.).
- Se il curatore si scioglie (cioè comunica di non voler proseguire il leasing), il contratto si intende risolto alla data del fallimento. Il concedente a quel punto ha diritto alla restituzione immediata del bene e deve procedere alla vendita o ricollocazione del bene stesso (come visto prima) a valori di mercato. Il ricavato della vendita andrà confrontato con l’ammontare del credito del concedente (canoni scaduti non pagati + canoni a scadere quota capitale + prezzo di riscatto). Se il ricavato supera quel credito, il concedente deve versare la differenza alla curatela fallimentare (andrà ad arricchire l’attivo del fallimento). Se invece c’è un deficit, il concedente ha diritto di insinuare al passivo del fallimento un credito pari a tale differenza negativa. In pratica, l’art.177 CCII riproduce la stessa formula del comma 138 L.124/2017 applicata però nel contesto concorsuale. Un elemento: il CCII parla di credito residuo “in linea capitale”, specificando che per i canoni non scaduti va considerata solo la quota capitale. Questo è in linea con il comma 138 (che esclude interessi futuri). Tuttavia, per i canoni scaduti e impagati prima del fallimento, l’art.177 CCII chiarisce che nel credito ammesso sono inclusi gli interessi corrispettivi già maturati su quei canoni, a differenza del vecchio art.72-quater L.F. che sembrava escludere interessi (questo è un dettaglio tecnico: il CCII definisce bene il “credito residuo in linea capitale” e il “credito vantato alla data di apertura” includendo anche interessi di mora pre-fallimento). In ogni caso, il concedente dopo il fallimento dell’utilizzatore non può pretendere interessi moratori successivi (essendo chirografo) né penali oltre il capitale residuo: segue la par condicio. Dunque, post-fallimento: il bene torna al concedente, il concedente vende e fa i conti come al solito, poi insinua al passivo l’eventuale credito rimasto insoddisfatto. Quello diviene un credito chirografario (senza privilegio) salvo che il bene fosse indispensabile e i canoni post-fallimento fossero proseguiti in prededuzione (vedi subito). Se invece dal realizzo avanza qualcosa, il concedente deve restituirlo alla massa (ossia non può tenersi un surplus a scapito degli altri creditori).
- Se il curatore decide di subentrare nel contratto di leasing (proseguimento), allora il contratto continua come se nulla fosse, ma ora i canoni a scadere che maturano durante la procedura fallimentare vanno pagati in prededuzione (prioritari) perché funzionali all’amministrazione della massa. Il curatore dovrà anche pagare in prededuzione i canoni già scaduti prima della dichiarazione di fallimento ma non ancora pagati (perché, avendo scelto di continuare, quei canoni arretrati diventano passività della massa). In pratica, la prosecuzione impone al curatore di mettere il contratto in bonis e rispettarlo da lì in avanti. L’utilizzatore fallito (ora il curatore) mantiene il possesso del bene e potrà valutare se alla fine esercitare l’opzione di riscatto (in genere, il curatore lo farà solo se conviene alla massa: ad esempio, se il bene vale più del riscatto, potrebbe pagarlo e rivendere il bene con profitto per il fallimento). Se invece a un certo punto il curatore smette di pagare i canoni post-fallimento o decide di sciogliersi, si torna allo scenario precedente. Comunque, raramente i curatori proseguono contratti di leasing a meno che il bene sia essenziale per, ad esempio, completare lavorazioni o vendere l’azienda esercente in esercizio provvisorio.
In caso di fallimento, l’utilizzatore in sé non “soffre” delle conseguenze, perché la gestione passa al curatore. Da notare che per il concedente il fallimento è sfavorevole se il bene vale meno del credito: il suo credito residuo sarà soddisfatto solo parzialmente come chirografo. Invece, se il bene valesse di più, lui versa il surplus alla massa e comunque non può lucrare. Quindi la procedura concorsuale applica in sostanza lo stesso patto marciano, con la differenza che eventuale deficit non è automaticamente pagato dall’utilizzatore (che è fallito) ma solo in parte a seconda dell’attivo. È dunque comprensibile che le società di leasing cerchino di risolvere i contratti e recuperare il dovuto prima che il cliente fallisca, perché dopo entreranno nella par condicio creditorum.
Contratto già risolto prima del fallimento: un caso distinto è quando l’utilizzatore era già moroso e il contratto era stato risolto per inadempimento prima della dichiarazione di fallimento. Che succede in fallimento? Su questo si è discusso a lungo (applicabilità art.72-quater o 1526 c.c.?). La L.124/2017 ha chiarito che se il contratto di leasing è stato risolto per inadempimento prima del fallimento, continuano ad applicarsi le regole contrattuali ed eventualmente l’art.72-quater L.F. per determinare i crediti, purché il bene sia stato stimato sia alla data di consegna che alla data di risoluzione. In pratica, anche in tal caso il concedente per insinuare il credito nel fallimento deve far riferimento al doppio valore (iniziale e al momento del realizzo) per evitare extraprofitti. L’argomento è complesso, ma la giurisprudenza di Cassazione (Sezioni Unite 2019 e 2021) ha confermato che per contratti risolti ante 2017 segue art.1526 analogico se traslativo, e non il 72-quater se non c’è stata perizia, ecc. (vedi dopo giurisprudenza). Il CCII (art.177 co.3 non riportato sopra) in ogni caso stabilisce che l’art.177 si applica anche ai contratti risolti prima dell’apertura della liquidazione, salvo che i loro effetti si siano già esauriti e non siano sub iudice. Significa che se un leasing era risolto e completamente definito (bene venduto e incassi fatti) prima del fallimento, non c’è più nulla su cui applicare la norma concorsuale, e il concedente sarà semplice creditore per l’eventuale residuo. Ma se, ad esempio, la risoluzione c’è stata ma la vendita del bene non ancora o è oggetto di contestazione giudiziale, allora l’art.177 CCII offre comunque il criterio di soluzione.
Fallimento del concedente: anche la liquidazione giudiziale del concedente (società di leasing) ha regole ad hoc. L’art.177 CCII prevede che, se fallisce la società di leasing, il contratto prosegue regolarmente e l’utilizzatore conserva la facoltà di riscattare il bene alla scadenza pagando i canoni e il prezzo pattuito. In sostanza, il fallimento del concedente non risolve il contratto: l’utilizzatore continua a pagare (probabilmente al curatore o all’eventuale cessionario del portafoglio leasing) e ha il diritto di diventare proprietario alla fine. Questa norma tutela l’utilizzatore, evitandogli di perdere il bene per vicende del concedente. Il curatore del concedente potrà eventualmente cedere i contratti di leasing in blocco a un’altra finanziaria, ma dovrà rispettare le condizioni originali.
Dal punto di vista dell’utilizzatore, quindi, il fallimento del concedente non è un pericolo: al massimo cambierà l’interlocutore a cui pagare (curatore o nuovo acquirente). L’art.177 CCII specifica anche che l’utilizzatore potrebbe essere ammesso allo stato passivo del fallimento del concedente per eventuali depositi cauzionali non restituiti o altre somme a credito (non comuni nel leasing, ma può capitare, ad es. se aveva versato una cauzione di garanzia).
Cenno al concordato preventivo e altre procedure minori: Nel concordato, come detto, l’utilizzatore può inserire il leasing nel piano prevedendo di scioglierlo o continuarne il pagamento. Dopo le modifiche del 2021, l’azienda in concordato può chiedere di sciogliersi dai contratti pendenti con autorizzazione del tribunale: per il leasing questo genera un indennizzo a favore del concedente pari al 10% del valore dei canoni residui (art. 92 CCII). Ma dettagliar questo ci porterebbe oltre. Basti sapere che esistono norme per gestire i leasing anche nelle procedure di concordato con continuità (spesso li fanno continuare in prededuzione) o liquidatori (li risolvono con l’indennizzo).
Sovraindebitamento (persone non fallibili): se l’utilizzatore è un privato o piccola impresa non fallibile e accede a una procedura di sovraindebitamento (piano del consumatore, ecc.), potrà trattare il leasing come un contratto pendente analogamente, chiedendo la risoluzione e riconsegna del bene e includendo il debito residuo tra quelli falcidiati, oppure prevedendo di continuare a pagarlo (se gli serve l’auto, ad esempio). Il nuovo CCII estende la possibilità di scioglimento dei contratti pendenti anche in queste procedure minori.
In conclusione, in caso di insolvenza del debitore utilizzatore, la legge tende ad applicare gli stessi principi: il concedente recupera il bene e ha un credito pari al suo residuo, calcolato in modo da dedurre il valore ricavato dal bene. L’utilizzatore non viene inseguito oltre, se non nei limiti della procedura concorsuale (quindi spesso paga solo parzialmente quel debito residuo, beneficiando della liberazione dai debiti a fine procedura). Se invece l’azienda in crisi riesce a continuare a pagare e tenersi il bene (es. in continuità aziendale), allora il contratto può proseguire.
Giurisprudenza recente in materia di leasing e inadempimento (agg. 2025)
Negli ultimi anni la Corte di Cassazione è intervenuta più volte sul tema del leasing inadempiuto, per chiarire l’applicazione della nuova normativa e risolvere questioni di diritto intertemporale. Di seguito, sintetizziamo le pronunce più rilevanti (tutte rese post riforma 2017) che interessano l’utilizzatore:
- Cass., Sez. Unite, 28/01/2021 n. 2061: ha affrontato la questione se la L.124/2017 possa applicarsi analogicamente ai contratti di leasing risolti prima della sua entrata in vigore. Le Sezioni Unite hanno stabilito che la disciplina dei commi 136-140 L.124/2017 non ha efficacia retroattiva, quindi non si applica ai contratti già risolti prima (ovvero ai cui inadempimenti si erano verificati prima) della data di entrata in vigore della legge. In tali casi, resta valida la distinzione tradizionale tra leasing di godimento e leasing traslativo e, per questi ultimi, si applica in via analogica l’art. 1526 c.c.. Ciò significa che, per un contratto risolto nel 2016, ad esempio, il concedente deve restituire le rate pagate salvo equo compenso, etc., come da art.1526, e non può trattenere tutto come magari prevedeva il contratto. Le S.U. escludono anche che si possa applicare analogicamente l’art.72-quater L.F. (patto marciano concorsuale) al di fuori delle ipotesi concorsuali. Questa sentenza ha dato certezza ai rapporti pendenti prima del 2017 (evitando di applicare la nuova legge a fatti anteriori, per ragioni di tutela dell’affidamento e certezza del diritto).
- Cass., Sez. III, 30/09/2021 n. 26531: in linea con le S.U., ha ribadito che per contratti risolti prima del 2017 rimane la distinzione tra leasing di godimento (cui si applica art. 1458 c.c., quindi nessuna restituzione canoni) e leasing traslativo (cui si applica art.1526 c.c.) anche se poi c’è il fallimento dell’utilizzatore. Interessante, questa pronuncia ha escluso di dichiarare nulla la clausola di confisca canoni nei vecchi contratti, preferendo dire che va applicato art.1526 e la clausola eccessiva va ridotta dal giudice ex art.1384 c.c. (ufficiosamente, pure in Cassazione se non eccepito prima, trattandosi di eccezione in senso lato). Quindi conferma la riducibilità della penale.
- Cass., Sez. III, 22/03/2022 n. 9210 e n. 9211: due ordinanze “gemelle” del marzo 2022 che hanno ulteriormente specificato la logica art.1526. La n.9210/22 afferma che, in un leasing traslativo risolto prima del 2017 per inadempimento dell’utilizzatore, si applica art.1526 c.c. e quindi l’utilizzatore ha diritto alla restituzione delle rate pagate ma solo previa restituzione del bene. Questo significa: prima l’utilizzatore deve ridare il bene al lessor, poi quest’ultimo potrà venderlo e solo allora calcolare l’equo compenso. La stessa ordinanza sottolinea che l’equo compenso va determinato considerando il godimento avuto e il deprezzamento del bene per l’uso, anche se parte di tale deprezzamento è dovuto a crisi di mercato (ad es. calo generale del valore dell’usato). In pratica: se il bene ha perso molto valore in 3 anni anche per fattori esogeni, tale perdita va comunque in conto all’utilizzatore, perché legata al fattore tempo in cui lui l’ha usato. Ciò per non “scaricare sul concedente” i rischi di mercato. Sono indicazioni coerenti con la natura di leasing traslativo come vendita a rate. La Cassazione quindi mantiene un approccio di tutela del corretto equilibrio contrattuale: l’utilizzatore non deve pagare oltre, ma nemmeno può lucrare su circostanze come un crollo di valore non pagato.
- Cass., Sez. III, 24/01/2020 n. 1581: questa risale a poco prima, ma merita menzione. Ha sancito che, applicando art.1526 c.c. al leasing traslativo, in caso di risoluzione per inadempimento il concedente, mantenendo la proprietà del bene e acquisendo i canoni maturati, non può ottenere un vantaggio indebito cumulo canoni + residuo valore. Cioè: non può tenersi canoni e anche valore residuo senza nulla riconoscere. L’equo compenso va calcolato in modo da remunerare solo il godimento (incluso normale deprezzamento e usura) ma non anche il trasferimento finale mai avvenuto. Questa è praticamente la descrizione del patto marciano: se il concedente ottenesse canoni + bene, otterrebbe più del dovuto. Tale ordinanza (1581/2020) fu importante perché, pur su contratti ante legge, anticipava i principi poi codificati.
- Cass., Sez. III, 21/03/2024 n. 7527: ordinanza innovativa del 2024. Ha stabilito un principio di diritto intertemporale evolutivo: la L.124/2017 si applica anche ai contratti di leasing traslativo risolti prima della sua entrata in vigore, purché i loro effetti non si siano ancora esauriti ed essi siano ancora sub iudice. Ciò avviene non direttamente (la legge non è retroattiva) ma attraverso una “interpretazione storico-evolutiva” delle norme previgenti, per evitare irragionevoli disparità di trattamento ex art.3 Cost.. In parole semplici: se c’è una causa in corso su un leasing risolto nel 2016, la Cassazione ritiene che il giudice debba ormai applicare i principi della legge 2017 (quindi il patto marciano) anche a quel caso, per non discriminare quel debitore rispetto a uno il cui contratto è stato risolto nel 2018. La massima ufficiale recita proprio questo concetto. È una decisione significativa perché, di fatto, supera quanto detto dalle Sezioni Unite 2021 in senso rigorosamente intertemporale. Introduce una sorta di retroattività attenuata: per vicende non ancora definite giudizialmente, si fa prevalere la nuova ratio legis. Questa pronuncia n.7527/2024 è di estrema importanza per gli utilizzatori: se un contenzioso era pendente sulla restituzione di canoni ex art.1526, ora si dirà di applicare la L.124/17, che per l’utilizzatore è meno favorevole quanto a restituzione canoni (perché la nuova legge non li restituisce) ma più favorevole perché impone la vendita bene e conguaglio eventuale. Diciamo che uniforma il regime. Da un punto di vista pratico, oggi praticamente tutti i casi ancora aperti verranno decisi con il metodo L.124/2017 a prescindere dalla data di risoluzione. Sancisce anche un principio di uguaglianza: altrimenti avremmo trattamenti diversi solo in base a pochi mesi di differenza nelle date di risoluzione.
- Cass., Sez. III, 10/01/2025 n. 588: ordinanza (Pres. Scarano, Rel. Pellecchia) pubblicata a febbraio 2025, che fa il punto sulla validità delle clausole penali nei leasing traslativi risolti prima della legge. Essa richiama i principi già detti: art.1526 c.c. applicabile in analogia; clausola penale coerente con 1526 co.2 c.c. se prevede che il concedente trattenga i canoni riscossi e sottragga dalla somma dovuta il ricavato della vendita del bene (cioè patto marciano ante litteram, considerato lecito perché in linea con equo compenso); clausola invece contraria alla ratio di 1526 se consente al concedente di acquisire oltre all’intero importo finanziato anche il valore del bene, generando arricchimento ingiustificato – e in tal caso è nulla. La Corte, nel caso concreto (leasing di un’imbarcazione), ha confermato la nullità di una clausola che permetteva al concedente di ottenere tutto il prezzo e decidere se e quando detrarre il ricavato da futura vendita, effettuata addirittura 2 anni dopo la riconsegna. Questo arbitrio è stato ritenuto inammissibile. La Cassazione dunque in questo provvedimento ha annullato la clausola e di conseguenza applicato direttamente l’art.1526 con rideterminazione del dovuto (il caso è stato rinviato in appello per ricalcolare l’equo compenso senza far arricchire il concedente). Questa pronuncia 588/2025 – destinata a fare scuola – mette un punto fermo: nel leasing traslativo pre-riforma, la clausola contrattuale è valida solo se rispetta il “patto marciano” (deduzione ricavato vendita); se va oltre (es. niente obbligo di vendere subito, trattenere tutto), è nulla.
- Cass., Sez. III, 24/01/2025 n. 1792: (dalle informazioni disponibili) sarebbe un’ordinanza coeva alla 588, che afferma la validità ed efficacia del patto che in caso di inadempimento attribuisce al concedente il diritto di trattenere i canoni scaduti e di esigere i canoni a scadere attualizzati detratto l’importo ricavato dalla ricollocazione del bene e il valore residuo se l’opzione non è esercitata. Questa descrizione coincide col patto marciano ora normativo. Dunque conferma che un patto di tal genere è lecito (non è considerato anatocismo o altro, ma una pattuizione equa). Probabilmente questa ordinanza ribadisce i concetti di 588/2025 sotto forma di massima. Non abbiamo il testo integrale da citare, ma sembra in linea.
- Giurisprudenza di merito aggiornata: merita un cenno Tribunale di Milano 27/04/2022 n.3637, che in un leasing immobiliare post-2017 ha confermato la non applicabilità di art.1526 c.c. (ovvio, c’è la legge). Molte pronunce di merito riflettono i principi cassazionari. Segnaliamo anche Tribunale di Vicenza 2021 che applicò già la legge 2017 a contratti antecedenti per ragioni di equità (anticipando Cass.2024). Non dilunghiamo oltre.
Conclusione sulle sentenze: Dal 2017 ad oggi, la giurisprudenza ha completato l’allineamento ai principi della L.124/2017. Oggi possiamo dire che tutti i contratti di leasing finanziario, sia vecchi che nuovi, verranno di fatto risolti secondo il medesimo schema: il concedente riprende il bene, lo vende a valore di mercato, imputa i ricavi contro il suo credito e chiede/versi differenze. Le distinzioni teoriche leasing di godimento/traslativo perdono rilevanza sui casi attuali, perché la tipizzazione legislativa e la spinta interpretativa le hanno superate. Ciò offre maggiore certezza agli operatori. Dal lato dell’utilizzatore, questo significa che anche se il suo contratto fosse antecedente alla legge ma la causa è in corso, egli non potrà più ottenere la restituzione integrale dei canoni pagati (cosa che art.1526 puro poteva dare, al netto equo compenso); però è protetto dal dover pagare doppio (la vendita del bene sarà sempre a suo credito). In sintesi, il “punto di vista del debitore” oggi è: ho sì perso il bene e i canoni pagati restano spesi, però almeno non dovrò pagare anche ciò che il bene vale. Questo principio di equilibrio, affermato ad alta voce dalla Cassazione, è una garanzia contro eventuali abusi.
Per completezza, elenchiamo qui alcune massime ufficiali e principi di diritto estratti dalle sentenze citate:
- “In tema di leasing finanziario, la disciplina di cui all’art. 1, commi 136-140, L.124/2017 non ha effetti retroattivi, sicché il comma 138 si applica alle risoluzioni i cui presupposti si siano verificati dopo l’entrata in vigore della legge stessa; per i contratti anteriormente risolti resta valida la distinzione tra leasing di godimento e traslativo, con conseguente applicazione analogica, a quest’ultimo, dell’art.1526 c.c.” (Cass. S.U. 2061/2021).
- “La L. 124/2017 si applica anche ai contratti di leasing traslativo risolti anteriormente alla sua entrata in vigore, se i loro effetti non si sono ancora esauriti e sono ancora sub iudice, non in modo diretto (non avendo efficacia retroattiva) ma in via interpretativo-evolutiva, al fine di evitare irragionevoli disparità di trattamento coi contratti risolti successivamente” (Cass. 7527/2024).
- “È valida ed efficace nei leasing traslativi la clausola penale che preveda, in caso di risoluzione per inadempimento, l’acquisizione da parte del concedente dei canoni già riscossi e il suo diritto di ottenere dall’utilizzatore il risarcimento del danno pari ai canoni a scadere (in linea capitale), attualizzati, detratti l’importo ricavato dalla futura vendita del bene restituito e il valore residuo del bene (se l’opzione finale non è esercitata)” (principio ricavabile da Cass. 588/2025 e Cass. 1792/2025).
- “È nulla, perché contraria alla ratio dell’art.1526 c.c., la clausola del leasing traslativo che consente al concedente di conseguire, oltre all’intero importo del finanziamento (canoni pattuiti), anche il valore residuo del bene oggetto del contratto, poiché determina un ingiustificato arricchimento del concedente” (Cass. 588/2025).
- “Nel leasing traslativo risolto prima della L.124/2017, l’equo compenso dovuto al concedente per l’uso del bene da parte dell’utilizzatore deve tener conto anche del deprezzamento del bene dovuto a fattori di mercato durante il periodo d’uso, altrimenti si trasferirebbe sul concedente il ‘costo’ della diminuzione di valore legata al tempo di utilizzo” (Cass. 9211/2022).
- “Nel leasing traslativo (ante 2017) il diritto dell’utilizzatore alla restituzione delle rate pagate sorge solo dopo la restituzione del bene al concedente e previa detrazione dell’equo compenso per l’uso; pertanto l’utilizzatore ha diritto alla restituzione delle rate versate solo subordinatamente alla riconsegna del bene e alla determinazione dell’equo compenso” (Cass. 9210/2022).
Queste pronunce confermano che, in pratica, per l’utilizzatore inadempiente il percorso giudiziario può portare ad alcune riduzioni di quanto richiesto dal concedente (ad es. tramite riduzione penale ex art.1384 c.c. se il concedente ha tenuto più del dovuto). Tuttavia, il contesto attuale – con legge 2017 applicabile ovunque – standardizza i risultati.
Domande frequenti (FAQ) dal punto di vista del debitore
Q1: Quante rate devo non pagare prima che la società di leasing possa risolvere il contratto?
A: La legge fissa soglie precise di morosità: per leasing di beni mobili (strumentali) occorre il mancato pagamento di almeno 4 canoni mensili (anche non consecutivi) – o un equivalente importo se le rate hanno altra cadenza – perché l’inadempimento sia considerato grave e dia diritto alla risoluzione. Per leasing immobiliari la soglia è 6 mensilità o 2 trimestralità. Quindi, se salti una o due rate soltanto, di norma il contratto non può essere risolto immediatamente per legge; il concedente in quel caso potrà sollecitare il pagamento, eventualmente inviarti una diffida ad adempiere, ma formalmente non avrà ancora il “grave inadempimento” finché non raggiungi 4 mensilità insolute. Attenzione però: contrattualmente potresti aver comunque delle conseguenze già dopo 1 rata (interessi di mora, segnalazioni, ecc.) e nulla vieta al concedente di inviarti una comunicazione minacciando la risoluzione dopo 2-3 rate (anche se poi dovrà attendere la quarta per essere al sicuro). In pratica, non aspettare di accumulare 4 rate: se sei in difficoltà già dopo la prima, attivati subito con la società di leasing per trovare una soluzione, altrimenti alla quarta insolvenza loro avranno mano libera per risolvere.
Q2: Se pago in ritardo ma prima che risolvano il contratto, posso evitare la risoluzione?
A: Sì, in genere puoi sanare la morosità pagando gli arretrati prima che il concedente formalizzi la risoluzione. Fino a quando non ricevi la comunicazione di risoluzione (o diffida ex art.1454 scaduta), il contratto è ancora in essere e hai diritto a eseguire la prestazione tardiva (pagare le rate dovute). Il concedente dovrà accettare il pagamento e a quel punto non potrà più risolvere per quelle rate (anche se magari ti riserverà un warning per il futuro). Attenzione: molti contratti prevedono che il concedente non sia obbligato ad accettare pagamenti parziali o tardivi senza precise condizioni; tuttavia, se offri tutto l’importo dovuto più eventuali interessi di mora contrattuali, generalmente il concedente incassa. Una volta incassato, non c’è più inadempimento grave. Fai però molta attenzione ai tempi: se hai ricevuto una diffida ad adempiere con termine (es. “paghi entro 15 giorni o risolviamo”), devi pagare entro quel termine, altrimenti allo scadere il contratto è risolto automaticamente e il pagamento successivo potrebbe essere rifiutato o considerato un semplice acconto sul debito. Se invece c’è clausola risolutiva espressa, la risoluzione avviene quando il concedente la dichiara: finché non lo fa, sei ancora in tempo a pagare. Consigliabile comunque comunicare per iscritto al concedente le tue intenzioni e ottenere conferma che, se paghi, non procederanno alla risoluzione. In sintesi: sì, paga il prima possibile; una volta avvenuta la risoluzione, sarà molto più difficile (servirebbe un accordo di riammissione, non comune).
Q3: Mi hanno risolto il contratto e ripreso il bene. Devo ancora pagare qualcosa?
A: Dipende dal conguaglio di cui abbiamo parlato: la società di leasing calcolerà il suo credito residuo (canoni scaduti non pagati, canoni futuri in capitale, costo riscatto) e lo confronterà col ricavato ottenuto vendendo o riallocando il bene restituito. Se il ricavato è inferiore al credito, resterai debitore per la differenza. Dovrai quindi pagare quell’importo, di solito su richiesta immediata (ti arriverà ingiunzione o lettera di escussione). Se invece il ricavato supera il credito del leasing, non solo non dovrai più nulla, ma la società dovrà restituirti l’eccedenza (caso raro ma possibile, ad esempio se avevi pagato molti canoni e il bene ha tenuto valore). In pratica: sì, quasi sempre dopo la risoluzione c’è ancora un debito da pagare, perché il bene usato difficilmente copre tutto il dovuto. Questo debito tipicamente include anche eventuali interessi di mora maturati fino alla risoluzione e spese (queste ultime sono spesso già detratte nel calcolo). Ad esempio, supponiamo che dopo aver venduto il bene risulti un deficit di €10.000: la società ti chiederà quei €10.000 (più magari €500 di spese legali e interessi fino a pagamento). Diventa un debito chirografo normale: se non paghi volontariamente, procederanno con recupero crediti giudiziale (pignoramenti, ecc.). Se ti sei nel frattempo già dichiarato fallito o insolvente, quel debito sarà gestito in sede concorsuale come spiegato (in fallimento potresti pagarne solo una percentuale). Se sei un privato consumatore, potrebbero iscrivere a ruolo il debito e agire sui tuoi beni (stipendio, conto). Quindi la risposta è: dopo la risoluzione, generalmente sei ancora tenuto a pagare la differenza tra quanto dovevi e quanto la leasing ha ricavato dal bene. Fai riferimento al conteggio che la società dovrebbe inviarti (chiamato “conto di risoluzione”).
Q4: Posso riavere indietro i canoni che avevo già pagato?
A: No, i canoni già pagati restano acquisiti dal concedente e non vengono restituiti. Essi hanno remunerato l’utilizzo del bene nel periodo in cui tu l’hai avuto, quindi non sono considerati somme “a perdere” ma corrispettivi di prestazioni godute (il leasing è un contratto di durata, per cui i canoni trascorsi restano dovuti come da art.1458 c.c.). In passato, se il leasing era ritenuto “traslativo” e si applicava analogicamente l’art.1526 c.c., c’era la possibilità per l’utilizzatore di avere restituiti i canoni pagati, salvo equo compenso a favore del concedente. Ma oggi questa situazione praticamente non si verifica più nei leasing finanziari tipici post-2017, perché la legge ha escluso l’applicazione di 1526 c.c. e ha previsto espressamente che i canoni scaduti restano dovuti. Anche nei contratti pre-2017, la giurisprudenza recente tende a riconoscere al massimo una riduzione della penale ma non la restituzione integrale di quanto pagato – al netto magari di un equo compenso che in pratica coincide spesso con i canoni stessi. Quindi, devi considerare quanto pagato come il “costo” per aver avuto il bene in quel periodo. Unica eccezione: se per ipotesi estrema venisse accertata una responsabilità del concedente (o del fornitore) talmente grave da invalidare il contratto fin dall’inizio (ad es. leasing annullato per dolo, oppure risoluzione per fatto del concedente), allora potresti chiedere la ripetizione di quanto pagato. Ma questo scenario è oltre l’ipotesi di “inadempimento tuo” di cui trattiamo qui. In conclusione: no, non c’è diritto di rimborso dei canoni versati; anzi, spesso perdi pure il maxi-canone iniziale e tutti gli anticipi fatti.
Q5: La società di leasing mi ha chiesto di pagare tutti i canoni restanti in un’unica soluzione dopo la risoluzione. È legittimo?
A: Sì, è legittimo chiedere il pagamento dei canoni a scadere (ovviamente senza interessi non maturati) come parte del risarcimento del danno, ma deve essere effettuato il conguaglio con il valore del bene restituito. Se la società ti chiede tout court tutti i canoni residui più magari penali, senza menzionare la vendita del bene e la deduzione del relativo ricavato, ciò contrasterebbe con la legge vigente. In pratica però, la maggior parte delle società di leasing ora formula la richiesta così: “pagamento di € X, pari all’importo dei canoni a scadere attualizzati e del prezzo di riscatto, detratto il valore ricavato/ricavabile dal bene”. Quindi, difficile che chiedano l’intera somma senza decurtazioni – a meno che per ora non abbiano ancora venduto il bene. Se dovessero insistere nel pretendere il 100% del residuo senza darti nulla per il bene, potrai contestare citando la L.124/2017. Comunque, ricorda che contrattualmente quasi sempre c’era una clausola che diceva: in caso di risoluzione l’utilizzatore deve pagare in un’unica soluzione tutti i canoni non ancora scaduti, il riscatto e ogni altra somma (questa era la famosa clausola penale). Oggi quella clausola va letta alla luce della normativa: la Cassazione ha detto che la clausola è valida solo se interpretata conformemente all’art. 1526 co.2 c.c., cioè come patto di regolazione del danno dedotto il ricavato del bene. Quindi se la società ancora non l’ha venduto, ti chiederà l’intero ma con l’impegno (anche implicito) a restituire/abbuonare dopo la vendita. Tieni monitorato che effettivamente vendano il bene e ti facciano avere il rendiconto. In sintesi: sì è legittimo accelerare l’obbligo di pagamento di tutti i canoni futuri dopo risoluzione (accade per qualunque debito futuro in caso di risoluzione anticipata), ma non dovrai pagare più del dovuto: il valore del bene dev’essere considerato nel calcolo finale.
Q6: Che succede se il bene usato viene venduto a un prezzo molto basso?
A: Se il bene è venduto secondo le regole (mercato libero o asta) e il prezzo è “molto basso” perché realmente il mercato quello offriva, purtroppo ciò va a tuo discapito: significa che rimane un grosso debito residuo (il ricavato è piccolo, la differenza la devi pagare tu). Ad esempio, se speravi che un macchinario valesse 50 e invece ne ricavano 30, quei 20 di differenza aumentano il tuo debito. Tuttavia, se sospetti che il bene sia stato svenduto ingiustificatamente (es. venduto frettolosamente a un prezzo inferiore all’equo valore di mercato, magari al “cugino” del leasing), hai la possibilità di contestare la stima e la vendita. La legge impone criteri trasparenti di stima e alienazione. Puoi richiedere al concedente i dettagli: quale listino o perito hanno usato, come hanno pubblicizzato la vendita, ecc. Se emergono irregolarità, potrai in sede di opposizione a decreto ingiuntivo sostenere che il valore di mercato reale era più alto e quindi il tuo debito andrebbe ridotto. Spesso sarà necessaria una CTU peritale in causa per stabilire il valore corretto. C’è da dire che le società di leasing hanno tutto l’interesse a massimizzare il prezzo (il surplus se c’è va a te, ma se c’è deficit ricade su di te… in ogni caso loro recuperano, a meno che tu fallisca). Dunque di solito non svendono per favoritismi, a meno di mala gestione. D’altro canto, potresti percepire come “basso” un prezzo che purtroppo è l’effettivo di mercato. Pensa a un’auto aziendale: perde il 30% il primo anno, se risolvi dopo 2 anni potresti scoprire che vale la metà del nuovo, e ritenere “troppo basso” il prezzo di realizzo, ma è il normale depreciation. Insomma, puoi contestare solo con solidi elementi (per es. il bene uguale sul mercato valeva 40 e l’han venduto a 25 senza perizia). In caso di contenzioso, il giudice valuterà se il concedente ha seguito la procedura: se sì, anche se il ricavato è basso, te ne fai carico tu (rischio di mercato in capo all’utilizzatore, come detto in Cass.9211/22). Se non ha seguito la procedura (es. nessuna stima indipendente dove serviva, vendita opaca), allora può ridurre il credito o dichiarare la risoluzione non efficace e risarcirti il danno. Da debitor, conviene vigilare e magari, se hai contatti nel settore, segnalare potenziali acquirenti per il bene alla società di leasing, così da stimolare un miglior prezzo.
Q7: Ho sentito parlare di leasing “di godimento” e “traslativo”: come incide sul mio caso?
A: Prima della legge del 2017, i giudici distinguevano tra leasing di godimento (dove il valore residuo del bene a fine contratto è elevato, canoni considerati solo corrispettivi d’uso, opzione di riscatto a prezzo di mercato) e leasing traslativo (dove i canoni ripagano quasi tutto il valore e l’opzione è a prezzo irrisorio, quindi di fatto compravendita rateale). Nel caso di risoluzione per inadempimento, se il leasing era qualificato “di godimento”, prevaleva la regola dei contratti di durata (il concedente teneva i canoni incassati, l’utilizzatore nulla poteva reclamare); se era “traslativo”, si applicava analogicamente l’art.1526 c.c. come per vendita con riserva di proprietà (restituzione rate salvo equo compenso). Questa distinzione generava incertezze, perché a volte non era chiaro in che categoria ricadesse un dato contratto. Oggi, la L.124/2017 ha superato tale distinzione dettando una disciplina unitaria per tutti i leasing finanziari, a prescindere dalla natura traslativa o meno. Quindi, se il tuo contratto è soggetto alla nuova legge (e, come visto, anche se era vecchio ma il contenzioso è in corso, i giudici applicano la nuova filosofia), non importa se in origine fosse traslativo o di godimento: le conseguenze in caso di inadempimento sono le stesse (restituzione bene, vendita, conguaglio). Quindi, per te, questa distinzione praticamente non incide più. Potrebbe emergere come argomento storico se il tuo caso riguardasse un contratto risolto prima del 2017 e definito con le vecchie regole; in tal caso, se fosse classificato leasing di godimento, non avresti avuto diritto a restituzione di nulla, se traslativo sì (ma con equo compenso). Ormai però la tendenza è uniformare. In breve: non preoccuparti di come definiscono il leasing, le tutele attuali valgono per qualsiasi leasing finanziario con opzione finale.
Q8: La società di leasing ha segnalato il mio ritardo ai Sistemi di Informazione Creditizia (CRIF, Centrale Rischi). Può farlo?
A: Sì, le società di leasing, specie se appartenenti a gruppi bancari o finanziari, condividono i dati creditizi. In particolare, se la società di leasing è un intermediario ex art.106 TUB, alimenta la Centrale Rischi di Banca d’Italia per esposizioni oltre €30k e oltre 90 giorni di sofferenza, e può segnalare le morosità significative ai Sistemi di informazione creditizia privati (come CRIF, Experian, Cerved). Dunque, se sei rimasto indietro con i pagamenti, è molto probabile che tu venga segnalato come cattivo pagatore. Solitamente, funziona così: dopo 1-2 rate scadute, inviano un preavviso di segnalazione (richiesto dal codice deontologico SIC) e se non saldi in breve, effettuano la segnalazione negativa. Ciò può renderti difficile ottenere nuovi finanziamenti nel prossimo futuro. Anche la risoluzione del contratto e l’eventuale sofferenza (debito non pagato) verrà segnalata. Se poi si va in cause legali, potrebbe risultare nei bollettini protesti o banche dati di tribunali (ma principalmente incide la CR). C’è poco da fare: è lecito e fa parte delle conseguenze. L’unica cosa: assicurati che la segnalazione sia corretta (importo, tempi) e ricorda che pagando il dovuto la segnalazione verrà poi aggiornata (ma rimane storicizzata per qualche tempo, es. 24 mesi per ritardi gravi). Nel caso finissi per ristrutturare il debito o fare un saldo e stralcio, fatti rilasciare dalla leasing una liberatoria da inviare ai SIC per chiudere la posizione.
Q9: Sono un consumatore privato (non azienda) e ho un leasing ad esempio per un’auto. Ho le stesse tutele?
A: Sì, le norme di cui abbiamo parlato valgono anche per i consumatori, poiché la L.124/2017 non distingue la natura dell’utilizzatore. Tuttavia, se sei un consumatore, si applica in generale anche il Codice del Consumo: questo potrebbe aiutarti a contestare eventuali clausole vessatorie nel contratto di leasing (ad esempio penali eccessive, interessi di mora troppo alti, ecc.) chiedendone l’annullamento o la nullità. Per il resto, lo schema è identico: soglia 4 rate (nel tuo caso leasing auto, 4 mensilità) per grave inadempimento, restituzione auto, vendita, conguaglio. C’è un caso particolare: la prima casa in leasing (introdotta dalla L.208/2015). Se fossi un consumatore che ha preso in leasing la prima casa (operazione rara ma esiste), la legge prevedeva che il mancato pagamento di 12 canoni desse luogo alla risoluzione e nessun debito ulteriore per l’utilizzatore, a condizione di restituire l’immobile e perdere quanto pagato. Era una forma di patto marciano speciale molto protettiva per l’utilizzatore: in pratica se non pagavi, restituivi casa e stop debiti (ma perdevi tutti i soldi già pagati). Questa disciplina è ancora in vigore per i leasing abitativi prima casa e prevale sulla legge generale in quanto speciale (art.1 commi 76-81 L.208/2015). Quindi, se per assurdo il tuo caso fosse un leasing prima casa, dopo 12 mesi di mancato pagamento il contratto si risolve e tu vieni liberato da ogni obbligo residuo (ti spettano eventualmente indietro le somme se la vendita supera il debito, ma se è inferiore, la banca non può agire contro di te per la differenza). Questo era pensato per evitare pignoramenti esecutivi lunghi: la casa torna subito alla banca/lessor. Per i consumatori con leasing auto o altro bene mobile, invece, nessuna regola speciale: valgono le stesse regole di un’azienda, ma con l’eventuale scudo del Codice del Consumo su contratti non negoziati (poca roba concreta). Quindi, stesse soglie, stesso patto marciano.
Q10: Se fallisce la mia azienda, devo comunque pagare i leasing?
A: Se la tua azienda viene dichiarata in liquidazione giudiziale (fallimento), i contratti di leasing in essere possono essere gestiti dal curatore. Tu personalmente (se sei socio illimitatamente responsabile, ecc.) non li pagherai più, ma faranno parte della procedura. In pratica, come descritto sopra, il curatore deciderà se sciogliere o proseguire:
- Se scioglie, il leasing si risolve e il bene torna alla società di leasing. La tua azienda fallita dovrà al concedente la differenza tra credito e ricavato vendita, ma quel debito sarà trattato come un debito concorsuale chirografario. Se ci sono pochi asset, magari la leasing recupera solo una parte in percentuale dividendo. Tu come imprenditore fallito verrai esdebitato a fine procedura dai debiti residui non soddisfatti, compreso quello verso la leasing (se società di capitali, la società verrà chiusa e tu non ne risponderai oltre; se ditta individuale, l’esdebitazione cancella i debiti personali residui).
- Se il curatore continua, i canoni futuri li paga la procedura in prededuzione; magari tiene i beni per usarli nell’esercizio provvisorio o venderli meglio come azienda funzionante. Alla fine, può anche decidere di riscattare il bene e venderlo sul mercato dell’usato come bene libero, pagando il riscatto alla leasing. Oppure, più probabile, continua a pagare finché serve e poi smette e restituisce. In generale, nel fallimento l’utilizzatore è protetto dal fatto che i debiti residui concorrono con gli altri crediti e può essere parzialmente falcidiato. Quindi se la tua azienda è ormai decotta, paradossalmente faresti prima a lasciare che fallisca e la leasing dovrà accontentarsi del bene e di insinuarsi per il resto (recuperando magari poco). Questo non è un consiglio, ma un dato.
In sintesi: se fallisci, tu personalmente non paghi più i canoni, il leasing è gestito dal curatore. Se rimane un debito, sarà nel passivo fallimentare; dopo il fallimento (chiusura/esdebitazione) non potranno più richiederlo né a te né all’azienda cessata.
Q11: E se fallisce la società di leasing? Rischio di perdere il bene anche se ho pagato?
A: No, come visto, il fallimento (o crisi) del concedente non provoca la risoluzione del leasing. Tu continui a pagare al fallimento o a chi verrà designato. Il contratto va avanti e manterrai il diritto di riscatto finale pagando tutto. Addirittura la legge dice che se la leasing fallisce e tu hai già pagato tutto (magari aspettavi solo di versare il riscatto finale tra un anno), potrai alla scadenza pagare il riscatto alla curatela e ottenere la proprietà. Se il curatore decidesse di vendere il portafoglio contratti, subentrerà un’altra società ma alle stesse condizioni. Quindi non rischi di perdere i soldi versati: sei protetto. L’unico inconveniente pratico potrebbe essere qualche ritardo o incertezza nelle comunicazioni e incassi mentre la procedura si assesta. Ma i tuoi diritti restano intatti.
Q12: Quali possono essere i costi “extra” a mio carico oltre ai canoni in caso di risoluzione?
A: Oltre ai canoni scaduti e al netto dei canoni a scadere, la legge include le spese anticipate per il recupero, la stima e la conservazione del bene. Ciò significa che ti possono addebitare, per esempio: le spese di invio carro attrezzi o corriere per ritirare il bene, i costi di deposito in magazzino fino alla vendita, il compenso dell’eventuale perito stimatore, costi di inserzione e asta, e simili. Queste spese il concedente le tiene a parte e poi le aggiunge al conteggio del dovuto come oneri da dedurre dal ricavato. Tipicamente li troverai riepilogati nel conteggio finale (es: “spese di trasporto €500, spese custodia €300, spese perizia €400, spese legali €X”). Inoltre, certamente dovrai pagare gli interessi di mora per i canoni pagati in ritardo fino alla data di risoluzione (dopo la risoluzione sul capitale residuo non maturano interessi se vai in fallimento; se invece rimani persona giuridica solvente, sul credito residuo contrattuale il giudice può riconoscere interessi legali o contrattuali fino a saldo, ma su questo c’è particolarità: solitamente dal momento della risoluzione il credito viene quantificato e su quello decorrono interessi legali). Infine, se contrattualmente era pattuita una penale fissa per risoluzione (ad es. 1% del capitale residuo per spese amministrative), potresti vedertela chiedere. Tali penali fisse se modeste sono ritenute valide; se eccessive, passano per la lente di art.1384 c.c. La legge 124/2017 comunque non ha vietato di inserire penali forfettarie, basta che non sforino il meccanismo generale. In sintesi: costi extra possibili – spese recupero bene, perizia, deposito, penali contrattuali accessorie, interessi di mora, spese legali (p.es. ti addebitano €100 di solleciti, €X di decreto ingiuntivo). Questi costi si aggiungono al tuo debito. Se ti sembrano arbitrari o gonfiati, puoi chiedere verifica (in causa, il giudice potrebbe ridurli se non documentati o non congrui).
Q13: Dopo la risoluzione posso riottenere il bene in leasing stipulando un nuovo contratto?
A: In teoria, sì, potresti provare a negoziare con la società di leasing (o con chi ha comprato il bene) di riprenderlo magari in leasing o a noleggio. Ma nella pratica, una volta che il contratto è risolto e il bene venduto o ricollocato, l’utilizzatore originario di rado ha la possibilità di “riaverlo” perché ormai la società preferisce cederlo a terzi. Se tu disponi dei mezzi e sei ancora interessato al bene, avresti dovuto proporre un accordo prima che lo vendessero: ad esempio, potevi proporre di pagare subito il residuo e tenerti il bene (che è come esercitare anticipatamente il riscatto). Dopodiché, se non l’hai fatto e l’hanno venduto, l’unica strada sarebbe contattare l’acquirente e provare a ricomprarlo da lui. Ma se era in asta, magari l’ha preso un commerciante. Quindi, realisticamente, no, dopo non c’è un istituto che ti ridia il bene alle stesse condizioni di prima. La soluzione ideale sarebbe evitare la risoluzione e trovare con la leasing una ristrutturazione del contratto originario.
Q14: Ho firmato anche io personalmente come garante (fideiussore) del leasing della mia azienda. Cosa rischio con l’inadempimento?
A: Rischi che la società di leasing, se la tua azienda/utilizzatore non paga, venga a richiedere il dovuto anche a te, in qualità di fideiussore. Solitamente la fideiussione copre tutte le obbligazioni del contratto di leasing, incluse penali e spese. Quindi, se il debitore principale non paga il residuo dopo risoluzione, tu garante potresti essere destinatario di un decreto ingiuntivo o atto di precetto per l’intero importo. La tua posizione come garante è infatti quella di obbligato in solido. Puoi opporre al massimo eccezioni relative al contratto se valide (poche, es: nullità contratto base, ma di solito no). Non puoi opporre cose personali tue, se non magari l’invalidità della fideiussione per vizi formali (raro). Quindi, purtroppo, se avevi dato garanzia, sì, possono escuterti per il debito residuo. L’escussione del garante può avvenire anche prima di aver tentato sul debitore principale, dipende se la fideiussione era semplice o con beneficium excussionis. Spesso nei moduli c’è la clausola “il fideiussore renuncia ai benefici di escussione”, dunque la leasing può andare direttamente sul garante. Quindi attenzione: se sei garante e la tua società non riesce a pagare, conviene a te intervenire e cercare di risolvere (pagare, rinegoziare) per non esporre il tuo patrimonio personale. Vale anche per garanti terzi (es. un parente che ha garantito). Queste obbligazioni restano anche se la tua società poi fallisce (il fallimento non estingue la garanzia). L’unica via per liberare il garante è pagare o concordare un saldo e stralcio anche per lui (a volte la leasing potrebbe liberare il garante in cambio di un pagamento transattivo parziale da lui). Se sei coobbligato (ad esempio soci che firmano la “lettera di manleva” per restituire eventuale differenza), sei equiparato al fideiussore. Insomma, la posizione del garante è molto delicata e nel leasing di rado c’è scampo: la maggioranza dei leasing PMI vede i soci garanti, e se l’azienda va male, i soci finiscono per pagare di tasca loro i debiti residui.
Q15: L’operazione di leasing può avere vantaggi fiscali che perdo se viene risolta anticipatamente?
A: Potresti perdere alcuni vantaggi fiscali collegati al bene. Ad esempio, se stavi beneficiando del super-ammortamento (maggiorazione figurativa del costo deducibile) su beni acquistati in leasing, e il contratto si interrompe, potresti dover rinunciare alla quota futura di quel beneficio perché non completando il pagamento non maturi l’intero costo deducibile. Oppure, se il leasing era legato a incentivi (es. Nuova Sabatini: un contributo statale sugli interessi del leasing), interrompendolo perdi la quota di contributi non ancora erogata e potresti doverne restituire parte. Anche l’eventuale credito d’imposta per investimenti 4.0 legato all’acquisto del bene potrebbe decadere se il bene non rimane in tuo possesso per almeno X anni (la norma “ beni strumentali 4.0” richiede che il bene non sia ceduto prima di 2 anni dall’investimento, altrimenti bisogna restituire il credito d’imposta fruito). Nel caso di risoluzione leasing, il bene è di fatto ceduto prima a leasing e poi venduto: quindi è ragionevole che l’Agenzia Entrate potrebbe chiederti di restituire il credito d’imposta fruito per le annualità successive. Insomma, devi controllare se avevi usufruito di agevolazioni collegate all’investimento. La risoluzione anticipata di solito fa venir meno i requisiti temporali (es. obbligo di mantenere il bene per tot tempo). Un altro esempio: se fosse un leasing auto in uso promiscuo, c’è una norma che se il contratto dura meno di 4 anni anticipi troppa deduzione, dovresti recuperare la differenza. Ma come abbiamo spiegato, puoi dedurla anche post contrattualmente. In generale, i principali “vantaggi fiscali” (deducibilità canoni in tempi più rapidi) li hai già col leasing, la risoluzione ti costringe solo a ricalcoli ma non ti toglie deducibilità (tranne opportunità specifiche come crediti d’imposta). Dovrai semmai stare attento a fare le variazioni in Unico per dedurre eventuali quote rimaste (chiedi al commercialista).
Conclusione
Il leasing finanziario strumentale è un contratto potente ma che, in caso di difficoltà dell’utilizzatore, può generare effetti onerosi. La normativa italiana odierna (aggiornata a giugno 2025) fornisce un quadro più equilibrato e garantista rispetto al passato: il concetto di “patto marciano” introdotto dalla L.124/2017 assicura che, se un utilizzatore non paga i canoni e perde il bene, almeno non venga schiacciato da un debito ingiustificato oltre misura – dovrà pagare solo ciò che effettivamente serve a coprire il capitale finanziato non restituito, detratto quanto ricavato dal bene. D’altro canto, il concedente è tutelato dal recuperare il suo investimento o dalla possibilità di insinuarsi al passivo in caso di fallimento. Abbiamo visto come la giurisprudenza ha consolidato tali principi, arrivando persino ad anticiparli per i contratti preesistenti in contenzioso.
Dal punto di vista dell’avvocato che assiste un utilizzatore moroso, sarà fondamentale verificare la correttezza formale e sostanziale dell’operato del concedente: rispetto delle soglie di legge, regolarità della risoluzione, calcolo esatto del saldo, rispetto delle procedure di vendita. Ogni scostamento può essere terreno di difesa, sebbene l’orientamento attuale dei giudici sia abbastanza consolidato. Dal punto di vista dell’imprenditore utilizzatore, invece, la lezione è chiara: prevenire è meglio che curare. Pianificare bene il fabbisogno finanziario prima di impegnarsi in un leasing, e in caso di crisi agire proattivamente per rimodulare il contratto, può fare la differenza tra salvare l’investimento o perderlo e dover comunque onorare un debito.
In questo quadro, il leasing resta uno strumento flessibile e conveniente se gestito correttamente, ma che può rivelarsi una trappola finanziaria se l’attività non genera cassa sufficiente per i canoni. La presenza di garanzie personali (fideiussioni) e la segnalazione nelle banche dati creditizie rendono l’inadempimento un evento da evitare fortemente, perché può propagare gli effetti negativi dal business al patrimonio personale del debitore.
Speriamo che questa guida approfondita – con normative aggiornate al 2025, sentenze recenti, esempi pratici e modelli – sia stata utile a comprendere cosa succede se un utilizzatore non paga i canoni di leasing e quali sono i suoi diritti, obblighi e rimedi in tale situazione.
In ultima analisi, la regola d’oro per il debitore è: comunicare, negoziare e, se proprio tutto precipita, conoscere le proprie tutele legali per non subire oltre il dovuto. E ricordare che, come dice una massima, “il leasing è un ottimo servitore ma un pessimo padrone”: va usato con prudenza e rispettato nei suoi impegni, perché le conseguenze del default sono serie ma – fortunatamente – oggi mitigate da un quadro normativo più equo rispetto al passato.
Fonti normative e giurisprudenziali (aggiornate a giugno 2025)
- Legge 4 agosto 2017, n.124 – art.1, commi 136-140: Introduzione della disciplina della locazione finanziaria (definizione di leasing finanziario, grave inadempimento ≥ 4 o 6 canoni, effetti della risoluzione con patto marciano).
- Codice Civile: art.1455 (importanza dell’inadempimento), art.1456 (clausola risolutiva espressa), art.1458 (effetti della risoluzione nei contratti di durata); art.1526 (vendita con riserva di proprietà, obbligo di restituzione rate salvo equo compenso); art.1384 (riduzione giudiziale della penale eccessiva).
- D.Lgs. 12 gennaio 2019, n.14 – Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza: art.177 (contratto di locazione finanziaria in caso di liquidazione giudiziale: scelta del curatore, effetti di scioglimento o prosecuzione, criterio del patto marciano in ambito concorsuale).
- Legge 28 dicembre 2015, n.208: commi 76-81 (leasing abitativo prima casa: disciplina speciale in caso di inadempimento dell’utilizzatore, risoluzione dopo 12 mesi di mancato pagamento e liberazione del debitore).
- Cass., Sez. Unite civili, 28 gennaio 2021, n. 2061: L.124/2017 non retroattiva; per risoluzioni ante 2017 si applica art.1526 c.c. ai leasing traslativi.
- Cass., Sez. III civ., 30 settembre 2021, n. 26531: conferma distinzione leasing godimento/traslativo per contratti ante 2017 e applicazione art.1526; clausola di confisca non nulla in sé ma soggetta a riduzione ex art.1384.
- Cass., Sez. III civ., 22 marzo 2022, n. 9210: leasing traslativo risolto prima 2017, art.1526 c.c. analogico; l’utilizzatore ha diritto alla restituzione delle rate solo dopo restituzione del bene e calcolo equo compenso.
- Cass., Sez. III civ., 22 marzo 2022, n. 9211: equo compenso per l’uso deve tener conto anche del deprezzamento dovuto a fattori di mercato (crisi economica) riferibili al periodo d’uso.
- Cass., Sez. III civ., 21 marzo 2024, n. 7527: massima ufficiale – la L.124/2017 si applica in via evolutiva anche ai contratti risolti prima della sua vigenza, se ancora sub iudice, per evitare disparità.
- Cass., Sez. III civ., 10 gennaio 2025, n. 588: principi – per contratti ante 2017: art.1526 c.c. analogico; clausola penale conforme a 1526 co.2 c.c. se prevede trattenere canoni riscossi e dedurre ricavato vendita; clausola che permette al concedente di cumulare importo finanziato e valore bene è nulla per arricchimento ingiustificato. Conferma nullità di clausola che rinviava arbitrariamente la decurtazione del ricavato, creando squilibrio.
- Cass., Sez. III civ., 24 gennaio 2025, n. 1792: (in linea con ord.588/25, validità patto marciano contrattuale: concedente può trattenere canoni e ottenere canoni futuri attualizzati meno ricavato vendita).
- Cass., Sez. III civ., 24 gennaio 2020, n. 1581: applicazione inderogabile art.1526 c.c. al leasing traslativo: concedente non può cumulare canoni e residuo valore bene, altrimenti indebito vantaggio.
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