Se sei una madre separata con debiti e ogni giorno ti ritrovi a dover scegliere tra pagare le bollette o fare la spesa per i tuoi figli, sappi che non sei sola. Tra l’affitto, le spese per la casa, il mantenimento dei figli e magari un lavoro precario o mal pagato, è facile finire in difficoltà. Ma la legge ti dà degli strumenti concreti per difenderti dai creditori e ripartire con più serenità.
Quali sono i debiti più comuni per una madre separata?
– Prestiti personali o carte revolving usati per far fronte alle spese quotidiane
– Canoni di affitto arretrati o bollette non pagate
– Cartelle dell’Agenzia delle Entrate per tasse non versate
– Cessioni del quinto già in corso che bloccano buona parte dello stipendio
– Rate di vecchi finanziamenti, anche firmati quando eri sposata
Cosa rischi se non intervieni per tempo?
– Pignoramento dello stipendio, anche se già ridotto al minimo
– Blocco del conto corrente, che ti impedisce di gestire le spese per i figli
– Fermo amministrativo dell’auto, anche se ti serve per portarli a scuola
– Richieste aggressive dai creditori o da agenzie di recupero
– Stress, ansia e senso di colpa che peggiorano la qualità della vita familiare
Cosa puoi fare per difenderti legalmente?
La legge ti riconosce il diritto di accedere alla procedura di sovraindebitamento, pensata per chi, come te, non riesce a far fronte ai debiti ma agisce in buona fede. Attraverso questa procedura puoi:
– Bloccare pignoramenti e pressioni dei creditori
– Pagare solo ciò che puoi permetterti, in modo sostenibile
– Chiedere la cancellazione dei debiti non più affrontabili
Quali sono le opzioni previste dalla legge?
– Concordato minore, se hai un reddito e puoi proporre una soluzione parziale ai creditori
– Liquidazione controllata, se non hai patrimonio ma vuoi liberarti dai debiti
– Esdebitazione dell’incapiente, se non hai beni né reddito sufficiente
Cosa NON devi fare mai?
– Accettare nuovi prestiti per coprire quelli vecchi
– Firmare cambiali o garanzie per familiari o amici
– Ignorare le notifiche legali, anche se sembrano solo “comunicazioni”
– Rinunciare ai tuoi diritti per paura o vergogna
Anche se sei una madre separata con debiti, puoi ripartire senza più vivere con l’angoscia.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi da sovraindebitamento – ti spiega come difenderti dai debiti senza compromettere il futuro dei tuoi figli e la tua tranquillità.
Ti stai facendo in quattro per la tua famiglia, ma i debiti ti stanno soffocando?
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Introduzione
Essere una madre separata (o divorziata) e trovarsi sommersa dai debiti è una condizione delicata e complessa. Dopo la fine di una convivenza o di un matrimonio, spesso la donna si ritrova a dover provvedere ai figli con un solo reddito, fronteggiando spese quotidiane e obblighi familiari, talvolta aggravati da debiti contratti durante o dopo la relazione. Questa guida intende fornire un quadro aggiornato a luglio 2025 degli strumenti giuridici e delle tutele disponibili in Italia per una madre separata debitrice, con un taglio avanzato ma comprensibile sia per operatori del diritto (avvocati, consulenti) sia per privati cittadini e imprenditori. Adotteremo un linguaggio tecnico-giuridico ma divulgativo, ponendo il focus sul punto di vista del debitore: come proteggere i beni essenziali (in primis la casa familiare e il tenore di vita dei figli), quali soluzioni esistono per ristrutturare o cancellare i debiti, e quali novità normative e giurisprudenziali recenti sono rilevanti.
La guida è organizzata in sezioni tematiche con domande e risposte frequenti, tabelle riepilogative e simulazioni pratiche basate su casi reali. Tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate sono raccolte in fondo al documento (sezione Fonti). Esamineremo tutti i tipi di debito che possono gravare su una madre separata – dai mutui bancari alle cartelle esattoriali, dai prestiti personali ai debiti verso privati o verso l’ex coniuge – illustrando per ciascuno i rischi e i possibili rimedi. Approfondiremo inoltre le procedure previste dalla normativa italiana sul sovraindebitamento e sulla ristrutturazione dei debiti, alla luce delle più recenti riforme (in particolare il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 2022) e delle sentenze aggiornate al 2024-2025. Infine, forniremo consigli pratici su come comportarsi con i creditori e su come mantenere un livello di vita dignitoso per sé e per i propri figli nonostante la pressione debitoria.
Nota: le informazioni fornite riguardano esclusivamente il quadro giuridico italiano (leggi nazionali e prassi dei tribunali italiani). Iniziamo delineando le diverse categorie di debiti e le implicazioni specifiche per una madre separata indebitata.
Tipologie di debiti e relativi rischi per una madre separata
Non tutti i debiti sono uguali: a seconda della loro natura e del tipo di creditore, cambiano sia le modalità di riscossione sia le possibili tutele per il debitore. Di seguito passiamo in rassegna le principali tipologie di debiti che possono gravare su una madre separata, evidenziando per ciascuna i rischi (in termini di azioni esecutive subite) e i profili particolari da considerare.
Debiti bancari e finanziari (mutui, prestiti, carte di credito)
Molte madri separate hanno sulle spalle mutui contratti per la casa familiare, prestiti personali o scoperti di carte di credito. Questi debiti verso banche o finanziarie sono in genere regolati da contratti di diritto privato e, in caso di insolvenza, il creditore può agire tramite decreti ingiuntivi e pignoramenti. Ecco alcuni punti chiave:
- Mutuo ipotecario: se la madre è cointestataria di un mutuo sulla casa coniugale (o intestataria unica, ad esempio dopo aver rilevato la quota dell’ex marito), il mancato pagamento delle rate espone al rischio di espropriazione immobiliare. La banca titolare dell’ipoteca può avviare il pignoramento e la vendita all’asta dell’immobile in caso di inadempimento, anche se si tratta della prima casa e anche se vi abitano figli minori. Purtroppo, per i creditori privati come le banche non esiste nel 2025 alcun divieto di pignorare la prima casa – tale protezione si applica solo per i crediti fiscali, come vedremo. Ciò significa che, in assenza di accordi o soluzioni alternative, la banca può procedere senza limiti sulla casa gravata da mutuo. In pratica, se non si pagano le rate del mutuo, l’istituto può far valere la garanzia ipotecaria e la casa può finire all’asta. Una volta venduto l’immobile, la madre e i figli dovranno lasciarlo, a meno che esso sia stato formalmente assegnato come casa familiare (vedi paragrafo dedicato) e la vendita avvenga a terzi: in tal caso, se l’assegnazione era stata trascritta prima del pignoramento, l’acquirente dovrà rispettare il diritto di abitazione per il periodo previsto. Approfondiremo oltre il tema dell’assegnazione della casa familiare e della sua opponibilità ai creditori. Conclusione: se la madre non paga le rate del mutuo, la banca può far vendere la casa all’asta; l’assegnazione come casa familiare offre solo una tutela parziale (diritto di abitazione opponibile al terzo acquirente, ma non impedisce la procedura esecutiva).
- Prestiti personali e debiti da carte di credito: si tratta di crediti chirografari (senza garanzia reale) vantati da banche o finanziarie. Il rischio primario in caso di insolvenza è il pignoramento dello stipendio o del conto corrente della debitrice. Il creditore deve prima munirsi di un titolo esecutivo (ad es. un decreto ingiuntivo non opposto) e poi può pignorare una parte dello stipendio/pensione oppure le somme depositate sul conto corrente. Per i lavoratori dipendenti, la legge fissa un limite generalmente pari a un quinto (20%) dello stipendio netto pignorabile per i crediti ordinari (art. 545 c.p.c.). Dunque, una madre lavoratrice con uno stipendio potrà subire una trattenuta mensile del 20% per ripagare prestiti non onorati. Attenzione però: se sullo stipendio gravano anche pignoramenti per alimenti (mantenimento ai figli o assegno all’ex coniuge) o per debiti fiscali, esistono criteri di cumulo ma in nessun caso si può superare il 50% dello stipendio totale pignorato. Inoltre, il giudice deve sempre garantire al debitore i mezzi indispensabili per vivere: la Corte Costituzionale ha stabilito la necessità di lasciare intatto un minimo vitale (pari all’assegno sociale aumentato della metà). Non esiste però una totale impignorabilità dei salari, salvo quella quota minima: ad esempio, nel 2025 la soglia di impignorabilità si aggira attorno ai €750 netti mensili (importo pari a circa 1,5 volte l’assegno sociale). Se la madre non ha stipendio (disoccupata) ma possiede un conto in banca con qualche risparmio, un creditore chirografario potrà pignorare il conto corrente: in tale sede, le somme presenti vengono bloccate sino a concorrenza del credito dovuto. È importante notare che, una volta che lo stipendio o altre somme vengono accreditate sul conto corrente, perdono la loro identità (stipendio, pensione ecc.) e possono essere pignorate integralmente dal creditore, ad eccezione dell’ultimo stipendio accreditato che – se il pignoramento è solo presso il datore di lavoro – rimane libero (ma se il creditore pignora anche il conto corrente, tale tutela salta). Pertanto, può essere prudente mantenere separati i conti: ad esempio, evitare di far confluire l’assegno per i figli sul conto su cui potrebbero agire i creditori (come discusso oltre).
- Garanzie e coobbligazioni: attenzione ai casi in cui la madre separata abbia fatto da fideiussore o coobbligata per debiti altrui (ad esempio, debiti dell’ex marito o di società familiari). In tali scenari, se il debitore principale non paga (es. l’ex coniuge fallisce o è insolvente), la banca si rivarrà sul garante. Molte donne si trovano indebitate proprio perché hanno garantito mutui o finanziamenti aziendali del marito poi fallito. È il caso, ad esempio, di Angela, che aveva prestato garanzie per l’impresa edile del marito: dopo il fallimento di quest’ultimo, si è vista reclamare dalle banche ben €938.000 di esposizioni garantite. In situazioni così gravi, la ex moglie separata/divorziata diventa debitrice a tutti gli effetti e i creditori potranno agire sul suo patrimonio (case, conti, stipendio) come per qualsiasi altro debito bancario. Più avanti vedremo come Angela sia riuscita a risolvere la situazione con un Piano del consumatore salvando la casa, ma va sottolineato che, all’origine, la banca aveva pieno diritto di agire su di lei in qualità di fideiussore. In sintesi, firmare come garante espone la madre al rischio di dover pagare integralmente i debiti altrui in caso di insolvenza del debitore principale.
- Usura e interessi eccessivi: se un prestito o mutuo presenta tassi di interesse usurari o clausole abusive, la madre debitrice può opporre tali vizi per ridurre o annullare il debito. La Corte di Cassazione ha riconosciuto, ad esempio, la possibilità di contestare un decreto ingiuntivo della banca anche a distanza di tempo se emergono clausole vessatorie nel contratto. In particolare, la Cassazione n. 9479/2023 ha confermato che il debitore può far valere in qualsiasi momento la nullità di clausole contrattuali contrarie a norme imperative (come tassi usurari), anche proponendo opposizione tardiva al decreto ingiuntivo già esecutivo. Si tratta di aspetti tecnici che richiedono assistenza legale, ma è utile sapere che anche la validità del credito può essere messa in discussione: un avvocato potrà verificare se i tassi superano la soglia d’usura o se vi sono irregolarità nei contratti di finanziamento, elementi che in caso positivo possono portare a ridurre il debito o addirittura ad annullarlo.
Rischio riassunto: per i debiti bancari/finanziari il principale rischio è la perdita dei beni di proprietà (casa, auto) tramite pignoramento e vendita forzata, nonché la decurtazione forzata dei redditi (stipendi, pensioni) e depositi tramite pignoramenti presso terzi. Non esistono esenzioni di legge per la casa principale verso creditori privati, quindi l’unica difesa è agire per tempo per evitare tali azioni (ad esempio chiedendo una moratoria del mutuo, rinegoziando il debito o accedendo a procedure di composizione della crisi, di cui diremo in seguito). Nel prosieguo vedremo quali strumenti specifici può usare il debitore per bloccare o sospendere queste azioni (come il piano del consumatore, la liquidazione controllata, ecc.).
Debiti fiscali e verso enti pubblici (Agenzia Entrate Riscossione, INPS, Comuni)
Una madre separata può trovarsi anche con debiti verso il Fisco o enti pubblici: ad esempio cartelle esattoriali per tasse non pagate, contributi INPS arretrati (specie se era una lavoratrice autonoma), multe stradali o tributi locali. Questi debiti hanno regole in parte diverse rispetto a quelli bancari, poiché il creditore è pubblico e il recupero forzato è spesso affidato all’Agenzia delle Entrate – Riscossione (AdER, ex Equitalia). Punti salienti da considerare:
- Cartelle esattoriali e importi dovuti: se la madre ha ricevuto cartelle per IRPEF, IVA, IMU, bollo auto, multe, ecc., il mancato pagamento porta l’AdER ad attivare procedure esecutive specifiche, disciplinate dal D.P.R. 602/1973. L’Agente della Riscossione può pignorare stipendi, conti correnti, immobili e auto del debitore, ma con alcuni limiti fissati dalla legge.
- Prima casa e debiti fiscali: la normativa italiana prevede una forma di tutela per l’unica abitazione di residenza del debitore nei confronti di AdER. In particolare, l’art. 76 del D.P.R. 602/1973 stabilisce che l’AdER non può ipotecare né pignorare la prima casa di residenza del debitore se sussistono tutte le seguenti condizioni:
- il debitore possiede un solo immobile adibito a civile abitazione non di lusso (esclusi immobili di categoria A/8 – ville, e A/9 – castelli) e vi risiede anagraficamente;
- il debito totale con AdER è inferiore a €120.000;
- l’immobile non rientra appunto nelle categorie catastali di lusso sopra indicate.
- Ipoteca fiscale e soglie di debito: con debiti fiscali tra €20.000 e €120.000, AdER non può pignorare la prima casa (come visto), ma è autorizzata per legge a iscrivere ipoteca sull’immobile a garanzia del credito. L’ipoteca è una misura cautelare che non comporta immediata perdita della casa, ma resta a garanzia: se in futuro il debito supera €120.000 (o il debitore acquista altri immobili), potrà scattare il pignoramento. Sotto €20.000 di debito, invece, è preclusa anche l’iscrizione di ipoteca. La Corte di Cassazione ha chiarito che il divieto di pignorare la prima casa si applica anche ai procedimenti esecutivi già in corso al momento dell’entrata in vigore della legge 69/2013; ciò è stato confermato di recente dall’ordinanza Cass. 32759/2024, che ha ribadito la natura retroattiva di questa protezione. In pratica, se AdER aveva avviato un’asta sulla prima casa prima del 2013 e la procedura era ancora pendente a quella data, l’asta va fermata in applicazione retroattiva della norma favorevole al debitore. Questa protezione tuttavia non copre misure di natura penale: ad esempio, Cass. 30342/2021 ha precisato che il divieto di esproprio sulla prima casa non impedisce il sequestro preventivo penale se il proprietario è indagato per reati tributari. In sostanza, la Guardia di Finanza potrebbe sequestrare l’immobile come corpo del reato indipendentemente dall’art. 76 DPR 602/73, perché in tal caso si applicano le norme penali e non quelle tributarie.
- Stipendi e conti correnti per debiti tributari: AdER può pignorare stipendi e pensioni con regole leggermente diverse rispetto ai creditori privati. In generale, vale comunque la regola del quinto massimo, ma modulata a scaglioni sul netto mensile (in base all’art. 72-ter DPR 602/73): un decimo dello stipendio se questo è inferiore a circa €2.500; un settimo se è tra €2.500 e €5.000; un quinto oltre €5.000. (Queste soglie sono ancorate al cosiddetto “minimo vitale” e vengono aggiornate periodicamente: concettualmente il prelievo è progressivo). AdER inoltre non ha bisogno di autorizzazione del giudice per attivare il pignoramento presso terzi: può notificare direttamente un atto di pignoramento al datore di lavoro, che dovrà iniziare le trattenute in busta paga. Per i conti correnti, dal 2021 la legge consente ad AdER un pignoramento accelerato: contestualmente alla notifica al debitore, l’Agente può inviare ordine alla banca di vincolare le somme presenti sul conto fino a concorrenza del debito. Anche qui valgono alcune esenzioni importanti: ad esempio, non sono pignorabili i sussidi di sostentamento di natura pubblica, come l’assegno sociale, la pensione minima o il nuovo assegno di inclusione, in quanto crediti impignorabili per legge. Tuttavia, come regola generale, il denaro su un conto corrente – salvo poter distinguere le provenienze – può essere prelevato da AdER se il conto viene pignorato, con la sola eccezione di eventuali accrediti stipendiali dell’ultimo mese non ancora spesi, che dovrebbero restare liberi se il pignoramento è limitato al conto (tema oggetto di interpretazioni: in via prudenziale conviene considerare tutto il saldo attaccabile, salvo poi fare opposizione per sbloccare le somme esenti).
- Altri enti pubblici: debiti verso i Comuni (es. contravvenzioni, rette scolastiche, mensa), verso le aziende municipalizzate (bollette acqua/rifiuti) o verso l’INPS (contributi non versati per colf, o per se stesse se autonome) vengono anch’essi riscossi tramite cartelle esattoriali, quindi con le regole AdER sopra descritte. Un caso particolare è il debito per omissione contributiva come datore di lavoro: se, ad esempio, la madre era un’imprenditrice con dipendenti e non ha versato contributi o stipendi, quei debiti godono di tutela speciale – sono crediti privilegiati e la loro esdebitazione (cioè la cancellazione) può essere esclusa o subordinata a particolari condizioni, come vedremo. Fortunatamente, per molte madri separate questo caso non si pone; ma se parliamo di madri imprenditrici con personale, è importante sapere che i lavoratori vantano un diritto robusto a ricevere quanto dovuto e tali crediti saranno trattati con priorità sia nelle esecuzioni che nelle procedure concorsuali.
Rischio riassunto: i debiti fiscali possono portare a pignoramenti automatici su stipendio/pensione e conto corrente e, in casi gravi, anche alla perdita di immobili. La prima casa è tendenzialmente protetta solo se il debito è sotto €120.000 e quella è l’unica abitazione di proprietà del debitore; in caso contrario AdER può procedere come un qualunque creditore ipotecando e pignorando anche l’abitazione. La presenza di debiti fiscali elevati, inoltre, può comportare iscrizioni di ipoteche o fermi amministrativi (ad esempio fermo dell’auto). Tuttavia, esistono strumenti di sollievo specifici: il debitore può chiedere la rateizzazione delle cartelle (fino a 6 o 10 anni a seconda dell’entità del debito, ex art. 19 DPR 602/73), oppure può beneficiare di eventuali definizioni agevolate se previste (come le “rottamazioni” periodicamente introdotte dal legislatore, che permettono di pagare il debito fiscale senza sanzioni e interessi). Inoltre, i debiti fiscali, al pari di quelli privati, possono essere inclusi nelle procedure di sovraindebitamento (salvo quelli per sanzioni o frodi gravi, come vedremo) e quindi ristrutturati o stralciati in parte. In sintesi: il Fisco ha poteri ampi di riscossione, ma anche vincoli normativi (prima casa non attaccabile in certe condizioni, limiti percentuali su stipendi, ecc.) e opportunità di transazione/rateazione che andrebbero sempre valutate.
Debiti verso l’ex coniuge e obblighi di mantenimento
Dopo la separazione o il divorzio, spesso è il padre a dover corrispondere un assegno di mantenimento per i figli (e talvolta un assegno divorzile per la ex moglie se economicamente più debole). Può capitare, però, che i ruoli siano invertiti o che vi siano accordi particolari: ad esempio, se i figli risiedono col padre oppure se la madre ha un reddito nettamente superiore, potrebbe essere lei l’obbligata al mantenimento verso l’ex marito o verso i figli affidati al padre. In altri casi, potrebbero esistere debiti pregressi tra ex coniugi (ad esempio, la moglie potrebbe essere stata condannata a rifondere somme al marito, come restituzione di prestiti personali o pagamento di spese legali). In qualunque scenario, questi debiti di natura familiare hanno regole proprie e meritano un’analisi separata:
- Assegni di mantenimento periodici: l’assegno di mantenimento per i figli ha natura alimentare, cioè serve al sostentamento primario della prole. Proprio per questo gode di una protezione speciale: non può essere pignorato dai creditori della madre. Se la madre percepisce sul proprio conto le somme che il padre versa per i figli, tali somme non dovrebbero essere attaccate da eventuali creditori della donna, perché giuridicamente appartengono ai figli (la madre ne è solo amministratrice). Tuttavia, è fondamentale tenere distinti questi importi, ad esempio utilizzando un conto dedicato: se i soldi confluiscono in un conto “promiscuo” e si confondono con altre disponibilità della madre, un creditore potrebbe pignorare l’intero saldo, costringendo poi la madre a dimostrare quali somme erano destinate ai figli – con un iter probatorio non scontato. Il concetto chiave è che il mantenimento per i figli non può essere oggetto di esecuzione forzata da parte di terzi diversi dal beneficiario (figlio stesso). Diverso è invece l’assegno di mantenimento per l’ex coniuge: secondo la Cassazione, esso non ha natura alimentare in senso tecnico, ma è volto a garantire il tenore di vita adeguato all’ex partner. Quindi, l’assegno divorzile a favore dell’ex coniuge è pignorabile da creditori terzi (nei limiti ordinari di legge). In altre parole, se una madre separata riceve un assegno mensile dall’ex marito per sé (ipotesi rara ma possibile in caso di ex marito obbligato al suo mantenimento), quei soldi possono essere considerati reddito pignorabile al pari di uno stipendio. Viceversa, se la madre è debitrice di un assegno periodico verso l’ex marito o verso i figli, e smette di pagare, potrà subire il pignoramento del suo stipendio/pensione esattamente come un qualunque debitore, con in più le particolari agevolazioni previste per i crediti alimentari: il creditore procedente (familiare) può ottenere dal giudice di superare il limite del quinto, se necessario, purché sia sempre garantito al debitore un minimo vitale. Notiamo inoltre che l’omesso versamento dell’assegno divorzile o di quello per i figli può configurare un reato (violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570 c.p. o art. 570-bis c.p.), perseguibile penalmente. Questo profilo esula dalla tematica civile del sovraindebitamento, ma la madre debitrice deve esserne consapevole: i debiti per mantenimento familiare vanno soddisfatti con priorità assoluta, perché la legge li tutela sia civilmente (con privilegi e impignorabilità da terzi) sia penalmente (sanzionando l’inadempimento grave).
- Arretrati e debiti pregressi tra ex coniugi: se la madre ha accumulato un debito per arretrati di mantenimento (cioè non ha pagato per mesi l’assegno dovuto all’ex o ai figli) oppure deve versare somme all’ex per decisione del tribunale (ad esempio, rimborso di metà mutuo pagato dall’ex, conguagli patrimoniali, o restituzione di prestiti ricevuti in costanza di matrimonio), tali debiti possono essere fatti valere dall’ex con esecuzione forzata. L’ex coniuge può aggredire i beni e i redditi della debitrice al pari di un creditore qualsiasi, ma con qualche vantaggio: i crediti alimentari godono di un privilegio speciale sui beni del debitore (ad esempio, hanno priorità su altri crediti in caso di pignoramento concorrente) e, come detto, permettono pignoramenti di stipendi anche oltre il quinto – su autorizzazione del tribunale – se ciò è necessario a soddisfare il fabbisogno del beneficiario. Inoltre, questi debiti non possono essere cancellati da procedure concorsuali: la legge esclude espressamente i debiti per alimenti dal beneficio dell’esdebitazione. Ciò significa che, anche se la madre ricorre alla legge sul sovraindebitamento (di cui parleremo a breve) e ottiene la cancellazione degli altri debiti, dovrà comunque onorare integralmente gli arretrati verso l’ex coniuge o i figli. Su questo punto la normativa è chiara: i crediti legati al mantenimento familiare sono considerati “indisponibili” e restano dovuti per intero, non potendo essere falcidiati né perdonati.
Rischio riassunto: i debiti di natura familiare presentano una “doppia faccia”. Se la madre è creditrice (ossia deve ricevere somme dall’ex), quei crediti per i figli sono relativamente al sicuro da interferenze di altri creditori; se invece la madre è debitrice di obblighi familiari, tali debiti sono prioritari e non sacrificabili. Il mancato pagamento può condurre a pignoramenti rapidi (in genere, trattandosi di alimenti, il giudice autorizza misure urgenti) e addirittura a conseguenze penali in caso di inadempimenti prolungati. In sostanza, vanno pianificati come spese incomprimibili. In più, come anticipato, le procedure di sovraindebitamento non permettono in alcun caso di cancellare debiti per mantenimento: una madre indebitata potrà liberarsi di altri debiti, ma non degli arretrati verso figli o ex coniuge (su questi rimarrà esposta anche dopo la procedura).
Nota: esistono strumenti di sostegno nel caso in cui l’altro genitore non paghi il mantenimento dovuto. Lo Stato italiano ha istituito un Fondo di solidarietà per garantire in parte l’assegno ai figli o all’ex coniuge in stato di bisogno (introdotto con L. 205/2017, operativo dal 2019). Ad esempio, se il padre obbligato si rende inadempiente e la madre versa in gravi difficoltà economiche, può chiedere al tribunale l’intervento di questo Fondo, che anticipa le somme di mantenimento dovute. Ciò ovviamente non riduce i debiti della madre, ma può alleviare la pressione finanziaria familiare assicurando entrate minime per i figli. È una strada da percorrere in caso di necessità, parallelamente alla gestione dei debiti propri.
Debiti verso fornitori, privati e altri creditori vari
In questa categoria rientrano tutte le passività non già coperte sopra, che possono gravare su una persona: ad esempio le bollette non pagate (luce, gas, telefono), le spese condominiali arretrate, debiti per acquisti di beni o servizi (dall’arredamento al dentista), finanziamenti ottenuti da parenti o amici, eventuali debiti d’impresa verso fornitori se la madre gestiva un’attività economica, e così via.
- Bollette e utenze domestiche: i debiti verso aziende di servizi (energia elettrica, gas, telefonia) seguono la normale via civile. Tipicamente, se una bolletta rimane impagata, l’ente può sospendere il servizio (staccare luce o gas) e iniziare attività di recupero crediti. Le somme dovute possono essere oggetto di decreto ingiuntivo e successiva esecuzione forzata come qualunque altro debito chirografario. Va segnalato che, in caso di morosità prolungata, alcuni servizi essenziali (acqua, energia) devono comunque garantire un minimo vitale (ad esempio, non si può staccare del tutto l’acqua, ma ridurre il flusso) per ragioni di tutela della dignità umana; ciò però non evita l’accumularsi del debito. Dunque la madre dovrà eventualmente includere anche queste passività in un piano di rientro generale.
- Canoni di affitto non pagati: se la madre separata vive in affitto e non riesce a pagare il canone, il proprietario di casa dopo qualche mese può avviare una procedura di sfratto per morosità. Oltre a perdere la disponibilità dell’abitazione in locazione (lo sfratto è eseguibile anche in presenza di minori, sebbene possano esservi proroghe in casi particolari), la madre rimane debitrice per i canoni arretrati. Il locatore potrà agire per recuperarli con pignoramenti su stipendio o conto come un normale creditore. I debiti da affitto rientrano anch’essi tra quelli chirografari (salvo eventuali depositi cauzionali che coprono parzialmente), e possono essere inseriti in procedure di sovraindebitamento.
- Spese condominiali: se la madre è proprietaria (o comproprietaria) di un immobile in condominio e non paga le spese condominiali, l’amministratore del condominio può ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo e procedere a pignoramento. Le spese condominiali godono per legge di un privilegio sull’immobile (art. 63 disp. att. c.c.), il che significa che, in caso di vendita forzata, i crediti del condominio vengono soddisfatti con precedenza rispetto ad altri crediti chirografari. Inoltre, il compratore dell’immobile all’asta è tenuto per legge a pagare le spese condominiali insolute dell’anno in corso e dell’anno precedente alla vendita. Quindi, accumulare debiti condominiali mette seriamente a rischio la casa: il condominio può portare l’immobile all’asta più rapidamente di altri creditori, e in sede d’asta i compratori terranno conto di questi oneri, abbassando il prezzo. È importante dunque non trascurare questi debiti “domestici” e se necessario includerli in piani di soluzione.
- Debiti commerciali o personali verso privati: se la madre gestiva una piccola impresa o attività autonoma e ha debiti verso fornitori o dipendenti, valgono le regole ordinarie: i fornitori possono agire legalmente per il recupero (e i debiti verso dipendenti hanno addirittura privilegio sui beni, analogamente ai crediti alimentari). Se invece la madre ha debiti verso familiari o amici (es. prestiti ricevuti informalmente), questi ultimi per escutere coattivamente dovranno munirsi di un riconoscimento del debito (ad es. un contratto scritto o una causa vinta) e poi procedere come creditori qualsiasi. Anche multe stradali non pagate rientrano in questa categoria: come visto, diventano cartelle esattoriali; vanno segnalate perché, pur essendo formalmente “sanzioni”, in molti casi i tribunali ammettono di includerle nei piani di sovraindebitamento (trattandole come debiti finanziari).
Rischio riassunto: i debiti verso fornitori e privati sono generalmente chirografari, quindi i rischi sono simili a quelli dei prestiti non pagati: pignoramento di stipendi, conti, beni mobili registrati (auto). Alcuni di essi, però, possono avere privilegi (spese condominiali, retribuzioni dipendenti) che li rendono più insidiosi perché potranno venire soddisfatti con precedenza su altri crediti e con strumenti rapidi (es. decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo per il condominio). In mancanza di accordi diretti con questi creditori, anche tali debiti potranno essere affrontati con le procedure di composizione della crisi (piani, concordati, liquidazione), che permettono di congelare le azioni esecutive e ripartire in modo ordinato ciò che la madre può pagare.
Protezione dell’abitazione e altri beni essenziali del debitore
La casa e i beni essenziali per la vita familiare sono spesso al centro delle preoccupazioni: perdere l’abitazione o i mezzi di sostentamento significa creare un grave disagio alla madre e ai figli. In Italia la legge distingue due concetti: la prima casa di proprietà del debitore e la casa familiare assegnata in sede di separazione/divorzio. Inoltre, il codice di procedura civile prevede una serie di beni mobili impignorabili o parzialmente pignorabili, a tutela della dignità minima. Vediamo questi aspetti separatamente.
Protezione della casa (prima casa di proprietà e casa familiare assegnata)
- Impignorabilità della prima casa (solo per debiti fiscali): come già accennato, se la madre separata è proprietaria dell’immobile in cui vive con i figli (prima casa) e ha debiti con il Fisco, la legge le offre una protezione a determinate condizioni. Riassumendo quanto detto sopra: Agenzia Entrate Riscossione non può pignorare l’unica casa di residenza del debitore se il debito totale verso l’erario è sotto €120.000 e l’immobile non è di lusso. Questa norma, originariamente introdotta nel 2013, è volta ad evitare che crisi fiscali gettino intere famiglie per strada. La Cassazione ha confermato con più pronunce (es. Cass. 19270/2014 e ord. 32759/2024) la solidità di tale divieto. Tuttavia – ripetiamo – ciò non vale per i creditori privati (banche, finanziarie, privati): costoro possono pignorare e far vendere anche l’unica casa di abitazione senza limiti, perché la tutela speciale riguarda solo i debiti fiscali. Quindi una madre indebitata con banche o altri creditori, se teme di perdere la casa, deve valutare strumenti come il consolidamento del debito o il piano del consumatore che vedremo dopo, non potendo contare su una protezione automatica.
- Assegnazione della casa coniugale e rapporti con i creditori: spesso, dopo la separazione, la casa familiare (di proprietà di uno o entrambi i coniugi) viene assegnata dal giudice alla madre affinché vi abiti con i figli minori o non autosufficienti. L’assegnazione dà alla madre un diritto di abitazione (anche se non proprietaria) finché i figli conviventi ne hanno bisogno. Questo diritto è opponibile ai terzi se il provvedimento di assegnazione è trascritto nei registri immobiliari tempestivamente (ai sensi dell’art. 337-sexies c.c., ultimo comma, che prevede la trascrizione come per i contratti di locazione ultra-novennali). Cosa significa in concreto? Significa che se, ad esempio, la casa era intestata all’ex marito, e questi ha debiti, un creditore del marito potrebbe pignorarla e venderla all’asta. Però, se l’assegnazione in favore della madre era stata trascritta prima del pignoramento, l’acquirente all’asta dovrà rispettare il diritto di abitazione della madre e dei figli (analogamente a come accade per un immobile occupato da un conduttore con contratto di locazione registrato). Se invece l’assegnazione non era trascritta o è successiva al pignoramento, sarà opponibile solo per 9 anni dall’assegnazione (come prevede l’art. 1599 c.c. per i contratti non trascritti), dopodiché il terzo potrà liberare l’immobile. In ogni caso, va chiarito un aspetto cruciale: il diritto di abitazione opponibile non impedisce la vendita forzata. La Cassazione ha affermato che l’assegnazione non paralizza il diritto del creditore di pignorare e vendere il bene; semmai incide sul godimento post-vendita. In pratica, un creditore può comunque far espropriare la casa familiare assegnata; se l’assegnazione è opponibile, la casa verrà venduta occupata dall’assegnataria e ciò potrà ridurre il prezzo d’asta, ma non bloccare l’esecuzione. Solo la tempestiva trascrizione, rendendo l’immobile poco appetibile, potrebbe di fatto scoraggiare i creditori, ma non c’è un divieto giuridico di procedere. Dunque, se la madre vive in una casa di proprietà dell’ex coniuge assegnatale in sede di separazione, è bene che verifichi se il provvedimento di assegnazione è stato trascritto. Se non lo fosse, conviene farlo immediatamente per tutelarsi il più possibile in caso di azioni dei creditori del proprietario. In sintesi, l’assegnazione della casa familiare non rende il bene “impignorabile”, ma fa sì che l’eventuale acquirente all’asta debba rispettare il diritto di abitazione della madre fino a che ne ricorrano i presupposti (presenza di figli conviventi minorenni o non autosufficienti). Questo diritto incide sul valore di mercato, ma non salva la proprietà dal pignoramento.
- Casa in comproprietà tra ex coniugi: altro scenario diffuso è quello in cui la casa era in comproprietà (es. al 50% ciascuno, magari in regime di comunione legale dei beni). Dopo la separazione, se uno dei due ex coniugi è indebitato, i suoi creditori possono pignorare la sua quota di casa. Questo tipicamente sfocia in una divisione giudiziale: il tribunale, su istanza del creditore procedente, può disporre la vendita dell’intero immobile in comproprietà e la successiva divisione del ricavato tra gli ex coniugi secondo le rispettive quote (detratte le spese e il credito azionato). La madre, in quanto comproprietaria non debitrice, riceverebbe ovviamente la sua quota del ricavato, ma perderebbe la casa in cui vive. L’assegnazione come casa familiare, anche qui, gioca un ruolo: se l’immobile era assegnato a lei con i figli e la decisione è trascritta, la sua presenza come occupante potrebbe scoraggiare offerte all’asta, ma non impedire la procedura di vendita forzata. L’unica soluzione in questi casi spesso è cercare di rilevare la quota dell’ex (ad esempio pagando al creditore l’importo del debito, così da evitare l’asta) oppure trovare un accordo con i creditori prima che si arrivi alla vendita coattiva. Da notare: se la comunione legale dei beni era ancora in piedi al momento di contrarre il debito, alcuni crediti potrebbero riguardare l’intero patrimonio comune e quindi l’intera casa; ma dopo la separazione personale la comunione si scioglie ex nunc. La Cassazione ha ribadito (Cass. 12466/2013) che lo scioglimento della comunione legale avviene con la sentenza di separazione o con l’omologazione della separazione consensuale (non già dalla mera separazione di fatto né dal provvedimento presidenziale provvisorio). Ciò significa che i nuovi debiti dell’ex marito contratti post-separazione non toccano più la quota di proprietà dell’ex moglie, e viceversa, poiché il regime di comunione è cessato. I creditori di uno non possono aggredire beni che, dopo la separazione, sono diventati esclusiva proprietà dell’altro (salvo il caso di fideiussioni o coobbligazioni volontarie, come detto sopra, che restano efficaci).
In sintesi, per proteggere l’abitazione la madre separata ha pochi scudi automatici: contro i crediti fiscali la legge tutela la prima casa (ma solo se è l’unico immobile e il debito è modesto); contro i creditori privati l’unica pseudo-tutela è l’assegnazione familiare trascritta (che però non impedisce l’esproprio ma solo garantisce il diritto di abitazione opponibile). Dunque è fondamentale, se ci sono debiti importanti, agire tempestivamente con strumenti di composizione o ristrutturazione del debito per evitare di arrivare al pignoramento della casa. Nel prosieguo vedremo come un Piano del consumatore ben congegnato possa consentire di mantenere la casa offrendo ai creditori un pagamento più conveniente rispetto all’asta giudiziaria.
Beni mobili indispensabili e altri limiti al pignoramento
Oltre alla casa, il codice di procedura civile elenca alcuni beni mobili e crediti che non possono essere pignorati o lo sono con forti limitazioni. Eccone alcuni di particolare rilievo per una madre separata debitrice:
- Beni mobili di uso quotidiano: l’art. 514 c.p.c. dichiara impignorabili i mobili e gli oggetti indispensabili per la vita quotidiana del debitore e della famiglia. Ciò include il mobilio di casa, i letti, gli elettrodomestici essenziali, i vestiti, utensili di cucina e in generale tutto ciò che serve alla vita della famiglia. Dunque un ufficiale giudiziario non potrà portare via mobili comuni, stoviglie, frigorifero, lavatrice, e così via, salvo che vi siano oggetti di lusso o di particolare pregio (quadri d’autore, tappeti antichi, collezioni di valore) che eccedano l’uso comune. Anche i ricordi di famiglia e gli animali da compagnia sono impignorabili. Questa norma garantisce che la madre debitrice non rimanga priva degli oggetti essenziali per condurre una vita dignitosa.
- Strumenti di lavoro: sempre l’art. 514 c.p.c. rende impignorabili gli strumenti, oggetti e libri indispensabili al debitore per l’esercizio della propria professione, arte o mestiere, nei limiti del necessario per la vita e per la continuazione dell’attività. Ad esempio, se la madre è una sarta, la sua macchina da cucire non può esserle sottratta; se è una docente, il suo computer e i suoi libri professionali sono protetti. Questa tutela è fondamentale per permettere al debitore di continuare a produrre reddito.
- Sussidi di sostentamento e crediti alimentari: come già menzionato, i crediti di natura alimentare (mantenimento per i figli, assegni familiari, pensioni sociali) non sono pignorabili da creditori terzi, in quanto destinati al sostentamento primario di determinate persone. Inoltre, alcune prestazioni assistenziali (es. pensione di invalidità civile, sussidi per il nucleo familiare, reddito di cittadinanza/assegno di inclusione) sono totalmente impignorabili. Per le pensioni, la legge 8/08/1995 n. 335 (art. 1, comma 7) prevede un minimo vitale impignorabile pari all’ammontare dell’assegno sociale aumentato della metà: sulle pensioni, dunque, la parte eccedente tale importo può essere pignorata nei limiti di un quinto. Sulle retribuzioni medie, come visto, il limite generale è il quinto, e la Corte Costituzionale (sent. 171/2016) ha interpretato l’art. 545 c.p.c. nel senso di garantire comunque al lavoratore un minimo vitale impignorabile anche in sede di pignoramento del conto (rendendo impignorabile l’ultima mensilità accreditata). In pratica, i creditori non possono mai azzerare le entrate del debitore: una parte minima deve restare per la sopravvivenza sua e dei suoi familiari.
- Veicoli necessari e altri beni mobili registrati: di regola auto e moto sono pignorabili, ma nella pratica i creditori procedono solo se il veicolo ha un discreto valore di mercato. Un’automobile necessaria per il lavoro (ad es. se la madre la usa per recarsi al lavoro e non ha alternative) può, in sede di procedimento, essere lasciata al debitore su istanza motivata, specie se il suo valore è modesto e la sottrazione comprometterebbe la capacità di produrre reddito. Non esiste però un’esplicita impignorabilità dell’auto come categoria generale; esistono invece limiti per i veicoli speciali destinati a persone con disabilità (es. auto adattate): quelle sono impignorabili.
- Conti correnti cointestati: se la madre separata ha un conto cointestato con un genitore o con i figli, un creditore può pignorarlo ma, per giurisprudenza, l’importo pignorato si presume di spettanza pro quota ai cointestatari (ad esempio, metà ciascuno se sono due). Questo significa che, salvo prova contraria, il creditore potrà bloccare solo la quota parte attribuibile al debitore. È comunque una situazione da evitare: meglio tenere conti separati, poiché se vengono pignorati, si genera un contenzioso per svincolare la parte dell’altro cointestatario non debitore.
In generale, conoscere queste tutele serve anche a pianificare strategie di sopravvivenza: ad esempio, se si teme il pignoramento del conto, la madre potrebbe decidere di mantenere sul conto solo l’indispensabile, prelevando subito lo stipendio per le spese correnti e non lasciando liquidità attaccabile (magari tenendo dei contanti o usando carte prepagate non collegate a conti noti ai creditori). Sono misure estreme e temporanee: la vera soluzione di lungo periodo sta comunque nel gestire e ridurre il debito complessivo, come vedremo nelle prossime sezioni sulle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento.
Tenore di vita dei figli e diritto agli alimenti
Un aspetto fondamentale che orienta molte decisioni delle autorità (giudici civili ed eventualmente autorità penali) è la tutela del tenore di vita adeguato dei figli minori. Il diritto del minore a mantenere, per quanto possibile, un livello di vita decoroso è garantito a livello costituzionale e normativo. Cosa implica questo nel contesto dei debiti? Alcuni riflessi li abbiamo già visti: l’impignorabilità degli alimenti per i figli, i limiti alle esecuzioni che lascino al genitore un minimo vitale, ecc. Aggiungiamo qui che:
- Se la madre versa in grave difficoltà economica, i servizi sociali e il giudice possono intervenire per tutelare i minori. Ciò potrebbe tradursi, ad esempio, in agevolazioni per le spese scolastiche, accesso a misure di sostegno comunali (borse di studio, esenzioni dal pagamento della mensa) o, come ultima ratio, in una modifica delle condizioni di affidamento. Solo in casi estremi, dove i minori rischiano privazioni gravi, potrebbe essere rivalutato l’affido condiviso o chiesto un maggiore contributo economico dall’altro genitore o dai parenti. Tuttavia, tale scenario è raro: si cerca sempre di evitare di “punire” il genitore debitore sottraendogli i figli per motivi economici. Piuttosto, il sistema tende a supportare la famiglia in crisi finanziaria attraverso strumenti di welfare e sussidi pubblici.
- La presenza di figli a carico è uno degli elementi che i tribunali considerano nelle procedure di sovraindebitamento. Ad esempio, nel valutare la meritevolezza del debitore (criterio che spiegheremo in seguito), avere contratto debiti per far fronte alle necessità familiari, o comunque essersi indebitati senza spese voluttuarie ma per mantenere i figli, è visto con favore. Inoltre, nel Piano del consumatore il giudice valuta anche che l’importo da pagare sia sostenibile tenuto conto del mantenimento della famiglia. Il calcolo del minimo vitale che un debitore può trattenere comprende esplicitamente le spese per i figli: ad esempio, l’art. 283 del Codice della crisi (esdebitazione dell’incapiente) stabilisce che va dedotto dal reddito dell’istante “quanto occorrente al mantenimento suo e della sua famiglia”, facendo riferimento ai parametri ISEE familiari. Ciò significa che, nelle procedure, il tribunale non chiederà mai a una madre di destinare ai creditori somme tali da lasciare i figli nella miseria: si terrà conto del numero di figli e delle loro esigenze di base (alimentazione, casa, scuola). Ovviamente questo non impedisce che, di fatto, una famiglia sovraindebitata debba ridurre il proprio tenore di vita; ma nessun piano legale imporrà ai minori di rinunciare al necessario. I creditori dovranno accettare un compromesso.
- Un cenno va fatto anche al diritto agli alimenti in senso tecnico: oltre all’assegno di mantenimento periodico, esiste l’istituto degli alimenti dovuti per legge tra parenti (ad es. dai nonni ai nipoti in difficoltà, o dai figli ai genitori anziani in stato di bisogno). Se la madre separata, ad esempio, non riesce a far fronte ai debiti e a mantenere i figli, potrebbe – in casi di estrema necessità – cercare aiuto nella famiglia allargata (propri genitori, fratelli). La legge (art. 433 c.c. e seguenti) prevede un obbligo alimentare tra parenti entro determinati gradi, ma si tratta di un tema extra-giudiziale: è più una rete familiare da attivare in via di fatto. Tuttavia, sapere che legalmente i nonni potrebbero essere chiamati a contribuire (in casi limite, anche in tribunale) può offrire uno stimolo in più a trovare soluzioni intra-familiari per evitare di far precipitare la situazione. Ad esempio, un nonno potrebbe volontariamente pagare le rate di mutuo arretrate per evitare che la casa dove vivono i nipoti vada all’asta, regolandosi poi con la figlia debitrice. Sono soluzioni che esulano dalle procedure concorsuali ma che nella pratica spesso integrano gli strumenti legali per salvaguardare il benessere dei minori.
In conclusione su questo punto, il benessere dei figli costituisce una linea rossa che il sistema giuridico cerca di non far oltrepassare: se i debiti minacciano il soddisfacimento dei bisogni fondamentali dei minori, vi sono meccanismi per alleviare la pressione (dall’impignorabilità di alcuni beni/entrate fino al possibile intervento di fondi di solidarietà o parenti obbligati agli alimenti). Ciò non toglie che la madre debitrice debba agire attivamente per risolvere la propria situazione finanziaria: la sezione seguente è dedicata proprio agli strumenti legali per uscire dai debiti, con particolare attenzione alle procedure di sovraindebitamento introdotte e aggiornate in questi anni.
Procedure di sovraindebitamento e soluzioni legali per gestire i debiti
Dal 2012 in Italia esiste una legislazione specifica per consentire alle persone sovraindebitate (cittadini, piccoli imprenditori, professionisti) di superare la crisi debitoria in modo ordinato e legalmente protetto, spesso con la possibilità di pagare solo una parte dei debiti e farsi cancellare il resto (beneficio dell’esdebitazione). Questa normativa, inizialmente nota come Legge 3/2012 (detta anche legge “salva suicidi”), è stata profondamente riformata ed inglobata nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), entrato in vigore definitivamente nel luglio 2022. Oggi, pertanto, non parliamo più di “legge 3/2012” ma di procedure da sovraindebitamento disciplinate dal nuovo Codice. I principi di base però restano simili: offrire al debitore meritevole una seconda possibilità, conciliando il suo diritto a una vita dignitosa con quello dei creditori ad essere soddisfatti per quanto possibile.
In questa sezione illustriamo le varie procedure disponibili, i requisiti per accedervi e le novità più rilevanti introdotte fino al 2025 (come l’esdebitazione dell’incapiente, le procedure familiari congiunte e il criterio del “merito creditizio” dei finanziatori). Faremo riferimento sia ai termini correnti del Codice della Crisi sia – tra parentesi – ai vecchi termini della L.3/2012 per chiarezza. Ricordiamo innanzitutto la definizione giuridica di sovraindebitamento: essa indica lo stato di crisi (difficoltà finanziaria reversibile) o di insolvenza (incapacità strutturale di pagare i propri debiti) di un debitore non fallibile (cioè escluso dalle procedure fallimentari ordinarie), quale ad esempio un consumatore, un professionista, una piccola impresa sotto soglia, un imprenditore agricolo, una start-up innovativa, ecc.. La madre separata rientra in questa categoria di soggetti protetti (in quanto persona fisica “consumatore”, se i debiti sono personali e non principalmente d’impresa).
Le procedure oggi previste dal Codice della Crisi per il sovraindebitamento sono quattro:
- Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (il vecchio “Piano del consumatore”);
- Concordato minore (il vecchio “accordo di composizione” dei debiti, riservato a debitori non consumatori, ad esempio piccoli imprenditori e professionisti);
- Liquidazione controllata del sovraindebitato (la vecchia “liquidazione del patrimonio” del debitore);
- Esdebitazione del debitore incapiente (novità introdotta nel 2020 e ora disciplinata dal Codice, art. 283, detta anche “esdebitazione a zero”).
Vediamole nel dettaglio dal punto di vista di una madre indebitata, confrontandone caratteristiche, vantaggi e svantaggi principali.
Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex Piano del consumatore)
Il Piano del consumatore è stato lo strumento di punta introdotto nel 2012 per le persone fisiche consumatrici, e continua ad esistere nel nuovo Codice con il nome esteso di piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore. Si tratta di una procedura giudiziale in cui il debitore elabora, con l’ausilio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o di un professionista nominato gestore, un piano di pagamento dei propri debiti sostenibile rispetto al suo reddito, e lo sottopone all’omologazione del tribunale. Le caratteristiche principali del Piano del consumatore sono:
- Soggetti ammessi: solo il consumatore, definito dall’art. 2, co. 1, lett. e) CCII come la persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei ad attività imprenditoriali o professionali. Dunque, una madre separata che abbia debiti per esigenze familiari, mutuo per la casa, spese di mantenimento, spese mediche, ecc., rientra sicuramente in questa definizione. Se però la madre ha debiti derivanti in parte da attività professionale (es. era una lavoratrice autonoma o socia di una società), può comunque presentare un Piano come consumatore per la parte personale, a patto che i debiti d’impresa non siano prevalenti rispetto a quelli personali. (In caso di dubbio, potrebbe doversi optare per il concordato minore, come vedremo, ma spesso le due procedure possono coesistere per la distinta natura dei debiti). Si noti che il consumatore non deve essere soggetto a liquidazione giudiziale (ex fallimento), ma la nostra madre quasi certamente non lo è, trattandosi di persona fisica non esercente attività commerciale di rilievo.
- Meritevolezza: il Piano del consumatore non richiede il voto dei creditori (non c’è una trattativa diretta: è il giudice che omologa d’ufficio), però il tribunale prima di omologarlo deve valutare la meritevolezza del debitore. Ciò implica verificare che il sovraindebitamento non sia dovuto a dolo o colpa grave del debitore, né a atti in frode ai creditori. Ad esempio, se la madre ha dilapidato il patrimonio in gioco d’azzardo o spese voluttuarie, oppure ha occultato beni ai creditori, potrebbe vedersi negare l’omologazione del piano. In passato questa valutazione era piuttosto stringente; oggi il Codice la mantiene ma aggiunge un concetto innovativo di “merito creditizio del finanziatore”: in pratica, il giudice deve considerare anche la responsabilità delle banche o finanziarie che hanno concesso prestiti troppo facili a chi era già indebitato. L’art. 69 CCII infatti punisce (in termini di mancato pagamento integrale nel piano) i creditori che hanno aggravato la posizione del debitore concedendo credito irresponsabilmente. Quindi, se la madre è stata sommersa di prestiti da varie finanziarie oltre ogni ragionevole capacità di rimborso, il giudice potrà tener conto anche di questa irresponsabilità del creditore nel valutare la meritevolezza e nell’eventualmente ridurre l’importo da restituire.
- Contenuto del Piano: può prevedere qualsiasi forma di ristrutturazione del debito: dilazioni (rateizzazione nel tempo), taglio degli importi (stralcio parziale del debito), rimodulazione degli interessi, e anche la eventuale cessione di beni non essenziali per ricavare liquidità. L’obiettivo è proporre al tribunale un pagamento commisurato alle effettive possibilità economiche del debitore, assicurando al contempo che la madre e la sua famiglia possano mantenere un tenore di vita dignitoso durante l’esecuzione del piano. Per questo, tipicamente il Piano può escludere la vendita della casa, se si dimostra che vendendola i creditori incasserebbero meno di quanto offerto con il Piano stesso. Ad esempio, nella storia di Angela (citata sopra, la mamma fideiussora), il suo Piano omologato prevedeva di pagare €48.000 in 6 anni a fronte di €938.000 di debiti, evidenziando che €48.000 era più di quanto i creditori avrebbero ottenuto vendendo la casa all’asta. Infatti il tribunale di Pavia ha accettato quel Piano, stralciando circa il 95% del debito e lasciando Angela nella sua casa. Questo mostra la potenza dello strumento: se ben motivato, un Piano del consumatore può salvare la casa e ridurre drasticamente i debiti. Naturalmente il caso di Angela era particolarmente meritevole (i debiti erano causati dal fallimento dell’ex marito, senza colpa sua), ma è emblematico. Più in generale, nel Piano il debitore può offrire di pagare meno del dovuto purché dimostri che quella somma è il miglior risultato possibile per i creditori date le circostanze.
- Procedura e omologazione: il debitore (con l’avvocato e l’OCC) deposita un ricorso al tribunale competente (di solito il tribunale del luogo di residenza) allegando il Piano e una relazione particolareggiata dell’OCC. In tale relazione l’organismo attesta la veridicità dei dati forniti, le cause dell’indebitamento e la fattibilità del piano proposto. Non serve l’accordo preventivo dei creditori; questi vengono informati del deposito e possono eventualmente proporre opposizione se ritengono che il piano li danneggi in modo ingiusto. Il giudice, valutata la documentazione e la meritevolezza, procede all’omologazione del Piano rendendolo vincolante per tutti i creditori. Da quel momento, il debitore dovrà rispettare le scadenze e i pagamenti previsti. Viene normalmente nominato un gestore (spesso lo stesso professionista OCC) per vigilare sull’esecuzione. Durante la pendenza del procedimento e dopo l’omologazione, i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali: tutti devono attenersi al piano. Se la madre paga regolarmente quanto stabilito (es. versa una certa somma mensile per alcuni anni, oppure provvede a liquidare un bene come previsto dal piano), alla fine ottiene l’esdebitazione: ossia, la parte di debito che eventualmente rimane scoperta viene definitivamente cancellata e i creditori non possono più pretenderla. In caso di inadempimento grave del piano, invece, questo può essere revocato e i creditori tornano liberi di agire (gli sforzi fatti rischiano quindi di essere vanificati, perciò è essenziale proporre un piano realistico e sostenibile e poi rispettarlo rigorosamente).
Quando conviene il Piano del consumatore? Nel caso di una madre separata, il Piano è indicato se: (a) ha un reddito fisso o altre entrate regolari su cui poter contare per offrire qualcosa ai creditori; (b) non vuole (o non può) liquidare la casa o altri beni essenziali (magari perché vendendoli non risolverebbe comunque la situazione, o perché sono necessari per la famiglia); e (c) risulta meritevole (cioè i debiti hanno cause “giustificabili” come la perdita del lavoro, spese mediche, spese per i figli, la separazione stessa, e non ci sono state frodi o dissipazioni). Ad esempio, una madre lavoratrice dipendente con uno stipendio medio, indebitata per prestiti e carte di credito contratti per mantenere i figli dopo la separazione, potrebbe presentare un piano in cui versa – poniamo – €300 al mese per 5 anni ai creditori e chiede lo stralcio del resto. Se quell’importo è il massimo compatibile col suo reddito (tolte le spese di mantenimento familiare), il giudice potrebbe approvarlo anche se i creditori recuperano solo una parte. I vantaggi per la madre sarebbero: nessuna liquidazione forzata dei beni, stop immediato ai pignoramenti e alle azioni esecutive (appena il giudice ammette la procedura si può ottenere la sospensione delle esecuzioni in corso), e nessuna necessità di votazione da parte dei creditori (quindi i creditori non possono bloccare il piano se il giudice è d’accordo sulla sua fattibilità e convenienza). Gli svantaggi: richiede un reddito sufficiente a offrire qualcosa di significativo (non è adatta per chi non ha alcuna capacità di pagamento); inoltre comporta un impegno pluriennale – va seguita con disciplina per evitare di decadere dai benefici. In sintesi, il Piano del consumatore è la soluzione elettiva per chi ha un reddito e vuole salvarsi dai debiti senza perdere la casa, scambiando il tempo (pagamenti rateali per alcuni anni) con la riduzione del debito.
Concordato minore (ex accordo di composizione per imprenditori e altri debitori non consumatori)
Il concordato minore è la nuova denominazione dell’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento destinato ai debitori diversi dal consumatore. In pratica è la procedura riservata a piccoli imprenditori, professionisti, start-up innovative, imprenditori agricoli e in generale soggetti non fallibili (o non assoggettabili a liquidazione giudiziale) che hanno debiti personali o aziendali insostenibili. Per una madre separata, questa procedura entra in gioco se i suoi debiti non sono principalmente di consumo. Esempio tipico: madre ex imprenditrice che ha chiuso l’attività ma ha debiti verso fornitori o verso lo Stato per IVA, o madre che ha garantito debiti di una società e quindi è esposta come coobbligata (in tal caso non è considerata consumatore per quei debiti). In generale, se la componente aziendale/professionale del debito prevale, il giudice richiederà di utilizzare il concordato minore invece del piano del consumatore.
Le caratteristiche del concordato minore sono in parte simili al Piano del consumatore, ma con differenze chiave:
- Serve il consenso dei creditori: il concordato minore prevede una fase di votazione. Il debitore propone un accordo e i creditori votano (in classi separate se ci sono creditori privilegiati). Per l’omologazione, è richiesto il voto favorevole di tanti creditori che rappresentino almeno il 50% dei crediti chirografari (non pagati integralmente). In mancanza di tale maggioranza, il concordato non può essere omologato (a differenza del piano del consumatore, che può essere imposto anche contro il dissenso dei creditori). Questa è una differenza sostanziale: il concordato minore è più simile a un concordato preventivo in miniatura.
- Il requisito della meritevolezza è previsto anche qui, ma declinato come assenza di atti in frode (ad esempio, non si deve aver distratto attivo o aggravato la posizione dolosamente). Inoltre, nel concordato minore il debitore imprenditore deve offrire ai creditori un soddisfacimento non inferiore a quello ottenibile in una ipotetica liquidazione. In altre parole, i creditori non devono risultare penalizzati dal concordato rispetto alla liquidazione: ecco perché tipicamente si richiede che i creditori privilegiati vengano pagati almeno in parte in linea col valore delle garanzie, e i chirografari ottengano almeno una certa percentuale (spesso si parla del 20% minimo ai chirografari, ma la legge non fissa una percentuale rigida – però se l’offerta è irrisoria, i creditori potrebbero bocciarla e il giudice non omologarla).
- Per il resto, il concordato minore funziona in modo analogo: viene nominato un OCC/gestore, il piano può prevedere continuità aziendale o liquidazione di beni, c’è uno stay delle azioni esecutive durante la procedura, e l’esdebitazione finale al termine per il debitore persona fisica.
Nel caso specifico di una madre separata, raramente si preferirà il concordato minore al piano del consumatore, a meno che sia costretta perché i suoi debiti non sono principalmente da consumatrice (come detto). In questi casi, comunque, la madre dovrà convincere almeno una parte dei creditori dell’utilità della proposta. Spesso ciò richiede di offrire qualcosa in più ai creditori chiave per ottenere il loro voto. Ad esempio, potrebbe prevedere di liquidare qualche bene non essenziale, oppure coinvolgere un garante terzo che apporti risorse, in modo da superare la soglia del 50% di consensi. Il vantaggio del concordato minore è che può essere modulato in modo flessibile come il piano, ma la necessità del voto può renderlo più incerto nell’esito. In compenso, anche i debiti professionali o d’impresa possono essere risolti con questa via (cosa che il piano del consumatore non consente).
Nota: dal 2022 il Codice prevede anche la possibilità di presentare procedure di composizione “familiari” con un unico piano/concordato per più membri della stessa famiglia, se strettamente collegati. Ad esempio, due coniugi indebitati (o un genitore e un figlio conviventi entrambi indebitati) possono proporre un unico piano familiare. Questo strumento potrebbe essere rilevante se, poniamo, la madre e il nuovo compagno, oppure madre e figlio maggiorenne convivente, fossero entrambi sovraindebitati: si farebbe un unico concordato minore o piano che tratta tutti i debiti congiuntamente. Nel nostro caso, è più una curiosità che una necessità, dato che la madre separata generalmente agisce da sola per il proprio indebitamento.
Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio)
La liquidazione controllata è l’equivalente di una procedura fallimentare personale: il debitore mette a disposizione tutto il suo patrimonio (eccetto i beni impignorabili) e un liquidatore nominato dal tribunale li vende per distribuire il ricavato ai creditori. Al termine, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione dei debiti residui. Questa era la “via d’uscita” residuale nella L.3/2012 (chiamata liquidazione del patrimonio); nel Codice della Crisi è confermata con alcuni miglioramenti per il debitore (ad esempio la durata massima 3 anni della procedura). Le caratteristiche principali:
- Accesso: può accedervi qualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o no), anche privo di requisiti di meritevolezza. Infatti, la liquidazione spesso è l’unica via per chi non può proporre piani credibili oppure per chi ha compiuto atti che ostano al piano/accordo. Ad esempio, se la madre ha agito con colpa grave nell’indebitarsi (mettiamo abbia fatto spese pazze o dilapidato beni), un piano potrebbe essere respinto; ma la legge le consente comunque di liquidare i suoi beni per liberarsi dai debiti. La liquidazione può essere volontaria (chiesta dal debitore stesso) oppure richiesta dai creditori o dal Pubblico Ministero in casi specifici, se il debitore è in stato di insolvenza. Tuttavia, nella pratica del sovraindebitamento quasi sempre è su istanza del debitore.
- Patrimonio liquidabile: comprende tutti i beni di proprietà del debitore al momento dell’apertura della procedura e quelli che egli acquisirà nei 4 anni successivi (con alcune eccezioni). Ad esempio, se il debitore eredita un bene entro 5 anni dall’apertura, questo può rientrare; mentre i redditi da lavoro futuri sono inclusi solo nei limiti di quanto eccede il necessario per il mantenimento (anche qui si tutela il minimo vitale). Restano esclusi i beni impignorabili per legge (abbiamo visto quali: abiti, mobili essenziali, ecc.). Se la madre possiede una casa, questa entrerà nella liquidazione e verrà verosimilmente venduta dal liquidatore, salvo che un accordo coi creditori consenta di evitarlo (ma nella liquidazione pura non c’è trattativa: si liquida tutto ciò che ha valore). Anche l’automobile, se di valore significativo, verrà venduta, a meno che la debitrice dimostri che è indispensabile per il lavoro e ottenga di tenerla (ma dovrebbe offrire qualcos’altro ai creditori in compenso). In sostanza, è una spoliazione controllata, tranne l’indispensabile per vivere. Inoltre, il tribunale può stabilire che una parte del reddito futuro della madre (es. stipendio) venga versata mensilmente ai creditori durante la procedura, nei limiti di 1/5 o altro importo ritenuto equo. La durata della liquidazione è fissata in massimo 3 anni (36 mesi) – passato questo termine, se anche non si è venduto tutto il vendibile, la procedura si chiude e si procede alla distribuzione di quanto realizzato.
- Procedura: il debitore presenta ricorso chiedendo l’apertura della liquidazione. Il tribunale nomina un liquidatore (di solito un commercialista o avvocato iscritto all’albo dei curatori fallimentari) e fissa i termini. Da quel momento si attiva la parità di trattamento dei creditori: tutti i crediti rimangono congelati e non producono più interessi (salvo quelli ipotecari entro il valore di stima del bene ipotecato) e ogni azione esecutiva individuale viene sospesa. Il liquidatore avvisa i creditori, raccoglie le domande di ammissione al passivo e predispone un programma di liquidazione, cioè decide cosa vendere e in che modo. La madre debitrice ha l’obbligo di collaborazione (fornire documenti, informazioni, ecc.), ma non è spossessata materialmente dei beni fino alla vendita; semplicemente ogni atto di disposizione passa per il liquidatore. La procedura può durare appunto 2-3 anni (in genere la legge impone di concludere entro 3 anni). Venduti i beni e incassate eventuali rate di reddito concordate, il liquidatore redige un piano di riparto: paga prima i creditori privilegiati (ad esempio ipoteche, crediti per stipendi a dipendenti, crediti alimentari, contributi) e poi – se avanza qualcosa – distribuisce pro quota ai chirografari (i creditori senza garanzie). Spesso i privilegiati assorbono tutto e i chirografari prendono zero, ma dal punto di vista del debitore ciò non importa: egli punta all’esdebitazione finale. Dopo l’ultimo riparto, il liquidatore chiude la procedura.
- Esdebitazione finale: nella vecchia legge occorreva fare una specifica istanza di esdebitazione dopo la chiusura; nel Codice della Crisi è tutto più semplice: l’esdebitazione è automatica per la persona fisica, salvo opposizione di qualche creditore se ritiene vi siano stati comportamenti scorretti gravi. Quindi, a meno che emergano frodi, la madre debitrice otterrà un decreto che la libera da tutti i debiti non soddisfatti con la liquidazione. Questo è il vero beneficio: dopo aver sopportato la liquidazione e perso i beni non essenziali, potrà ripartire da zero senza l’incubo di debiti a vita (art. 282 comma 3 CCII prevede infatti che al termine della liquidazione si applichi l’esdebitazione per il debitore persona fisica in buona fede).
Per dare concretezza, vediamo l’esempio di Carla, una madre divorziata che aveva debiti per circa €197.000 tra mutuo residuo, finanziarie e cartelle esattoriali, senza riuscire a pagarli dopo aver perso il lavoro. Non avendo un reddito sufficiente per sostenere un piano di rientro, Carla ha optato per la liquidazione controllata: ha offerto ai creditori solo quello che aveva, ossia €100 al mese per 36 mesi (dalla futura pensione, presumibilmente) e la vendita della sua auto e di una quota di 1/6 di un immobile ereditato, stimata in €20.000. Il tribunale di Monza nel 2024 ha aperto la liquidazione e, una volta realizzati quei beni (in totale circa €23.600 di attivo), ha disposto l’esdebitazione integrale di Carla. Carla quindi ha azzerato circa €195.000 di debiti pur pagando una somma minimale, ma ha dovuto rinunciare ai pochi beni che possedeva (l’auto e la piccola quota di eredità) e si è impegnata per 3 anni a versare €100 mensili. In compenso, ha potuto liberarsi anche delle cartelle esattoriali e di tutti i creditori rimasti insoddisfatti. Questo esempio mostra come la liquidazione, pur dolorosa, possa risolvere situazioni altrimenti impossibili: anche debiti di quasi 200 mila euro possono sparire nel giro di tre anni se il debitore collabora e sacrifica quel poco che ha. (Fonti: Tribunale di Monza, sentenza 04/09/2024, caso Carla).
Quando conviene la Liquidazione controllata? È spesso la scelta obbligata quando il debitore non ha capacità di pagamento sufficiente per un piano o un accordo. Se la madre separata è disoccupata, senza reddito, con debiti enormi e magari possiede qualche bene intestato, la liquidazione consente di monetizzare quel poco e poi chiudere i conti col passato. Anche se possiede una casa ma il debito è così alto che comunque la perderebbe via pignoramento, potrebbe preferire la liquidazione volontaria per gestire la vendita in modo più decoroso (magari vendendo sul mercato libero con l’ausilio del liquidatore, invece di subire un’asta giudiziaria a condizioni peggiori). Inoltre, se la situazione è compromessa da atti in frode o colpa grave, la liquidazione è l’unica procedura accessibile, in quanto piani e concordati verrebbero dichiarati inammissibili. I vantaggi: non richiede consenso dei creditori né particolare meritevolezza; assicura l’esdebitazione in tempi relativamente brevi (3 anni). Gli svantaggi: il debitore perde i beni di proprietà (la casa, salvo rarissime eccezioni, verrà venduta) e subisce per 3 anni la gestione delle proprie finanze da parte di un terzo. Resta comunque una valvola di salvezza fondamentale: meglio fallire civilmente in 3 anni che restare oppressi dai debiti a vita.
Esdebitazione del debitore incapiente (c.d. “esdebitazione a zero”)
Novità assoluta introdotta dapprima nel 2020 e ora confluita nel Codice della Crisi (art. 283 CCII) è la possibilità, per il debitore persona fisica totalmente incapiente e meritevole, di ottenere la cancellazione di tutti i debiti senza dover pagare nulla e senza aprire una procedura di liquidazione. È una sorta di “fresh start” immediato, pensato per chi non ha davvero alcuna prospettiva di soddisfare i creditori, nemmeno parzialmente. Per una madre separata in condizioni di estrema difficoltà (nessun reddito, nessun bene, magari solo figli a carico e spese quotidiane coperte da aiuti di parenti o servizi sociali) questa procedura potrebbe rappresentare la salvezza. Vediamone i requisiti chiave:
- Incapienza assoluta: il debitore non deve essere in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, nemmeno futura. La legge specifica un parametro: il debitore è incapiente se il suo reddito disponibile annuo, al netto delle spese essenziali di sostentamento per sé e la famiglia, è inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale (parametrato al nucleo familiare secondo l’ISEE). In parole semplici: se dopo aver pagato affitto, cibo e necessità di base non rimane nulla (o quasi nulla), la persona è incapiente. Anche il possesso di beni liquidabili è escluso: se ha un’auto di valore o altri asset vendibili, dovrebbe semmai tentare la liquidazione controllata standard. Questa procedura è pensata per chi non ha proprio niente da dare ai creditori se non qualche piccola somma marginale.
- Meritevolezza “estrema”: qui il concetto di meritevolezza è elevato all’ennesima potenza, perché si concede l’esdebitazione gratis. Il debitore non deve aver commesso frodi, né aggravato la propria insolvenza con dolo o colpa grave. Serve una condotta impeccabile: ad esempio, aver contratto debiti perché travolti dagli eventi (malattia, perdita del lavoro, separazione) e non aver nascosto o dissipato nulla nel frattempo. Va presentata una relazione OCC che evidenzi le cause dell’indebitamento e attesti l’assenza di atti in frode. Inoltre, la legge prevede che questa esdebitazione “a zero” sia concessa una sola volta nella vita, proprio perché rappresenta un’eccezione straordinaria (non deve diventare un “liberi tutti” per i furbi).
- Procedura semplificata: si deposita un ricorso allegando l’elenco dei debiti, dei beni (che saranno zero o quasi), i redditi, e la relazione dell’OCC. Il giudice, se ritiene i requisiti soddisfatti, emette decreto di esdebitazione. Non c’è voto dei creditori né vero e proprio “piano”, perché non c’è nulla da distribuire. I creditori vengono informati e possono fare reclamo entro 30 giorni se non sono d’accordo, ma se tutto è in regola la procedura è rapida.
- Obblighi successivi del debitore: se ottiene l’esdebitazione, per i successivi 3 anni (aggiornato dal D.Lgs. 136/2024, inizialmente erano 4) il debitore ha un obbligo di condotta: deve comunicare all’OCC eventuali sopravvenienze attive rilevanti. In particolare, se entro 3 anni dalla cancellazione dei debiti la madre dovesse “tornare in possesso di utilità” – ad esempio, riceve un’eredità, vince alla lotteria, trova un lavoro ben retribuito – e queste nuove utilità permettono di pagare almeno il 10% di quanto doveva ai creditori, allora quei creditori riacquistano il diritto di essere pagati su quelle utilità sopravvenute. È come una condizione risolutiva: l’esdebitazione è definitiva, ma se entro 3 anni si scopre che il debitore ha ottenuto mezzi insperati, i creditori possono rivalersi su di essi (entro il limite del loro credito originario, decurtato di quanto eventualmente già ricevuto in precedenza). Il debitore è tenuto a fare annualmente una dichiarazione sulle proprie condizioni economiche all’OCC. In pratica, se la situazione rimane di povertà, tutto ok; se arriva un colpo di fortuna significativo, il debitore non può tenerselo tutto mentre i creditori hanno avuto zero – deve destinare almeno il 10% di quel valore a loro (se raggiunge quella soglia di capacità).
Quando conviene l’esdebitazione incapiente? Chiaramente quando la madre non ha nulla da perdere. Tipici casi: madre disoccupata, magari in affitto, con qualche piccolo reddito assistenziale, debiti accumulati per bollette, affitti pregressi, ecc., zero proprietà. Oppure pensionata sociale indebitata. Se il totale debiti non è enorme, si potrebbe tentare anche di negoziare informalmente o aspettare la prescrizione; ma se parliamo di decine di migliaia di euro e nessuna risorsa, questa procedura può azzerarli di colpo. È una sorta di grazia legislativa motivata dalla constatazione che prolungare all’infinito l’inesigibilità non serve a nessuno e impedisce alla persona di emergere dal lavoro nero o dall’indigenza. Vantaggi: immediata (in pochi mesi si ottiene il decreto), non richiede pagamenti né vendite, dà sollievo e possibilità di ripartire subito. Svantaggi: quel periodo di 3 anni in cui bisogna “rigare dritto” e, se si hanno colpi di fortuna, condividerli in parte coi vecchi creditori. Ma è un vincolo equo tutto sommato. Inoltre, come per le altre procedure, non cancella eventuali debiti esclusi per legge (sempre alimenti, risarcimenti per fatti illeciti con dolo/colpa grave, sanzioni penali, ecc. – vedi oltre). Tuttavia, spesso in questi scenari di totale indigenza i debiti sono di natura finanziaria o bollette, dunque cancellabili.
Va detto che questa procedura è recentissima (operativa dal 2020-2022) e le prime applicazioni pratiche si sono viste nel 2021-2024. I tribunali hanno iniziato a delinearne la portata: ad esempio, si è discusso su cosa significhi esattamente “alcuna utilità nemmeno prospettica” e come calcolare la soglia dell’assegno sociale. Ad oggi, è chiaro che non viene concessa con leggerezza: occorre convincere il giudice che realmente non vi è margine per una liquidazione (fosse anche minima). Se, ad esempio, la madre ha un piccolo lavoretto in nero o possiede beni pur modesti ma vendibili, l’istanza potrebbe essere respinta suggerendo la liquidazione standard. Dunque, va usata solo nei casi veramente disperati, come ultima spiaggia.
Tabella riepilogativa – Confronto tra le procedure di sovraindebitamento (principali caratteristiche):
Procedura | Chi può accedervi | Pagamenti ai creditori | Intervento dei creditori | Esito e durata |
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Piano del consumatore (ristrutturazione dei debiti) | Persona fisica consumatore (debiti personali/familiari, non d’impresa). Richiede condotta meritevole (no dolo o frode). | Il debitore propone pagamenti parziali sostenibili (rate mensili, saldo a stralcio parziale) in base al suo reddito. Nessuna liquidazione forzata dei beni essenziali non prevista dal piano. | Nessun voto dei creditori: decide il giudice sull’omologazione, valutando meritevolezza e convenienza del piano. I creditori possono fare osservazioni o opposizione, ma non hanno potere di veto. | Se omologato, il piano è vincolante per tutti. Durata: tipicamente 4–5 anni di pagamenti (ma può variare). Al termine, esdebitazione automatica dei debiti residui non pagati. |
Concordato minore (accordo di composizione) | Debitori non consumatori: piccoli imprenditori, professionisti, impr. agricoli, start-up, ecc. (soggetti non fallibili). Meritevolezza richiesta (assenza frodi gravi). | Il debitore propone un accordo di ristrutturazione simile al piano, con pagamenti parziali e/o liquidazione di alcuni beni. Deve offrire ai creditori almeno quanto otterrebbero in una liquidazione. Possibile stralcio dei debiti chirografari, ma in misura accettabile dai creditori. | Voto dei creditori richiesto: serve >50% di consensi (per crediti chirografari). I creditori privilegiati votano separatamente e hanno diritto a ricevere almeno il valore di realizzo del bene su cui hanno garanzia. Se la maggioranza approva, il giudice omologa (anche contro il dissenso di minoranze). Se non c’è consenso, la procedura fallisce. | Se omologato, l’accordo è vincolante. Durata: può prevedere pagamenti in 3–5 anni simile a un piano, o anche liquidazione immediata di beni. Esdebitazione finale per il debitore persona fisica al termine (salvo revoca se inadempiente). |
Liquidazione controllata (del sovraindebitato) | Qualsiasi debitore sovraindebitato, consumatore o no. Nessun requisito di meritevolezza stretta (accessibile anche a chi ha colpa nell’indebitamento). | Tutto il patrimonio del debitore è liquidato: i beni vengono venduti dal liquidatore, e anche una parte del reddito futuro (entro limiti del quinto) può essere destinata ai creditori. Il debitore di fatto non paga nulla di spontaneo, subisce la liquidazione coattiva dei beni. | Nessun voto: i creditori presentano domanda di ammissione e vengono soddisfatti secondo le regole di prelazione. La procedura è gestita dal liquidatore sotto controllo del giudice. I creditori non possono agire individualmente e non possono opporsi all’esdebitazione finale salvo frodi. | Durata: massima 3 anni (36 mesi). Al termine, chiusa la liquidazione, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione automatica dei debiti non pagati. Beneficio: debiti azzerati, ma perdita dei beni di proprietà (casa, auto, ecc.). |
Esdebitazione incapiente (“a zero”) | Persona fisica nullatenente o incapiente, meritevole (nessuna frode o colpa grave). Accessibile una sola volta nella vita. | Nessun pagamento ai creditori inizialmente: i debiti sono cancellati senza distribuire attivo. Il debitore però si impegna, per i 3 anni successivi, a versare ai creditori eventuali sopravvenienze se superano il 10% dei crediti (es: eredità, vincite, aumenti di reddito). | Nessun voto: i creditori possono solo presentare reclamo se ritengono insussistenti i requisiti. Il giudice verifica meritevolezza e incapienza e emette decreto di esdebitazione. | Durata: 4–6 mesi per ottenere il decreto; poi periodo di “osservazione” di 3 anni in cui monitorare eventuali miglioramenti economici. Trascorsi i 3 anni senza novità rilevanti, la liberazione dai debiti diventa definitiva. In caso di sopravvenienze >10%, il debitore deve pagare i creditori entro i 3 anni (pena revoca parziale del beneficio). |
Debiti esclusi dall’esdebitazione: prima di passare alle domande frequenti e ai consigli pratici, è fondamentale elencare chiaramente quali debiti non vengono comunque cancellati da queste procedure. La legge infatti tutela alcuni crediti considerati “indisponibili” o di particolare rilevanza sociale, escludendoli dalla possibilità di esdebitazione. Dunque, anche se la madre completasse con successo un piano o ottenesse l’esdebitazione, per i seguenti debiti rimarrà comunque obbligata (i creditori potranno agire separatamente, anche dopo la fine della procedura):
- Obblighi alimentari e di mantenimento familiare: come già sottolineato, i debiti verso il coniuge, ex coniuge, figli o altri parenti per alimenti o mantenimento non si cancellano. L’arretrato dell’assegno di mantenimento, le somme dovute per il mantenimento dei figli o dell’ex partner restano integralmente dovute. Anche in una liquidazione, questi creditori conservano i loro diritti (anzi, hanno privilegio sui beni). La madre dovrà dunque onorare a parte tali debiti, pena le azioni di recupero viste in precedenza (pignoramenti mirati, denunce ex art. 570 c.p. se si tratta di alimenti ai figli, ecc.). Inoltre, in sede di piano del consumatore o concordato, questi crediti sono esclusi dal novero: non rientrano tra quelli ristrutturabili, vanno comunque pagati a parte. Esempio: se la madre ha €5.000 di arretrati dell’assegno per il figlio, non potrà includerli nel taglio dei debiti: dovrà pagarli integralmente, magari rateizzandoli in un accordo col padre, ma non spariranno.
- Debiti per risarcimenti da fatto illecito extra-contrattuale: se la madre è stata condannata a risarcire danni causati da un fatto illecito (es. un incidente stradale con colpa grave, lesioni personali, danneggiamento doloso), tali debiti non vengono esdebitati. La ratio è tutelare la vittima e affermare che chi ha causato un danno non può liberarsi dell’obbligo di risarcimento. Quindi, ad esempio, un debito per omicidio stradale (capitato purtroppo a qualche genitore) resterebbe anche dopo la procedura. Nota: la legge parla in generale di debiti derivanti da illecito extracontrattuale, senza distinguere il grado di colpa, quindi tende a includere tutti i risarcimenti da torto. Tuttavia, in giurisprudenza talvolta si distingue: per fatti colposi lievi alcuni giudici hanno ammesso la falcidia, ma la prudenza vuole che tali debiti siano considerati non falcidiabili.
- Sanzioni penali e amministrative pecuniarie punitive: multe e ammende penali, cioè le sanzioni pecuniarie inflitte dallo Stato per reati (es. ammenda per reato contravvenzionale, multa penale pattuita), non sono cancellabili. Similmente, sanzioni amministrative di carattere punitivo – ad esempio le sanzioni Antitrust, o sanzioni per abusi edilizi – non vengono esdebitate. C’è qualche dubbio interpretativo sulle multe stradali: essendo sanzioni amministrative, ma non di natura penale in senso stretto, alcuni tribunali in passato le hanno incluse nei piani e stralciate in parte, mentre altri no. Il Codice ora parla di “sanzioni amministrative pecuniarie che non abbiano natura tributaria” tra i debiti esclusi, e generalmente si intendono quelle con carattere punitivo (ad es. multe per reati tributari). Le semplici contravvenzioni al Codice della Strada potrebbero essere incluse nei piani, e infatti molti tribunali le considerano debiti come gli altri e le falcidiano. Occorre quindi cautela: di solito si tende a escludere dall’esdebitazione le sanzioni afflittive legate a comportamenti illeciti gravi; quelle minori (es. multe per divieto di sosta) spesso vengono accettate nei piani.
- Debiti fiscali derivanti da frodi accertate penalmente: il Codice prevede espressamente che se il debitore è stato condannato con sentenza definitiva per reati tributari gravi (come dichiarazione fraudolenta, occultamento/distruzione di scritture contabili, ecc.), i relativi debiti verso l’Erario non possono essere esdebitati. In altre parole: se la madre avesse un debito fiscale perché ha evaso deliberatamente il fisco ed è stata condannata per questo, quel debito tributario non può essere “perdonato” col sovraindebitamento. (Caso raro per il nostro profilo, ma rilevante se la madre era imprenditrice ed è incorsa in reati fiscali).
- Debiti contratti con dolo verso i creditori: se il giudice accerta che un particolare debito è stato contratto con dolo o frode ai danni dei creditori (es. la madre ha ottenuto un prestito presentando documenti falsi, senza intenzione di restituirlo), può escludere anche quel debito dall’esdebitazione. Questo non è un elenco predefinito, ma un principio generale: la malafede del debitore può portare o all’inammissibilità della procedura, o quantomeno all’esclusione di specifici crediti dalla liberazione finale. Inoltre, debiti sorti dopo l’apertura della procedura (ad es. la madre fa altro debito nel frattempo) non sono mai coperti dall’esdebitazione.
- Debiti verso dipendenti per retribuzioni e contributi: come accennato, se la madre era datore di lavoro e non ha pagato stipendi o contributi, questi debiti tendenzialmente non vengono esdebitati. In realtà la legge (art. 14-quinquiesdecies L.3/2012, ora art. 282 CCII) non li esclude automaticamente, ma prevede che l’esdebitazione non operi qualora siano stati omessi versamenti di ritenute previdenziali o fiscali senza che il debitore vi abbia poi provveduto integralmente. È una formula un po’ tecnica: significa che, se la madre ha trattenuto contributi ai dipendenti o IVA e non li ha versati, per ottenere l’esdebitazione dovrà comunque pagarli o soddisfarli almeno in parte (essendo debiti privilegiati). La ratio è proteggere i diritti dei lavoratori e dello Stato su somme che il debitore ha gestito per conto altrui.
- Debiti verso alcuni fondi pubblici di garanzia: la prassi segnala che crediti come quelli del Fondo di garanzia per le vittime della strada (che paga risarcimenti ai danneggiati in incidenti causati da pirati della strada non identificati) o del Fondo per le vittime dell’usura spesso vengono esclusi dall’esdebitazione per ragioni di ordine pubblico. Non c’è una norma specifica che li menzioni, ma i giudici argomentano che essendo interventi solidaristici statali, non sarebbe equo poterli cancellare a costo zero.
- Debiti sorti dopo l’apertura della procedura: ovviamente, qualunque debito la madre contragga dopo aver avviato la procedura (o durante l’esecuzione del piano) non è coperto dall’esdebitazione. Inoltre, se durante un piano concordato contrarrà nuovi debiti senza pagarli, questo potrebbe costituire una violazione che porta alla revoca del beneficio.
In pratica, per la maggior parte delle persone i casi tipici di debito non esdebitabile sono: alimenti e risarcimenti danni (che non si toccano). Il resto – debiti bancari, prestiti, carte, mutui, leasing, bollette, cartelle esattoriali per tasse (a meno di frodi) – si può cancellare. Anche le multe stradali per violazioni del CdS in molti casi sono state incluse e stralciate nei piani (come detto, dipende un po’ dall’orientamento del giudice, ma tendenzialmente quelle minori rientrano). Ricorda che, anche se un debito è teoricamente esdebitabile, il creditore può opporsi all’omologa se ritiene che il piano lo tratti ingiustamente; tuttavia, se la legge è rispettata, l’opposizione non verrà accolta. Perciò, se il piano o la proposta rispetta tutte le regole e la madre è meritevole, si otterrà la cancellazione di tutti i debiti “cancellabili” e si dovrà continuare a pagare solo quelli “non cancellabili”. È importante fare bene i conti con l’avvocato prima della procedura per sapere cosa rimarrà da pagare dopo (es: “mi rimarrà solo il debito di €5.000 con mio figlio e la multa penale da €2.000, tutto il resto sparito”) – in modo da programmare anche il futuro.
Domande frequenti (FAQ)
Di seguito, una serie di domande comuni che una madre separata indebitata potrebbe porsi, con risposte basate sulla normativa italiana aggiornata e sulle considerazioni svolte fin qui.
D: La casa dove vivo con i miei figli può essere pignorata dai miei creditori?
R: Dipende dal tipo di creditori. Se i creditori sono privati (banche, finanziarie, fornitori), purtroppo sì: la legge italiana non prevede alcuna impignorabilità generale della prima casa verso creditori privati. Quindi, se ad esempio hai un debito con la banca e non paghi, questa può ipotecare e far vendere la casa, anche se è la tua abitazione principale e ci vivono i tuoi figli minori. L’unica eccezione (parziale) è se la casa è formalmente assegnata come casa familiare per i figli: in tal caso, come spiegato, la vendita forzata rimane possibile, ma se hai trascritto l’assegnazione prima del pignoramento, chi compra all’asta dovrà rispettare il tuo diritto di abitazione per la durata stabilita (il che di fatto rende l’immobile meno appetibile, ma non impedisce la procedura). Se invece i creditori sono l’Agenzia Entrate Riscossione (Erario), allora forse no: c’è il divieto di pignoramento della prima casa se è l’unica di proprietà, non di lusso, con residenza tua, e il debito fiscale è < €120.000. Se rispetti tutte queste condizioni, l’AdER non può procedere sull’abitazione. Sopra €120.000 di debito, invece, anche il Fisco può ipotecare e poi pignorare la casa (dopo almeno 6 mesi dall’iscrizione di ipoteca). In ogni caso, prima di arrivare all’asta, c’è la possibilità di fermare la procedura chiedendo una rateizzazione o avviando una procedura di sovraindebitamento. Quindi, non rassegnarti: se la casa è a rischio, valuta subito di agire legalmente (ad esempio con un piano del consumatore) per bloccare l’esecuzione. Fai anche attenzione alla comproprietà: se possiedi solo una quota della casa (es. il 50% dopo il divorzio), il creditore può pignorare la tua quota e chiedere la divisione; in pratica la casa andrà comunque all’asta per intero, con successiva divisione del ricavato tra te e l’altro comproprietario. In sintesi: sì, la casa è pignorabile in molti casi, ma esistono modi per proteggerla o per convincere i creditori a soluzioni alternative (ad esempio offrendo di venderla tu spontaneamente e dare ai creditori il ricavato, che spesso è maggiore di quanto otterrebbero da un’asta forzata).
D: Cosa succede se non pago le rate del mutuo? Posso evitare che la banca venda la casa all’asta?
R: Se smetti di pagare le rate del mutuo, dopo un certo numero di rate non pagate (di solito 7, anche non consecutive, ma il contratto può prevederne meno) la banca può risolvere il contratto e agire esecutivamente sull’immobile ipotecato. In pratica incaricherà un legale di notificare un precetto e poi il pignoramento, e si arriverà all’asta. Per evitare la vendita forzata hai alcune opzioni:
- Negoziare con la banca appena prevedi difficoltà: chiedi una rinegoziazione della rata (allungando la durata del mutuo per abbassare l’importo mensile) oppure una sospensione temporanea. Esiste, ad esempio, un Fondo pubblico di garanzia che consente la sospensione delle rate fino a 18 mesi in casi specifici (perdita del lavoro, grave disabilità, ecc.). Informati se puoi accedervi.
- Vendere tu stessa la casa prima che lo faccia la banca: se vedi che non ce la fai più, può essere più conveniente mettere in vendita l’immobile sul mercato libero. Così potresti spuntare un prezzo migliore di quello d’asta. Col ricavato saldi il mutuo e, se avanza qualcosa, resta a te (o servirà per altri creditori chirografari). È fondamentale farlo prima che la banca pignori: dopo il pignoramento, non puoi più vendere senza estinguere il debito e liberare l’ipoteca.
- Piano del consumatore: se hai anche altre esposizioni oltre al mutuo e un reddito sufficiente, potresti proporre un piano di ristrutturazione in tribunale in cui continui a pagare il mutuo (magari allungandone la durata per abbassare la rata) e intanto ristrutturi gli altri debiti. Il giudice può sospendere le azioni esecutive in corso, e se dimostri che vendere la casa sarebbe svantaggioso per i creditori (perché all’asta ricaverebbero poco), mentre tenendola e pagando piano piano i creditori recuperano di più, hai buone chance che il piano sia approvato. Questo approccio è stato usato in alcuni tribunali (“saldo e stralcio immobiliare” in sovraindebitamento): la casa viene venduta privatamente con l’accordo della banca a un prezzo un po’ più basso del mercato ma migliore di quello d’asta, così la banca è soddisfatta e la procedura chiude stralciando l’eventuale scoperto. È una dinamica complessa (serve un acquirente e banca consenziente), ma percorribile.
- Concordato o Liquidazione: se il debito del mutuo è insostenibile a lungo termine, presentare una liquidazione controllata porterebbe comunque a vendere la casa, però con l’esdebitazione del residuo mutuo impagato. In alcuni casi, come ultima risorsa, meglio subire la liquidazione (o concordato) perché almeno, una volta venduta la casa, il debito residuo con la banca viene cancellato, mentre in un pignoramento normale perderesti la casa e resteresti debitrice per l’eventuale somma non coperta dall’asta.
In conclusione, per evitare la vendita forzata devi agire tempestivamente: non appena salta una rata del mutuo, contatta la banca. Se sei disoccupata o hai un impedimento, presenta subito domanda di sospensione al Fondo di solidarietà per i mutui prima casa (gestito da CONSAP). Se sai già che non potrai più pagare stabilmente, valuta seriamente la vendita spontanea o rivolgiti a un OCC per trovare soluzioni creative dentro una procedura giudiziaria. Non attendere che arrivi l’atto di pignoramento, perché dopo i margini di trattativa si riducono drasticamente.
D: I debiti di mio marito (o ex marito) possono ricadere su di me? E i miei debiti possono colpire lui o i nostri figli?
R: In linea generale, no, i debiti sono personali, a meno che tu non ne sia in qualche modo condebitrice o garante. Mi spiego meglio: durante il matrimonio, se eravate in comunione legale dei beni, i creditori di uno potevano aggredire anche i beni comuni (cioè acquistati durante il matrimonio). Dopo la separazione o il divorzio, la comunione cessa, e quel patrimonio comune viene diviso o comunque divisibile. Quindi i nuovi debiti che il tuo ex contrae dopo la separazione non coinvolgono te, e viceversa i tuoi non coinvolgono lui. Fanno eccezione eventuali coobbligazioni deliberate: se avete firmato insieme un mutuo, entrambi rimanete obbligati (anche dopo il divorzio, la tua obbligazione verso la banca non si estingue automaticamente). Stessa cosa se tu hai fatto da garante per debiti di tuo marito o della sua azienda: quell’impegno resta, come nel caso di Angela che aveva garantito per l’impresa del marito. Quindi, i creditori in quei casi possono chiedere a te il pagamento. Quanto ai figli: i tuoi debiti non ricadono mai su di loro, a meno che un domani accettino la tua eredità (e anche in quel caso possono accettare con beneficio d’inventario per non rispondere coi propri beni). I figli minorenni non rispondono assolutamente dei debiti dei genitori. Attenzione però: se tu avessi intestato a un figlio minorenne un immobile (ad es. con una donazione), i tuoi creditori potrebbero impugnare l’atto con un’azione revocatoria per far valere su quel bene le loro ragioni, sostenendo che li hai frodati. Invece il tuo ex marito non risponde dei tuoi debiti personali contratti dopo lo scioglimento dell’unione. Può però subirne conseguenze indirette: ad esempio, se la casa comune era sua e tu l’avevi assegnata, un tuo creditore non può pignorarla (perché non è di tua proprietà), ma se tu eri comproprietaria di una quota, il tuo creditore può pignorare quella quota e ciò di riflesso colpisce l’ex. Viceversa, i debiti del tuo ex non coinvolgono i tuoi beni, a meno che lui non abbia su di essi dei diritti (es: se lui vive ancora in una tua casa per assegnazione e quell’assegnazione non è opponibile ai suoi creditori, potrebbe esserci qualche azione indiretta, ma è raro). In sintesi: dal momento che siete separati/divorziati, ciascuno risponde dei propri debiti. Devi solo fare attenzione a situazioni come firme congiunte e garanzie che avete dato: in quelle rimani obbligata. Un ultimo punto: se il tuo ex non paga l’assegno di mantenimento ai figli e tu ti indebiti per far fronte alle spese, quei debiti purtroppo sono tuoi (potrai eventualmente rivalerti sul marito inadempiente legalmente, ma i creditori a cui ti sei rivolta – es. carta di credito, prestito da parenti – verranno da te a farsi pagare). Quindi, in uno scenario simile, agisci contro l’ex (ingiunzione di pagamento, pignoramento del suo stipendio, richiesta al Fondo di solidarietà statale) per evitare di caricarti troppi debiti che dovrebbero essere coperti da lui.
D: Posso “fare fallimento” come persona privata? Esiste il fallimento personale in Italia?
R: Tecnicamente, no, non esiste il fallimento per le persone fisiche consumatrici. Il fallimento (oggi chiamato liquidazione giudiziale nel nuovo Codice) è riservato agli imprenditori commerciali sopra certe soglie dimensionali. Quello che esiste – ed è l’equivalente funzionale – è la procedura di liquidazione controllata nell’ambito del sovraindebitamento. Di fatto, è molto simile a un fallimento personale: c’è la nomina di un liquidatore, la vendita dei beni, la formazione dello stato passivo, ecc., ma con alcune differenze positive per te: ad esempio non c’è la lunga durata dei vecchi fallimenti (max 3 anni contro, a volte, 5-10 anni di un fallimento ordinario) e soprattutto c’è sempre la liberazione dei debiti residui alla fine (nel fallimento dell’imprenditore, l’esdebitazione va chiesta e può essere negata in alcuni casi, mentre nella liquidazione del sovraindebitato è automatica se hai cooperato onestamente). Quindi, se ti senti “fallita” economicamente, la strada è ricorrere a una procedura di sovraindebitamento, scegliendo quella adatta (piano, concordato minore o liquidazione, come spiegato sopra). Talora la stampa chiama queste procedure “fallimento personale”, ma è un modo improprio di riferirsi alla liquidazione del patrimonio ex L.3/2012 (oggi liquidazione controllata). In conclusione: sì, puoi sottoporti a un procedimento concorsuale per liberarti dai debiti, però non si chiama fallimento e ha regole un po’ diverse. L’importante è capire che esiste una via legale per azzerare i debiti anche per una persona comune, senza attività d’impresa: basta seguire le procedure di sovraindebitamento predisposte dalla legge.
D: Cos’è l’esdebitazione? Come posso ottenerla e quali debiti include?
R: L’esdebitazione è il beneficio per cui i debiti residui di una persona vengono cancellati per legge al termine di una procedura concorsuale. In altre parole, tu non sei più debitrice di quelle somme e i creditori non possono più pretendere nulla. Si tratta del “fresh start”, del nuovo inizio pulito. Come ottenerla: devi completare con successo una delle procedure previste dal Codice della Crisi. Per una persona (madre) indebitata, i percorsi tipici sono due: o eseguire fino in fondo un piano/accordo di ristrutturazione (pagando la parte concordata e adempiendo a tutti gli obblighi del piano) oppure sottoporsi a liquidazione controllata (dove magari paghi poco o nulla, ma hai comunque messo a disposizione i beni per 3 anni). In entrambi i casi, alla fine il giudice emette un provvedimento che ti esdebita, cioè cancella i debiti rimasti. C’è anche la terza via dell’esdebitazione dell’incapiente, dove l’ottenieni subito (senza pagare nulla), come spiegato prima. Quali debiti include: l’esdebitazione riguarda tutti i debiti anteriori alla procedura, tranne quelli espressamente esclusi dalla legge (lo abbiamo riepilogato: alimenti, risarcimenti per illeciti, sanzioni penali, debiti da reati fiscali, ecc.). Attenzione: non cancella i debiti che hai eventualmente contratto dopo la domanda di sovraindebitamento. Quindi, se durante il piano (o dopo l’omologazione) hai fatto nuovo debito, quello resta fuori e i creditori potranno chiederlo (oltre al fatto che contrarre nuovi debiti in procedura può portare a revoca). Inoltre, non toglie i debiti nascosti: se avevi un creditore che non hai dichiarato affatto e questo non partecipa alla procedura, in teoria quel debito sarebbe esdebitato lo stesso (perché l’esdebitazione copre i debiti sorti prima indipendentemente dall’elenco); però, omettere volutamente un creditore è un atto in frode che può farti revocare tutti i benefici. In pratica, l’esdebitazione ti libera da tutte le pendenze verso banche, Fisco, privati, ecc., comprese quelle derivanti da eventuali decreti ingiuntivi o cause che avevi perso (diventano inesigibili). Fanno eccezione – lo sottolineo di nuovo – i debiti che la legge tutela espressamente: se dovevi €5.000 di mantenimento ai figli, continuerai a doverli; se avevi una multa penale da €2.000, la dovrai comunque pagare; se avevi causato un incidente mortale con €100.000 di risarcimento, quel debito resta (quei creditori particolari potranno riprendere le azioni dopo la procedura). L’esdebitazione di norma la ottieni una volta sola: la legge vieta di richiederla di nuovo nei 5 anni successivi e comunque tende a non far accedere chi ha già beneficiato di una precedente esdebitazione (c’è un requisito temporale). Quindi è veramente la carta da giocare con giudizio, in una fase della vita in cui ne hai bisogno e sei motivata a ripartire.
D: Ho solo un piccolo stipendio (o sono disoccupata). Possono comunque pignorarmi qualcosa?
R: Se hai un contratto di lavoro dipendente con stipendio, sì possono pignorare una parte, ma – come detto – la legge ti lascia una soglia impignorabile. Attualmente (2025) la regola è: l’ammontare pari all’assegno sociale più metà è intoccabile; la parte eccedente può essere pignorata fino al 20% (un quinto). Esempio: se prendi €1.000 netti al mese, i primi ~€750 sono salvi; dei restanti €250 ti possono togliere il 20%, cioè €50. Se prendi €1.500, tolti €750, sui €750 restanti possono pignorare €150 (sempre 1/5). Quindi più è alto lo stipendio, più ti tolgono in valore assoluto, ma mai oltre il quinto di ciò che eccede la soglia vitale. Se sei disoccupata e percepisci magari la NASpI (indennità di disoccupazione): la NASpI è teoricamente pignorabile anch’essa entro 1/5, perché equiparata a un reddito. Però, se è bassa (es. €600 mensili), è sotto la soglia impignorabile, quindi di fatto nulla viene pignorato. E soprattutto, se nessuno sa che la percepisci (e non la versi su un conto noto), è difficile che i creditori la intercettino. Se non hai alcun reddito e vivi di sussidi o aiuti familiari: non c’è nulla da pignorare. I sussidi come il Reddito di cittadinanza o l’Assegno di inclusione sono impignorabili per legge. I creditori potrebbero provare a pignorare il conto corrente sperando di trovare qualcosa. Se sul conto però ci sono solo quei sussidi o l’ultimo stipendio accreditato, puoi fare opposizione per svincolarli (l’ultimo stipendio accreditato prima del pignoramento si può liberare, grazie a un’interpretazione adeguatrice della Corte Cost.). In pratica, se sei nullatenente e senza reddito ufficiale, i creditori possono al massimo portarti via beni materiali (tv, pc? anche quelli se essenziali no) – ma raramente lo fanno perché la procedura costa più di quel che recuperano. Quindi chi non ha reddito né beni vive un paradosso: da un lato non subisce esecuzioni (perché sarebbe infruttuoso per i creditori), dall’altro rimane con debiti che continuano a pendere e magari a crescere per interessi. Ed è proprio per costoro che è pensata l’esdebitazione incapiente: per dare un taglio netto. Se invece hai un piccolo stipendio (tipo part-time da €600): tolta la soglia minima ~€750, rimane quasi nulla pignorabile, e i giudici comunque non autorizzano pignoramenti che lascino il lavoratore sotto il minimo vitale. Quindi direi: con redditi minimi, sei praticamente non attaccabile. Però attenta: il giorno in cui trovassi un lavoro migliore o un reddito maggiore, i creditori potrebbero rifarsi vivi e colpirti allora (un decreto ingiuntivo dura 10 anni rinnovabili). Perciò, meglio risolvere i debiti alla radice con una procedura, se c’è la possibilità, piuttosto che vivere “in nero” perennemente per sfuggire ai pignoramenti.
D: Ho debiti con finanziarie e carte di credito: dopo quanti anni si prescrivono?
R: In generale, i debiti derivanti da un contratto (prestito personale, carta di credito revolving, mutuo, fido bancario) si prescrivono in 10 anni dal momento in cui il creditore potrebbe esigerli (di solito 10 anni dalla scadenza o dall’ultima rata non pagata). Se però il creditore ti invia solleciti scritti, raccomandate o atti di precetto/ingiunzione, la prescrizione si interrompe e ricomincia da capo. Molto spesso, le finanziarie cedono il credito a società di recupero che, prima della scadenza dei 10 anni, inviano almeno una lettera di messa in mora per interrompere i termini. Quindi non fare troppo affidamento sul “mi ignorano per 10 anni e decade”: è raro che non mandino nulla. Alcune tipologie particolari hanno termini più brevi:
- Le bollette di luce/gas oggi si prescrivono in 2 anni (riforma del 2018).
- Il bollo auto in 3 anni.
- Le multe stradali in 5 anni (dalla data in cui sono divenute definitive e riscuotibili, salvo notifica della cartella).
- L’assegno di mantenimento mensile per i figli si prescrive in 5 anni per ciascuna rata (ogni mese ne nasce una nuova che si prescrive separatamente).
- Le spese condominiali hanno termine 5 anni (per le periodiche) o 10 a seconda della natura.
- I tributi hanno regole proprie (in molti casi la cartella si prescrive in 5 anni se non rinnovata con intimazioni).
In pratica, 5 anni è un termine comune per molte obbligazioni periodiche o di modesto importo; 10 anni è quello generale per crediti contrattuali o risultanti da sentenza. Nel tuo caso, per carte e finanziamenti, direi 10 anni dall’ultima azione significativa. Nota bene: dopo un decreto ingiuntivo non opposto, quel credito diventa titolo giudiziale e la prescrizione passa a 10 anni dal passaggio in giudicato (quindi può protrarsi ben oltre la data originaria). Comunque, se sono passati, poniamo, 6-7 anni senza che nessuno ti chieda nulla ufficialmente, fai controllare la situazione da un esperto prima di attivare magari procedure concorsuali: potresti scoprire che parte del debito è già prescritto e allora non serve includerlo (o puoi opporre la prescrizione in tribunale e fartelo annullare). Fai però attenzione: se hai anche solo risposto per iscritto a un sollecito ammettendo il debito o pagando una piccola somma a titolo di acconto, hai interrotto tu stessa la prescrizione! Quindi a volte il miglior consiglio è: se intendi eccepire prescrizione, non rispondere affatto a quelle lettere in cui magari ti propongono un saldo e stralcio, perché anche solo dicendo “non posso pagare ora” riconosci implicitamente il debito e dai altri 10 anni di tempo a loro. In quei casi, meglio farsi assistere per rispondere formalmente con “non riconosco il debito perché prescritto” e chiuderla lì.
D: Ho la possibilità di usare la legge sul sovraindebitamento se ho ancora un mutuo o altri debiti garantiti da ipoteca/pegno? Mi toglieranno tutto lo stesso?
R: Sì, puoi certamente accedere alle procedure di composizione anche se hai debiti garantiti (mutuo con ipoteca, finanziamento auto con riserva di proprietà, leasing, ecc.). La presenza di garanzie cambia alcune regole di pagamento: i creditori ipotecari o pignoratizi (quelli con pegno) hanno privilegio sui beni dati in garanzia. Se fai un Piano del consumatore, puoi anche prevedere di non pagare integralmente quei crediti, ma devi offrire al creditore garantito almeno l’equivalente del valore di mercato del bene su cui ha ipoteca/pegno. Esempio: la casa vale €100.000, mutuo residuo €120.000; nel piano potresti proporre di pagare €100.000 e stralciare €20.000, perché tanto se la banca espropria la casa all’asta ne ricaverebbe forse €70-80k; quindi €100k subito è meglio per lei. Il giudice valuta se la banca ci rimette o no e può omologare anche senza il consenso della banca, purché quel minimo valore sia rispettato. In un Concordato minore, i creditori garantiti votano separatamente e hanno diritto a ricevere almeno il valore di realizzo del bene; se il piano non glielo dà, possono opporsi (o meglio, votare no e far fallire l’accordo). In Liquidazione, il creditore ipotecario ha prelazione: il liquidatore venderà il bene e pagherà prima lui, poi eventualmente gli altri. Ti “toglieranno tutto” dipende dalla procedura scelta: col Piano del consumatore potresti riuscire a tenere l’immobile se riesci a pagare abbastanza da soddisfare la banca (come Angela che ha tenuto la casa pagando una parte). Col Concordato, pure è possibile conservare il bene, se la maggioranza dei creditori approva un piano che lo prevede (magari perché conviene anche a loro lasciarti la casa e farti pagare di più in denaro dilazionato). Con la Liquidazione, quasi sicuramente perdi il bene in questione perché il liquidatore lo deve monetizzare. In ogni caso, se perdi un bene tramite la procedura, ottieni in cambio la liberazione dal debito residuo: differenza enorme rispetto al pignoramento normale, dove perdi la casa ma se il ricavato non copre il debito, resti debitrice per la differenza. Invece con la liquidazione e l’esdebitazione, se la casa non copre tutto il mutuo, la banca non può perseguirti per l’insufficienza dopo la chiusura. Quindi alcuni preferiscono la procedura perché “chiudono il capitolo” del mutuo insostenibile. Bisogna valutare caso per caso. Un consiglio: sì, se hai un mutuo e sei in difficoltà, valuta la legge sul sovraindebitamento; non è vero che non puoi accedervi perché hai un immobile ipotecato (anzi, moltissimi casi riguardano proprio case ipotecate, salvate o vendute meglio tramite queste procedure). L’importante è affidarsi a un OCC/avvocato esperto, che sappia proporre al giudice la soluzione migliore dimostrando cosa ottiene la banca in procedura rispetto all’esecuzione forzata. Spesso il giudice sa che all’asta le banche recuperano poco e quindi è disposto ad avallare piani che concedono al debitore di conservare la casa pagando il giusto valore.
D: Quali debiti NON si cancellano nemmeno col sovraindebitamento?
R: Su questo abbiamo già parlato, ma riepilogo i principali esclusi:
- Debiti per alimenti e mantenimento familiare: non li cancelli, in nessuna procedura. Devi continuarli a pagarli per intero, a parte.
- Debiti da risarcimenti per fatti illeciti extracontrattuali: non si cancellano risarcimenti per lesioni, morte, danni intenzionali. Se erano eventualmente rateizzati dal giudice civile, continuerai a doverli pagare secondo quel piano.
- Multe, ammende e sanzioni penali (e amministrative punitive): non si cancellano. Una sanzione per reato fiscale, ad esempio, resta dovuta.
- Debiti fiscali legati a condanne per frode fiscale: se sei stata condannata penalmente per evasione/frode, quei debiti fiscali restano esclusi (non li stralci nei piani).
- Debiti da condotte fraudolente verso i creditori: se hai creato debiti con dolo (tipo truffando i creditori), il giudice può escluderli o negarti proprio l’esdebitazione per indegnità.
- Stipendi e contributi non pagati ai dipendenti: tendenzialmente non si cancellano del tutto; il giudice di solito impone che almeno in parte siano pagati fuori dal piano o li esclude dall’esdebitazione finale.
- Debiti verso fondi di garanzia pubblici: di solito sono considerati non esdebitabili (per ragioni di politica pubblica), anche se non c’è una norma chiara (dipende dai giudici, ma la prassi li esclude).
- Nuovi debiti sorti dopo l’apertura della procedura: ovviamente non sono coperti (se ti indebiti di nuovo, dovrai pagarli a parte, o rifare un’altra procedura dopo 5 anni se possibile).
In pratica, per la maggior parte delle persone indebitate, significa che gli alimenti e i risarcimenti danni non si toccano; il resto – debiti bancari, finanziamenti, carte, mutui, bollette, cartelle esattoriali per tasse ordinarie – si può cancellare. Come detto, sulle multe stradali c’è margine: molti tribunali le includono e stralciano, considerandole debiti comuni (non sanzioni penali). Ricorda che, anche per i debiti in teoria esdebitabili, un creditore può sempre provare a opporsi se ritiene la proposta ingiusta; ma se la legge è rispettata, l’opposizione non verrà accolta. Dunque, se sei meritevole e il tuo piano rispetta le regole (ad es. offre almeno il valore dell’ipoteca alle banche, paga un minimo sulle sanzioni tributarie, ecc.), avrai la cancellazione di tutti i debiti cancellabili e dovrai continuare a pagare solo quelli non cancellabili. È fondamentale farsi fare un prospetto da un esperto prima, per sapere esattamente “dopo la procedura cosa mi rimarrà da pagare?” – così da non avere sorprese.
D: Quanto tempo ci vuole per uscire dai debiti con queste soluzioni?
R: Dipende dal percorso scelto:
- Con un Piano del consumatore (o concordato minore), devi considerare il tempo di predisporre la pratica (qualche settimana o mese, a seconda della complessità dei documenti e del numero di creditori), poi il tempo in tribunale per l’omologa (spesso 2-4 mesi se fila tutto, ma può essere 6-8 mesi in tribunali intasati). Dopo l’omologa, c’è il tempo di esecuzione del piano: normalmente i piani durano da 3 a 5 anni. Quindi, complessivamente, potresti dire 4-6 anni per completare tutto e avere l’esdebitazione (es: 6 mesi preparazione + 6 mesi omologa + 4 anni pagamenti). In qualche caso eccezionale il piano può essere più corto (se vendi un immobile subito e paghi in un colpo, potresti chiudere tutto anche in 1-2 anni).
- Con la Liquidazione controllata, la legge fissa massimo 3 anni di liquidazione. Aggiungi circa 4-6 mesi per la fase iniziale (nomina liquidatore, verifiche iniziali). Diciamo ~3 anni e mezzo totali. Alla fine di questo periodo, se tutto regolare, scatta l’esdebitazione immediata e sei libera dai debiti. Quindi la liquidazione è più breve in termini di impegno temporale rispetto a un piano (che può durare 5 anni di pagamenti). Ma durante quei 3 anni, come detto, potresti subire la vendita della casa e devi consegnare al liquidatore eventuali risparmi ecc.
- Con l’Esdebitazione incapiente, è la più rapida: potresti cavartela in 4-6 mesi tra preparazione della pratica e decreto di accoglimento, dopodiché formalmente sei esdebitata subito. Poi devi attendere 3 anni di “osservazione”, ma se non cambia nulla nella tua situazione economica, di fatto in quei 3 anni non devi fare nulla se non comunicare annualmente la tua condizione. Finito quel periodo, la procedura è chiusa definitivamente (anche se, ripetiamo, i debiti erano già stati cancellati all’inizio; i 3 anni servono solo per l’eventuale condizione risolutiva).
Quindi si va da pochi mesi (incapiente) a diversi anni. È comunque sempre molto più veloce che restare a subire precetti e pignoramenti magari per 10-20 anni senza mai venire a capo della situazione, o aspettare che i debiti vadano in prescrizione (cosa spesso incerta). E soprattutto hai una fine certa: sai che dopo un determinato periodo sarai libera dai debiti. Uno scenario tipico: se oggi (metà 2025) inizi un piano del consumatore su 4 anni di pagamenti, entro il 2029 potresti essere senza debiti (e intanto protetta dagli attacchi); se oggi apri una liquidazione, entro il 2028 sarai fuori. È un orizzonte temporale affrontabile, specie quando si hanno figli: puoi dire “stringiamo la cinghia 3-4 anni, poi la mamma potrà anche mettere qualcosa da parte per voi, per l’università, ecc.”. Senza procedura, quei debiti magari li pagheresti in 20 anni (con interessi) – oppure non li pagheresti mai, rimanendo però segnalata a vita (nelle banche dati dei cattivi pagatori) e sempre a rischio azioni esecutive. Con la procedura, la situazione si cristallizza e poi si chiude definitivamente.
D: Ci sono costi da sostenere per avviare queste procedure?
R: Sì, purtroppo le procedure di sovraindebitamento – pur essendo rivolte a chi è in difficoltà economica – comportano dei costi iniziali. Bisogna infatti pagare i compensi del gestore OCC (Organismo di Composizione della Crisi) e le spese vive di giustizia. Gli OCC chiedono un acconto sui compensi (qualche centinaio di euro almeno) per accettare il mandato, più eventuali costi per perizie se servono. Tuttavia, esistono alcuni aiuti:
- Se la madre debitrice ha un reddito basso, può chiedere il gratuito patrocinio per l’assistenza dell’avvocato (copre le parcelle legali, ma non quelle dell’OCC perché quest’ultimo non rientra nel patrocinio).
- Dal 2025 è previsto un Fondo pubblico presso il Ministero della Giustizia per coprire in parte le spese delle procedure dei debitori incapienti meritevoli. Ha risorse limitate (€500.000 a livello nazionale) ma potrebbe, in futuro, rimborsare gli OCC per i casi più gravi, permettendo anche a chi non ha nulla di accedere.
- Alcuni OCC collegati ad associazioni antiusura o enti pubblici applicano tariffe calmierate o dilazioni di pagamento.
- In casi di esdebitazione incapiente, il giudice può autorizzare il pagamento del gestore dopo la procedura, attingendo eventualmente al (futuro) Fondo incapienti.
Insomma, è bene informarsi presso l’OCC territoriale: spesso il primo colloquio è gratuito e viene fornito un preventivo dei costi. Consideralo un investimento per liberarti da un fardello enorme: molti professionisti comprendono la situazione e vengono incontro rateizzando i loro compensi.
D: Cosa NON dovrei mai fare se sono in grave indebitamento?
R: Riassumendo alcuni consigli già accennati:
- Non fare nuovi debiti per pagare i vecchi debiti. È una tentazione comune chiedere un prestito per estinguerne un altro, ma così entri in un circolo vizioso (es. usare la carta di credito per pagare la rata del mutuo). Accresci solo il problema e rischi di finire vittima di usura o catene di Sant’Antonio finanziarie.
- Non ignorare le comunicazioni e gli atti giudiziari. Se ti arrivano solleciti, decreti ingiuntivi, atti di pignoramento, non fare finta di nulla. Il tempo per reagire è limitato (es. 40 giorni per opporsi a un decreto ingiuntivo). Ignorare peggiora la situazione e fa perdere diritti di difesa.
- Non firmare cambiali o garanzie “sottobanco”. A volte, pressata dai creditori, la persona pensa di risolvere firmando cambiali (che, se non pagate, portano al protesto e all’esecuzione diretta) o peggio ipotecando la casa a favore di uno solo. Sono mosse pericolose se non inserite in un piano organico: meglio farsi guidare legalmente.
- Non vergognarti e non isolarti. Il sovraindebitamento è una condizione che può capitare a chiunque in certe circostanze (separazioni, malattie, crisi economiche). La legge esiste proprio per aiutare chi si trova in difficoltà. Parlane con un professionista di fiducia e/o con i familiari: affrontare la situazione apertamente è il primo passo per risolverla.
Conclusione
Trovarsi come madre separata con debiti è certamente una situazione difficile, ma non senza vie d’uscita. Il diritto italiano, soprattutto negli ultimi anni, ha sviluppato strumenti efficaci per dare sollievo ai debitori onesti in difficoltà, tutelando nel contempo le esigenze dei figli minori e un livello di vita dignitoso. Il consiglio finale è di non vergognarsi e non isolarsi: cercare subito supporto legale qualificato, valutare tutte le opzioni (anche quelle più radicali come la liquidazione personale), e prendere decisioni informate. Molte donne sono riuscite a superare completamente situazioni debitorie drammatiche grazie a queste soluzioni – come abbiamo visto nei casi di Angela, Carla e altre – tornando a una vita normale. La legge è dalla tua parte se agisci con trasparenza e buona fede.
Tieni a mente: l’obiettivo non è solo liberarti dai debiti, ma anche ricostruire la stabilità per te e i tuoi figli. Una volta risolto il peso finanziario, potrai concentrarti sul futuro con maggiore serenità, che si tratti di migliorare la tua posizione lavorativa, offrire ai tuoi figli nuove opportunità, o semplicemente vivere senza l’incubo costante dei creditori.
Fonti e riferimenti normativi
- Codice Civile: artt. 337-sexies c.c. (assegnazione della casa familiare, opponibilità ai terzi); art. 2740 c.c. (responsabilità patrimoniale illimitata); art. 433 c.c. e segg. (obblighi alimentari tra parenti); art. 2643 c.c. (trascrizioni nei registri immobiliari, rilevante per l’assegnazione della casa); art. 2915 c.c. (effetti della mancata trascrizione).
- Codice di Procedura Civile: art. 514 c.p.c. (beni mobili impignorabili); art. 515 c.p.c. e segg. (pignoramento mobiliare presso il debitore); art. 543 c.p.c. e segg. (pignoramento presso terzi, es. stipendio e conto); art. 545 c.p.c. (limiti di pignorabilità di stipendi e pensioni: 1/5, minimo vitale impignorabile, impignorabilità assegni di mantenimento e sussidi); art. 546 c.p.c. (divieto di pagamenti al debitore da parte del terzo dopo notifica pignoramento); art. 1599 c.c. (opponibilità locazioni non trascritte, applicato analogicamente all’assegnazione casa familiare non trascritta per il limite 9 anni).
- Normativa speciale riscossione fiscale: D.P.R. 29/09/1973 n. 602, art. 76 – Limiti all’espropriazione immobiliare da parte dell’Agente della Riscossione (impignorabilità prima casa per debiti fiscali sotto soglia); art. 77 (ipoteca esattoriale sopra €20k); art. 72-ter (limiti pignoramento stipendi da parte AdER); art. 19 (rateazione cartelle fino a 72 o 120 rate); D.L. 69/2013 conv. L. 98/2013 (introduzione divieto esproprio prima casa).
- Tutela pensioni e ultimo stipendio: L. 08/08/1995 n. 335, art. 1 comma 7 – impignorabilità della parte di pensione minima (cd. minimo vitale); D.L. 27/06/2015 n. 83 conv. L.132/2015, art. 13 (impignorabilità dell’ultimo stipendio accreditato sul conto, come interpretato dalla Corte Cost.).
- Norme penali: art. 570 c.p. e 570-bis c.p. (violazione obblighi assistenza familiare, sanzioni per mancato mantenimento).
- Legge 27/01/2012 n. 3 (vecchia legge sul sovraindebitamento “salva suicidi”) – Disposizioni in materia di usura e sovraindebitamento. Nota: molte previsioni sono state abrogate e confluite nel Codice della Crisi dal 15/07/2022.
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), in vigore dal 15/07/2022 e successive modifiche:
– art. 2 (definizioni, tra cui sovraindebitamento e consumatore);
– artt. 65–83 (procedure di composizione da sovraindebitamento: piano di ristrutturazione del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata);
– art. 69 (criteri di meritevolezza del debitore e merito creditizio del finanziatore);
– art. 74 (contenuto del piano del consumatore: fattibilità, convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria, soddisfacimento minimo creditori con garanzie);
– art. 78 (contenuto del concordato minore, soglia 50% consensi);
– art. 80 (liquidazione controllata: durate, effetti);
– art. 282 (debiti esclusi dall’esdebitazione: crediti alimentari, risarcimenti da fatto illecito, sanzioni penali, tributi con frode, ecc.);
– art. 283 (esdebitazione del sovraindebitato incapiente)【8†L127-135】.
– Decreti correttivi: D.Lgs. 147/2020 (ha introdotto anticipatamente l’esdebitazione incapiente nell’art. 14-quaterdecies L.3/2012); D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 169/2022 (“correttivo” al Codice) hanno apportato aggiustamenti; D.Lgs. 13/09/2024 n. 136 (“correttivo-ter”) ha ridotto da 4 a 3 anni il periodo di osservazione nell’esdebitazione incapiente e chiarito alcuni punti. - Giurisprudenza (Corte di Cassazione):
– Cass. 12466/2013 – Assegnazione casa familiare e pignorabilità: ha confermato che l’assegnazione trascritta è opponibile ai terzi ma non impedisce l’esecuzione forzata (incide solo sul godimento).
– Cass. 19270/2014 – Impignorabilità prima casa erga omnes procedimenti pendenti: ha sancito l’applicazione anche ai pignoramenti in corso nel 2013 del divieto di esproprio prima casa introdotto con il D.L. 69/2013 (norma di natura processuale, quindi retroattiva in melius).
– Cass. 32759/2024 (ord.) – Ha ribadito l’applicabilità retroattiva della protezione prima casa nei confronti di AdER, confermando l’orientamento del 2014.
– Cass. 30342/2021 – Limiti impignorabilità prima casa e misure penali: ha chiarito che il divieto di pignoramento ex art. 76 DPR 602/73 non impedisce il sequestro/confisca penale dell’immobile per reati tributari (distinzione tra tutela tributaria e azioni penali).
– Cass. 9479/2023 – Opposizione tardiva a decreto ingiuntivo per clausole bancarie vessatorie: ha affermato che il debitore può far valere la nullità di clausole usurarie/indebite anche dopo i termini ordinari, in sede di opposizione all’esecuzione, incidendo sul titolo esecutivo bancario.
– Cass. 6541/2017 – Pignoramento stipendi su conto: ha recepito l’orientamento Corte Cost. sul minimo vitale, stabilendo che l’ultimo stipendio accreditato sul conto prima del pignoramento presso la banca non è pignorabile (se il pignoramento è solo sul conto e non presso il datore). (Attenzione: successivi interventi normativi hanno in parte superato la diatriba, con D.L. 83/2015 come citato).
– Cass. 136/2020 (ord.) – Ha qualificato l’assegno divorzile a favore dell’ex coniuge come credito non alimentare, dunque pignorabile dai terzi creditori nei limiti di legge (confermando che solo gli assegni per i figli sono impignorabili). - Giurisprudenza di merito (esempi recenti):
– Tribunale di Pavia, sentenza 28/06/2022 – Procedura ex L.3/2012, Piano del consumatore di madre divorziata: caso Angela che stralcia €938k di debiti pagando €48k in 6 anni, salvando la casa (giudice dott. F. Rocca, NRG 5/2022).
– Tribunale di Monza, sentenza 04/09/2024 – Procedura ex CCII, Liquidazione controllata di madre divorziata: caso Carla con €197k debiti, attivo €23.6k realizzato, esdebitazione concessa (giud. est. T. Colombo).
– Tribunale di Milano, sentenza 30/11/2022 – Sovraindebitamento (Codice della Crisi), madre divorziata azzera ~€135k di debiti con un piano omologato (caso segnalato in dottrina).
– Tribunale di Nola, decreto 15/07/2021 – Esempio di esdebitazione incapiente concessa: madre divorziata nullatenente liberata da ~€50k debiti senza attivo, con obbligo di segnalare miglioramenti (uno dei primi casi in Campania).
– Linee guida OCC di Tribunale di Venezia e Bergamo 2023 – Prevedono la possibilità di procedure familiari congiunte (art. 66 CCII) e indicano criteri omogenei per calcolo minimo vitale e valutazione meritevolezza nelle famiglie monogenitore indebitate.
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✔️ Gestore della crisi iscritto al Ministero della Giustizia
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Conclusione
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