Hai ricevuto un avviso di accertamento fiscale e ti stai chiedendo se l’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto prima ascoltarti? Ti domandi cosa sia l’obbligo di contraddittorio, quando è necessario e cosa puoi fare se non è stato rispettato?
L’obbligo di contraddittorio è una garanzia fondamentale per il contribuente. Se l’amministrazione emette un accertamento senza averti dato modo di difenderti, potresti aver subito una violazione grave. In certi casi, questa omissione può rendere nullo l’atto.
Cos’è il contraddittorio preventivo?
È il diritto del contribuente a essere informato delle contestazioni fiscali prima che l’atto definitivo venga emesso, e a presentare osservazioni, documenti o chiarimenti. Non è solo una formalità: è uno strumento che può modificare o evitare del tutto l’emissione dell’avviso.
Quando è obbligatorio il contraddittorio?
– Sempre, in caso di accertamenti “standard” con metodo analitico-induttivo
– Quando l’Agenzia delle Entrate emette un avviso sulla base di documenti acquisiti o presunzioni
– In tutti i casi in cui l’interlocuzione avrebbe potuto incidere sul contenuto dell’accertamento
– Dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 45/2024, è richiesto anche per i tributi non armonizzati (es. IRPEF, IRES)
Quando può mancare legittimamente?
– In caso di accertamenti automatici o da controlli formali delle dichiarazioni
– Se l’atto riguarda solo tributi armonizzati (come l’IVA) e segue la disciplina UE
– Se il contribuente è stato già sentito o convocato ma non ha risposto
– In situazioni di urgenza, debitamente motivate
Cosa succede se l’obbligo non è stato rispettato?
– L’accertamento può essere annullato per violazione del diritto di difesa
– L’atto risulta viziato per eccesso di potere o violazione di legge
– Può essere impugnato davanti alla Corte di Giustizia Tributaria
– Se il vizio è evidente, puoi chiedere l’annullamento in autotutela
Come puoi difenderti se ti hanno negato il contraddittorio?
– Controlla attentamente se ti è stato notificato un invito a comparire, una bozza di PVC o una comunicazione di rilievi
– Verifica se l’Agenzia ha emesso direttamente l’avviso definitivo senza preavviso
– Prepara una memoria difensiva dettagliata da presentare insieme al ricorso
– Dimostra che, se fossi stato ascoltato, avresti potuto influenzare il contenuto dell’atto
Cosa puoi ottenere con una buona difesa?
– L’annullamento totale o parziale dell’accertamento
– Il rinvio della pratica per l’instaurazione del contraddittorio omesso
– La possibilità di chiarire la tua posizione e ridurre o azzerare le somme richieste
– La tutela dei tuoi diritti fiscali e procedurali
Il contraddittorio non è una semplice cortesia: è un diritto garantito che serve a evitare errori, soprusi e imposizioni arbitrarie. Se ti è stato negato, hai un valido motivo per reagire.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati tributaristi esperti in nullità degli accertamenti e garanzie del contribuente ti spiega quando il contraddittorio è obbligatorio, come riconoscere la sua assenza e cosa fare per ottenere l’annullamento dell’atto.
Hai ricevuto un accertamento senza preavviso o possibilità di difenderti? Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Verificheremo se l’obbligo di contraddittorio è stato violato e ti diremo se puoi far annullare l’atto per tutelare i tuoi diritti e il tuo patrimonio.
Introduzione
Il contraddittorio preventivo nell’accertamento fiscale è il diritto del contribuente di essere ascoltato dall’Amministrazione finanziaria prima che venga emesso un avviso di accertamento a suo carico. In altre parole, prima di formalizzare una pretesa tributaria, l’Agenzia delle Entrate deve comunicare al contribuente le contestazioni emerse e consentirgli di esporre le proprie ragioni, presentare documenti e osservazioni. Questo principio, cardine dello Stato di diritto, garantisce trasparenza e partecipazione nel procedimento amministrativo, rafforzando il diritto di difesa del contribuente.
Fino a tempi recenti, tuttavia, l’obbligo di contraddittorio in ambito tributario non era affatto generale: esisteva solo in casi specifici previsti dalla legge (ad esempio, in caso di verifiche fiscali svolte presso il contribuente o in alcuni tipi di accertamento basati su presunzioni) mentre veniva escluso in altre situazioni (ad esempio per controlli “a tavolino” svolti interamente negli uffici dell’ente). Questa disparità di trattamento ha generato a lungo incertezze e contenziosi sulla validità degli atti emessi senza previo confronto.
Negli ultimi anni, il legislatore e la giurisprudenza hanno progressivamente riconosciuto l’importanza di estendere il contraddittorio a tutti i settori impositivi. La riforma fiscale attuata tra il 2023 e il 2024 ha segnato un cambiamento epocale: dal 30 aprile 2024 è in vigore in Italia un obbligo generalizzato di contraddittorio preventivo per quasi tutti gli atti fiscali impugnabili. Parallelamente, la giurisprudenza – sia nazionale (Corte di Cassazione, Corte Costituzionale) che europea (Corte di Giustizia UE) – ha delineato confini ed eccezioni del principio, imponendo ad esempio il rispetto del contraddittorio per i tributi armonizzati UE (come l’IVA e i dazi doganali) e riconoscendo la centralità del diritto di essere ascoltati quale espressione del diritto di difesa.
Questa guida, dal punto di vista del contribuente-debitore, esamina in dettaglio quando un accertamento fiscale può considerarsi illegittimo per difetto di contraddittorio, alla luce della normativa italiana (aggiornata a giugno 2025) e delle più recenti pronunce giurisprudenziali. Verranno analizzati i profili normativi e pratici nei vari tipi di procedimenti di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, le eccezioni all’obbligo di contraddittorio, le conseguenze di un eventuale contraddittorio omesso, nonché i rimedi a disposizione del contribuente (dall’autotutela amministrativa al ricorso dinanzi al giudice tributario). Troverai inoltre domande e risposte frequenti, tabelle riepilogative e simulazioni pratiche per chiarire i dubbi ricorrenti, con un linguaggio giuridico ma accessibile, adatto tanto ai professionisti (avvocati, tributaristi) quanto a privati cittadini e imprenditori interessati a tutelare i propri diritti.
Quadro normativo: evoluzione del contraddittorio negli accertamenti tributari
Prima di addentrarci nelle regole attuali, è utile ripercorrere sinteticamente l’evoluzione storica del principio del contraddittorio in ambito fiscale italiano, per comprendere come si è giunti all’obbligo generalizzato odierno.
- Legge 241/1990 e ambito tributario: In via generale, il diritto alla partecipazione al procedimento amministrativo è sancito dagli artt. 7 e 10 della legge n. 241/1990, che prevedono l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento e di consentire agli interessati di presentare memorie e documenti. Tuttavia, i procedimenti tributari sono stati tradizionalmente esclusi dall’applicazione diretta di queste norme generali, essendo disciplinati da leggi speciali (come lo Statuto dei diritti del contribuente, L. 212/2000). Di conseguenza, fino ai primi anni 2000 mancava nel sistema fiscale italiano una disposizione di portata generale sul contraddittorio endoprocedimentale.
- Statuto del Contribuente (L. 212/2000), art. 12, comma 7: Un primo importante riconoscimento del contraddittorio in ambito tributario è avvenuto con l’art. 12, c.7 dello Statuto del contribuente, introdotto nel 2000. Tale norma – rimasta a lungo il principale baluardo di tutela – prevedeva che, dopo la conclusione di una verifica fiscale nei locali del contribuente, questi avesse 60 giorni per presentare osservazioni o richieste, e che l’avviso di accertamento non potesse essere emanato prima della scadenza di tale termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza. In pratica, per gli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni o verifiche in loco (ad esempio accessi della Guardia di Finanza in azienda) vi era un obbligo di attendere e valutare le controdeduzioni del contribuente prima di emettere l’atto. Questa garanzia, per molti anni, è rimasta limitata alle verifiche in loco. Negli accertamenti “a tavolino” (ossia svolti in ufficio, sulla base di controlli documentali o incroci di dati) non vigeva invece un analogo obbligo di attesa né di confronto preventivo, a meno che una norma specifica lo imponesse per singole fattispecie.
- Tentativi di ricavare un obbligo generale e intervento delle Sezioni Unite (2015): La frammentazione normativa (obbligo sì per accertamenti con sopralluogo, obbligo no per accertamenti da ufficio) ha portato dottrina e giurisprudenza a interrogarsi sulla possibilità di ricavare un principio generale di contraddittorio endoprocedimentale anche in assenza di una specifica previsione legislativa generale. In un primo momento alcune pronunce di merito e sezioni semplici della Cassazione avevano mostrato apertura, ritenendo il contraddittorio espressione di principi costituzionali (art. 24 Cost. sul diritto di difesa; art. 97 Cost. sul buon andamento) e dei principi di collaborazione e buona fede sanciti dallo Statuto del contribuente (art. 10, c.1 L. 212/2000). Secondo questa impostazione “evolutiva”, il dovere reciproco di cooperazione tra Fisco e contribuente implicherebbe necessariamente anche il dovere per l’ufficio di ascoltare il contribuente prima di emettere un atto impositivo a suo sfavore. Tale orientamento non ha però prevalso. Con la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 24823 del 9 dicembre 2015, la Suprema Corte ha affermato in modo chiaro che nel nostro ordinamento non esisteva (all’epoca) un obbligo generalizzato di contraddittorio, salvo nei casi espressamente previsti. In particolare, le Sezioni Unite stabilirono che: (i) per i tributi armonizzati UE (ad esempio l’IVA) esiste un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale discendente direttamente dal diritto dell’Unione, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente, in giudizio, indichi in concreto quali elementi avrebbe opposto se fosse stato sentito (la cosiddetta prova di resistenza); (ii) per i tributi non armonizzati (es. imposte sui redditi, IRAP, tributi locali) non sussiste invece un analogo obbligo generale di contraddittorio, sicché l’Amministrazione è tenuta a instaurarlo solo nei casi in cui una norma interna lo preveda espressamente. In altre parole, prima della riforma del 2023–24 la regola in Italia era: nessuna nullità di un accertamento “a tavolino” per mancato contraddittorio, a meno che una legge specifica imponesse quel contraddittorio (o si trattasse di IVA, dove valeva il principio UE). Questa pronuncia del 2015 consolidò quindi una netta distinzione: da un lato gli accertamenti in ambito armonizzato UE (dove, per influenza del diritto europeo, il contraddittorio era ritenuto necessario in linea di principio); dall’altro gli accertamenti in ambito nazionale puro (dove l’ufficio poteva omettere il contraddittorio senza invalidare l’atto, salvo eccezioni di legge).
- Il principio nel diritto UE (casi Sopropé, Kamino e altri): Contestualmente all’evoluzione nazionale, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva già da tempo affermato il diritto al contraddittorio come principio fondamentale del diritto UE. Con la storica sentenza Sopropé (CGUE, 18 dicembre 2008, causa C-349/07), in materia di dazi doganali, la Corte di Lussemburgo dichiarò che il diritto di essere ascoltati prima di un provvedimento lesivo è parte integrante dei diritti di difesa ed è un principio generale del diritto comunitario, applicabile ogni volta che l’amministrazione intenda adottare un provvedimento che incide negativamente sui destinatari. Questo principio vincola gli Stati membri anche in assenza di una norma nazionale specifica, in virtù della prevalenza del diritto UE: pertanto, quando agisce in materie disciplinate dal diritto dell’Unione (come la riscossione di tributi armonizzati, e l’IVA in particolare), l’Amministrazione finanziaria nazionale deve garantire al contribuente il diritto al contraddittorio. Successivamente, con le cause riunite Kamino e Datema (CGUE, 3 luglio 2014, cause C-129/13 e C-130/13), la Corte UE ha precisato che non ogni violazione del diritto al contraddittorio comporta automaticamente l’annullamento dell’atto: spetta al giudice nazionale valutare se, in assenza dell’irregolarità, il procedimento avrebbe potuto avere un esito diverso. È il concetto già menzionato di prova di resistenza, recepito poi anche dalla Cassazione italiana: in sostanza, un accertamento emesso senza contraddittorio non viene annullato se l’ente impositore dimostra che il coinvolgimento del contribuente non avrebbe in concreto mutato la pretesa, oppure se il contribuente stesso non indica quali elementi specifici avrebbe potuto far valere a suo discarico. Questo approccio sostanzialistico mira a evitare annullamenti “formalistici” degli atti, concentrando l’attenzione sull’effettivo pregiudizio causato dalla mancata partecipazione.
- Ulteriori obblighi introdotti in normative settoriali: Pur in assenza di un obbligo generale, nel corso degli anni 2000-2020 il legislatore ha comunque introdotto numerose disposizioni specifiche che prescrivevano il contraddittorio in determinate procedure di controllo. Ad esempio, per gli accertamenti basati sugli “studi di settore” (strumenti statistico-presuntivi per ricostruire ricavi e compensi non dichiarati) vigeva l’art. 10, comma 3-bis della legge n. 146/1998, che imponeva all’ufficio di attivare il contraddittorio prima di emettere l’atto fondato sulle sole risultanze degli studi di settore. La giurisprudenza ha più volte confermato che l’accertamento basato esclusivamente sugli studi di settore è nullo se non è preceduto da contraddittorio, poiché tali presunzioni standard vanno adeguate alla concreta realtà economica del contribuente proprio attraverso il confronto con quest’ultimo. La Cassazione (ord. n. 9554/2024) ha ribadito che questa interazione è necessaria a pena di nullità, mentre ha chiarito che l’obbligo non sussiste se l’accertamento da studi di settore è corroborato anche da altri elementi (ad esempio gravi irregolarità contabili o l’antieconomicità conclamata della gestione). Analogamente, la normativa ha previsto forme di contraddittorio preventivo in altri ambiti, come per l’accertamento sintetico del reddito (il cosiddetto redditometro, in cui il contribuente dev’essere invitato a spiegare le spese apparentemente sproporzionate al reddito dichiarato) e in varie procedure di compliance fiscale (si pensi alle comunicazioni di irregolarità inviate a seguito dei controlli automatizzati, che offrono al contribuente la possibilità di segnalare errori prima dell’iscrizione a ruolo). Queste previsioni settoriali hanno contribuito a estendere nella prassi gli spazi di contraddittorio, ma rimaneva comunque assenza di un principio generale onnicomprensivo.
- L’intervento della Corte Costituzionale (sent. n. 47/2023): Di fronte al quadro frammentario sopra descritto, è infine intervenuta la Corte Costituzionale. Con sentenza n. 47 depositata il 21 marzo 2023, la Consulta ha affrontato la questione della mancata estensione del contraddittorio a tutti gli accertamenti. Il caso era stato sollevato dalla CTR Toscana, lamentando una disparità di trattamento (art. 3 Cost.) tra contribuenti sottoposti a verifica in loco (beneficiari del contraddittorio ex art. 12, c.7 Statuto) e contribuenti oggetto di controlli a tavolino senza analogo diritto. La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità, ritenendo che introdurre un obbligo generalizzato richiedesse scelte di politica legislativa non realizzabili tramite una sentenza (mancava dunque un vizio strettamente costituzionale della norma, ma piuttosto una lacuna normativa). Ciò non ha impedito alla Corte di formulare considerazioni molto importanti: la Consulta ha osservato che la mancata generalizzazione del contraddittorio preventivo risulta in controtendenza rispetto all’evoluzione normativa e giurisprudenziale sia interna che europea, ed ha sollecitato espressamente il legislatore a intervenire tempestivamente per colmare la lacuna, estendendo l’obbligo di contraddittorio a ogni tipo di accertamento. In particolare, la Corte ha riconosciuto che ormai esistevano molte disposizioni specifiche di contraddittorio (per vari tributi e procedimenti) e che spettava al legislatore armonizzare il sistema, modulando tempi e forme del contraddittorio nei diversi casi. Questo monito ha di fatto anticipato la riforma: pochi mesi dopo, il Parlamento ha raccolto l’invito.
- La delega fiscale 2023 e il D.Lgs. 219/2023: Sulla scia delle indicazioni della Consulta, la Legge Delega 9 agosto 2023 n. 111 (c.d. Delega Fiscale) ha conferito al Governo il compito di revisionare lo Statuto del contribuente, introducendo una disciplina organica del contraddittorio. In attuazione di tale delega, è stato emanato il D.Lgs. 30 dicembre 2023 n. 219 (in vigore dal 18 gennaio 2024), il quale ha modificato lo Statuto dei diritti del contribuente inserendo un nuovo articolo 6-bis intitolato “Principio del contraddittorio”. Questa è la norma che – finalmente – generalizza l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale per l’Amministrazione finanziaria in materia tributaria.
Riassumendo: fino al 2023 il diritto al contraddittorio era affermato come principio fondamentale ma non trovava applicazione generalizzata in assenza di una norma specifica, salvo che per i tributi UE (dove vigeva il principio europeo della tutela del diritto di difesa). Con la riforma 2023/2024, il legislatore italiano ha colmato la lacuna evidenziata, ponendo il confronto preventivo con il contribuente a fondamento di ogni procedimento di accertamento tributario, quale regola generale del “giusto procedimento” fiscale.
Di seguito vedremo nel dettaglio i contenuti di questo nuovo obbligo generalizzato (ambito di applicazione, modalità, eccezioni, ecc.), per poi analizzare le diverse tipologie di atti dell’Agenzia delle Entrate e come ciascuna si inserisce nel quadro del contraddittorio, nonché le conseguenze e tutele in caso di omissione.
L’obbligo generalizzato di contraddittorio dal 2024 (art. 6-bis Statuto del contribuente)
Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 219/2023, tutti gli atti impositivi impugnabili devono ora essere preceduti da un contraddittorio preventivo “informato ed effettivo” con il contribuente, a pena di annullabilità dell’atto. Questa è la portata del nuovo art. 6-bis della legge 212/2000 (Statuto del contribuente), che costituisce il fulcro della riforma. Analizziamo i punti salienti della nuova disciplina:
- Ambito soggettivo e oggettivo: L’obbligo concerne qualsiasi ente impositore (principalmente l’Agenzia delle Entrate per i tributi erariali, ma in teoria anche enti locali per tributi propri) e si applica per ogni tributo – sia esso imposta diretta, imposta indiretta, tributo locale, ecc. – e per ogni atto autonomamente impugnabile dinanzi al giudice tributario. In pratica rientrano tutti gli avvisi di accertamento e di liquidazione, gli atti di contestazione sanzioni, i ruoli, le cartelle esattoriali, i provvedimenti di irrogazione di sanzioni e in generale qualunque atto contro cui il contribuente ha facoltà di ricorso tributario. Come vedremo, alcune categorie di atti sono state esentate dall’obbligo tramite un decreto ministeriale (si tratta per lo più di atti automatizzati e mera liquidazione matematica), ma costituiscono eccezioni specifiche.
- Contenuto del contraddittorio “informato ed effettivo”: L’Amministrazione finanziaria, prima di adottare l’atto finale, deve comunicare al contribuente uno schema di atto (o una bozza di avviso) contenente la contestazione tributaria e le motivazioni, e assegnare un termine non inferiore a 60 giorni per consentirgli di presentare eventuali controdeduzioni scritte e documenti. Su richiesta del contribuente, deve inoltre essere consentito l’accesso al fascicolo e il rilascio di copia degli atti istruttori su cui si basa la pretesa. Durante tale periodo il contribuente può quindi interloquire con l’ufficio – sia in forma scritta (memorie difensive) sia tramite uno o più incontri di discussione – al fine di chiarire i fatti, fornire elementi a proprio favore, contestare gli esiti del controllo. Importante: l’atto impositivo non può essere emanato prima che siano decorsi almeno 60 giorni dall’avvio del contraddittorio (salvo il caso di urgenza per pericolo nella riscossione, di cui diremo più avanti). Inoltre, se il contribuente presenta osservazioni, l’ufficio è tenuto a valutarle e l’eventuale atto finale deve essere motivato con riferimento ai rilievi che si ritiene di non accogliere. Questa è la garanzia di una “motivazione rafforzata”: nell’avviso di accertamento definitivo, il funzionario dovrà esplicitamente confutare le argomentazioni del contribuente che non sono state ritenute idonee a eliminare la pretesa, così da dar conto della ragione per cui si procede comunque (scongiurando il rischio di decisioni arbitrarie). In sintesi, il contraddittorio deve essere reale e sostanziale: al contribuente vanno messi a disposizione tutti gli elementi per difendersi (contraddittorio “informato”) e il dialogo deve poter incidere sul procedimento, con effettiva considerazione delle tesi difensive (contraddittorio “effettivo”).
- Tempistica e proroga dei termini di decadenza: Il legislatore ha previsto misure per conciliare il nuovo obbligo con i termini di decadenza dell’azione accertatrice, in modo da evitare che la finestra di 60 giorni possa ostacolare o rendere impossibile l’emissione dell’atto entro i termini di legge. In particolare, l’art. 6-bis stabilisce che se il termine di decadenza dell’accertamento (es: 31 dicembre del quinto anno successivo per le imposte dirette) cade prima della fine dei 60 giorni di contraddittorio, oppure se tra la scadenza dei 60 giorni e il termine di decadenza vi sono meno di 120 giorni, il termine di decadenza è automaticamente prorogato di 120 giorni a decorrere dalla fine del contraddittorio. Inoltre, l’ufficio può, ove necessario, prorogare una volta il termine concesso al contribuente per le repliche, fino a un massimo di ulteriori 30 giorni. In questo modo, situazioni di accertamenti “a ridosso della scadenza” (spesso addotte in passato come ragione di urgenza per saltare il contraddittorio) vengono gestite senza sacrificare il diritto al contraddittorio: l’Agenzia delle Entrate può notificare uno schema di atto anche relativamente tardi, ma il termine di decadenza si sposta in avanti per darle il tempo di concludere il procedimento partecipativo. Esempio: se per un periodo d’imposta il termine ordinario scade al 31/12/2024 e l’ufficio notifica l’invito al contraddittorio il 15/12/2024, i 60 giorni andranno al 13/02/2025 e, poiché ciò supera il 31/12, il termine di decadenza si estende automaticamente di 120 giorni (fino a maggio 2025). L’avviso definitivo potrà così essere emesso entro tale nuova scadenza, incorporando le eventuali osservazioni del contribuente.
- Sanzione di invalidità: La norma qualifica espressamente la mancata instaurazione del contraddittorio come causa di annullabilità dell’atto impugnabile. Ciò significa che, se l’ufficio emette un avviso di accertamento senza aver prima attivato il contraddittorio obbligatorio (e non ricorre un caso di legittima esclusione), il contribuente potrà far valere questo vizio in giudizio e il giudice annullerà l’atto. Non è più richiesta, in questa sede, alcuna prova di resistenza: diversamente dal passato, il contribuente non deve dimostrare quali elementi avrebbe potuto far emergere se fosse stato sentito. L’invalidità discende in modo oggettivo dalla violazione procedurale. Attenzione: parlando di “annullabilità” (nullità relativa) e non nullità assoluta, l’atto viziato resta efficace finché il contribuente non lo impugna davanti al giudice tributario – ecco perché è fondamentale non ignorare un avviso ricevuto senza contraddittorio, ma agire tempestivamente per far valere la nullità in sede di ricorso. In altre parole, l’omissione del contraddittorio non rende l’atto inesistente di diritto, ma costituisce un vizio che deve essere eccepito dal contribuente entro i termini di legge, altrimenti l’atto diviene definitivo.
- Abrogazione dell’art. 12, comma 7: Contestualmente all’introduzione dell’art. 6-bis, il D.Lgs. 219/2023 ha abrogato l’originaria disposizione dell’art. 12, c.7 dello Statuto del contribuente. Ciò perché la nuova disciplina assorbe in sé la tutela che prima era specifica per le verifiche in loco. In pratica, oggi il contraddittorio preventivo è dovuto in tutti i casi, non solo dopo un processo verbale di chiusura operazioni (PVC) della Guardia di Finanza. Rimane comunque nel corpo dell’art. 6-bis un riferimento ai “casi di particolare e motivata urgenza” (ora ridefiniti come fondato pericolo per la riscossione) in cui il contraddittorio può essere bypassato – concetto analogo a quello già previsto nel previgente art. 12, c.7.
Eccezioni ed esclusioni: gli atti senza contraddittorio obbligatorio
La riforma ha previsto alcune eccezioni all’obbligo generalizzato, al fine di esonerare dal contraddittorio preventivo taluni atti per loro natura standardizzati o urgenti. L’art. 6-bis, comma 2, stabilisce infatti che “non sussiste il diritto al contraddittorio” per:
- Atti automatizzati o semiautomatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale individuati da apposito decreto ministeriale;
- Casi di fondato pericolo per la riscossione, motivatamente riscontrati dall’amministrazione.
Vediamo nel dettaglio queste categorie.
1. Atti esclusi per tipologia (Decreto MEF 24 aprile 2024): Il Ministero dell’Economia e Finanze, come previsto dalla legge, ha emanato il D.M. 24/04/2024 (pubblicato in G.U. n.100 del 30/04/2024) che elenca in modo tassativo gli atti dell’Amministrazione finanziaria esclusi dall’obbligo di contraddittorio. Si tratta soprattutto di atti derivanti da controlli meramente formali o incroci di banche dati, dove l’apporto del contribuente si considera poco significativo oppure dove già esiste una fase di comunicazione dell’esito. In sintesi, le principali fattispecie escluse (14 tipologie individuate dal decreto) sono:
- Ruoli e cartelle esattoriali emessi per la riscossione di somme risultanti da controlli e liquidazioni automatiche precedenti (compresi gli atti dell’Agente della Riscossione ex artt. 50 c.2, 77 e 86 DPR 602/1973, ad es. intimazioni di pagamento, iscrizioni ipotecarie, fermi amministrativi). Questi atti, essendo successivi all’accertamento del tributo e volti solo alla riscossione, non introducono nuove contestazioni fiscali e quindi non richiedono un ulteriore contraddittorio.
- Accertamenti parziali basati su incrocio dati e atti di recupero di crediti inesistenti ai sensi dell’art. 38-bis DPR 600/1973, quando fondati esclusivamente su informazioni già disponibili nelle banche dati dell’Agenzia. Ad esempio, un accertamento parziale “a tavolino” che rettifica il reddito in base a un dato comunicato da terzi (spesometro, compensi da CU, ecc.) non necessita di contraddittorio preventivo se la violazione emerge automaticamente dall’incrocio.
- Atti relativi a omessi versamenti di tributi minori: in particolare accertamenti per omesso o tardivo pagamento di tasse automobilistiche (bollo auto, addizionale erariale su auto di lusso, ecotassa CO₂), tasse sulle concessioni governative (es. concessioni su telefonia mobile). Si tratta di atti spesso di massa, emessi sulla base di scadenze note e mancati pagamenti, per i quali il contraddittorio è stato escluso.
- Accertamenti catastali relativi all’iscrizione o cancellazione di riserve nelle intestazioni catastali. Anche questi sono procedimenti con interazione già codificata nelle norme catastali, esclusi dal nuovo obbligo.
- Avvisi di liquidazione per decadenza da agevolazioni su imposte di registro, ipotecarie e catastali. Ad esempio, la revoca dell’agevolazione “prima casa” per aver rivenduto l’immobile entro 5 anni: l’atto di liquidazione della maggiore imposta è escluso da contraddittorio.
- Avvisi di liquidazione per recupero imposte di registro, ipotecarie, catastali oggetto di rettifica (tipicamente, maggior valore accertato su un atto registrato). Spesso questi seguono procedure di accertamento valore con possibilità di adesione in separata sede.
- Avvisi di pagamento in materia di accise e imposte di consumo, nei casi in cui si tratta di semplice recupero di somme risultanti da dichiarazioni o contabilità dei soggetti obbligati. Ad esempio, il recupero di accisa non versata secondo i dati di produzione dichiarati da un depositario.
- Atti di contestazione per indebite compensazioni di crediti di accisa o omessi versamenti di somme dovute alle previste scadenze in materia di accise (Dlgs 504/1995).
- Comunicazioni di irregolarità da controlli automatizzati (36-bis DPR 600/73) e controlli formali (36-ter DPR 600/73): il decreto specifica che rientrano tra gli atti di “pronta liquidazione” esenti da contraddittorio le lettere inviate a seguito dei controlli automatizzati delle dichiarazioni (c.d. avvisi bonari) sia per imposte dirette che per IVA, nonché le comunicazioni degli esiti del controllo formale ex art. 36-ter. In tali procedure, in effetti, una forma di contraddittorio è già intrinseca (si pensi alla possibilità di segnalare all’ufficio errori nei calcoli o documenti non considerati, prima dell’iscrizione a ruolo). Il legislatore ha quindi ritenuto sufficiente il processo esistente, senza aggiungere un ulteriore contraddittorio formale.
- Avvisi di liquidazione e irrogazione sanzioni per omessi o tardivi versamenti e adempimenti registrativi: il decreto include tra gli atti di pronta liquidazione esclusi quelli emessi, ad esempio, per liquidare imposta di registro, ipocatastale, di successione, di bollo, ecc., nei casi di ritardo o omissione dell’adempimento da parte del contribuente (versamento tardivo, registrazione tardiva, ecc.). Anche qui si tratta di atti “automatici” conseguenti a una violazione formale già avvenuta.
- Inviti al pagamento del contributo unificato (tributo dovuto per le spese di giustizia) con relative sanzioni per omesso o tardivo versamento.
In sintesi, le eccezioni riguardano atti impositivi standardizzati (spesso già preceduti da una comunicazione di irregolarità) e atti della fase di riscossione. La logica è che in tali ipotesi il contraddittorio preventivo avrebbe scarsa utilità pratica oppure esistono già specifiche modalità di interlocuzione con il contribuente previste altrove. Si noti che il D.M. 24/4/2024 elenca atti riferiti principalmente a tributi erariali (statali), mentre non menziona i tributi locali: questo aspetto ha suscitato qualche dubbio applicativo, poiché in teoria l’art. 6-bis copre anche gli atti degli enti locali (es. accertamenti IMU, TARI) ma il decreto non ha individuato per essi atti esclusi. In assenza di indicazioni, si tende a ritenere che per i tributi locali non vi siano esclusioni ulteriori oltre al pericolo per la riscossione, ma la questione potrà essere oggetto di chiarimenti.
2. Urgenza per pericolo nella riscossione: Oltre alle categorie sopra elencate, l’unica altra circostanza in cui l’ufficio può omettere il contraddittorio è quando ricorrano “casi motivati di fondato pericolo per la riscossione”. Questo concetto ricalca sostanzialmente la “particolare e motivata urgenza” già prevista dal previgente art. 12, c.7. Significa che se dall’istruttoria emergono elementi concreti tali da far temere che attendere 60 giorni comprometterebbe la futura esazione del tributo (ad esempio, perché il contribuente sta alienando i beni o sta per trasferirsi all’estero, o se vi è rischio di prescrizione imminente), l’ufficio può procedere subito all’emissione dell’atto senza contraddittorio. Condizione fondamentale: nell’avviso di accertamento dovrà essere data contezza dei motivi di urgenza, cioè spiegato perché non è stato possibile attendere. La giurisprudenza ha sempre interpretato in modo restrittivo questa facoltà: l’urgenza deve essere reale e specifica, non meramente riferita ad esigenze organizzative dell’ufficio. Ad esempio, la prossimità della scadenza di decadenza di per sé non è una motivazione valida, specie ora che la legge consente la proroga di 120 giorni. Se l’Amministrazione invoca indebitamente l’urgenza senza che ne ricorrano i presupposti, il contribuente potrà impugnare l’atto eccependo la violazione del contraddittorio; sarà poi il giudice a valutare la fondatezza o meno della motivazione addotta di “pericolo nel ritardo”. In pratica, questa clausola serve a evitare che il contraddittorio diventi uno strumento dilatorio in mano a contribuenti potenzialmente evasori pronti a rendersi insolventi: casi per fortuna non comuni, ma che vanno gestiti. Fuori da tali evenienze eccezionali, l’ufficio non può più scegliere discrezionalmente se avviare o meno il contraddittorio – deve farlo obbligatoriamente, e in caso contrario l’atto sarà invalido.
Decorrenza e regime transitorio
Come accennato, il D.Lgs. 219/2023 è entrato in vigore il 18 gennaio 2024, ma l’applicazione pratica del nuovo obbligo generalizzato di contraddittorio è scattata qualche mese dopo. Infatti, l’art. 7 del DL 30/03/2024 n. 39 (convertito con L. 56/2024) ha stabilito che le disposizioni sull’obbligo di contraddittorio si applicano agli atti emessi a decorrere dal 30 aprile 2024. Questa norma di coordinamento ha di fatto spostato la decorrenza effettiva al 30/4/2024, probabilmente per attendere l’emanazione del D.M. sulle esclusioni ed evitare incertezze negli accertamenti delle primissime settimane del 2024.
Dunque, possiamo distinguere:
- Atti emessi (notificati) fino al 29 aprile 2024: si applica la vecchia disciplina. Ciò significa che per tali atti l’eventuale assenza di contraddittorio è valutata secondo i principi previgenti (nessun obbligo generalizzato; obbligo solo se previsto da legge o, per l’IVA, principio UE con prova di resistenza). Ad esempio, un avviso notificato a marzo 2024 per IRPEF 2019, emesso senza contraddittorio, non è nullo in automatico; il contribuente potrà lamentare la violazione solo se ricorreva un obbligo specifico (es. era un accertamento da studio di settore) oppure, se riguarda IVA, dovrà dimostrare il pregiudizio subìto. La Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 7966 del 25/03/2024, ha confermato proprio questo principio di diritto intertemporale: le nuove regole sul contraddittorio non operano per gli atti precedenti alla data di efficacia, e per essi continua a valere la distinzione tra tributi armonizzati (contraddittorio necessario salvo prova contraria) e non armonizzati (contraddittorio non obbligatorio). In altri termini, la riforma non ha effetto retroattivo.
- Atti emessi dal 30 aprile 2024 in poi: vige il nuovo regime dell’art. 6-bis. Pertanto, un avviso di accertamento recante data (o numero di protocollo) successiva al 30/4/2024, se emanato senza previa attivazione del contraddittorio salvo rientri in un’eccezione, sarà annullabile per violazione di legge. Già dalle prime pronunce dei giudici di merito nel 2024 si osserva l’applicazione rigorosa di tale nullità, essendo una violazione procedurale per se stessa sufficiente a travolgere l’atto, senza indagini sul merito.
Va evidenziato infine che la completa “generalizzazione” del contraddittorio è un fenomeno recente: nei primi mesi di applicazione (maggio-giugno 2024) l’Agenzia delle Entrate ha adeguato le proprie procedure inviando sistematicamente inviti al contraddittorio prima degli atti finali, e si attende una riduzione del contenzioso proprio grazie a questo confronto anticipato. I contribuenti devono tuttavia prestare attenzione al regime transitorio: per tutto il 2024-2025 coesistono ancora accertamenti “vecchi” (per anni d’imposta passati) soggetti alle vecchie regole e accertamenti “nuovi” soggetti alle nuove. Nel dubbio, è sempre opportuno consultare un esperto per valutare se nel proprio caso l’assenza di contraddittorio sia un vizio denunciabile, alla luce della data di emissione dell’atto e della natura del tributo.
Tipologie di accertamento tributario e contraddittorio: casi pratici
La fase di contraddittorio può assumere sfumature diverse a seconda del tipo di controllo fiscale da cui scaturisce l’atto impositivo. In questa sezione analizziamo tutte le principali categorie di atti di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, evidenziando come si applica (o si applicava) l’obbligo di contraddittorio in ciascuna.
Accertamento con accesso, ispezione o verifica in loco
Si tratta dei controlli fiscali presso la sede del contribuente (azienda, ufficio o abitazione, se autorizzata) svolti tipicamente dalla Guardia di Finanza o da funzionari dell’Agenzia. Questi accertamenti hanno da tempo un contraddittorio codificato: già dal 2000, come visto, l’art. 12, c.7 Statuto prevedeva che dopo il PVC (processo verbale di constatazione) rilasciato a chiusura delle operazioni, il contribuente avesse 60 giorni per presentare memorie, e l’ufficio dovesse attenderne la scadenza prima di emettere l’avviso. Inoltre, qualora l’ufficio non intendesse accogliere le osservazioni presentate, era (ed è) tenuto a motivare specificamente nell’accertamento le ragioni del mancato recepimento.
Prima del 2024, dunque, le verifiche in loco erano uno dei pochi casi di contraddittorio obbligatorio generalizzato nell’ordinamento tributario italiano. La Cassazione aveva anche chiarito che la violazione di tale obbligo comportava la nullità dell’atto: un avviso notificato prima dei 60 giorni senza urgenza motivata era da annullare. Numerosi contenziosi hanno riguardato la validità o sufficienza delle motivazioni di urgenza addotte dall’ufficio per derogare al termine dilatorio. Ad esempio, non è stata ritenuta valida l’urgenza motivata solo dalla imminente scadenza del termine di decadenza, se l’ufficio aveva avuto tempo adeguato per agire (in tal caso, l’atto è stato annullato per violazione dell’art. 12, c.7).
Dopo la riforma 2024, le garanzie prima previste dall’art. 12, c.7 si applicano in modo identico ma in base al nuovo art. 6-bis. Il comma 1 infatti copre ogni accertamento, sia derivante da verifica in loco sia da controllo a tavolino. Pertanto, anche in presenza di PVC della Guardia di Finanza, l’ufficio oggi invia comunque il formale invito al contraddittorio post-verifica e attende i 60 giorni, benché ciò possa sembrare un “doppione” della facoltà già data di presentare osservazioni al PVC. In realtà, l’art. 6-bis ha assorbito l’art. 12, c.7 e lo ha esteso a tutti: di fatto per le verifiche in loco cambia poco, se non l’assenza ora di un riferimento testuale ai “60 giorni dal PVC” (sostituiti da 60 giorni dalla comunicazione dello schema di atto). È comunque prassi dell’Agenzia notificare dopo il PVC un “invito a comparire” o una “comunicazione di esito verifica” che di norma ricalca il contenuto del PVC, lasciando tempo al contribuente di replicare. Questa procedura rispetta l’art. 6-bis e l’avviso definitivo potrà poi uscire trascorsi i 60 giorni.
Conclusione: per accertamenti da verifiche in loco, il contraddittorio era già un diritto acquisito per il contribuente ed è oggi confermato e rafforzato. Il contribuente sottoposto ad accesso ha tutto da guadagnare dal presentare una memoria difensiva dettagliata entro i 60 giorni dal PVC: l’ufficio dovrà valutarla e controbattere (eventualmente anche rinunciare ad alcuni rilievi se emergono elementi nuovi). Se ciò non avviene e l’avviso viene emesso violando la tempistica o ignorando le controdeduzioni senza motivazione, l’atto sarà certamente impugnabile per vizio procedurale.
Accertamento “a tavolino” (controllo in ufficio sui documenti)
Gli accertamenti a tavolino sono quelli eseguiti dagli uffici fiscali senza un accesso presso il contribuente, utilizzando i dati a disposizione: possono derivare da questionari inviati al contribuente, da richieste di documenti, dallo studio delle dichiarazioni e dei dati di altre amministrazioni (es. archivio dei rapporti finanziari, dati dell’Anagrafe tributaria, informazioni fornite da terzi, ecc.). In passato, come sottolineato, questi accertamenti non godevano di un contraddittorio endoprocedimentale generale. La Cassazione nel 2015 aveva espressamente escluso l’estensione analogica dell’art. 12 Statuto ai controlli a tavolino. Solo in ipotesi particolari vi era un obbligo: ad esempio, se l’accertamento a tavolino era basato unicamente sugli studi di settore, allora la legge (L.146/1998) richiedeva comunque il contraddittorio (pena nullità). Oppure, se riguardava l’IVA, per la giurisprudenza UE andava garantito il diritto di difesa (salvo prova di non incidenzialità). Per il resto, fino al 2023 l’ufficio poteva emettere un accertamento da scrivania senza invito al contribuente, e ciò era considerato legittimo.
Questa disparità è stata forse la più contestata, poiché proprio negli accertamenti a tavolino – in assenza di un confronto diretto – il contribuente spesso veniva a conoscenza della pretesa solo a cose fatte, dovendo poi difendersi in giudizio. Con la riforma, la situazione è completamente cambiata: oggi anche gli accertamenti a tavolino rientrano nell’obbligo di contraddittorio. Dunque, se un ufficio analizza le dichiarazioni o incrocia dati e intende rettificare, deve comunque predisporre uno schema di accertamento e notificarlo al contribuente perché possa interloquire. La mancata ottemperanza a questo iter rende l’avviso annullabile.
Un aspetto peculiare dei controlli a tavolino riguarda come l’obbligo di contraddittorio possa essere assolto. La Cassazione ha affermato, per esempio in materia IVA, che qualsiasi forma idonea di interlocuzione può soddisfare il contraddittorio: ad esempio, se l’ufficio invia al contribuente una richiesta di documenti o chiarimenti, e questi ha così l’opportunità di replicare prima dell’accertamento, ciò potrebbe già integrare un contraddittorio sufficiente. In una recente ordinanza (Cass. n. 16873/2024) è stato ribadito che per un accertamento a tavolino IVA l’obbligo di contraddittorio può ritenersi rispettato anche tramite scambio di comunicazioni con il contribuente, senza necessità di un formale “invito al contraddittorio” etichettato come tale. Questo significa che bisogna guardare alla sostanza: se l’ufficio, prima di emettere l’atto, ha comunque coinvolto il contribuente (ad esempio con un questionario, con una convocazione informale, ecc.), quell’interlocuzione può essere considerata il contraddittorio endoprocedimentale. Viceversa, se nulla di ciò è avvenuto, l’atto è viziato.
Esempio pratico: la società Bianchi S.p.A. riceve a marzo 2024 (prima dell’entrata in vigore delle nuove regole) un avviso di accertamento per maggior IRAP e IRES, scaturito da un mero controllo di coerenza di bilancio, senza alcun preavviso. La società impugna l’atto eccependo la violazione del contraddittorio. Trattandosi di tributi non armonizzati e atto emesso ante 30/4/24, la Commissione Tributaria respinge l’eccezione, richiamando l’orientamento previgente e osservando che Bianchi neppure ha indicato quali elementi avrebbe potuto far valere (mancata prova di pregiudizio). Se però la stessa situazione si verificasse per un atto emesso dopo il 30/4/24, l’esito sarebbe diverso: l’avviso sarebbe nullo ipso iure per mancato contraddittorio, senza bisogno di ulteriori dimostrazioni, e il ricorso di Bianchi verrebbe accolto.
In sostanza, per gli accertamenti a tavolino d’ora in avanti il contraddittorio non è più una cortesia o una scelta dell’ufficio, ma un passaggio obbligato. Il contribuente che dovesse ricevere un invito al contraddittorio per un controllo da scrivania farebbe bene a partecipare attivamente, fornendo spiegazioni e documentazione: è l’occasione per chiarire eventuali fraintendimenti o errori prima che l’accertamento venga cristallizzato. Se invece (in ipotesi) ricevesse direttamente un avviso senza essere stato coinvolto, ha ora un solido argomento procedurale per farne valere la nullità.
Accertamenti basati su presunzioni e parametri: studi di settore, ISA, redditometro
In quest’area rientrano quelle metodologie di accertamento che si basano non su prove dirette di evasione, ma su indici e presunzioni elaborati statisticamente o per via normativa, come appunto gli studi di settore (sostituiti dal 2019 dagli indici ISA) e l’accertamento sintetico del reddito (redditometro).
- Studi di settore / ISA: Gli studi di settore (fino al periodo d’imposta 2017) erano strumenti che stimavano ricavi o compensi attesi di un’attività economica in base a dati medi. La legge ha sempre previsto che fossero usati con prudenza: l’art. 10, co.3-bis L.146/1998 stabiliva che l’ufficio è tenuto a invitare il contribuente al contraddittorio prima di emettere un accertamento fondato sugli studi di settore, pena la nullità dell’accertamento. La ragione è chiara: trattandosi di presunzioni semplici (non gravate da fede privilegiata), i risultati standard vanno adattati alle specifiche condizioni del contribuente, e ciò avviene ascoltandolo. La giurisprudenza (v. Cass. 31814/2019, 28400/2020, 9554/2024) ha rimarcato più volte che un accertamento basato solo sugli studi di settore è nullo senza contraddittorio, mentre se l’ufficio dispone anche di altri elementi concreti (es. irregolarità contabili gravi, prove di ricavi in nero) l’obbligo specifico viene meno perché l’accertamento non si fonda “solo” sullo studio ma su una pluralità di prove. Dopo il 2018, gli studi di settore sono stati sostituiti dagli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA), che però funzionano in modo diverso (premiano la compliance con benefici) e non costituiscono di per sé base diretta di accertamento; semmai l’ufficio può usare le risultanze ISA (basso punteggio di affidabilità) come segnale di rischio per poi avviare controlli. In ogni caso, con l’art. 6-bis ora tutti gli accertamenti sono con contraddittorio obbligatorio, quindi la regola speciale degli studi di settore è divenuta ridondante (tant’è che la sua violazione rientra ora nel più generale vizio di omesso contraddittorio). Esempio pratico: un professionista presentava ricavi inferiori a quelli risultanti dallo studio di settore; se l’ufficio in passato avesse emesso accertamento senza convocarlo, l’atto era nullo. Oggi comunque lo convocherà, e nel verbale finale dovrà dar conto delle eventuali giustificazioni (es. malattia, calo di attività) per motivare se non le ritiene sufficienti.
- Accertamento sintetico del reddito (redditometro): Anche qui il contraddittorio era già previsto da norme specifiche. Il cosiddetto redditometro (art. 38 DPR 600/1973, commi 4-7) consente di determinare sinteticamente il reddito di una persona fisica in base alle spese sostenute e ad altri elementi indicativi di capacità contributiva. La legge prevede espressamente che l’ufficio, prima di emettere tale accertamento, deve invitare il contribuente a fornire dati e notizie rilevanti e a dimostrare che le spese sono state sostenute con redditi esenti o redditi di altri periodi (quindi un contraddittorio pieno). Se il contribuente non partecipa o le spiegazioni non vengono accolte, l’ufficio può procedere, ma nell’avviso deve motivare tenendo conto delle osservazioni ricevute. Dunque, anche il redditometro, già da molti anni, contempla un obbligo di contraddittorio ad hoc. La riforma 2024 lo include comunque nell’ambito generale (non c’è alcuna esclusione per tale tipologia), per cui cambia poco in concreto: permane l’obbligo di ascolto preventivo, rafforzato dalle nuove garanzie generali (accesso agli atti, 60 giorni, ecc.). Se un avviso sintetico fosse emesso senza contraddittorio, sarebbe nullo sia in base alla norma speciale che all’art. 6-bis.
In tabella 1 riepiloghiamo alcuni esempi di atti accertativi e se prevedevano il contraddittorio obbligatorio prima della riforma e dopo di essa:
Tabella 1 – Contraddittorio: obbligatorietà ieri e oggi per diversi atti di accertamento
Tipo di accertamento | Contraddittorio prima del 2024 | Contraddittorio dopo il 30/4/2024 |
---|---|---|
Verifica “in loco” (accesso GdF, PVC) | Sì (60 gg ex art. 12 Statuto; pena nullità salvo urgenza) | Sì (art. 6-bis Statuto; stesse tempistiche) |
Accertamento “a tavolino” ordinario (documentale su imposte dirette) | No (salvo obblighi specifici di legge) | Sì (obbligatorio per ogni atto impugnabile) |
Accertamento IVA a tavolino | Sì, per principio UE ma con prova di resistenza | Sì (obbligatorio; no prova resistenza) |
Studi di settore (solo studi) | Sì (obbligo ex L.146/98; nullità se omesso) | Sì (rientra nell’art. 6-bis; nullità se omesso) |
Studi di settore (con altri elementi di prova) | Contraddittorio non obbligatorio (per giurisprudenza) | Sì (comunque obbligatorio per art. 6-bis) |
Accertamento sintetico (redditometro) | Sì (obbligo ex art. 38 DPR 600; nullità se omesso) | Sì (confermato da art. 6-bis) |
Accertamento parziale da incrocio banche dati | No (non previsto espressamente) | Escluso dall’obbligo (DM 24/4/24) |
Liquidazione automatica (36-bis) – avviso bonario | (Comunicazione esito inviata, ma non obbligatoria per legge) | Escluso: comunicazione 36-bis esenta da ulteriore contraddittorio |
Controllo formale (36-ter) – avviso bonario | (Comunicazione prassi, non obbligo legale) | Escluso: comunicazione esito 36-ter esclusa |
Avviso di accertamento su dichiarazione omessa | No (nessuna norma specifica; controllo a tavolino) | Sì (obbligatorio art. 6-bis, non escluso) |
Accertamento catastale (intestazioni, rendite) | No (procedura catastale distinta) | Escluso (DM 24/4/24) |
Revoca agevolazione prima casa – registro | No (atto liquidazione, spesso senza confronto) | Escluso (DM 24/4/24) |
(Legenda: “Sì” = obbligo contraddittorio; “No” = nessun obbligo; “Escluso” = obbligo eliminato per norma di esclusione.)
Come si nota, dopo il 2024 praticamente ogni tipo di atto accertativo prevede il contraddittorio, tranne talune eccezioni tecniche elencate dal DM. Ciò rappresenta un enorme cambio di paradigma rispetto a prima.
Accertamento con adesione e altri strumenti deflativi
Un capitolo a parte merita l’accertamento con adesione, che non è un tipo di accertamento “unilaterale” ma una procedura di definizione negoziata della pretesa fiscale, introdotta dal D.Lgs. 218/1997. In questo procedimento, il contraddittorio con il contribuente è intrinseco: l’ufficio convoca il contribuente per un confronto, si discute l’esito del controllo e si può giungere a un accordo transattivo sugli importi (con benefici per il contribuente, come sanzioni ridotte a 1/3 e rateazione).
È utile chiarire il rapporto tra contraddittorio “ordinario” ex art. 6-bis e accertamento con adesione:
- Il contraddittorio preventivo ordinario (art. 6-bis) avviene prima dell’emissione di un avviso di accertamento ed è un atto dovuto, finalizzato a evitare se possibile l’emissione dell’atto o a migliorarlo in termini di completezza e correttezza. Non richiede una richiesta del contribuente: è l’ufficio che lo attiva d’ufficio in tutti i casi previsti.
- L’accertamento con adesione invece si avvia di norma dopo che l’ufficio ha già emesso un atto (o quantomeno dopo un PVC). Può essere attivato su istanza del contribuente (che, ricevuto un avviso di accertamento, preferisce tentare un accordo anziché ricorrere) oppure su invito dell’ufficio. Durante l’adesione, si tiene uno o più incontri di contraddittorio, ma con la finalità di giungere a una transazione fiscale: il contribuente riconosce almeno in parte il debito e l’ufficio riduce sanzioni e permette rateazione.
In breve, il contraddittorio preventivo mira a far emergere la verità fiscale prima dell’atto, eventualmente convincendo l’ufficio a desistere o a modificare la pretesa; l’accertamento con adesione mira a trovare un compromesso sul quantum dell’imposta dovuta, dopo che l’ufficio ha formalizzato una contestazione. Entrambi i procedimenti comportano un dialogo, ma sono diversi per tempi e scopi.
Cosa accade nella pratica con le nuove regole? Se oggi un ufficio completa una verifica, inviterà il contribuente al contraddittorio ex art. 6-bis. Se da quel contraddittorio emerge che la pretesa è fondata ma magari eccessiva, nulla vieta che durante la fase endoprocedimentale il contribuente proponga sin da subito un’adesione. In alcuni casi gli uffici, anziché emettere l’avviso dopo il contraddittorio, possono concordare lì per lì un’adesione: si redige un atto di adesione, il contribuente firma e paga la prima rata, e l’accertamento originale non viene più emesso. Questo può accadere ad esempio quando le parti trovano un punto d’incontro sulle cifre durante il confronto.
Alternativamente, se dopo il contraddittorio l’ufficio emette comunque l’avviso (magari ridimensionato), il contribuente ha ancora la possibilità di presentare istanza di accertamento con adesione entro 30 giorni dalla notifica dell’avviso stesso. Tale istanza sospende i termini del ricorso e apre una nuova fase di contraddittorio, questa volta “negoziale”.
Dal punto di vista del debitore-contribuente, è importante capire che il contraddittorio preventivo non esclude l’adesione, anzi può facilitare soluzioni anticipate. Spesso durante il contraddittorio l’ufficio stesso suggerisce il percorso dell’adesione per chiudere bonariamente la vicenda, specie se il contribuente riconosce alcuni rilievi.
Vantaggi dell’adesione: comporta come detto una riduzione delle sanzioni (30% del minimo invece del 100% in caso di soccombenza in giudizio) e consente il pagamento rateale fino a 8 rate trimestrali. Inoltre, definendo in adesione si evita la cartella esattoriale: l’atto di adesione firmato vale come titolo per la riscossione delle somme concordate.
Limiti: una volta perfezionato l’accordo, il contribuente rinuncia al contenzioso per quella materia e anno d’imposta. Quindi occorre aderire solo se realmente conviene e se si è d’accordo sui termini.
La tabella 2 seguente mette a confronto l’accertamento ordinario “unilaterale” e l’accertamento con adesione:
Tabella 2 – Differenze tra accertamento ordinario e accertamento con adesione
Caratteristica | Accertamento ordinario | Accertamento con adesione |
---|---|---|
Iniziativa | D’ufficio (segue a verifica o controllo) | Volontaria, su istanza del contribuente (dopo PVC o avviso) o invito ufficio |
Contraddittorio | Preventivo obbligatorio ex art. 6-bis (60 gg); l’ufficio decide in autonomia l’esito | Contraddittorio “negoziale”: incontri su richiesta contribuente per trovare accordo |
Esito possibile | Emissione unilaterale dell’avviso di accertamento (contestabile in giudizio) | Sottoscrizione di un atto di adesione con importi concordati (irretrattabile, evita giudizio) |
Vantaggi per il contribuente | Possibilità di far annullare l’atto se illegittimo; tempi di riscossione dilazionati (60 gg + eventuale ricorso) | Riduzione sanzioni a 1/3; rateizzazione fino a 8 rate; niente spese di giudizio; chiusura rapida della lite |
Svantaggi per il contribuente | Se l’atto è confermato, sanzioni piene (100%); necessità di ricorrere in Commissione Tributaria se non si condivide | Obbligo di pagamento delle somme concordate; rinuncia al ricorso (l’adesione preclude l’impugnazione); se non si paga, l’accordo decade (si torna all’avviso originario) |
Motivazione dell’atto | Unilaterale da parte dell’ufficio; deve confutare le osservazioni del contribuente se presentate | L’atto di adesione contiene l’accordo transattivo e la liquidazione definitiva delle imposte e sanzioni |
Tempistiche generali | Termine di decadenza atto (es. 31/12); ricorso entro 60 gg; giudizio dura anni | Istanza entro 30 gg da avviso; definizione adesione entro 90 gg; pagamento 20 gg dopo firma (prima rata) |
Come si vede, il contraddittorio svolge un ruolo cruciale in entrambe le modalità: nell’accertamento ordinario è una garanzia procedurale (può evitare l’atto o fornire elementi utili per un ricorso), nell’accertamento con adesione è il cuore stesso del procedimento, in cui si negozia l’esito.
Un contribuente ben consigliato tipicamente sfrutterà tutti gli strumenti: prima il contraddittorio preventivo per cercare di chiarire la propria posizione e magari ridurre i rilievi; poi, se l’avviso arriva comunque, valuterà la convenienza di un’adesione (specialmente se la controparte è disponibile a qualche sconto) rispetto all’alternativa di fare causa. Ad esempio, nel Caso pratico 1 più avanti vedremo come una società abbia dapprima difeso le proprie ragioni nel contraddittorio, poi – ricevuto un avviso moderato – abbia scelto di chiudere con adesione ottenendo sanzioni ridotte e rateazione. Il punto di vista del debitore deve essere pragmatico: il contraddittorio è uno strumento per evitare errori e ingiustizie; l’adesione è uno strumento per ridurre il danno e comprare pace fiscale, quando conviene.
Controlli automatizzati e formali (avvisi “bonari”)
Vale la pena spendere qualche parola sui cosiddetti avvisi bonari, ossia le comunicazioni inviate a seguito dei controlli automatizzati (ex art. 36-bis DPR 600/73 e art. 54-bis DPR 633/72) o dei controlli formali (art. 36-ter DPR 600/73) della dichiarazione. Queste comunicazioni segnalano al contribuente un esito: ad esempio un errore materiale, un’imposta versata in meno, uno sconto d’imposta non spettante, la mancata corrispondenza con dati di terzi, ecc., e invitano a pagare il dovuto con sanzioni ridotte ovvero a fornire chiarimenti entro 30 giorni.
Nel sistema previgente, l’invio dell’avviso bonario era previsto dalla legge ma non costituiva un “diritto al contraddittorio” in senso tecnico – era piuttosto una forma di compliance: se il contribuente non risponde o non paga, l’ufficio iscrive a ruolo le somme (emettendo poi una cartella). Non c’era un obbligo di legge a valutare le eventuali risposte inviate; tuttavia nella prassi l’Agenzia frequentemente annulla o rettifica in autotutela gli avvisi bonari se il contribuente documenta un errore (es: avevi disconosciuto un onere deducibile ma io invio la ricevuta che prova che spettava: l’ufficio ricalcola e annulla la pretesa).
Dopo l’art. 6-bis, ci si è chiesti: l’avviso bonario è un atto impugnabile? In genere no (la giurisprudenza lo considera un atto non impugnabile, perché è un semplice invito al pagamento, non una pretesa definitiva). Dunque non rientra negli “atti autonomamente impugnabili” soggetti a obbligo di contraddittorio. In ogni caso, il DM 24/4/2024 ha chiarito espressamente che le comunicazioni ex 36-bis e 36-ter (per imposte dirette e IVA) rientrano negli “atti di pronta liquidazione” esclusi dall’obbligo di contraddittorio. Ciò significa che il flusso rimane invariato: il contribuente riceve la comunicazione e può interloquire in quel contesto (chiamando l’ente, segnalando gli errori) ma non c’è una “fase formale” di contraddittorio endoprocedimentale distinta.
Se però il contribuente non paga né chiarisce, e l’ufficio procede iscrivendo a ruolo e notificando la cartella esattoriale, qui può nascere un problema: la cartella di pagamento (derivante da 36-bis/ter) è un atto impugnabile. Ma esso viene emesso dopo che al contribuente era stata data una chance di interlocuzione (l’avviso bonario). Si può allora discutere se quella fase epistolare abbia soddisfatto l’eventuale contraddittorio. E infatti il DM esclude da contraddittorio sia le comunicazioni bonarie sia le cartelle e ruoli derivanti da controlli automatizzati. Il senso è: l’avviso bonario è già la forma di partecipazione data al contribuente; non serve un ulteriore contraddittorio prima della cartella.
In definitiva, chi riceve una comunicazione di irregolarità deve reagire prontamente: se la ritiene sbagliata, fornisca subito i chiarimenti all’Agenzia (di solito è indicato come fare, anche telematicamente); se invece è corretta, può beneficiare della sanzione ridotta al 10% pagando entro 30 giorni. Se non fa nulla, arriverà la cartella con sanzione piena 30% e oneri di riscossione, e potrà a quel punto solo impugnarla in Commissione. Ma difficilmente potrà eccepire il vizio di contraddittorio, essendo esplicitamente escluso per queste fasi.
Altre tipologie di atti impugnabili
Sebbene il fuoco sia sugli avvisi di accertamento dell’Agenzia Entrate, ricordiamo che l’art. 6-bis menziona “tutti gli atti autonomamente impugnabili”. Questo include, ad esempio, i provvedimenti di irrogazione di sanzioni (quando notificati separatamente), gli atti di recupero di crediti d’imposta indebitamente utilizzati in compensazione, gli atti di contestazione di violazioni formali, ecc.
Alcuni di questi atti sono stati elencati nel DM tra le esclusioni (ad es. gli atti di recupero crediti d’imposta non spettanti ex art. 38-bis DPR 600 rientrano tra gli atti automatizzati esclusi). Altri no: ad esempio, un provvedimento irrogativo di sanzioni tributarie (tipo una multa per violazione di obblighi dichiarativi) è impugnabile: l’art. 6-bis lo copre? Si può ritenere di sì, salvo che rientri in casistiche automatiche. Non essendo menzionato nel DM, dovrebbe valere l’obbligo di contraddittorio: quindi l’ufficio, prima di notificare solo delle sanzioni, dovrebbe invitare il contribuente a dedurre eventuali cause di non punibilità o altro. Sarà interessante vedere la prassi in merito.
In ogni caso, la tendenza è ormai di offrire sempre un confronto. Persino l’Agenzia delle Dogane (fuori dal nostro focus Agenzia Entrate, ma rilevante per IVA importazioni e dazi) già da anni attua il contraddittorio nei propri procedimenti, anticipando quanto richiesto dal diritto UE.
Il procedimento di contraddittorio: come si svolge in pratica
Delineate le regole, vediamo operativamente come avviene il contraddittorio preventivo. Conoscere le fasi aiuta il contribuente (e i suoi consulenti) a esercitare al meglio i propri diritti e a prepararsi adeguatamente.
- Comunicazione dell’invito al contraddittorio: L’ufficio fiscale, una volta conclusa l’istruttoria dal cui esito ritiene di dover accertare maggiori imposte, invia al contribuente una comunicazione formale. Di solito è intitolata “Invito a comparire” o “Avviso di accertamento parziale/provvisorio” o “Esito del controllo fiscale n… (schema di accertamento)”. Essa viene notificata con le stesse modalità di un avviso (raccomandata A/R, PEC, messo comunale) per garantirne la conoscibilità. Nella comunicazione vengono indicati:
- le violazioni contestate o le difformità riscontrate (ad es: redditi non dichiarati per €X, costi indeducibili per €Y, IVA non versata per €Z, ecc. con le relative motivazioni di fatto e di diritto);
- l’ammontare delle maggiori imposte, sanzioni e interessi che si intenderebbe richiedere con l’atto finale, qualora non emergano elementi nuovi;
- l’ufficio competente e il funzionario responsabile del procedimento;
- l’indicazione del termine per rispondere (che per legge non può essere inferiore a 60 giorni);
- la possibilità di richiedere l’accesso agli atti del fascicolo e/o di prendere appuntamento per un incontro;
- i riferimenti normativi all’art. 6-bis L.212/2000.
- Accesso al fascicolo e preparazione della difesa: Una volta ricevuta la comunicazione, il contribuente (e il professionista che lo assiste) ha diritto di esaminare tutti gli atti dell’istruttoria in possesso dell’ufficio, chiedendone copia. È una fase importante: ad esempio, se l’accertamento si basa su dati di terzi (es. segnalazioni della Guardia di Finanza, questionari di clienti/fornitori, informazioni bancarie), questi documenti devono essere messi a disposizione. In base alla documentazione, il contribuente predisporrà le sue controdeduzioni: può raccogliere pezze giustificative, relazioni tecniche, pareri giuridici, qualsiasi elemento utile a confutare o attenuare la pretesa.
- Presentazione di memorie e documenti: Entro il termine concesso (non meno di 60 giorni, ma nulla vieta di inviare prima), il contribuente può trasmettere una memoria scritta. Nella memoria esporrà punto per punto le proprie difese: ad esempio, potrebbe eccepire che alcuni ricavi presunti in realtà non esistono fornendo registri e fatture, oppure segnalare che un costo ritenuto indeducibile invece è inerente allegando perizie, ecc. Può anche evidenziare eventuali errori di calcolo compiuti dall’ufficio. È bene che la memoria sia dettagliata e supportata da documenti allegati. Se la questione è complessa, spesso il contribuente allega anche una perizia di parte o un parere pro veritate di un esperto in materia (ad esempio in caso di contestazioni fiscali su operazioni complesse, una relazione di un consulente tributario di chiara fama può avere un peso nel convincere l’ufficio). La presentazione di memorie non preclude comunque di discutere oralmente: le due cose possono coesistere.
- Incontri e contraddittorio orale: Nella maggioranza dei casi, il contribuente (o il suo difensore) partecipa anche a uno incontro presso l’ufficio (oggi spesso possibile anche via call conference) per discutere la posizione. Durante l’incontro, i funzionari illustrano i rilievi e ascoltano le spiegazioni del contribuente, che può portare ulteriori chiarimenti. Questi incontri possono essere più di uno se necessario, finché si esaurisce la trattazione. È un dialogo informale ma cruciale: spesso dal vivo si colgono meglio le sfumature e si comprende se c’è margine per ridurre la pretesa o per evitarla. Al termine, è prassi che l’ufficio rediga un verbale del contraddittorio o un sintetico processo verbale di constatazione se emergono nuovi elementi. Ad esempio, se il contribuente ha presentato documenti che dimostrano l’erroneità di un rilievo, ciò verrà verbalizzato e quel rilievo potrà essere accantonato.
- Esito del contraddittorio e decisione finale: Ultimato il contraddittorio, l’ufficio effettua le proprie valutazioni conclusive. Ci sono varie possibilità:
- Archiviazione totale: se le spiegazioni del contribuente convincono pienamente l’ufficio che non c’era evasione o irregolarità, l’accertamento non verrà emesso affatto. Il procedimento si chiude lì, con grande soddisfazione del contribuente (che ha evitato un atto potenzialmente costoso). Questa è la situazione ideale ma non frequentissima. Tuttavia, accade ad esempio in caso di evidenti errori iniziali dell’Agenzia – contraddittorio serve proprio a filtrare questi casi.
- Parziale accoglimento delle difese: in molti casi il contraddittorio porta l’ufficio a riconoscere alcune ragioni del contribuente ma non tutte. Ne risulta un avviso di accertamento “alleggerito” rispetto allo schema iniziale. Ad esempio, su 5 rilievi contestati, 2 vengono abbandonati e 3 confermati. Oppure gli imponibili vengono ridotti (da €50k di ricavi non dichiarati stimati si scende magari a €30k effettivamente non documentati dopo le spiegazioni). In tal caso l’avviso definitivo recherà solo i rilievi residui, con imposte e sanzioni ricalcolate.
- Nessun accoglimento (conferma integrale): se l’ufficio ritiene infondate o insufficienti le argomentazioni difensive, procederà ad emettere l’avviso di accertamento integrale come da schema iniziale (o con modifiche minime). Ciò accade quando, ad esempio, le prove fornite dal contribuente sono ritenute non probanti, o quando il contribuente non partecipa affatto al contraddittorio lasciando decadere il termine.
- Proposta di adesione: come detto, a volte durante o subito dopo il contraddittorio le parti preferiscono trovare un accordo negoziale. In tal caso non si emette l’avviso in senso stretto, ma si formalizza un atto di accertamento con adesione. Il contribuente paga concordando gli importi e la vicenda si chiude senza contenzioso. (È comunque utile sottolineare che la scelta dell’adesione è volontaria: il contribuente potrebbe anche firmare un’adesione solamente su parte delle pretese e poi impugnare la parte residua – ma tecnicamente l’adesione parziale non è contemplata, occorrerebbe trovare un accordo su tutto l’atto).
- Notifica dell’avviso di accertamento (se emesso): Se si giunge all’avviso, questo verrà notificato come di consueto al contribuente (PEC o raccomandata). L’avviso deve contenere: gli elementi di fatto e di diritto della pretesa, il calcolo delle maggiori imposte/sanzioni, e soprattutto – in virtù dell’art. 6-bis – deve dare conto delle osservazioni del contribuente. In pratica conterrà un paragrafo tipo: “Il contribuente in data X ha presentato memoria sostenendo Y e Z; tali deduzioni non sono state ritenute idonee a superare i rilievi in quanto … (spiegazione)”. Questa parte della motivazione è essenziale: se mancasse, l’atto sarebbe viziato per difetto di motivazione (vizio proprio) oltre che per violazione del contraddittorio. Quindi gli uffici sono tenuti a farvi molta attenzione. Infine, l’avviso notificato avrà efficacia esecutiva trascorsi 60 giorni (come da normativa vigente sugli accertamenti esecutivi), e indicherà i termini per l’eventuale impugnazione.
- Possibilità di definizione o ricorso: Una volta ricevuto l’avviso definitivo, il contribuente può decidere se:
- Pagare/acquiescere: pagando entro 60 giorni beneficia della riduzione delle sanzioni ad 1/3 (c.d. acquiescenza ex art. 15 D.Lgs. 218/97) e chiude la partita. Oppure
- Proporre accertamento con adesione: entro 30 giorni chiede l’adesione e apre il tavolo negoziale (se non lo aveva già fatto prima). Oppure
- Ricorrere in giudizio: entro 60 giorni presenta ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (nuovo nome delle Commissioni Tributarie dal 2023). Nel ricorso potrà far valere sia questioni di merito sia vizi procedurali come l’eventuale contraddittorio omesso o carente.
È evidente che il contraddittorio sposta in avanti il “momento del confronto” tra Fisco e contribuente, potenzialmente risolvendo prima alcune controversie. Come affermato dall’Amministrazione stessa, questa fase preventiva mira a evitare l’emissione di avvisi di accertamento non dovuti e quindi a ridurre i motivi di contenzioso. Dal lato del contribuente, partecipare attivamente al contraddittorio è quasi sempre consigliabile: offre un’opportunità di chiarire malintesi e, anche se non si riuscisse a convincere l’ufficio, permette di costruire un primo strato di difesa utile poi in giudizio (le osservazioni respinte e le relative risposte dell’ufficio costituiranno materia del futuro processo). L’unico caso in cui talvolta si sconsigliava la partecipazione era quando il contribuente temeva di “scoprire le carte” in anticipo su difese poi da giocarsi in contenzioso. Ma con la riforma, l’assenza di contraddittorio incide così gravemente sulla validità dell’atto che, se il contribuente si sottraesse volontariamente all’invito, di fatto farebbe un favore all’ufficio (il quale comunque dovrà attendere 60 giorni e poi potrà dire che il contribuente non ha fornito alcun chiarimento). Meglio invece presentarsi e mettere a verbale tutto quanto può tornare utile alla difesa.
In sintesi: come comportarsi da contribuente? – Alla ricezione di un invito al contraddittorio occorre attivarsi subito, magari facendosi assistere da un professionista tributarista, per preparare una strategia difensiva: raccogliere prove, predisporre memorie efficaci, partecipare all’incontro in modo collaborativo ma fermo sui punti di diritto. Questo approccio può fare la differenza tra un accertamento confermato e magari un accertamento archiviato o ridotto (con enorme risparmio economico). Non ultimo, essere propositivi in contraddittorio può anche aprire la porta a soluzioni alternative (come detto, adesioni favorevoli o rateizzazioni) prima che scatti un contenzioso lungo e costoso.
Conseguenze dell’omesso contraddittorio e tutele del contribuente
Cosa accade se l’Amministrazione non rispetta il contraddittorio obbligatorio? È un punto cruciale, su cui oggi – dopo la riforma – vi sono regole più chiare rispetto al passato.
Vizi dell’atto impositivo
Un avviso di accertamento (o altro atto impugnabile) emesso in violazione dell’obbligo di contraddittorio presenta un vizio di legittimità. Le possibili violazioni sono principalmente due:
- Omissione totale del contraddittorio dovuto: l’ufficio non ha proprio invitato il contribuente prima di emettere l’atto, pur non ricorrendo alcuna esclusione legale. Questo è il caso più grave e lampante. Ad esempio, avviso emesso post 30/4/24 per maggior IRPEF, senza che sia stato inviato lo schema di atto 60 giorni prima e senza urgenza di sorta: l’atto è annullabile per violazione di legge. Come detto, la nullità è relativa (va fatta valere in giudizio). La pronuncia delle Sezioni Unite n. 7966/2024 ha chiarito che per gli atti successivi al 18/1/2024 l’obbligo è generalizzato e la mancanza comporta l’annullabilità senza prova di resistenza. Dunque il giudice, verificato che il contraddittorio era dovuto e non è stato svolto, annullerà l’atto.
- Contraddittorio svolto in modo inadeguato (“non effettivo”): qui le situazioni possibili sono varie. Ad esempio:
- l’ufficio concede un termine inferiore a 60 giorni (violando la norma che impone “non meno di 60 gg”): in tal caso il vizio è rilevante perché ha compresso il diritto di difesa. Si può eccepire che l’atto è stato emesso contra legem (se, poniamo, hanno dato 30 gg e poi emesso avviso).
- l’ufficio non considera affatto le osservazioni presentate, emettendo l’avviso come se nulla fosse: questo si traduce in un vizio di motivazione. La legge impone infatti di motivare sulle ragioni per cui le difese non sono accolte. Se l’atto tace completamente le osservazioni, o le liquida con frasi stereotipate e generiche, il contribuente potrà contestarne la validità per difetto di motivazione e violazione dell’art. 6-bis. La giurisprudenza pre-riforma era intervenuta su casi in cui le controdeduzioni del contribuente erano state ignorate: ad esempio, Cassazione ha annullato accertamenti dove l’ufficio aveva copiato-incollato l’atto iniziale senza menzionare la corposa memoria presentata dal contribuente – segno evidente che il contraddittorio era stato simulato. Con la nuova norma, questo obbligo di esplicitare le ragioni del diniego è scritto nero su bianco.
- l’ufficio non ha permesso l’accesso agli atti o non ha risposto a richieste di proroga ragionevoli, in ciò ledendo il diritto di difesa: anche questi aspetti potrebbero essere fatti valere, quantomeno come elementi a supporto di una nullità (vizio procedimentale).
- l’invito al contraddittorio era carente degli elementi essenziali (ad esempio non indicava chiaramente la pretesa, impedendo al contribuente di difendersi in modo informato): ciò configurerebbe un contraddittorio non “informato”, e quindi non conforme al dettato normativo. Un caso potrebbe essere una convocazione generica (“si presenti per discutere la sua posizione fiscale” senza dettagli): il contribuente potrebbe lamentare di non aver potuto preparare adeguatamente le proprie difese per difetto di informazione e quindi chiedere l’annullamento dell’atto, anche se questa eccezione è più sottile e dipendente dalle circostanze (bisognerebbe dimostrare il concreto pregiudizio subito dall’essere stato tenuto all’oscuro dei rilievi prima dell’incontro).
In generale, la violazione del contraddittorio rientra nei vizi “procedimentali” dell’atto. Oggi è pacifico che abbia rilevanza e possa portare all’annullamento, superando vecchie dispute sul fatto che nel diritto tributario contasse solo il merito e non la forma. Il contraddittorio è riconosciuto come elemento essenziale del giusto procedimento impositivo, quindi la sua assenza rende l’atto illegittimo.
Strumenti di tutela: autotutela e ricorso giurisdizionale
Il contribuente che si vede notificare un atto senza contraddittorio (quando era dovuto) dispone di due possibili vie di tutela, idealmente complementari:
- Istanza di autotutela all’Amministrazione: l’“autotutela” è il potere-dovere della Pubblica Amministrazione di annullare d’ufficio i propri atti illegittimi o infondati, senza attendere il giudice. L’Agenzia delle Entrate, in presenza di un proprio errore, dovrebbe correggersi spontaneamente. Pertanto, il contribuente può subito scrivere all’ufficio che ha emesso l’atto, facendo presente la mancata osservanza del contraddittorio obbligatorio e chiedendo l’annullamento o la rettifica dell’avviso. In passato, ottenere l’annullamento in autotutela per omesso contraddittorio era difficile, poiché l’ufficio spesso replicava che la legge non lo prevedeva (salvo art.12 c.7) o che comunque a loro giudizio la pretesa era fondata. Oggi, con una chiara norma che sancisce la nullità, è più facile che l’ufficio riconosca l’errore procedurale. Tuttavia, bisogna essere cauti: l’istanza di autotutela non sospende né proroga i termini per fare ricorso. Dunque, il contribuente farà bene a presentarla, ma senza fare affidamento certo sull’accoglimento. Se l’ufficio annulla l’atto, ottimo (si potrà formalizzare un provvedimento di annullamento che chiude la questione). Se però l’ufficio ignora l’istanza o la rigetta, il contribuente deve comunque aver presentato il ricorso nei termini, altrimenti perde la tutela.
- Ricorso al giudice tributario: è la via principale. Il contribuente impugna l’atto dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) entro 60 giorni dalla notifica. Nel ricorso, oltre agli eventuali motivi di merito, inserirà un motivo dedicato alla violazione dell’art. 6-bis L.212/2000 (o della norma specifica, se per ipotesi era uno studio di settore ante riforma). Nel processo, l’Amministrazione dovrà dimostrare di aver rispettato l’obbligo. In genere lo fa producendo in giudizio l’invito al contraddittorio e magari il verbale di contraddittorio con le memorie del contribuente. Se invece l’ufficio non può provarlo perché proprio non c’è stato contraddittorio, è praticamente certa la soccombenza dell’ente impositore. Il giudice dichiarerà l’atto annullato, sollevando così il contribuente da ogni obbligo tributario in esso contenuto. Va ribadito: a differenza del passato, il giudice non dovrà entrare nel merito per valutare se “avrebbe potuto avere esito diverso” (prova di resistenza), perché il nuovo art. 6-bis implicitamente ha escluso questa verifica. Quindi il contenzioso sarà molto più semplice sul punto.
In caso di esito favorevole, l’Agenzia delle Entrate potrebbe appellare la sentenza di primo grado, ma è difficile che una Commissione Regionale o la Cassazione possano rovesciare una decisione basata su un vizio manifesto come l’omissione di contraddittorio, a meno di errori procedurali del ricorrente. Dunque, il contribuente ha ottime chance di vittoria su questo fronte.
Merita menzione la questione: il vizio di contraddittorio è assoluto o relativo? Come già spiegato, si tratta di annullabilità relativa, da eccepire. Non è un vizio insanabile rilevabile d’ufficio dal giudice oltre i termini. Questo significa che se il contribuente non impugna l’avviso nei termini, l’atto – ancorché viziato – diviene definitivo e dovrà essere pagato. L’omesso contraddittorio non rende l’atto inesistente (che potrebbe ignorarsi) ma semplicemente illegittimo: va quindi impugnato. Nota: alcuni autori sostengono che, essendo il contraddittorio espressione di principi costituzionali, la sua violazione potrebbe configurare una nullità assoluta per difetto di un elemento essenziale del procedimento, quindi rilevabile anche oltre i termini. Tuttavia, questa tesi non ha riscontro normativo esplicito né giurisprudenziale consolidato. È molto più sicuro trattarla come nullità relativa: ergo, mai lasciar decadere i termini di ricorso confidando di sollevare poi in via incidentale il vizio.
Quanto alla tutela cautelare, se il contribuente impugna l’atto per omesso contraddittorio, può anche chiedere la sospensione dell’atto in pendenza di giudizio (qualora debba pagare delle somme). I giudici tributari, ravvisando la probabile fondatezza del ricorso su tale vizio, potrebbero sospendere la riscossione. In ogni caso, dal 2023 gli accertamenti esecutivi non sono più immediatamente riscuotibili decorsi 60 gg, ma solo dopo 180 gg (DL 146/2021), tempo entro il quale spesso l’udienza di sospensiva si tiene.
Contraddittorio nei tributi armonizzati UE: situazione attuale
Un paragrafo dedicato va ai tributi armonizzati (principalmente IVA e dazi doganali): come si inserisce ora il principio del contraddittorio rispetto alla tutela di matrice europea? In passato, come visto, in ambito IVA la giurisprudenza (Cass. SU 2015) aveva riconosciuto un obbligo generalizzato di contraddittorio derivante dal diritto UE. Tale obbligo comportava l’invalidità dell’atto se il contribuente dimostrava in giudizio il concreto pregiudizio subìto. Ora, con l’art. 6-bis, l’obbligo è sancito anche nel diritto interno e senza condizione di prova di resistenza. Quindi, per l’IVA, oggi la tutela è doppia: quella interna e quella UE, perfettamente allineate (anzi, quella interna è persino più favorevole, perché non chiede la dimostrazione del pregiudizio).
Resta fermo che il diritto UE continua ad applicarsi in ogni caso: quindi, a fortiori, se anche non ci fosse stata la riforma, il contribuente IVA avrebbe comunque potuto invocare il diritto UE. Ora è diventato ridondante far riferimento alle sentenze Sopropé, Kamino ecc., perché la legge italiana offre già la soluzione. Ma in via subordinata, uno potrebbe ancora citare in ricorso la violazione del principio unionale del contraddittorio (per rafforzare la propria posizione, specie se l’atto è anteriore al 2024 o in altri contesti analoghi).
Per i dazi doganali, il contraddittorio è addirittura codificato nel Codice Doganale dell’Unione (Reg. UE 952/2013, art. 22.6) che impone all’autorità doganale di notificare al destinatario i motivi che intende porre a base di un atto sfavorevole, concedendo 30 giorni per presentare osservazioni prima di adottare la decisione definitiva. Quindi in dogana il diritto di essere sentiti è garantito e, se violato, la Corte di Giustizia (caso Sopropé e altri) ha più volte invalidato gli atti. La nostra trattazione riguarda l’Agenzia Entrate, ma va detto che anche in ambito doganale (competenza Agenzia Dogane e Monopoli) il contraddittorio è prassi consolidata.
Riflessi penali del contraddittorio (cenni)
Un ultimo aspetto: il contraddittorio endoprocedimentale riguarda il procedimento amministrativo-tributario e non ha effetti diretti sul procedimento penale eventualmente collegato (in caso di reati tributari). In altre parole, se da un accertamento fiscale emerge un reato (es. dichiarazione fraudolenta, omesso versamento IVA, ecc.), l’eventuale vizio di contraddittorio non inficia l’azione penale. Le due vie (tributaria e penale) sono autonome: l’accertamento fiscale nullo può comunque aver svelato un’evasione penalmente rilevante. Sarà compito del giudice penale valutare le prove del reato indipendentemente dall’atto amministrativo.
Tuttavia, c’è una buona notizia per il contribuente: la definizione in sede amministrativa non costituisce ammissione di colpevolezza penale. Ad esempio, se il contribuente chiude un accertamento con adesione pagando le somme, ciò non equivale a confessare un reato fiscale eventualmente connesso. La Cassazione penale (sent. n. 859/2024) ha chiarito che l’adesione è un accordo transattivo sul piano tributario e non implica automatica responsabilità penale. Quindi il contribuente può tranquillamente difendersi in contraddittorio o aderire, senza timore che questo gesto venga usato contro di lui in un processo penale come “prova” di frode. Allo stesso modo, un accertamento annullato per vizi formali in Commissione Tributaria non estingue di per sé il reato (che viene vagliato nel penale), ma chiaramente se l’atto fiscale cade per ragioni sostanziali (assenza di evasione), ciò avrà riflessi anche sul penale perché viene a mancare il fatto illecito.
In definitiva, la sfera penale tributaria resta su un binario autonomo: il diritto al contraddittorio è un istituto proprio del procedimento amministrativo, mentre nel penale valgono le garanzie del processo penale (diritto al silenzio, contraddittorio dibattimentale, ecc.). È comunque confortante notare come il nuovo clima di maggior dialogo preventivo possa anche ridurre l’incidenza di situazioni che degenerano nel penale, grazie alla possibilità per il contribuente di regolarizzare prima e di spiegare eventuali anomalie senza arrivare alla soglia di punibilità.
Simulazioni pratiche
Per meglio comprendere l’impatto concreto del contraddittorio obbligatorio, presentiamo alcune simulazioni pratiche basate su casi tipici:
- Caso 1: Accertamento ordinario vs adesione (dinamica post-riforma) – Rossi S.r.l., azienda di servizi, riceve a maggio 2024 un invito al contraddittorio relativo alla dichiarazione IVA 2023. L’ufficio contesta maggiori ricavi non dichiarati per 50.000€, ricostruiti tramite un’analisi dei corrispettivi e dei movimenti bancari. Rossi S.r.l., assistita dal commercialista, presenta osservazioni scritte entro i 60 giorni, allegando fatture che giustificano parte degli accrediti bancari contestati (erano finanziamenti soci, non ricavi). L’ufficio esamina la documentazione e accoglie parzialmente le difese: dei 50.000€ iniziali, ritiene non provati 30.000€. Procede quindi a notificare un avviso di accertamento per quell’importo residuo, con IVA e sanzioni calcolate sullo scostamento. A questo punto, Rossi S.r.l. valuta insieme al suo consulente l’opportunità di definire la questione con un’adesione. I rilievi rimasti, infatti, appaiono fondati e il rischio di perdere in causa è alto; inoltre l’azienda preferisce evitare una lunga controversia. Viene quindi presentata istanza di accertamento con adesione. Nel confronto di adesione l’ufficio mostra apertura: a fronte di alcune piccole incertezze ancora sul calcolo, propone di ridurre l’imponibile da 30.000€ a 25.000€. Rossi S.r.l. accetta l’accordo, che viene formalizzato con atto di adesione firmato da entrambe le parti. Le imposte e sanzioni (ridotte a 1/3) ammontano in totale a 25.000€, che l’azienda potrà pagare in 8 rate trimestrali come concordato. Con il perfezionamento dell’adesione (pagamento della prima rata), l’avviso originario diviene inefficace e non può più essere impugnato. Esito: Rossi S.r.l. grazie al contraddittorio ha ridotto del 50% il rilievo iniziale (da 50k a 25k) e con l’adesione ha ulteriormente avuto beneficio sulle sanzioni e sui tempi di pagamento. Ha evitato sia un accertamento ingiusto per la parte non dovuta, sia un processo tributario per la parte residua dovuta.
- Caso 2: Accertamento omesso contraddittorio prima della riforma (transitorio) – Bianchi S.p.A., grande azienda industriale, riceve nel marzo 2024 (quindi prima del 30/4/24) un avviso di accertamento per il periodo d’imposta 2019, con cui l’Agenzia delle Entrate rettifica al rialzo i ricavi di vendita sulla base di un controllo a tavolino dei bilanci e delle percentuali di ricarico. L’avviso – emesso il 15/3/2024 – non è stato preceduto da alcun invito o confronto preventivo. Bianchi S.p.A. presenta ricorso alla Commissione Tributaria, eccependo in primis la nullità dell’atto per violazione del contraddittorio endoprocedimentale. Tuttavia, poiché l’atto è anteriore alla vigenza dell’art. 6-bis, la difesa dell’azienda deve basarsi sui principi previgenti: evidenzia che l’accertamento riguarda anche l’IVA (tributo armonizzato) e cita la giurisprudenza UE e nazionale secondo cui l’omesso contraddittorio in ambito IVA comporta nullità se il contribuente prova il pregiudizio. Nel ricorso, Bianchi S.p.A. dettaglia quali elementi avrebbe apportato se fosse stata sentita (ad esempio, avrebbe dimostrato che l’incremento di ricavi era fittizio perché negli anni seguenti c’era stato un calo di mercato, ecc., cose che non ha potuto far presente prima). In udienza, l’Agenzia eccepisce che per i tributi non armonizzati (IRES, IRAP) il contraddittorio non era obbligatorio secondo Cass. SU 2015. La Commissione Tributaria accoglie parzialmente il ricorso: riconosce che per la parte IVA l’omissione del contraddittorio è irregolare, ma – applicando la prova di resistenza – osserva che Bianchi non ha portato abbastanza elementi per ritenere che il contraddittorio avrebbe cambiato l’esito. Inoltre, per IRES/IRAP, segue la Cassazione 2015 negando l’obbligo. Quindi respinge l’eccezione procedurale e passa al merito. In sostanza l’azienda, pur avendo formalmente “ragione” sul principio, non è riuscita a far annullare l’atto, risultando soccombente. Esito: Bianchi S.p.A. dovrà pagare l’accertamento (salvo appello), ma ha quantomeno preso coscienza che in futuro (atti dal 2024 in poi) una situazione del genere non potrà più accadere senza conseguenze. Infatti la sentenza nota come d’ora in avanti ogni atto impugnabile dovrà essere preceduto da invito, pena nullità automatica.
- Caso 3: Sinergia contraddittorio – adesione – autotutela – Verdi SAS, studio professionale, riceve nel 2025 un invito al contraddittorio riguardante i ricavi 2023. L’anomalia è stata segnalata dagli Indici ISA, con punteggio di affidabilità molto basso. L’ufficio ipotizza, in bozza, maggiori compensi non dichiarati per €40.000 basandosi sul fatto che i ricavi di Verdi SAS risultano ben al di sotto della media di settore. Nel frattempo, però, Verdi SAS aveva già ricevuto un avviso di accertamento per il 2023 su un altro fronte (una verifica separata riguardo a costi indeducibili, definita prima della riforma). Nonostante ciò, la società decide di partecipare comunque al contraddittorio sugli ISA: prepara delle controdeduzioni spiegando che il basso ricavo era dovuto a ragioni specifiche (malattia del titolare per diversi mesi, riduzione forzata dell’attività) e allega documentazione medica e contabile a supporto. All’incontro, l’ufficio prende atto di queste giustificazioni concrete e si convince che lo scostamento ISA non è indice di evasione. Inoltre, emerge che l’avviso di accertamento “definitivo” già notificato copre in parte la stessa annualità, quindi insistere su un ulteriore recupero basato solo su dati statistici sarebbe eccessivo. L’ufficio pertanto conclude il contraddittorio con una proposta di adesione “di cortesia”: invita Verdi SAS a sottoscrivere un piccolo accordo integrativo, riconoscendo solo €10.000 di maggior imponibile (in luogo dei 40.000 iniziali) con sanzioni ridotte, così da chiudere ogni pendenza sull’anno. Verdi SAS accetta, firma l’adesione e versa subito un acconto. Esito: grazie al dialogo instaurato, la posizione fiscale 2023 viene definita con un impatto molto inferiore al temuto, ed evitando un lungo contenzioso. Si noti che Verdi SAS non perde alcun diritto in sede penale, qualora teoricamente le maggiori imposte avessero rilievo penale, poiché come detto l’adesione non implica ammissione fraudolenta. In aggiunta, la società – avendo ora sistemato la propria posizione – potrà semmai valutare di presentare istanza di autotutela per far sgravare parzialmente l’altro avviso di accertamento ricevuto, facendo presente che è stato ricalibrato tutto in adesione: questo approccio spesso porta l’ufficio a riconsiderare atti sovrapposti.
Ogni caso concreto ha le sue particolarità, ma il filo conduttore è che il contraddittorio offre un terreno di confronto dove contribuente e fisco possono (idealmente) trovare un equilibrio tra esigenze erariali e diritti del contribuente. L’obbligatorietà elimina l’arbitrarietà: oggi il contribuente sa di avere diritto a quel momento di dialogo. Sta a lui sfruttarlo nel miglior modo possibile.
Domande frequenti (FAQ)
- Cos’è il contraddittorio preventivo e quando è obbligatorio?
Il contraddittorio preventivo è la fase in cui il contribuente può fornire chiarimenti prima che venga emesso un atto di accertamento fiscale definitivo. Dal 2024, è obbligatorio in via generale per tutti gli atti impugnabili dell’Agenzia delle Entrate (avvisi di accertamento, liquidazione, sanzioni, ecc.), a meno che si tratti di atti esclusi per legge (atti automatizzati di mero calcolo, liquidazioni, ecc.) o casi di particolare urgenza motivata. In pratica, ogni qualvolta il Fisco intenda emettere un avviso che il contribuente potrebbe impugnare in giudizio, deve prima attivare il confronto inviando uno schema di atto e attendendo almeno 60 giorni le osservazioni. - L’obbligo di contraddittorio vale anche per l’IVA e gli altri tributi UE?
Sì, vale per tutti i tributi, inclusa l’IVA. Anzi, per l’IVA già prima del 2024 esisteva un principio europeo che imponeva il contraddittorio quale espressione dei diritti di difesa UE. Ora questo principio è recepito integralmente nella legge italiana senza più bisogno della “prova di resistenza”: quindi in ambito IVA un avviso emesso dal 2024 senza contraddittorio è annullabile automaticamente. Lo stesso dicasi per accise e dazi doganali (per i dazi, il Codice UE prevede comunque il diritto di essere sentiti). In breve: tributi armonizzati o no, in Italia dal 2024 il contraddittorio è una regola generale, con poche eccezioni. - Quali sono gli atti esclusi dal contraddittorio?
Le esclusioni sono elencate nel Decreto MEF 24/4/2024. In sintesi, non richiedono contraddittorio preventivo:- gli atti automatizzati o a liquidazione immediata, come le comunicazioni di irregolarità da controlli automatizzati (cd. avvisi bonari ex art.36-bis e 54-bis) e i successivi ruoli/cartelle derivanti;
- gli accertamenti parziali basati su incrocio dati (es. art. 41-bis DPR 600) e atti di recupero di crediti indebitamente compensati;
- vari atti per omessi versamenti di tributi minori (bollo auto, concessioni governative, ecc.) e atti catastali formali;
- gli atti da controllo formale dichiarazione (esito art.36-ter);
- in generale, atti dove c’è pronta liquidazione di importi da dati dichiarati dallo stesso contribuente.
Inoltre è escluso il contraddittorio se l’ufficio motiva un fondato pericolo per la riscossione (urgenza). Attenzione: al di fuori di questi casi, l’obbligo sussiste. Ad esempio, un avviso di accertamento “globale” su imposte dirette non è escluso: va preceduto da contraddittorio.
- Cosa succede se l’Agenzia delle Entrate non mi convoca prima dell’accertamento?
Se ne hai diritto (cioè il tuo caso non rientra nelle esclusioni), la mancata convocazione è un vizio dell’accertamento. Significa che l’atto potrà essere annullato dal giudice se tu, contribuente, lo impugni sollevando la violazione. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’atto emesso senza contraddittorio obbligatorio è annullabile “automaticamente”, senza bisogno di ulteriori dimostrazioni di merito. Però devi attivarti tu: non puoi limitarti a ignorarlo. Dovrai presentare ricorso entro 60 giorni, indicando come motivo la violazione dell’art. 6-bis L.212/2000. In giudizio, l’Agenzia potrebbe provare a difendersi dicendo che il tuo caso rientrava in un’esclusione (esempio: “era un atto parziale da dati incrociati, quindi niente contraddittorio”). Se ciò non è vero o non convincente, il giudice annullerà l’atto. Nota che puoi anche chiedere all’Agenzia stessa di annullare in autotutela (alle volte lo fanno se vedono l’errore), ma per sicurezza presenta comunque ricorso nei termini. - Devo partecipare per forza al contraddittorio? Cosa succede se non rispondo all’invito?
Non c’è un obbligo per te di partecipare, ma è fortemente nel tuo interesse farlo. Se ignori l’invito, l’ufficio dopo 60 giorni potrà emettere l’accertamento definitivo. Non subirai sanzioni aggiuntive per non aver partecipato, però avrai perso un’occasione preziosa per difenderti e magari evitare l’atto. In più, se poi fai ricorso lamentando l’illegittimità dell’accertamento, il fatto di non aver colto la chance di contraddittorio potrebbe indebolire (moralmente) la tua posizione verso il giudice, soprattutto nei casi in cui ancora vale la “prova di resistenza”. Invece, partecipare dimostra buona fede e ti consente di costruire già una base difensiva. Quindi, salvo rarissime situazioni tattiche, rispondi sempre all’invito, anche solo inviando una memoria scritta. - Che differenza c’è tra contraddittorio endoprocedimentale e contraddittorio “in giudizio”?
Sono due momenti diversi. Il contraddittorio endoprocedimentale è quello di cui stiamo parlando: avviene prima dell’atto, tra contribuente e ufficio, in sede amministrativa. Il contraddittorio in giudizio (processuale) è invece il confronto che avviene davanti al giudice tra le parti (contribuente e Agenzia delle Entrate) nel processo tributario. Quest’ultimo è sempre garantito – fa parte del diritto di difesa costituzionale – e si svolge secondo le regole processuali (scambio di memorie, udienza ecc.). Il contraddittorio endoprocedimentale serve semmai a ridurre le possibilità che si debba arrivare al contraddittorio processuale. In sintesi: prima si discute con l’ufficio (fase amministrativa), poi eventualmente col giudice (fase giudiziale). Da non confondere i due piani. - Se in contraddittorio ammetto parzialmente gli addebiti o trovo un accordo, questo può essere usato contro di me?
Sul piano tributario, ammettere delle irregolarità in sede di contraddittorio può semplicemente portare a una definizione concordata (es. accertamento con adesione) e quindi non arriverà alcun contenzioso. Sul piano penale, invece, le tue dichiarazioni rese all’Agenzia non hanno valore di confessione. Ad esempio, se durante l’incontro riconosci un errore contabile e accetti di pagare le imposte evase, quell’ammissione non è automaticamente una confessione valida in tribunale penale. In ogni caso, hai diritto al silenzio in sede penale. Quindi puoi tranquillamente essere franco nel contraddittorio amministrativo per sistemare le cose: se ne deriverà una definizione fiscale, tanto meglio, avrai anche meno esposizione penale (magari pagando scongiuri la soglia di punibilità). La Cassazione penale ha proprio escluso che l’adesione fiscale equivalga ad ammissione di reato. Ovviamente, se temi ripercussioni penali gravi, fatti assistere anche da un avvocato penalista durante il contraddittorio, per calibrare bene cosa dichiarare. - Quanto tempo ho per presentare i documenti e le memorie nel contraddittorio?
La legge impone un termine minimo di 60 giorni dal ricevimento dello schema di atto. Quindi avrai almeno due mesi di tempo. L’ufficio di solito specifica la data esatta entro cui inviare le controdeduzioni. Se ti serve più tempo, puoi chiedere una proroga (motivata dalla complessità magari), e l’ufficio può concederti fino a ulteriori 30 giorni. Durante la pandemia, ad esempio, spesso venivano concessi proroghe. In generale, comunque, cerca di stare entro i 60 giorni o poco più, perché dopo l’ufficio può legittimamente chiudere il procedimento. Nota che se anche tu inviassi qualcosa dopo il 60° giorno, l’ufficio potrebbe valutarlo lo stesso prima di emettere l’avviso (non è vietato), ma non è obbligato a farlo. - Il contraddittorio preventivo si applica anche ai tributi locali (IMU, TARI, ecc.)?
L’art. 6-bis parla di tutti gli atti impugnabili dinanzi alla giurisdizione tributaria, quindi in teoria sì, include anche gli atti degli enti locali (accertamenti IMU/TARI, ecc.). Tuttavia, il DM sulle esclusioni emesso dal MEF menziona solo tributi erariali, lasciando un’area grigia per i tributi locali. Alcuni commentatori ritengono che per i Comuni si debbano applicare gli stessi principi (magari ci sarà un futuro decreto per i locali, o varrà per analogia). Per prudenza, se ricevi un accertamento IMU dopo il 2024 privo di contraddittorio, puoi eccepire la violazione dell’art. 6-bis. Saranno le prime sentenze a chiarire la portata locale. Intanto, alcuni Comuni virtuosi hanno iniziato spontaneamente a inviare avvisi bonari prima degli accertamenti IMU, proprio in ottica di contraddittorio collaborativo. Quindi la tendenza alla partecipazione si sta diffondendo anche lì, benché non ancora codificata in modo espresso come per l’Agenzia Entrate. - Se l’Agenzia motiva un’urgenza e non fa il contraddittorio, posso contestare l’urgenza?
Sì. L’“urgenza” (fondato pericolo per la riscossione) dev’essere reale e motivata. Esempio di urgenza valida: il contribuente sta vendendo tutti i beni e sta per trasferirsi all’estero – l’ufficio lo deve accertare subito se no non recupererà nulla. Esempio di urgenza non valida: l’ufficio si è ridotto all’ultimo e rischia di decadere dai termini – questo è un problema organizzativo interno, non un pericolo causato dal contribuente. Se nell’avviso la motivazione d’urgenza è labile o generica (“per tutelare il credito erariale”) senza spiegare perché 60 giorni avrebbero nociuto, potrai farlo presente al giudice. La giurisprudenza è storicamente severa: l’urgenza deve emergere da circostanze oggettive e dettagliate. Altrimenti, l’atto verrà annullato lo stesso per contraddittorio violato abuso di motivazione d’urgenza. Quindi non prendere per oro colato la dicitura di urgenza: valuta se è fondata. In giudizio, sarà l’ente a dover convincere che quell’urgenza c’era davvero. - Se partecipo al contraddittorio e poi faccio ricorso, posso usare in giudizio quello che ho detto o che ha detto l’ufficio?
Assolutamente sì. Tutto quanto emerge nel contraddittorio fa parte della fase precontenziosa ed è utilizzabile come prova o argomento nel successivo ricorso. Ad esempio, se l’ufficio in contraddittorio ha ammesso uno sbaglio su un rilievo ma poi incredibilmente lo mantiene nell’atto, tu in ricorso lo evidenzierai per minarne la credibilità. Oppure se tu hai fornito un documento che dimostra una certa cosa e l’avviso lo ignora, lo ripresenterai al giudice evidenziando che era stato colpevolmente trascurato. Di solito il verbale di contraddittorio (se c’è) e le memorie difensive presentate sono allegate al ricorso. Anche l’Agenzia spesso allega al proprio fascicolo le tue memorie e la risposta. Il giudice valuterà anche il comportamento tenuto dalle parti in quella fase: un contribuente cooperativo e trasparente spesso risulta più credibile, un ufficio che ha ignorato palesemente argomenti forti viene guardato con sospetto. In sintesi, sì: tutto ciò che hai già prodotto in contraddittorio andrà a far parte del quadro probatorio, e meglio così (il giudice vedrà che non è roba nuova tirata fuori tardi, ma che era stata già portata all’attenzione dell’ufficio).
Conclusione
Il contraddittorio preventivo è ormai un elemento strutturale del procedimento di accertamento fiscale in Italia. Da facoltà limitata è divenuto un diritto fondamentale del contribuente, la cui assenza può cambiare l’esito di un accertamento. Siamo passati da un sistema in cui il confronto era spesso una concessione “a discrezione”, a un sistema in cui è la regola: il Fisco, salvo eccezioni marginali, deve dialogare con il contribuente prima di batter cassa in via autoritativa. Ciò rappresenta una vittoria della cultura giuridica della cooperazione e un passo verso un rapporto Fisco-contribuente più equilibrato e meno conflittuale.
Per i contribuenti-debitori, questo significa più garanzie ma anche più responsabilità: avere voce in capitolo prima vuol dire dover usare quella voce nel modo più efficace. Ignorare le comunicazioni o procrastinare la difesa non è mai stato consigliabile, e ancor meno lo è oggi. Con una buona assistenza professionale e un atteggiamento collaborativo ma fermo sui propri diritti, il contraddittorio preventivo può davvero fare la differenza tra un esito fiscalmente sostenibile e una pretesa insostenibile.
In caso di errore o arroganza da parte dell’Amministrazione, il contribuente ha ora le armi per difendersi: può far annullare l’atto viziato, ottenere giustizia e anche – auspicabilmente – recuperare il rapporto con il Fisco su basi di maggiore rispetto reciproco. D’altronde, come dice un antico adagio giuridico, “audiatur et altera pars” – sia ascoltata anche l’altra parte: finalmente questo principio risuona forte anche nel campo degli accertamenti tributari.
Fonti e riferimenti normativi
- Statuto dei diritti del contribuente – L. 212/2000, art. 6-bis (introdotto da D.Lgs. 219/2023) – Obbligo generalizzato di contraddittorio preventivo.
- D.Lgs. 30 dicembre 2023 n. 219, in vigore dal 18/01/2024 – Riforma fiscale 2023, modifica art. 6 Statuto contrib..
- D.M. MEF 24 aprile 2024 (G.U. 30/4/2024 n.100) – Individuazione degli atti automatizzati, di liquidazione e controllo formale esclusi dall’obbligo di contraddittorio.
- Statuto contribuente previgente – art. 12, c.7 L. 212/2000 (abrogato 2023) – Termine 60 giorni post-PVC per osservazioni, urgenza.
- Corte Costituzionale, sent. 21/03/2023 n. 47 – Sollecito al legislatore per estendere il contraddittorio a tutti gli accertamenti; inammissibilità per lacuna normativa.
- Cassazione SS.UU. 9/12/2015 n. 24823 – Contraddittorio: non obbligatorio in generale per tributi non armonizzati; obbligatorio per IVA con prova di resistenza.
- Cassazione SS.UU. 25/03/2024 n. 7966 – Decorrenza obbligo contraddittorio dal 18/1/2024; atti ante riforma soggetti a vecchio regime.
- Cass. (ord.) 9/04/2024 n. 9554 – Studi di settore: accertamento nullo se basato solo sugli studi senza contraddittorio.
- Cass. 19/06/2024 n. 16873 – Accertamento a tavolino IVA: contraddittorio soddisfatto anche con scambio di comunicazioni (richiesta documenti).
- Cass. 5/12/2019 n. 31814 e 5/11/2020 n. 28400 – Obbligo di contraddittorio nei soli accert. da studi settore puri; non se integrati da altri elementi.
- Cass. 10/01/2024 n. 859 (Penale, Sez. III) – Accertamento con adesione in campo tributario non equivale a confessione ai fini penali.
- CGUE 18/12/2008, causa C-349/07 (Sopropé) – Diritto di essere ascoltati prima di un provvedimento lesivo in materia doganale (principio generale UE).
- CGUE 3/07/2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13 (Kamino – Datema) – Necessaria verifica dell’influenza del contraddittorio omesso sull’esito del procedimento (prova di resistenza) in ambito UE.
- Agenzia Entrate, circolare n. 17/E del 2016 – Chiarimenti su contraddittorio: obblighi limitati ai casi previsti, principio collaborazione ex art.10 Statuto (pre-riforma, contesto superato).
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