Hai partecipato come socio a una SRL e ora ti stanno chiedendo il pagamento dei debiti della società? Ti stai chiedendo se puoi essere davvero obbligato a pagare con i tuoi soldi personali e come difenderti da richieste aggressive?
Essere socio di una SRL, in linea generale, significa avere una responsabilità limitata. Ma ci sono situazioni ben precise in cui il tuo patrimonio personale può essere messo in discussione. È fondamentale capire quando rischi davvero e come tutelarti.
Il socio risponde dei debiti della SRL?
No, se la SRL è stata gestita correttamente. Per definizione, la responsabilità del socio è limitata a quanto conferito in società. I debiti contratti dalla SRL restano a carico della società stessa. Ma ci sono eccezioni importanti da conoscere.
Quando il socio può essere chiamato a pagare i debiti della SRL?
– Se ha firmato fideiussioni personali o garanzie a favore della società
– Se ha percepito utili o denaro in fase di liquidazione senza che fossero pagati i debiti sociali
– Se ha agito di fatto come amministratore o ha influenzato le decisioni gestionali
– Se ha distratto beni o ha compiuto atti dolosi o fraudolenti
– Se ha causato un danno diretto a creditori o terzi con il proprio comportamento
Cosa può succedere nella pratica?
– Ricevi una richiesta diretta da parte della banca o del creditore
– Vieni citato in giudizio come socio responsabile
– Ti pignorano beni personali sulla base di una garanzia firmata
– Ti imputano la responsabilità solidale per atti compiuti nella gestione societaria
Quando puoi contestare la tua responsabilità?
– Se non hai firmato garanzie o fideiussioni
– Se non hai avuto alcun ruolo operativo o gestionale nella società
– Se sei stato un socio di minoranza e non hai partecipato alle decisioni
– Se il debito è riferito a comportamenti di altri soggetti
– Se l’atto di richiesta non indica con precisione la tua responsabilità
Come puoi difenderti se sei un socio chiamato a rispondere dei debiti della SRL?
– Verifica se la tua posizione era solo da socio o anche da amministratore
– Controlla se hai mai firmato documenti di garanzia
– Raccogli tutte le prove della tua estraneità alla gestione operativa
– Presenta opposizione agli atti esecutivi ricevuti, se infondati
– Chiedi accesso agli atti della società per chiarire la tua posizione
– Affidati a un legale per valutare eventuali azioni di responsabilità nei confronti di altri soggetti coinvolti
Cosa puoi ottenere con l’intervento giusto?
– L’esclusione dalla responsabilità personale
– L’annullamento di atti esecutivi o richieste infondate
– La tutela del tuo patrimonio personale
– Il riconoscimento della tua posizione passiva rispetto alla gestione della società
– La riduzione o eliminazione di una pretesa economica indebita
Essere socio non significa essere automaticamente responsabile. Ma se non reagisci, potresti subire conseguenze gravi e ingiuste. È essenziale capire il tuo ruolo reale e agire prima che sia troppo tardi.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto societario e responsabilità patrimoniale – ti aiuta a capire quando puoi essere chiamato a rispondere dei debiti della SRL e come difenderti in modo efficace.
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Introduzione
Le società a responsabilità limitata (SRL) rappresentano una forma societaria molto diffusa in Italia, caratterizzata dall’autonomia patrimoniale perfetta: il patrimonio sociale è nettamente separato da quello dei singoli soci. Ciò significa, in linea di principio, che per le obbligazioni sociali risponde solo la società con il suo patrimonio, mentre i soci non rispondono con i loro beni personali. Questo vantaggio della responsabilità limitata tutela il patrimonio personale dei soci in caso di insolvenza o fallimento della società SRL. Tuttavia, si tratta di una regola generale che conosce importanti eccezioni. In determinate circostanze – specialmente in caso di illeciti gestionali, abuso della forma societaria o violazioni fiscali – le barriere tra società e persone fisiche possono cadere, esponendo i soci al rischio di dover rispondere con il proprio patrimonio.
Questa guida, aggiornata a luglio 2025, offre un’analisi approfondita su quando il socio di una SRL può essere chiamato a rispondere dei debiti sociali, con un taglio avanzato adatto ad avvocati, imprenditori e privati. Verranno esaminate le fonti normative italiane di riferimento, le più recenti sentenze e i casi pratici più significativi. Il tutto con un linguaggio giuridico ma accessibile, arricchito da tabelle riepilogative, domande e risposte (FAQ) e simulazioni pratiche in un’ottica di tutela del socio-debitore.
Principio generale: autonomia patrimoniale e responsabilità limitata
Nella SRL vige il principio della responsabilità limitata dei soci. L’art. 2462 del Codice Civile sancisce espressamente che “nella società a responsabilità limitata per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio”. In altre parole, i creditori della società possono rivalersi esclusivamente sui beni della società (denaro, immobili, macchinari, crediti, ecc.), e non su quelli personali dei soci. Il rischio economico dei soci è così limitato al capitale da essi conferito o investito nella società.
Questa separazione patrimoniale è un caposaldo delle società di capitali: i soci non diventano debitori personali dei creditori sociali neppure se hanno partecipato attivamente alla gestione o commesso errori imprenditoriali in buona fede. La SRL unipersonale (con un unico socio) gode delle stesse garanzie, salvo eccezioni specifiche di legge (come si vedrà oltre). A differenza delle società di persone (snc, sas), dove almeno alcuni soci rispondono illimitatamente dei debiti sociali, nella SRL vige un regime di autonomia patrimoniale “perfetta”: i debiti della società rimangono circoscritti alla società medesima.
Esempio pratico: Alfa S.r.l. contrae un debito di €100.000 con un fornitore ma fallisce disponendo di soli €20.000. Il fornitore può soddisfarsi solo su quei €20.000 di Alfa S.r.l. e non può chiedere il pagamento della differenza ai soci Tizio e Caio sui loro patrimoni personali. Tizio e Caio vedranno al più azzerato il valore delle loro quote (perdita dell’investimento), ma la loro casa, auto o conto corrente personale non potranno essere aggrediti dal creditore in forza del debito sociale insoluto.
Eccezione generale: l’unica eccezione “normale” a questo quadro è se il socio ha assunto obbligazioni personali verso il creditore, ad esempio prestando una fideiussione o altra garanzia per il debito sociale. In tal caso il socio-garante risponde verso il creditore nei limiti dell’obbligazione assunta, tipicamente dopo l’escussione della società debitrice principale. Al di fuori di questa ipotesi volontaria, ogni eventuale responsabilità patrimoniale personale del socio per i debiti della SRL deriva da situazioni particolari previste dalla legge o riconosciute dalla giurisprudenza, che approfondiremo nei paragrafi seguenti.
Responsabilità del socio unico: conferimenti e pubblicità (art. 2462 c.c.)
Una prima importante eccezione normativa riguarda la SRL unipersonale. La legge predispone tutele speciali per i terzi quando tutta la partecipazione sociale fa capo a un unico socio. In particolare, il secondo comma dell’art. 2462 c.c. prevede che, in caso di insolvenza della società, il socio unico risponde illimitatamente delle obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui ha detenuto l’intera partecipazione, se:
- non sono stati eseguiti i conferimenti secondo la disciplina di legge (art. 2464 c.c.), oppure
- non è stata effettuata la pubblicità prescritta dall’art. 2470 c.c. (ossia la dichiarazione depositata nel Registro delle Imprese circa la titolarità unipersonale).
In altri termini, il socio unico perde il beneficio della responsabilità limitata se non adempie a tali obblighi formali: mancato versamento integrale del capitale sociale oppure omessa iscrizione della sua qualifica di socio unico nel Registro Imprese. Si tratta di una responsabilità illimitata a carattere sanzionatorio verso i terzi, intesa a scoraggiare l’opacità nelle SRL unipersonali e a garantire che i creditori conoscano la composizione sociale.
Va evidenziato che questa responsabilità opera solo per le obbligazioni sorte nel periodo di inattività degli obblighi di conferimento/pubblicità. Se ad esempio il socio unico costituisce Beta S.r.l. senza versare integralmente il capitale o senza dichiarare l’unipersonalità, e la società contrae debiti in quella fase, di quei debiti il socio risponderà personalmente e senza limiti in caso di insolvenza. Qualora invece il socio abbia regolarmente versato i conferimenti dovuti e depositato la dichiarazione di socio unico, egli mantiene la protezione della responsabilità limitata come qualsiasi altro socio.
Esempio pratico: Mario costituisce da solo Gamma S.r.l. (capitale €10.000) ma inizialmente versa solo €2.500 e non deposita la dichiarazione di socio unico. Gamma S.r.l. stipula poi un contratto di fornitura da €30.000. Se Gamma S.r.l. diviene insolvente su quel debito, Mario – quale socio unico inadempiente agli obblighi – ne risponde illimitatamente con il proprio patrimonio personale. Se invece Mario avesse versato tutto il capitale o regolarizzato la posizione pubblicitaria prima di contrarre il debito, egli non sarebbe chiamato a pagarne l’importo (salvo gli altri casi eccezionali di cui sotto).
Mancato conferimento del capitale sottoscritto: va ricordato che, anche al di fuori del caso del socio unico, ogni socio ha l’obbligo di eseguire i conferimenti promessi. Se un socio non ha ancora versato alla società parte del capitale sottoscritto (o se se li è fatti restituire indebitamente), i creditori sociali possono esigere indirettamente quei conferimenti non versati. In sede di esecuzione forzata o di fallimento della società, il liquidatore o curatore ha infatti diritto di chiamare i soci inadempienti a versare il capitale mancante (artt. 2466 e 2471 c.c.). Il socio moroso risponde quindi almeno fino a concorrenza dei conferimenti dovuti. Questa non è una “responsabilità per debiti sociali” in senso stretto, ma è comunque una situazione in cui il socio può essere costretto a sborsare denaro a beneficio indiretto dei creditori insoddisfatti.
Riassumendo: nella SRL pluripersonale i soci non rispondono dei debiti sociali oltre il capitale investito, salvo dover versare eventuali quote di capitale promesse e non ancora versate. Nella SRL unipersonale, invece, il socio può perdere totalmente il “paravento” societario e diventare debitore illimitato qualora non abbia rispettato l’obbligo di conferire integralmente il capitale o di dichiarare la propria unicità. Questa è un’eccezione espressa di legge e costituisce un primo scenario di responsabilità personale del socio.
Responsabilità volontarie: garanzie personali e coobbligazioni
Come accennato, un caso a parte – di natura contrattuale e volontaria – è quello del socio che garantisce personalmente i debiti della società. È prassi comune che banche o fornitori richiedano ai soci di una SRL (specie se di piccole dimensioni) di prestare fideiussioni, avalli o garanzie personali per concedere credito alla società. In tali ipotesi il socio assume verso il creditore un’obbligazione distinta rispetto a quella sociale, e ne risponde secondo i termini del contratto di garanzia.
Ad esempio, se un socio firma una fideiussione bancaria a garanzia di un mutuo contratto dalla SRL, la banca potrà escutere il socio fideiussore in caso di inadempimento della società, nei limiti dell’importo garantito e secondo le condizioni pattuite (spesso la fideiussione prevede benefíci d’escussione o solidarietà a seconda dei casi). Il socio garante, in questo scenario, risponde erga omnes con il suo patrimonio personale, come qualsiasi fideiussore, e non potrà opporre il beneficio della responsabilità limitata poiché ha accettato contrattualmente di fare da garante.
Un’altra situazione volontaria può essere quella del coobbligo personale: ad esempio, se due soci di una SRL firmano insieme alla società un contratto di locazione come garanti o co-conduttori solidali, essi diventano debitori in solido con la società verso il locatore. Anche in tal caso la loro responsabilità discende dal contratto stesso, non dal loro status di soci.
È fondamentale distinguere queste ipotesi (del tutto lecite e frequenti nella prassi) dalle situazioni eccezionali in cui la legge impone una responsabilità al socio al di là di ogni sua pattuizione. Nel prosieguo ci concentreremo proprio su queste ultime, ossia sui casi in cui il socio può essere chiamato a pagare i debiti sociali per disposizione di legge o per provvedimento giudiziario, anche senza aver mai firmato garanzie personali.
Soci e debiti nella fase di liquidazione e scioglimento
Un momento critico per valutare la responsabilità dei soci è quello della liquidazione e estinzione della società. Quando una SRL viene sciolta e cancellata dal Registro delle Imprese, è possibile che rimangano debiti sociali insoddisfatti. L’art. 2495 c.c. disciplina espressamente questa situazione: “ferma restando l’azione contro i liquidatori, i creditori sociali non soddisfatti possono agire contro i soci, ciascuno nei limiti di quanto questi hanno riscosso in base al bilancio finale di liquidazione”*. Dunque, se al termine della liquidazione ai soci è stato distribuito un attivo (ad esempio rimborso di capitale o assegnazione di beni residui), i creditori ancora insoddisfatti possono chiedere a ciascun socio il pagamento fino a concorrenza di quanto da lui ricevuto in sede di riparto. La ratio è intuitiva: evitare che i soci si spartiscano l’attivo rimanente lasciando i creditori a mani vuote.
Esempio pratico: Delta S.r.l. si scioglie e, dopo aver liquidato i beni, resta un attivo di €50.000 che viene ripartito tra i tre soci (in proporzione alle quote, poniamo €20.000 al socio A, €20.000 al socio B, €10.000 al socio C). Se successivamente emergono debiti non pagati per €100.000, i creditori possono pretendere dai soci il pagamento fino a €20.000 da A, €20.000 da B e €10.000 da C (ovvero esattamente le somme da essi avute in liquidazione). Ognuno risponde nei limiti della propria “quota di liquidazione”, e complessivamente i creditori potranno recuperare al massimo €50.000 dai soci. Il patrimonio personale dei soci resta al riparo oltre tali importi.
Questa forma di responsabilità post-estinzione è sussidiaria e limitata: sussidiaria perché interviene solo dopo che il patrimonio sociale (ormai inesistente) non ha soddisfatto i creditori; limitata perché circoscritta alle somme ritirate dai soci. Non si tratta dunque di un vero “piercing” generalizzato del velo societario, ma di una successione parziale dei soci nei debiti sociali residui, entro l’attivo loro distribuito. Inoltre, se un socio ha ricevuto meno di altri (ad es. perché titolare di quota minore), risponderà solo in proporzione alla sua quota.
Va precisato che i creditori hanno l’onere di provare che c’è stato un attivo di liquidazione distribuito ai soci, non potendo altrimenti pretendere nulla. Spetta invece al socio convenuto dimostrare eventualmente di aver utilizzato quelle somme per pagare debiti sociali noti (ad esempio, se ha pagato personalmente un debito della società, potrà opporre che la distribuzione ricevuta è già stata destinata ai creditori).
Caso del socio che non ha ricevuto nulla: Secondo l’interpretazione tradizionale della norma, se dalla liquidazione non è risultato nulla da dividere, i soci non rispondono affatto dei debiti residui. In tal senso si è espressa di recente anche la Cassazione, ribadendo che “il socio di una società estinta può essere chiamato a rispondere dei debiti sociali solo fino alla concorrenza delle somme riscosse in sede di liquidazione” e che, in assenza di alcuna riscossione, la responsabilità non può estendersi al socio. In un caso del 2023, la Suprema Corte ha confermato che un socio unico non poteva essere obbligato a pagare i debiti della SRL estinta poiché non aveva percepito alcunché dal bilancio finale di liquidazione. Imporre un pagamento oltre quanto riscosso avrebbe infatti configurato una responsabilità personale illimitata dei soci, in contrasto col principio di responsabilità limitata delle società di capitali.
Tuttavia, la giurisprudenza ha anche conosciuto un orientamento differente, soprattutto in materia tributaria. Le Sezioni Unite della Cassazione nel 2013 (sentenze n. 6070 e 6072/2013) hanno affermato un principio di maggiore tutela dei creditori: i soci succedono nei rapporti debitori della società estinta indipendentemente dall’aver percepito somme in liquidazione. In questa prospettiva, la cancellazione volontaria della società non può estinguere i debiti insoddisfatti, altrimenti si consentirebbe al debitore collettivo (la società) di “disporre unilateralmente del diritto altrui” mediante la propria estinzione. Pertanto, è “sempre ammissibile il ricorso nei confronti dei soci” della società cancellata per ottenere un titolo esecutivo, anche se i soci non hanno goduto di alcun riparto. Questo non significa però che i soci debbano pagare oltre quanto eventualmente percepito: in mancanza di attivo distribuito, il titolo varrà in concreto solo sui beni sociali sopravvenuti o occultati. La stessa Cassazione ha infatti chiarito che il titolo contro i soci non potrà essere eseguito oltre i limiti di legge, ma serve a prevenire situazioni in cui possano emergere sopravvenienze attive (beni non contemplati nel bilancio finale). In sintesi, secondo tale indirizzo, il creditore insoddisfatto può comunque agire in giudizio contro i soci ex art. 2495 c.c. per accertarne l’obbligo nei limiti di quanto ricevuto o da ricevere in liquidazione. Questo orientamento, sorto in controversie fiscali, consente al Fisco di notificare atti ai soci anche se ufficialmente non vi fu distribuzione di attivo.
Attuale quadro applicativo: Allo stato, le sentenze più recenti (da ultima Cass. ord. 32729/2023) confermano l’interpretazione restrittiva: senza attivo da dividere, nessuna responsabilità dei soci verso creditori, fatta salva la possibilità di revocare eventuali atti di occultamento di attivo. L’orientamento “estensivo” delle Sezioni Unite 2013 rimane rilevante per permettere al creditore (soprattutto erariale) di procurarsi un titolo contro i soci entro i limiti di legge, qualora vi sia anche solo la possibilità di beni sociali non liquidati o distribuzioni dissimulate. In pratica, se una società viene cancellata lasciando debiti tributari, l’Agenzia delle Entrate potrà notificare ai soci un avviso di accertamento per quelle imposte, ottenendo un titolo esecutivo contro di loro; ma l’eventuale riscossione effettiva avverrà solo su somme che risultino essere state ricevute dai soci stessi (o su beni ex sociali finiti nel loro patrimonio). Ad ogni modo, il creditore insoddisfatto ha interesse a coinvolgere i soci nel giudizio per evitare che la cessazione della società impedisca ogni recupero.
Azione contro i liquidatori: parallelamente, l’art. 2495 c.c. prevede la responsabilità del liquidatore verso i creditori, se il mancato pagamento del debito sociale è dipeso da colpa del liquidatore stesso. Questa è un’azione risarcitoria per mala gestione liquidatoria (ad esempio, se il liquidatore ha pagato certi creditori privilegiati trascurandone altri parimenti privilegiati, o se ha chiuso la liquidazione in modo affrettato). L’azione contro i liquidatori si cumula a quella verso i soci: spesso, in caso di creditori insoddisfatti, vengono convenuti in giudizio sia i soci (per ottenere nei limiti dell’attivo distribuito) sia i liquidatori (per l’eventuale colpa nella mancata soddisfazione).
Termini temporali: La responsabilità dei soci ex art. 2495 c.c. verso i creditori si protrae per lungo tempo. In particolare, per i debiti tributari il D.Lgs. 175/2014 ha chiarito che gli effetti estintivi della cancellazione operano solo nei confronti dell’Amministrazione finanziaria e degli enti di riscossione decorso un certo termine (5 anni). Significa che entro 5 anni dalla cancellazione, il Fisco può ancora legittimamente agire verso soci e liquidatori per recuperare imposte non pagate dalla società estinta. Anche al di là di tale termine, i soci rimangono responsabili civilmente secondo le norme suddette, ma potrebbero eccepire la decadenza di eventuali pretese tributarie tardive.
In sintesi, in caso di liquidazione della SRL con attivo distribuito, i soci non possono considerarsi completamente al sicuro: dovranno restituire quanto ricevuto (nei limiti) se qualche creditore è rimasto insoddisfatto. Se invece dalla liquidazione non hanno ricavato nulla, normalmente non dovranno pagare nulla, salvo l’ipotesi di reviviscenza del principio delle Sezioni Unite 2013 nei casi di abuso (soprattutto su iniziativa del Fisco). È sempre buona norma, per un socio, accertarsi che tutti i debiti sociali siano pagati prima della chiusura e, se ciò non è possibile, conservare un accantonamento in attesa di eventuali azioni dei creditori.
Abuso della personalità giuridica e “piercing the veil”
Oltre alle ipotesi codificate fin qui viste, esistono situazioni patologiche in cui i giudici possono “perforare il velo societario” e ritenere i soci personalmente responsabili dei debiti della SRL. Questo avviene quando la forma societaria è stata utilizzata in modo distorto o fraudolento dai soci, trasformando la società in un mero schermo fittizio per compiere illeciti o sottrarsi alle responsabilità verso i creditori. In tali casi di abuso della personalità giuridica, la giurisprudenza può disattendere il principio di autonomia patrimoniale e chiamare i soci a rispondere in proprio delle obbligazioni sociali, superando la distinzione tra persona giuridica e persone fisiche.
Alcuni esempi tipici di condotte che possono portare al piercing the corporate veil in Italia sono:
- Sottocapitalizzazione iniziale fraudolenta: la società viene costituita con un capitale palesemente inadeguato rispetto all’attività esercitata, al solo scopo di limitare il rischio dei soci a danno dei creditori. Se i creditori dimostrano che la società era sottocapitalizzata in modo fittizio sin dall’origine, finalizzata a eludere il pagamento dei debiti, i soci possono essere ritenuti responsabili personali delle obbligazioni sociali. La giurisprudenza italiana ha confermato in più occasioni che una capitalizzazione eccessivamente esigua, laddove voluta per aggirare le ragioni dei creditori, può condurre alla “disapplicazione della personalità giuridica” della SRL, esponendo i soci al pagamento diretto dei debiti aziendali.
- Confusione tra patrimonio sociale e personale: se i soci usano i beni o le risorse della società come fossero propri (per esempio prelevando cassa aziendale per spese personali, intestando alla società beni in realtà di uso esclusivo del socio, etc.), si verifica una promiscuità tale da far venir meno la distinzione patrimoniale. In presenza di questa confusione di patrimoni, i creditori sociali potrebbero sostenere che la società era una proiezione del socio e chiedere al giudice di aggredire direttamente i beni personali del socio indebitamente arricchitosi.
- Società come “schermo” o società cartiera: quando la SRL è creata e utilizzata unicamente come schermo fittizio (ad esempio per emettere fatture false, per frodare il fisco, o per accumulare debiti e poi sparire), i soci che l’hanno orchestrata ne rispondono personalmente. Un tipico caso è la società cartiera nelle frodi IVA: la Cassazione penale ha affermato che in tali circostanze il velo societario è inesistente e chi ha utilizzato la società come schermo ne sopporta le conseguenze penali e patrimoniali. Anche in ambito civile, una SRL priva di reale attività e costituita solo per isolare la responsabilità può essere ignorata dal giudice.
- Operazioni societarie in frode ai creditori: se i soci (spesso coincidendo con gli amministratori) pongono in essere operazioni come trasferimenti di beni a terzi o altre società riconducibili ai medesimi soci, a prezzi irrisori, oppure scissioni e fusioni volte a “spogliare” la società debitrice dei suoi asset, tali atti possono essere dichiarati inefficaci verso i creditori (mediante azione revocatoria ordinaria o fallimentare). In aggiunta, i soci registi di queste operazioni possono essere considerati responsabili in solido per il danno arrecato. Ad esempio, vendere sottocosto un immobile sociale a un’altra società di famiglia, lasciando la SRL debitrice senza beni, configura una frode: il creditore potrà agire per rendere inefficace la vendita e, se la società nel frattempo è insolvente, potrà anche chiedere il risarcimento danni ai soci che hanno autorizzato quell’atto doloso.
- Socio occulto e società di fatto: va segnalato che nelle società di capitali non è ammesso il “socio occulto” in senso tecnico (la partecipazione sociale deve risultare dai registri). Tuttavia, potrebbe emergere che una SRL era di fatto gestita da un altro soggetto non formalmente socio, oppure fungeva da maschera per un’attività individuale. In sede fallimentare, ad esempio, è possibile provare l’esistenza di una società di fatto tra il socio palese e il socio occulto o l’imprenditore occulto: in tal caso il tribunale potrebbe dichiarare il fallimento anche di quest’ultimo (ex art. 147 L. Fall.) e i suoi beni diverrebbero aggredibili dai creditori sociali. Si tratta di ipotesi limite, ma che rientrano nelle “operazioni sospette” spesso esaminate dalla giurisprudenza in casi di abuso societario.
Da notare che il concetto di “piercing the veil” nel nostro ordinamento non ha ancora una compiuta tipizzazione normativa né una giurisprudenza monolitica. È più corretto parlare di azione di responsabilità extra-contrattuale (ex art. 2043 c.c.) per abuso dello strumento societario. Il giudice, caso per caso, valuta se il comportamento dei soci sia stato talmente fraudolento o scorretto da giustificare l’attraversamento del velo societario per soddisfare i creditori. Ad esempio, una recente pronuncia ha affermato che “quando la persona giuridica è creata artificiosamente per fini illeciti, il velo societario può essere sollevato”, così che i terzi possano rivalersi direttamente sugli individui che ne hanno tratto beneficio. In altre parole, l’uso distorto della SRL in frode alla legge fa venir meno la sua protezione: la società diventa un’entità fittizia e le responsabilità ricadono sulle persone fisiche dietro di essa.
Prospettiva del socio: Un socio che si trovi coinvolto (magari suo malgrado) in simili vicende deve essere consapevole del rischio. Se altri soci o amministratori attuano politiche che confondono i patrimoni o svuotano la società a vantaggio dei soci, lui stesso potrebbe esserne chiamato a rispondere solidalmente, soprattutto se ha avallato tali decisioni. In questi casi, al socio conviene dissociarsi formalmente dalle operazioni illecite (votando contro in assemblea, facendo mettere a verbale il proprio dissenso) per evitare di essere ritenuto corresponsabile per acta societatis. Inoltre, se un socio scopre ex post che la società era utilizzata come strumento di frode da altri, dovrà eventualmente agire in giudizio contro costoro per tutelarsi, ma ciò non lo esonera nei confronti dei creditori terzi che potrebbero comunque coinvolgerlo.
Responsabilità dei soci amministratori (mala gestio e obblighi ex art. 2476 c.c.)
Spesso nelle SRL di piccole-medie dimensioni i soci coincidono con gli amministratori della società (socio-amministratore unico, soci che fanno parte del CDA, etc.). In tali casi si sovrappongono due profili: quello di socio (normalmente non responsabile per i debiti) e quello di amministratore (che, pur non essendo in principio personalmente obbligato verso i creditori, assume però specifici doveri di legge la cui violazione può generare responsabilità). La riforma introdotta dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) ha rafforzato gli strumenti per chiamare gli amministratori di SRL a rispondere in proprio in caso di cattiva gestione. Vediamo dunque le ipotesi di responsabilità dell’amministratore e come esse possano coinvolgere il patrimonio dei soci-amministratori.
1. Azione dei creditori sociali verso gli amministratori (art. 2476 c.c.): L’art. 2476 c.c., modificato nel 2019, prevede espressamente che gli amministratori di SRL sono responsabili anche verso i creditori sociali quando con il loro inadempimento degli obblighi gestionali abbiano compromesso l’integrità del patrimonio sociale. In particolare, se gli amministratori non hanno conservato adeguatamente il patrimonio della società – violando i doveri di corretta amministrazione e gli obblighi imposti dall’art. 2086 c.c. (assetto organizzativo adeguato per rilevare la crisi) – e ciò ha causato una insufficienza patrimoniale a danno dei creditori, questi ultimi possono promuovere un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori per ottenere il risarcimento del danno.
Questa azione si configura tipicamente quando la società va in insolvenza (o in liquidazione/fallimento) e il suo patrimonio risulta incapiente: i creditori insoddisfatti possono allora sostenere che gli amministratori hanno aggravato il dissesto omettendo di adottare le dovute misure (es. non hanno ridotto il capitale per perdite né chiesto tempestivamente il fallimento, hanno continuato ad accumulare debiti, ecc.). La novità normativa è che oggi l’art. 2476 c.c. rende esplicito questo obbligo e consente ai creditori di agire direttamente, senza dover attendere un fallimento. In passato, una simile azione era ricondotta per analogia all’art. 2394 c.c. (previsto per le SPA), ora è testualmente riconosciuta anche per le SRL.
Esempio: Caio, amministratore (e socio) di Omega S.r.l., pur registrando grosse perdite, continua ad accumulare debiti con fornitori e Fisco, senza adottare alcun piano né informare i soci (essendo egli stesso unico socio). Quando Omega S.r.l. fallisce, i creditori trovano un attivo irrisorio. In tale scenario, i creditori (o il curatore fallimentare per loro conto) potranno citare Caio in giudizio ex art. 2476 c.c., sostenendo che la sua mala gestio ha eroso il patrimonio sociale. Se il tribunale accerterà, ad esempio, che Caio avrebbe dovuto già due anni prima liquidare la società o ricapitalizzarla, evitando così l’ulteriore aumento dei debiti, potrà condannarlo a risarcire i creditori del danno corrispondente alla maggiore perdita causata dalla prosecuzione illegittima dell’attività. Caio, in quanto socio-amministratore, vedrà intaccato il proprio patrimonio personale per pagare questo risarcimento.
Dal punto di vista del socio-amministratore, questa è una forma indiretta ma concreta di responsabilità per i debiti sociali: non paga i debiti in sé, ma paga ai creditori un risarcimento che spesso coincide, in pratica, con l’ammanco da essi sofferto (in sede fallimentare si usa il criterio della differenza tra attivo e passivo ex art. 2486 c.c. per quantificare il danno). In altre parole, se la società lascia €1 milione di debiti non pagati e si prova che con una gestione diligente i debiti sarebbero stati la metà, l’amministratore risponde per la differenza. Ciò può mettere a repentaglio tutti i suoi beni personali.
2. Violazione di obblighi legali o statutari a danno dei creditori: Oltre al caso generale di mancata conservazione del patrimonio sociale, gli amministratori (soci o meno) possono essere personalmente responsabili quando commettono specifiche violazioni di legge che pregiudicano i creditori. Ad esempio, distribuire utili in violazione dell’art. 2478-bis c.c. (utili fittizi o inesistenti) obbliga amministratori e soci che li hanno percepiti a restituirli alla società, così che i creditori possano beneficiarne. Oppure, omettere di convocare l’assemblea per gli opportuni provvedimenti in presenza di perdite rilevanti (art. 2482-bis c.c.) e continuare ad operare aggravando il dissesto può costituire inadempimento specifico fonte di responsabilità. La Cassazione ha più volte confermato che “l’amministratore che gestisce male la società può essere ritenuto responsabile dei debiti”, con riferimento sia all’azione contrattuale sociale, sia a quella aquiliana dei creditori.
- Violazione della par condicio creditorum: Se, a ridosso dello scioglimento o insolvenza, l’amministratore paga preferenzialmente alcuni creditori a scapito di altri della stessa posizione (violando la parità di trattamento), i creditori pretermessi possono agire contro di lui. Ad esempio, pagare interamente un fornitore “amico” e lasciare impagate le fatture di altri fornitori dello stesso rango può configurare una responsabilità dell’amministratore verso questi ultimi, specie se la società poi fallisce (potrebbe anche integrare bancarotta preferenziale in sede penale).
- Obblighi verso la procedura concorsuale: In caso di fallimento, il curatore può esercitare contro gli ex amministratori sia l’azione sociale (per danni alla società) sia quella dei creditori (per insufficienza dell’attivo) cumulativamente. Il socio-amministratore che abbia distratto beni, tenuto contabilità irregolare o aggravato il dissesto sarà chiamato a rispondere di bancarotta in sede penale e di risarcimento in sede civile, con effetti devastanti sul suo patrimonio personale.
3. Coinvolgimento dei soci non amministratori: Finora abbiamo considerato il socio in quanto amministratore. Ma cosa accade se il socio non gestisce la società (quindi non è amministratore) e la mala gestio è opera altrui? In generale, il socio non amministratore non risponde delle malefatte gestionali (resta valido lo schermo societario). Fa eccezione però una disposizione del codice: l’art. 2476, comma 7 c.c., secondo cui “i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società sono solidalmente responsabili con gli amministratori”. Ciò significa che se il socio, pur non avendo cariche amministrative, partecipa attivamente ad una decisione assembleare o dei soci tesa a compiere un atto in danno della società (o dei terzi), risponderà in solido col management per i danni cagionati. Si tratta di una responsabilità per atto specifico e doloso: il socio deve aver consapevolmente perseguito (o autorizzato) un’iniziativa pregiudizievole. Esempi: il socio approva un bilancio fraudolento sapendo che occulta perdite; oppure autorizza la vendita sottocosto di un cespite sapendo che ciò danneggerà i creditori; o ancora, delibera una operazione tra parti correlate (es. cessione di azienda a un’altra società di cui è parte) in conflitto di interessi a danno della SRL. In queste ipotesi, se la società o i creditori subiscono un danno, il socio co-autore morale ne risponde al pari degli amministratori esecutori materiali. Questa norma mira a evitare che i soci, magari di maggioranza, istruiscano o “spingano” gli amministratori a fare operazioni che avvantaggiano i soci stessi e rovinano la società: la legge allora spezza la distinzione e li rende responsabili direttamente.
Conclusione sul socio-amministratore: Il socio che ricopre anche il ruolo gestorio deve essere doppiamente prudente, perché il fallimento del progetto imprenditoriale può colpirlo su due fronti: come socio perderà il capitale investito, come amministratore potrebbe dover rispondere personalmente dei debiti rimasti. Dopo la riforma, il fatto che “amministratore è anche socio” viene espressamente menzionato come situazione comune, e non attenua le responsabilità, anzi le rende più rilevanti perché la forma SRL non può essere usata come schermo per gestioni irresponsabili senza conseguenze personali. In pratica, la diffusa credenza “nella SRL l’amministratore tanto non rischia niente del suo” non è più vera in senso assoluto: se l’amministratore ha gestito con dolo o colpa grave, causando danni ai creditori, risponderà con il proprio patrimonio degli impegni sociali non onorati.
Debiti fiscali e previdenziali: responsabilità tributaria di soci e amministratori
Una categoria particolare di debiti sociali è quella verso l’Erario (Fisco) e gli enti previdenziali. Tasse e contributi non versati possono comportare conseguenze sia civili che penali per gli amministratori (e talvolta per i soci). Occorre distinguere:
– Responsabilità civile “ex lege” per imposte non pagate in liquidazione (art. 36 DPR 602/1973): Abbiamo visto che in sede di liquidazione il liquidatore deve pagare con precedenza le imposte dovute. L’art. 36 del DPR 602/1973 prevede che, in caso di mancato versamento delle imposte utilizzando le attività della liquidazione, siano chiamati a risponderne in proprio anche il liquidatore, gli amministratori e i soci della società estinta. Si tratta di una responsabilità autonoma e personale di natura civile (non di una coobbligazione tributaria): la norma infatti non configura una “successione nel debito d’imposta”, bensì un titolo di responsabilità per fatto proprio a carico di questi soggetti. In particolare:
- Il liquidatore risponde se ha soddisfatto crediti di altri lasciando impagate imposte dovute che potevano essere pagate con le attività della liquidazione. L’azione è esercitabile dal Fisco quando vi sia certezza legale che i tributi iscritti a ruolo non siano stati soddisfatti col patrimonio liquidato.
- Gli amministratori (non divenuti liquidatori) rispondono se, nei due anni precedenti la liquidazione, hanno compiuto operazioni di liquidazione di fatto (ad esempio dismissione di beni sociali, riduzioni patrimoniali) oppure hanno occultato attività sociali anche mediante irregolarità contabili. In pratica, se prima dello scioglimento hanno “preparato” la fuga dai debiti tributari, possono essere chiamati a risponderne.
- I soci rispondono in via sussidiaria se hanno percepito distribuzioni dell’attivo senza che le imposte dovute fossero pagate. In sostanza, ricalcando il principio di cui all’art. 2495 c.c. ma in ambito fiscale, il Fisco può chiedere ai soci di restituire quanto incassato in liquidazione per soddisfare il credito tributario insoddisfatto. Va precisato che secondo la Cassazione questa responsabilità dei soci non implica affatto una loro successione nel debito d’imposta, ma è configurata come un’obbligazione civile distinta (appunto “ex lege”) a carico loro, accertabile con atto motivato dell’Agenzia.
Tale regime è importante perché consente all’Erario di agire, ad esempio, contro i soci di una SRL cancellata che aveva debiti IVA o IRES, anche se i soci non avevano ricevuto nulla (purché vi sia stata una malagestione liquidatoria dei rappresentanti). In passato, c’erano dubbi se art. 36 DPR 602 si applicasse solo alle imposte sui redditi; oggi, per effetto del D.Lgs. 46/1999, analoghi principi valgono per contributi e altre entrate affidate all’agente della riscossione. In ogni caso, l’Agenzia Entrate Riscossione deve notificare ai soci un atto motivato che contesti queste circostanze (distribuzioni indebite, occultamenti, etc.) affinché essi siano chiamati a pagare. La Cassazione a Sezioni Unite ha chiarito già negli anni ‘80 che la responsabilità ex art.36 è una responsabilità da inadempimento di obblighi legali di gestione/liquidazione, regolata dai criteri civilistici di diligenza (art. 1176 c.c.) e obbligazione (art. 1218 c.c.). In concreto, se un liquidatore ha distribuito ai soci attivi senza pagare imposte di pari rango, il Fisco può pretendere da ciascun socio la quota proporzionale di quelle imposte, e dal liquidatore l’intero importo non versato, fino a concorrenza delle attività liquidate.
Esempio: X S.r.l. in liquidazione ha €100.000 in cassa e debiti: €50.000 verso l’Erario e €50.000 verso un fornitore chirografario. Il liquidatore paga interamente il fornitore e distribuisce ai soci il residuo €50.000, lasciando le imposte impagate. In base all’art.36 DPR 602/73, il Fisco può chiedere ai soci di versare essi stessi quei €50.000 (ognuno per la parte ricevuta) e potrà rivalersi anche sul liquidatore che ha operato illecitamente la distribuzione preferenziale. Non occorre dimostrare il dolo: è sufficiente l’inadempimento dell’obbligo di pagare le imposte con le attività della liquidazione.
– Sanzioni tributarie e responsabilità amministrativa: Di regola, le sanzioni amministrative per violazioni tributarie commesse dalla società non si trasferiscono ai soci o amministratori, restando a carico solo dell’ente (principio di personalità della sanzione amministrativa). Tuttavia, se la società si estingue e la sanzione non è stata pagata, l’Amministrazione Finanziaria potrebbe tentare di escutere soci e amministratori a norma dell’art. 2495 c.c. (ossia entro i limiti di attivo distribuito). Inoltre, per alcune violazioni è prevista una responsabilità solidale degli amministratori, ad esempio in materia di IVA di gruppo o nel regime dei sostituti d’imposta (il legale rappresentante risponde in solido per le ritenute non versate). Su questi aspetti la giurisprudenza è in evoluzione, ma in generale l’amministratore che abbia materialmente commesso l’illecito fiscale potrebbe vedersi recapitare cartelle esattoriali se la società non le ha onorate, specie quando la società viene meno.
– Responsabilità penale per omessi versamenti: Un cenno merita il profilo penale: il D.Lgs. 74/2000 punisce taluni comportamenti dell’amministratore come reati tributari (ad esempio omesso versamento IVA oltre soglia, omesso versamento di ritenute certificate oltre soglia). Se il socio-amministratore viene condannato per tali reati, il giudice penale può disporre a suo carico il risarcimento del danno in favore dell’Erario costituito parte civile. In pratica, l’amministratore colpevole potrebbe dover pagare di tasca propria le imposte evase o non versate, a titolo di danno erariale, oltre alle sanzioni penali. Anche se ciò attiene alla sfera penale, l’effetto finale è che il patrimonio personale del socio-amministratore viene intaccato per sanare (almeno in parte) il debito fiscale della società, a mo’ di responsabilità civile da reato.
– Contributi previdenziali e assicurativi: Situazione analoga si presenta per i debiti verso INPS, INAIL e altri enti previdenziali. Il mancato versamento dei contributi dovuti per i dipendenti può comportare sia sanzioni amministrative che, per la parte di contributi a carico dei lavoratori trattenuti e non versati, implicazioni penali (omesso versamento di ritenute previdenziali oltre soglia, depenalizzato sotto una certa soglia come illecito amministrativo). Civilmente, il D.Lgs. 46/1999 (che regola la riscossione di contributi) consente agli enti previdenziali di agire con strumenti analoghi a quelli del DPR 602; perciò, in liquidazione, se contributi dovuti non sono pagati, i liquidatori e soci possono esserne chiamati a rispondere similmente alle imposte. Ad esempio, l’art. 37-bis del DPR 602/1973 estende il regime di responsabilità ai contributi previdenziali. Inoltre, in caso di società cancellata, l’INPS può pretendere dai soci quanto questi hanno ricevuto in sede di scioglimento, a titolo di responsabilità sussidiaria ex art.2495 c.c. (come confermato anche dall’art. 12 D.L. 76/2020 in tema di incentivi alle transazioni coi debiti contributivi nelle crisi d’impresa).
In sintesi, per i debiti fiscali e contributivi della SRL: i soci non sono mai direttamente debitori tributari o contributivi per il solo fatto di essere soci. Tuttavia, possono diventarlo in via indiretta in vari modi: (a) come successori entro i limiti dell’attivo ricevuto (art.2495 c.c. e art.36 DPR 602/73), (b) come garanti di fatto di una liquidazione non corretta, (c) come coobbligati se hanno ricevuto patrimoni sociali in frode al Fisco, e (d) come autori di reati tributari (con obbligo di risarcimento). Dal punto di vista del socio-debitore, è fondamentale tenere una gestione trasparente e prudente: assicurarsi che imposte e contributi vengano sempre versati (specialmente quelli “sensibili” come IVA e ritenute); in caso di crisi, non appropriarsi di liquidità che dovrebbe servire a pagare il Fisco o l’INPS; in fase di liquidazione, rispettare la scala delle prelazioni tributaria. In questo modo si evita di incorrere nelle severe responsabilità “per fatto proprio” che la legge prevede e che la Cassazione, con ordinanza n.15580/2024, ha definito di natura civilistica autonoma rispetto al debito d’imposta originario.
Domande frequenti (FAQ)
Di seguito una serie di domande comuni sul tema della responsabilità dei soci per i debiti della SRL, con risposte concise basate su quanto esposto finora:
D1: Un socio di SRL risponde mai con il proprio patrimonio personale dei debiti della società?
R: In generale no, i soci beneficiano della responsabilità limitata: i creditori possono rivalersi solo sul patrimonio della SRL. Tuttavia, in specifiche situazioni previste dalla legge o dalla giurisprudenza, il socio può perdere questa protezione. I casi tipici sono: socio unico che non ha versato capitale o dichiarato la sua unicità (responsabilità illimitata ex art.2462 c.c.); socio che ha ricevuto attivi in liquidazione quando la società si scioglie lasciando debiti (responsabilità fino a concorrenza di quanto ricevuto, ex art.2495 c.c.); oppure scenari di abuso (sottocapitalizzazione fraudolenta, confusione patrimoni, frodi) in cui il giudice può “bucare” il velo societario e colpire i soci sul loro patrimonio. Inoltre, se il socio è anche amministratore e gestisce male la società causando danni ai creditori, può essere condannato a risarcirli di tasca propria.
D2: Se la SRL fallisce, i soci vengono dichiarati falliti personalmente?
R: No, il fallimento (oggi “liquidazione giudiziale”) della società di capitali non si estende ai soci, a differenza delle società di persone. I soci di SRL non falliscono in proprio per il solo fatto del fallimento della società. Fa eccezione l’eventuale socio che risponda illimitatamente per obblighi di legge (ad esempio socio unico non in regola con art.2462 c.c.): in teoria, se fosse qualificato come debitore illimitato, potrebbe essere assoggettabile a fallimento personale, ma ciò richiede un accertamento specifico e nella pratica è evenienza rara. In generale quindi il socio non subisce procedure concorsuali personali per debiti sociali. Attenzione però: se emerge che la SRL era schermo di una società di fatto con soci illimitatamente responsabili, il tribunale può dichiarare il fallimento anche di questi ultimi (fallimento “in estensione” ex art.147 L.F.) – ipotesi eccezionale legata al socio occulto.
D3: L’essere socio di maggioranza o socio amministratore comporta rischi maggiori?
R: Sì. Il socio di maggioranza ha maggior influenza sulle decisioni e quindi maggiori probabilità di essere coinvolto in condotte abusive (es. autorizzazione di atti dannosi). Inoltre se è amministratore, egli può incorrere nella responsabilità per mala gestio verso i creditori. Un socio di maggioranza che sia anche amministratore è la figura più esposta: non solo perde il capitale investito se la società va male, ma può dover pagare di persona i debiti rimasti, specie se ha commesso violazioni gravi di legge (es. non ha convocato l’assemblea in caso di perdita, ha aggravato il dissesto, ha evaso il fisco). Il socio di minoranza non amministratore, di regola, rischia molto meno, a meno che non partecipi attivamente ad atti dannosi o non abbia fornito garanzie personali.
D4: Se la società non paga un debito (es. con un fornitore o una banca), il creditore può direttamente attaccare i beni dei soci?
R: No, non direttamente. Il creditore deve prima escutere la società debitrice. Se la società non paga per incapienza, il creditore non può automaticamente rivalersi sui soci, salvo i casi particolari discussi. Dovrà valutare se ricorre una delle eccezioni (es. socio fideiussore, società sciolta con attivo distribuito, ecc.). In assenza di tali condizioni, i soci restano al riparo. Ad esempio, se una banca ha concesso un mutuo alla SRL senza garanzie personali dei soci, in caso di insolvenza della SRL potrà escutere i beni sociali (ipoteche, crediti, ecc.) ma non le proprietà personali dei soci. I soci perderanno al più le somme già investite e gli utili sperati, ma i loro ulteriori beni non sono aggredibili per quel debito.
D5: L’Agenzia delle Entrate o l’INPS possono chiedere ai soci il pagamento di tasse o contributi non versati dalla SRL?
R: Sì, in certi casi. Se la società è ancora in vita, il Fisco normalmente agisce solo contro la società (eventualmente iscrive ipoteche sui suoi beni). Tuttavia, se la società viene cancellata con debiti tributari o contributivi, l’Erario e gli enti previdenziali possono far valere la responsabilità dei soci ex art.2495 c.c. e disposizioni speciali. In particolare, l’Agenzia delle Entrate può notificare ai soci un avviso di accertamento per le imposte rimaste dovute dalla società estinta, per ottenere un titolo esecutivo nei loro confronti. L’eventuale riscossione avverrà nei limiti di quanto ciascun socio ha ricevuto dalla liquidazione. Inoltre, se vi sono state manovre patologiche (come distribuzioni in frode al Fisco, occultamento di attivi), i soci e amministratori rispondono personalmente “per fatto proprio” ai sensi dell’art.36 DPR 602/73. Quanto ai contributi INPS, analogamente, i soci possono essere chiamati a rispondere fino a concorrenza delle somme avute in liquidazione o comunque per eventuali atti di mala gestio accertati in capo a liquidatori e amministratori. Quindi, sebbene in generale il debito fiscale/previdenziale rimanga della società, i soci non sono immuni: il Fisco (entro 5 anni dalla cessazione) e l’INPS hanno strumenti per colpire i soci in sede di recupero. Vale infine il discorso penale: l’amministratore socio che non versa IVA o ritenute può subire condanna penale e dover rifondere di persona il danno all’Erario.
D6: Cos’è la “sottocapitalizzazione abusiva” di cui sento parlare e perché può far cadere la responsabilità limitata?
R: Si parla di sottocapitalizzazione societaria quando i mezzi propri della società (capitale, riserve) sono esigui al confronto dell’attività intrapresa. Se ciò avviene in mala fede, cioè i soci hanno deliberatamente dotato la società di un capitale troppo basso per poi fare affidamento sul fatto che i creditori non potranno rivalersi sui soci, siamo di fronte a una sottocapitalizzazione dolosa o “fittizia”. In tali circostanze i tribunali possono considerare la sottocapitalizzazione un abuso della forma societaria: i soci hanno usato la SRL come schermo insufficiente, e dunque ne disapplicano la personalità giuridica. Ciò comporta che i soci potrebbero essere chiamati a rispondere illimitatamente dei debiti sociali, proprio perché la società era strutturalmente incapace di adempiere e i soci lo sapevano e l’hanno creata lo stesso. È un caso estremo, ma non raro in giurisprudenza (specie nei confronti di SRL unipersonali o familiari con capitale irrisorio e montagne di debiti). Insomma, la legge non richiede un capitale proporzionato all’attività, ma se l’evidente inadeguatezza è utilizzata per frodare i creditori, i soci ne rispondono.
D7: Se come socio ricevo somme o beni dalla mia SRL (per esempio utili o rimborsi), posso tenerli anche se la società ha dei debiti?
R: Dipende. Se si tratta di utili legittimamente distribuiti mentre la società è in bonis, sì (ferma restando la possibilità di revocatoria fallimentare entro 1 anno se poi la società fallisce). Ma se si tratta di attivo finale di liquidazione, quelle somme restano vincolate ai creditori per 1 anno (tempo per impugnare il bilancio finale) e, come abbiamo visto, se vi sono debiti non pagati tu dovrai restituirle per soddisfarli. Se invece hai ricevuto beni o denaro in conflitto coi creditori (es. un rimborso anticipato del tuo finanziamento soci mentre altri creditori rimangono insoddisfatti, oppure distribuzioni di utili fittizie), quelle somme possono esserti tolte mediante azione revocatoria o risarcitoria. In particolare, la distribuzione di utili o riserve in presenza di perdite o di situazione di dissesto è vietata: chi le percepisce indebitamente deve restituirle (art. 2497-quinquies c.c. e norme sulle riduzioni obbligatorie di capitale). Quindi il consiglio è: prima di prelevare utili o patrimoni dalla società, assicurarsi che i debiti esigibili siano pagati o almeno che restino risorse sufficienti. Un prelievo in circostanze critiche rischia di dover essere restituito con gli interessi.
D8: La società ha debiti notevoli e temo che l’amministratore (o gli altri soci) stiano facendo operazioni per far sparire i beni della società. Cosa posso fare come socio “onesto”?
R: Se sei anche amministratore, hai il dovere di opporti e denunciare tali atti, altrimenti ne sarai corresponsabile. Se sei un socio non amministratore, puoi: 1) fare mettere a verbale in assemblea il tuo dissenso da eventuali decisioni palesemente pregiudizievoli; 2) informare tempestivamente i sindaci o il revisore se esistono (questi hanno l’obbligo di intervento); 3) eventualmente denunciare i fatti al tribunale ex art. 2409 c.c. (se applicabile alle SRL con controllo) o promuovere un’azione di responsabilità contro gli amministratori per bloccare gli atti dannosi. Puoi anche avvisare i creditori principali affinché attivino misure cautelari (es. se si sta svendendo un immobile sociale ad altra ditta dei soci, un creditore potrebbe chiedere un sequestro giudiziario). Agire prontamente può salvare il patrimonio sociale e tutelarti. Se invece lasci che i beni vengano distratti e poi la società fallisce, il curatore chiederà conto anche a te se risultasse che sapevi e non hai fatto nulla (quantomeno sul piano morale, e il giudice potrebbe considerarti connivente). In sintesi: dissociati formalmente dagli atti sospetti e valuta azioni legali immediate per prevenirli.
D9: Sono solo un piccolo socio di minoranza senza potere. Rischio qualcosa in caso di debiti della società?
R: In linea di massima, il socio di minoranza non coinvolto nella gestione non rischia il proprio patrimonio personale. Egli è protetto dallo schermo societario finché non partecipa ad attività illecite. Anche in liquidazione, se non ha ricevuto nulla, non dovrà nulla. Il rischio maggiore è la perdita del valore della partecipazione (se la società va male, le sue quote possono azzerarsi). Solo se emergesse che anche il socio di minoranza ha tratto vantaggi indebiti (es. pagamenti preferenziali a suo favore, utili straordinari) potrebbe essere chiamato in causa. In casi rarissimi, se era consapevole di una frode (ad esempio prestanome di un socio occulto) potrebbe subirne le conseguenze. Ma queste sono eccezioni. Quindi, se sei un socio minoritario non amministratore, dormi abbastanza tranquillo: non dovrai coprire i debiti sociali col tuo patrimonio, a meno che tu non abbia garantito personalmente qualcosa o partecipato ad atti dolosi.
D10: Cosa posso fare per proteggere il mio patrimonio personale se sono socio (magari di maggioranza) di una SRL indebitata?
R: Ci sono varie precauzioni:
- Separazione rigorosa dei patrimoni: non confondere mai i conti personali con quelli della società; non utilizzare beni aziendali per scopi privati senza adeguata remunerazione. Questo evita accuse di confusione di patrimoni.
- Capitalizzazione adeguata: se l’azienda è sottocapitalizzata e sta andando in crisi, valuta di ricapitalizzare o immettere fondi (meglio come finanziamenti postergati) per evitare di essere accusato di averla lasciata priva di mezzi.
- Trasparenza verso i creditori: non aggravare il loro pregiudizio. Se vedi che non tutti potranno essere pagati, non fare il “furbo” pagando solo alcuni o prelevando attivi: piuttosto, valuta una composizione negoziata della crisi o un accordo con i creditori. Strumenti come il concordato preventivo o la ristrutturazione dei debiti possono risolvere la crisi evitando azioni personali contro di te.
- Non firmare garanzie personali se non necessario: cerca alternative (pegno su beni societari, factoring, etc.) così da non impegnare la tua casa o i tuoi risparmi in garanzia dei debiti sociali.
- Assicurazione responsabilità civile amministratori (D&O): valuta una polizza assicurativa che copra le azioni di responsabilità verso amministratori. Molte di queste polizze coprono i costi di difesa e talvolta anche gli indennizzi (tranne dolo). Non evita l’azione, ma ti dà un paracadute economico.
- Consulenza legale tempestiva: se la società accumula debiti e tu temi per il tuo patrimonio, consulta un avvocato esperto in crisi d’impresa. Spesso ci sono segnali di allarme (ad es. l’aver utilizzato indebitamente l’IVA incassata) che, se colti in tempo, permettono di porre rimedio prima che scattino responsabilità personali.
Ricorda che l’uso onesto e prudente della SRL ti protegge, l’abuso ti espone. Se agisci correttamente, la legge difende il tuo patrimonio dalle pretese dei creditori sociali; se invece cerchi di approfittare in modo scorretto della “scatola” societaria, la legge (e i tribunali) ti perseguiranno oltre quella scatola.
Tabelle riepilogative
Di seguito una tabella riassume i principali scenari e se/come il socio di SRL risponde dei debiti sociali in ciascuno di essi:
Situazione | Il socio risponde dei debiti? | Note e riferimenti |
---|---|---|
SRL in bonis, debiti ordinari (società operativa, senza inadempimenti gravi) | NO, il socio ha responsabilità limitata | Regola generale art. 2462 c.c.: risponde solo la società. Il socio può perdere al più il capitale investito. |
Socio ha sottoscritto e non versato parte del capitale | SÌ, nei limiti del conferimento dovuto | Non è una responsabilità diretta verso i creditori, ma il socio dovrà comunque versare quanto promesso (azionabile da società, liquidatore o curatore) per soddisfare anche i creditori. |
Socio garante (fideiussore, avallante) di specifici debiti sociali | SÌ, nei limiti della garanzia | Responsabilità contrattuale volontaria. Il socio-fideiussore è escusso se la società non paga. Egli paga come terzo garante, non come socio, ma di fatto il suo patrimonio è aggredibile dal creditore garantito. |
SRL con un solo socio (unipersonale): obblighi non rispettati (conferimenti non versati integralmente, o omessa dichiarazione di unicità) | SÌ, illimitatamente per i debiti insorti nel periodo di irregolarità | Art. 2462 co.2 c.c. prevede la responsabilità personale del socio unico insolvente se non adempie a versamento capitale o pubblicità. È una sanzione: il socio unico risponde come un socio illimitato per le obbligazioni sorte in quel lasso di tempo. |
Società sciolta e in liquidazione: attivo ripartito ai soci, debiti rimasti | SÌ, limitatamente all’attivo percepito (pro quota) | Art. 2495 c.c.: creditori insoddisfatti possono agire contro ciascun socio fino all’importo ricevuto in base al bilancio finale. Se nulla è stato distribuito, in linea di massima i soci non pagano nulla. |
Società cancellata senza attivo distribuito: debiti residui | In linea di principio NO, salvo azioni del Fisco per titolo formale | Orientamento prevalente: senza distribuzioni non c’è obbligo per i soci. Tuttavia il Fisco può ottenere un titolo contro di loro (Cass. SU 2013), pur potendolo eseguire solo se emergono attivi occultati o frutti di mala gestio. |
Abuso della forma societaria (società-schermo per frodi, sottrazione di beni, sottocapitalizzazione dolosa) | SÌ, potenzialmente illimitatamente (piercing del velo) | Caso per caso il giudice può ritenere i soci responsabili diretti dei debiti sociali, ignorando la persona giuridica. Esempi: soci usano la SRL per evadere o per assumere obbligazioni che sanno di non poter onorare (capitalizzazione irrisoria). |
Confusione patrimoni socio-società (utilizzo personale dei beni sociali) | SÌ, in caso di danno a creditori | Se i creditori dimostrano che il patrimonio sociale veniva deviato a fini personali, i soci possono dover rispondere di quegli importi. Giurisprudenza config. spesso un’azione di tipo extracontrattuale per danno ai creditori. |
Socio amministratore, mala gestio (inosservanza obblighi di conservazione patrimonio) | SÌ, come risarcimento danni verso i creditori | Art. 2476 c.c.: se l’amministratore (anche socio) causa con colpa/dolo un deficit patrimoniale, risponde verso i creditori per il pregiudizio arrecato. In pratica paga i debiti rimasti insoluti nella misura del danno da lui causato. |
Violazione di norme a tutela creditori (es. pagamenti preferenziali, omessa convocazione assemblea per perdite) da parte dell’amministratore socio | SÌ, illimitata (risarcimento) | Esempio: amministratore non attiva procedure in caso di perdite > 1/3 capitale -> aggravio debiti -> responsabilità verso creditori. Oppure: distribuzione illegittima utili -> obbligo di restituzione. La responsabilità non ha un tetto se non il danno causato (che può coincidere con tutti i debiti non pagati). |
Debiti tributari inadempiuti durante vita della società (no liquidazione) | NO diretta, ma con possibili eccezioni | Il debito fiscale resta in capo alla società. Tuttavia, amministratori/soci possono risponderne penalmente (evasione) e in solido in casi particolari (es. regime consolidato fiscale, omesso versamento ritenute come reato per l’amministratore). I soci non sono destinatari di cartelle esattoriali finché la società è attiva, salvo abbiano ruoli di garanti. |
Debiti tributari non pagati in liquidazione (società estinta) | SÌ, in forma sussidiaria per soci; diretta per liquidatori/amm. | Art. 36 DPR 602/73: soci responsabili pro quota delle imposte non pagate con le disponibilità sociali; liquidatore responsabile in solido se ha pagato altri trascurando il Fisco; amministratori responsabili per atti di occultamento o liquidazioni anticipate. È una responsabilità civile ex lege verso l’Erario. |
Debiti contributivi INPS non versati | Simile ai debiti fiscali | Liquidatori e soci rispondono ex lege in analogia all’art.36 DPR 602 (esteso ai contributi). Inoltre, l’amministratore può subire sanzioni (anche penali se omissioni elevate). In caso di società estinta, soci attaccabili entro attivo ricevuto. |
(Legenda: “SÌ” = il socio può essere obbligato a pagare con denaro proprio; “NO” = il socio non può essere obbligato)
Conclusioni
Dal punto di vista del socio (debitore potenziale), la SRL offre un alto grado di protezione patrimoniale, ma non è un’impenetrabile armatura. L’ordinamento italiano bilancia la responsabilità limitata con una serie di correttivi per impedire abusi e tutelare i creditori onesti. Un socio diligente, che rispetta le regole e mantiene separate le proprie vicende da quelle della società, raramente dovrà rispondere dei debiti sociali. Viceversa, un socio disinvolto, che approfitta della SRL per indebitarsi senza rischio o per gestire in modo sleale, scoprirà che la legge può raggiungerlo e costringerlo a pagare di persona il conto.
Abbiamo visto che casi come il socio unico inadempiente, le distribuzioni ai soci in presenza di debiti, la sottocapitalizzazione fraudolenta, l’intreccio dei patrimoni o la mala gestio degli amministratori elidono o riducono drasticamente la separazione patrimoniale tra società e soci. La giurisprudenza più recente – anche a Sezioni Unite – mostra un orientamento chiaro: quando la personalità giuridica è usata come schermo in frode ai creditori, quel velo va squarciato e i soci ne rispondono illimitatamente. Ciò avviene non per punire il fatto di essere soci, ma per punire l’uso distorto di tale posizione.
D’altro canto, il socio che agisce correttamente può continuare a fare affidamento sul limite della propria responsabilità. Le situazioni esaminate (liquidazione, garanzie, ecc.) sono ben delimitate: non ogni debito della SRL “ricade” sui soci, ma solo in presenza dei presupposti specifici. Ad esempio, se una SRL chiude in bonis pagando tutti salvo un piccolo debito emerso poi senza aver distribuito nulla ai soci, questi non potranno essere perseguiti per quel debito. Se una SRL fallisce per ragioni di mercato, senza colpa degli amministratori e senza atti distrattivi, i soci non dovranno far fronte ai creditori (a meno di garanzie volontarie).
Implicazioni pratiche: per imprenditori e professionisti, questa analisi suggerisce alcune best practice. I professionisti (avvocati, commercialisti) dovrebbero informare i clienti soci di SRL che la formula “Srl = zero rischi personali” è vera solo fino a un certo punto. In particolare, in operazioni societarie straordinarie (fusioni, scissioni, cessioni di azienda) occorre valutare l’impatto sui creditori, perché manovre elusive possono portare a responsabilità postume dei soci. Gli imprenditori farebbero bene a non sottovalutare gli obblighi gestori introdotti dalla recente normativa sulla crisi d’impresa: ignorare gli indizi di crisi e continuare ad accumulare debiti potrebbe far scattare a posteriori azioni di responsabilità molto costose.
Per i privati che investono come soci minoritari, l’approfondimento dà rassicurazione che, se restano tali e non si immischiano in condotte illegali, il loro patrimonio personale è al sicuro dai creditori sociali. Al contempo, però, se decidono di coinvolgersi nella gestione, acquisendo deleghe o poteri, devono essere consapevoli delle correlate responsabilità.
In conclusione, il socio risponde dei debiti della SRL solo in casi eccezionali, ma tali casi – alla luce delle riforme e della giurisprudenza – sono oggi più numerosi e incisivi di quanto un approccio superficiale possa suggerire. La limitazione di responsabilità non è un salvacondotto per ogni comportamento: esige correttezza, adeguatezza patrimoniale e rispetto delle regole societarie e concorsuali. Come plasticamente affermato in dottrina, la SRL è uno “scudo, non una spada”: protegge l’investitore dai rovesci dell’impresa, ma non può essere usata come arma per danneggiare creditori impunemente.
Fonti (normative e giurisprudenziali)
- Codice Civile: artt. 2462, 2476, 2495 c.c. – Disciplina della responsabilità dei soci di SRL e azioni verso amministratori.
- D.P.R. 29 settembre 1973 n.602, art. 36 – Responsabilità di liquidatori, amministratori e soci per debiti tributari in liquidazione.
- Cass., Sez. Un., 12 marzo 2013, nn. 6070, 6072 – Cancellazione della società e debiti residui: soci successori sui generis nei debiti sociali anche senza attivo di liquidazione.
- Cass., Sez. Un., 12 marzo 2013, n. 6070 (motivazione) – Principio della non estinzione dei debiti non soddisfatti e subingresso dei soci entro i limiti di quanto avrebbero riscosso.
- Cass., Sez. I, 24 novembre 2023, n. 32729 (ord.) – Società estinta: socio unico non responsabile oltre le somme percepite, onere del creditore provare l’avvenuta distribuzione.
- Cass., Sez. V, 22 settembre 2021, n. 25710 – Conferma natura “obbligazione ex lege” della responsabilità di soci e liquidatori ex art.36 DPR 602/73 (no successione nel debito tributario).
- Cass., Sez. Trib., 4 giugno 2024, n. 15580 (ord.) – Ribadisce principi su responsabilità di organi e soci ex art.36 DPR 602/73: obbligazione civile autonoma, condizioni di azionabilità.
- Cass., Sez. I, 20 luglio 2020, n. 15378 – Estensione ai soci limitatamente responsabili (SRL) della responsabilità per debiti tributari società estinta (richiama art. 2495 c.c. e art. 28 co.4 D.Lgs.175/2014).
- Cass., Sez. I, 5 dicembre 2012, n. 21773 – Cancellazione societaria in pendenza di giudizio: legittimazione processuale dei soci ex art.110 c.p.c. quale successori a titolo universale sui generis.
- Cass., Sez. V, 7 dicembre 2021, n. 38950 – (Penale) Società cartiera e frode fiscale: in presenza di schermo fittizio il “velo societario” cade e le responsabilità penali e patrimoniali ricadono sugli autori (amministratori/soci).
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Conclusione
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