Avviso Di Accertamento A Venditore Su Amazon: Come Difendersi

Hai ricevuto un avviso di accertamento fiscale come venditore su Amazon e non sai come reagire? Ti contestano ricavi non dichiarati, IVA non versata o flussi di denaro non giustificati tra la piattaforma e il tuo conto corrente?

L’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli sulle attività e-commerce, in particolare su chi vende tramite marketplace come Amazon, eBay o Etsy. Ma un accertamento non è una condanna: puoi difenderti, contestare le irregolarità e proteggere la tua attività.

Perché l’Agenzia controlla i venditori su Amazon?
Gli accertamenti nascono spesso da:
– Dati ricevuti direttamente da Amazon sui volumi di vendita
– Flussi di denaro provenienti da Amazon verso conti correnti non dichiarati
– Differenze tra le giacenze di magazzino e le vendite registrate
– Mancata apertura della partita IVA o utilizzo scorretto del regime forfettario
– Fatture non emesse o IVA non versata per vendite intracomunitarie

Cosa può contestare il Fisco a un venditore online?
– Ricavi non dichiarati derivanti da vendite effettuate tramite Amazon
– Attività svolta in modo abituale ma mai dichiarata (evasione d’imposta e contributiva)
– Operazioni con l’estero non tracciate correttamente
– Omessa fatturazione o violazione degli obblighi IVA
– Utilizzo indebito di regimi agevolati (forfettario, minimo)

Quando l’accertamento è illegittimo o contestabile?
– Se si basa solo su presunzioni o su dati incompleti
– Se il venditore era un privato occasionale e non obbligato alla partita IVA
– Se le vendite erano già state regolarmente dichiarate ma non riconciliate con i dati Amazon
– Se manca il contraddittorio o non è stata rispettata la procedura
– Se i movimenti contestati riguardano periodi prescritti

Come puoi difenderti da un avviso di accertamento come venditore Amazon?
Verifica con attenzione l’avviso ricevuto e richiedi l’accesso agli atti. Ricostruisci l’intero flusso delle vendite: report Amazon, estratti conto, fatture emesse, dichiarazioni fiscali. Dimostra se l’attività era occasionale o già regolarmente fiscalizzata. Partecipa al contraddittorio e presenta una memoria difensiva completa. Se hai commesso errori formali ma non evasione, valuta l’adesione per ridurre sanzioni. Se l’atto è viziato o sproporzionato, puoi fare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria.

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace?
– L’annullamento totale o parziale dell’accertamento
– La riduzione di imposte, sanzioni e interessi
– La possibilità di sanare la posizione con ravvedimento o adesione
– La tutela del tuo business da conseguenze patrimoniali o penali
– L’eventuale chiusura agevolata del contenzioso con la definizione

Vendere su Amazon non è reato, ma è un’attività che va inquadrata fiscalmente nel modo corretto. L’Agenzia può sbagliare i calcoli, ma se non ti difendi, rischi di subire conseguenze ingiuste.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati tributaristi esperti in accertamenti su e-commerce e vendite online ti spiega quando l’Agenzia può intervenire, cosa può contestarti e come rispondere per difendere la tua posizione.

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Introduzione

Il commercio online su piattaforme come Amazon espone il venditore a rischi fiscali specifici. Vendere regolarmente beni con finalità di lucro (anche senza ditta formale) implica obblighi di dichiarazione e IVA come per ogni impresa. Le autorità fiscali hanno oggi strumenti potenziati (es. DAC7) per conoscere i volumi di vendita dei marketplace, e possono notificare avvisi di accertamento ai venditori che non hanno adempiuto correttamente. Ricevere un avviso di accertamento significa essere formalmente contestati circa imposte (IRPEF, IVA, IRAP) non versate o redditi non dichiarati, più sanzioni e interessi.

Questa guida aggiornata (luglio 2025) spiega in dettaglio come capire e reagire ad un avviso di accertamento rice­vuto come venditore Amazon. Vengono illustrate le fasi della procedura di accertamento tributario (verbale di verifica, contraddittorio, inviti, cartella esattoriale), i rimedi amministrativi (ravvedimento, accertamento con adesione, reclamo-mediazione) e il percorso giudiziale (ricorso in Commissione tributaria, strategie difensive). Si considerano anche gli aspetti penali collegati (reati fiscali come omessa dichiarazione) e gli strumenti deflattivi del contenzioso (transazioni, composizione negoziata). La trattazione è tecnica, rivolta ad avvocati, professionisti, imprenditori e contribuenti avanzati, ma resta divulgativa. Viene dato ampio spazio a domande frequenti, tabelle riassuntive e casi pratici. Le fonti normative e giurisprudenziali sono indicate in fondo alla guida.

1. Vendere su Amazon e doveri fiscali

In Italia non esiste un regime speciale per il commercio elettronico: tutti i redditi da vendite online devono essere dichiarati e, se abituali, assoggettati a IVA. Se vendi come privato occasionale beni personali una tantum (es. vecchi mobili di casa), non hai obblighi fiscali particolari (non si configura impresa e non c’è IVA). Ma vendite ripetute e organizzate rientrano nell’attività di impresa anche senza un’azienda formale. La Cassazione (n. 7552/2025) ha infatti confermato che un privato che effettua molteplici vendite online in anni diversi realizza un reddito d’impresa, indipendentemente dalla forma giuridica: “l’abitualità dell’attività di vendita online in considerazione dell’elevato numero di transazioni effettuate in più anni determina la sussistenza di un’impresa”. In pratica, se vendi spesso e con continuità (anche da casa, senza grande organizzazione) puoi essere considerato imprenditore ai fini fiscali e devi aprire partita IVA e applicare IVA sulle vendite.

In sintesi, si distinguono tre casi:

  • Vendite episodiche: vendita di un singolo bene personale, eseguita eccezionalmente (ad es. la tua vecchia bici usata). Non c’è intento speculativo: il ricavo non è reddito imponibile e non serve partita IVA.
  • Vendite occasionali: alcune vendite saltuarie, anche senza partita IVA, ma con fine di lucro (ad es. svuoto la cantina e vendo vari oggetti). Non serve IVA né partita IVA, ma i proventi sono redditi diversi tassati in IRPEF sul margine (art. 67 TUIR). Vanno dichiarati nel quadro “RL” del modello Redditi Persone Fisiche, esponendo ricavi e costi.
  • Vendite abituali (attività d’impresa): commercio continuativo e organizzato, anche se casalingo. Si applica il regime d’impresa: redditi d’impresa (IRPEF o IRES) e IVA sulle cessioni. Obblighi di contabilità e dichiarativi come ogni impresa.

La tabella riepiloga le differenze principali:

Tipo di venditeCaratteristicheTrattamento fiscaleObblighi principali
Episodiche (una tantum)Vendita sporadica di beni personali, senza spirito di lucroNon imponibile (non sono redditi)Nessun obbligo fiscale particolare (no IVA, no P.IVA)
Occasionali (salvo eccezioni)Vendite saltuarie non continuative, con fine di lucro modestoRedditi diversi (art. 67 TUIR) sul margine (ricavi-costi)Dichiarare i proventi in IRPEF (quadro RL). Non c’è IVA né partita IVA obbligatoria (per frequenze basse). Possibili obblighi contributivi (gestione separata INPS) se superi soglie (es. €5.000).
Abituali (Impresa)Attività regolare e continuativa, organizzata anche minimamenteReddito d’impresa (IRPEF o IRES) su utile; IVA sulle venditePartita IVA obbligatoria, registri contabili e IVA, dichiarazioni periodiche IVA e redditi, adempimenti (saldo/ACCONTO) ecc.

Attenzione: la soglia fra occasionale e impresa non è predeterminata per legge, ma valutata caso per caso (numero transazioni, volume d’affari, organizzazione). La giurisprudenza è severa: anche senza scopo professionale, la ripetitività delle vendite con lucro costituisce presupposto d’imponibilità.

Inoltre, vanno considerati regimi particolari: se vendi in UE a consumatori, dal 1° luglio 2021 puoi utilizzare il regime OSS (One-Stop-Shop) per versare l’IVA in Italia anziché in ogni Paese, e dal 1° luglio 2021 per paesi extra-UE il regime IOSS per importazioni di beni di valore ridotto. Queste norme non creano esoneri di base, ma semplificano gli adempimenti. In caso contrario, potresti dover aprire partita IVA italiana (o comunitaria) e emettere fattura IVA nei mercati di destinazione.

2. Controlli fiscali sui venditori Amazon

L’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza hanno intensificato i controlli sul commercio elettronico. Chi vende tramite piattaforme come Amazon è oggi quasi impossibile da celare. Grazie a nuove normative europee e nazionale (es. la direttiva DAC7, introdotta da DLgs. n. 32/2023), i gestori delle piattaforme trasmettono all’Agenzia dati dettagliati sui ricavi dei venditori: numero di transazioni, compensi ricevuti, e così via. Allo stesso modo, gli istituti di pagamento e le banche segnalano all’Agenzia movimenti ripetuti di incassi sul conto (PSP/CESOP). In pratica, i sistemi di intelligence fiscale incrociano dati di Amazon (eBay, Etsy, etc.), conti correnti e dogane: ad esempio se un contribuente riceve molti bonifici da Amazon senza apparenti fonti di reddito dichiarate scatta automaticamente l’allarme.

In concreto, il contribuente potrebbe ricevere:

  • Lettera di compliance (invito al contraddittorio): prima di emettere l’avviso formale, l’Agenzia può inviare una richiesta scritta o un invito a comparire. Questi atti chiedono al venditore di fornire chiarimenti e documenti sui ricavi online (ad es. fatture, estratti conto, giustificativi di costi). La partecipazione è facoltativa ma fortemente consigliata, perché rappresenta il primo momento di confronto. Ad es., se risultano €50.000 di vendite non dichiarate, l’Agenzia ti invita a mostrare le ricevute di acquisto o spiegare se parte delle somme sono rimborsi o operazioni familiari. Un esito positivo (giustificazioni credibili, costi documentati) può far archiviare la verifica o ridurre l’accertamento.
  • Verbale di verifica (PVC): se il controllo è avvenuto in azienda (magari hai partita IVA) o tramite attività ispettiva, viene redatto un PVC della Guardia di Finanza. Il contribuente può inserire osservazioni, ed è previsto il diritto di visionare i documenti copiati. Trascorsi i termini del verbale, l’ufficio può emettere l’avviso di accertamento basato sulle risultanze del PVC.

Se dalle fasi di verifica emergono irregolarità, si procede all’avviso di accertamento. Ciò avviene quando l’ufficio ritiene di avere elementi sufficienti (dati di ricavi incrociati, mancata documentazione, etc.). L’avviso viene notificato per posta o via pec e quantifica le imposte aggiuntive dovute per i periodi esaminati (ad es. IRPEF da redditi non dichiarati, IVA presunta, IRAP se del caso). È tipicamente un atto impo-esattivo (DL 78/2010): trascorsi 60 giorni diventa titolo esecutivo per la riscossione coattiva. In esso devono essere indicate le ragioni del contendere (es.: “l’Agenzia ha rilevato da report Amazon vendite per €X senza controdedurre costi”) e i criteri di calcolo. Spesso si tratta di un accertamento induttivo puro, basato su presunzioni semplici di reddito tratte dai flussi bancari o report delle piattaforme. In questi casi l’onere di provare concretamente i costi o l’eventuale natura non imponibile dei proventi (es. beni personali) grava sul contribuente.

Termini: dopo la notifica dell’avviso, il contribuente ha 60 giorni per reagire (versare o impugnare). In quell’arco può anche attivare l’accertamento con adesione (è un’istanza in cui si negozia con l’ufficio una possibile riduzione della pretesa). Trascorsi 60 giorni senza pagamento, l’avviso diventa definitivo e viene trasformato in ruolo per la riscossione.

3. La prima risposta: contraddittorio e ravvedimento

Non appena arrivi a conoscenza di un controllo (lettera, invito, PVC), è fondamentale agire. Ignorare gli avvisi preliminari è rischioso: la mancata partecipazione al contraddittorio può persino portare all’annullamento dell’atto, ma solo se il giudice riconosce che il contribuente avrebbe potuto modificare l’esito dell’accertamento. In pratica:

  • Se ricevi un invito a comparire o questionario (chiamato anche “contraddittorio endoprocedimentale”), rispondi dettagliatamente entro il termine. Fornisci documenti originali che dimostrino la natura dei pagamenti. Ad esempio, potresti spiegare che alcune somme non sono ricavi ma rimborsi o prestiti tra privati, o che riguardavano la vendita di un bene personale già in parte tassato. Se hai effettivamente omissioni, valuta il ravvedimento operoso: entro 90 giorni dalla dichiarazione omessa puoi presentare dichiarazioni tardive integrative pagando imposte e sanzioni ridotte (in genere 1/10 del minimo sanzionatorio per omessa dichiarazione). Ciò evita l’avviso di accertamento, fermo restando il pagamento degli importi dovuti con interessi.
  • Se credi di essere in regola (es. hai venduto beni personali esenti), presenta osservazioni dettagliate. Cita norme e sentenze: ad es. “la vendita di arredi della propria abitazione non costituisce attività di impresa poiché manca intento speculativo”. In generale, il contribuente deve mostrare che le contestazioni non reggono. Se le spiegazioni sono convincenti, l’ufficio potrebbe archiviare il procedimento o ridurre contestazioni.

Questa fase preventiva è fondamentale per strumenti deflattivi: in molti casi è possibile chiudere la questione senza avviso definitivo, ad esempio tramite mediazione fiscale (art. 17-bis D.Lgs. 546/92) o reclamo-accertamento. Negli anni recenti è stato stabilito che qualunque avviso impugnabile deve essere preceduto da un contraddittorio, pena annullamento. Dal 30 aprile 2024 (D.Lgs. 219/2023, art. 6-bis Statuto del contribuente) il contraddittorio endoprocedimentale è obbligatorio per quasi tutti gli accertamenti: se l’ufficio non ti ha mai fatto “comparire” o chiederti spiegazioni, ciò costituisce spesso vizio formale dell’avviso.

Nota sulle scadenze: dopo notificazione dell’avviso il tempo per impugnare è di 60 giorni (art. 19 D.Lgs. 546/92). Anche prima, spesso il contribuente può chiedere un incontro (videochiamata o frontale) per chiarire le posizioni (su richiesta). Bisogna annotare tutto (protocollo, pec, ricevute postali) e, se possibile, farsi affiancare da un professionista per preparare risposte persuasive.

4. Avviso di accertamento: analisi e opzioni

Se sei arrivato all’avviso di accertamento formale, devi valutare con attenzione ogni voce. Leggi bene motivazione e calcoli: il Fisco deve spiegare sulla base di quali dati ha quantificato l’imposta mancata (es. “dai report di Amazon risulta un fatturato di €X”), e come ha calcolato sanzioni e interessi. Controlla i termini di notifica (art. 43 DPR 600/1973 prevede 60 giorni per Poste italiane) e il rispetto della prescrizione (generalmente 5 anni dal termine di presentazione della dichiarazione).

Poi valuta due strade amministrative:

  • Pagamento (acquiescenza): se l’importo non è troppo elevato e in parte puoi accettarlo, il pagamento entro 60 giorni consente la chiusura con riduzione delle sanzioni a un terzo del minimo. Ad es., per omessa dichiarazione si passa dal 90% al 30%. L’avviso stesso spesso indica la quota da versare per beneficiare di tale sconto. Pagare in acquiescenza equivale a rinunciare al ricorso: è consigliabile solo se ritieni valida la contestazione. In certi casi (sanatorie fiscali 2023, “pace fiscale”) è possibile definire l’accertamento con ulteriori sconti, ma queste misure hanno scadenze prefissate.
  • Accertamento con adesione: entro 60 giorni dalla notifica puoi presentare istanza di adesione (art. 6 D.Lgs. 218/97), che sospende i termini del ricorso per 90 giorni. In questa procedura negoziale, tu e l’ufficio confrontate calcoli e documenti, cercando un accordo. Per un venditore Amazon si può usare l’adesione per contestare voci dell’avviso: ad esempio far valere costi di acquisto della merce non considerati, o argomentare che parte dei ricavi fossero redditi diversi (occasionale). In caso di accordo si firma un verbale e si chiude con sanzioni minime (1/3). Se però l’avviso è del tutto infondato, l’adesione non conviene (meglio impugnare direttamente).
  • Istanza di autotutela: teoricamente puoi chiedere all’Agenzia di annullare l’avviso se ci sono errori palese (es. doppia imposizione, calcolo errato delle sanzioni). In pratica questa strada è rara e serve quando l’errore è evidente e l’ufficio vuole “rettificare” prima del ricorso.

Ogni azione amministrativa (acquisto, adesione, istanza) deve essere valutata con attenzione: richiede intervento del contribuente, competenze fiscali e talvolta costi di consulenza, ma può evitare un lungo contenzioso.

5. Impugnazione dell’avviso: contenzioso tributario

Se decidi di non pagare o fare definizioni, entro 60 giorni dall’avviso va presentato ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) del luogo di notifica (L. 212/2000, art. 13; D.Lgs. 546/92, art. 19). In appello la CTP Regionale, infine in Cassazione. I punti chiave della difesa possono riguardare:

  • Qualificazione dell’attività: puoi contestare l’inquadramento come impresa. Se sostieni di essere stato mero venditore occasionale, devi portare prove sul carattere saltuario delle vendite (poche operazioni, carenza di organizzazione, provenienza di beni personali). Come visto, l’orientamento della Cassazione è sfavorevole: l’abitualità sussiste se ci sono molte vendite. Dovresti dimostrare il contrario (ad es. redditività trascurabile, acquisti sporadici). Attenzione: se stimi alta la probabilità di impresa, potresti concentrare gli sforzi su altri punti di difesa.
  • Esistenza di costi deducibili: è frequente che l’Agenzia calcoli imposte su ricavi lordi (soprattutto in accertamenti induttivi). Tu devi dimostrare tutti i costi sostenuti per procurare la merce venduta (acquisti fornitore, spese di importazione, spese di spedizione, ecc.). Ad esempio, se l’accertamento presume 50.000€ di ricavi e non citi costi, puoi presentare fatture d’acquisto o estratti conto bancari che dimostrano che quei beni costavano realmente 30.000€. Il reddito imponibile reale sarebbe così di 20.000€, non 50.000. Documenti fondamentali sono: estratti conto correnti o PayPal, ricevute doganali, fatture fornitori e ogni altro giustificativo.
  • Natura di alcune somme: spesso nelle transazioni online ci sono movimenti non imponibili (rimborsi, depositi cauzionali, prestiti tra amici). Se nell’avviso sono stati sommati agli incassi, devi separarne la natura. Ad es. potresti spiegare che alcuni accrediti su PayPal erano rimborso di oggetti restituiti (perciò non sono ricavi). O che una parte delle vendite riguardava un bene personale (una bici propria), escluso per carenza dell’attività commerciale. Annotazioni e concordanze tra documenti (contratti, chat di vendita) aiutano. Più chiari e dettagliati sono i tuoi chiarimenti, più alta la probabilità di ottenere uno sgravio parziale.
  • Vizi di forma e procedurali: verifica che l’avviso sia regolare. Ad esempio, dopo la riforma del 2024, ogni avviso impugnabile deve indicare l’avvio di un contraddittorio endoprocedimentale. Se l’ufficio non ti ha mai invitato a comparire e non sei in una delle eccezioni ministeriali (attacchi automatici, accertamenti con liquidazione d’ufficio), puoi far valere la nullità o inammissibilità dell’atto per violazione del diritto al contraddittorio. I tribunali amministrativi (Commissioni tributarie) spesso annullano avvisi in tali casi. Controlla anche la legittimità della notifica (rispetto dei termini di decadenza di 4-5 anni) e la completezza della motivazione. Se l’atto manca di elementi essenziali (es. “motivazione insufficiente”), può essere annullato.
  • Soggettività dell’imposta: in casi molto particolari potresti sostenere che tu formalmente non eri il soggetto passivo. Ad es. se usavi l’account di un parente maggiorenne o incapace, la tassazione potrebbe dover essere riferita a quest’ultimo. Tuttavia, la giurisprudenza è scettica su questi argomenti: senza prove schiaccianti (pagamenti su conto diverso, documentazione di delega), difficilmente si riesce a trasferire la responsabilità fiscale.
  • Prova testimoniale: nel processo tributario la prova orale diretta è vietata. Puoi solo usare dichiarazioni formali già rese all’ufficio o documenti. Quindi focalizzati su prove cartacee (fatture, corrispondenza, estratti conto, testimonianze rese nell’istruttoria).

In sede di giudizio, è anche possibile proporre la conciliazione giudiziaria (art. 7 D.Lgs. 546/92). Se vi sono margini di trattativa, l’Agenzia può accogliere in appello una richiesta di riduzione sanzioni (fino al 40%-50% secondo grado) o un compromesso sulle imposte. Cumulo giuridico e accertamento con adesione retroattivo restano ipotesi: il contribuyente può chiedere in corso di causa di definire la lite se conviene.

6. Aspetti penali e sanzioni

L’accertamento fiscale comporta anche sanzioni e potenziali conseguenze penali. Sanzioni tributarie: per omessa dichiarazione (ad es. non hai dichiarato i redditi da e-commerce), le pene amministrative vanno dal 90% al 180% dell’imposta evasa (ridotte a 67%-150% per dichiarazioni infedeli). Oggi la legge ha stabilizzato la sanzione al 70% per dichiarazione infedele. Con l’acquiescenza amministrativa scende al 1/3 (ad es. 23,3%). In sede giudiziaria, una conciliazione può ridurre al 40%-50% a seconda del grado di giudizio. Il cumulo giuridico (art. 12 D.Lgs. 472/97) consente di “unire” violazioni ripetute in un’unica sanzione aumentata, evitando il cumulo integrale, ma in genere l’ufficio lo applica automaticamente.

Penale: se l’evasione supera certi limiti, scatta il reato. In particolare, l’omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000) punisce con la reclusione (fino a 3 anni, portata a 5 anni se l’imposta evasa eccede €250.000) chiunque non presenta la dichiarazione annuale entro 90 giorni dalla scadenza e l’imposta evasa supera €50.000 per anno. Ad esempio, se un venditore Amazon ha evaso IVA o IRPEF oltre quella soglia, rischia il penale. Analogamente, la dichiarazione infedele (art. 4) e l’omessa fatturazione/registrazione (art. 8) sono reati, con pene ancora più severe se commessi su larga scala. In pratica, ingenti somme non dichiarate (soprattutto IVA, oppure redditi di impresa) possono portare a un’indagine penale. La notizia di una maxi-inchiesta su Amazon (fra 2023 e 2024) per frode fiscale da oltre 3 miliardi testimonia l’attenzione delle procure su questi fenomeni.

Il venditore deve considerare anche che una segnalazione penale può influire sulle possibilità di transazione giudiziale: spesso in caso di presunto reato l’Agenzia non proporrà sconti amministrativi. Inoltre, l’Agenzia delle Entrate segnala le violazioni gravi anche ad altri enti (es. INPS per contributi non versati) e i redditi non dichiarati possono compromettere accesso a benefici (es. assegni familiari o sussidi). In sintesi, l’omessa dichiarazione di redditi da e-commerce può avere conseguenze plurime: obbligo di pagamento di imposte maggiorate con pesanti sanzioni, possibili contestazioni penali, ed eventuali aggravi conseguenti (debitore fiscale segnalato, iscrizioni a ruolo, pignoramenti).

7. Strumenti deflattivi del contenzioso

Per ridurre l’impatto dell’accertamento (imposte, sanzioni, durata della vertenza) esistono strumenti deflattivi, ossia accordi bonari tra contribuente e Fisco. Oltre all’accertamento con adesione descritto sopra, ricordiamo:

  • Composizione negoziata della lite (art. 7 D.Lgs. 546/92, riformato dalla L. 86/2019): il contribuente in causa può avviare trattative con l’ufficio (anche da solo o tramite professionista) per definire il contenzioso in via transattiva. È previsto uno sconto sulle sanzioni (alcuni percentuali in base allo stadio di giudizio) in cambio di pagamento anticipato di una parte.
  • Reclamo-accertamento (mediazione tributaria): quando arriva l’avviso, si può chiedere la procedura di reclamo (solo per accertamenti in materia di redditi/IVA). È una sorta di mediazione obbligatoria che precede il contenzioso. Se l’ufficio non risponde entro 90 giorni o risponde negativamente, si può impugnare davanti alla CTP.
  • Definizioni agevolate: di recente vari decreti hanno consentito la definizione di accertamenti (c.d. “pace fiscale”) con sconti sulle sanzioni per debiti tributari pendenti al 2018 o 2019. Tali misure hanno però scadenze passate, sebbene lo Stato attui ogni tanto nuovi provvedimenti straordinari. Un venditore accertato potrebbe valutare (se rientra) anche queste misure.
  • Rateizzazione: pur non riducendo l’importo totale, la rateazione coatta consente di dilazionare il pagamento fino a 10 anni, evitando pignoramenti rapidi.

In ogni caso, anche il semplice dialogo con l’ufficio (mostrare documenti, evidenziare reali difficoltà economiche) talvolta può portare a una riduzione “di fatto” delle pretese, in fase amministrativa o giudiziale. Ad esempio, un accordo in appello può limitare le sanzioni e chiudere il contenzioso.

8. Tavole riepilogative

Per chiarezza, di seguito alcune tabelle riassuntive sulle categorie di venditore e sulle fasi del contenzioso:

Tabella 1: Categorie di venditore su Amazon e obblighi fiscali

CategoriaCaratteristicheRedditi tassabili e imposteAdempimenti principali
Venditore occasionale/privatoVendite sporadiche di beni personali (possesso indiretto, no profitto)Nessun reddito imponibile (non è impresa)Nessun obbligo (no P.IVA, no IVA, no libro)
Hobbista/artigiano (senza partita IVA)Attività saltuaria e non strutturata con fine di lucro (es.: vendite di piccoli oggetti o creazioni)Redditi diversi (art. 67 TUIR), tassati in IRPEF su margine (ricavi-costi)Dichiarazione IRPEF (quadro RL). Se fatturato >5k/anno, possibili contributi INPS.
Professionista/Piccola impresaVendite regolari, continuative e organizzate; spesso con partita IVAReddito d’impresa (IRPEF/IRES) su differenza (ricavi – costi); applicazione IVAPartita IVA attiva, contabilità ordinaria/semi-semplice, dichiarazioni IVA e redditi, liquidazioni periodiche, registri IVA.

Tabella 2: Fasi del contenzioso e possibili azioni difensive

Fase del controlloAtto / SituazioneAzioni/Strumenti difensivi
Pre-accertamentoInvito a comparire o questionario dell’Agenzia (contraddittorio)Fornire documenti giustificativi; spiegare le vendite; ravvedimento operoso; concordare con l’ufficio.
Notifica avviso di accertamentoAtto formale con imposte, sanzioni e motivazioneValutare acquiescenza (pagare con -1/3 sanzioni); chiedere accertamento con adesione; preparare ricorso in CTP.
Giudizio in Commissione TributariaAvvio contenzioso; scuole di giudizioPresentare ricorso per cassare l’avviso. Difesa basata su documenti e argomenti (errata qualif., costi, mancanza di contraddittorio, limiti di decadenza). Chiedere conciliazione in udienza (riduce sanzioni).
Cassazione (eventuale)Ricorso in Cassazione, punti di dirittoSostenere errori di diritto (es.: violazione del contraddittorio obbligatorio); difendere l’interpretazione fiscale.

9. Simulazioni pratiche

Caso 1 – Vendita di beni personali. Mario, medico in pensione, pubblica su Amazon il suo vecchio armadio ereditato, valore ricavato €2.000. Non ha partita IVA e non svolge vendita di mobili come attività. Se l’Agenzia accerta e gli contesta reddito d’impresa, Mario può difendersi citando la Cassazione 10117/2023: vendere arredi domestici usati non è attività d’impresa se manca intento di lucro professionale. Dovrà però dimostrare che l’armadio era suo bene personale (atti notarili, foto, dichiarazione di possesso). Se convincesse il giudice, i €2.000 sarebbero esclusi dal reddito tassabile.

Caso 2 – Vendite occasionali di articoli. Anna vende nel 2022-23 alcuni capi di abbigliamento fatti a mano, ricavando complessivamente €6.000, ma non ha partita IVA. Se contestata per omessa dichiarazione, lei può calcolare i costi (materie prime, spedizioni) e dichiarare redditi diversi: supponiamo costi €1.500, allora il reddito imponibile IRPEF è di €4.500. Pagando le imposte su 4.500, ridurrebbe l’esposizione fiscale. In sede di contraddittorio evidenzia la fattura di acquisto stoffe e ricevute postali. Le sanzioni base per omessa dichiarazione IRPEF sarebbero il 90% di quelle dovute, ma con acquiescenza diventano 30%.

Caso 3 – Attività abituale con account congiunto. Sofia e suo marito dividono un account Amazon: lei lo usa per lavoro, lui vende libri usati occasionalmente. L’avviso però è intestato a lui per le vendite 2019-2021. In ricorso Sergio (il marito) dovrà tentare di dimostrare che i bonifici ricevuti in realtà corrispondevano alla vendita di enciclopedie fatte da Sofia. Tuttavia, senza chiari flussi separati (pagamenti sul conto di lei, documenti in nome di lei), questa difesa sarebbe difficilissima: la CTR Molise ha già respinto una simile tesi di “coniuge che faceva transazioni” priva di prove concrete.

Caso 4 – Evasore non voluto. Luca, venditore professionista, non ha dichiarato le sue vendite su Amazon (€100.000 in due anni, 20.000 € di costi). Viene notificato accertamento con imposte maggiorate, sanzioni totali 90% e penale IRPEF per omessa dichiarazione (oltre 50.000 €). In contraddittorio ravvede il dovuto dei primi 2 anni (dichiarazione tardiva con ravvedimento) e presenta in adesione un piano di pagamenti. In giudizio può chiedere il cumulo giuridico (sanzione unica su più anni) e, se si arriva a giudizio, una conciliazione che limiti le sanzioni.

10. Domande frequenti

D: Ho sempre venduto oggetti usati su Amazon senza partita IVA. Devo preoccuparmi?
R: Se si tratta davvero di beni personali venduti sporadicamente, normalmente non c’è imposizione (sono redditi non imponibili). Tuttavia, se le vendite sono ripetute e con intento di lucro, l’Agenzia considera comunque l’attività come impresa. Dunque, anche se sei un privato, devi dichiarare tali introiti (in via straordinaria come occasionali o aprendo P.IVA). La nuova normativa (DAC7) fa scoprire più facilmente anche piccoli venditori. Se arrivi con regolarizzazioni spontanee (ravvedimenti, dichiarazioni integrative) puoi evitare sanzioni pesanti. Non ignorare lettere o inviti: è sempre meglio chiarire subito la situazione con l’Agenzia.

D: Amazon non mi ha dato fatture sulle vendite, ho solo report di incassi. Cosa devo fare?
R: Le vendite a consumatori finali tramite marketplace spesso non prevedono fatture (pay-out da Amazon). In questo caso devi comunque autodichiarare i redditi ricevuti. Conserva i report Amazon (estratti conto vendite) e tutti gli estratti conto bancari/PayPal che dimostrano gli incassi. Nella dichiarazione Indichi i ricavi totali comunicati da Amazon e deduci i costi sostenuti (costi di acquisto merce, spese di spedizione). In contenzioso, tali documenti sono la tua fonte di prova principale per parametrare i dati fiscali.

D: È utile contestare le sanzioni in giudizio?
R: Sì, perché le sanzioni tributarie (rispetto a quelle penali) si possono ridurre in vari modi. In primo grado la Commissione può applicare il cumulo giuridico delle sanzioni (piuttosto che sommare più volte la percentuale massima). In appello o in Cassazione puoi chiedere la transazione: il giudice può ridurre le sanzioni fino al 40%-50% se accetta una proposta di pagamento. Prima di arrivare in CTP, l’adesione in contraddittorio riduce le sanzioni a 1/3. Non punibilità per tenuità (L. 689/81) si applica solo alle violazioni penali, non alle sanzioni amministrative. L’unico “sconto” automatico disponibile è l’acquiescenza (pagamento entro 60 giorni) con -1/3 delle sanzioni.

D: Cosa succede se vince l’Agenzia e non pago?
R: Se il giudice respinge il tuo ricorso, l’avviso diventa definitivo. Entro 60 giorni si può ancora pagare con sanzioni piene, altrimenti l’Agenzia emette la cartella di pagamento. Poi il titolo esecutivo consente pignoramenti su conti, stipendi, immobili. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione può iscriverti a ruolo le somme. In casi gravi ti può anche togliere agevolazioni fiscali future. Insomma, non liquidarlo pensando di risolvere nulla: l’obbligo di pagamento persiste a meno di riuscire a ribaltare la decisione in sede di legittimità (Cassazione) o con una conciliazione giudiziale.

11. Normativa essenziale

  • Art. 67 TUIR (D.P.R. 917/1986): disciplina i redditi diversi (dove rientrano le vendite occasionali).
  • Art. 36, 43, 45 DPR 600/73 e DPR 633/72: definiscono l’obbligo del contraddittorio preventivo (art. 36-bis/ter) e la regola dei termini di decadenza e notifica degli accertamenti. Dal 2024, il D.Lgs. 219/2023 (nuovo Statuto del Contribuente) ha introdotto l’art. 6-bis (Statuto L. 212/2000): “gli atti impositivi impugnabili devono essere preceduti da un contraddittorio informato, a pena di annullamento”. Il DM 24/4/2024 ha elencato le eccezioni (controlli automatici ed errori formali) per cui il contraddittorio non è dovuto.
  • Art. 12 L. 212/2000 (Statuto del contribuente): sancisce i diritti del contribuente nel procedimento tributario, incluso il contraddittorio dopo le verifiche in loco, e oggi rinvia al più ampio art. 6-bis del nuovo Statuto.
  • Art. 1-15 D.Lgs. 218/1997: regolano l’accertamento con adesione (riduzione sanzioni a 1/3, scadenze di presentazione).
  • Art. 17-bis D.Lgs. 546/1992: mediazione-obbligo di composizione delle controversie tributarie (reclamo-mediazione) per atti impugnabili fino a €20.000.
  • Art. 7 D.Lgs. 546/1992: conciliazione giudiziale (riduzione sanzioni in appello e Cassazione).
  • Art. 5, 8 D.Lgs. 74/2000: reati di omessa dichiarazione (oltre €50.000 imposta) e di emissione di fatture o documenti per operazioni inesistenti.
  • Direttiva UE 2021/514 (DAC7) e D.Lgs. 1/3/2023, n. 32: obbligano le piattaforme (come Amazon) a comunicare all’Agenzia delle Entrate i dati dei venditori (incassi lordi, IVA addebitata, identità fiscale).
  • D.L. 78/2010, art. 17: rende l’avviso di accertamento titolo esecutivo dopo 60 giorni (convertito in D.Lgs. 158/2015 per esecuzione fiscale).
  • Altre norme: art. 15 D.Lgs. 472/1997 (cumulo giuridico delle sanzioni), art. 12 L. 689/1981 (tenuità del fatto, non applicabile nel tributario), vari decreti sul telematico e fondi di garanzia.

Fonti normative e giurisprudenziali

  • Cassazione, sez. trib., sent. n. 7552 del 21/03/2025 (vendite online pluriennali su piattaforma; attività d’impresa).
  • Cassazione, sez. trib., sent. n. 10117 del 17/04/2023 (vendita di beni dell’arredo personale; no intento speculativo, esenzione).
  • Corte Cost., sent. n. 47 del 21/03/2023 (questione di legittimità contraddittorio endoprocedimentale).
  • Direttiva (UE) 2021/514 del Consiglio (DAC7, obbligo informativo piattaforme).
  • D.Lgs. 1 marzo 2023, n. 32 (attuazione DAC7).
  • Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del Contribuente), artt. 12, 15, 17.
  • D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219 (nuovo Statuto del Contribuente, art. 6-bis).
  • D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (ordinamento processuale tributario).
  • D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (accertamento imposte dirette, art. 36-43).
  • D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (accertamento IVA, art. 45-54).
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471/472 (sanzioni tributarie, cumulo giuridico).
  • D.Lgs. 74/2000 (testo unico reati tributari).

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