Avviso Di Accertamento Per Omessa Fatturazione: Cosa Fare

Hai ricevuto un avviso di accertamento per omessa fatturazione e non sai come reagire? Ti contestano operazioni effettuate senza emissione di fattura, magari sulla base di controlli incrociati, segnalazioni di clienti o verifiche bancarie? Ti stai chiedendo quali sono le conseguenze e come puoi difenderti?

L’omessa fatturazione è una delle violazioni più contestate in ambito fiscale, ma anche una di quelle in cui il Fisco commette più errori. Se l’accertamento si basa su presunzioni infondate o prove deboli, può essere contestato e annullato.

Cosa comporta un’accusa di omessa fatturazione?
– La ricostruzione di ricavi non dichiarati
– Il recupero dell’IVA non versata
– L’applicazione di sanzioni fino al 100% dell’imposta evasa
– In caso di rilevanti importi, il rischio di denuncia penale per evasione fiscale
– L’iscrizione a ruolo e l’avvio di azioni esecutive in caso di mancato pagamento

Come può avvenire un accertamento per omessa fatturazione?
– Controlli incrociati con i fornitori o i clienti
– Analisi dei flussi bancari non coerenti con i ricavi dichiarati
– Segnalazioni ricevute dall’Agenzia o da altri enti (INPS, Guardia di Finanza)
– Verifiche sui registratori telematici o incrocio con corrispettivi
– Accessi, ispezioni o verifiche fiscali presso la tua sede

Quando l’accertamento può essere illegittimo o contestabile?
– Se si basa su presunzioni non supportate da prove
– Se mancano elementi concreti per dimostrare l’operazione non fatturata
– Se l’Agenzia ignora fatture successivamente emesse o note di variazione
– Se non è stato rispettato il contraddittorio preventivo
– Se la violazione è formale e non ha inciso sull’imposta

Come puoi difenderti da un accertamento per omessa fatturazione?
Analizza attentamente l’avviso. Ricostruisci ogni operazione contestata:
– Verifica se la fattura è stata emessa tardivamente ma comunque registrata
– Documenta eventuali annullamenti o variazioni
– Mostra i documenti che giustificano il mancato incasso
– Controlla la coerenza tra contabilità, estratti conto, prima nota e giacenze
Partecipa al contraddittorio e presenta una memoria difensiva tecnica e documentata. Se l’accertamento è errato o sproporzionato, puoi presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria.

Quali strumenti puoi usare per ridurre danni e sanzioni?
Accertamento con adesione, con riduzione delle sanzioni a 1/3
Ravvedimento operoso, se possibile per violazioni minori
Definizione agevolata o rottamazione, se previste dalla normativa
Rateizzazione degli importi dovuti
Ricorso tributario, se l’accertamento è infondato o eccessivo

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace?
– L’annullamento totale o parziale dell’avviso
– La riduzione delle sanzioni
– L’esclusione della responsabilità penale in assenza di dolo
– La possibilità di pagare con piani sostenibili
– La tutela della tua attività da fermi, ipoteche o pignoramenti

L’omessa fatturazione non significa automaticamente evasione dolosa: ci sono margini per difendersi, soprattutto se si tratta di errori tecnici, documenti tardivi o operazioni non concluse.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati tributaristi esperti in accertamenti per omessa fatturazione e difesa fiscale ti spiega come reagire a un avviso di accertamento, quali strumenti puoi usare e come tutelare la tua posizione.

Hai ricevuto un avviso per omessa fatturazione?
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Introduzione

L’avviso di accertamento per omessa fatturazione è l’atto con cui l’Amministrazione finanziaria (tipicamente l’Agenzia delle Entrate) contesta a un contribuente di aver omesso di emettere una o più fatture per operazioni imponibili, quantificando le maggiori imposte dovute e le relative sanzioni. In altre parole, il Fisco ritiene che il contribuente abbia effettuato vendite o prestazioni senza fattura e, di conseguenza, senza dichiarare i corrispondenti ricavi e l’IVA. Questo avviso è un atto impo-esattivo: non solo accerta maggiori imponibili e imposte, ma intima anche il pagamento delle somme dovute entro termini precisi (di norma 60 giorni).

Ricevere un avviso di accertamento di questo tipo significa che l’ente impositore contesta una violazione fiscale significativa. Dal punto di vista del contribuente (sia esso imprenditore individuale, professionista o legale rappresentante di una società), ciò comporta sia obblighi immediati (es.: valutare se pagare, aderire o impugnare l’atto) sia l’attivazione di importanti diritti di difesa previsti dall’ordinamento tributario. In questa guida, aggiornata a luglio 2025, esamineremo in dettaglio la disciplina italiana in materia, con un taglio avanzato ma dal linguaggio chiaro, adatto sia ai professionisti legali sia ai privati e imprenditori coinvolti.

Nel prosieguo affronteremo:

  • La normativa di riferimento sull’obbligo di fatturazione e sulle conseguenze dell’omessa fatturazione (IVA e imposte dirette, profili amministrativi e penali);
  • Le modalità con cui l’Amministrazione finanziaria accerta e quantifica le imposte evase in caso di fatture omesse;
  • Le sanzioni amministrative applicabili e le eventuali implicazioni penali;
  • Le procedure difensive e deflative a disposizione del contribuente: dall’accertamento con adesione alle varie forme di definizione agevolata, fino al ricorso in Commissione tributaria (oggi “Corte di Giustizia Tributaria”);
  • Le più recenti pronunce giurisprudenziali e prassi ufficiali rilevanti (sentenze di Cassazione, circolari, interpelli) fino al 2025;
  • Una sezione finale di Domande & Risposte frequenti e tabelle riepilogative che sintetizzano gli aspetti chiave (sanzioni, termini, opzioni di definizione).

L’obiettivo è offrire una visione completa dal punto di vista del contribuente (debitore), ossia focalizzata su come reagire e tutelare i propri diritti di fronte a un avviso di accertamento per omessa fatturazione, comprendendone il contenuto e sfruttando le opportunità di riduzione del contenzioso.

Nota: Le informazioni e i riferimenti normativi sono aggiornati a luglio 2025, tenendo conto delle riforme recenti (es. Decreti attuativi della Delega Fiscale 2023-2024 e riforma della giustizia tributaria del 2022) e delle ultime pronunce giurisprudenziali di legittimità.

Obbligo di fatturazione e omessa fatturazione: quadro normativo

In Italia esiste un obbligo generalizzato di documentare con fattura le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rilevanti ai fini IVA, salvo eccezioni. L’art. 21 del DPR 633/1972 impone che per ogni operazione imponibile venga emessa fattura indicante gli elementi essenziali (data, descrizione, importo, IVA, ecc.). Dal 2019 vige inoltre l’obbligo della fatturazione elettronica tramite Sistema di Interscambio (SdI) per quasi tutti i soggetti IVA, per cui una fattura emessa fuori da SdI si considera inesistente ai fini fiscali. Omessa fatturazione significa dunque mancata emissione della fattura quando dovuta (o emissione con modalità non valide, ad esempio non transitando da SdI), con la conseguenza che l’operazione risulta come non fatturata agli occhi del Fisco.

Omessa fatturazione non va confusa con l’omessa dichiarazione: nel primo caso la violazione riguarda il documento fiscale (fattura non emessa), mentre la dichiarazione IVA o dei redditi potrebbe anche essere stata presentata (sebbene infedele). L’omessa emissione di fattura porta tipicamente con sé due problemi: IVA non addebitata né versata e ricavo non registrato e non dichiarato ai fini delle imposte dirette. Dunque, a fronte di una fattura omessa, l’Amministrazione contesterà sia l’IVA evasa sia le maggiori imposte dirette (es. IRES o IRPEF) dovute sul ricavo non dichiarato.

Le principali fonti normative in materia sono:

  • DPR 633/1972 (IVA) – disciplina l’obbligo di fatturazione e la tassazione delle operazioni. Ad esempio, l’art. 6 DPR 633/72 individua il momento di effettuazione dell’operazione (fondamentale per stabilire quando la fattura andava emessa), e gli artt. 54-55 DPR 633/72 disciplinano gli accertamenti IVA anche induttivi in caso di irregolarità contabili. L’art. 57 DPR 633/72 fissa i termini di decadenza per notificare gli avvisi IVA (oggi, generalmente il 5° anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione).
  • DPR 600/1973 (Imposte dirette) – contiene le norme sull’accertamento delle imposte sui redditi. L’art. 39 DPR 600/73 consente al Fisco di determinare il reddito d’impresa in modo induttivo quando i conti non sono attendibili o vi sono gravi violazioni (come omissioni di fatture). L’art. 42 DPR 600/73 regola il contenuto formale dell’avviso di accertamento e l’obbligo di motivazione; l’art. 43 DPR 600/73 stabilisce i termini di notifica per gli avvisi (simili a quelli IVA: in genere fine del 5° anno successivo).
  • D.Lgs. 471/1997, art. 6 – prevede le sanzioni amministrative per violazioni relative a fatturazione e registrazione IVA. Questa disposizione (come modificata dal D.Lgs. 158/2015 e successive norme) stabilisce che chi omette di fatturare un’operazione imponibile è punito con una sanzione dal 90% al 180% dell’IVA relativa all’operazione non documentata, con un minimo di 500 € per ogni fattura omessa. Se la violazione non incide sulla corretta liquidazione dell’imposta (ad es. fattura emessa in ritardo ma comunque inclusa nella liquidazione IVA di periodo), la sanzione è fissa da 250 a 2.000 €. Inoltre, se alla mancata fatturazione segue la mancata registrazione a libro IVA vendite, si applica comunque una sanzione unica e non due sanzioni distinte (cumulo giuridico). Va sottolineato che l’omissione rileva anche se solo formale: nel regime di fattura elettronica, emettere una fattura fuori dal SdI equivale a non averla emessa affatto.
  • D.Lgs. 471/1997, art. 1 – sanziona l’infedele dichiarazione dei redditi (o IVA) dovuta a omessa indicazione di ricavi. Se le fatture omesse hanno causato una dichiarazione con imponibili inferiori al reale, si applica anche la sanzione del 90% della maggior imposta evasa (aumentabile fino al 180% in casi gravi). Tale sanzione, distinta da quella documentale IVA, sarà normalmente irrogata nell’avviso stesso per le imposte dirette. In sintesi, al contribuente possono essere contestate due sanzioni principali: una sulla violazione IVA (art.6) e una sull’infedele dichiarazione reddituale (art.1), ciascuna di importo pari al 90% dell’imposta evasa, salvo riduzioni per definizione.
  • Legge 212/2000 (Statuto del Contribuente) – fissa importanti principi garantistici. In particolare l’art. 7 impone che ogni atto impositivo sia motivato indicandone presupposti di fatto e ragioni giuridiche, e che se la motivazione si fonda su altri atti (es. un verbale della Guardia di Finanza) questi debbano essere allegati o comunque messi a conoscenza del contribuente, a pena di nullità. Lo Statuto sancisce anche il diritto al contraddittorio endoprocedimentale in certi casi (art. 12, c.7, per le verifiche in loco) e altre tutele (come il divieto di notificare avvisi di accertamento in determinate date, es. nel mese di agosto, salvo eccezioni).
  • D.Lgs. 218/1997 – disciplina gli istituti di definizione agevolata degli accertamenti, ossia l’adesione e l’acquiescenza (oltre alla conciliazione giudiziale, regolata dal D.Lgs. 546/1992). Questo decreto è cruciale poiché prevede i benefíci sulle sanzioni in caso di accordo col Fisco o di rinuncia al ricorso. Ad esempio, in caso di accertamento con adesione, le sanzioni sono ridotte a 1/3 del minimo previsto (con il minimo edittale per omessa fatturazione pari al 90% dell’imposta, si paga dunque il 30% circa). In caso di acquiescenza (pagamento senza ricorso), la sanzione è ridotta a 2/3 di quella irrogata, cioè si “abbuona” un terzo. Questi aspetti saranno approfonditi più avanti.
  • D.Lgs. 74/2000 (reati tributari) – rileva per i profili penali. Emettere fatture è un obbligo strumentale il cui mancato adempimento in sé non costituisce reato, ma le condotte sottostanti possono integrare reati tributari: se l’omessa fatturazione si accompagna a omessa dichiarazione annuale (oltre soglie di imposta evasa > €50.000 IVA o €50.000 IRPEF) o a dichiarazione infedele (imposta evasa > €100.000 e ricavi non dichiarati > 10% del totale), scattano i reati ex artt. 5 e 4 D.Lgs.74/2000 rispettivamente. Inoltre, l’omissione di fatture può emergere in contesti di frode fiscale più ampia (es. false fatturazioni, art.2 D.Lgs.74/2000, se si usano fatture per operazioni mai fatturate dal soggetto passivo effettivo). Approfondiremo più avanti i profili penali; qui basti notare che la normativa penale si attiva solo al superamento di precisi soglie di punibilità, mentre sotto tali soglie resta solo l’illecito amministrativo.

Riassumendo, emettere le fatture dovute è un obbligo cardine del sistema IVA; la sua violazione comporta accertamenti tributari che investono sia l’IVA sia le imposte dirette, con pesanti sanzioni amministrative e potenziali conseguenze penali in caso di evasione rilevante. Nei paragrafi seguenti vedremo come il Fisco procede per individuare e accertare le fatture omesse e cosa contiene in concreto l’avviso di accertamento, prima di analizzare le sanzioni e le strategie difensive disponibili.

Accertamento fiscale in caso di fatture omesse

Quando l’Amministrazione finanziaria sospetta o scopre che un contribuente ha omesso di emettere una o più fatture, attiva le procedure di controllo e accertamento tributario. Le modalità con cui possono emergere operazioni non fatturate sono varie:

  • Verifiche e ispezioni fiscali: in sede di verifica presso l’azienda (es. accesso della Guardia di Finanza o funzionari AE), il controllo incrociato tra documenti, scritture contabili e merce può rivelare vendite o prestazioni non fatturate. Ad esempio, il rinvenimento di documentazione extracontabile (come appunti, agende, “doppie note” con ricavi non fatturati) costituisce grave indizio di omessa fatturazione. Tali elementi, se dotati dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, consentono un accertamento induttivo dei ricavi non dichiarati. La Cassazione ha chiarito, ad esempio, che appunti privati o “contabilità parallele” possono legittimare l’accertamento induttivo di maggiori ricavi, spostando sul contribuente l’onere di provare l’eventuale irrilevanza di quei dati.
  • Controlli incrociati e segnalazioni dei clienti: la normativa prevede che il cessionario/committente che non riceve fattura entro 4 mesi dall’operazione deve attivare la procedura di regolarizzazione emettendo egli stesso un’autofattura (tipo documento TD19/TD20 o oggi TD27/TD29 per fattura elettronica) e versando l’IVA dovuta, entro il mese successivo. Questo adempimento “denuncia” il cedente inadempiente. L’Agenzia delle Entrate, tramite l’incrocio dei flussi di autofatture comunicate a SdI, può individuare i soggetti che non hanno emesso la fattura originaria e avviare un accertamento. Importante: l’eventuale regolarizzazione da parte del cliente non estingue l’obbligo del fornitore di versare l’IVA né lo esonera dalle sanzioni. La Cassazione ha confermato che se il cliente ha autofatturato e versato l’imposta, ciò serve solo a evitare la sua sanzione, ma non libera il fornitore dalle responsabilità per omessa fatturazione e mancato versamento. In pratica, l’intervento del cliente non sana l’evasione del cedente: quest’ultimo resta debitore dell’imposta (che dovrà versare, al limite esercitando rivalsa sul cliente) e soggetto a sanzione.
  • Analisi dei dati contabili e bancari: l’ufficio può rilevare incongruenze tra i dati dichiarati e altri indicatori. Ad esempio, se una ditta mostra ricavi dichiarati molto esigui a fronte di alti volumi di acquisto, può scattare un accertamento basato sull’antieconomicità e la presunzione di ricavi “in nero”. Anche controlli finanziari (art. 32 DPR 600/73) possono svelare entrate su conti correnti non giustificate da fatture: versamenti bancari per cui il contribuente non fornisce prova contraria possono essere considerati ricavi non fatturati e quindi imponibili per presunzione (salvo prova che trattasi di partite non imponibili).
  • Controlli formali incrociati IVA: il sistema “tessera del mosaico” IVA permette di confrontare i dati delle dichiarazioni annuali e delle comunicazioni (esterometro, dati corrispettivi, ecc.) per stanare anomalie. Un caso tipico: un cliente dichiara un costo da fattura, ma il fornitore non dichiara il corrispondente ricavo né l’IVA. Tale discordanza può emergere dalle liste selettive e far scattare un avviso. L’Agenzia delle Entrate dispone inoltre delle comunicazioni delle fatture emesse/ricevute (ex spesometro, oggi esterometro) e delle liquidazioni periodiche IVA: discrepanze tra l’atteso e il dichiarato segnalano possibili fatture non emesse. Ad esempio, se un contribuente ha registrato fatture da emettere (nei risconti di fine anno) ma poi non risultano fatture effettivamente emesse, l’ufficio potrebbe contestare l’omessa fatturazione di quelle operazioni, ma dovrà provarne la realizzazione.
  • Accertamenti parziali o segnalazioni specifiche: a volte l’AE notifica un invito al contraddittorio o un accertamento parziale mirato a una specifica operazione non fatturata (magari segnalata da altri enti, es. Guardia di Finanza o Dogane). Ad esempio, se la GdF in un verbale (PVC) contesta la mancata emissione di scontrini o fatture per un certo ammontare, l’Agenzia può emettere un avviso (anche parziale ex art. 41-bis DPR 600/73) per recuperare a tassazione quei ricavi non documentati. In tali casi spesso l’avviso recepisce integralmente le risultanze del PVC.

Metodo di accertamento: L’omessa fatturazione, configurando in genere una tenuta irregolare delle scritture, legittima il Fisco ad operare anche in via induttiva pura (ex art. 39 c.2 DPR 600/73 e art. 55 DPR 633/72), ossia prescindendo in parte dalle risultanze contabili. Ciò significa che, oltre a contestare le operazioni specifiche non fatturate di cui ha prova, l’Ufficio può stimare ulteriori ricavi non dichiarati sulla base di presunzioni. Ad esempio, scoperta un’operazione “in nero”, si può presumere un certo tasso di sottofatturazione su tutte le operazioni, specie se vi sono indizi di sistematicità. Tali presunzioni, se dotate dei requisiti di legge, spostano sul contribuente l’onere di provare il contrario. Spesso si applicano coefficienti, studi di settore (fino al 2018) o gli indici ISA, specie se i dati rilevati indicano gravi scostamenti. Tuttavia ogni extrapolazione induttiva deve essere motivata e fondata su elementi di fatto concreti, altrimenti può essere invalidata dal giudice (anche la antieconomicità conclamata – es. vendite sotto costo per più anni – è accettata come indizio di ricavi occulti).

IVA e momento impositivo: Un aspetto peculiare dell’omessa fatturazione è il possibile disallineamento tra momento di effettuazione dell’operazione e momento di incasso del corrispettivo. La legge IVA (art. 6 DPR 633/72) prevede che per le prestazioni di servizi l’IVA diviene esigibile all’atto del pagamento, ma comunque la fattura va emessa entro 12 giorni dall’effettuazione (o entro il 15 del mese successivo per operazioni “differite”). In caso di mancata emissione, l’AE può contestare l’IVA dovuta come se l’operazione fosse stata effettuata quando ne ha prova. Ad esempio, la Cassazione ha chiarito che la mancata fatturazione di una prestazione di servizi non può essere giustificata dal mancato incasso: se la prestazione è avvenuta o se vi è stata stipula di un contratto sinallagmatico con pagamento in compensazione, l’IVA è esigibile e la fattura andava emessa. Il caso tipico è quello di compensi professionali o corrispettivi pattuiti ma non incassati: l’emissione della fattura è comunque obbligatoria al momento del pagamento (o entro l’anno di competenza per i professionisti in contabilità semplificata), pena l’evasione d’imposta. In sintesi, non incassare il compenso non legittima a non fatturare; se il credito diviene inesigibile, esistono semmai procedure per recuperare a posteriori l’IVA versata (nota di variazione per mancato pagamento da assoggettare a procedura concorsuale, ecc.), ma non si può eludere l’obbligo di fatturazione.

Accertamento ai fini delle imposte dirette: Quando viene accertata un’operazione non fatturata, l’ufficio la considererà un ricavo non dichiarato. Ai fini IRPEF/IRES ciò confluirà come incremento del reddito imponibile dell’anno in cui l’operazione andava fatturata (in base alla competenza). Non rileva che il corrispettivo non sia stato incassato, perché per i soggetti in contabilità ordinaria vige la competenza economica (per le imprese) e comunque la certezza/oggettiva determinabilità del provento. Ad esempio, se nel 2022 un’impresa ha eseguito una prestazione per 10.000 € senza fatturarla, l’accertamento arriverà ad aggiungere quei 10.000 € ai ricavi 2022 dell’impresa. La conseguenza sarà l’applicazione dell’aliquota propria (IRES 24% se società di capitali, IRPEF a scaglioni se ditta individuale) su tale importo, oltre a eventuale IRAP (3.9% base) se dovuta. In molti casi, l’omessa fatturazione di per sé implica che il relativo ricavo non sia stato neppure registrato in contabilità né indicato in dichiarazione dei redditi. Pertanto, oltre all’IVA evasa, l’avviso conterrà un accertamento di “maggior reddito imponibile” per l’anno X, con la quantificazione della maggiore imposta IRPEF/IRES dovuta. Se invece la fattura era stata omessa ma i ricavi erano comunque stati annotati da qualche parte (ipotesi rara), l’ufficio dovrà valutare se contestare solo la violazione formale IVA. Normalmente però, omessa fatturazione = ricavo sottratto a tassazione.

Prova e onere della prova: In un eventuale contenzioso, spetta all’ente impositore dimostrare (anche con presunzioni) che vi furono operazioni non fatturate. Ad esempio, basterà esibire l’autofattura emessa dal cliente o il PVC della GdF, o estratti contabili bancari anomali, per trasferire al contribuente l’onere di fornire spiegazioni alternative. Se l’AE cita documenti specifici (es. contratti, DDT, documenti extracontabili), dovrà produrli affinché il giudice li valuti. Su questo punto, una sentenza di Cassazione ha stabilito che è nullo l’accertamento se i documenti probatori elencati a fondamento della pretesa non vengono poi prodotti in giudizio, impedendo al giudice di merito di valutarli. In Cass. 21105/2018 il contribuente aveva eccepito la mancata esibizione in giudizio di fatture considerate false e di altri documenti citati nel PVC: la Corte gli diede ragione, annullando l’atto per difetto di prova effettiva in processo. È quindi buona difesa in giudizio contestare la mancata produzione di prove da parte dell’ufficio, specie se l’avviso si limita a citarle (motivazione “per relationem”).

In sintesi, l’accertamento per omessa fatturazione ricostruisce il giro d’affari “in nero” del contribuente e rettifica le sue dichiarazioni fiscali. L’avviso di accertamento che ne deriva dovrà contenere una motivazione dettagliata e chiara, indicare gli elementi scoperti (operazioni non fatturate) e le norme violate, e calcolare con esattezza le maggiori imposte dovute (IVA, IRPEF/IRES, addizionali, IRAP) e le sanzioni. Vediamo ora nel dettaglio il contenuto dell’avviso e le sanzioni applicabili.

Contenuto dell’avviso di accertamento e motivazione

Un avviso di accertamento deve rispettare precisi requisiti formali, fissati dalla legge e dallo Statuto del contribuente, pena la nullità. In particolare:

  • Chiara indicazione dei maggiori imponibili e imposte accertate: l’atto deve riportare in modo comprensibile i calcoli effettuati. Deve risultare, per ciascun tributo e anno, il confronto tra il dichiarato e l’accertato, l’aliquota applicata e la differenza d’imposta. Ad esempio: “IVA 2022: imponibile non fatturato €10.000, IVA al 22% = €2.200; imposta dichiarata €0, differenza €2.200”. Analogamente per IRPEF/IRES (“ricavi non dichiarati €10.000, aliquota 24%, imposta €2.400” etc.). L’assenza di tali indicazioni numeriche renderebbe l’avviso indeterminato e nullo per difetto di un elemento essenziale.
  • Motivazione “in fatto e in diritto”: è il requisito centrale. L’avviso deve essere motivato esponendo i presupposti di fatto (es.: “è stata riscontrata omessa fatturazione di operazioni per €X sulla base del PVC…”) e le ragioni giuridiche (“in violazione dell’art. 21 DPR 633/72 e art. 6 D.Lgs.471/97, con recupero di IVA e delle correlate imposte dirette ai sensi di…”). In pratica, l’ufficio deve spiegare quali fatti concreti ha accertato (p.es. vendita senza fattura di tot beni) e quali norme ne conseguono (obbligo di fatturazione, obbligo di dichiarazione, imponibilità ai fini IRPEF, ecc.). La motivazione può anche rinviare ad atti esterni (per relationem, es.: richiamare un verbale GdF). In tal caso, se tali atti non sono già noti al contribuente, vanno allegati all’avviso, altrimenti l’atto è nullo (art. 7 L.212/2000). La giurisprudenza ha puntualizzato che la nullità per mancata allegazione opera solo se l’atto non conosciuto contiene elementi integrativi indispensabili della motivazione. Se invece l’avviso riproduce già gli elementi essenziali del PVC, la mancata allegazione potrebbe non inficiarlo. In ogni caso è buona prassi dell’ufficio allegare il PVC o altri rapporti richiamati. La motivazione deve essere logicamente coerente: un avviso che presenti motivazioni tra loro contraddittorie o alternative (es. ipotizza sia omessa fatturazione sia costi fittizi in via eventuale) è viziato, perché non rende chiaro al contribuente l’addebito preciso. Cassazione n.13620/2023 ha annullato un avviso proprio perché formulato in termini alternativi che generavano incertezza sull’addebito.
  • Altri requisiti formali: L’avviso deve indicare l’Ufficio da cui promana e il responsabile del procedimento (art.7 co.2 Statuto), anche se la loro omissione non comporta nullità per gli avvisi (diversamente dalle cartelle esattoriali). Inoltre, vanno specificate le modalità e termini di pagamento nonché il termine di 60 giorni per ricorso con l’indicazione dell’organo giudiziario competente. Deve essere presente la cosiddetta “intimazione ad adempiere” entro 60 giorni e l’avvertimento che, in difetto, si procederà alla riscossione coattiva (questo per effetto della trasformazione degli avvisi in titoli esecutivi dal 2011). In particolare, di norma l’avviso intima: “pagare entro 60 giorni, decorsi i quali si provvederà ad iscrivere a ruolo le somme dovute con oneri e interessi, e ad avviare la riscossione forzata trascorsi 180 giorni dall’affidamento al concessionario” (come da art. 29 DL 78/2010 e succ. mod.). Infine, spesso l’avviso riporta, per trasparenza, anche l’elenco dei benefíci per il contribuente in caso di pagamento immediato o adesione (es.: “se non si fa ricorso e si paga entro 60gg, sanzioni ridotte a 1/3 per acquiescenza ex art. 15 D.Lgs.218/97; se si chiede adesione, sanzioni 1/3 del minimo…” etc.). Queste informazioni non sono obbligatorie per legge, ma sono inserite di prassi e aiutano il contribuente a capire le opzioni disponibili.
  • Firma del soggetto titolato: L’avviso deve essere sottoscritto dal capo ufficio o da altro funzionario delegato (art.42 DPR 600/73). La mancanza di firma è motivo di nullità insanabile. Anche la notifica dell’atto deve essere regolare (eseguita secondo le norme del CPC): vizi gravi nella notifica possono comportare inesistenza o nullità dell’atto, su eccezione del contribuente.

In caso di vizi formali (ad es. motivazione mancante/insufficiente, omessa indicazione di elementi essenziali, notifica irregolare), il contribuente può far valere tali vizi in sede di ricorso, ottenendo l’annullamento dell’avviso indipendentemente dal merito. Come vedremo, eccepire vizi formali (“vizi propri dell’atto”) è una delle strategie difensive possibili.

Aggiornamento 2025 – contraddittorio endoprocedimentale: Un elemento di contenuto da menzionare è l’esito del contraddittorio. Dal 1° luglio 2020 era già in vigore l’art. 5-ter D.Lgs.218/97, che obbligava l’AE a invitare il contribuente a comparire per un contraddittorio prima di emettere alcuni avvisi (pena la nullità dell’atto). La legge delega n. 111/2023 e il D.Lgs. 219/2023 hanno poi introdotto dal 2024 un obbligo generalizzato di contraddittorio: il nuovo art. 6-bis dello Statuto impone che tutti gli avvisi di accertamento emessi dal 30 aprile 2024 siano preceduti da un contraddittorio effettivo, salvo casi espressamente esclusi (controlli automatici/formali, o urgenza per imminente decadenza). Ciò è coerente col principio del “giusto procedimento” affermato anche dalla Corte di Giustizia UE. In pratica, prima di notificare l’avviso per omessa fatturazione, l’Ufficio deve inviare al contribuente uno “schema di atto” o invito a comparire indicante le maggiori imposte e sanzioni ipotizzate, concedendo almeno 60 giorni per presentare osservazioni o per aderire. Se l’ufficio emette l’avviso definitivo senza aver attivato il contraddittorio obbligatorio, l’atto è annullabile su eccezione di parte (art. 7-bis L.212/2000 introdotto dal D.Lgs. 219/23). Nel nostro contesto, quindi, per accertamenti di omessa fatturazione notificati dal maggio 2024 in poi, dovrà risultare nell’atto il riferimento al contraddittorio svoltosi (es. “visto il PVC/conclusioni del contraddittorio del …”), oppure l’indicazione del motivo per cui non si è potuto attivarlo (es. caso di urgenza o materia esclusa). Si noti che l’art. 5-ter D.Lgs. 218/97 è stato abrogato perché assorbito da queste nuove norme, e oggi rimangono solo specifiche particolarità procedurali per gli atti emessi prima del 2024 o in settori esclusi.

Termini di notifica dell’avviso: Per legge, gli avvisi di accertamento devono essere notificati entro determinati termini di decadenza. In generale, per i periodi d’imposta fino al 2015, il termine ordinario era il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (quinto se la dichiarazione era omessa). Dal 2016, la L.208/2015 ha allungato di un anno: ora l’accertamento deve avvenire entro il 31 dicembre del quinto anno successivo (o settimo se dichiarazione omessa). Ad esempio, per un’operazione omessa nel 2020 e non dichiarata, l’AE può notificare avviso entro il 31/12/2026 (dichiarazione presentata) o 31/12/2027 (se dichiarazione omessa). Ci sono poi cause di proroga/raddoppio: in caso di violazioni che configurano reati tributari, i termini raddoppiano (art. 43-bis DPR 600/73) relativamente a quel periodo d’imposta se la denuncia penale è presentata entro i termini ordinari. La Corte di Cassazione (ord. 5131/2025) ha confermato che, in base alla normativa vigente, il raddoppio opera solo quando la denuncia è effettivamente trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario. Questo significa che, ad esempio, se l’omessa fatturazione del 2019 ha integrato il reato di dichiarazione infedele (soglia superata) e l’AE ha sporto denuncia entro il 31/12/2024, allora il termine di accertamento per il 2019 si estende al 31/12/2028. Altrimenti resta il termine ordinario. In ogni caso, un avviso notificato oltre i termini di decadenza è nullo per decadenza (eccezione che il contribuente deve sollevare). Da notare che in caso di adesione del contribuente al PVC o altre definizioni, i termini possono essere sospesi o prorogati. Ad esempio, la presentazione dell’istanza di adesione dopo la notifica dell’avviso sospende il termine per ricorrere di 90 giorni, ma non proroga i termini di decadenza dell’Ufficio (che quindi deve notificare entro quelli).

In sintesi, un avviso per omessa fatturazione deve arrivare tempestivamente, essere redatto con estrema chiarezza (fatti contestati, norme violate, calcoli), citare e allegare i documenti essenziali e rispettare tutte le garanzie procedurali (contraddittorio, motivazione, ecc.). Queste esigenze formali, oltre a tutelare il contribuente, servono a mettere quest’ultimo in condizione di decidere consapevolmente il da farsi: pagare (magari con sconti sulle sanzioni) oppure contestare l’atto.

Passiamo ora a esaminare le sanzioni connesse all’omessa fatturazione e le possibilità di definizione agevolata, prima di affrontare le strategie difensive e il contenzioso.

Sanzioni amministrative e profili penali dell’omessa fatturazione

L’omessa fatturazione comporta l’irrogazione di sanzioni amministrative tributarie significative, proporzionate al tributo evaso o potenzialmente evaso. Inoltre, nei casi più gravi, può configurarsi un illecito penale tributario. Analizziamo separatamente i due profili.

Sanzioni amministrative tributarie

Come accennato, la sanzione principale per chi omette di emettere fattura è prevista dall’art. 6, comma 1, D.Lgs. 471/1997: si tratta di una sanzione proporzionale compresa tra il 90% e il 180% dell’IVA relativa all’operazione non documentata. Il minimo edittale è il 90%, con una sanzione minima assoluta di 500 euro per ogni fattura non emessa. Ad esempio, se un’operazione da €1.000 + IVA 22% non è fatturata, l’IVA evasa è €220 e la sanzione base va da €198 (90% di 220) a €396 (180% di 220), ma poiché 90%*220=198 è sotto il minimo di 500 €, la sanzione applicabile sarà 500 €. Importi superiori scaleranno col 90%. L’ufficio in genere applica il minimo edittale (90%) per ogni violazione, salvo aggravanti.

Riduzione della sanzione in caso di violazione “senza impatto IVA”: Se la mancata fatturazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo, la legge prevede una sanzione fissa da 250 a 2.000 euro. Questo scenario tipicamente ricorre quando, pur emettendo tardivamente la fattura, l’IVA viene comunque versata nel periodo giusto (ad esempio grazie a autofattura del cliente, o a registrazione sui corrispettivi). Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito (Interpello 528/2019) che anche un lieve ritardo oltre i termini ordinari fa venir meno le esimenti, per cui la sanzione proporzionale si applica comunque. In pratica la soglia di tolleranza è minima: se l’IVA è confluita regolarmente nella liquidazione del periodo, allora sì sanzione fissa; se invece il ritardo/omissione ha comportato un versamento tardivo (anche di un solo periodo), si applica la sanzione del 90%.

Cumulo giuridico: Importante, in caso di omissione sia di fatturazione che di registrazione della stessa operazione, non si sommano due sanzioni. L’art. 6 comma 1 stabilisce che la sanzione per omessa fatturazione e quella per omessa registrazione (art. 6 comma 8) si applicano una sola volta per la medesima operazione. Quindi se Tizio non ha emesso né registrato una fattura da €1.000+IVA, non subirà 90%+90% (fattura e registrazione), ma un unico 90% dell’IVA. In caso di più violazioni, se riferite a periodi d’imposta diversi, le sanzioni si sommano (cumulo materiale), mentre se sono plurime violazioni nel medesimo periodo possono anche cumularsi giuridicamente (con aumento fino al doppio).

Sanzioni accessorie IVA: Oltre alla sanzione pecuniaria, l’omessa fatturazione reiterata può portare, nei casi più gravi, a sanzioni accessorie come la sospensione della licenza o dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività commerciale, quando ricorrano i presupposti dell’art. 12 D.Lgs. 471/97 (es. quattro distinte violazioni in giorni diversi, ciascuna con imponibile > 50.000 €). Tali misure vengono applicate con provvedimento della Direzione Regionale AE a seguito di segnalazione e sono di solito temporanee (chiusura fino a 10 giorni). Sono comunque riservate a ipotesi di evasioni IVA ingenti o sistematiche.

Sanzioni imposte dirette (dichiarazione infedele): Parallelamente, l’omessa indicazione in dichiarazione dei ricavi relativi alle fatture non emesse integra l’illecito di dichiarazione infedele, sanzionato dall’art. 1, comma 2, D.Lgs. 471/97 con il 90% della maggior imposta dovuta. Questa sanzione si calcola sulle maggiori imposte (IRPEF/IRES e addizionali) accertate. Esempio: ricavo €10.000 non dichiarato da una ditta individuale in regime IRPEF: imposta evasa supponiamo €3.000; la sanzione infedele sarà €2.700 (90% di 3.000). Se concorrono più imposte (es. IRES e IRAP), le sanzioni si applicano su ciascuna. Anche qui ci sono soglie di non punibilità: se l’infedeltà è inferiore al 5% del reddito dichiarato (e comunque < €2.000) la sanzione può ridursi di un terzo; ma nell’omessa fatturazione in genere queste soglie sono superate o non applicabili. Va sottolineato che per le imposte sui redditi non esiste l’equivalente riduzione “250-2000 €” perché qualsiasi omessa fatturazione implica imposta evasa. Dunque il 90% pieno è la regola (salvo definizioni agevolate).

Violazioni correlate: Se l’omessa fatturazione si accompagna ad altri illeciti (ad es. omesso versamento IVA nei termini), potenzialmente l’AE potrebbe contestare anche la sanzione per omesso versamento (30% dell’imposta non versata, art. 13 D.Lgs.471/97). Tuttavia, quando l’imposta non versata deriva proprio da un accertamento per omessa fattura, normalmente l’avviso liquida l’IVA dovuta e applica la sanzione omessa fatturazione; il mancato versamento a suo tempo viene assorbito in questa condotta più grave. Allo stesso modo, se l’operazione non fatturata era soggetta a ritenuta alla fonte (caso raro, es: compenso a professionista non fatturato, quindi neanche ritenuta operata), potrebbero sorgere profili sanzionatori per omesso versamento di ritenute. Ma questi casi esulano dall’ipotesi tipica (che riguarda IVA e ricavi).

Ravvedimento operoso: Finché l’illecito non viene contestato, il contribuente può autonomamente sanare la violazione con ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/97). In caso di omessa fatturazione, è possibile regolarizzare emettendo la fattura tardiva, versando l’IVA dovuta con interessi e pagando la sanzione ridotta. Le riduzioni sono proporzionali alla tempestività: ad esempio, entro 90 giorni la sanzione è ridotta a 1/9 del minimo; entro il termine di presentazione della dichiarazione IVA dell’anno (es. entro aprile dell’anno successivo) si riduce a 1/8, e oltre tale termine a 1/7. Questo significa che se la sanzione piena è 90%, ravvedersi entro 90 giorni porta la sanzione a un decimo circa (90%/9 = 10% dell’imposta). Il ravvedimento è però precluso se la violazione è già stata constatata (ad esempio, se c’è già stato accesso o notifica di PVC) o se l’AE ha già avviato accertamenti notificando atti specifici. Pertanto, chi si accorge di non aver emesso una fattura dovrebbe ravvedersi immediatamente prima che il fisco se ne accorga: questo consente di pagare l’IVA dovuta spontaneamente ed evitare l’avviso (o riceverne uno senza sanzioni, al limite).

Esempio sanzioni: Per chiarire l’impatto delle sanzioni e l’importanza delle definizioni agevolate, consideriamo un caso pratico riassunto nella Tabella 1:

Scenario violazioneSanzione base applicabile (art.6 D.Lgs.471/97)
Omessa fatturazione con IVA dovuta non versata (violazione con imposta evasa)90% dell’IVA non fatturata (minimo 500 € per fattura). Se più violazioni in anni diversi, 90% su ogni annualità (cumulo materiale).
Omessa fatturazione senza impatto sul debito IVA (es. fattura emessa tardivamente ma entro liquidazione, oppure autofattura cliente)Sanzione fissa €250 – €2.000 per ciascuna violazione. (Resta comunque la sanzionabilità di eventuali ritardi).
Omessa registrazione della fattura (oltre all’omessa emissione)Nessuna sanzione aggiuntiva separata (cumulo giuridico: un’unica sanzione per l’operazione).
Dichiarazione infedele per ricavi non dichiarati90% della maggiore imposta IRPEF/IRES/IRAP dovuta (se il ricavo non fatturato non era dichiarato). Solitamente applicata oltre alla sanzione IVA.
Omesso versamento dell’IVA accertata (violazione distinta)30% dell’imposta non versata, ma di regola assorbita dalla sanzione per omessa fatturazione se trattasi del medesimo ammontare.

Tabella 1 – Sanzioni base per omessa fatturazione e violazioni connesse (scenario standard).

Definizione agevolata delle sanzioni (adesione, acquiescenza, ecc.)

Le sanzioni sopra descritte, in caso di accertamento, possono essere ridotte in maniera significativa se il contribuente adotta talune procedure deflattive previste dalla legge. Queste non vanno confuse con eventuali “condoni”: si tratta di istituti ordinari sempre a disposizione (accertamento con adesione, acquiescenza, conciliazione) o di definizioni speciali temporanee introdotte dal legislatore. Esaminiamo quelle più rilevanti:

  • Acquiescenza all’accertamento: consiste nel non impugnare l’avviso di accertamento e pagare entro 60 giorni dalla notifica le somme dovute. In tal caso si applica l’art. 15 D.Lgs. 218/97, che prevede la riduzione delle sanzioni a 1/3 in meno rispetto a quanto irrogato (in pratica si paga il 2/3 della sanzione). Attenzione: spesso si dice “sanzioni ridotte a 1/3”, ma in realtà la norma (art.15) dice che si paga un terzo in meno del totale, quindi l’effetto è pagare due terzi. Esempio: sanzione piena 90% -> in acquiescenza si paga il 60% (cioè 2/3 di 90%). Spesso l’AE negli avvisi applica direttamente la sanzione massima ridotta a 2/3 per suggerire l’acquiescenza. L’acquiescenza presenta i vantaggi di chiudere subito la pendenza ed evitare i costi e i rischi del contenzioso. Inoltre consente di rateizzare il dovuto fino a 8 rate trimestrali (16 se importo > €50.000). Di contro, richiede liquidità (non c’è ulteriore sconto su imposta e interessi, solo sulle sanzioni) e soprattutto comporta la rinuncia definitiva a contestare: una volta pagato, l’atto diviene definitivo e non più impugnabile. Va infatti formalizzata con il pagamento (integrale o prima rata) entro i 60 giorni. Se emergessero errori o nuovi elementi dopo, non vi si può più rimediare.
  • Accertamento con adesione: è la procedura di definizione concordata con l’Ufficio prevista dagli artt. 2-7 D.Lgs.218/97. Consente di discutere con l’AE il contenuto dell’accertamento e raggiungere eventualmente un accordo transattivo sulle imposte e sanzioni. Nel concreto, il contribuente può presentare istanza di adesione entro 60 giorni dal ricevimento dell’avviso (o prima, a seguito di invito al contraddittorio). La presentazione della domanda sospende il termine per ricorrere per 90 giorni. Durante questi 90 giorni viene fissato un incontro e si valutano le prove: l’ufficio può ridurre gli imponibili accertati tenendo conto delle difese del contribuente, arrivando a una quantificazione condivisa del dovuto. Se si trova l’accordo, si formalizza un atto di adesione con le nuove somme (imposte e interessi) e – per legge – le sanzioni sono ridotte a 1/3 del minimo edittale. Ciò spesso equivale a un taglio drastico: nel caso di omessa fatturazione, minimo edittale 90% -> sanzione in adesione 30% dell’imposta. Quindi un’operazione con IVA €220 avrebbe sanzione €198 (90%) normalmente, ma in adesione €66. Oltre alla riduzione sanzioni, l’adesione consente la rateazione come l’acquiescenza (max 8 o 16 rate trimestrali). Se l’accordo non si perfeziona (manca intesa o contribuente rinuncia), l’adesione si chiude senza esito e il contribuente ha 30 giorni dalla chiusura per impugnare l’avviso (se la sospensione di 90 gg lo consente). L’unico “costo” del tentare l’adesione è aver perso un po’ di tempo, ma nessun diritto viene pregiudicato (i 60 gg di ricorso riprendono dal punto in cui si erano fermati). Per questo si suggerisce quasi sempre di presentare istanza di adesione (“anche in bianco”) per guadagnare tempo e magari ottenere uno sconto. Novità 2024: in attuazione della Delega Fiscale, dal 2024 se il contraddittorio è già stato svolto prima dell’avviso (ex art. 6-bis Statuto) l’adesione post-avviso ha tempi ridotti: l’istanza va presentata entro 15 giorni (non 60) e la sospensione è di 30 gg, proprio perché già si è discusso prima. Inoltre non si può chiedere l’adesione dopo l’avviso se già si è aderito (senza accordo) allo schema in contraddittorio. In sostanza, l’adesione diventa preferibilmente ante-notifica. Resta comunque la possibilità di accordarsi anche dopo aver impugnato, tramite conciliazione giudiziale (vedi oltre).
  • Conciliazione giudiziale: qualora si presenti ricorso, è possibile in sede processuale (prima o durante il giudizio) giungere a un accordo transattivo con l’Ufficio, chiamato conciliazione. Se avviene nel giudizio di primo grado (conciliazione “provvisoria” ante sentenza) le sanzioni sono ridotte al 40% del minimo edittale, quindi per omessa fatturazione al 40% di 90% = 36% dell’imposta. Se avviene in appello, la riduzione è al 50% del minimo. La conciliazione può prevedere anche una riduzione degli imponibili (dipende dal negoziato) e prevede la rateizzazione simile all’adesione (fino a 8 rate semestrali, art. 48 D.Lgs.546/92). Conciliare ha il vantaggio di poter calibrare l’accordo alla luce di come sta andando il processo (ad esempio dopo aver visto l’orientamento del giudice). Svantaggi: richiede che entrambe le parti siano disponibili a transigere, e comporta la cessazione della lite (rinuncia agli ulteriori gradi di giudizio su quegli atti). È comunque uno strumento deflattivo importante: il legislatore ne incentiva l’uso con lo sconto sanzioni citato.
  • Altre definizioni agevolate ordinarie: esistono poi istituti particolari, come la definizione agevolata delle sole sanzioni (art.16 D.Lgs.472/97) quando il contribuente non impugna l’atto di contestazione delle sanzioni autonome (riduzione a 1/3); oppure la definizione degli avvisi bonari da controllo formale (sanzioni ridotte 2/3). Tuttavia, nel caso dell’omessa fatturazione, di solito le sanzioni sono irrogate direttamente nell’avviso principale, e dunque valgono acquiescenza/adesione come visto.

Misure straordinarie (“Pace Fiscale” 2023): va segnalato che la Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) ha previsto alcune definizioni agevolate eccezionali degli atti di accertamento pendenti a inizio 2023. In particolare, i commi 179-185 della L.197/22 hanno consentito di definire in modo agevolato: avvisi di accertamento, avvisi di rettifica/liquidazione e atti di adesione, non impugnati e ancora impugnabili al 1° gennaio 2023, nonché quelli notificati entro il 31/03/2023. La definizione consisteva nel pagare integralmente le imposte e gli interessi, ma con sanzioni ridotte ad 1/18 del minimo di legge. Si tratta di una riduzione drasticissima (circa il 5.5% della sanzione ordinaria). Per poter aderire a questa “tregua fiscale”, l’atto non doveva essere già oggetto di ricorso al 1/1/2023. Di fatto, per molti avvisi di accertamento ricevuti a fine 2022, la definizione in parola ha consentito di chiudere la vertenza versando solo un importo simbolico di sanzioni (1/18). Ad esempio, un avviso per omessa fatturazione con sanzione edittale 90%: in via ordinaria, adesione 30%, acquiescenza ~60%; con la definizione L.197/22 bastava pagare 5% (1/18 di 90%). Tali misure straordinarie avevano scadenze precise (versamento unica soluzione o prima rata entro 31/3 o 30/6/2023 a seconda dei casi). Altre disposizioni di “pace fiscale” 2023 includevano: la definizione agevolata delle liti pendenti (possibilità di chiudere i ricorsi pagando percentuali variabili a seconda degli esiti in primo/secondo grado), la rottamazione delle cartelle (stralcio sanzioni e interessi di mora su ruoli affidati al concessionario entro il 2017, e rottamazione “quater” per carichi 2000-2017 con pagamento solo imposte e interesse ridotto). Queste misure però sono state una tantum e si sono chiuse nel 2023. È possibile che in futuro vengano riproposti condoni o rottamazioni, ma allo stato (luglio 2025) non ve ne sono attivi.

Riepilogo – Incidenza delle definizioni sulle sanzioni: Nella Tabella 2 sottostante compariamo il carico sanzionatorio (in % dell’imposta) nelle diverse ipotesi:

SituazioneSanzione effettiva da pagare (in % dell’imposta evasa)
Contestazione ordinaria (atto impugnato in contenzioso)100% della sanzione irrogata, quindi ad es. 90% IVA (nessuna riduzione ex lege in caso di soccombenza totale). Il giudice però può talvolta disapplicare parzialmente le sanzioni per circostanze attenuanti.
Acquiescenza (pagamento entro 60gg, no ricorso)2/3 della sanzione irrogata. Se applicato minimo 90%, si paga il 60% dell’imposta (es. omessa fatturazione: 0.6 * 90% = 54% imposta).
Accertamento con adesione (accordo in ufficio)1/3 del minimo edittale. Omessa fatturazione: 30% dell’imposta (1/3 di 90%). Esempio: minimo 90% -> 30%.
Conciliazione giudiziale (1° grado)40% del minimo edittale. Omessa fatturazione: 36% imposta (0.4 * 90%).
Conciliazione in appello50% del minimo edittale. Omessa fatturazione: 45% imposta.
Definizione agevolata L.197/2022 (straordinaria)1/18 del minimo. Omessa fatturazione: 5% imposta circa. (Misura una tantum, scaduta 2023).

Tabella 2 – Riduzione delle sanzioni in caso di definizione agevolata.

Come si vede, la differenza è notevole: aderire in fase amministrativa (adesione) o fruire di sanatorie può abbattere la sanzione a pochi punti percentuali dell’imposta, mentre andare in giudizio espone al rischio di dover pagare l’intero 90% (oltre imposta e interessi).

Profili penali tributari

L’omessa fatturazione in sé non è prevista come reato autonomo. Tuttavia, come già accennato, può costituire l’elemento materiale di reati tributari di evasione fiscale, in particolare:

  • Dichiarazione infedele (art.4 D.Lgs.74/2000): se i ricavi non fatturati e non dichiarati determinano un’evasione d’imposta superiore a €100.000 e superano il 10% del reddito dichiarato (o comunque > €2 milioni), scatta il reato di dichiarazione infedele, punito con la reclusione da 2 a 4 anni (limiti a regime dopo Dlgs 158/2015). Ad esempio, se un’azienda dichiara 1 milione di ricavi ma ne ha occultati 300.000 con fatture omesse, e l’imposta evasa su questi supera 100k, integra il reato. È un reato di pericolo concreto: occorre che l’infedeltà superi entrambe le soglie (assoluta e percentuale). Se l’omessa fatturazione è meno rilevante, resta solo illecito amministrativo.
  • Omessa dichiarazione (art.5 D.Lgs.74/2000): se il contribuente non presenta proprio la dichiarazione annuale IVA o dei redditi (cosa non infrequente nei casi di “totalmente a nero”), ed evade imposta > €50.000, configura il reato di omessa dichiarazione, punito con reclusione 2 a 5 anni. Ad esempio, un professionista che non fattura nulla e non presenta la dichiarazione configurerebbe questo reato (superate le soglie). Nel nostro contesto, può capitare che chi omette di fatturare in modo sistematico non presenti nemmeno la dichiarazione IVA o redditi: in tal caso l’avviso di accertamento evidenzierà l’omessa presentazione e l’importo evaso, e parallelamente scatterà la denuncia penale. Va ricordato che l’omessa dichiarazione IVA è reato solo oltre €50.000 di IVA evasa per anno.
  • Emissione di fatture false (art.8 D.Lgs.74/2000): è un reato diverso (fatture per operazioni inesistenti). Non va confuso: nell’omessa fatturazione la fattura proprio manca; nell’emissione di false fatture invece si emettono documenti per operazioni mai avvenute. Sono situazioni differenti, anche se sul piano probatorio talvolta il confine può essere sottile (ad es. un contribuente potrebbe simulare di non aver fatturato operazioni che invece risultano come fatture false altrove, ecc.).
  • Altri reati fiscali: in casi estremi, l’omessa fatturazione massiva potrebbe concorrere con reati come sottrazione fraudolenta al pagamento imposte (art.11, se si occultano i beni per non pagare le somme accertate) oppure con reati non tributari (es. false comunicazioni se parliamo di società di capitali che occultano ricavi nei bilanci, ecc.). Ma il fulcro rimane nei due reati dichiarativi sopracitati.

È importante per il contribuente capire se il proprio caso ha rilevanza penale: se sì, le conseguenze sono molto serie (processo penale parallelo a quello tributario). Gli avvisi di accertamento spesso riportano l’annotazione che “dai fatti accertati si ravvisano violazioni punite dal D.Lgs.74/2000 e pertanto verrà presentata notizia di reato alla Procura ex art.331 c.p.p.”. Questo avvertimento (obbligatorio) segnala che verrà inviata denuncia penale. In alcuni casi, tuttavia, l’AE aspetta l’esito del contraddittorio o di eventuali deduzioni prima di denunciare. Dal lato difensivo, se vi è rischio penale, è ancora più consigliabile tentare l’adesione o comunque ridurre il contenzioso: una definizione dell’accertamento con pagamento può attenuare il giudizio penale (non evita il reato, ma in caso di patteggiamento o condanna consente l’attenuante del pagamento del debito tributario). In certi casi la nuova causa di non punibilità introdotta nel 2019 (art. 13 co.2 D.Lgs.74/2000) consente di evitare la punibilità se prima della dichiarazione di apertura del dibattimento penale si paga integralmente imposta, interessi e sanzioni. Quindi definire in adesione l’avviso (pagando tutto) può portare all’archiviazione del procedimento penale. È un aspetto cruciale da valutare con legale penalista tributarista al seguito.

In conclusione, dal punto di vista sanzionatorio, l’omessa fatturazione espone a: sanzioni pecuniarie molto elevate (anche cumulate per IVA e imposte sui redditi), che però possono essere sensibilmente ridotte utilizzando gli strumenti deflativi; e, se di entità rilevante, a un rischio penale per dichiarazione infedele/omessa, da gestire con la massima attenzione (spesso pagando il dovuto per ottenere cause di non punibilità).

Di seguito, dopo aver delineato il quadro sanzionatorio, ci focalizziamo sulle strategie operative per il contribuente che riceve un avviso di accertamento: come reagire, quali scelte effettuare (pagare, aderire, ricorrere), con una panoramica sia delle procedure contenziose che di quelle deflattive.

Cosa fare in caso di avviso: opzioni del contribuente (pagamento, adesione, ricorso)

Di fronte alla notifica di un avviso di accertamento per omessa fatturazione, il contribuente ha essenzialmente tre strade principali: accettare e pagare (eventualmente con sanzioni ridotte), definire in via amministrativa tramite adesione, oppure impugnare l’atto in sede giudiziale. È una decisione da prendere entro tempi brevi (60 giorni), valutando gli importi in gioco, le probabilità di successo di una contestazione e la situazione finanziaria. Vediamo in dettaglio ciascuna opzione, inclusi pro, contro e aspetti pratici:

Pagamento e acquiescenza (definizione immediata dell’atto)

Se il contribuente riconosce la fondatezza (totale o prevalente) dell’accertamento o comunque preferisce chiudere subito la vicenda evitando il contenzioso, può optare per l’acquiescenza. Tecnicamente consiste nel non presentare ricorso entro 60 giorni e nel pagare le somme dovute (imposte, interessi, più sanzioni ridotte) entro lo stesso termine di 60 giorni dalla notifica. In cambio, come detto, si beneficia della riduzione delle sanzioni a 2/3 del loro ammontare.

Come si esercita: di solito nell’avviso sono già indicati gli importi da versare per acquiescenza (talvolta con modelli F24 precompilati). Bisogna versare tutto il dovuto entro 60 giorni (o la prima rata se si sceglie la rateazione). Il pagamento vale come implicita accettazione dell’accertamento. È sempre ammessa la rateazione: fino a 8 rate trimestrali se l’importo (imposte + interessi + sanzioni) è fino a €50.000; fino a 16 rate trimestrali se supera €50.000. La prima rata va pagata entro 60 giorni. La rateazione comporta l’applicazione di interessi di dilazione (al tasso legale, solitamente) sulle rate successive. Attenzione: se si paga la prima rata e poi non si pagano le altre, l’agevolazione sulle sanzioni decade e il carico residuo viene iscritto a ruolo aumentato (si torna al 100% sanzioni, salvo il già versato). Dunque rateizzare richiede certezza di poter onorare il piano.

Vantaggi dell’acquiescenza:

  • Eliminazione immediata del contenzioso: si chiude la partita con il Fisco in 60 giorni, evitando spese legali, tempi lunghi e incertezze.
  • Risparmio sulle sanzioni: pagare 2/3 delle sanzioni significa, ad esempio, se l’avviso aveva sanzione 90% imposta, pagare solo 60%. In soldoni, se imposta evasa €10.000, sanzione irrogata €9.000, con acquiescenza si pagano €6.000 (risparmio €3.000).
  • Rateazione relativamente lunga (fino a 4 anni) senza garanzie particolari (basta un’istanza all’AE, di solito contestuale al pagamento prima rata).
  • Niente iscrizione a ruolo né aggravio di aggi (l’atto non va al riscossore, tranne se decadi dalle rate).

Svantaggi e considerazioni:

  • Rinuncia totale al ricorso: una volta pagato, non si può più contestare nulla dell’accertamento. Anche se emergessero errori o nuovi elementi a favore, l’atto è ormai definitivo (salvo rarissimi casi di autotutela ex post, a discrezione dell’AE, tutt’altro che garantiti).
  • Impegno finanziario immediato: servono risorse per pagare (almeno la prima rata consistente). Se l’importo è elevato e la liquidità scarseggia, l’acquiescenza può essere difficile, nonostante la dilazione. In caso di importi molto alti, le 16 rate trimestrali (4 anni) sono comunque un piano stringente (es. €100.000 in 16 trimestri = ~€6.250 a rata + interessi).
  • Nessuna possibilità di ulteriore riduzione delle imposte: se si ritiene che l’imponibile accertato sia eccessivo o infondato ma non si vuol fare causa, l’adesione permetterebbe di negoziare; con acquiescenza invece si accetta l’importo per intero. Quindi acquiescenza è consigliabile quando l’AE ha già riconosciuto eventuali ragioni (ad es. ha ridotto in sede di contraddittorio pre-avviso) o quando il contribuente ammette del tutto la violazione. In situazioni dubbie, spesso è meglio adesione (tentare uno sconto) o ricorrere.

In pratica, l’acquiescenza conviene se: il rapporto costi/benefici del ricorso è sfavorevole (spese e rischio superano il possibile guadagno) e se il contribuente dispone dei fondi per chiudere. Spesso piccoli importi conviene pagarli, grandi importi conviene trattare/ricorrere – ma vanno valutate le chance di vittoria. Un ruolo lo gioca anche la strategia aziendale: chi vuole presentarsi come “in regola” a banche, fornitori ecc., talvolta preferisce evitare di avere contenziosi fiscali pendenti, e regolarizza subito.

Accertamento con adesione (definizione concordata in sede amministrativa)

Se il contribuente intende contestare (in tutto o in parte) le pretese ma preferisce tentare una composizione bonaria prima di andare in giudizio, la via elettiva è l’accertamento con adesione. Come descritto, l’adesione offre duplice vantaggio di poter ridiscutere il merito (eventualmente ottenendo una riduzione degli importi accertati) e di ottenere comunque la riduzione massima delle sanzioni (1/3 del minimo).

Come procedere: dopo aver ricevuto l’avviso, il contribuente ha 60 giorni di tempo (15 gg se già c’è stato contraddittorio preavviso dal 2024) per presentare una istanza di accertamento con adesione all’Ufficio competente. L’istanza è un semplice atto in carta libera in cui si chiede di essere convocati per definire in adesione l’avviso protocollo n…/data… . Va inviata all’indirizzo PEC dell’ufficio o presentata a mano. La presentazione dell’istanza sospende automaticamente i termini per il ricorso per 90 giorni (o 30 giorni nei casi di istanza post-contraddittorio dal 2024). L’ufficio normalmente risponde fissando un appuntamento (o più di uno) per il contraddittorio.

Durante l’incontro, il contribuente (o il suo professionista) può esporre le proprie ragioni, produrre documenti, contestare i calcoli, ecc. L’ufficio può recepire in tutto o in parte tali argomentazioni. Spesso si raggiunge una soluzione di compromesso: ad esempio, per omessa fatturazione, se il contribuente porta prove che alcuni ricavi non erano imponibili o erano duplicati, l’AE potrebbe decurtare l’imponibile accertato. Oppure, se la controversia riguarda la qualificazione di un’operazione, si può trovare un punto intermedio (es. imporre parzialmente). L’adesione permette grande flessibilità: non ci sono rigidi limiti se non il comune accordo. Addirittura, l’ufficio potrebbe rinunciare alle sanzioni (ulteriormente) o riconoscere circostanze attenuanti. Tuttavia, va detto, negli ultimi anni l’orientamento AE è di aderire solo su elementi oggettivi: difficilmente “tratta” l’imponibile come si farebbe in una transazione commerciale pura; cerca piuttosto di applicare correttamente la legge tenendo conto di eventuali prove nuove. Ad ogni modo, per il contribuente vale sempre la pena tentare l’adesione, perché:

  • Si “compra” tempo (90 giorni di respiro in più);
  • Si mantiene aperta la possibilità del ricorso se il risultato non soddisfa (la sospensione di 90gg è proprio per decidere con calma);
  • In caso di accordo, come detto, sanzioni ridotte al minimo possibile (1/3 del minimo) e rateazione 8 o 16 trimestri sul dovuto.

Se si raggiunge l’accordo: viene redatto un atto di adesione con tutte le somme concordate (nuovi imponibili, imposte ricalcolate, interessi e sanzioni 1/3 del minimo). Il contribuente firma per accettazione; entro 20 giorni deve versare le somme dovute o la prima rata (è ammessa stessa rateazione di prima: 8 o 16 trimestri). L’adesione si perfeziona col pagamento (o prima rata) entro 20 giorni. Se non si paga, l’adesione decade e l’atto torna valido originariamente (con probabile iscrizione a ruolo immediata). Quindi è cruciale essere pronti a pagare. Una volta perfezionata, l’adesione preclude ogni ricorso: l’accertamento si intende definito e definitivo.

Se non c’è accordo: si sottoscrive un verbale di mancato accordo, oppure semplicemente si lascia scadere il termine di 90 giorni senza firmare nulla. Il contribuente a quel punto può presentare ricorso entro i successivi 60 giorni (in realtà: i 60 originari meno i giorni trascorsi prima dell’istanza, che riprendono a decorrere). In pratica, dall’istanza di adesione di solito passano 2-3 mesi; poi se non c’è intesa il contribuente avrà ancora circa 30 giorni per fare ricorso (per arrivare al totale di 150gg dal ricevimento avviso).

Vantaggi dell’adesione:

  • Massimo sconto sanzioni: 1/3 del minimo edittale è circa la metà di quanto si pagherebbe in acquiescenza e ancor meno rispetto all’esito di un contenzioso perso.
  • Possibile riduzione imponibili: se il contribuente ha buone argomentazioni, può ottenere un sostanziale taglio delle imposte accertate (cosa impossibile con acquiescenza). Nel caso di omessa fatturazione, potrebbe dimostrare che parte di quei proventi erano non imponibili IVA (per natura o perché già tassati altrove), o che l’importo andrebbe rettificato; l’ufficio può venirgli incontro almeno in parte. Ciò riduce anche l’imposta da pagare oltre alle sanzioni.
  • Rateazione analoga ad acquiescenza: fino a 4 anni se importi elevati, senza bisogno di garanzie (basta rispettare le scadenze).
  • Tempi più lunghi per decidere: l’adesione consente di arrivare anche a 150 giorni (5 mesi) dalla notifica prima di dover decidere sul ricorso. Questo tempo può servire per reperire fondi, valutare meglio il caso con consulenti, attendere eventuali sanatorie, ecc. Spesso si richiede adesione anche solo “per prendere tempo”, magari sapendo già che non ci sarà accordo, ma intanto si sposta in avanti la scadenza del ricorso. Questa è una tattica legittima (purché non abusata solo a fini dilatori senza discussione).
  • Minor conflittualità: aderire significa evitare il giudizio, con beneficio anche reputazionale e di rapporti con l’AE (specie per chi intende mantenere un profilo collaborativo col Fisco).

Svantaggi o limiti:

  • Esito incerto: non c’è garanzia di ottenere un accordo davvero migliorativo. Se l’ufficio ritiene il suo accertamento solido, potrebbe offrire poca o nessuna riduzione, contando sul fatto che in giudizio potrebbe vincere. Ad esempio, talvolta l’AE in adesione si limita a confermare il dovuto riducendo solo le sanzioni (cosa obbligata per legge), senza tagli all’imposta. In tal caso il contribuente avrebbe solo ciò che comunque l’acquiescenza dava (anzi, di più sulle sanzioni) ma avrebbe perso tempo. Bisogna valutare quanto l’ufficio sia aperto a discutere nel caso concreto.
  • Necessità di trasparenza e collaborazione: l’adesione è uno scambio: il contribuente deve spesso fornire dati, spiegazioni dettagliate, magari ammettere parzialmente irregolarità, nella speranza di convincere l’Ufficio. Questo comporta scoprire le proprie carte. Se poi l’accordo salta, quelle informazioni restano acquisite dall’AE e potrebbero rendergli più facile difendersi in giudizio (conoscendo in anticipo le mosse del contribuente). È un rischio calcolato: però va detto che in giudizio comunque vale il principio dispositivo, e se uno ha buone prove le userà comunque.
  • Impegno a pagare (in caso di firma): una volta raggiunto l’accordo, recedere non è ammesso. Se poi non si paga, come detto, si perde il beneficio e l’ufficio riprende la riscossione coattiva del dovuto originario in misura piena (salvo quanto eventualmente già versato). Quindi occhio a firmare adesioni troppo onerose senza sicurezza di poterle onorare. È preferibile semmai non concludere e ricorrere, piuttosto che aderire e poi non pagare.

In generale l’accertamento con adesione è consigliabile nella maggior parte dei casi, a meno che: a) si sia certi di voler fare ricorso fino in fondo (es. questione di principio o difesa con ottime chance); b) l’ufficio faccia capire di non voler concedere nulla (raramente è così, ma può capitare); c) non si abbia alcun margine finanziario e si preferisca allungare ulteriormente i tempi col contenzioso. Considerando anche che l’adesione non preclude poi la conciliazione in giudizio, si comprende perché il legislatore la incentiva fortemente.

Di seguito, per illustrare i possibili esiti economici, presentiamo un esempio numerico comparativo (Tabella 3) che mette a confronto il costo totale per il contribuente nelle diverse opzioni (nessuna reazione, acquiescenza, adesione, vittoria/sconfitta in giudizio, conciliazione), ipotizzando un avviso che contesta €50.000 di ricavi non fatturati:

Tabella 3 – Esempio pratico (imposte e sanzioni in €) – Avviso per ricavi non fatturati €50.000

Scenari possibili (post-avviso)Imposte e sanzioni dovute dal contribuenteNote
Nessuna reazione (diventa definitivo)Imposte €12.000 (ad es. €50.000×24% IRES) + Sanzioni €12.000 (100% sanzione su imposte accertate) + Interessi €1.000 ≈ €25.000 + aggio riscossione (3% circa) = ~€25.750Il contribuente non paga entro 60gg né ricorre: l’avviso diventa definitivo e viene inviato all’Agente Riscossione. Scattano interessi di mora fino al saldo e un aggio del 3%. Entro qualche mese partiranno atti esecutivi (fermo, pignoramento) se non si paga. (Importi ipotetici).
Acquiescenza entro 60ggImposte €12.000 + Sanzioni ridotte 2/3 ≈ €8.000 + Interessi €1.000 = €21.000Risparmio di circa €4.750 rispetto al non fare nulla. Evitata la riscossione coattiva, possibilità di pagare in max 8 rate trimestrali (importo >50k totali). Sanzioni pagate 2/3 del 100% (nell’esempio: 2/3 di €12.000 = €8.000).
Adesione concordata (ipotizziamo che in adesione l’ufficio riconosca ricavi imponibili solo €40.000 anziché 50.000)Imposte ridotte €9.600 (24% di 40k) + Sanzioni 1/3 min. (minimo 90% → 30% su imposte €9.600 = €2.880) + Interessi €800 ≈ €13.280Grande risparmio: l’imponibile è stato ridotto del 20%, e la sanzione è calata al minimo (30% dell’imposta). Possibilità di rate 8/16 trim. L’accordo evita il contenzioso.
Ricorso in giudizio – Vittoria 100% (dopo 2 anni)€0 dovuto (accertamento annullato) – (però inizialmente versato 1/3 provvisorio = €4.000, restituito poi con interessi)Il contribuente ha speso però per contributo unificato (€200) e legali (€3.000 ipotetici), non tutti recuperati. Inoltre ha immobilizzato €4.000 per due anni (riavuti a fine 2025 circa).
Ricorso in giudizio – Sconfitta (dopo 2 anni)Imposte €12.000 + Sanzioni €12.000 + Interessi di 2 anni ~ €1.500 = €25.500 + spese di lite (ipotizzabili €2.000) = ~€27.500Interessi aggiuntivi per il ritardo; nessuno sconto sanzioni (salvo il terzo già versato che andrà a coprire parte del dovuto); rischio condanna alle spese. Il contribuente ha tenuto €8.000 non versati per 2 anni ma ora deve pagare tutto (l’Agente Riscossione può subito riscuotere il residuo 2/3, visto che 1/3 era già stato versato dopo il ricorso).
Conciliazione giudiziale (accordo in corso di causa su imponibile €45.000)Imposta €10.800 (24% di 45k) + Sanzioni 40% min. = 0,4*90%*10.800 = €3.888 + Interessi €900 ≈ €15.588Meno vantaggiosa dell’adesione, ma ottenuta dopo aver visto l’andamento del processo. Sanzione ridotta al 40% del minimo. Rate fino a 8 semestrali possibili.

Nell’esempio numerico sopra (valori indicativi), si evidenzia come il percorso contenzioso sia un’arma a doppio taglio: vincendo si annulla tutto (costi legali a parte), ma perdendo si finisce per pagare di più rispetto alle soluzioni deflative, a causa del venir meno degli sconti sulle sanzioni e dell’aggravio di interessi e spese. Le vie intermedie (adesione, conciliazione) portano tipicamente a esiti pecuniari “di compromesso” nettamente più favorevoli rispetto alla sconfitta integrale, con un abbattimento significativo delle sanzioni.

Ricorso e contenzioso tributario

Se il contribuente ritiene l’accertamento infondato (o eccessivo) e non vuole/può trovare un accordo soddisfacente in sede amministrativa, può decidere di impugnare l’avviso di accertamento davanti alla giustizia tributaria. Dal 2023 le Commissioni Tributarie sono state ridenominate Corti di Giustizia Tributaria (di primo e di secondo grado) a seguito della riforma operata col D.Lgs. 149/2022 e D.Lgs. 130/2022. La sostanza del processo tributario però rimane simile, con qualche innovazione (giudici tributari professionali, prova testimoniale ammessa in forma scritta, ecc.).

Termine e modalità di ricorso: Il ricorso va notificato entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (se non si è chiesto adesione). Se si è presentata istanza di adesione, il termine diventa 150 giorni (60 + 90 sospensione). Dal 2024, ricordiamo, se l’avviso era preceduto da contraddittorio obbligatorio, l’eventuale istanza di adesione post-avviso sospende solo 30 gg, per cui il termine massimo diventa 90 giorni circa. Il ricorso si predispone per iscritto indicando i motivi di fatto e diritto, e si notifica all’ente impositore (di norma via PEC per i difensori abilitati). Importante: dal 2023 non è più obbligatorio il tentativo di reclamo/mediazione per le liti di piccolo valore. In passato, per importi fino a €50.000, il contribuente doveva presentare un reclamo prima di poter procedere in giudizio, con 90 gg di attesa per un’eventuale mediazione con l’AE. Tale istituto del reclamo-mediazione è stato abrogato a partire dai ricorsi notificati dal 4 gennaio 2024 (come previsto dal D.Lgs. 156/2015 modificato dal D.Lgs. 130/2022). Dunque, per un avviso notificato oggi, il ricorso è immediatamente procedibile in Corte Tributaria senza passare dal reclamo (fa eccezione solo la fase transitoria per ricorsi tra il 2023 e 2024, ma ormai superata).

Entro 30 giorni dalla notifica del ricorso, occorre poi costituirsi in giudizio depositando il ricorso (con firma digitale) sul Portale della Giustizia Tributaria (processo telematico). Serve un difensore abilitato (dottore commercialista, avvocato, consulente del lavoro) se il valore della lite supera €3.000; sotto tale soglia si può stare in giudizio da soli, ma è comunque consigliabile l’assistenza tecnica.

Pagamenti durante il contenzioso: La notifica del ricorso sospende l’esecutività automatica dell’atto limitatamente alle sanzioni (che non sono dovute finché c’è giudizio). Tuttavia, per legge, le imposte accertate vanno pagate parzialmente anche se si fa ricorso: bisogna versare 1/3 delle imposte accertate entro il termine di 60 giorni, salvo chiedere e ottenere una sospensione dal giudice (vedi oltre). Tale 1/3 è chiamato “importo provvisoriamente dovuto” in pendenza di giudizio. Se il contribuente non lo versa, l’AE può iscrivere a ruolo tale importo e affidarlo all’Agente della Riscossione decorsi 30 giorni (quindi già dopo 90 giorni dalla notifica dell’avviso). In pratica, presentare ricorso non blocca la riscossione della prima quota: occorre pagare quel terzo o ottenere dal giudice una sospensione cautelare.

Sospensione giudiziale: Se l’esecuzione dell’atto comporterebbe un danno grave (es. difficoltà economica seria) e se il ricorso pare fondato (fumus), il contribuente può chiedere alla Corte tributaria una sospensione dell’atto impugnato (art.47 D.Lgs.546/92). Il giudice decide di solito entro 2-3 mesi. Se concede la sospensiva, la riscossione è bloccata fino alla sentenza di primo grado (o fino a revoca). Se nega, l’AE potrà procedere a riscuotere il 1/3 e, in caso di esito sfavorevole in primo grado, anche il resto. Dal 2023 i tempi di sospensione automatica post-sentenza sono stati allungati a 180 giorni prima di eseguire coattivamente, ma è dettaglio tecnico.

Fasi del giudizio: Il processo tributario ha due gradi di merito: primo grado avanti la Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado (ex CTP) competente (di solito nella provincia del contribuente); appello avanti la Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado (ex CTR) regionale. Poi è ammesso il ricorso per Cassazione (per motivi di legittimità). I tempi medi: 1-2 anni primo grado, 1-2 anni il secondo, altri 1-2 anni l’eventuale Cassazione. Durante questo periodo, il contribuente potrebbe dover pagare porzioni del debito: come visto, dopo la notifica avviso 1/3; dopo la sentenza di primo grado, se il Fisco vince, può esigere un ulteriore 50% delle imposte contestate (in totale quindi i 2/3); dopo la sentenza di secondo grado, se il Fisco vince, può riscuotere il rimanente. Se invece il contribuente vince in primo grado, nulla più è dovuto salvo sanzioni eventualmente già sospese. È un sistema di riscossione frazionata: in ogni caso l’eventuale soccombente paga qualcosa prima della fine. Questo implica che fare causa non sospende il pagamento, ma lo dilaziona su step diversi a seconda degli esiti parziali.

Motivi di ricorso: In un ricorso contro avviso per omessa fatturazione, i motivi possono essere di legittimità formale e di merito. Ad esempio, si potranno eccepire: vizi di notifica; difetto di motivazione (se non spiega i fatti contestati); mancata attivazione del contraddittorio (per avvisi post-2020 dove obbligatorio) – questo motivo, se fondato e non sanabile, comporta annullamento; violazione di legge (es. termini decaduti, errori sul calcolo sanzioni). Sul merito, il contribuente potrà contestare la inesistenza dei fatti addebitati (es. le operazioni in nero non ci sono mai state, o importi gonfiati) o la loro diversa qualificazione (magari le somme ricevute erano finanziamenti soci, non ricavi, etc.), oppure l’inattendibilità delle prove del fisco (es. testimoni, documenti dubbi). Può anche contestare la proporzionalità delle sanzioni (soprattutto invocando cause di non punibilità o buona fede: le commissioni possono ridurre le sanzioni in alcuni casi se ritengono l’errore scusabile). Ad esempio, se l’omessa fatturazione è dipesa da un errore tecnico non imputabile, si può chiedere clemenza sul quantum sanzionatorio.

Giurisprudenza rilevante: in tema di omessa fatturazione, varie pronunce di legittimità possono essere richiamate a sostegno. Eccone alcune di rilievo aggiornate:

  • Cass. 21105/2018: avviso nullo se l’AE cita documenti a supporto (es. PVC) ma non li allega né li produce in giudizio. Principio: la mancata allegazione di un atto richiamato comporta nullità solo se tale atto contiene elementi essenziali non altrimenti conosciuti. Il contribuente deve però eccepirlo e dimostrare che la parte non conosciuta era decisiva. Nel dubbio, è sempre opportuno far valere l’eccezione in ricorso se mancano allegati.
  • Cass. 16533/2018: (imposte dirette e IVA – omessa fatturazione in un caso di permuta/compensazione con opere) ha ribadito che l’obbligo di fatturare sorge anche per prestazioni compensate senza pagamento monetario. Nella vicenda, una società non aveva fatturato lavori eseguiti in conto oneri urbanistici in convenzione, sostenendo trattarsi di datio in solutum; la Cassazione ha confermato invece l’obbligo di fattura e IVA, chiarendo che pure negli scambi permutativi va emessa fattura per il valore normale delle opere.
  • Cass. 12146/2021: (già citata) ha confermato che la regolarizzazione da parte del cessionario non esonera il cedente dal versare l’imposta e subire sanzione. Questo in linea col principio che soggetto passivo dell’IVA resta sempre il cedente: se il cliente versa l’IVA con autofattura, quell’IVA egli la detrae pure, quindi l’Erario viene momentaneamente tutelato ma poi subisce comunque il mancato versamento da parte del cedente (coperto dalla detrazione del cessionario). Insomma, l’omessa fatturazione non si “cura” da sé con l’autofattura cliente, il fisco ha diritto a perseguire il fornitore.
  • Cass. 1468/2020: ha affrontato il tema del momento impositivo nei servizi non fatturati, affermando che per i servizi la mancata emissione di fattura non sposta l’esigibilità: se il servizio è reso, l’IVA è dovuta indipendentemente dall’incasso. Inoltre, se il fornitore non fattura sostenendo di non aver incassato, l’AE può presumere che abbia comunque incassato (principio di cassa-fattura in ambito presuntivo: la fattura emessa fa presumere il ricavo incassato – e viceversa l’operazione effettuata genera debito IVA). In pratica, il fisco può considerare avvenuto il pagamento se c’è la prestazione, salvo prova contraria stringente del contribuente.
  • Cass. 22407/2022: ha statuito che l’omessa indicazione dell’aliquota IVA nell’avviso (se però nell’atto sono indicati imponibile e imposta dovuta) è un errore meramente formale che non comporta nullità. Il contribuente deve essere in grado di dedurre l’aliquota dal contesto (importi); se ci riesce, non può invalidare l’atto per tale lacuna. Questo principio – coerente con precedenti – evita annullamenti per vizi formali irrilevanti. Quindi, ad esempio, se l’avviso dice “IVA dovuta €2.200 su imponibile €10.000” ma non menziona “aliquota 22%”, pazienza: l’atto è valido perché l’aliquota si ricava.
  • Cass. 17573/2024: (ordinanza citata nell’estratto AE) ha ribadito il discorso sulla motivazione per relationem e l’onere del contribuente di dimostrare il pregiudizio in caso di mancata allegazione. Quindi ha proseguito nel solco di Cass.21105/18 dando qualche carico probatorio al contribuente.
  • Cass. 13620/2023: ha annullato un avviso in cui l’AE aveva motivato in modo contraddittorio, prospettando due diverse ricostruzioni incompatibili dell’evasione. La Corte ha ritenuto che una motivazione ambigua viola il diritto di difesa perché il contribuente non capisce quale addebito precisa confutare. Ciò conferma l’importanza di contestare eventuali contraddizioni o alternative logiche nella motivazione dell’atto.
  • Cass. 1042/2023: (civile, sez. tributaria) conferma che la mancata indicazione del responsabile del procedimento nell’avviso non ne comporta la nullità. È un motivo spesso eccepito in passato ma ormai superato dalla chiara normativa (nullità solo per cartelle esattoriali prive del responsabile).
  • Cass. 5131/2025: ha affrontato la questione del raddoppio dei termini in regime transitorio e ha ribadito che per i periodi post-riforma 2016 serve la denuncia effettiva per far scattare il raddoppio. Ciò mette in guardia l’AE: se tardano a denunciare, perdono il raddoppio. Per il contribuente, è un appiglio: verificare se l’AE ha invocato il raddoppio senza aver denunciato entro i termini ordinari – in tal caso l’avviso per annualità remote potrebbe essere tardivo e annullabile.

Queste pronunce – e altre che per brevità omettiamo – mostrano come in giudizio spesso le questioni formali/procedurali decidono l’esito tanto quanto il merito. Un buon difensore tributario le sfrutterà appieno.

Costi del contenzioso: Non dimentichiamo che fare ricorso implica dei costi: il contributo unificato tributario (se il valore supera €3.000, è dovuto: per valore fino a 50k è €150, fino a 100k €250, oltre €500), eventualmente marche da bollo per diritti. Inoltre le spese legali: l’assistenza di un professionista ha un costo, che se si vince può essere posto a carico dell’AE dal giudice, ma raramente viene liquidato integralmente, spesso solo una parte. Nel valutare se impugnare, il contribuente deve pesare anche questi costi rispetto al beneficio atteso (specie per importi modesti, ha poco senso una battaglia legale onerosa che potrebbe costare quanto risparmiato di tasse).

Sintesi pratica: Il ricorso conviene quando si nutrono fondate speranze di ridurre/annullare il debito e possibilmente quando le somme contestate (al netto di sanzioni riducibili) sono consistenti. Se invece l’atto è formalmente ineccepibile e il contribuente oggettivamente in torto sul merito, intraprendere un contenzioso serve solo a prendere tempo (pagando comunque prima o poi) e a incorrere in ulteriori oneri (interessi, spese). In tali casi meglio definire. Al contrario, se vi sono evidenti vizi o se l’accertamento appare eccessivo, il ricorso può portare a soluzioni: magari non l’annullamento totale, ma una conciliazione in corso di causa dove l’AE, temendo di perdere, offre condizioni simili a quelle di un’adesione tardiva (es. riduzione imponibili e sanzioni 40%). Dunque anche il contenzioso può essere uno strumento deflattivo in senso lato. Ad esempio, statisticamente molti giudizi in tema di omessa fatturazione si chiudono con conciliazioni o cessazioni della materia del contendere, segno che un accordo si trova comunque, magari dopo aver testato le rispettive posizioni.

In ogni caso, affrontare un contenzioso fiscale richiede un approccio tecnico (norme e pronunce vanno conosciute) e strategico (ad es., se il contribuente ha altre pendenze, un esito negativo in una causa potrebbe influenzare le successive). È opportuno farsi assistere da professionisti esperti di diritto tributario.

Domande frequenti (FAQ) su avvisi per omessa fatturazione

  • Che cos’è, in parole semplici, un avviso di accertamento per omessa fatturazione?
    Risposta: È un atto ufficiale con cui il Fisco contesta a un contribuente di non aver emesso una o più fatture obbligatorie. In pratica l’Agenzia delle Entrate (o un ente locale, se fosse il caso) ritiene che tu abbia effettuato vendite o prestazioni “in nero”, senza documentarle, e quindi senza dichiararle né pagarci le relative tasse. L’avviso quantifica quante tasse in più devi (IVA, imposte sui redditi, ecc.) e ti chiede di pagarle entro 60 giorni, aggiungendo le sanzioni previste. Se non sei d’accordo, hai 60 giorni per fare ricorso. È un atto molto più serio di una “lettera di compliance” o un avviso bonario: ha già valore di accertamento esecutivo, quindi dopo 60 giorni senza ricorso né pagamento può essere immediatamente riscosso coattivamente (come una cartella esattoriale).
  • Su quali basi l’Agenzia può accusarmi di non aver fatturato?
    Risposta: Deve avere riscontrato degli elementi concreti. Ad esempio: un cliente ha emesso autofattura perché non ha ricevuto la tua fattura (se sei fornitore); la Guardia di Finanza durante un controllo ha trovato merce venduta senza scontrino/fattura, o appunti di vendite non registrate; c’è una differenza nei dati comunicati – ad esempio, un tuo cliente dichiara di averti pagato €10.000 (magari tramite bonifico tracciato) ma tu non hai emesso fattura per quell’importo; oppure movimenti bancari non giustificati nelle tue casse. Possono essere anche presunzioni: per dire, se hai costi alti e ricavi ufficiali inspiegabilmente bassi, il Fisco presume vendite non dichiarate. In ogni caso, nell’avviso devono spiegarti il fatto specifico che hanno scoperto (es.: “da PVC GDF del… risulta omessa fattura per vendita di X il giorno… per €…”). Se non c’è alcun riscontro e l’ufficio andasse “a sensazione”, l’accertamento sarebbe impugnabile per carenza di motivazione e prova.
  • Cosa rischio esattamente se non ho emesso una fattura?
    Risposta: Sul piano fiscale, due cose: innanzitutto dovrai pagare l’IVA relativa a quell’operazione (che non hai versato) e le maggiori imposte sul reddito (perché quel ricavo non dichiarato aumenta il tuo reddito imponibile). Poi ci sono le sanzioni amministrative: la sanzione principale è pari al 90% dell’IVA dell’operazione omessa (con minimo 500 € per ogni fattura saltata). E per l’imposta sui redditi evasa c’è un’altra sanzione del 90% circa sulla maggior imposta. Di solito queste sanzioni vengono irrogate insieme nell’avviso. Inoltre, se la violazione è grave (tante operazioni omesse, importi alti), il Fisco potrebbe segnalare la cosa alla Procura: se l’IVA evasa supera €50.000 o l’imposta sui redditi evasa supera €100.000, potresti rientrare nei reati tributari (dichiarazione infedele od omessa). In tal caso si apre un procedimento penale con possibili pene detentive (fino a 3 anni per infedele, 5 per omessa dichiarazione) anche se spesso, pagando il dovuto, si riesce ad ottenere la non punibilità. In aggiunta, l’AE potrebbe applicare sanzioni accessorie (es. chiusura temporanea dell’attività se l’omessa fatturazione è reiterata).
  • Devo pagare subito tutto l’importo indicato nell’avviso?
    Risposta: Non necessariamente tutto e non necessariamente subito. Innanzitutto, entro 60 giorni hai la facoltà di impugnare l’avviso se non concordi. Se però concordi (in tutto o in parte) e vuoi evitare il ricorso, puoi definire l’accertamento con un pagamento agevolato: pagando entro 60 giorni e non facendo ricorso (acquiescenza), avrai lo sconto di 1/3 sulle sanzioni. Puoi anche rateizzare (di solito fino a 8 rate trimestrali, o 16 se l’importo è grosso). Se invece fai ricorso, devi intanto versare 1/3 delle imposte accertate entro 60 giorni (le sanzioni e il resto delle imposte restano sospese). Se chiedi e ottieni una sospensione dal giudice, puoi congelare anche quel terzo fino alla decisione. Quindi riassumendo: se aderisci o acquiesci – paghi secondo gli accordi, magari a rate, e chiudi; se ricorri – paghi 1/3 subito (salvo sospensiva) e il resto solo se perdi man mano. Ovviamente, se ignori l’avviso (né paghi né ricorri entro 60 gg), allora sì dopo 60 giorni diventa tutto definitivo e sarai tenuto a pagare l’intero importo; ti manderanno la cartella/esecuzione forzata per riscuotere.
  • Posso evitare di pagare la sanzione? Mi sembra altissima.
    Risposta: Evitarla del tutto è possibile solo vincendo il ricorso (se il giudice annulla l’accertamento, cadono anche le sanzioni). Altrimenti, l’unico modo è ridurla attraverso le definizioni agevolate previste dalla legge: come detto, se fai adesione col fisco le sanzioni scendono a un terzo del minimo (praticamente al 30% dell’IVA), se fai acquiescenza paghi due terzi di quanto contestato (circa il 60% dell’IVA), se concili in giudizio 40% in primo grado, etc. Non c’è discrezionalità sull’importo: queste percentuali sono fissate dalla norma. L’Agenzia non può azzerarti la sanzione per favore; al massimo in adesione può non applicare altre sanzioni accessorie o mostrarsi più elastica su importi. In passato ci sono stati condoni che abbuonavano le sanzioni quasi totalmente (es. definizione Liti 2019 o la tregua fiscale 2023 con sanzioni 1/18), ma sono misure straordinarie che se ci sono devi cogliere in finestra temporale ristretta. Al luglio 2025 non ce ne sono attivi. Quindi realisticamente, se l’accertamento è corretto, dovrai pagare almeno una parte delle sanzioni – il che fa male, ma considera che l’omessa fatturazione è vista come un’evasione, e l’ordinamento la punisce severamente (il 90% dell’imposta evasa è proprio per dissuadere dal farlo).
  • Ho emesso la fattura, ma il cliente non mi ha pagato: perché dovrei pagarci l’IVA e le tasse?
    Risposta: Questa è una situazione diversa: se hai emetto regolarmente la fattura, non sei sanzionabile per omessa fatturazione (hai fatto il tuo dovere documentale). Il problema è che comunque dovresti dichiarare quel ricavo e versare l’IVA anche se non incassata (a meno che tu non aderisca a un regime IVA per cassa o simili). Se non dichiari quel ricavo perché non l’hai incassato, allora incapperesti in sanzioni per infedele dichiarazione, ma non in quelle specifiche di omessa fatturazione. Quindi la casistica del cliente insolvente attiene più alle regole della detrazione IVA e deducibilità delle perdite. Nel tuo caso, suppongo che l’Agenzia contesti un’operazione in cui la prestazione risulta effettuata (magari da contratto o altri atti), e tu non hai fatturato perché non sei stato pagato. Purtroppo la legge IVA dice che l’IVA o la fai pagare al cliente emettendo fattura, o se lui non paga devi comunque emettere fattura e poi eventualmente emettere una nota di credito per mancato incasso (in procedure concorsuali) – ma non puoi semplicemente omettere la fattura. La Cassazione ha chiarito che la mancata riscossione non è una scusa valida per non fatturare. Dunque, l’AE ti chiederà quell’IVA. Però potresti avere diritto a emettere una nota di variazione IVA per credito inesigibile se il cliente fallisce, ad esempio, recuperando l’IVA. In ogni caso, nel momento dell’accertamento, l’IVA va versata. Per le imposte sui redditi, se il mancato incasso è certo (cliente fallito, ecc.), potrai dedurre la perdita su crediti; ma intanto l’accertamento ti aggiunge il ricavo (che poi abbatterai a perdita). È una situazione complicata, ma in sintesi: non pagato ≠ non tassato purtroppo, non automaticamente almeno. Bisogna seguire le procedure previste per non rimetterci anche le tasse su crediti inesigibili.
  • L’avviso presenta un errore (esempio: calcoli sbagliati, persona sbagliata, ecc.). Cosa faccio?
    Risposta: Se è un errore evidente e riconosciuto dall’ufficio (ad esempio, ti hanno attribuito €10.000 non fatturati in più per un refuso), puoi provare con un’istanza di autotutela chiedendo la correzione o l’annullamento dell’atto. L’autotutela è una richiesta informale all’ente di riesaminare e annullare/ridurre l’accertamento perché palesemente errato. Tuttavia, l’ufficio non è obbligato ad accoglierla, e la presentazione dell’istanza non sospende i termini di ricorso né quelli di pagamento. Quindi attenzione: se l’errore è minimo e pensi risolveranno in pochi giorni, ok, ma se è qualcosa di contestato, non affidarti solo all’autotutela. Conviene comunque predisporre ricorso entro 60 giorni per sicurezza, menzionando l’errore e magari l’istanza presentata. Spesso l’autotutela funziona solo per casi lampanti (ad es. doppia imposizione per stesso fatto), mentre l’AE difficilmente ammette un proprio errore se c’è interpretazione dubbia – preferirà che sia il giudice eventualmente a toglierlo. In sintesi: usa l’autotutela come tentativo parallelo, ma non fare affidamento solo su di essa se i termini stringono.
  • Posso continuare la mia attività durante il contenzioso? Mi bloccano la partita IVA?
    Risposta: Di norma puoi continuare tranquillamente. Non c’è un effetto automatico sull’attività: l’avviso di accertamento non sospende la tua partita IVA né l’attività. Al più, se fosse accertata una violazione molto grave e ripetuta, l’AE potrebbe proporre al direttore regionale una sanzione accessoria di sospensione della licenza (es.: negozio che non fa scontrini reiteratamente può essere chiuso per alcuni giorni). Ma parliamo di situazioni eccezionali e successive, non immediate. Quindi durante il contenzioso puoi lavorare, fatturare, etc. Fai però attenzione: se l’importo è grosso e prevedi difficoltà a pagare, non accumulare altri debiti fiscali in parallelo (tipo IVA correnti non versate), perché l’AE potrebbe essere meno propensa a conciliarti o comunque potresti avere problemi maggiori. In caso di penale tributario in corso, cerca di essere in regola col presente. La partita IVA viene cessata d’ufficio solo in casi di evasione reiterata e totale per anni (dichiarazioni omesse per più anni): l’art. 35 DPR 633/72 consente all’AE di chiudere la p.IVA fittizia, ma deve trattarsi di soggetti irreperibili o che non hanno proprio svolto l’attività dichiarata. Non è il caso di chi è qui a difendersi.
  • Ho già chiuso l’attività/cessato la società: possono farmi un avviso per anni passati?
    Risposta: Sì, la cessazione dell’attività non impedisce gli accertamenti per il passato. Se sei ditta individuale e hai chiuso, resti responsabile come persona fisica dei debiti fiscali maturati. Se è una società che si è cancellata, l’AE può notificare l’avviso alla società entro 5 anni dalla cancellazione (art.28 c.4 D.Lgs.175/2014), dopodiché eventualmente ai soci se hanno avuto riparti. Quindi la chiusura non salva dall’accertamento, al massimo complica la notifica (ma l’AE conosce l’ultimo domicilio).
  • Quali sono i punti di difesa più efficaci in un ricorso per omessa fatturazione?
    Risposta: Dipende dal caso, ma ci sono alcune linee generali:
    (a) Verificare i vizi formali: motivazione carente, mancati allegati, errore sul destinatario, firma non legittima, notifica nulla, mancato contraddittorio obbligatorio… Questi vizi, se presenti, possono far cadere l’atto a prescindere dal merito. Es: Cass.21105/18 – se l’AE cita documenti mai forniti, l’avviso è nullo.
    (b) Contestare le prove del fisco: se l’accertamento si basa su presunzioni, dimostrare che non sono gravi/precise. Se si basa su evidenze (es. autofatture, contabilità parallela), attaccarne l’attendibilità: magari quell’agendina trovata non era dell’azienda, o le somme erano prestiti, non corrispettivi. Più prove contrarie si portano (testimonianze, perizie, documenti alternativi) meglio è, perché inverte la narrativa.
    (c) Invocare la proporzionalità: a volte, specialmente sulle sanzioni, si può chiedere al giudice di ridurle se c’è stata collaborazione o pagamento spontaneo di parte del dovuto. Il giudice tributario può applicare l’art.7 D.Lgs.472/97 (circostanze attenuanti) se ritiene la sanzione manifestamente eccessiva rispetto al fatto. Non è garantito, ma tentare vale.
    (d) Prescrizione/decadenza: verificare bene le date. Se l’anno è molto vecchio, controllare se l’avviso è nei termini. E anche se sono stati rispettati eventuali proroghe (es. periodo Covid vi furono proroghe dei termini di notifica), o raddoppio termini per penale (applicato legittimamente?). Cass.5131/25 ha chiarito su denuncia tardiva niente raddoppio.
    (e) Difesa sul merito fiscale: es. se sostengono che quei ricavi erano imponibili, tu potresti eccepire che erano operazioni non imponibili (esportazioni? reverse charge? proventi non tassabili). Se riesci a ricondurre il fatto contestato a un ambito non soggetto a IVA o a imposta, vinci sul merito – ma devi provarlo chiaramente.
    Ogni caso ha le sue particolarità, quindi queste sono indicazioni di massima.
  • Vale la pena farsi assistere da un avvocato tributarista?
    Risposta: Per accertamenti di un certo rilievo, decisamente sì. La materia è complessa: come hai visto, bisogna intrecciare norme tributarie, processuali, pronunce giurisprudenziali, e c’è anche il penale in agguato. Un professionista esperto (che può essere un avvocato specializzato in tributario o un commercialista esperto in contenzioso) saprà valutare meglio le tue possibilità di successo, impostare la difesa tecnica migliore e anche condurre eventuali trattative con l’ufficio in sede di adesione o conciliazione. Inoltre, sopra i 3.000 euro di valore, la legge impone l’assistenza tecnica di un difensore abilitato, quindi in quei casi non hai scelta. Sotto i 3.000 (casi rari per omessa fatturazione a dire il vero, perché 3k di imposta implicano solo ~13k di imponibile, potresti far da te) potresti anche difenderti da solo, ma rischi di mancare qualche cavillo. Considera che spesso le spese legali possono essere chieste al fisco se vinci, quindi in parte recuperate.

Conclusione: Affrontare un avviso di accertamento per omessa fatturazione richiede un approccio attento, valutando tutti gli strumenti a disposizione. Il debitore-contribuente non è senza difese: la legge gli offre la possibilità di interloquire col Fisco (contraddittorio, adesione) e di attenuare le sanzioni, nonché di farsi valere in giudizio ove abbia ragione. D’altra parte, l’omessa fatturazione è una violazione seria e le autorità fiscali dispongono di poteri e strumenti efficaci per accertarla e perseguirla. Pertanto è fondamentale, per imprenditori e professionisti, prevenire queste situazioni (ad esempio adottando sistemi di controllo interno che assicurino la corretta fatturazione di tutte le operazioni) e, se dovessero comunque insorgere contestazioni, reagire in modo tempestivo e informato, magari con l’aiuto di consulenti esperti. Speriamo che questa guida, con il supporto di riferimenti normativi e giurisprudenziali aggiornati, fornisca un utile orientamento per navigare in una materia tanto complessa quanto cruciale per la vita d’impresa.

Fonti e riferimenti normativa e giurisprudenziali

(Fonti normative: DPR 633/1972, DPR 600/1973, D.Lgs. 471/1997, D.Lgs. 472/1997, D.Lgs. 74/2000, L. 212/2000, D.Lgs. 218/1997, D.L. 78/2010 conv. L.122/2010, L. 208/2015, D.L. 34/2019 conv. L.58/2019 art.4-octies, D.Lgs. 149/2022, D.Lgs. 130/2022, D.Lgs. 156/2015, D.Lgs. 130/2022, D.Lgs. 13/2024, D.Lgs. 219/2023, Legge 197/2022 commi 179-185.)

Avviso di accertamento per omessa fatturazione? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso di accertamento perché ti contestano di non aver emesso una o più fatture?
Il Fisco ti imputa ricavi “nascosti”, sanzioni pesanti e interessi, magari sulla base di segnalazioni o controlli incrociati?

L’omessa fatturazione è una violazione fiscale che può avere conseguenze gravi, ma può essere difesa e contestata, anche dimostrando l’insussistenza della pretesa o l’errore involontario.

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza l’avviso di accertamento e i documenti (o le prove) su cui si basa la contestazione
  • 📌 Verifica se le contestazioni derivano da controlli incrociati, dichiarazioni di terzi o presunzioni
  • ✍️ Redige memorie difensive e ricorsi per ridurre o annullare imposte e sanzioni
  • ⚖️ Ti rappresenta nel contenzioso tributario e nelle fasi di contraddittorio con l’Agenzia
  • 🔁 Ti assiste nella regolarizzazione contabile e nel ravvedimento operoso, se conveniente

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali e omessa fatturazione
  • ✔️ Consulente per la difesa di imprenditori, professionisti e lavoratori autonomi
  • ✔️ Consulente legale per attività soggette a verifiche, controlli incrociati e ispezioni fiscali

Conclusione

Un avviso per omessa fatturazione non significa che la sanzione sia dovuta.
Con una difesa mirata puoi limitare i danni, tutelare la tua attività e far valere le tue ragioni.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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