Società Estinta e Debiti Tributari: Cosa Fare

Hai chiuso una società, ma l’Agenzia delle Entrate ti sta ancora chiedendo il pagamento di debiti fiscali non saldati? Hai ricevuto cartelle esattoriali, avvisi di accertamento o richieste di pagamento nonostante la società sia ormai estinta? Se sei un ex amministratore, socio o liquidatore, è fondamentale capire cosa rischi e come difenderti legalmente.

Cosa succede ai debiti tributari di una società estinta?
Quando una società si estingue (cancellazione dal Registro Imprese), in teoria cessa anche la sua capacità giuridica, e quindi non può più essere destinataria di atti o cartelle. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate può agire nei confronti delle persone fisiche che erano legate alla società se ritiene che:
– Gli ex soci abbiano ricevuto beni o denaro in fase di liquidazione
– Gli ex amministratori abbiano agito con negligenza o dolo
– L’estinzione sia stata strumentale a eludere i debiti

Chi può essere chiamato a pagare?
– Gli ex soci, nei limiti di quanto riscosso in fase di liquidazione
– Gli ex amministratori, in caso di mala gestio
– Il liquidatore, se non ha rispettato i doveri di legge nel chiudere la società

L’Agenzia delle Entrate può notificare atti dopo l’estinzione?
Spesso lo fa, ma non sempre è legittimo. La giurisprudenza richiede che gli atti siano indirizzati alle persone fisiche, non alla società ormai cessata. Se ricevi una notifica a nome della società estinta, puoi impugnarla per nullità.

Cosa puoi fare per difenderti?
Verifica la correttezza dell’atto notificato (soggetto, tempi, modalità)
Controlla se hai effettivamente ricevuto beni dalla società prima della chiusura
Valuta l’opposizione o il ricorso tributario, nei termini di legge
Valuta la procedura di sovraindebitamento, se sei sommerso da debiti personali derivanti dalla società

Cosa NON devi fare mai?
– Ignorare le notifiche solo perché la società non esiste più
– Confondere i debiti della società con quelli personali senza approfondire
– Sottovalutare le responsabilità come socio o amministratore

Anche se la società è estinta, puoi difenderti dai debiti fiscali con gli strumenti giusti e nei tempi corretti.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa e contenzioso tributario – ti spiega cosa succede dopo la cancellazione di una società con debiti fiscali, chi rischia e come tutelarsi.

Hai ricevuto un atto per debiti di una società ormai chiusa?

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Introduzione

Quando una società viene sciolta e cancellata dal Registro delle Imprese, essa cessa di esistere come soggetto giuridico. Tuttavia, la chiusura di una società non fa automaticamente scomparire i debiti tributari rimasti insoluti. Il Fisco dispone di strumenti specifici per tutelarsi e cercare il pagamento di tali debiti anche dopo l’estinzione dell’ente. Dal punto di vista di ex soci, amministratori o liquidatori, è fondamentale capire come funzionano queste regole e cosa fare per difendere il proprio patrimonio personale.

In questa guida approfondiremo la disciplina civilistica e tributaria vigente (aggiornata a luglio 2025), con particolare riguardo alla normativa italiana e agli orientamenti giurisprudenziali più recenti. Utilizzeremo un linguaggio tecnico ma accessibile, con esempi pratici, tabelle riepilogative, e una sezione di domande e risposte frequenti, in modo da fornire indicazioni chiare sia a professionisti del diritto sia a imprenditori e privati che si trovino ad affrontare situazioni analoghe. L’obiettivo è spiegare come comportarsi dal punto di vista del debitore (ex socio o liquidatore) quando il Fisco avanza pretese per tributi dovuti da una società estinta, tenendo conto di tutte le tipologie societarie e delle possibili responsabilità di soci, amministratori e liquidatori.

Effetti dell’estinzione di una società: profili civilistici e tutela dei creditori

Quando una società di capitali (S.r.l., S.p.A., cooperativa, etc.) completa la liquidazione e viene cancellata dal Registro delle Imprese, la legge prevede la sua estinzione immediata. Ai sensi dell’art. 2495 cod. civ., l’approvazione del bilancio finale di liquidazione e la successiva cancellazione producono l’effetto costitutivo della cessazione definitiva della società. Ciò vale anche se rimangono debiti non pagati o rapporti pendenti: una volta cancellata, la società non ha più soggettività giuridica né capacità processuale, come se fosse “morta”. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel 2013 (sent. n. 6070/2013) ha sancito in termini chiari questo principio, affermando che la cancellazione dal registro determina l’estinzione immediata dell’ente anche in presenza di passività insoddisfatte.

Tale situazione pone un problema evidente per i creditori sociali (incluso l’Erario): il debitore originario (la società) non esiste più e quindi, in linea di principio, non può ricevere atti né essere convenuto in giudizio. Per evitare che i creditori rimangano senza tutela, l’ordinamento prevede un meccanismo di “successione” sui generis dei rapporti pendenti in capo ad altri soggetti. In particolare, l’art. 2495 c.c., comma 2 dispone che “dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi”.

In altre parole, due categorie possono essere chiamate a rispondere dei debiti residui di una società estinta secondo il codice civile:

  • I soci, ciascuno nei limiti di quanto eventualmente percepito in sede di liquidazione finale (es. riparto di utili o restituzione di capitale in eccedenza). Questo significa che, per le società di capitali (o comunque per i soci a responsabilità limitata), la responsabilità patrimoniale post-estinzione è limitata: non si estende oltre l’importo che il singolo socio ha ricevuto con il bilancio finale di liquidazione. Ad esempio, se un socio ha ottenuto €10.000 dalla liquidazione, risponderà dei debiti sociali (tributari compresi) solo fino a €10.000; se non ha ricevuto nulla, in teoria non dovrà pagare nulla. Questa successione patrimoniale ha natura parziale e pro quota: il socio subentra nel debito sociale solo entro quel valore, e se vi sono più soci ciascuno risponde in proporzione alla propria quota di attivo liquidato (es.: due soci al 50% ciascuno risponderà fino al 50% di quanto distribuito complessivamente). È fondamentale sottolineare che, salvo eccezioni specifiche, la responsabilità limitata non si trasforma in illimitata: oltre quanto ricevuto in liquidazione, il socio di una società di capitali non può essere costretto a pagare di più.
  • I liquidatori, se il mancato pagamento dei debiti sociali è dipeso da colpa loro (ad esempio per aver male amministrato la liquidazione, pagando altri creditori o distribuendo attivo ai soci senza saldare prima debiti di cui erano a conoscenza). In tal caso, la responsabilità del liquidatore è illimitata (nei limiti del danno causato, cioè dell’ammontare dei debiti non pagati per sua colpa) ed è di natura risarcitoria per inadempimento dei doveri del suo ufficio. In altre parole, il liquidatore non “eredita” il debito fiscale altrui, ma ne risponde personalmente per aver violato i suoi obblighi (ad esempio, aver preferito distribuire risorse ai soci pur sapendo dell’esistenza di debiti tributari impagati). Questa azione di responsabilità si configura come un illecito civile del liquidatore verso i creditori insoddisfatti.

La norma del 2495 c.c. disegna quindi una successione parziale nei debiti della società estinta: i soci subentrano pro quota nei rapporti attivi e passivi non definiti, ma solo entro il limite dell’attivo di liquidazione a ciascuno spettante; i liquidatori rispondono in proprio, senza un tetto prefissato, se hanno pregiudicato colpevolmente il soddisfacimento dei creditori.

Differenze in base al tipo di società: va precisato che la regola dell’art. 2495 c.c. si applica principalmente alle società dotate di autonomia patrimoniale perfetta (società di capitali e, in generale, soci a responsabilità limitata). Nel caso invece di società di persone (come S.n.c. o S.a.s.), i soci illimitatamente responsabili già rispondevano personalmente delle obbligazioni sociali durante la vita della società. Pertanto, la cancellazione non fa che confermare una responsabilità che esisteva anche prima, senza alcun tetto del bilancio finale. Ad esempio, in una S.n.c. i soci restano obbligati solidalmente per i debiti rimasti, potendo il Fisco chieder loro l’intero importo dovuto (salvo il diritto di regresso fra i soci secondo le rispettive quote interne). Analogamente per i soci accomandatari di una S.a.s. (che hanno responsabilità illimitata), mentre i soci accomandanti, avendo responsabilità limitata al conferimento, risponderanno solo eventualmente entro quanto ricevuto in sede di liquidazione (di norma nulla, in presenza di debiti). In sintesi, i soci di società di persone illimitatamente responsabili continuano a rispondere illimitatamente dei debiti sociali anche post-estinzione, perché la loro responsabilità non era limitata neppure prima. La disciplina dell’art. 2495 c.c. rileva quindi soprattutto per i soci di società di capitali e gli accomandanti di S.a.s., ossia per quei soci la cui responsabilità durante la vita sociale era limitata.

Tabella 1 – Responsabilità dei soci dopo l’estinzione per tipologia societaria

Tipo di societàResponsabilità dei soci durante la vita socialeResponsabilità dei soci per debiti residui post-chiusura
Società di capitali (S.r.l., S.p.A., S.a.p.a.*)Limitata al capitale conferito (nessuna obbligazione personale per i debiti sociali).Limitata alle somme ricevute in liquidazione (successione ex art. 2495 c.c.). Se non hanno ricevuto nulla, in linea di principio non pagano nulla.
Società di persone – soci illimitatamente responsabili (S.n.c. tutti i soci; S.a.s. solo accomandatari)Illimitata e solidale per tutte le obbligazioni sociali, con beneficio di escussione (creditori devono escutere prima la società).Illimitata e solidale anche dopo la cancellazione, senza tetto del bilancio finale. I creditori (incluso il Fisco) possono rivalersi sui soci per l’intero debito rimasto insoluto.
Società di persone – soci accomandanti (S.a.s. soci limitati)Limitata al conferimento (esclusi dall’amministrazione; perdono solo quanto conferito).Equiparabili a soci di capitali: rispondono solo se e nei limiti di quanto eventualmente ricevuto in sede di liquidazione finale. Altrimenti, nessuna ulteriore obbligazione personale.

Esecuzione e modalità di tutela civilistica: un creditore insoddisfatto della società estinta, per ottenere quanto dovuto, deve agire direttamente contro i suddetti soggetti (soci o liquidatori). In sede civile ordinaria, ciò avviene tramite un’azione di accertamento e condanna: il creditore cita in giudizio gli ex soci, dimostrando l’esistenza del credito rimasto impagato, l’intervenuta cancellazione della società e l’importo distribuito a ciascun socio col bilancio finale. Analogamente può agire contro il liquidatore, provandone la colpa specifica. L’azione contro soci e liquidatori è soggetta a termini di prescrizione ordinari (di norma 10 anni) e, se proposta entro un anno dalla cancellazione della società, la legge consente una facilitazione: la notifica dell’atto introduttivo (es. citazione) può avvenire presso l’ultima sede della società estinta. Ciò evita al creditore, per quell’anno, di dover rintracciare le residenze dei soci o liquidatori – potendo notificar loro presso la “vecchia” sede sociale – e serve a favorire un’azione tempestiva. Decorso l’anno, le azioni andranno notificate direttamente ai soggetti nel loro domicilio personale.

Va evidenziato che la disciplina attuale dell’art. 2495 c.c. è frutto della riforma societaria del 2003. Prima di allora, vi era incertezza sul destino dei debiti dopo la cancellazione: talora si riteneva che la società, pur cancellata, potesse conservare una sorta di capacità fino all’esaurimento dei debiti, oppure che la cancellazione fosse inefficace se non erano soddisfatti i creditori. Le Sezioni Unite del 2010 e 2013 hanno però chiarito definitivamente che la cancellazione segna l’estinzione immediata dell’ente, rimediando in via interpretativa al vuoto di tutela dei creditori tramite il meccanismo di cui sopra (successione di soci e responsabilità del liquidatore). Questa impostazione ha sollevato problemi particolari in ambito tributario, perché un atto impositivo notificato a nome di una società ormai estinta rischia di essere nullo per inesistenza del destinatario. Proprio per questo, come vedremo, il legislatore fiscale è intervenuto con una norma ad hoc nel 2014 per gestire gli accertamenti verso società estinte.

Il fallimento entro un anno dalla cancellazione

Prima di passare alla disciplina tributaria, menzioniamo un ulteriore elemento civilistico: la possibilità di un fallimento “postumo” della società estinta. L’art. 10 della Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) – oggi trasfuso nell’art. 33 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – prevede che un imprenditore (società compresa) possa essere dichiarato fallito (oggi si dice assoggettato a liquidazione giudiziale) entro un anno dalla sua cancellazione, se l’insolvenza si è manifestata prima della cancellazione o entro l’anno successivo. Ciò significa che, se la società al momento della cancellazione era insolvente (incapace di pagare i propri debiti), i creditori – incluso il Fisco – possono chiedere al tribunale il fallimento (liquidazione giudiziale) entro un anno dalla cancellazione. In caso di fallimento dichiarato entro l’anno, la società in un certo senso “resuscita” sotto forma di massa fallimentare rappresentata dal curatore fallimentare, e tutte le azioni dei creditori dovranno proseguire nell’ambito della procedura concorsuale.

Per il debitore (ex soci e amministratori), il fallimento post-chiusura è un’arma a doppio taglio. Da un lato, protegge i soci da azioni esecutive individuali del Fisco durante la procedura: l’Erario dovrà insinuare il proprio credito nel fallimento al pari degli altri creditori, e non potrà agire direttamente contro i soci per il pagamento dei debiti tributari finché la procedura è in corso. Anzi, eventuali avvisi di accertamento notificati alla società nel frattempo decadranno o saranno assorbiti dal fallimento, dovendo il Fisco far valere le sue pretese solo in quella sede. Dall’altro lato, però, i soci rischiano di perdere quanto ricevuto in liquidazione: il curatore potrà esercitare azioni per far restituire ai soci attivi distribuiti in pregiudizio dei creditori (azione di inefficacia delle ripartizioni ai sensi dell’art. 2495 c.c. o azioni revocatorie fallimentari se ne ricorrono i presupposti). Inoltre, gli amministratori e liquidatori potranno essere chiamati a rispondere di reati fallimentari (bancarotta semplice o fraudolenta) se emergono condotte distrattive o irregolarità nella gestione che hanno portato al dissesto. In sostanza, il fallimento sposta la vicenda sul piano concorsuale: i soci diventano parti di eventuali azioni revocatorie o risarcitorie promosse dal curatore, mentre gli ex amministratori affrontano i rischi penali connessi.

Esempio: Alfa Srl viene cancellata dal registro nel marzo 2024 con debiti tributari insoluti. Nel gennaio 2025 l’Agenzia delle Entrate – non avendo potuto agire efficacemente per via della chiusura – deposita un’istanza di fallimento postumo. Il tribunale accerta che Alfa Srl era insolvente già al momento della cancellazione e dichiara il fallimento entro l’anno. A questo punto, ogni avviso di accertamento o cartella intestata ad “Alfa Srl” perde efficacia: l’unico modo per il Fisco di recuperare sarà presentare domanda di ammissione al passivo fallimentare. I soci di Alfa Srl non riceveranno più cartelle a loro nome (finché c’è la procedura fallimentare), ma il curatore potrebbe chiedere loro la restituzione di somme se hanno ricevuto pagamenti in liquidazione violando la par condicio dei creditori. Gli amministratori saranno soggetti a verifica per eventuali condotte di bancarotta (ad es., aver pagato alcuni creditori invece del Fisco può configurare bancarotta preferenziale/fraudolenta). In sintesi, il fallimento postumo coinvolge nuovamente la società (sia pure come “massa fallimentare”) e incanala lì tutte le pretese creditorie, alleggerendo in parte la pressione immediata su soci e liquidatori, ma esponendoli ad altre conseguenze (perdita di somme ricevute, azioni di responsabilità, rischi penali).

Nota: Trascorso un anno dalla cancellazione senza che sia stato chiesto il fallimento, non è più possibile dichiarare fallita la società. A quel punto i creditori rimasti dovranno agire nelle altre forme (contro soci/liquidatori in via ordinaria, oppure attraverso le procedure tributarie specifiche di cui diremo). Anche un eventuale decesso dell’ex imprenditore non blocca del tutto le pretese: per l’imprenditore individuale la legge fallimentare prevedeva un anno dalla morte per dichiarare il fallimento se c’erano i presupposti (art. 11 L.F.), ma questa è una digressione oltre il nostro tema.

La “sopravvivenza fiscale” quinquennale della società estinta (art. 28 D.lgs. 175/2014)

Come anticipato, sul piano tributario il legislatore è intervenuto per evitare che la cancellazione della società impedisca o invalidi i controlli fiscali postumi. Con l’art. 28, comma 4, del D.lgs. 175/2014 (decreto semplificazioni fiscali) è stata introdotta una finzione giuridica che prolunga l’esistenza della società ai soli fini fiscali per un periodo di cinque anni. La norma recita infatti: “Ai soli fini della liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 c.c. ha effetto trascorsi 5 anni dalla richiesta di cancellazione nel Registro delle imprese”. In altre parole, a fini tributari una società cancellata è considerata come se continuasse ad esistere per i cinque anni successivi alla cancellazione.

Lo scopo di questa finzione è chiaro: evitare che l’Agenzia delle Entrate si trovi impossibilitata a notificare avvisi di accertamento o cartelle a una società che è stata cancellata, magari poco dopo la chiusura dell’esercizio oggetto di verifica. Con la “sopravvivenza” fiscale quinquennale, il Fisco dispone di un arco temporale entro cui concludere eventuali accertamenti e notificare atti impositivi come se la società fosse ancora in vita. In pratica, entro 5 anni dalla cancellazione:

  • È valida la notifica di atti tributari indirizzati alla società (avvisi di accertamento, avvisi di liquidazione, cartelle di pagamento, ecc.), nonostante civilmente la società sia estinta. Dunque, un avviso di accertamento intestato alla società e notificato entro il quinquennio non è nullo per inesistenza del destinatario, in virtù di questa norma speciale.
  • Decorso il quinquennio, la finzione cessa: la società è considerata estinta anche per il Fisco, e qualsiasi atto a nome della società notificato oltre 5 anni dalla cancellazione sarà nullo per inesistenza del soggetto destinatario. In tal caso l’Amministrazione finanziaria, se vuole ancora agire, dovrà necessariamente indirizzare nuovi atti ai soci o ai liquidatori come successori (vedremo oltre).
  • La disposizione si applica solo alle cancellazioni avvenute dopo il 13 dicembre 2014 (data di entrata in vigore del decreto). Non ha effetto retroattivo: se una società è stata cancellata prima di quella data, non gode di alcuna “coda” fiscale quinquennale, e la sua estinzione è immediata anche per il Fisco. Ne deriva che notifiche fiscali effettuate dopo la cancellazione di società avvenute prima del 2014 restano viziate (salvo particolari rimedi processuali di cui diremo).

Questa fictio iuris opera esclusivamente a fini fiscali e contributivi: non “rianima” la società in senso generale. La società cancellata non può riprendere a operare civilmente, né la finzione altera i rapporti tra soci e terzi al di fuori del Fisco. Si tratta quindi di una norma mirata: durante questi cinque anni la società permane come soggetto “congelato” solo per permettere agli enti impositori di perfezionare accertamenti, contenziosi e riscossione dei tributi.

Dal punto di vista processuale, la giurisprudenza ha chiarito gli effetti di questa sopravvivenza fiscale sui poteri di rappresentanza e legittimazione in giudizio:

  • Rappresentanza della società: l’orientamento consolidato (Cass. 2022 n. 16893, Cass. 2018 n. 7676, etc.) è che, nel quinquennio post-cancellazione, l’ex liquidatore (o, in mancanza, l’ultimo amministratore) conserva i poteri di rappresentanza della società ai fini fiscali e processuali. Ciò significa che l’ex liquidatore può validamente ricevere la notifica di avvisi di accertamento o cartelle intestati alla società estinta e, soprattutto, può impugnarli in giudizio in nome e per conto della società stessa. In pratica agirà come “ultimo legale rappresentante di XYZ Srl (ora estinta)”, conferendo mandato a un difensore tributarista per proporre ricorso.
  • Ruolo dei soci nel quinquennio: al contrario, gli ex soci non sono considerati soggetti legittimati ad agire autonomamente in questa fase. Finché vale la fictio, gli effetti dell’art. 2495 c.c. (successione del debito in capo ai soci) restano sospesi nei rapporti col Fisco. Dunque l’Agenzia, in questo periodo, di regola non notifica atti direttamente ai soci in quanto tali (se non magari come coobbligati in solido in ipotesi particolari, ma non come successori principali). Allo stesso modo, i soci non possono (secondo la Cassazione) impugnare per conto proprio un atto intestato alla società, neppure per far valere il limite della loro responsabilità, finché la finzione è operativa. L’unico legittimato “principale” a difendere la posizione fiscale resta l’ente, tramite il liquidatore.
  • Strategie prudenziali: alcuni pratici suggeriscono, per eccesso di prudenza, che in caso di contenzioso sia opportuno far intervenire anche i soci. Può accadere infatti che, all’atto pratico, il liquidatore sia irreperibile o inerte. In tali casi, gli ex soci – pur non formalmente legittimati – talora presentano ugualmente ricorso in proprio o si costituiscono “ad adiuvandum” nel ricorso del liquidatore, per evitare rischi di vacatio nella difesa. Ad esempio, il socio potrebbe intervenire per eccepire che la sua responsabilità è limitata a X euro. La Cassazione tuttavia ritiene che ufficialmente i soci non abbiano legittimazione attiva finché la fictio è in vigore. Quindi questa strategia è da usare con cautela: può servire a “coprire tutte le basi” se vi è incertezza sul comportamento del liquidatore, ma la posizione più ortodossa è che solo il liquidatore rappresenta la società nei 5 anni.

In sintesi, l’ex liquidatore funge da “custode” della posizione fiscale della società estinta per cinque anni. Ciò comporta per lui un onere di vigilanza: dovrebbe mantenere attiva la PEC della società o un domicilio per le notifiche, monitorare eventuali comunicazioni dell’Agenzia, e attivarsi prontamente in caso di atti impositivi notificati alla società. Allo stesso modo, gli ex amministratori farebbero bene a restare reperibili e cooperativi in questo periodo, per evitare che vengano emessi avvisi non contestati che poi diventano definitivi (con ricadute sui soci).

Tabella 2 – Validità degli atti fiscali verso società estinte (cancellazioni post-2014)

Periodo dalla cancellazioneValidità notifica di atti intestati alla società estintaAzioni verso ex soci/liquidatori
Entro 5 anniValida (società considerata esistente ex art. 28 D.lgs. 175/2014). L’atto può essere notificato presso l’ultima sede o al liquidatore; va impugnato dal liquidatore in nome della società (i soci non hanno, di regola, legittimazione attiva autonoma).Di norma non si agisce direttamente contro soci/liquidatori in questa fase (la successione ex soci è sospesa ai fini del contenzioso). Eccezioni: eventuale coobbligazione in solido per ruoli particolari, oppure soci che intervengono volontariamente a supporto.
Dopo 5 anniNon valida. La società è definitivamente estinta anche per il Fisco; un atto intestato alla società e notificato oltre il quinquennio è nullo per inesistenza del destinatario.L’unica via è emettere nuovi atti intestati direttamente a ex soci e/o liquidatori quali responsabili. (Se il Fisco tentasse oltre 5 anni di notificare comunque alla società, l’atto sarebbe annullabile per nullità radicale).

Importante: La “sopravvivenza fiscale” non estende i termini di decadenza ordinari dell’accertamento. Significa che l’Agenzia delle Entrate deve comunque rispettare i limiti generali per emettere gli avvisi di accertamento (di regola il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, o il 7° se omessa, eventualmente raddoppiati in caso di reati tributari). La fictio di 5 anni serve solo a considerare valida la notifica entro quel periodo, ma non proroga i termini di legge per accertare. Dunque l’Ufficio deve muoversi entro il termine più breve tra: (a) il normale termine di accertamento per l’annualità in questione; (b) il termine di 5 anni dalla cancellazione. Ad esempio, se una S.r.l. chiude e si cancella nel 2021, un avviso relativo ai redditi 2019 poteva essere emesso fino al 31/12/2024 (termine ordinario di accertamento). La fictio consente la notifica fino al 2026 (5 anni da 2021) solo in teoria; in pratica, il 2019 andava accertato entro il 2024, che è prima del 2026, quindi quel limite più breve prevale. Viceversa, se la società è cancellata nel 2021 e si vuole accertare il periodo d’imposta 2020 (termine ordinario 31/12/2025), la fictio permette comunque notifica fino al 2026 (5 anni da canc.), e qui il limite stringente sarebbe il 2025 (termine ordinario) che però cade prima dei 5 anni? Facciamo chiarezza: se la società ha chiuso nel 2023, l’Ufficio potrà notificare accertamenti fino al 5° anno successivo (cioè 2028) solo se i termini ordinari di accertamento per le annualità contestate arrivano almeno fino a quella data; se invece il termine ordinario scade prima, dovrà rispettare quello. Insomma, la norma dei 5 anni evita nullità di notifica, ma non salva accertamenti tardivi: se un atto è notificato entro i 5 anni ma dopo la scadenza del relativo termine di decadenza, resta impugnabile per tardività.

Trascorsi i cinque anni dalla cancellazione senza che siano stati notificati atti impositivi validi, la società è definitivamente estinta anche per il Fisco. In tal caso, non potranno più essere emessi nuovi avvisi a nome della società, e il recupero dei tributi insoluti diventa molto più difficile. I crediti tributari della società non accertati entro il quinquennio decadono; l’Agenzia delle Entrate a quel punto dovrebbe procedere eventualmente con azioni civilistiche verso soci/liquidatori sul fondamento dell’art. 2495 c.c. (azione di responsabilità patrimoniale), ma nella prassi ciò è raro poiché l’Amministrazione finanziaria di norma opera attraverso gli strumenti tributari (accertamenti e cartelle). Superato il periodo di “sopravvivenza” fiscale, è probabile che il debito fiscale non recuperato rimanga di fatto inesigibile, salvo casi eccezionali.

Esempio pratico 1: Alfa Srl si cancella il 1° marzo 2022. Nel settembre 2025 l’Agenzia delle Entrate contesta ricavi non dichiarati relativi al 2020 e notifica un avviso di accertamento intestato ad “Alfa Srl” presso la sua ultima sede legale. Sebbene Alfa Srl sia civilisticamente estinta, l’atto è notificato entro 5 anni dalla cancellazione, quindi per il Fisco è come se la società fosse ancora in vita e la notifica è valida. L’atto dovrà essere impugnato dall’ex liquidatore in nome della società (e prudentemente anche dagli ex soci, come spiegato sopra). Se nessuno lo impugna, l’accertamento diverrà definitivo decorso il termine e verrà iscritto a ruolo a nome di Alfa Srl; a quel punto l’Agente della Riscossione potrà notificare cartelle di pagamento, sempre entro i 5 anni, magari consegnandole al liquidatore. Infine, se il debito resterà impagato, trascorsi i 60 giorni dalla cartella l’Agente potrà escutere gli ex soci nei limiti delle loro responsabilità (fino a concorrenza delle somme da essi ricevute).

Esempio pratico 2: Beta Srl si cancella il 10 gennaio 2014, prima dell’entrata in vigore della norma della sopravvivenza fiscale. Nel 2015 le viene notificato un avviso di accertamento per IVA 2012 presso la vecchia sede sociale. Non essendoci la fictio quinquennale applicabile, Beta Srl era già estinta al momento della notifica: l’atto è nullo per inesistenza del destinatario. In un eventuale ricorso, gli ex soci potrebbero far valere questa nullità e far annullare l’avviso. (Nota: se Beta Srl fosse fallita entro l’anno, sarebbe stato diverso, ma in assenza di fallimento il Fisco avrebbe potuto rivalersi solo con un’azione civile ex art. 2495 c.c., cosa che però di solito l’Agenzia non fa direttamente).

Accertamento e riscossione dei tributi dopo l’estinzione: come procede il Fisco

Esaminiamo ora in dettaglio come l’Amministrazione finanziaria può agire per recuperare i tributi non pagati da una società estinta, distinguendo i vari scenari temporali e procedurali:

  • Notifica di avvisi di accertamento entro i 5 anni alla società (fittiziamente esistente): se la società è stata cancellata dopo il 13/12/2014, l’Agenzia delle Entrate può emettere e notificare avvisi di accertamento a nome della società entro il quinquennio dal giorno di cancellazione. L’atto sarà intestato alla società (denominazione sociale) e la notifica avverrà di solito presso l’ultimo domicilio fiscale noto, che coincide con la sede legale risultante in Camera di Commercio. In alternativa, può essere notificato al liquidatore (tipicamente via PEC se disponibile, o presso la residenza di quest’ultimo) indicandolo in qualità di ultimo legale rappresentante. Esempio di intestazione: “Alfa Srl (cancellata) in persona del sig. XYZ ultimo liquidatore”. Questo avviso deve contenere, come tutti gli atti impositivi, la motivazione della pretesa tributaria (imposte non versate o redditi non dichiarati, etc.) riferita alla società, e va notificato nei termini di decadenza ordinari (di solito entro il 5° anno successivo all’anno d’imposta). Se la notifica avviene validamente entro 5 anni, l’atto è efficace nei confronti della società e potenzialmente vincolante anche per i successori (soci), salvo impugnazione.
    • Difesa della società (liquidatore): come spiegato, spetta all’ex liquidatore attivarsi e proporre ricorso contro l’accertamento entro 60 giorni, dinanzi alla competente Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (già Commissione Tributaria Provinciale). Nel ricorso andrà indicato che la società è estinta ma fittiziamente esistente ex lege, e si potranno contestare sia il merito (ad esempio negare che le imposte siano dovute, correggere il calcolo) sia la legittimità (ad esempio eccepire errori di notifica, decadenza, ecc.). Il liquidatore agirà “in nome e per conto” della società estinta. È consigliabile, per massima tutela, che anche gli ex soci presentino ricorso in proprio, quantomeno per far valere il limite quantitativo della loro responsabilità. Alcune Commissioni Tributarie hanno infatti ritenuto che, essendo la società estinta incapace, i soli legittimati attivi siano i soci successori; altre invece accettano il ricorso del liquidatore. Per evitare incertezze procedurali, presentare un ricorso congiunto (società tramite liquidatore + soci) mette al riparo da eccezioni di inammissibilità. In ogni caso, se il liquidatore non agisce e i soci ne sono a conoscenza, è bene che questi ultimi sollecitino il liquidatore o valutino di intervenire essi stessi. Ignorare l’avviso è la cosa peggiore: trascorsi 60 giorni senza ricorso, l’atto diventa definitivo e il debito in esso contenuto sarà iscritto a ruolo a nome della società, con successiva cartella di pagamento.
    • Se nessuno impugna l’avviso: l’accertamento diviene definitivo “verso la società”. A quel punto l’Agente della Riscossione emetterà una cartella di pagamento intestata sempre alla società (ancora entro il termine dei 5 anni). Questa cartella potrà essere notificata magari presso la sede dismessa (con affissione) o al liquidatore. Sebbene la società sia fittiziamente ancora il destinatario, nella fase di riscossione coattiva l’Erario potrà poi rivalersi sui soci per il pagamento, facendo valere la loro obbligazione di carattere civile ex art. 2495 c.c. Ad esempio, potrebbe notificare ai soci un intimazione di pagamento o direttamente atti di pignoramento, basandosi sul titolo esecutivo costituito dalla cartella ormai definitiva verso la società. In uno scenario del genere, i soci si troverebbero in difficoltà perché l’accertamento non contestato è ormai cosa giudicata (anche se loro non hanno partecipato al giudizio). Avrebbero solo la strada di opporsi all’esecuzione (vedi oltre) lamentando di non essere mai stati coinvolti, ma con esiti incerti. Per questo è cruciale che il liquidatore (o gli stessi soci, tramite il liquidatore) impugnino tempestivamente gli avvisi entro il quinquennio, così da evitare situazioni in cui debbano poi difendersi tardivamente in sede esecutiva.
  • Notifica diretta di avvisi ai soci (dopo il quinquennio o in determinate circostanze): trascorsi i 5 anni dalla cancellazione (oppure se la cancellazione era antecedente al 2014 e quindi la fictio non applicabile), la società è ormai definitivamente estinta anche per il Fisco. Ciò significa che l’Agenzia non può più notificare validamente atti a nome della società stessa. In tali casi, se intende far valere il credito tributario, dovrà indirizzare nuovi avvisi di accertamento nominativi ai soggetti che ritiene responsabili: tipicamente gli ex soci (nei limiti del percepito) e/o i liquidatori (per eventuale responsabilità oltre il percepito, v. infra). La norma civilistica (art. 2495) e fiscale (art. 36 DPR 602/1973, vedi oltre) funge da base giuridica per emettere un atto impositivo specifico nei confronti di tali persone, in qualità di successori o responsabili d’imposta.
    • Ad esempio, supponiamo una S.r.l. cancellata nel 2019; nel 2025, oltre 5 anni dopo, viene scoperto un imponibile non dichiarato nel 2018. L’Agenzia non può più notificare un avviso alla società (sarebbe nullo), quindi nel 2025 emette un avviso di accertamento intestato direttamente a Tizio e Caio quali “ex soci della Delta Srl cancellata”, contestando loro il mancato pagamento delle imposte 2018 della società. Nell’atto indicherà l’importo originariamente dovuto dalla società e preciserà che ciascun socio è responsabile in ragione della propria quota, avendo ad esempio ricevuto €30.000 a testa di attivo di liquidazione. Questo avviso nominativo ai soci segue le regole generali degli accertamenti: va motivato, indica imposte, interessi e sanzioni, e dev’essere notificato (di norma tramite PEC o Ufficiale giudiziario alla residenza del socio) entro il termine di decadenza applicabile a quell’anno d’imposta. I soci destinatari potranno impugnarlo entro 60 giorni davanti alla Corte di Giustizia Tributaria, proprio come farebbero per un avviso tradizionale. In tale sede, potranno sia contestare il merito della pretesa tributaria (es. sostenere che i ricavi non dichiarati in realtà non esistevano) sia eccepire il limite della loro responsabilità. Ad esempio, potranno provare di aver ricevuto meno di quanto l’Ufficio assume, o addirittura nulla, in modo da ridurre o azzerare l’importo a loro carico. Sarà infatti onere loro fornire evidenza, magari producendo il bilancio finale di liquidazione e quietanze, che la somma percepita è inferiore o inesistente (dopo che l’Ufficio abbia almeno indicato gli elementi su cui fonda la propria pretesa, ad es. copia del bilancio finale).
    • Presupposto della responsabilità e onere della prova: le Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 3625/2025) hanno chiarito che la responsabilità patrimoniale degli ex soci per i debiti tributari della società estinta sorge solo se essi hanno effettivamente conseguito somme dal bilancio finale di liquidazione. La riscossione di somme in base al bilancio finale non è solo il limite quantitativo della responsabilità, ma costituisce il presupposto stesso dell’azione del Fisco. In mancanza, l’Amministrazione finanziaria difetta di interesse ad agire. Pertanto, se il socio contesta di aver ricevuto distribuzioni, spetta al Fisco provare il contrario (ad es. producendo il bilancio di liquidazione da cui risulti un riparto in suo favore). Le Sezioni Unite 2025 hanno però adottato una lettura ampia: l’“aver riscosso somme” comprende qualunque attribuzione patrimoniale derivante dalla società ai soci, anche non formalmente risultante dal bilancio. Ad esempio, la presenza di beni o diritti sociali trasferiti ai soci fuori bilancio, o l’escussione di garanzie personali prestate dal socio, possono configurare un’utilità patrimoniale ricevuta dal socio tale da giustificare l’azione di recupero. Quindi, il fatto che un socio non abbia ricevuto nulla “in base al bilancio finale” non basta da solo a escludere la sua responsabilità, se il Fisco dimostra che ha comunque tratto beneficio da beni sociali in altro modo. In ogni caso, la Cassazione ha statuito che la verifica sull’eventuale percezione di somme deve essere fatta in sede propria, cioè tramite un accertamento ad hoc rivolto al socio. Non è ammesso coinvolgere automaticamente i soci nel giudizio intrapreso dalla società: serve un nuovo atto dell’Ufficio indirizzato singolarmente agli ex soci per accertarne la responsabilità. Dunque, qualora la società avesse avviato un contenzioso contro un avviso a lei notificato, e successivamente venisse meno per cancellazione, il giudizio non può proseguire semplicemente contro i soci in mancanza di uno specifico atto di chiamata in causa nei loro confronti. L’Amministrazione finanziaria dovrà notificare ai soci un nuovo atto (sia esso un avviso di accertamento o un atto di “presa d’atto” della successione) per poter legittimamente proseguire nei loro riguardi il recupero.
    Nota procedurale: secondo un recente orientamento (Cass. ord. n. 923/2023), la nullità di un avviso di accertamento intestato a una società estinta è una nullità relativa, che deve essere eccepita dal contribuente; se nessuno la rileva in giudizio, il vizio non verrebbe dichiarato d’ufficio. Ciò rende ancor più importante, per un ex socio, far valere tempestivamente l’eventuale nullità derivante da notifica oltre i 5 anni o a soggetto inesistente. In pratica, se un socio si “dimentica” di eccepire che la società era estinta e l’atto era nullo, rischia che la Commissione ritenga sanato il vizio. Conviene dunque sempre sollevare formalmente tali eccezioni.
  • Cartelle di pagamento e riscossione coattiva verso i soci: una volta che un avviso (all’esito del contenzioso, o per mancata impugnazione) diventa definitivo e il relativo debito è iscritto a ruolo, l’Agente della Riscossione (es. Agenzia Entrate Riscossione) potrà emettere cartelle e successivi atti esecutivi. Nel caso di società estinta, la riscossione può prendere due strade:
    1. Nel quinquennio fiscale: il ruolo viene intestato alla società fittiziamente esistente, quindi la cartella di pagamento esce formalmente a nome della società. Sarà notificata entro i 5 anni – spesso all’ultima sede sociale o al liquidatore – e se non pagata si potrà procedere con pignoramenti, ipoteche, fermi nei confronti degli ex soci, entro i limiti del loro debito pro quota. In pratica, trascorso il termine di legge dopo la cartella (60 giorni senza pagamento), l’Agente potrà notificare ad ogni socio un atto di pignoramento (ad esempio su conto corrente) per la somma corrispondente alla quota di debito da lui dovuta. È bene evidenziare che tali atti esecutivi devono comunque essere preceduti da una comunicazione al socio: il socio avrà ricevuto copia della cartella (magari con una notifica per conoscenza) oppure almeno una comunicazione di intimazione di pagamento. Se così non fosse – ad esempio se il socio si vede pignorare beni senza aver mai ricevuto né un avviso a suo nome né una cartella – potrà fare opposizione, come vedremo.
    2. Dopo il quinquennio: il ruolo dovrà necessariamente essere intestato ai singoli soci (o liquidatori) poiché la società non è più un soggetto legale. Quindi, in questi casi, la prima cosa che il socio riceverà potrebbe essere direttamente una cartella di pagamento a suo nome. Esempio: “Cartella di pagamento n. XXX per €50.000, relativa a IRAP 2018 dovuta da Delta Srl (cancellata), notifica al Sig. Tizio in qualità di coobbligato ex art. 2495 c.c.”. Una situazione del genere può essere patologica se manca a monte un avviso di accertamento notificato al socio: infatti il socio, per legge, dovrebbe prima essere messo in condizione di contestare l’addebito tributario, cosa che avviene tramite un avviso di accertamento. Se l’Agente della Riscossione saltasse questo passaggio e notificasse direttamente la cartella al socio, quest’ultimo avrebbe motivo di impugnarla per nullità, invocando la violazione del suo diritto di difesa (mancanza di un “titolo” valido nei suoi confronti). La giurisprudenza conferma che la sequenza corretta prevede sempre un accertamento verso il socio prima di iscriverlo a ruolo. Quindi, se si riceve una cartella senza precedente avviso personale, è opportuno proporre ricorso contestando la cartella stessa per difetto di notifica di atto presupposto. L’esito tipico sarà l’annullamento della cartella, con rinvio all’Ufficio perché proceda come dovuto (ossia emettendo un avviso ad hoc al socio, salvo che i termini siano decaduti).

In generale, il socio o liquidatore che riceve atti della riscossione (cartelle, intimazioni, pignoramenti) riferiti a debiti di una società estinta ha a disposizione sia i rimedi del processo tributario sia, in certi casi, quelli del processo civile esecutivo. Può proporre:

  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria avverso cartelle o intimazioni, per far valere vizi formali o sostanziali (es.: mancata notifica di avvisi presupposti, prescrizione, difetto di motivazione, ecc.). Ad esempio, se un socio riceve una cartella dove compaiono importi per imposte societarie, potrà contestare di non aver mai ricevuto un atto impositivo a suo nome a monte, oppure che la società era estinta da oltre 5 anni al momento dell’iscrizione a ruolo, ecc. Il ricorso tributario va proposto entro 60 giorni dalla notifica dell’atto della riscossione.
  • Opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi innanzi al giudice civile (ex artt. 615 e 617 c.p.c.), nei casi in cui si voglia contestare direttamente la legittimità dell’azione esecutiva intrapresa. Ad esempio, se il socio si vede pignorare un conto corrente senza aver mai ricevuto né avvisi né cartelle, potrebbe proporre un’opposizione all’esecuzione evidenziando l’inesistenza di un titolo esecutivo valido nei suoi confronti (la cartella intestata alla società non è titolo contro di lui individualmente). Questi rimedi civilistici vanno usati con cautela e preferibilmente assistiti da un legale, in coordinamento con gli strumenti del contenzioso tributario.

Riassumendo, quando una società con debiti tributari viene estinta, gli ex soci e il liquidatore possono aspettarsi di ricevere vari tipi di atti dal Fisco o dall’Agente della Riscossione:

  • Avvisi di accertamento intestati alla società (se entro 5 anni), notificati al liquidatore o presso l’ultima sede.
  • Cartelle di pagamento intestate alla società (entro 5 anni) ma di fatto consegnate al liquidatore; oppure cartelle intestate direttamente ai singoli soci per la quota di loro spettanza (specie dopo che l’accertamento societario sia divenuto definitivo).
  • Comunicazioni bonarie o solleciti dall’Agenzia delle Entrate o dall’Agente della Riscossione rivolti agli ex soci o al liquidatore, in cui si informa del debito e si invita al pagamento volontario prima di procedere coattivamente.

Di fronte a tali atti, è fondamentale che i soggetti interessati reagiscano tempestivamente, esercitando i propri diritti di difesa nelle sedi opportune (vedi sezione successiva).

Responsabilità del liquidatore per i debiti tributari non soddisfatti

Abbiamo visto che, secondo il codice civile, il liquidatore risponde illimitatamente verso i creditori sociali se con colpa ha causato il mancato pagamento dei debiti (ad es. distribuendo attivo ai soci pur sapendo di debiti fiscali). Tale principio generale trova nel diritto tributario una specifica declinazione nell’art. 36 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 (che disciplina la riscossione delle imposte sul reddito). Questa norma prevede una responsabilità personale del liquidatore per il pagamento delle imposte dovute dalla società in liquidazione, a certe condizioni. Più precisamente, il comma 5 dell’art. 36 stabilisce che i “liquidatori […] che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute […] rispondono in proprio del pagamento delle imposte se soddisfano creditori di ordine inferiore a quelli tributari o assegnano beni ai soci […] senza avere prima soddisfatto i crediti tributari. Tale responsabilità è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti”.

In sostanza, il liquidatore che, durante la liquidazione, paga altri creditori di rango inferiore rispetto al Fisco oppure distribuisce beni ai soci senza aver prima pagato le imposte dovute, diventa personalmente obbligato al pagamento di quelle imposte non versate. La sua responsabilità è limitata all’importo che il Fisco avrebbe potuto ottenere se il liquidatore avesse rispettato l’ordine dei privilegi (dunque grosso modo l’importo delle imposte non pagate, nella misura in cui c’era attivo disponibile). Si tratta di una responsabilità di natura civilistica (non è un nuovo tributo a suo carico, ma un obbligo risarcitorio ex lege) che però viene accertata in ambito tributario.

Alcuni punti importanti su questa responsabilità ex art. 36 D.P.R. 602/73:

  • Natura e presupposti: è una responsabilità per fatto proprio del liquidatore, derivante dalla violazione del suo dovere di soddisfare prioritariamente il Fisco in sede di liquidazione. Non richiede la preventiva escussione della società (che peraltro, essendo liquidata, spesso non ha più beni): il presupposto è il mancato pagamento di imposte dovute con le attività della liquidazione e la contestuale distrazione di quelle attività ad altri scopi (creditori postergati o soci). Non è necessario che le imposte fossero già “iscritte a ruolo” o formalizzate: anche imposte semplicemente dovute (ad esempio risultanti da dichiarazioni) rientrano nella tutela. Su questo c’è stato dibattito: la Cassazione un tempo riteneva che la responsabilità del liquidatore scattasse solo se i tributi erano stati iscritti a ruolo e rimasti insoddisfatti, mentre le Sezioni Unite più di recente hanno chiarito che non serve la previa iscrizione a ruolo: il liquidatore risponde anche di imposte non ancora formalizzate in cartelle, se erano dovute e non pagate durante la liquidazione.
  • Ambito oggettivo: la norma si riferisce alle imposte sui redditi delle persone giuridiche, ma la giurisprudenza la applica estensivamente a tutti i tributi dovuti dalla società in liquidazione (IRAP, IVA, ritenute, ecc.), in quanto l’obbligo del liquidatore è generale. Tipicamente riguarda imposte relative al periodo della liquidazione stessa o periodi precedenti non versate con le attività della liquidazione. Se il liquidatore chiude la società senza pagare, ad esempio, l’IVA dovuta o le ritenute fiscali, e nel contempo paga fornitori chirografari o distribuisce attivo ai soci, viola la parziale prelazione che il Fisco avrebbe avuto e ne risponde.
  • Estensione quantitativa: il liquidatore non è tenuto a pagare più di quanto il Fisco avrebbe potuto ottenere dagli attivi sociali. La sua responsabilità è “commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza”. Ciò significa, ad esempio, che se la società aveva €100 di attivo e €300 di debiti (tra cui €50 di debiti tributari), il liquidatore risponde al massimo per quei €50 (se li ha completamente ignorati pagando altri). Se invece l’attivo era €10 e il debito fiscale €50, il liquidatore risponderà solo fino a €10 (quello sarebbe stato il realizzo disponibile). Caso pratico: società con 100 di attivo, 80 di debiti verso fornitori e 20 di debiti verso il Fisco: il liquidatore avrebbe dovuto pagare 20 al Fisco e 80 ai fornitori (nel rispetto del grado). Se invece ha pagato 100 ai fornitori e zero al Fisco, quest’ultimo potrà chiedere al liquidatore quei 20 non pagati (oltre interessi e sanzioni eventualmente) come responsabilità personale. Viceversa, se l’attivo era insufficiente a coprire interamente il Fisco, il liquidatore risponderà solo per la parte copribile (e il resto rimarrebbe comunque insoluto).
  • Rapporto con art. 2495 c.c.: la responsabilità ex art. 36 è autonoma rispetto a quella dei soci ex art. 2495 c.c. Infatti l’art. 36 comma 5 aggiunge “salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile”. Ciò indica che se dal codice civile derivano responsabilità più ampie, restano ferme: ad es. se la società era di persone e il liquidatore era anche socio illimitatamente responsabile, rimane comunque obbligato per tutto. Ma normalmente, per società di capitali, la responsabilità del liquidatore ex art. 36 può coesistere con quella dei soci per le somme ricevute. Il Fisco potrà agire sia contro i soci (per fargli restituire il riparto indebito) sia contro il liquidatore (per l’ammontare non soddisfatto per colpa sua). In genere, se il liquidatore ha distribuito ai soci, i soci rispondono nei limiti di quanto incassato e il liquidatore per l’eventuale eccedenza o per l’intero se la distribuzione era indebita.
  • Procedura di accertamento: l’accertamento della responsabilità del liquidatore può avvenire in due modi: (a) con un’azione civile ordinaria di responsabilità (come per i soci, ex art. 2495 c.c.), oppure (b) con un atto dell’Amministrazione finanziaria specifico, emesso ai sensi dell’art. 36, comma 5, e notificato al liquidatore. Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 32790 del 27/11/2023, hanno confermato la legittimità di questo secondo metodo. Hanno infatti statuito che l’Ufficio può emettere un avviso di accertamento nei confronti del liquidatore, motivato ai sensi dell’art. 36, senza che sia necessaria la previa iscrizione a ruolo del debito a carico della società. In pratica, l’Agenzia può notificare al liquidatore un atto con cui gli contesta la responsabilità e gli ingiunge il pagamento delle imposte non versate durante la liquidazione. Questo atto va notificato secondo le norme ordinarie (art. 60 DPR 600/1973), per esempio via PEC o tramite messo al domicilio del liquidatore. Il liquidatore ha pieno diritto di difesa: può impugnare l’avviso davanti al giudice tributario e far valere sia questioni attinenti ai presupposti della sua responsabilità (es. sostenere di non aver distratto attivi, o che le imposte non erano dovute, o di averle pagate parzialmente) sia contestare nel merito la debenza delle imposte della società. La Cassazione ha infatti chiarito che, in tale giudizio, il liquidatore può contestare anche la sussistenza del debito d’imposta societario sottostante. Ad esempio, se l’Agenzia gli chiede €50.000 per imposte dichiarate e non versate, egli potrà eccepire che quella imposta in realtà non era dovuta (magari c’era un credito d’imposta compensabile, ecc.). Il giudice tributario dovrà quindi valutare sia se il liquidatore ha commesso la violazione, sia se effettivamente quel tributo era dovuto e per quale importo. Nota: In passato esisteva un orientamento secondo cui l’avviso di accertamento di per sé non fosse strumento idoneo a condannare il liquidatore, e che servisse comunque un accertamento giudiziale in sede civile. Oggi, dopo il pronunciamento delle Sez. Unite 32790/2023, è chiaro che l’atto impositivo notificato al liquidatore è valido e sufficiente ad instaurare il contraddittorio sulla sua responsabilità. In caso di impugnazione, sarà il giudice tributario a decidere se effettivamente il liquidatore deve pagare o no, assolvendo così a quel “giudizio di accertamento” richiesto. In alternativa all’avviso, l’Amministrazione potrebbe utilizzare la via civile (ingiunzione o causa ordinaria) ma raramente lo fa, preferendo le procedure tributarie.
  • Liquidatore “di fatto” e amministratori cessati: un aspetto delicato è individuare chi sia responsabile ex art. 36. Formalmente, lo sono i liquidatori nominati. Tuttavia, capita che società vengano cancellate d’ufficio senza vera liquidazione formale, oppure che gli amministratori abbiano di fatto svolto il ruolo liquidatorio (ad esempio cedendo attività e pagando creditori) pur senza nominare un liquidatore. In giurisprudenza si ritiene che anche l’amministratore che ha di fatto gestito la fase di cessazione dell’attività possa essere ritenuto responsabile come liquidatore di fatto, se ha distribuito attivi senza onorare le imposte. Inoltre, l’art. 36 DPR 602/73 contiene un comma (il 3° e 4°) che estende la responsabilità anche agli amministratori che nei due anni precedenti la liquidazione abbiano assegnato ai soci beni o denaro, pregiudicando le ragioni del Fisco. In particolare, “i soci o associati, che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione denaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o […] dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute […] nei limiti del valore dei beni stessi”. Questa disposizione (sempre art. 36) mira a evitare che prima della liquidazione gli amministratori svuotino la società distribuendo utili o asset ai soci e poi chiudano lasciando imposte impagate: anche in tali casi i soci sono chiamati a risponderne, analogamente a quanto prevede il codice civile ma con il riferimento specifico ai due anni pre-liquidazione. Le “maggiori responsabilità stabilite dal codice civile” restano comunque operative (es. se una distribuzione ai soci configura anche violazione delle norme civilistiche, ciò non esclude ulteriori conseguenze).

In sintesi, il liquidatore di una società di capitali deve essere molto cauto nel gestire il patrimonio finale: le imposte dovute (ivi incluse IVA, ritenute, imposte sui redditi, tributi locali, ecc.) devono avere priorità di pagamento durante la liquidazione, trattandosi di crediti privilegiati erariali. Se il liquidatore omettesse di pagarle e destinasse l’attivo altrove, il Fisco può rivalersi su di lui personalmente. Non c’è un limite prefissato di importo (se non quello dell’attivo non usato per pagare): la responsabilità può essere anche significativa, potenzialmente illimitata (si pensi a un caso estremo: liquidatore che distribuisce milioni di utili ai soci e non versa milioni di imposte, risponderà per l’intero importo delle imposte, interessi e sanzioni). Va detto però che il liquidatore onesto e diligente non viene sanzionato se semplicemente l’attivo sociale non bastava a coprire tutte le imposte: egli risponde solo se ha violato l’obbligo di destinare l’attivo al pagamento dei tributi secondo il loro grado. Se la società non aveva fondi sufficienti, ma il liquidatore ha pagato ciò che poteva al Fisco in proporzione, non vi è responsabilità residua a suo carico per la parte rimasta comunque impagata (sarà il Fisco a restare insoddisfatto senza ulteriori rimedi, salvo aggredire i soci per i riparti ricevuti).

Tabella 3 – Responsabilità patrimoniale dopo l’estinzione: soci vs. liquidatore

SoggettoBase giuridicaCondizioniLimite importo dovutoNatura della responsabilità
Ex socio (società di capitali o accomandante S.a.s.)Art. 2495 c.c.; Art. 36 DPR 602/73 (commi su assegnazioni ai soci).Società cancellata ed insolvenza di crediti tributari; socio che ha ricevuto somme o beni in sede di liquidazione o nei 2 anni precedenti la messa in liquidazione.Fino a concorrenza del valore delle somme/beni ricevuti dal socio (in base al bilancio finale o altre assegnazioni).Successione nel debito sociale (obbligazione civile “di ritorno”). Non è un nuovo tributo, ma una responsabilità per il debito altrui entro limiti di legge.
Ex socio (società di persone illimitatamente responsabile)Art. 2290, 2312 c.c. (responsabilità soci per debiti sociali).Società cancellata con debiti; il socio era illimitatamente responsabile già prima (S.n.c., accomandatario S.a.s.).Illimitata e solidale: il socio risponde per l’intero debito rimasto, senza tetti (salvo regresso interno). Non si applica il limite delle somme ricevute (spesso non riceve nulla comunque se ci sono debiti).Obbligazione personale originaria (il socio era già coobbligato durante la vita sociale). Dopo la cancellazione, i creditori continuano a poter agire contro di lui.
LiquidatoreArt. 2495 c.c. (colpa generica); Art. 36 (c.5) DPR 602/73 (violazione ordine pagamenti).Società liquidata con debiti tributari non pagati; liquidatore che ha distribuito attivo a soci o pagato creditori di grado inferiore senza soddisfare il Fisco. In generale, inadempimento dell’obbligo di usare le attività di liquidazione per pagare imposte dovute.Fino all’ammontare delle imposte non soddisfatte che avrebbero avuto capienza nell’attivo liquidatorio. (Quindi tendenzialmente fino all’importo del debito fiscale rimasto scoperto, ma non oltre ciò che poteva essere pagato con il patrimonio sociale).Illimitata (nei limiti del danno). Responsabilità per fatto proprio del liquidatore (natura risarcitoria-civilistica). Viene accertata tramite avviso di accertamento (giudizio tributario) oppure causa civile.

Come difendersi: strumenti di tutela per ex soci e liquidatori

Affrontare pretese fiscali relative a una società ormai estinta richiede di muoversi con prontezza e cognizione di causa. Dal punto di vista del debitore (ex socio o liquidatore destinatario di atti), ecco le principali modalità di difesa e le best practice da adottare:

  • Opposizione mediante ricorso tributario: il primo baluardo è sempre impugnare nei termini gli atti impositivi ricevuti (avvisi di accertamento, avvisi di addebito, cartelle, ecc.). Come visto, se arriva un avviso intestato alla società entro 5 anni, deve attivarsi il liquidatore con eventuale intervento dei soci. Se arriva un avviso intestato direttamente al socio (fuori dal quinquennio), dovrà ovviamente agire il socio stesso. Il termine è di 60 giorni dalla notifica. Il ricorso va presentato alla Corte di Giustizia Tributaria provinciale competente, con l’assistenza di un difensore abilitato (necessario se il valore della lite supera €3.000). Nel ricorso si possono far valere tutti i motivi di illegittimità (es. nullità della notifica, decadenza, difetto di motivazione) e di merito (es. l’imposta non era dovuta, l’importo è errato, la società aveva diritto a deduzioni, ecc.). In aggiunta, nel caso di atti rivolti ai soci, si deve contestare l’eventuale eccedenza rispetto al limite di responsabilità personale. Ad esempio, il socio potrà eccepire di aver ricevuto meno di quanto indicato dall’Ufficio, producendo documenti della liquidazione, oppure che l’accertamento è stato notificato oltre 5 anni quando invece doveva essere emesso a suo nome (se il Fisco ha sbagliato i tempi). Tutte queste eccezioni vanno sollevate subito nel ricorso; se non impugnate, le pretese diverranno definitive e poi sarà molto più difficile liberarsene.
  • Conservare e produrre la documentazione della liquidazione: è essenziale che gli ex soci conservino copia del bilancio finale di liquidazione, del piano di riparto e delle eventuali ricevute dei pagamenti finali ai soci. Questi documenti sono la prova principale dell’importo effettivamente percepito dal socio. In caso di contestazione, il socio può esibirli per dimostrare che magari ha ricevuto zero oppure un importo inferiore a quello preteso dal Fisco. Anche comunicazioni inviate dal liquidatore ai soci sull’assenza di attivo o simili possono aiutare. Insomma, dal punto di vista del socio è prudente documentare tutto alla chiusura: se non ha ritirato nulla, farsi rilasciare un’attestazione; se ha ricevuto, conservare traccia.
  • Monitorare la situazione nei 5 anni post-chiusura: gli ex amministratori/liquidatori dovrebbero mantenere attiva la PEC sociale o un recapito, in modo da non perdersi eventuali notifiche di atti fiscali. Ignorare un avviso porterebbe come detto a conseguenze serie. Anche i soci, se sanno di potenziali problemi, possono accordarsi col liquidatore per essere informati di qualunque atto in arrivo. In mancanza, il socio rischia di venire a conoscenza della cosa solo al momento di una cartella o peggio di un pignoramento.
  • Attenzione alle comunicazioni bonarie/inviti: talvolta l’Agenzia delle Entrate, prima di emettere un accertamento, invia una comunicazione di irregolarità o un invito al contraddittorio. Può succedere anche dopo la cancellazione della società. Esempio: una comunicazione di liquidazione automatica della dichiarazione inviata all’ex sede. È bene che gli ex amministratori non trascurino queste comunicazioni preliminari: se si risponde per tempo (es. fornendo chiarimenti o aderendo, se c’è un errore da sistemare), si può evitare un accertamento formale. Quindi, seguito costante della posta e della PEC nei primi anni post-chiusura è una buona pratica.
  • Verifica di decadenze e prescrizioni: quando si riceve un avviso o una cartella riferita a debiti di una società estinta, controllare se l’atto è stato emesso tempestivamente. Ad esempio: se la società era cancellata da oltre 5 anni, un avviso intestato ancora a lei è nullo (come visto). Oppure, se l’avviso al socio arriva dopo la scadenza del termine di accertamento per quell’anno d’imposta (salvo frode/reato), va eccepita la decadenza. Esempio: un accertamento per il 2017 notificato al socio nel 2026 è tardivo, poiché il termine ordinario (31/12/2022, o 2023 se dichiarazione omessa) è decorso. Anche la prescrizione dei ruoli va tenuta presente: se l’AERiscossione notifica una cartella per tributi del 2010 oggi, potrebbe essere prescritta (in genere 10 anni per tributi erariali). Sollevare sempre queste eccezioni nel ricorso.
  • Opposizione a fermi/pignoramenti/ipoteche: se un ex socio dovesse trovarsi di fronte a un atto esecutivo (ad es. un fermo amministrativo sull’auto o un’ipoteca sulla casa per debiti della ex società), ha possibilità di reagire. Innanzitutto, verificare se tutti gli atti presupposti gli sono stati notificati regolarmente. In difetto, può presentare ricorso al giudice tributario contro l’iscrizione di ipoteca o il preavviso di fermo, lamentando la mancata notifica di avvisi/cartelle. Inoltre, può anche utilizzare lo strumento dell’opposizione all’esecuzione in sede civile, specie quando il titolo esecutivo non è mai stato emesso a suo nome. La legge riconosce che non si può subire un’esecuzione senza titolo: se il titolo è una cartella intestata alla società, quello non legittima pignorare i beni personali del socio se il socio non era nominativamente indicato. Tuttavia, molto dipende dalle circostanze concrete e spesso questi rimedi servono per guadagnare tempo e portare la discussione su un piano processuale dove il giudice valuterà la sussistenza del debito.
  • Tentare soluzioni transattive o di saldo: un ex socio potrebbe anche valutare l’opportunità di definire bonariamente la pretesa fiscale. Ad esempio, se l’importo richiesto è nei limiti di quanto ha ricevuto e non vi sono validi motivi di contestazione sul merito, potrebbe proporre un pagamento rateale o aderire a eventuali definizioni agevolate (rottamazione cartelle, etc.) se disponibili. Ciò chiaramente dipende dal bilancio costi/benefici: opporsi a volte è doveroso perché il debito potrebbe essere infondato o riducibile; altre volte, se invece è dovuto e inoppugnabile, trovare un accordo di pagamento dilazionato conviene per evitare aggravio di sanzioni e interessi.

Profili penal-tributari e rischi per ex amministratori e soci

La chiusura di una società con debiti tributari può avere rilevanza non solo civile, ma anche penale. È importante distinguere due categorie di possibili reati:

  1. Reati tributari commessi durante la vita della società: ad esempio dichiarazione fraudolenta, emissione di fatture false, occultamento di ricavi, omessi versamenti IVA oltre soglia, etc. Questi illeciti (disciplinati dal D.Lgs. 74/2000) sono riferibili alle persone fisiche che li hanno commessi (amministratori, legali rappresentanti, direttori finanziari, ecc.). La circostanza che la società si estingua non estingue il reato: l’azione penale prosegue contro gli individui. Pertanto, un ex amministratore può essere perseguito e condannato per reati fiscali commessi prima, anche se la società non esiste più. La società in sé non può essere “imputata” di reati (in generale le persone giuridiche non sono soggetti di sanzione penale, salvo la responsabilità amministrativa ex D.Lgs. 231/2001 che vedremo dopo). Dunque, la chiusura della società non mette al riparo gli amministratori o soci da eventuali procedimenti penali pendenti o futuri per illeciti tributari pregressi.
  2. Reati connessi alla fase di liquidazione/estinzione della società, finalizzati a sottrarre le risorse alle pretese del Fisco. In altre parole, comportamenti fraudolenti nel modo di chiudere la società, attuati per non pagare le imposte dovute. Il reato tipico in questo ambito è la “sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte” (art. 11 D.Lgs. 74/2000). Tale delitto punisce con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chi, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sul reddito o IVA (per un ammontare superiore a €50.000), aliena simulatamente o compie atti fraudolenti sui propri o altrui beni, idonei a rendere inefficace la riscossione coattiva. Se l’ammontare supera €200.000, la pena sale da 1 a 6 anni. In parole semplici, costituisce reato nascondere o distrarre beni per non farli pignorare dal Fisco, quando si hanno debiti tributari rilevanti. Nel contesto della liquidazione societaria, esempi di condotte che potrebbero integrare l’art. 11 sono: trasferire asset della società ad altra entità a titolo solo apparente, intestare beni a terzi (familiari, prestanome), oppure sciogliere la società distribuendo l’attivo ai soci invece di pagare le imposte, con lo scopo di rendere vano il futuro recupero. Sciogliere una società in sé non è vietato, ma se viene fatto in modo strumentale per sottrarre garanzie ai creditori (il Fisco), può configurare un atto fraudolento.

Un esempio concreto: Tizio, amministratore unico di Alfa Srl, sapendo che la società ha un debito IVA di €300.000, decide di liquidare Alfa Srl trasferendone l’intera attività e i beni a una nuova società Beta Srl di cui è sempre socio (operazione di “fusione fittizia” o cessione di azienda sotto costo), lasciando Alfa Srl vuota e destinata alla cancellazione. Oppure Tizio distribuisce ai soci (a sé stesso) tutti i fondi della società come dividendi, lasciando il Fisco insoddisfatto. Queste operazioni, se fatte con dolo di frodare il Fisco, possono integrare il reato di sottrazione fraudolenta ex art. 11. Anche far risultare formalmente la società nullatenente e cancellarla mentre in realtà aveva attività occultate potrebbe rientrare nel concetto di “atto fraudolento”.

Va sottolineato che non ogni chiusura di società debitoria è reato. La giurisprudenza (Cass. pen. n. 43809/2013, Cass. n. 18500/2019) ha chiarito che la sola cancellazione della società durante accertamenti fiscali non basta a configurare l’art. 11, in assenza di altri atti di occultamento di beni. Quindi, sciogliere la società di per sé non è vietato, ma se contestualmente i beni “spariscono” in modo da pregiudicare il Fisco, allora sì che scatta il penale. Tutto dipende dalla finalità e dai mezzi usati: serve il dolo specifico di sottrarsi al pagamento e comportamenti positivamente fraudolenti (vendite simulate, distrazioni di patrimonio, etc.).

Bancarotta fraudolenta: se la società viene dichiarata fallita entro l’anno come visto, entrano in gioco anche i reati fallimentari. In caso di fallimento, gli amministratori o liquidatori possono rispondere di bancarotta fraudolenta se hanno commesso atti di distrazione del patrimonio sociale, occultamento di documenti contabili, preferenze indebite a taluni creditori, ecc.. Nel nostro contesto, soddisfare i soci invece del Fisco potrebbe essere letto come distrazione o bancarotta preferenziale. Quindi, quei comportamenti (pagare soci o fare uscire beni) oltre a costituire sottrazione fraudolenta (reato tributario), in presenza di fallimento possono concorrere nel più ampio reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Le pene per la bancarotta fraudolenta sono severe (da 3 a 10 anni di reclusione). La combinazione delle due incriminazioni (art. 11 e bancarotta) è possibile e capita quando c’è un fallimento postumo: l’amministratore viene accusato sia ai sensi della legge fallimentare sia ai sensi della legge fiscale.

Responsabilità ex D.Lgs. 231/2001: dal gennaio 2019 alcuni reati tributari, tra cui proprio l’art. 11, sono stati inclusi nell’elenco dei reati presupposto per la responsabilità amministrativa delle società (D.Lgs. 231/01). In teoria, ciò significa che se la società (ancora in vita) commette un reato tributario nell’interesse o vantaggio proprio, potrebbe essere soggetta a sanzioni pecuniarie in sede 231. Tuttavia, nel caso di società estinte, questa previsione ha scarsa applicazione: se l’ente è estinto, non c’è più un soggetto su cui irrogare la sanzione 231. La giurisprudenza ritiene infatti che la morte dell’ente (cancellazione) estingua l’eventuale procedimento 231. Resta il fatto che se vi è stata creazione di un nuovo ente per proseguire l’attività (come Beta Srl nell’esempio sopra), potrebbe ipotizzarsi una successione anomala: ma attualmente mancano norme efficaci per trasferire la responsabilità 231 sul nuovo soggetto (il tema è dibattuto in dottrina, soprattutto nei casi di trasformazioni/successioni societarie elusive).

Cosa fare per evitare guai penali? Dal punto di vista di un ex amministratore o socio, alcuni accorgimenti sono:

  • Non compiere operazioni distrattive sapendo di avere un debito fiscale importante. Se la società ha un grosso debito con l’Erario, liquidarla distribuendo attivo ai soci o trasferendo beni altrove è altamente rischioso. Meglio tentare soluzioni lecite: chiedere rateizzazioni al Fisco, valutare un accordo transattivo, o se non ci sono alternative considerare la liquidazione concorsuale (concordato preventivo, liquidazione giudiziale) che segue regole controllate. L’uso strumentale della cancellazione come “fuga” dal Fisco è proprio ciò che viene punito.
  • Agire a valori di mercato e documentare tutto: se si vendono beni prima di chiudere, farlo a prezzi di mercato e preferibilmente utilizzare i fondi per pagare i creditori privilegiati (Erario incluso) e poi gli altri. Evitare operazioni anomale come cessioni a familiari per 1 euro o passaggi gratuiti. Ogni passo della liquidazione andrebbe verbalizzato e giustificato: tenere le scritture in ordine e conservare i documenti per eventuali controlli.
  • Non forzare la chiusura in presenza di insolvenza: se la società è di fatto insolvente, procedere a cancellarla senza passare dal tribunale fallimentare è un comportamento che attira sospetti e possibili azioni di terzi. I tribunali e i creditori sono molto attenti a cancellazioni societarie che presentano debiti rilevanti. Se proprio non si vuole il fallimento, almeno assicurarsi di non compiere atti di occultamento dei beni. In generale, se i debiti fiscali sono enormi, liquidare bonariamente la società è quasi sempre una cattiva idea: meglio far gestire il caso a una procedura concorsuale, che quantomeno tutela gli organi sociali da iniziative penali per come il patrimonio viene trattato (nel fallimento decide il curatore sotto controllo del giudice).
  • Soglia di rilevanza: l’art. 11 D.Lgs.74/2000 ha una soglia di punibilità di €50.000 di imposte sottratte. Quindi, se il debito fiscale “eluso” è modesto (es. €10-20.000), la norma non si applica. Ciò non significa che sia lecito non pagare, ma semplicemente che sotto la soglia non c’è il reato specifico di sottrazione fraudolenta. Attenzione però: altri reati potrebbero configurarsi comunque se c’è fallimento (ad esempio la bancarotta preferenziale non ha soglia, quindi pagare i soci preferendoli al Fisco in situazione fallimentare è reato a prescindere dall’importo). Inoltre, omessi versamenti IVA oltre soglia (€250.000 annui) restano reati propri (art. 10-ter D.Lgs.74/00), e in caso di rateizzazioni decadenza, soglie più basse.
  • Collaborare durante eventuali verifiche fiscali: se al momento di un controllo fiscale la società viene improvvisamente chiusa (la cosiddetta “liquidazione lampo”), questo comportamento verrà sicuramente notato dalle autorità. Da solo non basta a far scattare l’art. 11 se mancano altri atti fraudolenti, ma è un elemento che può aggravare la posizione. È sempre preferibile non ostacolare le verifiche: fornire i documenti richiesti, mantenere un atteggiamento trasparente. Se la chiusura è inevitabile (perché l’attività cessa), meglio comunicare le ragioni genuine e assicurare che eventuali imposte saranno saldate con l’attivo rimasto, piuttosto che sparire nel nulla.

In conclusione sul piano penale, gli ex amministratori e soci devono prestare massima attenzione a non compiere azioni che possano apparire come frodi ai danni del Fisco. Se la società è già stata chiusa lasciando debiti fiscali consistenti, è possibile che – al di là del recupero civile – la Guardia di Finanza e la Procura aprano un’indagine per sottrazione fraudolenta (specie per importi rilevanti). In tal caso, il soggetto coinvolto dovrà difendersi dimostrando ad esempio che:

  • Il patrimonio sociale era comunque insufficiente per pagare il Fisco, e la distribuzione ai soci non ha peggiorato la situazione dei creditori (argomento talvolta addotto: se comunque il Fisco sarebbe rimasto insoddisfatto in parte, anche una distribuzione parziale viene punita se oltre soglia, quindi attenzione).
  • Oppure che lo scioglimento era motivato da ragioni non fraudolente (fine dell’attività, necessità di restituire capitali a soci terzi, ecc.) e non c’era l’intenzione specifica di sottrarsi alla riscossione.
  • O ancora, che l’indagato non era consapevole del debito tributario o non ha tratto beneficio personale dai beni sociali (caso limite: un liquidatore che ha pagato altri creditori ignorando l’esistenza di cartelle notificate dopo, potrebbe invocare la mancanza di dolo, anche se resterà la colpa civilistica).

Si ricordi infine che, in caso di indagini penali, la magistratura può disporre misure cautelari reali: ad esempio il sequestro preventivo dei beni degli indagati fino a concorrenza dell’imposta sottratta (finalizzato poi alla confisca). Ciò significa che i soci/amministratori coinvolti potrebbero vedersi congelare conti correnti o ipotecare immobili ben prima dell’eventuale condanna, a garanzia del credito erariale. Un ulteriore incentivo a non sottovalutare i profili penali: anche se uno pensasse di farla franca sul piano civile, potrebbe trovarsi i beni bloccati penalmente.

Consigli pratici prima di cancellare una società con debiti tributari

Dal punto di vista di un imprenditore o amministratore che sta valutando di chiudere la società ma sa che ci sono dei debiti fiscali pendenti o potenziali, è opportuno agire con molta cautela. Ecco alcune linee guida per evitare (o almeno minimizzare) i problemi successivi con il Fisco:

  • Regolarizzare la posizione fiscale prima della chiusura: la strategia migliore è cercare di chiudere tutti i conti col Fisco prima di procedere alla cancellazione. Ciò significa verificare di aver presentato tutte le dichiarazioni fiscali dovute (inclusa la dichiarazione di cessazione) e di aver versato le relative imposte. Se ci sono cartelle esattoriali o avvisi già emessi, provare a pagarli oppure ad aderire a definizioni agevolate se disponibili (es. rottamazione, saldo e stralcio). Ogni debito noto andrebbe sistemato. È comprensibile che spesso la società viene chiusa proprio perché non è in grado di pagare, ma in tal caso valutare i punti successivi.
  • Valutare una procedura concorsuale se la società è insolvente: se i debiti (anche tributari) superano le capacità della società e questa è insolvente, sarebbe più corretto attivare una procedura concorsuale (ad esempio un accordo di ristrutturazione, un concordato preventivo con transazione fiscale, o in estrema ratio lasciar dichiarare il fallimento) piuttosto che liquidare in via ordinaria. Per le società di capitali, il fallimento/liquidazione giudiziale ha l’effetto di cristallizzare i debiti in capo alla procedura e normalmente i soci non rispondono personalmente dei debiti (salvo casi di mala gestio o obblighi di conferimenti non liberati). Quindi, paradossalmente, affrontare un fallimento protegge i soci da quell’“eredità” di debiti che altrimenti ricadrebbe su di loro. Certo, la procedura concorsuale può avere costi e implicazioni reputazionali, ma è un percorso legale che evita quelle criticità (fiscali e penali) che abbiamo visto in caso di chiusura straordinaria.
  • Non distribuire attivi se ci sono debiti fiscali: può sembrare ovvio, ma va ribadito: se la società ha un attivo liquidabile (denaro in cassa, crediti da incassare, beni vendibili) e al contempo ha debiti tributari, non si dovrebbero distribuire somme ai soci finché c’è un debito col Fisco. L’attivo dovrebbe essere usato per pagare il più possibile i creditori, dando precedenza all’Erario (che normalmente ha privilegio generale sui mobili e ipoteca sui beni registrati). Solo se residua qualcosa dopo aver pagato tutti i debiti si può legittimamente dare ai soci. Se alla fine rimane un debito fiscale insoddisfatto ma i soci non hanno ricevuto nulla, la loro posizione futura sarà molto più difendibile: il Fisco potrà sempre teoricamente agire contro di loro, ma se essi dimostrano di non aver percepito alcuna somma, non ci sarà sostanza da escutere. Al contrario, se i soci hanno preso soldi e le imposte sono rimaste impagate, il Fisco sicuramente li seguirà.
  • Accantonare somme per imposte potenziali: se si ha il sentore di possibili accertamenti in arrivo (ad esempio la società è stata oggetto di verifica fiscale non ancora conclusa, oppure ha in corso un contenzioso), conviene attendere a cancellare la società finché quelle situazioni non si definiscono. O quantomeno, accantonare prudenzialmente una somma dell’attivo a garanzia di eventuali esiti sfavorevoli. Cancellare la società prima che un accertamento arrivi significa poi dover affrontare la pretesa con tutti i limiti visti (soci responsabili pro quota, ecc.). Se invece la società resta in vita, può ancora far fronte direttamente al debito o patteggiare col Fisco (es. adesione all’accertamento). Un caso tipico: la società sa di avere una probabile contestazione su un periodo d’imposta, ma si cancella subito per chiudere. Poi arriva l’avviso a società estinta… e tutto si complica. Meglio aspettare, se possibile.
  • Chiarire i rapporti tra soci e liquidatore: nel momento della chiusura, soci e liquidatore dovrebbero essere allineati. Spesso il liquidatore è egli stesso un socio o amministratore. In ogni caso, sarebbe bene formalizzare (magari in una relazione finale di liquidazione) lo stato dell’arte: quali debiti rimangono, perché non sono stati pagati (es. insufficienza attivo), e distribuire copia di ciò ai soci. Questo può servire ai soci come prova documentale se poi il Fisco li interpellasse (potranno mostrare che sapevano dei debiti e che nulla è stato distribuito, se è così). Inoltre, i soci dovrebbero assicurarsi di avere i contatti del liquidatore per eventuali notifiche entro 5 anni.

Riassumendo: prevenire è meglio che curare. Una liquidazione ben fatta, che paga il Fisco o comunque non dà appigli di fraudolenza, eviterà ai soci e agli amministratori molti grattacapi successivi. Certo, non sempre ciò è attuabile (se mancano i soldi, mancano), ma in tal caso almeno si sarà consci dei rischi che si corrono e si potranno gestire con cognizione.

Giurisprudenza fondamentale in materia

Nel corso degli ultimi anni vi sono state numerose pronunce della Corte di Cassazione – alcune a Sezioni Unite – che hanno delineato con precisione questi principi. Ecco un elenco delle sentenze più importanti da conoscere su società estinte e debiti tributari, con i punti chiave da esse stabiliti:

  • Cass. Sez. Un. 6070/2013: ha sancito che la cancellazione dal registro delle imprese produce l’immediata estinzione della società (effetto costitutivo), anche se rimangono debiti insoddisfatti. Conseguentemente, ha affermato la successione dei soci nei debiti sociali entro il limite di quanto da essi riscosso in base al bilancio finale di liquidazione.
  • Cass. Sez. Un. 26283/2016: ha confermato i principi del 2013 e chiarito alcuni aspetti processuali, ad esempio in tema di legittimazione ad processum degli ex soci e liquidatori. Ha ribadito che, dopo l’estinzione, la società non può stare in giudizio e che i soci subentrano quali successori, ma occorre un atto di riassunzione o chiamata nei loro confronti.
  • Cass. Sez. Un. 32790/2023: (materia: responsabilità del liquidatore ex art.36 DPR 602/73). Ha risolto un contrasto sull’azione contro il liquidatore: ha stabilito che l’Agenzia Entrate può emettere direttamente un avviso di accertamento contro il liquidatore per la responsabilità tributaria, anche se i tributi non erano ancora iscritti a ruolo. Il liquidatore potrà contestare davanti al giudice tributario sia la sussistenza della propria condotta colposa, sia la debenza delle imposte societarie. Si tratta di una decisione fondamentale perché conferma la natura civilistica ma accertabile in via fiscale di tale responsabilità, e chiarisce che non serve un titolo di favore (ruolo) a monte.
  • Cass. Sez. Un. 3625/2025: (ambito: responsabilità degli ex soci per debiti tributari della società estinta). È l’ultimo intervento unificatore. Ha ribadito che la responsabilità dei soci è pro quota e limitata alle somme percepite, confermando quindi il principio di 2495 c.c. Ha altresì chiarito che il Fisco deve provare l’avvenuta distribuzione di attivo con un atto ad hoc verso ciascun socio. Non è possibile coinvolgere i soci automaticamente nei giudizi pendenti della società né emettere cartelle a loro nome senza un preventivo accertamento. Ha inoltre riconosciuto che l’interesse ad agire dell’Erario sussiste anche se non vi sono somme in bilancio finale – purché possa dimostrare che vi furono altre utilità trasferite ai soci (interpretazione estensiva di “somme riscosse”). In pratica, rende più rigoroso l’onere procedurale a carico del Fisco (atto specifico per i soci), ma amplia le situazioni in cui i soci potrebbero essere chiamati (anche in assenza di riparto formale, se emergono attribuzioni patrimoniali alternative).
  • Cass. 25415/2024: ha affrontato un caso di cancellazione avvenuta prima del 2014 (quindi senza fictio) e di ricorso presentato dal liquidatore ultra quinquennio. Ha stabilito che tale ricorso era inammissibile perché la società era priva di capacità processuale (estinta senza proroga fiscale). Ha inoltre ricordato la non retroattività dell’art. 28 D.lgs. 175/2014, ossia che per le cancellazioni pre-2014 l’estinzione resta immediata ai fini fiscali.
  • Cass. 23341/2024 (ord.): ha risolto un dibattito circa le sanzioni tributarie. In passato, parte della dottrina sosteneva che le sanzioni (avendo natura punitiva personale) non dovessero trasferirsi ai soci in caso di estinzione della società. Questa ordinanza del 2024 ha invece affermato che anche le sanzioni amministrative tributarie seguono la sorte del tributo e si trasmettono ai soci successori. Ciò in linea col concetto di “successione sui generis” in cui il debito tributario è preso in carico dagli eredi della società nella sua interezza (imposte, interessi e sanzioni), sempre nei limiti quantitativi della responsabilità. Dunque, il socio dovrà pagare anche le eventuali sanzioni (oltre alle imposte) entro il tetto di quanto ricevuto.
  • Cass. 9094/2017: pronunciata in un contesto in cui i soci sostenevano di non aver ricevuto nulla in liquidazione, ha sostenuto (in modo un po’ controverso) che i soci succedono nei debiti sociali anche se non hanno avuto riparti. Questo principio, apparentemente in contrasto col testo di legge, va interpretato alla luce di Cass. SU 2025: in sostanza, la mera assenza di riparto non esclude l’azione del Fisco se questi ritiene che ci siano state altre utilità o che comunque il socio, pur non avendo incassato, resti successore passivo (forse perché socio illimitato o perché le somme potevano esserci). La SU 2025 ha infatti spiegato che la mancata riscossione di somme non esclude l’interesse ad agire del Fisco, se ci sono ulteriori evenienze.
  • Cass. 923/2023 (ord.): ha escluso che la nullità di un avviso intestato a società estinta sia rilevabile d’ufficio dal giudice se la parte (socio/liquidatore) si è comunque costituita nel merito senza eccepirla. In altre parole, considera tale nullità come “relativa” e sanabile, affermando che se l’atto raggiunge lo scopo (il contribuente si difende nel merito come se fosse valido) il vizio di notifica potrebbe essere superato. Questo orientamento rende ancora più importante eccepire tempestivamente il difetto di capacità della società se del caso.
  • Cass. 18260/2021 e Cass. 1689/2022: hanno confermato i principi successori post estinzione e trattato casi peculiari. In particolare, Cass. 1689/2022 riguardava una notifica al socio quando però c’era stato un fallimento postumo: ha chiarito che in caso di fallimento entro l’anno, prevale la procedura concorsuale e i soci non subentrano nei debiti (come abbiamo visto), confermando comunque in via generale la successione indipendentemente dal riparto quando la procedura concorsuale non vi sia.
  • Cass. Pen. 30723/2020: in materia di sottrazione fraudolenta (art. 11 D.Lgs.74/2000), ha sottolineato che per configurare il reato è necessario dimostrare l’esistenza di un debito esigibile a carico dell’indagato e il fine di evaderlo. Ad esempio, se l’amministratore sostiene di non sapere del debito o che comunque il debito non era definitivamente accertato, ciò può incidere sull’elemento soggettivo.
  • Cass. Pen. 20680/2019: sempre sull’art. 11, ha ritenuto punibile la condotta di chi liquida anticipatamente la società distribuendo il patrimonio ai soci per sottrarre le garanzie ai creditori fiscali. È un esempio specifico di come la chiusura societaria possa integrare la sottrazione fraudolenta quando finalizzata all’evasione.

Questo panorama giurisprudenziale è utile per avvocati e consulenti che si trovino ad impostare difese in casi analoghi, consentendo di individuare i filoni interpretativi più favorevoli e le argomentazioni accreditate. Vale la pena di consultare i testi integrali di queste pronunce quando si affronta una controversia su debiti tributari di società estinte, poiché spesso contengono obiter dicta e precisazioni importanti non tutte riportate sinteticamente qui.

Conclusioni

In definitiva, la cancellazione di una società con debiti tributari richiede grande cautela e consapevolezza. Dal lato dell’Amministrazione finanziaria, il legislatore ha predisposto strumenti efficaci (la fictio quinquennale di sopravvivenza, le azioni verso soci e liquidatori) per non lasciare vuoti nella riscossione. Dal lato dei debitori (ex soci e liquidatori), è fondamentale comprendere che la chiusura dell’ente non li esonera automaticamente dai debiti col Fisco: tali debiti possono “riemergere” a loro carico in varie forme. Conviene quindi adottare un approccio prudente e proattivo:

  • Prevenire, regolarizzando il più possibile la posizione fiscale prima della chiusura (o valutando procedure concorsuali se necessario).
  • Monitorare gli atti nei 5 anni successivi, in particolare tramite il liquidatore, e fare ricorso tempestivamente contro eventuali avvisi.
  • Difendersi attivamente sul merito e sul limite della propria responsabilità se chiamati in causa (contestare l’imposta se non dovuta, e provare eventualmente di aver ricevuto meno di quanto preteso).
  • Valutare i rischi penali di operazioni elusive ed evitare condotte che possano integrare reati tributari (occulata gestione della liquidazione, niente distrazioni fraudolente di beni).

Il quadro normativo e giurisprudenziale attuale delinea una situazione in cui l’Erario ha molte opportunità di soddisfazione: i soci non possono semplicemente “incassare e scappare”. Ciò risponde a un principio di equità e di buon senso: la responsabilità limitata non deve diventare uno schermo per evadere le imposte dovute. In altri termini, il sistema giuridico cerca di bilanciare la protezione offerta dalla personalità giuridica con l’esigenza di evitare abusi e garantire che i debiti tributari trovino comunque, per quanto possibile, un soggetto obbligato al pagamento. Dunque, chiunque operi la chiusura di una società con pendenze fiscali dovrebbe farlo in modo trasparente e ordinato, sapendo che altrimenti quelle pendenze potranno bussare alla sua porta negli anni a venire.


Domande frequenti (FAQ)

D: Che cos’è esattamente un “avviso di accertamento a società estinta”?
R: È un avviso di accertamento fiscale intestato a una società che, al momento della notifica, risulta già cancellata dal Registro delle Imprese (quindi giuridicamente estinta). Può accadere perché l’Agenzia delle Entrate emette l’atto dopo che la società si è sciolta. Grazie alla normativa speciale del 2014, un tale atto può essere valido se notificato entro 5 anni dalla cancellazione; altrimenti è un atto viziato perché indirizzato a un soggetto non più esistente.

D: La società è estinta: un avviso notificato a suo nome è sempre nullo?
R: Non sempre. Dipende proprio dal fattore tempo sopra indicato. Se la cancellazione è avvenuta dopo il 13 dicembre 2014 ed il Fisco notifica l’avviso entro cinque anni, l’atto è considerato valido per legge (la società “sopravvive” fittiziamente ai fini fiscali). Se invece l’avviso arriva oltre 5 anni dalla cancellazione (oppure riguarda una società cancellata prima del 13/12/2014, quindi senza fictio applicabile), allora : l’atto è nullo per inesistenza del destinatario. In tal caso il giudice tributario lo annullerà su eccezione di parte (o anche d’ufficio nei casi macroscopici, trattandosi di difetto di capacità della parte).

D: Chi può impugnare un avviso di accertamento intestato a una società che non esiste più?
R: Durante il periodo di “sopravvivenza fiscale” (cioè i 5 anni post-cancellazione), la legittimazione attiva spetta all’ex liquidatore della società, il quale può proporre ricorso in nome e per conto dell’ente estinto, come suo ultimo rappresentante. I soci, in questa fase, non sono considerati parti legittimate nel processo tributario (finché vale la fictio, i soci formalmente non agiscono in proprio). Tuttavia, spesso per prudenza i soci intervengono o ricorrono anch’essi, per evitare contestazioni procedurali – anche se la Cassazione ha detto che la legittimazione spetta al liquidatore fino a 5 anni. Dopo il quinquennio (o subito, se parliamo di società cancellata prima del 2014), la società non ha più alcuna capacità: l’avviso deve essere rivolto ai soci direttamente, e saranno i soci a impugnarlo come contribuenti interessati.

D: Cosa succede se l’avviso viene notificato entro 5 anni alla società, ma di fatto la società non opera più e nessuno se ne occupa? Chi la difende in giudizio?
R: In questo caso l’atto va notificato, ad esempio, all’ultima sede sociale o al liquidatore nominato. Sarà il liquidatore a dover attivare la difesa, eventualmente coinvolgendo i professionisti (avvocati, commercialisti) che magari già seguivano la società prima della chiusura. È buona norma che gli ex amministratori/liquidatori mantengano aggiornati i loro recapiti (PEC, indirizzo) anche dopo la cancellazione, proprio per intercettare eventuali atti tributari. Se per ipotesi nessuno impugna l’avviso (magari perché il liquidatore non se ne occupa o è irreperibile), l’atto diverrà definitivo contro la società (sebbene fittiziamente esistente). A quel punto il Fisco potrà iscrivere a ruolo il debito a nome della società e poi procedere verso i soci per la riscossione. I soci, in sede esecutiva, potrebbero ancora provare a contestare la legittimità degli atti (per esempio facendo opposizione se si vedono intimare pagamenti senza essere mai stati parte del giudizio), ma è una difesa molto più complessa e incerta. Quindi, è fondamentale che il liquidatore (o i soci, spronando il liquidatore) impugnino per tempo gli avvisi notificati entro il quinquennio, per evitare di trovarsi poi “a valle” con cartelle e pignoramenti difficili da eliminare.

D: La mia società è stata cancellata nel 2019. Oggi (2025) ricevo un avviso a mio nome, come ex socio, che mi chiede di pagare imposte 2018 della società. È legittimo?
R: Bisogna verificare alcune cose. Primo: la notifica avviene oltre 5 anni dalla cancellazione? Sì, dal 2019 al 2025 sono passati più di 5 anni, quindi la società era fiscalmente estinta; era corretto, dunque, notificare direttamente a te come socio un nuovo atto (non potevano più notificare alla società). Secondo: l’avviso è stato emesso entro i termini di decadenza per l’anno 2018? In generale il 2018 era accertabile fino al 31/12/2024 (salvo proroghe per reati). Se l’atto è datato 2025 senza che vi fossero reati, potrebbe essere tardivo e quindi annullabile per decadenza. Bisogna vedere la data di fine accertamento: se l’avviso è stato sottoscritto nel 2024 ma ti è stato notificato nel 2025, potrebbe essere comunque valido (ci sono casi in cui la notifica a socio successore può avvenire poco dopo, purché l’atto sia emesso tempestivamente). Questo andrebbe approfondito con un esperto. Terzo: supponendo che l’avviso sia stato emesso nei termini, esso formalizza l’intento dell’Agenzia di far valere la tua responsabilità di ex socio ex art. 2495 c.c.. A questo punto devi valutarne il merito: la società doveva davvero quelle imposte? E tu quanto hai ricevuto in liquidazione nel 2019? Dovrai probabilmente impugnarlo per contestare almeno il quantum. Se non hai ricevuto nulla, dovrai dimostrarlo (con bilancio finale, ecc.) per non pagare. Se invece qualcosa hai ricevuto, potresti eventualmente cercare un accordo di pagamento su quella parte. Attenzione: se la società fosse stata cancellata nel 2019 e l’Agenzia avesse notificato un avviso alla società entro il 2024 (entro i 5 anni) e poi, non avendo riscosso nulla, nel 2025 provasse comunque a colpire te senza un nuovo accertamento, non sarebbe corretto. Ma dal tuo racconto pare che ti abbiano notificato proprio un avviso a tuo nome nel 2025, il che è lo strumento giusto (dato che nel 2025 la fictio era scaduta) purché – ripeto – l’accertamento non fosse decaduto. In sintesi: l’atto può essere legittimo, ma va analizzato a fondo e con ogni probabilità dovrai impugnarlo per far valere le tue ragioni (ad esempio, se non hai ricevuto nulla dovrai provarlo per evitare il pagamento).

D: Gli ex soci rispondono anche delle sanzioni e degli interessi sulle imposte non pagate?
R: , secondo la giurisprudenza più recente i soci subentrano nell’intero carico tributario, compresi interessi e sanzioni amministrative. In passato qualcuno sosteneva che le sanzioni, essendo di natura punitiva personale, dovessero restare a carico solo della società e non trasmettersi ai soci; ma la Cassazione ha chiarito che non è così. Qui infatti non si tratta di “punire” il socio per un illecito proprio, ma di una forma di successione sui generis in cui il debito fiscale (comprensivo di ogni accessorio) viene preso in carico dagli “eredi” della società. Quindi l’ex socio dovrà pagare imposte, interessi e sanzioni – sempre però nei limiti di quanto ha ricevuto in liquidazione. Un esempio: Delta Srl aveva un debito col Fisco totale di €100 (di cui €60 imposte, €20 interessi, €20 sanzioni) e il socio ha ricevuto €50 di attivo finale. Quel socio potrà essere chiamato a pagare fino a €50 in totale – se l’Erario vuole, potrebbe imputare il pagamento prima alle imposte e poi proporzionalmente al resto, ma comunque il tetto è €50; l’eventuale eccedenza (i €50 ulteriori) resterà insoddisfatta, salvo che l’Amministrazione possa recuperarla da altri soci o dal liquidatore. In presenza di più soci, ciascuno paga la propria quota di debito, sempre entro quanto ricevuto.

D: Se il socio ha già speso o perso i soldi che ha ricevuto dalla liquidazione, deve comunque pagare di tasca propria?
R: Sì. La responsabilità dei soci non è condizionata al fatto che essi abbiano ancora a disposizione quelle somme. Se un socio ha ricevuto €100.000 in liquidazione e poi li ha investiti o spesi, resta comunque tenuto a pagare i creditori sociali (incluso il Fisco) fino a €100.000. Non può opporre “non ho più quei soldi”. Si tratta infatti di una responsabilità patrimoniale generica: se uno ha dissipato il denaro ricevuto, dovrà attingere ad altri suoi beni per farvi fronte (conto corrente, stipendio, patrimonio personale). Questo implica che un socio prudente, prima di utilizzare l’intera somma ricevuta dalla liquidazione, dovrebbe accertarsi che non vi siano debiti pendenti che potrebbero ricadere su di lui. Diverso è se il socio non ha proprio altri beni: in tal caso il Fisco può tentare il pignoramento ma se il socio è nullatenente di fatto il debito resterà insoluto. Ma questo è un rischio per il Fisco, non una scusante per il socio.

D: Il liquidatore della società estinta può essere perseguito dal Fisco personalmente?
R: , come ampiamente spiegato, il liquidatore può essere chiamato a rispondere in proprio dei debiti tributari non soddisfatti, in caso di sua colpa specifica. Il Fisco ha due vie: civile (azione ordinaria di responsabilità) o tributaria (avviso ex art. 36 DPR 602/73). Spesso preferisce quest’ultima, notificandogli un avviso di accertamento/atto di contestazione per il mancato pagamento delle imposte. Ad esempio, se c’era un debito IVA e il liquidatore ha chiuso la società senza pagarlo, l’Ufficio può fargli pervenire un atto che gli addebita quel tributo in base all’art. 36. In giudizio, come detto, il liquidatore potrà difendersi contestando la sua responsabilità o la fondatezza del tributo. C’è stata discussione se serva un nuovo atto impositivo o basti citarlo in giudizio civile; la Cassazione (prima di SU 2023) aveva talora affermato che l’avviso fiscale in sé non bastasse a fondare la pretesa verso il liquidatore e che fosse necessario un accertamento giudiziale della sua colpa. Però la tendenza attuale, confermata dalla SU 32790/2023, è che l’avviso specifico al liquidatore sia lo strumento idoneo, poi soggetto a sindacato giurisdizionale tributario. In sostanza, sì: il liquidatore rischia di dover pagare di tasca propria i debiti tributari non soddisfatti se ha sbagliato i calcoli di liquidazione. Non c’è un limite “prefissato” per lui: può essere chiamato anche oltre l’attivo distribuito (ad es. se ha pagato altri creditori con soldi che dovevano andare al Fisco). Di solito comunque coincide col debito rimasto impagato. Ovviamente, se il liquidatore ha agito in buona fede e non c’erano fondi, non verrà perseguito; se invece ha fatto male i conti, è responsabile.

D: Chiusa la società, posso subito aprirne un’altra e trasferirvi l’attività, così da continuare il business senza i vecchi debiti?
R: Tecnicamente sì, nessuna legge lo vieta di per sé. Costituire una nuova società è sempre lecito. Tuttavia, se trasferisci l’intera attività (clienti, dipendenti, macchinari, ecc.) dalla vecchia società alla nuova a ridosso della cancellazione, il Fisco potrebbe sostenere che la nuova società sia semplicemente una prosecuzione della precedente, creata per eludere i debiti. In alcuni casi l’Agenzia ha cercato di far dichiarare che la nuova società era un “mero alter ego” della vecchia, tentando di recuperare i tributi da essa (non è semplice giuridicamente, ma ci hanno provato invocando l’abuso del diritto, la simulazione, la responsabilità per trasferimento d’azienda ex art. 14 D.Lgs.472/97, etc.). Inoltre, dal lato penale, se l’operazione è fatta con scopo elusivo dei debiti fiscali, può costituire quell’atto fraudolento sanzionato dall’art. 11 D.Lgs.74/2000 (esempio: cessione di beni alla newco a prezzo irrisorio per “svuotare” la oldco). Quindi è un’operazione da maneggiare con cautela e trasparenza. Se esistono valide ragioni economiche per aprire una nuova società (ad esempio nuovi soci, nuovo progetto) ok, ma bisognerebbe cercare di onorare il debito nella vecchia società o quantomeno negoziare col Fisco (transazione fiscale in concordato preventivo, rateazione, ecc.) piuttosto che chiuderla e ripartire altrove lasciando il debito dietro. In sintesi: farlo è possibile, ma presenta rischi sia fiscali che penali se il vecchio debito era significativo e l’operazione appare come un mero schermo.

D: Se la società viene dichiarata fallita dopo la cancellazione (fallimento “tardivo”), cosa devono fare i soci?
R: In caso di fallimento entro l’anno dalla cancellazione (come previsto dall’art. 33 Codice Crisi, ex art. 10 l.f.), la società torna in vita come massa fallimentare e subentra un curatore. I soci di società di capitali, a questo punto, non pagano direttamente i debiti sociali: sarà la procedura a liquidare i beni e distribuire ai creditori. Tuttavia, i soci potrebbero essere chiamati dal curatore a restituire quanto ricevuto in liquidazione, se tale riparto ha leso i creditori (ad es. se hanno preso soldi che invece dovevano andare ai creditori, il curatore può esercitare azione di responsabilità o chiedere inefficacia di quei pagamenti). Durante il fallimento, il Fisco – come gli altri creditori – deve insinuarsi al passivo e non può agire individualmente contro i soci. Paradossalmente, quindi, il fallimento può proteggere i soci da cartelle e pignoramenti individuali, concentrando tutto nel processo concorsuale. I soci però rischiano di perdere eventuali somme incassate (se il curatore le revoca) e gli amministratori rischiano incriminazioni per bancarotta, come detto. Pertanto, se arriva una citazione o istanza di fallimento post-chiusura, conviene ai soci partecipare attivamente alla procedura, collaborare col curatore e magari cercare di transare qualche soluzione (ad esempio concordare la restituzione parziale di somme per chiudere azioni di responsabilità). In pratica: durante il fallimento, lasciar fare al curatore per pagare i debiti, ma vigilare perché non vengano imputate ai soci colpe ingiustificate; dopo il fallimento, i soci – se non si ravvisano irregolarità – saranno liberi da quei debiti.

D: La chiusura della società mi mette al riparo da sanzioni penali?
R: No. Lo scioglimento riguarda solo la società come persona giuridica, ma non estingue le responsabilità penali delle persone fisiche coinvolte. Se un amministratore ha commesso un reato tributario (frode fiscale, dichiarazione infedele, omesso versamento IVA, ecc.), potrà essere perseguito e punito a titolo personale, società o non società. Anzi, alcune condotte compiute in sede di chiusura potrebbero esse stesse costituire reato (si veda la sottrazione fraudolenta ex art.11). La società estinta non potrà essere imputata (le persone giuridiche non sono penalmente responsabili salvo la 231, e come detto se estinte neanche quella si applica), ma le persone fisiche sì. Quindi la “scomparsa” della società non pulisce la fedina penale di nessuno. L’unico aspetto positivo, come accennato: se c’era un procedimento 231 a carico della società per un reato tributario commesso nel suo interesse, la cancellazione fa cessare quel procedimento, ma ciò riguarda solo la società, non gli individui.

D: Che cosa posso fare prima di cancellare una società per evitare problemi futuri col Fisco?
R: Abbiamo dedicato un’intera sezione a questo, ma riassumiamo i punti chiave:

  • Salda o gestisci i debiti noti: verifica tutte le cartelle, avvisi, rate non pagate. Se possibile, paga o aderisci a definizioni agevolate. Se non puoi pagare integralmente, considera un accordo col Fisco (piano di rientro, transazione fiscale se fai un concordato preventivo).
  • Se sei insolvente, non procedere a liquidazione ordinaria “fai da te”: valuta il fallimento o altra procedura concorsuale. Può sembrare peggio, ma in realtà nel fallimento i soci di capitali non pagano di tasca propria (salvo rarità), mentre nella liquidazione ordinaria sì (come visto). Quindi, a conti fatti, meglio una procedura ufficiale che ti protegge, che non chiudere informalmente e restare esposto.
  • Non distribuire soldi ai soci se ci sono debiti fiscali pendenti: usa le disponibilità per pagare il Fisco e gli altri creditori. Se restano debiti e zero attivo alla fine, i soci non avranno preso nulla e quindi il Fisco non potrà chiedere nulla a loro (di fatto). Viceversa, distribuire attivo ai soci lasciando il Fisco all’asciutto è la ricetta per essere inseguiti e magari accusati di sottrazione fraudolenta.
  • Tieni un margine per eventuali accertamenti in corso: se sai che c’è un controllo in corso o situazioni fiscali non definite, non avere fretta di cancellare. È meglio aspettare l’esito, o comunque accantonare una somma a copertura di potenziali imposte aggiuntive. La pazienza in questi casi paga: cancellarsi prima del tempo espone a tutti i problemi discussi.
  • Documenta tutto e sii trasparente: redigi un verbale finale di liquidazione dettagliato, che annoti quali debiti rimangono e perché non sono stati pagati, come hai ripartito l’attivo, ecc. Consegna copia ai soci. Conserva le scritture contabili per almeno 5 anni dopo la cancellazione (in realtà per legge dovresti depositare i libri sociali presso il Registro Imprese o conservarli tu stesso per 10 anni, art. 2496 c.c.). Questo potrà servire in caso di contestazioni future.

In pratica, agisci come se un domani dovessi spiegare davanti a un giudice ogni mossa che hai fatto: se tutte le tue mosse sono giustificabili e nel rispetto delle norme, dormirai sonni più tranquilli. Se invece fai mosse opache o forzate, rischi che prima o poi emergano con le conseguenze del caso.

D: Quali sono le sentenze più importanti da conoscere su questo tema?
R: Abbiamo già elencato nella sezione precedente diverse pronunce chiave. Riassumendo, le principali sono:

  • Cass. Sez. Unite 22/02/2010 n. 4060-4062: (non citate sopra) aprirono la strada affermando che la cancellazione ha effetto estintivo immediato e che i creditori possono agire verso soci e liquidatori. Primo intervento nomofilattico sul tema.
  • Cass. Sez. Un. 6070/2013: estinzione immediata alla cancellazione, soci succedono entro limiti di quanto ricevuto.
  • Cass. Sez. Un. 7676/2016 (e 26283/2016): consolidano i principi e chiariscono aspetti processuali, in particolare sulla legittimazione in giudizio di soci e liquidatori post estinzione.
  • Cass. Sez. Un. 13648/2018: (sentenza Fercometal): afferma la sopravvivenza del potere del liquidatore di rappresentare la società nel quinquennio; molto citata per la fictio.
  • Cass. Sez. Un. 26283/2016: (citata prima) – conferma immediata estinzione e regole successione.
  • Cass. Sez. Un. 15889/2019: in tema di notifica di cartella a società estinta, evidenzia la necessità di atti ai soci. (Decisione pre art. 28/2014, contesto ancora dibattuto).
  • Cass. Sez. Unite 27/11/2023 n. 32790: responsabilità del liquidatore ex art. 36 DPR 602/73; avviso legittimo anche senza ruolo, liquidatore risponde per tributi non pagati senza prelazione.
  • Cass. Sez. Unite 12/02/2025 n. 3625: responsabilità ex soci; ribadisce limite somme percepite e necessità di specifico accertamento verso soci; onere della prova in capo al Fisco sulla percezione somme; niente coinvolgimento automatico dei soci nei giudizi pendenti.
  • Cass. Civ. Sez. V 11/04/2022 n. 11968: (anche Cass. 1689/2022) – caso di fallimento postumo, conferma che, dichiarato fallimento entro anno, gli avvisi alla società in quel periodo decadono e i soci non succedono. Utile per capire interazioni con fallimento.
  • Cass. Civ. Sez. V 07/04/2017 n. 9094: afferma successione soci anche senza riparti; prospettiva poi rivista/limitata da SU 2025.
  • Cass. Civ. Sez. V 16/01/2023 n. 923: nullità notifica a società estinta non rilevabile d’ufficio se non eccepita; vizio relativo.
  • Cass. Civ. Sez. V 20/09/2018 n. 22460: sottolinea che i soci non possono impugnare in proprio finché c’è fictio; serve atto a loro.
  • Cass. Pen. Sez. III 10/07/2020 n. 20791: (sottrazione imposte) – ribadisce elementi costitutivi art. 11, rilevanza atti distrattivi in liquidazione.
  • Cass. Pen. Sez. III 02/07/2019 n. 28521: punisce ex art.11 liquidazione anticipata e riparto ai soci come frode al Fisco (caso paradigmatico).

(Le date sono orientative, l’elenco non è esaustivo ma copre i punti salienti).

Conoscere tali pronunce aiuta a impostare al meglio la strategia difensiva oppure l’azione di recupero, sapendo fin dove si può spingere la pretesa erariale e quali sono i diritti e i limiti a favore di soci e liquidatori.


Fonti e riferimenti

  • Codice Civile, art. 2495 (Cancellazione della società e successione nei debiti sociali).
  • Codice Civile, art. 2484 – 2496 (Norme sulla liquidazione delle società, bilancio finale e depositi libri sociali).
  • R.D. 16/03/1942 n. 267, Legge Fallimentare, art. 10 (Fallimento dell’imprenditore cessato) – trasfuso nel D.Lgs. 14/2019, art. 33 Codice della Crisi d’Impresa.
  • D.P.R. 29/09/1973 n. 602, art. 36 (Responsabilità di liquidatori, soci e cessionari d’azienda per il pagamento delle imposte).
  • D.Lgs. 21/11/2014 n. 175, art. 28, co. 4 (Differimento di 5 anni dell’estinzione della società ai fini fiscali).
  • D.Lgs. 10/03/2000 n. 74, art. 11 (Reato di Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte) e art. 10-ter (Omesso versamento IVA).
  • D.Lgs. 08/06/2001 n. 231, artt. 24 e 25-quinquiesdecies (Reati tributari come presupposto di responsabilità amministrativa enti dal 2019).
  • Agenzia Entrate, Circolare 31/E del 30/12/2014, §3 (Chiarimenti sull’art.28 D.Lgs.175/2014 – sopravvivenza fiscale quinquennale per società cancellate dopo il 13/12/2014).
  • Agenzia Entrate, Risoluzione 77/E del 03/07/2020 (Società estinte e notifica atti ai liquidatori entro 5 anni – interpello).

Giurisprudenza:

  • Cass., Sez. Unite, 22/02/2010 nn. 4060-4062: Estinzione immediata società cancellata (regime ante 2003) – primi riconoscimenti successione ex soci.
  • Cass., Sez. Unite, 12/03/2013 n. 6070 (6071-6072): Estinzione immediata alla cancellazione, soci successori pro quota.
  • Cass., Sez. Unite, 04/12/2016 n. 26283: Conferma principi 2013, chiarisce legittimazione processuale ex soci/liquidatori.
  • Cass., Sez. Unite, 27/11/2023 n. 32790: Responsabilità liquidatore ex art.36 DPR 602/73 – avviso legittimo anche senza preventiva iscrizione a ruolo.
  • Cass., Sez. Unite, 12/02/2025 n. 3625: Responsabilità ex soci società estinta – successione limitata a somme percepite, prova a carico Fisco con atto specifico verso soci, no coinvolgimento automatico in giudizi pendenti.
  • Cass., Sez. V, 13/04/2017 n. 9094: Soci succedono anche se nessun riparto (poi interpretata estensivamente da SU 2025).
  • Cass., Sez. V, 16/01/2023 n. 923: Nullità avviso a società estinta eccepibile solo dalla parte, non d’ufficio.
  • Cass., Sez. V, 28/08/2024 n. 25415: Cancellazione ante 2014 – ricorso liquidatore inammissibile, no retroattività fictio.
  • Cass., Sez. V, 17/08/2024 n. 23341 (ord.): Sanzioni tributarie trasmissibili ai soci successori.
  • Cass., Sez. V, 26/01/2022 n. 1689: Fallimento postumo – conferma necessità di atto ai soci solo dopo chiusura procedura, successione eventuale indipendente dal riparto.
  • Cass., Sez. V, 30/06/2021 n. 18260: Ribaditi principi post estinzione, cita SU 2013; in linea con Cass. 1689/2022.
  • Cass., Sez. III Pen., 04/07/2019 n. 28521: Liquidazione societaria come atto fraudolento ex art.11 D.Lgs.74/00 – condotte rilevanti.
  • Cass., Sez. III Pen., 11/09/2020 n. 30723: Sottrazione fraudolenta – occorre dimostrare debito esigibile e dolo specifico del soggetto.
  • Cass., Sez. V Pen., 07/05/2019 n. 20680: Configurabilità art.11 in operazioni di scioglimento società e distribuzione beni ai soci (fattispecie condannata).

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