Accertamento Fiscale A Lavanderia: Cosa Fare Per Difendersi

Hai ricevuto un accertamento fiscale per la tua lavanderia e non sai come reagire? Ti contestano ricavi non dichiarati, margini ritenuti troppo bassi, incongruenze nei corrispettivi o tra acquisti e vendite?

Le lavanderie – tradizionali, self-service o industriali – sono spesso oggetto di accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, soprattutto quando dichiarano volumi d’affari considerati “sotto media”. Ma non tutti gli accertamenti sono fondati: puoi difenderti e dimostrare la correttezza della tua gestione.

Perché il Fisco controlla le lavanderie?
Gli accertamenti possono nascere da:
– Scostamenti dai parametri ISA o punteggi bassi
– Ricavi ritenuti troppo bassi rispetto ai costi fissi (utenze, affitti, personale)
– Incrocio tra acquisti di prodotti chimici e volumi dichiarati
– Anomalie nei corrispettivi trasmessi telematicamente
– Segnalazioni o controlli incrociati con clienti, fornitori o dati bancari

Cosa può contestare l’Agenzia delle Entrate a una lavanderia?
– Ricavi non dichiarati ricostruiti in via presuntiva
– Incongruenze tra costi sostenuti e volumi dichiarati
– Omessa o infedele registrazione dei corrispettivi
– Utilizzo improprio del registratore di cassa
– Presunta attività in nero, specie per clienti non registrati o pagamenti in contanti

Quando l’accertamento può essere illegittimo o contestabile?
– Se si basa solo su presunzioni astratte o medie di settore
– Se non è stato rispettato il contraddittorio preventivo
– Se la contabilità è corretta ma ignorata dal Fisco
– Se non si tiene conto di eventi straordinari (es. lavori, guasti, stagionalità)
– Se il calcolo dei ricavi è errato o fondato su dati incompleti

Come puoi difenderti da un accertamento fiscale alla lavanderia?
Controlla il contenuto dell’avviso e accedi alla documentazione utilizzata dall’Agenzia. Verifica la correttezza dei corrispettivi registrati, la coerenza tra acquisti e lavaggi effettuati, l’uso del registratore di cassa, la documentazione bancaria e la gestione del personale. Ricostruisci l’attività reale, tenendo conto di macchinari, ore di funzionamento, clientela, scarti e lavorazioni interne. Partecipa al contraddittorio e presenta una memoria difensiva dettagliata. Se l’accertamento è infondato, puoi presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria.

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace?
– L’annullamento totale o parziale dell’accertamento
– La riduzione delle somme richieste e delle sanzioni
– La tutela della tua lavanderia da blocchi e iscrizioni a ruolo
– La possibilità di definire la posizione in modo agevolato
– La protezione della tua reputazione e della continuità operativa

La gestione di una lavanderia è complessa e soggetta a variabili tecniche ed economiche che il Fisco spesso ignora. Un accertamento presuntivo non può sostituire la realtà documentata.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati tributaristi esperti in accertamenti su attività artigianali e di servizio ti spiega come contestare un accertamento fiscale a lavanderie tradizionali o self-service, quali errori può fare il Fisco e cosa fare per difendere la tua attività.

Hai ricevuto un accertamento fiscale per la tua lavanderia?
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Introduzione

Le lavanderie, sia quelle tradizionali (tintorie e lavanderie di piccole dimensioni, spesso a gestione familiare) sia quelle self-service a gettoni, possono essere oggetto di accertamenti fiscali mirati. L’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza prestano particolare attenzione a questo settore, in cui non di rado viene contestata una sottofatturazione dei ricavi o la mancata emissione di scontrini e ricevute fiscali. Infatti, le lavanderie presentano caratteristiche (uso intensivo di contanti, consumi rilevanti di acqua ed energia, stagionalità dei lavori) che possono portare a incongruenze tra i dati dichiarati e quelli attesi in base a indici di settore.

Negli ultimi anni il fenomeno delle lavanderie self-service a gettone è cresciuto notevolmente. Queste attività non sono tenute all’emissione dello scontrino fiscale e devono memorizzare e trasmettere telematicamente i corrispettivi dei distributori automatici, rendendo teoricamente più difficile l’evasione. Tuttavia, in fase di controllo l’Amministrazione finanziaria può comunque ricostruire i ricavi presunti di una lavanderia self-service confrontando, ad esempio, i consumi di acqua o di energia elettrica con gli incassi dichiarati. Allo stesso modo, per le lavanderie tradizionali che offrono servizi di lavaggio e stiratura con ritiro e consegna, i verificatori possono utilizzare metodi induttivi basati su indicatori come il numero di capi lavati (in chilogrammi), la quantità di detersivi acquistati, il numero di clienti serviti in base ai ticket o ai coupon emessi, ecc..

Affrontare un accertamento fiscale per una lavanderia richiede quindi preparazione e conoscenza sia della normativa tributaria italiana sia delle strategie difensive disponibili. Occorre distinguere le diverse tipologie di accertamento che il Fisco può adottare, conoscere i mezzi di difesa stragiudiziale (cioè le soluzioni da percorrere prima e al fine di evitare il contenzioso) e le forme di tutela in contenzioso tributario, senza dimenticare i precedenti giurisprudenziali più rilevanti in materia. In questa guida, aggiornata a luglio 2025, forniremo un quadro avanzato – ma con linguaggio chiaro e divulgativo – di ciò che un titolare di lavanderia (o il suo consulente legale) deve sapere per difendersi efficacemente da un accertamento fiscale, dal punto di vista del contribuente (debitore). Troverete inoltre domande e risposte frequenti, tabelle riepilogative dei punti chiave e alcune simulazioni pratiche di casi reali riferiti al contesto italiano. Le fonti normative e le sentenze aggiornate citate sono raccolte in fondo alla guida, per consentire ulteriori approfondimenti.

Il contesto del settore lavanderie e i controlli fiscali mirati

Le attività di lavanderia e tintoria presentano una grande varietà di forme: si va dalle lavanderie industriali di grandi dimensioni (20-25 addetti, spesso operanti in appalto per enti pubblici, ospedali, alberghi) alle piccole lavanderie cittadine a conduzione familiare. Negli ultimi anni si sono diffuse anche catene in franchising e soprattutto le lavanderie automatiche self-service, dove il cliente utilizza direttamente le macchine a gettone. Ciascuna tipologia ha un diverso profilo di rischio fiscale:

  • Lavanderie industriali: operando quasi esclusivamente con clientela business (aziende, enti) e con contratti formalizzati, è più difficile occultare i ricavi, poiché i clienti esigono fattura per i servizi resi. Il controllo fiscale qui può concentrarsi su aspetti come l’utilizzo di agevolazioni (es. crediti d’imposta per beni strumentali) e la corretta fatturazione di tutte le commesse. Ad esempio, in un caso del 2017 la Cassazione ha confermato il diritto di una lavanderia industriale ad un credito d’imposta per beni nuovi, poiché la biancheria da essa acquistata e noleggiata ai clienti doveva considerarsi un bene strumentale ammortizzabile (quindi agevolabile) in quanto soggetto a progressivo deterioramento.
  • Piccole lavanderie tradizionali (lavaggio e stiratura): rappresentano la maggioranza in Italia e spesso sono imprese familiari con 1-2 addetti oltre al titolare. In questi casi il rischio principale individuato dal Fisco è la sotto-dichiarazione dei ricavi, ossia l’esercizio di parte dell’attività “in nero” senza emissione di scontrini o ricevute. Tali lavanderie lavorano sia con privati sia con piccole attività (es. ristoranti per tovaglie, palestre per asciugamani, ecc.): il mix di incassi in contanti e movimenti senza tracciatura elettronica può indurre a nascondere imponibili. I controlli in questi casi mirano a verificare la contabilità e ad individuare incongruenze attraverso parametri indiretti (consumi, acquisti di materiali, volume di biancheria trattata).
  • Lavanderie a gettone (self-service): queste attività, se prive di personale addetto alle operazioni di lavaggio, non hanno obbligo di emettere scontrino fiscale al cliente finale. Ciò però non significa assenza di controllo: le norme attuali prevedono che ogni apparecchio automatico venga censito e dotato di dispositivi per la memorizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi. In pratica, il gettoniere o la cassa centralizzata deve registrare gli importi incassati e inviare i dati all’Agenzia delle Entrate. Dal 1° aprile 2017 vige infatti l’obbligo di invio telematico dei corrispettivi per i distributori automatici, regime esteso a tutti gli esercenti dal 1° gennaio 2020. Questo riduce la possibilità di evasione, ma non la elimina del tutto: un gestore potrebbe manomettere i contatori o omettere di dichiarare parte degli incassi in assenza di controlli incrociati. Gli accertamenti fiscali sulle lavanderie self-service puntano quindi a confrontare i dati dichiarati con i consumi di utenze (acqua, elettricità), ipotizzando un certo numero di lavaggi per ogni kWh o metro cubo d’acqua consumato. Ad esempio, la Cassazione ha ritenuto legittimo un accertamento induttivo basato proprio sui consumi elettrici anomali di una lavanderia/tintoria, affermando che è “assolutamente normale” presumere maggiori ricavi non dichiarati se l’energia utilizzata è incompatibile con il fatturato noto. In tal caso, secondo la Suprema Corte, il Fisco può addirittura avvalersi di presunzioni semplicissime (prive dei consueti requisiti di gravità, precisione e concordanza) che spostano l’onere della prova a carico del contribuente, il quale dovrà dimostrare che il reddito reale è inferiore a quello accertato.

Va evidenziato che le metodologie di controllo basate su indicatori tecnici (consumi, acquisti di materiali, ecc.) non sempre portano a risultati accurati. In diversi casi, i contribuenti sono riusciti a far annullare gli accertamenti dimostrando che le presunzioni utilizzate dal Fisco erano eccessive o irrealistiche. Ad esempio, i parametri standard (come i chilogrammi di biancheria lavata all’anno per addetto) possono non tenere conto di variabili come la stagionalità del lavoro (periodi di picco nei cambi di stagione seguiti da mesi di bassa attività) o situazioni eccezionali (calo di commesse per perdita di un grande cliente, guasti prolungati ai macchinari, lavori straordinari non remunerativi, ecc.). Pertanto, ogni qualvolta l’Agenzia delle Entrate basi la propria pretesa su dati presuntivi, il contribuente ha diritto di contestarli e di fornire prova contraria con ogni mezzo, ad esempio producendo dati tecnici, perizie o testimonianze che dimostrino un consumo anomalo dovuto a cause diverse dai ricavi (malfunzionamenti, dispersioni, uso privato, ecc.). Si tratta di un principio generale affermato anche dalla Cassazione: le risultanze dei contatori o di altri indicatori non costituiscono di per sé prova assoluta, ma solo indizi che possono essere confutati dall’utente tramite adeguate giustificazioni.

Riassumendo, le lavanderie rientrano tra le attività economiche monitorate con attenzione dal Fisco. I segnali che possono far scattare un accertamento includono: incongruenze rispetto agli indici di settore o ai punteggi ISA (Indicatori Sintetici di Affidabilità), incrementi patrimoniali del titolare non giustificati dai redditi dichiarati, segnalazioni della Guardia di Finanza (ad es. durante controlli sul territorio), anomalie nei versamenti IVA o nei conti bancari, ecc. Nel prossimo paragrafo analizzeremo le diverse tipologie di accertamento fiscale che possono essere adottate nei confronti di una lavanderia, poiché la strategia difensiva varia a seconda del tipo di atto impositivo emesso.

Tipologie di accertamento fiscale applicabili alle lavanderie

In Italia gli accertamenti tributari si classificano in varie tipologie, a seconda del metodo e dei presupposti utilizzati dall’Amministrazione finanziaria. Comprendere la natura dell’accertamento subito è fondamentale per individuare le possibili difese. Di seguito esaminiamo le principali tipologie rilevanti per il caso di una lavanderia, evidenziandone le caratteristiche giuridiche (con riferimenti normativi) e le modalità di contestazione.

Accertamento analitico e analitico-induttivo

L’accertamento analitico puro si ha quando l’Ufficio rettifica puntualmente i redditi o l’IVA del contribuente sulla base di dati certi emersi dal controllo: ad esempio, scopre fatture attive non contabilizzate, ricavi in nero documentati da doppie ricevute, o costi fittizi dedotti indebitamente. In questi casi l’atto impositivo contesterà specifici elementi (maggiori ricavi per X euro, costi indeducibili per Y euro, ecc.), basandosi su prove dirette (documenti, movimenti bancari, etc.). L’accertamento analitico trova fondamento nell’art. 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. 600/1973, che consente di rettificare la dichiarazione se dai controlli risultano “l’incompletezza, falsità o inesattezza” di elementi dichiarati. Nel caso di una lavanderia, un esempio potrebbe essere il riscontro di versamenti su conto corrente non giustificati da vendite fatturate: l’Ufficio può presumere che siano incassi non dichiarati e riprenderli a tassazione (in base all’art. 32 del D.P.R. 600/1973, i movimenti bancari non spiegati si presumono ricavi imponibili). Il contribuente può difendersi in questi casi fornendo prova contraria (ad es., dimostrando che un versamento era un finanziamento soci, o che un prelievo serviva a pagare fornitori in contanti, ecc.), essendo quelle bancarie presunzioni legali relative a suo sfavore. I vizi contestabili nell’accertamento analitico riguardano soprattutto la motivazione (se l’atto non spiega chiaramente gli elementi rettificati) o eventuali errori di fatto (scambiare una fattura già dichiarata per omessa, ecc.).

Più comune nel settore è l’accertamento analitico-induttivo (detto anche accertamento misto). Esso avviene quando la contabilità dell’azienda è formalmente tenuta, ma presenta indizi di inattendibilità tali da far presumere che non rifletta compiutamente la realtà. In tal caso l’Ufficio, pur senza gettare interamente le scritture contabili, può determinare il reddito rideterminando alcune voci per via presuntiva. La base normativa è ancora l’art. 39, comma 1, lett. d) D.P.R. 600/1973, che autorizza il Fisco a utilizzare presunzioni semplici (relative) purché gravi, precise e concordanti per desumere l’esistenza di maggiori attività non dichiarate. In sostanza, l’ufficio parte da fatti certi riscontrati (es.: margini di ricarico anormalmente bassi rispetto alla media di settore, differenze tra consumi e ricavi, percentuale di scarti anomala, comportamenti antieconomici) e sulla base di tali indizi ricostruisce il reddito effettivo presunto. Per esempio, se una lavanderia dichiara di aver lavato 10.000 kg di biancheria in un anno ma acquista detersivi per quantità compatibile con 20.000 kg, l’ufficio potrebbe ritenere sotto-dichiarati i ricavi e ricostruirli proporzionalmente. Oppure, se dal bilancio emerge un ricarico medio del 5% sui costi, a fronte di una media di settore del 30%, l’ufficio può presumere che parte dei ricavi non siano stati contabilizzati e rettificare imponendo un ricarico più congruo, salvo prova contraria del contribuente. La giurisprudenza ha chiarito che una rettifica analitico-induttiva è legittima solo se l’ufficio personalizza i parametri presuntivi alla situazione concreta e prende atto (motivando) delle spiegazioni difensive del contribuente, eventualmente rigettandole se incoerenti. Il contribuente infatti ha sempre diritto di replicare durante il procedimento e in giudizio, ad esempio sostenendo che il ricarico basso era dovuto a prezzi promozionali o che i consumi elevati erano causati da inefficienze e non da ricavi occulti. Se le presunzioni poste a base dell’atto risultano fondate su altri indizi presuntivi (es.: “doppia presunzione” non supportata da un fatto certo), l’accertamento deve essere annullato per difetto di presupposto. In altre parole, non si può basare un aumento di reddito su una concatenazione di ipotesi non verificate (ad es., “pochi ricavi ⇒ forse molti lavaggi non fatturati ⇒ quindi tot reddito in più”: manca un anello concreto). Nei casi di accertamenti da studi di settore, la Cassazione ha spesso ribadito che il mero scostamento dai risultati standard non costituisce di per sé prova sufficiente di maggior reddito: serve invece un ragionamento complesso che consideri anche l’inefficacia delle giustificazioni fornite dal contribuente. Se l’ufficio si limita a rilevare lo scostamento numerico senza considerare le specificità del contribuente, l’atto può essere annullato in giudizio per carenza di motivazione e di prova. Ad esempio, una Commissione Tributaria Regionale ha annullato l’accertamento ad una lavanderia fondato unicamente sul risultato degli studi di settore, accogliendo la tesi che la contribuente versava in un periodo di crisi economica particolare non considerato dallo studio standard.

Onere della prova – Negli accertamenti analitico-induttivi grava inizialmente sul Fisco la dimostrazione che la contabilità presenta anomalie tali da renderla inattendibile nel suo complesso. Se tale onere viene assolto attraverso presunzioni serie (ad esempio margini palesemente incompatibili con il mercato), si verifica un’inversione dell’onere probatorio: spetterà al contribuente dimostrare l’assenza di ricavi occulti. È importante sottolineare che le presunzioni utilizzate dall’ufficio restano comunque “relative” (iuris tantum), ossia ammettono prova contraria. Ciò significa che il contribuente, anche in sede processuale, può contestare il metodo ricostruttivo e presentare dati alternativi o spiegazioni idonee a far ritenere inattendibili gli indizi del Fisco. Ad esempio, se l’Agenzia ricostruisce maggiori ricavi basandosi sul consumo di energia elettrica, la difesa potrà provare che le bollette utilizzate erano stimate e non a conguaglio (quindi non rappresentative del consumo reale): proprio una situazione del genere ha portato la Cassazione a dichiarare illegittimo un accertamento ad un esercente (parrucchiere) che aveva basato il maggior reddito su bollette elettriche “provvisorie” poi smentite dalle letture effettive del contatore. In quella pronuncia (Cass. n. 2480/2010) la Corte ha ritenuto i dati reali del contatore certamente più attendibili di stime ipotetiche, dando ragione al contribuente.

Accertamento induttivo “puro” (ex art. 39, c.2, DPR 600/73)

L’accertamento induttivo puro è lo strumento più drastico, utilizzato dall’ufficio quando i libri contabili risultano complessivamente inaffidabili o il contribuente non ha presentato la dichiarazione. In tali ipotesi (disciplinate dall’art. 39, comma 2 del DPR 600/1973) l’Amministrazione finanziaria può prescindere interamente dalle risultanze contabili e determinare il reddito d’impresa sulla base di qualsiasi dato o notizia disponibile, avvalendosi anche di presunzioni semplici non assistite dai requisiti di gravità, precisione e concordanza. È quindi consentito l’uso di indizi anche isolati o “supersemplici” (es. uno scostamento minimo ma comunque significativo, vedi infra) per formulare la pretesa, posto che la contabilità è considerata inutilizzabile. Questo tipo di accertamento si verifica ad esempio se la lavanderia occulta del tutto delle vendite (doppi scontrini, doppia cassa) e viene scoperto, oppure se la contabilità è talmente irregolare (omesse registrazioni, documenti falsi) da non offrire alcuna garanzia. Anche la mancata risposta a questionari o inviti a esibire documenti può condurre a un accertamento induttivo extrabilancio, così come l’omessa dichiarazione annuale dei redditi. In una situazione del genere, la difesa del contribuente è particolarmente difficile: la legge infatti consente al Fisco di usare qualsiasi fonte informativa (dati di altre aziende simili, consumi medi, studi di settore, perfino semplici indici statistici) e il contribuente dovrà poi contestare in giudizio l’eventuale infondatezza o irragionevolezza della ricostruzione operata. Un esempio giurisprudenziale significativo risale al caso di una tintoria in cui la Cassazione ha avallato l’accertamento induttivo basato sui consumi elettrici, definendo legittimo per l’Ufficio procedere mediante presunzioni “supersemplici” data la scarsa affidabilità della contabilità esibita. In quell’occasione (Cass. n. 20897/2014) la Corte ha sottolineato che l’ufficio può utilizzare “qualsiasi elemento probatorio” e che, rilevata l’inattendibilità sostanziale delle scritture, scatta un’inversione dell’onere della prova: sarà la titolare della ditta a dover fornire elementi contrari per dimostrare che il reddito non è quello accertato. Nel caso concreto la contribuente non era riuscita a giustificare lo scostamento dagli studi di settore né a fornire dati contrari, per cui l’accertamento induttivo è stato ritenuto valido.

Da notare che, anche in sede di accertamento induttivo puro, la Cassazione riconosce al contribuente alcune tutele aggiuntive. In particolare, con recentissima ordinanza n. 19574 del 15 luglio 2025, la Suprema Corte ha stabilito che anche in presenza di ricostruzioni induttive l’azienda ha diritto a vedersi riconosciuti forfettariamente i costi correlati ai maggiori ricavi presunti. In altri termini, non è corretto tassare come reddito l’intero importo dei ricavi non dichiarati senza considerare che per realizzarli il contribuente avrà sostenuto dei costi (materie prime, utenze, manodopera). Già in passato era pacifico che negli accertamenti induttivi puri il Fisco dovesse applicare coefficienti di redditività o dedurre una quota di costi presunti, mentre vi era incertezza se ciò valesse anche per gli accertamenti analitico-induttivi (dove formalmente la contabilità esiste). Con la decisione del 2025, la Cassazione ha affermato un principio di equità sostanziale: in ogni accertamento induttivo (anche misto), il contribuente-imprenditore può esigere la detrazione di una percentuale forfettaria di costi dai maggiori ricavi accertati. Questa pronuncia è un importante “bilanciamento delle presunzioni” a favore del contribuente, perché evita che ricostruzioni ipotetiche lo penalizzino oltre il dovuto: riconoscendo un reddito imponibile più realistico (ricavi meno costi), si aderisce maggiormente al concetto di “giusto imponibile” e si invita l’amministrazione a non usare le presunzioni in modo aprioristicamente sfavorevole. Di conseguenza, in sede di difesa il legale di una lavanderia dovrà sempre valutare se l’ufficio abbia considerato un utile d’impresa congruo: se, ad esempio, vengono presunti 50.000 € di incassi non dichiarati ma la lavanderia ha costi variabili intorno al 60%, allora solo 20.000 € sarebbero il margine teorico tassabile. Insistere su questo aspetto (suffragato ora da giurisprudenza di legittimità) può portare a una riduzione significativa della pretesa.

Accertamenti da “studi di settore” e ISA

Una particolare forma di accertamento induttivo – molto utilizzata in passato per le piccole imprese – era quella basata sugli Studi di Settore (introdotti negli anni ’90, art. 62-bis D.L. 331/1993, poi evoluti nei cosiddetti ISA, Indici Sintetici di Affidabilità, dal 2019). In sostanza l’amministrazione confronta i dati dichiarati dal contribuente (ricavi, margini, ecc.) con un profilo standard del settore di appartenenza, costruito su medie statistiche. Se risulta una grave incongruenza (ad esempio il soggetto dichiara molto meno del livello atteso per imprese simili per dimensione e area geografica), ciò viene considerato un indice di evasione. Fino a qualche anno fa, un forte scostamento dagli studi di settore poteva da solo giustificare l’emissione di un accertamento analitico-induttivo, a condizione che il contribuente fosse stato preventivamente invitato al contraddittorio e non avesse fornito spiegazioni convincenti. La giurisprudenza tuttavia ha precisato che il risultato dello studio costituisce solo una presunzione semplice: se il contribuente, in sede di contraddittorio, giustifica lo scostamento con elementi concreti (crisi di mercato, chiusura temporanea, costi maggiorati, errori di calcolo nello studio, etc.), l’ufficio non può ignorarli e basare l’atto solo sul dato standard. Anche in giudizio, il semplice “scostamento numerico” non è considerato prova sufficiente: come notato, serve un insieme di elementi e un iter logico rigoroso perché la presunzione settoriale assuma validità. La Cassazione (sent. n. 10952/2020) ha escluso che la soglia del 15% introdotta dal legislatore (per la definizione di incongruenze gravi) possa essere meccanicamente applicata; piuttosto, occorre valutare il contesto e l’entità assoluta dello scostamento, specie per imprese di maggiori dimensioni in cui anche differenze percentuali minime equivalgono a somme ingenti.

Nel settore delle lavanderie, esisteva uno Studio di Settore specifico (identificato da un codice, ora superato dagli ISA). Ad esempio, l’ufficio poteva stimare che una lavanderia di 2 addetti, con tot consumi e tot metri quadrati, dovesse dichiarare almeno 80.000 € annui; se il contribuente ne dichiarava 50.000, scattava un’anomalia. Oggi gli ISA funzionano come indicatori di affidabilità su una scala da 1 a 10: un punteggio basso può far presumere incoerenza fiscale e portare a selezione per controlli. Tuttavia, la normativa attuale non consente più accertamenti automatici da ISA, ma solo l’utilizzo di questi indici per orientare le verifiche. Inoltre, è stato reso obbligatorio il contraddittorio preventivo (vedi oltre) proprio per garantire che il contribuente possa far valere le proprie ragioni prima che venga emesso un avviso fondato su standard. Una lavanderia potrebbe ad esempio spiegare di aver avuto macchinari guasti per vari mesi, o di aver scontato crediti insoluti da parte di clienti (come accaduto nel caso reale di una lavanderia sarda che perse la sua principale commessa da una ASL insolvente). Tali elementi – se documentati – devono necessariamente far ridimensionare o annullare la pretesa basata sullo studio di settore, come riconosciuto dalla Commissione Tributaria Regionale in quel caso.

In sintesi: dal 2020 in poi gli accertamenti basati esclusivamente su scostamenti da studi di settore/ISA sono meno frequenti e comunque devono essere supportati da ulteriori elementi. Restano però possibili come accertamenti di tipo analitico-induttivo (art. 39, c.1, lett.d) se l’ufficio dimostra incongruenze gravi e il contribuente non le giustifica. La difesa consisterà nel dimostrare la specificità della propria situazione rispetto al modello standard, ad esempio evidenziando costi fissi elevati che riducono la redditività, cicli di lavaggio più costosi (capo grandi, tappeti) che però non rendono di più in termini di prezzo, concorrenza locale aggressiva che impone prezzi più bassi, errori nei dati dell’ISA (magari perché l’algoritmo non considerava una voce). Ogni elemento che individualizza la posizione fiscale aiuta a indebolire la valenza della media statistica, trasformandola in un semplice indizio isolato (dunque insufficiente).

Accertamento sintetico del reddito (redditometro)

Per completezza, va citato anche l’accertamento sintetico (ex art. 38, comma 4 e segg., DPR 600/1973), sebbene riguardi la persona fisica e non l’azienda direttamente. Questo metodo, noto come redditometro, consente al Fisco di determinare il reddito complessivo delle persone fisiche in base alle spese sostenute e al tenore di vita, prescindendo dai redditi dichiarati. Un titolare di lavanderia potrebbe subirlo se dichiara, ad esempio, un reddito personale esiguo (es. €10.000 annui) ma risulta acquistare auto di lusso, immobili o sostenere spese sproporzionate. L’ufficio può presumere un reddito almeno pari a tali capacità di spesa e tassarlo in capo all’imprenditore. Si tratta di uno strumento diverso dall’accertamento d’impresa: in pratica, il redditometro “colpisce” l’evasore attraverso gli effetti visibili della sua ricchezza. Anche in questo caso è previsto obbligatoriamente il contraddittorio: il contribuente può giustificare le spese con redditi esclusi da imposizione o risparmi accumulati, ecc. (ad esempio: la casa di lusso l’ho pagata con eredità, l’auto con risparmi di anni precedenti, ecc.). Il redditometro, aggiornato per l’ultima volta col D.M. 16/9/2015 (valido fino al periodo d’imposta 2015), è stato oggetto di dibattito e parziale sospensione in attesa di nuovi decreti (non ancora emanati al luglio 2025). Dunque è meno probabile oggi vedere un accertamento sintetico puro. Ciò non toglie che elementi patrimoniali del titolare possano entrare indirettamente nel quadro probatorio di un accertamento sul suo negozio: ad esempio, se il piccolo imprenditore accumula beni in misura incompatibile coi redditi dichiarati dalla lavanderia, l’ufficio potrebbe farne menzione per rafforzare la presunzione di ricavi in nero (o attivare verifiche parallele).

Tabella riepilogativa – Tipologie di accertamento e caratteristiche principali:

TipologiaNorma baseQuando si applicaMezzi probatoriDifesa del contribuente
Analitico (puntuale)Art. 39, c.1 DPR 600/73Elementi certi di redditi non dichiarati o costi indebitiProve dirette (documenti, conti, fatture non registrate)Contestare errori fattuali; giustificare movimenti bancari; contestare vizi formali (notifica, motivazione)
Analitico-induttivo (misto)Art. 39, c.1 lett. d) DPR 600/73Contabilità formalmente regolare ma con indizi di inattendibilità (ricavi troppo bassi, margini irrisori, consumi incoerenti, ecc.)Presunzioni semplici gravi, precise e concordanti fondate su fatti certi (dati contabili anomali, indagini finanziarie, indicatori tecnici)Fornire prova contraria sugli indizi (spiegazioni economiche, documentazione di supporto); evidenziare elementi ignorati dall’ufficio; contestare la logica della ricostruzione e la mancata considerazione delle osservazioni; far valere eventuale mancato contraddittorio obbligatorio.
Induttivo puro (extracontabile)Art. 39, c.2 DPR 600/73Contabilità totalmente inattendibile o omessa; omessa dichiarazione; gravi inadempienze contabili (scritture non tenute)Presunzioni anche non gravi/precise; dati raccolti comunque (anche anonimi o medi). L’ufficio può ignorare i libri esistenti e determinare il reddito con criteri liberi (coefficienti, comparazioni)Contestare in giudizio l’eccesso di potere se la ricostruzione è palesemente irragionevole o smentita da fatti; richiedere il riconoscimento di costi forfettari sui maggiori ricavi (principio Cass. 19574/2025); verificare il rispetto di garanzie procedurali (tempistiche, verbalizzazioni).
Da studi di settore/ISAArt. 39, c.1 lett. d) e DL 331/93 (vecchi studi) – Indici ISA (dal 2019)Incongruenze significative tra dichiarato e livello atteso dal modello statistico (es. punteggio ISA molto basso o “non affidabile”)Presunzioni semplici basate su modelli economici standard. Necessario contraddittorio preventivo. Ulteriori elementi richiesti per fondare l’accertamento (non basta scostamento ex se).Nel contraddittorio: documentare cause specifiche dello scostamento (crisi, eventi straordinari, errori modello). In giudizio: eccepire l’assenza di prova se l’atto si fonda solo sullo studio; citare precedenti favorevoli (Cass. 10952/2020, 18767/2020) sulla insufficienza del solo scostamento; evidenziare violazioni del contraddittorio (se omesso, per atti ante-2024 provare la potenziale rilevanza delle proprie difese).
Sintetico (redditometro)Art. 38, cc.4-7 DPR 600/73Persona fisica con spese manifestamente superiori al reddito dichiarato (oltre 20% su base biennale, regole D.Lgs. 78/2010)Presunzioni legali relative basate su indicatori di spesa per beni (auto, immobili, polizze, etc.). Necessario invito a giustificare differenze.Provare che le spese sono finanziate da redditi esenti o risparmi pregressi; se usato indirettamente per l’azienda, contestare la pertinenza (non confondere patrimonio personale con ricavi d’impresa, salvo prelievi non giustificati).

(N.B.: restano possibili anche accertamenti “parziali” ex art. 41-bis DPR 600/73, non menzionati in tabella: sono avvisi limitati a singoli redditi/IVA, spesso basati su riscontri puntuali come verbali della Finanza o segnalazioni di omissioni specifiche. La difesa segue gli schemi sopra a seconda della natura della contestazione).

La fase del controllo: verifiche, ispezioni e garanzie del contribuente

Prima dell’emissione di un avviso di accertamento vero e proprio, una lavanderia potrebbe essere soggetta a una verifica fiscale o altri controlli istruttori. È importante conoscere cosa aspettarsi durante queste fasi e quali sono i diritti del contribuente (previsti dallo Statuto del Contribuente, L. 212/2000) per potersi tutelare sin dall’inizio.

Accesso, ispezione e verifica presso la lavanderia

Spesso il controllo sul campo è effettuato dalla Guardia di Finanza, che può presentarsi nei locali della lavanderia per un accesso (ispezione) senza preavviso. L’obiettivo è raccogliere elementi sulle scritture contabili, sugli incassi giornalieri e su eventuali irregolarità. I verificatori possono: esaminare i registri IVA e i libri contabili obbligatori, controllare il funzionamento delle macchine a gettoni (spesso dotate di contatore interno), richiedere informazioni al titolare e ai dipendenti, svolgere osservazioni sul flusso di clienti (magari appostandosi per contare quante persone utilizzano le lavatrici in un dato periodo). Possono anche effettuare riscontri pratici, ad esempio misurando quanta corrente assorbe una lavatrice per ciclo o quanta acqua viene impiegata, per poi confrontare questi dati tecnici con i consumi totali. Se l’azienda svolge anche vendite di prodotti (detersivi, ecc.) possono controllare il magazzino.

Durante la verifica “sul posto” il contribuente ha alcune garanzie fondamentali:

  • Durata limitata della permanenza: l’art. 12 dello Statuto del Contribuente stabilisce che le operazioni di verifica presso la sede del contribuente non possono superare 30 giorni lavorativi (anche non consecutivi). In casi complessi il termine è prorogabile di altri 30 giorni, dopodiché i verificatori devono lasciare i locali. Ulteriori permanenze sono possibili solo in presenza di gravi violazioni e con autorizzazione motivata di un superiore. Dal 2023, una nuova disposizione (art. 7-quinquies L. 212/2000, introdotto dal D.Lgs. 219/2023) prevede che le prove raccolte oltre tali termini non sono utilizzabili ai fini dell’accertamento. Ciò significa che se la Guardia di Finanza trattiene documenti oltre il periodo consentito o effettua rilievi “fuori tempo”, tali elementi potranno essere fatti espungere e l’accertamento che li utilizzasse sarebbe viziato. Questo è un punto delicato da verificare sempre: se nel PVC (processo verbale di constatazione) compaiono dati acquisiti dopo la scadenza dei 30+30 giorni, la difesa può eccepirne l’inutilizzabilità e quindi l’eventuale nullità derivata dell’avviso basato su di essi.
  • Chiusura della verifica e rilascio del PVC: al termine delle operazioni, i verificatori redigono un Processo Verbale di Constatazione (PVC) che riassume i riscontri effettuati e le eventuali violazioni constatate. Il PVC deve essere sottoscritto (o quantomeno consegnato per firma) al contribuente, che ne riceve copia. Dal momento della consegna del PVC, il contribuente ha 60 giorni per presentare osservazioni e richieste (art. 12, c.7 Statuto). Durante questo periodo l’ufficio non può emanare l’avviso di accertamento, salvo casi di particolare urgenza, che vanno motivati nell’atto (pena la nullità dello stesso). Questo “periodo di garanzia” serve a permettere una difesa tempestiva: il contribuente può inviare una memoria difensiva alla Direzione dell’Agenzia delle Entrate, confutando quanto addebitato nel PVC. Ad esempio, se i verificatori contestano ricavi non contabilizzati sulla base di consumi anomali, in questi 60 giorni l’azienda può procurarsi perizie tecniche (es. un ingegnere che certifica un guasto al contatore dell’acqua) o documenti (fatture di manutenzione straordinaria, ecc.) e spiegare che i calcoli del PVC non reggono. L’ufficio dovrà valutare queste osservazioni: se le ritiene fondate, potrà archiviare parzialmente o totalmente la pretesa. In caso contrario procederà comunque, ma dovrà motivare perché non ha accolto le deduzioni del contribuente.
  • Diritti durante l’accesso: il contribuente può avvalersi di un professionista di fiducia (commercialista, avvocato) che lo assista durante la verifica, può fare inserire dichiarazioni a verbale (ad esempio chiarire subito la destinazione di certi documenti trovati, o indicare che un macchinario era fuori uso da tempo), e ha il diritto di ottenere copia dei documenti acquisiti o sequestrati. Se i verbalizzanti chiedono di consultare documenti non obbligatori o personali, il contribuente può opporsi se li ritiene estranei all’indagine (la GdF può insistere solo ottenendo eventualmente un decreto di perquisizione in caso di rifiuto, se c’è il sospetto concreto che celino violazioni). Inoltre, l’accesso deve avvenire in orari compatibili con l’attività: di norma negli orari di apertura al pubblico, salvo casi eccezionali.

Altri poteri istruttori (questionari, indagini finanziarie)

Non sempre si arriva a un’ispezione fisica. Spesso l’Agenzia delle Entrate procede con controlli “a tavolino” incrociando banche dati e inviando richieste di informazioni. Un titolare di lavanderia potrebbe ricevere un questionario (ex art. 32 DPR 600/73) in cui l’ufficio chiede, ad esempio, di indicare il numero di macchine possedute, gli orari di funzionamento, la capacità di carico, i principali clienti, oppure di esibire certi registri e documenti (dichiarazioni IVA, ecc.). È obbligatorio rispondere entro il termine indicato, fornendo dati veritieri: la mancata risposta può far presumere l’esistenza di redditi non dichiarati, come detto, e aprire la strada a un accertamento induttivo. Un’altra arma del Fisco sono le indagini finanziarie: tramite autorizzazione, l’ufficio può ottenere dagli istituti di credito i movimenti e saldi dei conti bancari aziendali e anche personali del titolare (specie se ditta individuale). Queste risultanze vengono poi confrontate con la contabilità: ogni versamento non giustificato da ricavi ufficiali può essere contestato come ricavo non dichiarato; ogni prelevamento ingiustificato potrebbe essere considerato destinato a costi “in nero” (e quindi portare a presumere ricavi corrispondenti, secondo vecchie regole in parte attenuate dalla giurisprudenza). È bene quindi che l’imprenditore tenga traccia documentale dei movimenti bancari non correlati all’attività (ad esempio se versa sul conto aziendale soldi personali o viceversa): in caso di controllo, potrà esibire le prove (es: assegno di famiglia, girofondi, ecc.) per evitare contestazioni. Da notare che la Cassazione ha di recente chiarito che, se l’ufficio accerta maggior reddito tramite indagini finanziarie, deve riconoscere anche i relativi costi correlati in via forfettaria. Questo si ricollega al principio già esaminato: non si tassa il lordo dei movimenti bancari, ma il netto presumibile (salvo prova contraria).

Verbali della Guardia di Finanza e utilizzo nelle indagini

Nel caso la verifica sia stata svolta dalla Guardia di Finanza, questa al termine trasmette all’Agenzia delle Entrate il PVC. Il PVC non è un atto impugnabile dal contribuente (perché non contiene una pretesa fiscale ancora), ma funge da base per l’eventuale avviso di accertamento. L’ufficio può recepire totalmente le conclusioni della Finanza, oppure limitarle/rivederle. Se decide di emettere l’avviso, dovrà motivarlo anche con riferimento alle osservazioni del contribuente (se presentate). Ad esempio: “il contribuente ha eccepito che l’elevato consumo di acqua era dovuto a una perdita occulta, ma tale giustificazione è stata ritenuta non provata poiché… [motivi]; pertanto si confermano le ricostruzioni del PVC GdF”. La corretta motivazione è essenziale: un accertamento emesso senza considerare affatto le difese presentate, o che non spieghi perché le ritiene infondate, rischia di essere annullato per difetto di motivazione (ex art. 7 L.212/2000 e art. 42 DPR 600/73). Addirittura, la Cassazione ha sancito che una motivazione intrinsecamente contraddittoria o insufficiente equivale a motivazione mancante e rende nullo l’atto. Ad esempio, Cass. n. 5366/2023 ha annullato un avviso in cui le argomentazioni erano contraddittorie fra loro. Nel merito del contenuto, un elemento da verificare è che l’ufficio non introduca nell’avviso nuove contestazioni diverse da quelle del PVC senza darne notizia al contribuente: se emergono elementi nuovi dopo il PVC, il contribuente ha diritto a un ulteriore contraddittorio su di essi, altrimenti l’atto può essere viziato per violazione del diritto di difesa.

Infine, va ricordato che eventuali violazioni di legge avvenute durante la fase di verifica possono riflettersi sulla validità dell’accertamento. Ad esempio, se la GdF ha effettuato una perquisizione domiciliare senza l’autorizzazione della magistratura, i documenti così reperiti sono inutilizzabili e non possono fondare l’avviso, pena la nullità dell’atto per inutilizzabilità della prova illecita. Oppure, se la verifica è stata svolta oltre i termini consentiti o in difetto di autorizzazioni dove previste (es. accesso in abitazione privata senza consenso né decreto), si potrà far valere un vizio radicale dell’accertamento derivante dall’illegittimità dell’istruttoria (violazione di diritti fondamentali, art. 13 Cost.). La giurisprudenza parla in questi casi di nullità derivata dell’atto finale quando è fondato essenzialmente su elementi raccolti contra legem. Tali eccezioni non sempre sono di pronta soluzione in commissione (talvolta i giudici tributari tendono a dire che valutano comunque il merito delle prove), ma è importante sollevarle sin dal ricorso per tenerle vive fino in Cassazione, se necessario.

Difesa stragiudiziale: prevenire e risolvere il conflitto col Fisco prima del contenzioso

Di fronte a un accertamento fiscale (in arrivo o già notificato), il contribuente ha a disposizione diversi strumenti deflativi del contenzioso, cioè procedure per cercare di ridurre o eliminare la pretesa senza arrivare (o prima di arrivare) a una sentenza. Una difesa efficace inizia spesso prima del giudizio, cogliendo le opportunità offerte dalla legge per chiudere la vicenda in modo più rapido o vantaggioso. In questa sezione esaminiamo le principali opzioni di difesa in sede amministrativa o pre-contenziosa, con particolare riferimento alle lavanderie.

Contraddittorio endoprocedimentale (fase pre-accertamento)

Come già accennato, il contraddittorio “preventivo” è ora un elemento centrale del procedimento di accertamento. Dal 18 gennaio 2024, con l’introduzione dell’art. 6-bis dello Statuto del Contribuente (per effetto del D.Lgs. 219/2023), vige un obbligo generalizzato per l’ufficio di invitare il contribuente a un confronto prima di emettere qualsiasi avviso di accertamento (fatte salve pochissime eccezioni di urgenza). La regola vale per tutti i tributi e per tutti gli atti impugnabili. Quindi, se una lavanderia riceve direttamente un avviso di accertamento nel 2025 senza che nei mesi precedenti vi sia stata alcuna convocazione o invito a fornire chiarimenti, c’è già un potenziale vizio: in sede di ricorso si potrà chiedere l’annullamento dell’atto per violazione del contraddittorio obbligatorio. Il giudice, accertato che non ricorrevano situazioni di particolare urgenza e che l’ufficio non ha osservato la procedura, dovrà annullare l’accertamento, che però sarà da considerarsi “annullabile” (cioè con bisogno di impugnazione da parte del contribuente) e non nullo di diritto. Prima della riforma, come noto, l’obbligo di contraddittorio era limitato ad alcuni casi espressamente previsti (es. accertamenti da studi di settore, accertamenti in materia IVA per giurisprudenza comunitaria, ecc.). Il contribuente che lamentava la mancata attivazione del confronto doveva anche dimostrare in giudizio quale difesa avrebbe potuto presentare, ossia provare che l’assenza di contraddittorio gli aveva arrecato concreto pregiudizio (c.d. “prova di resistenza”). Oggi, per gli atti dal 2024 in poi, questa prova non è più necessaria: il contraddittorio negato è ipso facto causa di annullamento, purché il contribuente lo eccepisca nel ricorso. Se l’accertamento invece è relativo ad annualità precedenti all’entrata in vigore della norma (ad es. avviso notificato nel 2023, o anche nel 2024 ma riferito ad anni passati su cui formalmente la norma non era applicabile), allora si applica la disciplina previgente: per l’IVA e i tributi “armonizzati” l’obbligo discendeva dai principi UE (con invalidità in caso di omissione, subordinata però alla prova di resistenza), mentre per gli altri tributi non v’era obbligo salvo specifiche situazioni (p.es. l’art. 12, c.7 Statuto per i PVC di verifica). In tali casi “ante riforma”, la Cassazione a Sezioni Unite (sent. n. 24823/2015) aveva comunque statuito che se una legge prevedeva il contraddittorio (come appunto l’art. 12, co.7 per i PVC), la sua violazione comportava nullità senza ulteriori oneri di prova. Dunque, per esempio, un accertamento IVA 2019 senza invito al contraddittorio era annullabile solo se il contribuente dimostrava che avrebbe potuto far valere elementi a sé favorevoli (cosa avrebbe detto se interpellato); un accertamento scaturito da PVC GdF notificato e fatto immediatamente (senza attendere i 60 gg) era invece nullo ex lege a meno che l’urgenza fosse motivata (in pratica, non di rado gli uffici “inventavano” urgenze per evitare l’attesa, circostanza che può essere contestata come pretestuosa).

Per una lavanderia, è dunque fondamentale partecipare attivamente al contraddittorio ogniqualvolta se ne presenti l’occasione. Se si riceve un invito al contraddittorio ex art. 5-ter D.Lgs. 218/1997 (la norma che prevede la convocazione prima dell’accertamento), bisogna presentarsi o quantomeno inviare memorie scritte entro il termine indicato. In sede di contraddittorio, l’approccio consigliato è:

  • Analizzare le incongruenze segnalate dall’ufficio: solitamente nell’invito l’Agenzia indica i motivi per cui ritiene non corretti i dati dichiarati (ad es.: “ricavi dichiarati inferiori del 40% rispetto all’indice ISA”, oppure “versamenti su conto non registrati in contabilità per €…”, o “consumo energia fuori range rispetto a ricavi”). Bisogna preparare spiegazioni, supportate da documenti, per ognuna di esse.
  • Portare documentazione aggiuntiva: magari in dichiarazione non era obbligatorio inserire certe informazioni, ma ora possono servire per spiegare. Esempio: se i ricavi sono bassi perché la lavanderia ha subito furti o rotture di macchine (che hanno comportato costi senza fatturato corrispondente), conviene esibire le denunce o le fatture di riparazione e far presente come hanno inciso sul bilancio.
  • Evidenziare errori fattuali del Fisco: non è raro che l’ufficio commetta approssimazioni. Ad esempio, potrebbe aver stimato tot lavaggi annui in base ai kg di detersivo acquistati, assumendo X grammi a lavaggio – se l’imprenditore dimostra con le schede tecniche che per lavaggi industriali servono dosi maggiori, farà crollare la stima dei “numero di lavaggi presunti”. Oppure, se l’analisi si basa su bollette stimate (come nel caso citato del parrucchiere), presentare subito i dati di consumo reale serve a bloccare la pretesa.
  • Ricordare la crisi del settore e gli eventi eccezionali: Ad esempio, negli anni 2020-2021 molte lavanderie hanno visto crollare i fatturati a causa delle restrizioni per pandemia (meno cerimonie, meno turismo, ecc.). Questi fattori congiunturali vanno sottolineati, magari allegando ricerche di settore o dati Istat se servono a dare peso oggettivo (es.: calo medio 30% nel comparto).
  • Proporre un eventuale accordo (se coscienti di qualche irregolarità): il contraddittorio preventivo spesso apre la strada all’accertamento con adesione (vedi sotto). Se effettivamente si riconosce di aver commesso qualche omissione (ad esempio, si ammette informalmente di aver incassato di più di quanto registrato), è utile farlo presente in termini generici per valutare la disponibilità dell’ufficio a chiudere con una transazione su una base ridotta di imponibile. L’invito al contraddittorio può concludersi anche con un nulla di fatto (ognuno resta sulle sue posizioni) oppure con la formalizzazione di un’adesione in quella sede. In ogni caso, conviene lasciare traccia scritta delle proprie eccezioni (chiedendo che vengano verbalizzate o presentando un memo).

Accertamento con adesione

L’accertamento con adesione (disciplinato dal D.Lgs. 218/1997) è uno strumento che consente di “negoziare” con l’ufficio il contenuto dell’accertamento, evitando il contenzioso. Può attivarsi su iniziativa del contribuente – presentando un’istanza di adesione dopo aver ricevuto un avviso di accertamento o un invito al contraddittorio – oppure su invito della stessa Agenzia durante un contraddittorio. Nel concreto, se la lavanderia riceve un avviso di accertamento (dove magari si chiedono 50.000 € di maggior imponibile per ricavi non dichiarati), può proporre entro 60 giorni dall’avviso un’istanza di accertamento con adesione. Questo ha diversi effetti positivi:

  • Sospende i termini per presentare ricorso: dal giorno di presentazione dell’istanza, il contribuente beneficia di una sospensione di 90 giorni del termine di impugnazione. Significa guadagnare tempo per trattare con l’ufficio senza dover correre subito in Commissione.
  • Apre una fase di trattativa con l’ufficio, che fisserà un incontro (di solito presso la Direzione provinciale) dove si discuterà sul merito delle riprese. In tale sede, contribuente (e professionista) e funzionari dell’Agenzia possono liberamente formulare proposte transattive: ad esempio, l’ufficio potrebbe ridurre i ricavi accertati da 50.000 a 30.000 € se il contribuente accetta e rinuncia a litigare, oppure mantenere la base imponibile ma ridurre le sanzioni. Spesso infatti il punto di intesa si trova sull’entità delle sanzioni o su alcuni aspetti marginali (es. riconoscere deducibili alcuni costi che erano stati ripresi).
  • Se si raggiunge l’accordo, viene redatto un atto di adesione con i nuovi importi concordati. Le sanzioni vengono automaticamente ridotte a 1/3 del minimo edittale previsto. Nel caso di infedele dichiarazione, il minimo edittale è generalmente il 90% dell’imposta evasa, dunque pagare 1/3 del 90% significa una sanzione effettiva del 30% circa. Ad esempio: a fronte di €10.000 di imposte evase, sanzione piena sarebbe €9.000 (90%); con adesione, diventa €3.000. Nessuna sanzione accessoria (tipo interdizioni) è applicabile e si evitano possibili segnalazioni penali (anzi, l’adesione estingue il reato di dichiarazione infedele se le somme dovute sono sotto le soglie penali, ai sensi dell’art. 13 comma 2 D.Lgs. 74/2000).
  • Il contribuente può chiedere di pagare l’importo dovuto (imposte + sanzioni ridotte + interessi) in forma rateale fino a un massimo di 8 rate trimestrali (16 rate se l’importo supera 50.000 €). La prima rata va versata entro 20 giorni dalla firma dell’adesione. Non è ammesso il pagamento parziale: se non si paga, l’accordo decade e si ritorna alla situazione originaria (salvo che il termine per ricorrere potrebbe essere scaduto: in tal caso l’ufficio iscrive a ruolo). Dunque bisogna valutare bene la capacità di sostenere il piano di pagamento prima di aderire.

Per una lavanderia, l’accertamento con adesione è spesso una soluzione conveniente, specie se l’ufficio ha una posizione forte (prove documentali solide) e il contribuente rischierebbe in giudizio di vedersi confermati tutti gli addebiti con sanzioni piene e ulteriori spese. Facciamo un esempio concreto: la ditta Alfa (lavanderia tradizionale) riceve un avviso che contesta €20.000 di ricavi non dichiarati e €2.000 di IVA evasa, con sanzioni del 100% (un po’ oltre il minimo) su entrambe: quindi €22.000 di imposte e €22.000 di sanzioni = €44.000 totali più interessi. Se Alfa aderisce ottenendo magari uno “sconto” sull’imponibile (accordandosi per €15.000 di ricavi e €1.500 di IVA) e le sanzioni ridotte a 1/3 del minimo (30%), pagherà: imposte circa €16.500 + sanzioni ~€5.000 = €21.500 più interessi moderati. Ha risparmiato quasi la metà e ha chiuso subito la vicenda. In cambio, ovviamente, rinuncia a contestare ulteriormente (l’adesione preclude il ricorso: è un atto volontario con cui si accetta la pretesa come rideterminata).

Occorre segnalare che, a volte, è la stessa Agenzia delle Entrate a inviare al contribuente, insieme all’avviso, una proposta di adesione semplificata indicando gli importi ridotti che sarebbe disposta ad accettare se il contribuente non impugna. Questo succede ad esempio in concomitanza con normative di definizione agevolata: il legislatore, per alleggerire il contenzioso, può emanare leggi che incentivano le chiusure bonarie (come la recente “tregua fiscale” del 2023). In mancanza di tali speciali norme, comunque, il D.Lgs. 218/97 rimane applicabile.

Quando evitare l’adesione: se l’accertamento appare chiaramente infondato o viziato da errori formali insanabili, aderire non conviene perché significa rinunciare a farli valere. Ad esempio, se riscontrate che l’avviso è stato notificato oltre i termini di decadenza (oltre il 5° anno dall’anno d’imposta, o 7° se dichiarazione omessa), o intestato alla persona sbagliata, o privo di firma valida, ecc., sono situazioni in cui un ricorso ha ottime chance di annullarlo del tutto. Anche se ritenete di avere prove schiaccianti a vostro favore (es.: l’ufficio vi attribuisce vendite occultate ma voi avete documentazione che quelle vendite sono state regolarmente fatturate – magari erroneamente imputate ad altro anno), allora puntate al ricorso per ottenere l’annullamento integrale anziché un compromesso. L’adesione è utile quando c’è effettivamente una materia del contendere “grigia” in cui transare per limitare i danni.

Procedura pratica: l’istanza di adesione va presentata all’ufficio che ha emesso l’atto (di solito la Direzione Provinciale dell’AE) entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso. È una semplice lettera in carta libera in cui si chiede di essere ammessi all’adesione indicando eventualmente i riferimenti dell’atto. Si può anche depositare l’istanza via PEC se previsto. L’ufficio poi vi contatterà per fissare il primo incontro (entro 15 giorni di regola). Se entro 90 giorni non si conclude nulla, ricordatevi di presentare eventualmente ricorso nei 30 giorni successivi (perché i 60 giorni originari erano sospesi per 90, quindi in totale 150 giorni dal ricevimento atto, salvo diverse interruzioni).

Acquiescenza e definizione agevolata dell’avviso

Un’altra opzione, se non si vuole o non si può intraprendere una trattativa, è la acquiescenza all’avviso di accertamento. L’“acquiescenza” significa accettare integralmente la pretesa, pagando quanto richiesto entro il termine per fare ricorso (60 giorni). Il vantaggio, previsto dall’art. 15 del D.Lgs. 218/97, è una riduzione delle sanzioni a 1/3 di quelle irrogate. In pratica, se nell’avviso la sanzione era €9.000 (minimo 90%), pagando in acquiescenza essa si riduce a €3.000. Tale riduzione è leggermente meno conveniente rispetto all’adesione (dove era 1/3 del minimo edittale, qui 1/3 della sanzione “irrogata”: se l’ufficio avesse applicato già il minimo, i numeri coincidono; se avesse applicato oltre il minimo, l’acquiescenza vi fa comunque pagare 1/3 di quella sanzione più alta). Tuttavia è comunque un beneficio notevole. L’acquiescenza non sospende nulla: bisogna pagare entro 60 giorni tutto (o la prima rata se si opta per rateazione, che in questo caso è di massimo 8 rate).

Conviene fare acquiescenza? Solo se si è convinti che il ricorso non avrebbe prospettive di maggior successo e se l’ufficio non è disponibile all’adesione. Ad esempio, se l’accertamento è di importo basso e le sanzioni sono modeste, può darsi che affrontare un contenzioso costi di più in termini di tempo e denaro (tra spese legali, eventuale consulente tecnico, ecc.) rispetto al beneficio di un’ulteriore riduzione. In quei casi, pagare con lo sconto di 1/3 può essere la soluzione pragmatica. L’acquiescenza può essere anche parziale su alcuni rilievi: se l’avviso comprende più annualità o più imposte, si può accettare solo alcune parti e impugnarne altre (ma bisogna stare attenti, la normativa lo consente soltanto per gli atti plurimi, ad esempio più annualità insieme; se l’atto è unico per una sola pretesa, o si accetta tutto o niente).

Nel contesto 2023-2024 il legislatore ha introdotto alcune definizioni agevolate speciali (ad esempio la definizione degli atti del 2019 non impugnati, con sanzioni ridotte a 1/18 in alcuni casi, prevista dalla L. 197/2022). Queste misure occasionali (“pace fiscale”) se applicabili sono di solito più convenienti ancora: nel caso citato le sanzioni praticamente si annullavano. Ma sono finestre temporali limitate. Al luglio 2025, non risultano attive definizioni agevolate generalizzate di nuovi avvisi (oltre alle consuete rottamazioni di cartelle e conciliazioni di cui diremo). Bisogna comunque tenersi aggiornati: se il Governo vara una “Definizione liti” o simili, valutare se rientrate e approfittarne.

Mediazione tributaria e reclamo obbligatorio

Per le controversie di valore non elevato, prima di arrivare davanti a un giudice è prevista una fase di mediazione. La mediazione tributaria è obbligatoria per gli importi di lite fino a 50.000 euro (limite attuale) – importo che si calcola considerando solo le imposte contestate al netto di sanzioni e interessi. Molti avvisi per piccole lavanderie potrebbero rientrare in questa soglia. La procedura funziona così: il contribuente, invece di depositare subito il ricorso in Commissione Tributaria, deve presentare un reclamo con proposta di mediazione all’Ufficio che ha emesso l’atto, entro 60 giorni dalla notifica dell’atto stesso (di fatto, come se stesse presentando il ricorso, ma lo manda all’Agenzia invece che alla Commissione). Nel reclamo può proporre una soluzione – ad esempio: “chiedo l’annullamento totale, in subordine propongo di pagare il 50% delle imposte senza sanzioni perché…”. L’ufficio ha 90 giorni di tempo per valutare. Se accoglie parzialmente o totalmente, la controversia si chiude con un accordo di mediazione (che comporta sanzioni ridotte al 35% del minimo, leggermente più alte di quelle dell’adesione) e l’importo definito va pagato entro 20 giorni. Se non c’è accordo entro 90 giorni, il reclamo produce gli effetti del ricorso e la causa prosegue in Commissione (la data di presentazione del reclamo vale come data del ricorso). In pratica la mediazione è un tentativo interno all’Agenzia: la pratica viene esaminata da un funzionario diverso (di solito dell’ufficio legale dell’AE) che può rivedere le posizioni e magari evitare il contenzioso se vede che il contribuente ha ragione in parte.

Nel caso di una lavanderia, la mediazione è utile soprattutto se ci sono evidenti errori nell’atto (che l’ufficio potrebbe riconoscere senza farsi “bocciare” in giudizio) oppure se il contribuente è disposto a una soluzione intermedia ma non è riuscito a ottenerla in sede di adesione. A volte, infatti, un’adesione fallisce perché l’ufficio operativo era troppo rigido; in sede di reclamo mediazione l’ufficio legale, valutando il rischio giudiziale, potrebbe decidere di conciliare (magari abbattendo le sanzioni o riducendo un po’ l’imposta). Non è garantito, ma va tentato se credete. Tenete conto che in caso di mediazione riuscita, le sanzioni scendono al 35% del minimo – un po’ più del 33% dell’adesione, ma siamo lì – quindi conviene rispetto a perdere in giudizio e pagare il 100%. Se la mediazione non riesce, avrete comunque il vostro “giorno in tribunale”, nulla è pregiudicato (a parte aver allungato i tempi di 3 mesi; ma durante questi 90 giorni l’Agenzia non può iscrivere a ruolo le somme, quindi siete protetti).

Autotutela e altre istanze amministrative

L’autotutela è il potere/dovere della Pubblica Amministrazione di correggere o annullare i propri atti quando si accorge di errori. Il contribuente può sempre presentare un’istanza di autotutela all’ufficio evidenziando errori materiali, di calcolo, di persona, o palesi illegittimità dell’atto, chiedendone l’annullamento totale o parziale. Ad esempio: “nell’avviso avete duplicato un reddito già tassato l’anno precedente, vi prego di correggere”. Oppure: “avete intestato l’atto alla ditta cessata invece che al nuovo titolare, atto nullo per errore sul soggetto”. L’autotutela non sospende i termini di ricorso: va quindi usata con cautela e senza far scadere il termine per impugnare. Si consiglia di presentarla, ma se l’ufficio non risponde entro breve, conviene comunque fare ricorso e casomai l’autotutela potrà essere decisa dopo (chiudendo il contenzioso). In materia tributaria, l’autotutela è prevista dall’art. 2-quater D.L. 564/1994 (L. 656/94) e da vari regolamenti interni dell’Agenzia; non c’è obbligo per l’ufficio di aderire, è una facoltà. Tuttavia, per errori palesi e documentabili, spesso l’autotutela viene accolta, perché evita anche agli uffici di andare in causa su questioni perse in partenza. Ad esempio, se dimostrate che c’è un doppio accertamento (due avvisi sulle stesse somme per lo stesso anno, cosa vietata salvo nuovi elementi), l’ufficio potrebbe annullarne spontaneamente uno. Oppure se avete già pagato con ravvedimento prima dell’avviso e l’atto non ne teneva conto, porterete le quietanze e chiederete annullamento per quell’importo. L’autotutela può essere esercitata anche in pendenza di giudizio (es. se emergono elementi nuovi che vi danno ragione, l’Agenzia può annullare l’atto e far cessare la materia del contendere).

Un istituto particolare, non frequente ma da menzionare, è la conciliazione giudiziale: se ormai siete in contenzioso (avete fatto ricorso), potete ancora cercare un accordo con l’ufficio in sede di processo. La conciliazione può essere fuori udienza (accordo sottoscritto dalle parti e ratificato dal giudice) oppure in udienza (verbale conciliativo davanti al giudice). Si applicano in sostanza le stesse condizioni della mediazione in termini di sanzioni (1/3 o 1/2 delle sanzioni a seconda se la conciliazione avviene in primo o secondo grado). Per una lavanderia, la conciliazione conviene se dopo il ricorso emergono elementi di trattativa (magari l’ufficio comprende che rischia di perdere su alcuni punti e propone di accordarsi a metà strada). Non è però assicurata: dipende dalla volontà dell’ufficio.

In aggiunta a questi strumenti, ricordiamo che il contribuente ha la possibilità – nelle more – di chiedere rateizzazioni delle somme accertate e iscrizioni provvisorie a ruolo. Ad esempio, se dopo un anno l’adesione fallisce e si va in giudizio, l’AE iscrive a ruolo 1/3 delle imposte contestate (ruolo provvisorio dopo 60 giorni). Si può chiedere ad Agenzia Riscossione una rateazione di quel ruolo (72 rate mensili di solito). Oppure, se pendono debiti fiscali già a cartella, si può valutare la rottamazione (nel 2023 c’era la “Rottamazione-quater” che permetteva di pagare i carichi senza sanzioni né interessi). Tutte queste sono misure parallele di gestione del debito, più che di difesa contro l’atto, ma sono parti del mosaico di soluzioni per non soccombere finanziariamente durante la disputa.

Tabella – Strumenti deflativi e vantaggi:

StrumentoQuando utilizzarloBenefici per il contribuenteNote
Contraddittorio preventivo (invito)Prima dell’emissione dell’avviso (obbligatorio per atti dal 2024; facoltativo in precedenza tranne casi specifici)Possibilità di evitare l’atto convincendo l’ufficio; eventualmente preludio ad accertamento con adesione con importi ridottiObbligatorio pena annullabilità atto se omesso dal 2024. Sfruttare per produrre documenti e giustificazioni.
Accertamento con adesioneDopo avviso ricevuto (entro 60 gg) o su invito ufficioSospensione termini ricorso; negoziazione informale; sanzioni ridotte a 1/3 del minimo; rateazione fino 8 o 16 trimestri; chiusura definitiva della materia (no ricorso)Richiede accordo con ufficio; se fallisce resta comunque possibilità ricorso (entro 30 gg dopo 90 gg sospensione).
Acquiescenza (pagamento volontario)Dopo avviso ricevuto, se si accetta integralmente la pretesaRiduzione sanzioni a 1/3 di quelle irrogate; nessuna lita pendente (evita spese e interessi di mora futuri)Pagamento entro 60 gg (o prima rata); scelta irretrattabile (rinuncia ricorso implicita).
Reclamo-mediazionePer avvisi fino a €50.000 di valore, al posto del ricorsoValutazione interna indipendente dall’ufficio controllo; possibili soluzioni alternative; sanzioni ridotte al 35% se mediazione positiva; termini sospesi 90 ggObbligatoria entro 60 gg dall’atto; se fallisce, atto diviene ricorso pendente.
Autotutela (istanza annullamento in via di autotutela)In qualsiasi momento, preferibilmente appena rilevato errore macroscopico nell’attoL’amministrazione può annullare senza costi e senza bisogno di giudice; tutela di errori evidenti anche oltre i termini di ricorso (in teoria)Non sospende termini ricorso! Discrezionale per l’ufficio; va bene per errori palesi e documentati (doppia imposizione, persona errata, calcoli errati).
Conciliazione giudizialeDopo aver presentato ricorso, in 1° grado o appello, prima della decisioneDefinizione transattiva anche a processo iniziato; sanzioni ridotte (40% in 1° grado, 50% in appello sul minimo edittale); chiusura con sentenza di conciliazioneNecessita accordo con ufficio legale; pagamento in 20 gg o rate come adesione.

Difesa in contenzioso tributario: come agire in Commissione Tributaria

Se non è stato possibile risolvere bonariamente la controversia, o se si ritiene di aver subito un accertamento ingiusto e si vuole far valere i propri diritti davanti a un giudice, occorre intraprendere il contenzioso tributario. In questa sezione illustriamo gli aspetti principali del ricorso in Commissione Tributaria (ora denominata Corte di Giustizia Tributaria di primo grado dopo la riforma del 2022), le tempistiche, i costi e – soprattutto – le strategie difensive da adottare in giudizio nel caso di accertamenti fiscali contro una lavanderia.

Presentazione del ricorso e fasi processuali

Il ricorso contro l’avviso di accertamento va presentato, a pena di decadenza, entro 60 giorni dalla data di notifica dell’atto (salvo sospensioni dovute a adesione, ecc. come visto). Dal 2023, il processo tributario è telematico: il ricorso si predispone in via informatica e si invia tramite PEC al competente ufficio di segreteria della Corte di Giustizia Tributaria. Nel ricorso si devono indicare: l’atto impugnato, il soggetto che ricorre, il difensore (obbligatorio per controversie oltre €3.000, e comunque consigliabile sempre), i motivi di impugnazione, le conclusioni (ciò che si chiede: annullamento totale o parziale dell’atto). Va allegata copia dell’atto impugnato e della ricevuta di notifica, oltre a eventuali documenti su cui si basa il ricorso. Inoltre, si deve versare un contributo unificato di iscrizione a ruolo (variabile in base al valore della lite: ad esempio, per liti fino a €5.000 è €30, fino a 25k €60, fino a 75k €120, e così via a salire).

Notificato il ricorso, l’Agenzia delle Entrate potrà costituirsi in giudizio depositando controdeduzioni (memoria difensiva dell’ufficio) entro 60 giorni. Nel frattempo, se l’atto comportava importi a pagare, l’ufficio potrebbe già aver emesso un ruolo per 1/3 delle imposte (c.d. “riscossione provvisoria”). Il contribuente, contestualmente al ricorso, può presentare un’istanza cautelare di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, dimostrando che l’esecuzione (es. la riscossione di quelle somme) gli arrecherebbe un danno grave e irreparabile e che il ricorso presenta elementi di fondatezza (fumus boni iuris). Le Corti di Giustizia Tributarie decideranno sull’istanza di sospensione entro circa 2-3 mesi, con decreto o ordinanza; se accolta, la riscossione viene bloccata fino alla sentenza di primo grado. Se respinta, il contribuente potrebbe dover pagare il terzo provvisorio (pena aggravi) oppure tentare un’ulteriore istanza in appello dopo.

Il processo di merito di solito dura circa 1 anno in primo grado (può variare, alcune sedi sono più veloci, altre lente). Dal 2023 i giudici tributari sono professionisti a tempo pieno, il che dovrebbe migliorare la qualità delle decisioni. L’udienza generalmente è pubblica (o da remoto su richiesta), e la sentenza viene emessa entro 30 giorni dall’udienza (termine ordinatorio, spesso più lungo in pratica). Se il contribuente vince, l’atto è annullato (in tutto o in parte a seconda della pronuncia); se perde, può appellare entro 60 giorni alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex CTR). Attenzione: la riforma ha imposto nuovi filtri per l’appello dell’ente impositore, che può appellare solo se supera determinate soglie di valore o in caso di questioni di diritto rilevanti, per evitare contenziosi seriali. Comunque, anche il contribuente in caso di soccombenza parziale o totale può appellare. Il secondo grado è in buona parte una ripetizione del primo, con possibilità di nuove prove entro certi limiti. Infine c’è la Cassazione: si può ricorrere solo per motivi di legittimità (errori di diritto o vizi di motivazione gravi), e per importi ormai ridotti spesso l’Agenzia non prosegue oltre l’appello.

Per la lavanderia ricorrente, è essenziale impostare bene il ricorso sin dall’inizio, perché in appello non si possono presentare nuovi motivi che potevano essere già dedotti. Quindi tutti i vizi, formali e sostanziali, dell’accertamento vanno elencati nel ricorso introduttivo.

Motivi di ricorso: vizi formali dell’atto

I vizi formali o procedimentali sono quelli che attengono alla legittimità dell’atto al di là del merito fiscale. Sfruttarli può portare ad annullare l’accertamento indipendentemente dal fatto che c’era evasione o meno. Ecco i principali da valutare:

  • Notifica irregolare o tardiva: verificare quando e come è stato notificato l’atto. Se la notifica è stata effettuata oltre i termini di decadenza (normalmente 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di imposta, o del settimo in caso di omessa dichiarazione), l’atto è inefficace. Ad esempio, un avviso 2016 notificato dopo il 31/12/2021 è decaduto. Oppure, se notificato a persona sbagliata (es. al contribuente deceduto, senza atti verso gli eredi; alla società estinta, senza atti al liquidatore o soci) è nullo per difetto di soggetto. Oppure ancora, se la notifica è inesistente (consegnata all’indirizzo sbagliato senza alcuna relazione, ecc.) l’atto è inesistente. Con le nuove norme del 2023 sulla notifica telematica (art. 7-sexies L.212/2000) alcuni vizi sono attenuati, ma ad esempio notifiche oltre termine restano viziate irreparabilmente.
  • Difetto di sottoscrizione: l’avviso deve essere firmato dal capo ufficio o da un funzionario delegato. Se manca la firma o se colui che firma non aveva delega valida, l’atto è nullo (art. 42 DPR 600/73). Questo può capitare con i noti casi dei “funzionari decaduti” (dirigenti nominati illegittimamente): la Cassazione ha annullato diversi atti firmati da soggetti privi di potere, considerandoli nulli ab origine.
  • Motivazione assente o insufficiente: come visto, l’accertamento va motivato con chiarezza e congruità (art. 7 L.212/2000, art. 42 DPR 600/73). Se l’atto non espone le ragioni per cui si chiedono i maggiori tributi – o le espone in modo confuso, contraddittorio o per relationem ad un PVC non allegato – si può far valere la nullità. Cass. 18767/2020 e Cass. 5366/2023 confermano che una motivazione contraddittoria equivale a motivazione mancante. Nel caso di specie per una lavanderia, un esempio di motivazione insufficiente sarebbe un avviso che dice solo: “ricavi accertati come da studio di settore” senza ulteriori dettagli e senza aver allegato il calcolo o il PVC: il contribuente non capirebbe da cosa deriva la cifra e ciò può rendere nullo l’atto.
  • Violazione del contraddittorio: se l’atto è stato emanato post-2024 senza contraddittorio, abbiamo detto, è annullabile su eccezione di parte. Se pre-2024 ma soggetto a obbligo (p.es. PVC GdF senza 60gg, o accertamento da studi di settore senza invito), pure. Ad esempio Cass. SU 24823/2015 e molte successive hanno annullato atti IVA emessi senza contraddittorio, oppure avvisi emessi prima dei 60gg dal PVC senza urgenza. Dunque va sempre controllato questo aspetto procedurale.
  • Altri vizi: doppia imposizione per lo stesso fatto (ne bis in idem tributario), violazione del giudicato (se magari c’era già stata una sentenza su quella questione per quell’anno e l’ufficio la ignora), atti emessi da ufficio territorialmente incompetente, ecc. Sono meno frequenti ma da considerare caso per caso.

In genere, i vizi formali se ben evidenziati portano all’annullamento totale dell’atto. Il giudice potrebbe anche limitarsi a censurare solo quello e non entrare nel merito. Tuttavia, è buona prassi presentare anche motivi di merito in via subordinata, per evitare che in appello (dove magari il vizio formale viene superato) il contribuente resti senza difese di merito già esposte.

Difesa di merito: contestare le ricostruzioni e le pretese fiscali

Entrando nel merito, l’obiettivo è dimostrare che i maggiori redditi o le violazioni contestate non sussistono, o comunque che l’ufficio non ha fornito una prova adeguata, oppure che il calcolo è errato. Vediamo le possibili linee difensive nel caso di accertamento a una lavanderia, molte delle quali già anticipate in parte:

  • Contestare la validità delle presunzioni: se l’accertamento è induttivo, centrale sarà attaccare gli indizi presuntivi uno per uno. Ad esempio, se l’ufficio ha basato il ricalcolo dei ricavi sul consumo di energia elettrica, la difesa può sostenere (con perizia) che l’impianto elettrico è obsoleto e disperde corrente, o che parte del consumo si riferisce a macchinari di stiratura che rimangono accesi a vuoto, o ancora che nel locale vi sono freezer o caldaie elettriche per altre attività (es. se la lavanderia è annessa a una stireria con altri apparecchi). L’idea è far vedere che ad uno stesso consumo non corrisponde necessariamente un tot di lavaggi. Analogamente, se la base è il consumo d’acqua, si potrebbe dimostrare che vi è stata una perdita nella rete idrica (magari documentata da intervento dell’idraulico) o che l’acqua è usata anche per pulizie dei locali, per servizi igienici, etc., e non solo per i cicli di lavaggio. Un altro elemento classico: se si fondano sui detersivi acquistati, evidenziare se c’era rimanenza di magazzino (magari a fine anno molti fusti di detersivo non ancora utilizzati). Se guardano al numero di capo lavati in base a fodere, buste, grucce acquistate, si può replicare che quegli articoli vengono sprecati o usati anche per riconsegnare capi lavati a clienti che poi non sono passati (e sono rimasti lì), ecc. Insomma, far emergere l’incertezza della presunzione.
  • Dimostrare elementi concreti a discarico: portare documenti o testimonianze che forniscano una spiegazione alternativa. Ad esempio, se contestano che i ricavi sono troppo bassi rispetto a quelli medi di altre lavanderie, far testimoniare (ove ammesso, nel processo tributario le testimonianze sono documentali di solito, ma con la riforma 2022 è stata introdotta la possibilità di giuramento decisorio e testimonianza scritta) alcuni clienti chiave sul fatto che avete praticato sconti eccezionali o che per un certo periodo la lavanderia è rimasta chiusa per ristrutturazione (giustificando l’annualità debole). Oppure produrre i bilanci di concorrenti locali che mostrano anch’essi ricavi calanti (a riprova di una crisi generale, come un calo di turismo se siete in zona turistica, ecc.). Se la contestazione riguarda vendite in nero specifiche (tipo: “abbiamo visto 10 clienti entrare e solo 5 scontrini emessi”), potreste portare registri interni o fogli di lavoro che mostrano che quei 5 senza scontrino erano ritiri di capi consegnati in precedenza (già fatturati prima) e non nuove vendite. O documentare che alcuni di quei clienti erano amici/familiari a cui avete fatto il lavaggio gratis (non imponibile, anche se la normativa vorrebbe fatturare anche autoconsumo di servizi, ma è contestabile se irrilevante).
  • Errori di calcolo: scorrere con attenzione tutti i conteggi dell’ufficio. Spesso, nel trasporre i dati, possono commettere errori aritmetici o duplicazioni. Ad esempio, potrebbero aver contato due volte lo stesso periodo o applicato una percentuale errata. Nel caso di “studio di settore”, verificare se i vostri input erano corretti: capita che l’ufficio inserisca dati sbagliati nel software Gerico/Isa (metri quadri, ore lavorate, etc.) generando output sballati. Se trovate incongruenze, evidenziatele con consulenza tecnica di parte se serve.
  • Mancato riconoscimento costi correlati: fondamentale dopo la pronuncia 2025 citata. Se l’accertamento ha aumentato i ricavi di X, chiedere al giudice di determinare anche i costi correlati in via equitativa e quindi ridurre l’imponibile. Ad esempio: “l’ufficio presume €10.000 di ricavi non dichiarati; la margine di settore è 30%, quindi quel maggior volume d’affari implica almeno €7.000 di costi (detersivi, energia, manodopera) che non sono stati considerati; pertanto il reddito imponibile aggiuntivo, se anche si ritenesse esistente, sarebbe solo €3.000”. Ora la Cassazione ci dà man forte su questo. Non dimentichiamo di farlo valere, è un argomento di equità che può trovare accoglimento.
  • Sanzioni e qualificazione violazioni: in via subordinata, se proprio il merito fiscale fosse sfavorevole, sollevare questioni sulle sanzioni. Ad esempio: se l’evasione è modesta e il contribuente aveva in parte versato il dovuto (violazione “attenuata”), chiedere la riduzione delle sanzioni al minimo edittale. Oppure invocare la continuazione tra violazioni su più anni (se è un unico disegno evasivo, la sanzione può essere unica aumentata fino al doppio, e non cumulata anno per anno). O ancora, la non applicazione di sanzioni accessorie come la chiusura temporanea (che scatta oltre certi importi di scontrini non emessi) se ci sono ragioni di non gravità. Tutte queste argomentazioni possono portare almeno a un alleviamento del carico finale, anche se il tributo viene confermato.

In generale, il giudice tributario tende (o dovrebbe tendere) a una valutazione sostanziale: se l’ufficio ha usato parametri rigidi e il contribuente dimostra una realtà diversa, il giudice può rideterminare egli stesso l’imponibile. Ad esempio, ci sono sentenze che tagliano a metà i ricavi presunti, riconoscendo in parte valide le presunzioni e in parte le obiezioni del contribuente. Non è l’ideale (meglio vincere su tutto), ma spesso i contenziosi su questioni induttive finiscono con esiti “mediani”.

Un cenno meritano eventuali profili penali: se l’accertamento riguarda somme ingenti (in genere, evasioni IVA oltre 50.000 € annui, o imposte dirette evase oltre 100.000 € con incidenza oltre il 10% del dichiarato), l’Agenzia delle Entrate effettua una segnalazione alla Procura per reati di dichiarazione infedele od omessa dichiarazione. Il processo penale è separato e autonomo dal tributario, ma un esito favorevole nel tributario (ad esempio riconoscimento che in realtà l’imposta evasa è sotto soglia o che non vi fu occultamento fraudolento) può aiutare anche in sede penale come elemento difensivo. Viceversa, definire bonariamente la questione fiscale (es. con adesione e pagamento) è un fattore attenuante nel penale e in taluni casi estingue proprio il reato se fatto prima del dibattimento (per dichiarazione infedele). Insomma, avvocato tributarista e penalista dovrebbero coordinarsi quando c’è interazione. Nel caso tipico di lavanderia, comunque, i numeri raramente superano le soglie penali a meno di situazioni estreme, quindi spesso il penale non entra in gioco.

Simulazione pratica di difesa in giudizio – Caso di consumo energetico: Supponiamo che la Lavanderia Bianchi abbia ricevuto un avviso di accertamento per il 2022 in cui si contestano €30.000 di ricavi non dichiarati, determinati induttivamente dall’ufficio confrontando i kWh consumati (secondo le bollette Enel) con quelli medi di mercato per un lavaggio. In particolare l’ufficio argomenta: “Hai consumato 50.000 kWh in un anno; stimando 1 kWh per ogni kg di bucato lavato, e ricavo medio €2/kg, avresti dovuto fatturare €100.000, invece ne hai dichiarati €70.000, quindi €30.000 evasi”. La lavanderia presenta ricorso eccependo:

  1. Vizio formale: nell’avviso l’ufficio richiama le bollette Enel ma non le ha allegate, né ha spiegato come calcola 1 kWh=1 kg bucato = €2 (nessun riferimento a fonti o standard). Motivo: motivazione carente e per relationem a dati non conosciuti compiutamente dal contribuente (violazione art.7 L.212/2000).
  2. Merito – contestazione presunzione: Il coefficiente 1 kWh per kg è privo di fondamento tecnico – produce perizia ingegnere che attesta che i macchinari industriali consumano circa 0,5 kWh per kg allacciandosi alla rete a gas per il riscaldamento acqua (la stima del Fisco è gonfiata). Inoltre il ricavo medio non è €2/kg ma €1,5 perché la ditta applica sconti agli hotel convenzionati (allega contratti).
  3. Merito – prova contraria: Degli acquisti di energia elettrica, ben 10.000 kWh risultano in bolletta come “consumo stimato”: in realtà la società Elettrica ha sovrastimato e successivamente (nelle bollette 2023) ha conguagliato al ribasso di 8.000 kWh (allega bolletta di conguaglio del gennaio 2023). Quindi il consumo reale 2022 era molto inferiore, circa 42.000 kWh. Anche ammettendo i parametri dell’ufficio, questo ridurrebbe molto l’evasione presunta (sotto 5%).
  4. Merito – costi: In ogni caso, se davvero avesse lavato per ricavi non contabilizzati di €30.000, la lavanderia avrebbe sostenuto costi extra (saponi, manodopera straordinaria) per almeno €20.000 – l’ufficio non li ha considerati in violazione del principio di capacità contributiva; chiede quindi che l’eventuale reddito evaso sia calcolato al netto dei costi correlati, come da Cass. 19574/2025.
  5. Sanzioni: contesta l’entità (100%): chiede applicazione del minimo (90%) e della continuazione con eventuali altre violazioni anni precedenti (ha in corso anche 2021).

Il giudice, valutando tutto ciò, potrebbe ad esempio riconoscere che effettivamente l’ufficio ha usato un metodo rozzo: accoglie la perizia e stabilisce che non vi sono prove sufficienti di €30.000 evasi – semmai, rifacendo i calcoli, lo scostamento si ridurrebbe a €5.000. Considerando anche i costi, il reddito sottratto sarebbe minimale. Dunque, con sentenza, annulla l’accertamento in quanto infondato nel merito per carenza di prova (o in subordine lo ridetermina a €5.000 di imponibile recuperato con sanzione ridotta).

Questa simulazione mostra come si intrecciano gli argomenti tecnici (perizie, dati reali) e giuridici (onere della prova, presunzioni semplici, ecc.) per convincere il giudice. È cruciale parlare la lingua del giudice, ossia tradurre le ingiustizie fattuali in violazioni di norme (es. prova non grave=violazione art.39 c.1, onere prova non assolto; motivazione carente=violazione art.42, ecc.), altrimenti non avrà gli strumenti per accogliere.

Domande frequenti (FAQ) sulla difesa del contribuente (lavanderia) in accertamento

D: La mia lavanderia è stata oggetto di verifica dalla Guardia di Finanza: devo aspettarmi un avviso di accertamento?
R: Non necessariamente ogni verifica sfocia in un accertamento, ma spesso sì. Se durante la verifica non sono emerse irregolarità, potresti non ricevere nulla (o al più un “verbalino” di chiusura senza rilievi). Se invece nel PVC i verificatori hanno contestato evasione o violazioni, è probabile che – trascorsi i 60 giorni per le tue osservazioni – l’Agenzia delle Entrate emetta un avviso di accertamento recependo quelle conclusioni. Preparati dunque a far pervenire eventuali memorie difensive entro i 60 giorni dal PVC, e se l’avviso arriva, valuta subito gli strumenti deflativi (adesione, ecc.) o il ricorso.

D: Ho ricevuto un invito al contraddittorio dall’Agenzia, cosa devo fare?
R: L’invito al contraddittorio è un passaggio fondamentale: significa che l’ufficio ha riscontrato delle anomalie e, prima di emettere l’accertamento, ti dà modo di spiegare. Ti conviene partecipare attivamente all’incontro (di solito indicano una data, ma puoi concordarne un’altra se hai impegni) e/o inviare una memoria scritta dettagliata. Durante il contraddittorio, fornisci tutte le giustificazioni possibili, con documenti alla mano. Se riesci a convincerli, potresti evitare l’atto o ridurne l’entità. Se non riesci a convincerli, almeno avrai già mostrato le tue carte e potrai eventualmente proporre di definire con adesione una soluzione di compromesso. Ignorare l’invito peggiorerebbe la situazione: l’accertamento verrebbe emesso e saresti in posizione difensiva più debole (oltre al fatto che dal 2024 la mancanza di contraddittorio rende l’atto annullabile, ma in questo caso l’invito c’è stato quindi devi coglierlo).

D: La Guardia di Finanza ha trovato due scontrini non emessi su 100 clienti osservati: cosa rischio?
R: Se durante un controllo mirato (spesso fanno accessi brevi per verificare l’emissione dello scontrino) hanno constatato vendite in nero – ad esempio clienti serviti senza scontrino – redigeranno un verbale (PVC breve) che verrà trasmesso all’Agenzia. Due scontrini non emessi costituiscono violazione amministrativa (sanzione pecuniaria) e, se superano certe soglie (4 violazioni in 5 anni, o importo evaso sopra €50.000), possono far scattare la chiusura temporanea dell’esercizio (3 giorni) come sanzione accessoria. Fiscalmente, l’ufficio potrebbe presumere che su un campione osservato del 100% in cui 2% erano senza scontrino, lo stesso si applichi all’anno intero. Dunque potrebbe rettificare i ricavi aumentando del 2%. Puoi difenderti mostrando che magari quel giorno era anomalo, o che quei due erano casi particolari (errore cassiere, cliente che non ha voluto lo scontrino…). In genere per pochi scontrini non emessi, se l’importo è modesto, l’Agenzia potrebbe limitarsi alle sanzioni e non fare un accertamento analitico-induttivo. Se però li combinano con altre anomalie, potrebbero includerli come indizio in un quadro più ampio.

D: Come funziona la nuova giustizia tributaria? Il mio ricorso verrà letto con attenzione?
R: La riforma del 2022 (L. 130/2022) ha istituito le Corti di Giustizia Tributaria al posto delle Commissioni, con giudici professionali assunti per concorso. Ciò dovrebbe migliorare la qualità delle sentenze e l’attenzione ai dettagli. In primo grado il tuo ricorso sarà esaminato da un collegio di 3 giudici togati (più eventuali onorari in transizione). C’è ora la possibilità di prova testimoniale scritta (novità significativa, prima era del tutto vietata) e maggiore enfasi su orale e contraddittorio. Quindi sì, si spera in un esame più accurato. Tieni presente che le controversie sotto €3.000 possono essere decise monocraticamente da un giudice unico per snellire i tempi. E che in Cassazione ora sono possibili filtri di inammissibilità per ricorsi che non superano un “doppio conforme” o questioni di modesto valore, al fine di ridurre l’abuso dell’ultimo grado. Ma per la tua difesa concreta, la cosa importante è impostare bene i fatti e i motivi di diritto già dal primo grado, producendo documenti, perizie e quant’altro: il giudice tributario decide principalmente su atti scritti, l’udienza è di discussione breve. Se hai paura che non leggano tutto, evidenzia sinteticamente i punti chiave nelle conclusioni e magari con una memoria conclusiva riassuntiva prima della decisione.

D: Ho chiuso la lavanderia l’anno scorso, ma è arrivato un accertamento ora: posso ignorarlo visto che l’attività non esiste più?
R: No, non ignorarlo. La cessazione dell’attività non ti esonera dai debiti fiscali maturati durante l’attività stessa. Se era una ditta individuale, ne rispondi col tuo patrimonio personale presente e futuro (art. 2740 c.c.). Se era una società di persone, ne rispondono solidalmente i soci. Quindi l’accertamento va impugnato e gestito come se l’attività fosse in corso. Anche perché, se diventa definitivo, l’AdE Riscossione potrà procedere contro di te (esecuzioni sui beni personali, pignoramento stipendio, ecc.). L’unica differenza positiva è che se hai cessato con partita IVA chiusa, eventuali misure deflative come la composizione della crisi da sovraindebitamento potrebbero essere utilizzate per ridurre il carico complessivo (ma questo attiene più alla fase di riscossione e gestione debito, non all’impugnazione dell’atto in sé). Dunque rispondi all’atto come farebbe qualsiasi imprenditore in attività.

D: Se accetto l’adesione o pago in acquiescenza, non rischio che poi tornino a controllarmi di nuovo?
R: In teoria, definire un accertamento con adesione o acquiescenza chiude quella specifica annualità e partita fiscale in modo definitivo: l’ufficio non potrà più emettere un altro avviso per lo stesso anno su elementi noti (salvo scoprano in futuro elementi nuovi molto rilevanti, nel qual caso possono fare un accertamento integrativo, ma è raro e limitato a vere novità). Quindi non verrai controllato due volte sugli stessi fatti. Tuttavia, c’è da dire che se emerge che evadi sistematicamente, potresti essere messo “sotto osservazione” per gli anni successivi: quindi conviene dal momento della definizione in poi tenere la contabilità impeccabile, perché potresti avere altre visite. Ma se regolarizzi la tua posizione, non hai nulla da temere. In sintesi: adesione/acquiescenza chiude il contenzioso su quell’anno e quella materia; per il futuro dipende dal tuo comportamento fiscale.

D: In caso di accertamento fiscale a carico di una società (snc, srl) di lavanderia, chi ne risponde?
R: L’avviso di accertamento viene emesso verso il soggetto fiscale titolare del reddito: se la lavanderia è una ditta individuale, l’avviso è a tuo nome; se è una società di persone (snc, sas), l’avviso è intestato alla società ma automaticamente le imposte sui redditi accertati si riversano sui soci pro quota (transitando per trasparenza); se è una srl o altra società di capitali, l’avviso è a nome della società che ne risponde col proprio patrimonio. Attenzione però: in caso di società di persone, l’avviso va notificato anche ai soci per la loro quota di IRPEF, altrimenti la pretesa su di loro decade (principio del doppio binario). Inoltre, se la società è cessata o fallita, il Fisco può rivalersi sui soci o sul liquidatore in certi casi di irregolarità (ad esempio, se una snc si scioglie senza pagare le imposte, i soci illimitatamente responsabili restano debitori). Quindi, per farla semplice: se hai una snc lavanderia e arriva un accertamento IVA, paga la snc; se è IRPEF, pagano i soci; se la snc non paga, Agenzia Riscossione può andare sui soci per i debiti sociali. Se hai una srl, in genere solo la srl paga (il socio no), salvo casi di responsabilità del liquidatore o amministratore per atti distrattivi, che però vanno dimostrati in separato giudizio (non in sede di accertamento). Da notare: la chiusura della società non blocca gli accertamenti per periodi in cui era attiva. I soci liquidatori possono ricevere atti intestati alla “società cessata in persona del liquidatore” e ne rispondono entro i limiti delle attività sociali distribuite. La materia è complessa, ma la regola base è: chi ha beneficiato dei redditi evasi (socio o ditta individuale) ne porta il carico tributario.

D: Quali documenti devo conservare e presentare in caso di controllo fiscale?
R: Devi conservare per legge i documenti contabili e fiscali per almeno 5 anni (in pratica, fino a che non scadono i termini di accertamento). Per una lavanderia, i documenti chiave sono: i registri IVA (corrispettivi, acquisti), le ricevute fiscali o scontrini (oggi molte sono memorizzate elettronicamente, ma se hai ancora ricevutari, conservali), le fatture emesse e ricevute, gli estratti conto bancari, le schede dei macchinari (per eventuali giustificazioni tecniche), eventuali libri giornale o registri incassi (non obbligatori per chi fa corrispettivi, ma se li hai aiutano). In sede di verifica, tutto ciò che provi la tua versione dei fatti va messo a disposizione. Ad esempio, se dici “quel mese ho chiuso 10 giorni per ferie, ecco l’avviso affisso e il registro del personale assente”, devi avere qualcosa che lo attesti. Oppure se affermi “quel macchinario era guasto”, esibisci la fattura del tecnico che l’ha riparato. Inoltre, conserva copie di bollette utenze, contratti con clienti (specie se fai servizi per aziende, contratti scritti di appalto lavaggio), buste paga dipendenti (per mostrare quante persone lavoravano e quante ore, a supporto di quanti capi potevate lavare). Più dati oggettivi fornisci, più renderai credibile la tua posizione rispetto a stime sommarie del Fisco.

D: I giudici tributari possono ridurre loro la pretesa se la trovano eccessiva?
R: Sì. Il giudice tributario ha il potere di valutare nel merito la pretesa fiscale e, se ritiene che l’ufficio abbia accertato un reddito maggiore del reale, può accogliere il ricorso anche parzialmente, rideterminando l’imposta dovuta. Non è vincolato al “prendere o lasciare” l’accertamento (a differenza del giudice civile con le domande di parte). Quindi potrebbe, ad esempio, dichiarare dovuti €10.000 di imponibile invece dei €30.000 contestati (annullando l’eccedenza). In tal caso la sentenza svolge essa stessa un ruolo accertativo. Ciò capita quando il contribuente fornisce elementi tali da convincere il giudice che la verità sta nel mezzo. Ovviamente, se il contribuente prova completamente la sua estraneità alle accuse, la Commissione annullerà in toto l’atto. Ma in cause induttive, una via di mezzo è frequente. La Cassazione ha però ammonito che il giudice non deve inventare criteri nuovi arbitrari: se ridetermina, deve basarsi su elementi emersi in causa (ad es. accetta il tuo calcolo alternativo). Un consiglio utile: nelle conclusioni del ricorso, formula sempre anche una domanda subordinata di rideterminazione (es: “in via gradata, la Commissione voglia ridurre la ripresa ad imponibile diverso da quello preteso, secondo equità e giustizia”). Così lo metti nelle condizioni di poterti dare ragione anche parziale.

D: Ho vinto in Commissione! Ora l’Agenzia deve rimborsarmi le spese legali?
R: In caso di vittoria, il giudice tributario può condannare la parte soccombente (quindi l’Agenzia) a rifondere le spese di lite al contribuente. È abbastanza comune soprattutto quando il contribuente era assistito da un professionista e presenta nota spese. Le spese vengono liquidate di solito secondo parametri forensi (per valore causa, fase di studio, ecc.). Non aspettarti cifre enormi: spesso liquidano meno del richiesto. Comunque, se vinci integralmente, chiedi sempre la condanna alle spese. Se vinci parzialmente, il giudice può compensarle (cioè ognuno paga le sue) oppure dividerle. La riforma 2022 ha anche introdotto un incentivo: se ottieni ragione in giudizio e c’era stata una proposta di conciliazione rifiutata dall’AE più favorevole del risultato ottenuto, il giudice deve tenere conto del rifiuto della controparte per aggravare le spese a suo carico. Questo per stimolare accordi. Quindi sì, in caso di vittoria potresti recuperare i costi di difesa (al netto di quanto paghi al tuo avvocato, di solito l’avvocato accetta la liquidazione giudiziale come soddisfacente se equa, altrimenti potreste aver concordato altro). Tempi: l’Agenzia tende a pagare entro qualche mese su apposita richiesta. Se non paga, hai titolo esecutivo per recuperarle coattivamente.

Simulazioni pratiche

Presentiamo ora alcune simulazioni pratiche che illustrano scenari tipici in cui può trovarsi un titolare di lavanderia dopo un accertamento fiscale, e le strategie difensive/soluzioni adottabili. Questi esempi, pur semplificati, si basano su situazioni realmente verificatesi e offrono un riscontro concreto di quanto discusso finora.

Caso A: Lavanderia self-service con consumi anomali (accertamento induttivo)
Mario gestisce una piccola lavanderia self-service a gettoni. Nel 2023 dichiara ricavi per €40.000. L’Agenzia delle Entrate, incrociando i dati dei corrispettivi telematici e delle utenze, nota che i consumi di acqua risultano molto alti (500 m³) rispetto a ricavi così modesti. Invita Mario al contraddittorio, sostenendo che in base a quei consumi i ricavi avrebbero dovuto essere almeno €60.000.

Azione: Mario, assistito dal suo commercialista, partecipa al contraddittorio. Spiega che la sua lavanderia ha avuto un grosso problema all’impianto idraulico: una perdita occulta nella tubatura principale ha causato dispersione di acqua per mesi, tant’è che ha dovuto eseguire lavori di riparazione a novembre (esibisce fattura dell’idraulico di €3.000). Mostra inoltre che la torre di gettoniera era difettosa e registrava male gli incassi: infatti a fine anno l’ha sostituita (presenta documentazione di assistenza tecnica). Propone di definire la situazione con un’adesione su una base imponibile di €50.000, riconoscendo in parte un probabile maggior ricavo ma non €20.000 come da invito. L’ufficio, viste le prove della perdita d’acqua (che giustifica in parte i consumi) e considerata la buona fede dimostrata da Mario (che ha anche tempestivamente segnalato la questione al gestore idrico chiedendo rettifica della bolletta), accetta in adesione €50.000 come nuovo ricavo. Le imposte aggiuntive ammontano a €2.000 e le sanzioni, ridotte ad 1/3, a €600. Mario paga il dovuto e chiude la vicenda in pochi mesi, evitando il contenzioso.

Commento: In questo caso l’adesione stragiudiziale è stata fruttuosa perché il contribuente aveva elementi oggettivi a discarico (perdita d’acqua documentata) e ha mostrato collaborazione. L’ufficio ha valutato che probabilmente in giudizio avrebbe ottenuto comunque una riduzione (non potendo ignorare la perdita) e ha preferito incassare subito. Mario ha spuntato un esito accettabile (solo €10k di imponibile aggiunto anziché 20k). Avendo sanato i problemi tecnici (tubature e gettoniera), per il futuro ridurrà drasticamente il rischio di nuovi accertamenti.

Caso B: Lavanderia tradizionale familiare – contestazione di ricavi in nero tramite “capi trattati” (accertamento analitico-induttivo)
La ditta individuale “Lavando” di Giulia gestisce una lavanderia/tintoria con servizio al pubblico e convenzioni con alcuni ristoranti (per tovagliati). Nel 2022 fattura €80.000. Nel 2024 la Guardia di Finanza effettua una verifica: controllando i documenti, rileva che per l’anno 2022 Giulia ha acquistato un numero di etichette/copriabiti (quelli di plastica trasparente usati per consegnare gli abiti ai clienti) sproporzionato rispetto al numero di scontrini. In particolare: 10.000 copriabiti acquistati, a fronte di 6.000 capi lavati dichiarati. I verificatori presumono che i restanti 4.000 copriabiti siano stati usati per altrettanti capi riconsegnati “in nero” ai clienti. Contestano perciò ricavi non dichiarati stimando €15 per capo, dunque €60.000 di ricavi occultati. L’Agenzia delle Entrate emette avviso di accertamento per maggiori ricavi €60.000 (imposte IRPEF+IVA dovute circa €25.000, sanzioni 100%).

Azione: Giulia ricorre in Commissione Tributaria. Nel ricorso, il suo avvocato evidenzia che la presunzione è del tutto semplicistica: non tutti i copriabiti corrispondono a vendite. Porta in giudizio le seguenti prove:

  • Una dichiarazione giurata del fornitore di copriabiti che attesta come il lotto fornito a Giulia fosse il quantitativo minimo ordinabile e che molti copriabiti spesso si danneggiano o vengono doppiati su capi particolarmente voluminosi.
  • Il registro di tintoria tenuto internamente (anche se non obbligatorio) dove Giulia annotava ogni commessa: da questo risultano circa 6.200 capi registrati, in linea con i 6.000 scontrini (differenza dovuta ad alcuni capi multipli su uno stesso scontrino).
  • Le testimonianze scritte di 3 ristoranti convenzionati che confermano che Giulia riconsegnava i capi in portabiti riutilizzabili (sacchi di tela personali) e non in plastica, quindi per quelle grosse commesse non venivano impiegati copriabiti monouso.
  • Un conteggio che mostra che circa 1.000 copriabiti vennero utilizzati per proteggere i capi in magazzino durante la chiusura Covid (Giulia era rimasta con molto invenduto nel 2020 e li aveva coperti per evitare polvere; nel 2022 ha buttato quei copriabiti deteriorati e ne ha riacquistati).
  • Infine, contesta la quantificazione €15 a capo come arbitraria: esibisce listino prezzi, da cui risulta che molti capi piccoli (cravatte, foulard) pagano €5 o meno, quindi usare €15 come media è eccessivo.

In udienza, l’avvocato insiste sul fatto che l’ufficio non ha prove solide ma solo un ragionamento ipotetico non rispondente alla realtà economica (capi di vestiario non equivalgono a copriabiti in rapporto 1:1). Chiede l’annullamento integrale, o in subordine una forte riduzione considerando che al più 1.000 capi extra potrebbero esserci stati, il che porterebbe a €5-10k di ricavi non fatturati, non 60k. La Commissione esamina le prove: trova convincente il registro interno (non smentito da GdF) e ritiene plausibile l’uso alternativo dei copriabiti. Osserva anche che lo scostamento tra ricavi dichiarati e studi di settore per quell’anno era minimo, coerente con l’assenza di evasione macroscopica. Pertanto, accoglie il ricorso di Giulia, annullando totalmente l’accertamento per difetto di gravità e precisione della presunzione (copriabiti non dimostrano vendite in nero, troppe variabili ignorate). Condanna l’Ufficio alle spese. Giulia si vede così cancellare l’intera pretesa senza pagare nulla.

Commento: Qui la difesa ha avuto successo smontando la presunzione su più fronti: tecnico (usi diversi dei copriabiti), logico (prezzi medi errati, convenzioni con sacchi riutilizzabili) e contabile (registro interno congruente con scontrini). La chiave è stata fornire prova contraria dettagliata, come la legge consente. La CTR ha potuto facilmente motivare la decisione citando la mancanza dei requisiti di gravità e concordanza della presunzione (art. 39 DPR 600) e richiamando precedenti giurisprudenziali sul fatto che un singolo indizio isolato (quantità di copriabiti) non basta se il contribuente offre spiegazioni credibili.

Caso C: Rateizzazione e strumenti post-accertamento (azienda in difficoltà)
La ditta “Lavaggi Rapid” (snc) subisce un accertamento per IVA non versata e ricavi non dichiarati su tre annualità, per un totale di €120.000 tra imposte e sanzioni. I soci ritengono le pretese esagerate ma, a corto di liquidità e scoraggiati, non presentano ricorso nei 60 giorni. L’atto diventa definitivo e Agenzia Riscossione notifica cartelle di pagamento. Nel frattempo la società è stata messa in liquidazione e chiusa, ma i debiti restano a carico dei soci. Uno dei due soci, Luca, si trova esposto personalmente per circa €60.000 (la sua quota).

Azione: Non avendo impugnato in tempo l’accertamento (per ignoranza o cattiva consulenza), i soci ora hanno come unico terreno d’azione la fase di riscossione. Luca, che ha anche altri debiti (banche, fornitori), decide di sfruttare gli strumenti di composizione della crisi da sovraindebitamento. Si rivolge a un avvocato esperto e presenta un piano del consumatore al tribunale ex L. 3/2012 (oggi Codice della Crisi, art. 67 CCII), dichiarando tutti i suoi debiti. Nel piano offre di pagare in 4 anni il 50% dei debiti fiscali e parte degli altri, sfruttando il reddito da una nuova attività di lavoro dipendente che ha intrapreso. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione partecipa alla procedura. Il tribunale omologa il piano, giudicando Luca meritevole (ha chiuso l’attività e non c’è frode). Grazie a ciò, le cartelle fiscali vengono bloccate (sospensione delle esecuzioni) e Luca inizia a pagare le rate previste. Dopo 4 anni, ottenuto l’esito positivo, il tribunale esdebita Luca dai debiti residui (compreso l’eventuale 50% fiscale non pagato).

Commento: Questa simulazione evidenzia che, dal punto di vista del debitore, esistono vie di uscita anche quando l’accertamento è ormai definitivo e l’azienda è cessata. Certo, sarebbe stato meglio impugnare subito e non arrivare a 120k di debiti. Ma se succede, strumenti come le procedure da sovraindebitamento (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata) possono offrire un fresh start. Luca in pratica paga il sostenibile e ottiene la cancellazione del resto. Va notato però che queste procedure richiedono requisiti (non essere imprenditore fallibile, agire in buona fede, ecc.) e l’intervento di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi). Inoltre, se il debitore possiede beni, potrebbe doverli liquidare. Nel caso di specie, Luca non aveva immobili propri, altrimenti Agenzia Entrate avrebbe potuto iscrivere ipoteca e opporsi di più.

Caso D: Successo parziale in appello (conciliazione)
Giovanni, titolare di una lavanderia, perde in primo grado il ricorso contro un accertamento da €30.000 di imponibile (basato su studi di settore). La Commissione rigetta sostenendo che Giovanni non ha fornito prove sufficienti e dando ragione all’ufficio. Giovanni fa appello. Durante l’appello, il difensore di Giovanni nota che nel frattempo è uscita una sentenza di Cassazione a Sezioni Unite che stabilisce un principio a lui favorevole sulla necessità del contraddittorio nelle procedure da studi di settore. Decide di usarla come jolly. In udienza di secondo grado, prima di discutere, il difensore la illustra all’ufficio legale dell’AE, facendo capire che se non mollano potrebbe vincere. L’ufficio, valutato il rischio, propone una conciliazione giudiziale: ridurre l’imponibile a €15.000, con sanzioni al 40% (per via della conciliazione stessa) e ognuno paga le proprie spese.

Azione: Giovanni accetta la conciliazione (anche perché intanto la sua attività va bene e può pagare quell’importo senza troppi problemi). La Corte d’Appello Tributaria ratifica l’accordo con sentenza che sostituisce l’accertamento. Giovanni paga le rate concordate e chiude definitivamente la controversia.

Commento: Qui vediamo come in appello si possa ancora negoziare. La mossa vincente è stata far leva su un nuovo orientamento giurisprudenziale (forse la citata D.Lgs. 219/2023 con obbligo contraddittorio) per indurre l’Agenzia a evitare una possibile sconfitta completa. Giovanni finisce per pagare la metà di quanto originariamente chiesto. La conciliazione gli consente anche di avere sanzioni ridotte (normalmente sarebbero state il 90-100%, in conciliazione prima dell’udienza d’appello sono ridotte al 40% del minimo edittale) e di chiudere subito. Avrebbe forse potuto vincere tutto in appello, ma la conciliazione elimina l’incertezza e gli evita di attendere Cassazione. Questa strategia misto-processuale è spesso sensata quando la posta in gioco non è enorme e si vuole evitare ulteriori lungaggini.


Come si evince dai casi pratici, ogni situazione richiede un adattamento delle regole generali al caso concreto, con buon senso e creatività. Il denominatore comune, tuttavia, è che il contribuente (o meglio il suo consulente) conosca a fondo i propri diritti e le opportunità offerte dall’ordinamento: dall’obbligo di motivazione dell’accertamento, al diritto al contraddittorio, fino alle chance di composizione agevolata o di tutela giudiziale. Una lavanderia ben assistita può certamente difendersi efficacemente e, se in buona fede, far valere le proprie ragioni contro pretese fiscali infondate o sproporzionate.

Conclusioni

Affrontare un accertamento fiscale per una lavanderia – sia essa una piccola impresa a conduzione familiare o un self-service automatico – è sicuramente impegnativo, ma non significa essere senza difese. Come abbiamo visto, l’ordinamento tributario italiano offre una serie di tutele procedurali (lo Statuto del Contribuente, il contraddittorio, i termini da rispettare) e strumenti di definizione (adesione, mediazione, ecc.) che possono ridurre drasticamente l’impatto di una verifica fiscale. Il punto di vista del debitore dev’essere sempre tenuto fermo: ciò significa far valere con determinazione i propri diritti e non subire passivamente eventuali errori o arbitri dell’Amministrazione finanziaria.

Una guida avanzata come questa mostra come un contribuente (assistito da un professionista preparato) possa ribaltare situazioni inizialmente sfavorevoli: accertamenti fondati su parametri standard o presunzioni semplici possono essere annullati se non corroborati da prove solide, in ossequio ai principi giurisprudenziali che richiedono gravità e precisione negli indizi. Allo stesso tempo, quando qualche irregolarità c’è stata, conviene adottare un approccio pragmatico e utilizzare gli strumenti deflativi per limitare le sanzioni e diluire l’esborso.

Dal punto di vista pratico, chi gestisce una lavanderia dovrebbe:

  • Mantenere una contabilità regolare e trasparente, documentando anche aspetti non obbligatori (es. tenere un registro dei capi, conservare contratti e ricevute) che poi possono risultare utili in sede di prova.
  • Monitorare gli indici di bilancio/settore: ad esempio, se il proprio ISA dà punteggio basso o se margini e consumi risultano anomali, indagare le cause e, se legittime, preparare sin d’ora un dossier di spiegazione. Meglio prevenire le domande del Fisco con annotazioni chiare (es. allegare ai bilanci una nota su “perdita idrica straordinaria”).
  • In caso di controllo, collaborare ma con consapevolezza: fornire ciò che è richiesto, ma anche far mettere a verbale le proprie dichiarazioni e osservazioni. Non aver timore di far valere i termini di legge (ad esempio, ricordare gentilmente ai verificatori quando scadono i 30 giorni, se si sta sforando).
  • Valutare, una volta ricevuto un avviso, con mente fredda e consigli esperti, le opzioni: un accordo può essere più vantaggioso di una vittoria totale se quest’ultima è incerta o lontana negli anni; viceversa, se l’atto è abnorme, occorre impugnarlo senza indugio per non legittimarlo.
  • Utilizzare la giurisprudenza: molte lavanderie hanno già vinto cause importanti (come visto nei riferimenti a CTR Sardegna 2018, Cassazione 2017, 2014, 2010, ecc.). Citare e allegare queste decisioni simili può influenzare positivamente il giudizio, uniformando l’interpretazione a favore del contribuente.

In definitiva, un accertamento fiscale non va mai ignorato né preso sottogamba. Ma con la giusta strategia – fatta di tempestività (mai far scadere i termini), conoscenza delle norme (anche le più recenti innovazioni pro-contribuente come il contraddittorio generalizzato) e delle sentenze di riferimento, e preparazione di prove convincenti – anche Davide (il piccolo imprenditore) può vincere contro Golia (il Fisco). Questa guida ha cercato di fornire gli strumenti tecnici e pratici per farlo. Le fonti normative e giurisprudenziali elencate di seguito rappresentano l’armamentario con cui combattere: dalla conoscenza nasce la capacità di difendersi e di ottenere, in sede amministrativa o giudiziaria, giustizia tributaria.

Fonti

  • Normativa primaria:
    • D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 (accertamento induttivo e analitico-induttivo).
    • D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 (accertamento IVA).
    • L. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del Contribuente): art. 7 (obbligo di motivazione); art. 12 (diritti del contribuente durante le verifiche, termine 60 giorni per memorie); art. 6-bis (introdotto da D.Lgs. 219/2023: obbligo generale di contraddittorio a pena di annullabilità); art. 7-quinquies (introdotto da L. 130/2022: inutilizzabilità delle prove raccolte oltre i termini di permanenza); art. 7-sexies (notifica degli atti tributari).
    • D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218: art. 5 (accertamento con adesione, sanzioni ridotte a 1/3 del minimo); art. 6 (adesione in caso di PVC); art. 8 (effetti dell’adesione); art. 15 (acquiescenza, riduzione sanzioni a 1/3 di quelle irrogate); art. 5-ter (invito al contraddittorio obbligatorio dal 2020, introdotto da DL 34/2019 conv. L. 58/2019, v. Circ. AE 17/E/2020).
    • D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (contenzioso tributario): art. 17-bis (reclamo e mediazione sino a €50.000); art. 6, comma 5 (sospensione dell’atto impugnato in caso di grave danno); art. 7 (poteri delle commissioni, consulenza tecnica e oggi testimoni scritti); art. 46 (conciliazione giudiziale); art. 68 (riscossione frazionata: 1/3 dopo primo grado, 2/3 dopo secondo grado).
    • D.Lgs. 74/2000, art. 13 (cause di non punibilità penale tributaria mediante pagamento integrale tributi e sanzioni).
    • Codice Civile: art. 2740 (responsabilità patrimoniale illimitata del debitore).
    • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, modificato D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024): artt. 65-73 (piano del consumatore e concordato minore); art. 268 (liquidazione controllata); art. 282 (esdebitazione finale).
  • Prassi amministrativa:
    • Circolare Agenzia Entrate 22 giugno 2020, n. 17/E – Obbligo di invito al contraddittorio (chiarisce applicazione art. 5-ter D.Lgs. 218/97).
    • Provvedimento AE 31 gennaio 2019 – Introduzione ISA (sostituzione studi di settore).
    • Risposta interpello AE n. 417/2020 – Trasmissione corrispettivi per macchine a gettoni (autolavaggi): equiparazione lavanderie self-service a vending machines, obbligo memorizzazione elettronica.
    • Legge 29 dicembre 2022 n. 197 (Legge di Bilancio 2023), commi su “tregua fiscale” – definizione agevolata atti del 2019, stralcio mini-cartelle ecc. (per completezza, benché temporalmente limitati).
  • Giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione):
    • Cass. civ. Sez. V, 2 febbraio 2010, n. 2480 – Legittimità: annullato accertamento induttivo basato su consumi di energia stimati; valore alle letture reali da contatore (caso parrucchiere).
    • Cass. civ. Sez. VI-5, 23 luglio 2010, n. 17408 – Ristoranti: si può presumere i ricavi dal numero di bottiglie d’acqua vendute, ma con criterio ragionevole (c.d. bottigliometro).
    • Cass. civ. Sez. V, 8 marzo 2017, n. 5887 – Lavanderia industriale: la biancheria acquistata e utilizzata per il noleggio è bene strumentale ammortizzabile, quindi ammessa ad agevolazioni (credito d’imposta investimenti aree svantaggiate).
    • Cass. civ. Sez. V, 10 maggio 2017, n. 11559 – Studi di settore: necessità del contraddittorio; lo scostamento significativo unito a mancata giustificazione integra presunzione grave.
    • Cass. civ. Sez. V, 8 ottobre 2014, n. 20897 – Tintoria: legittimo accertamento induttivo basato su consumi elettrici; ammesse presunzioni semplicissime, onere prova al contribuente (sentenza commentata in La Stampa).
    • Cass. civ. Sez. Unite, 18 dicembre 2009, n. 26635 – Redditometro: legittimità se contribuente non prova specificamente che il maggior reddito presunto non esiste; contraddittorio necessario (orientamento poi evoluto).
    • Cass. civ. Sez. Unite, 9 dicembre 2015, n. 24823 – Contraddittorio: per i tributi “non armonizzati” (IRPEF, ecc.) l’assenza di contraddittorio non comporta nullità dell’atto, salvo obblighi di legge; conferma nullità invece per violazione art. 12 Statuto (mancato rispetto 60 giorni post-PVC). (N.B. Superata dalla norma del 2023 sull’obbligo generalizzato)
    • Cass. civ. Sez. V, 10 settembre 2020, n. 18767 – Nullità avviso per motivazione insufficiente/contraddittoria; studi di settore: contraddittorio obbligatorio, sua omissione vizia l’atto (in linea con giurisprudenza UE).
    • Cass. civ. Sez. V, 26 febbraio 2020, n. 10952 – Scostamento da studi di settore del 4,89% per grande azienda = grave incongruenza (€200k); principio che la gravità va valutata su base assoluta oltre che percentuale.
    • Cass. civ. Sez. V, 15 aprile 2019, n. 8854 – Scostamento 4,74% (€200k) non integra grave incongruenza, inidoneo a rettifica induttiva (con riferimento 2004).
    • Cass. civ. Sez. V, 22 ottobre 2021, n. 29535 – Studi di settore: necessaria regolare attivazione contraddittorio, altrimenti nullità (recepisce DLgs 218/97 art.5-ter in vigore).
    • Cass. civ. Sez. V, 26 febbraio 2021, n. 5366 – Motivazione contraddittoria equivale a inesistente => nullità accertamento.
    • Cass. civ. Sez. V, 17 gennaio 2023, n. 1202 – Natura impugnazione-merito del processo tributario: giudice può rideterminare l’imponibile.
    • Cass. civ. Sez. V, 15 febbraio 2023, n. 4662 – Accertamento induttivo puro: confermato diritto del contribuente a dedurre forfettariamente i costi correlati (anticipa principio poi ribadito in Cass. 19574/2025).
    • Cass. civ. Sez. V, 17 aprile 2023, n. 10192 – Presunzioni semplici e induttivo: giurisprudenza consolidata su utilizzo elemento unico purché grave e preciso.
    • Cass. civ. Sez. V, 15 luglio 2025, n. 19574Principio di diritto: in accertamento analitico-induttivo il contribuente può opporre presuntivamente costi non contabilizzati correlati ai maggiori ricavi presunti, che vanno detratti dall’imponibile. (Gazzetta Tributaria n.128/2025)
    • Cass. civ. Sez. V, ord. 23 dicembre 2024, n. 34158 – Sovraindebitamento: termine reclamo 6 mesi se omologa non notificata (procedura piano consumatore).
    • Cass. civ. Sez. V, 16 febbraio 2023, n. 5157 – Sovraindebitamento: omologa piano consumatore, limiti al reclamo dei creditori (conferma possibilità esdebitazione).
    • Cass. civ. Sez. VI, 17 luglio 2023, n. 22699 – Procedura da sovraindebitamento: ex imprenditore con debiti misti professionali/personali non è “consumatore” (niente piano consumatore se debiti d’impresa, serve concordato minore).
  • Giurisprudenza tributaria di merito e altre:
    • CTR Sardegna, 16 febbraio 2018, n. 135/2018 – Accertamento lavanderia basato solo su studi di settore annullato: contribuente provò situazione di crisi particolare (perse appalto ASL 80% introiti) ignorata dall’ufficio.
    • CTR Basilicata, 2006, n. 254/2/06 – Lavanderia: accertamento presuntivo su energia elettrica e parametri annullato dai giudici di primo grado per insufficienza degli scostamenti da studi settore. (Confermato in appello, presumibilmente, dato che citato in articolo)
    • CTP (ora CGT I grado) Milano, 2022 – Esempio di annullamento accertamento ISA per mancato contraddittorio applicando art. 5-ter D.Lgs.218 (primi effetti del contraddittorio obbligatorio generalizzato).
    • Tribunale di Salerno, 25 gennaio 2024 – Ammesso piano del consumatore per ex imprenditore con debiti misti (contrasto Cass. 22699/2023).
    • Corte Costituzionale, 7 aprile 2015, n. 37 – Illegittimità costituzionale del vecchio redditometro (D.M. 24/12/2012) per eccesso regolamentare; impone adeguamento normativo (poi D.M. 2015).
    • Corte Costituzionale, 5 luglio 2017, n. 228 – Legittimo regime di solidarietà soci-società per debiti tributari di società estinte, purché nel rispetto del contraddittorio con i soci. (Rilevante per responsabilità ex socio lavanderia).

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Conclusione

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Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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