Ex Titolare Di Impresa Di Costruzioni Con Debiti: Come Difendersi

Hai chiuso la tua impresa di costruzioni, ma i debiti ti stanno ancora inseguendo? Cartelle esattoriali, richieste dall’Agenzia delle Entrate, contributi INPS, banche o fornitori che pretendono il pagamento? Anche se l’attività è cessata, puoi ancora difenderti e uscire dalla crisi legalmente, se agisci nel modo giusto.

Cosa succede ai debiti dopo la chiusura dell’impresa edile?
Se avevi una ditta individuale o una società con garanzie personali, i debiti maturati restano a tuo carico, anche dopo la chiusura della partita IVA o della società. I più comuni sono:
IVA, IRPEF o IRES non pagati all’Agenzia delle Entrate
Contributi INPS e Cassa Edile non versati
Debiti con banche, leasing e finanziarie per attrezzature e mezzi
Fornitori non saldati per materiali, manodopera o subappalti
Liti o contenziosi per lavori incompiuti o ritardi nei cantieri

Cosa rischi concretamente se non agisci subito?
Pignoramento della casa o del conto corrente
Blocco dell’auto e fermo amministrativo
Segnalazione come cattivo pagatore presso la Centrale Rischi
Impossibilità di accedere a nuovi finanziamenti o mutui
Azioni giudiziarie da parte di ex collaboratori o clienti

Come puoi difenderti legalmente?
La legge prevede strumenti efficaci per ex imprenditori in crisi economica, anche dopo la cessazione dell’attività. Puoi accedere alla procedura di sovraindebitamento, che ti consente di:
Sospendere immediatamente i pignoramenti e le azioni esecutive
Proporre ai creditori un piano di rientro sostenibile
Chiedere la cancellazione totale dei debiti non più pagabili

Quali strumenti puoi usare?
Concordato minore, se hai un minimo di reddito o patrimonio da offrire
Liquidazione controllata, per chi non ha nulla da mettere a disposizione
Esdebitazione dell’incapiente, se sei senza beni, senza reddito e in buona fede

Cosa NON devi fare?
– Pensare che i debiti si estinguano con la chiusura dell’impresa
– Intestare i tuoi beni a terzi per “proteggerli” (può essere contestato)
– Accendere altri prestiti per pagare quelli vecchi
– Ignorare cartelle e notifiche: peggiori solo la situazione

Anche se sei un ex titolare di impresa edile, puoi uscire dai debiti in modo legale e definitivo.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in sovraindebitamento e difesa dell’ex imprenditore – ti spiega come difenderti dai debiti legati all’impresa di costruzioni anche dopo la chiusura.

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Introduzione

Essere un ex titolare di un’impresa di costruzioni che ha cessato l’attività lasciando debiti insoluti è una situazione complessa ma non senza vie d’uscita. La chiusura di un’impresa non cancella automaticamente i debiti accumulati. I creditori – fornitori, banche, Fisco, ecc. – possono rivalersi sul patrimonio personale dell’ex imprenditore (casa, auto, conto bancario) per ottenere il pagamento. Ciò può portare a azioni legali di recupero crediti, pignoramenti e seri rischi per i beni personali e il tenore di vita della famiglia del debitore.

Fortunatamente, l’ordinamento italiano prevede strumenti giuridici specifici per aiutare i debitori onesti ma sfortunati a difendersi dalle richieste dei creditori e a gestire o azzerare i debiti residui, consentendo un “nuovo inizio”. Nel 2012 è stata introdotta la cosiddetta legge “salva-suicidi” (Legge 3/2012) proprio per affrontare le crisi da sovraindebitamento, ovvero situazioni in cui una persona (consumatore, piccolo imprenditore, artigiano, professionista) non è più in grado di pagare i propri debiti con regolarità. Dal 15 luglio 2022 questa disciplina è confluita nel nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), aggiornando e potenziando gli strumenti a disposizione.

Questa guida, aggiornata a luglio 2025, fornisce un’analisi approfondita – con taglio giuridico ma divulgativo – delle soluzioni disponibili per un ex imprenditore edile indebitato, dal punto di vista del debitore. Verranno esaminati gli strumenti di composizione della crisi da sovraindebitamento (come il Piano del consumatore, il Concordato minore e la Liquidazione controllata), le condizioni per ottenerli e le novità normative e giurisprudenziali più recenti. Inoltre, saranno affrontati i casi particolari dei debiti verso fornitori, banche ed Erario, con esempi pratici, tabelle riepilogative e una sezione di domande e risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più comuni. L’obiettivo è offrire una guida completa di livello avanzato – utile sia a professionisti legali sia agli stessi debitori e piccoli imprenditori – sulle strategie di difesa e di risanamento quando ci si trova schiacciati dai debiti dopo la chiusura di un’attività.

Debiti residui dopo la chiusura dell’impresa

Chiudere o cessare un’impresa di costruzioni non equivale a cancellare i suoi debiti. Occorre distinguere il tipo di impresa e la forma giuridica, perché da ciò dipende la responsabilità residua del titolare o dei soci verso i creditori:

  • Ditta individuale (impresa individuale) – In questo caso l’imprenditore persona fisica coincide con il soggetto giuridico dell’impresa. Tutti i debiti d’impresa sono anche debiti personali. La chiusura della partita IVA o la cancellazione dell’impresa artigiana non estingue le obbligazioni: esse “ricadono sulla persona fisica e conseguentemente sulla famiglia”. L’ex titolare risponde con tutti i propri beni personali (presenti e futuri) dei debiti contratti nell’attività. Ad esempio, se una ditta individuale edile chiude lasciando €50.000 di debiti verso fornitori, quei fornitori possono chiedere decreto ingiuntivo ed eventualmente pignorare beni personali del titolare (conto corrente, automezzi, immobili, stipendio futuro, etc.). Chiudere la ditta non basta dunque a sfuggire ai creditori. Si applica integralmente il principio generale di responsabilità patrimoniale illimitata ex art. 2740 c.c.: il debitore risponde delle obbligazioni con tutti i suoi beni, salvo diverse disposizioni di legge.
  • Società di persone (S.n.c., S.a.s.) – In società come la società in nome collettivo (S.n.c.) o la società in accomandita semplice (S.a.s.), i soci hanno (chi in misura illimitata, chi limitatamente alla quota) responsabilità per le obbligazioni sociali. La cancellazione dal Registro Imprese e l’estinzione della società non fanno venir meno i debiti: semplicemente, essi non possono più essere fatti valere verso la società (che non esiste più), ma sorgono in capo ai soci secondo le regole di responsabilità proprie di quel tipo sociale. In particolare, i soci illimitatamente responsabili (tutti i soci nelle S.n.c. e i soli accomandatari nelle S.a.s.) restano obbligati per l’intero coi loro beni personali, in via solidale e sussidiaria. I soci accomandanti, invece, dopo l’estinzione della società rispondono dei debiti sociali entro i limiti di quanto hanno riscosso dalla liquidazione (art. 2324 c.c.). Ciò vale in modo analogo per i soci di società di capitali: S.r.l. o S.p.A. estinte. In generale, il socio di una società di capitali non assume debiti sociali oltre la perdita del capitale investito, salvo due situazioni: (a) quando abbia ricevuto somme dalla liquidazione (in tal caso può essere chiamato a rispondere verso creditori insoddisfatti nei limiti di quanto incassato, ex art. 2495 c.c.); (b) quando abbia prestato garanzie personali (fideiussioni) per debiti sociali – in tal caso resta obbligato verso quei creditori garantiti, a prescindere dalla fine della società. Secondo la Cassazione, l’estinzione di una società di capitali produce una sorta di “successione a titolo particolare” dei debiti residui in capo ai soci, pro quota in base alla loro partecipazione. In pratica, il creditore sociale potrà agire contro ciascun ex socio nei limiti di quota, e dovrà provare quanto gli è stato distribuito in liquidazione.
  • Società di capitali (S.r.l., S.p.A.) – Come visto, qui opera la limitazione di responsabilità: generalmente i soci non rischiano il patrimonio personale per i debiti societari. Tuttavia, se l’impresa di costruzioni era ad esempio una S.r.l., la chiusura (cancellazione) della società non soddisfatta dai creditori lascia questi ultimi con alcune possibili strade: (a) entro un anno dalla cancellazione possono chiedere il fallimento (liquidazione giudiziale) della società estinta (art. 10 L. Fall., ora art. 33 CCII) – in pratica una “riapertura” concorsuale per recuperare attivi eventualmente distratti; (b) per i debiti tributari la legge consente atti impositivi entro 5 anni ai soci; (c) soprattutto, i creditori possono tentare azioni di responsabilità verso gli amministratori o i liquidatori della società, se vi sono stati illeciti (ad es. mancato pagamento di contributi con conseguente responsabilità del liquidatore ex art. 2495 c.c., o azioni per mala gestio). Queste ultime sono situazioni patologiche che esulano dal tema della difesa del debitore in buona fede, e attengono alla responsabilità civile (o penale, in casi estremi di bancarotta fraudolenta) dell’ex amministratore. In questa guida ci concentreremo invece sugli strumenti leciti e legittimi che l’ex imprenditore in buona fede può utilizzare per sistemare la propria esposizione debitoria.

In sintesi, un ex titolare di impresa individuale risponde sempre illimitatamente dei debiti dell’impresa cessata, mentre un ex socio di società di capitali può trovarsi debitore in prima persona solo in casi particolari (fideiussioni prestate, somme percepite in liquidazione, o contenziosi di responsabilità). Tuttavia, non è raro che anche chi operava con società di capitali abbia garantito personalmente finanziamenti bancari o forniture (ad esempio, fideiussioni bancarie per mutui e scoperti, assicurazioni per SAL, ecc.), ritrovandosi quindi debitore personale una volta che la società non ha pagato. Inoltre, i debiti fiscali (IVA, ritenute) a carico della società possono generare responsabilità personali (come coobbligazioni o sanzioni a carico degli amministratori). Pertanto, molte situazioni di crisi debitoria post-impresa finiscono comunque per gravare sull’ex titolare o socio, che deve difendersi dai creditori con il proprio patrimonio personale.

Conseguenze per il patrimonio personale del debitore

Quando i creditori passano all’azione nei confronti dell’ex imprenditore, possono utilizzare tutti gli strumenti di recupero crediti previsti dalla legge:

  • Decreto ingiuntivo e precetto: il creditore (fornitore, banca, ecc.) in genere, in caso di insoluto, può richiedere al giudice un decreto ingiuntivo per ottenere un titolo esecutivo in tempi rapidi. Se il debitore non si oppone entro 40 giorni, il decreto diviene definitivo e il creditore potrà notificare un atto di precetto, intimando il pagamento entro 10 giorni. Trascorso tale termine senza pagamento, si passa all’esecuzione forzata. È importante notare che solo in presenza di valide contestazioni sul debito (ad es. merce non consegnata, errore di calcolo, prescrizione del credito) conviene proporre opposizione al decreto ingiuntivo; altrimenti si rischia solo di allungare la procedura e aggravare i costi. In assenza di opposizione (o dopo la sentenza che la rigetta), il debito diventa certo ed esigibile, aprendo la strada ai pignoramenti.
  • Pignoramento ed esecuzione forzata: con un titolo esecutivo (ingiunzione non opposta, sentenza, cartella esattoriale, ecc.), il creditore può pignorare i beni del debitore. Tipicamente, verrà presa di mira qualsiasi utilità aggredibile:
    • Conti correnti e depositi: il pignoramento presso terzi consente al creditore di bloccare i fondi sul conto bancario del debitore (nei limiti del credito vantato). Attenzione: se sul conto affluisce uno stipendio o pensione, la legge tutela un importo pari circa all’assegno sociale mensile (sul saldo al momento del pignoramento) rendendolo impignorabile, mentre l’eccedenza può essere assegnata.
    • Stipendi e salari: il datore di lavoro può essere obbligato a trattenere una quota della retribuzione (di regola un quinto dello stipendio netto) e versarla al creditore pignorante. Anche in presenza di più pignoramenti, la somma totale trattenuta non può superare il 20% dello stipendio, salvo pignoramenti per alimenti o tributi che hanno regole proprie. In ogni caso va garantito il cosiddetto minimo vitale al lavoratore-debitore, cioè un importo impignorabile necessario a una vita dignitosa, determinato dalla legge in relazione all’assegno sociale aumentato della metà (circa €800 mensili per un single nel 2024).
    • Beni mobili: automezzi, macchinari, attrezzature e altri beni mobili del debitore possono essere pignorati e messi all’asta. Spesso tuttavia, per il debitore persona fisica, il valore di realizzo è basso rispetto al debito, e non tutti i beni sono facilmente pignorabili (ad es. gli strumenti indispensabili per l’attività lavorativa possono essere pignorati solo entro certi limiti, art. 515 c.p.c.). L’auto personale può essere pignorata, ma se è necessaria per lavorare si tende a cercare accordi alternativi.
    • Immobili: la casa di proprietà costituisce il bersaglio più consistente. Un creditore chirografario (es. un fornitore non pagato) può iscrivere ipoteca giudiziale e avviare il pignoramento immobiliare dell’abitazione, con successiva vendita all’asta. Non esiste, per i creditori privati, un divieto generale di pignorare la prima casa. Una tutela legale in tal senso è prevista solo per i debiti fiscali: l’Agenzia delle Entrate-Riscossione non può espropriare l’unico immobile di residenza del debitore se esso non è di lusso e il debitore vi risiede anagraficamente (DL 69/2013 convertito in L.98/2013). Ma un fornitore o una banca possono agire anche sulla prima casa se il debito è significativo. L’esito tipico è la vendita all’asta: ciò estinguerà il debito solo in parte (se il ricavato è insufficiente rimarrà un debito residuo chirografario). Inoltre il debitore e la sua famiglia perderebbero l’abitazione, con tutte le conseguenze sociali del caso.

È evidente che, senza contromisure, i creditori dispongono di mezzi molto incisivi per rivalersi sul patrimonio personale di un ex imprenditore indebitato. Come difendersi, dunque? Oltre a valutare per ciascun atto esecutivo eventuali vizi formali o cause di opposizione (ambiti in cui è necessario l’intervento di un legale, ad es. per contestare un pignoramento illegittimo o ridurre una ipoteca sproporzionata), la vera difesa di fondo consiste nel mettere in sicurezza la propria posizione debitoria tramite le procedure concorsuali da sovraindebitamento previste dalla legge. Queste procedure – se ammesse dal tribunale – consentono di bloccare le azioni esecutive individuali dei creditori e di gestire tutti i debiti in un contesto unitario e controllato dal giudice. In altre parole, l’ex imprenditore indebitato può “rifugiarsi” in una procedura di composizione della crisi, attraverso la quale:

  • ottenere la sospensione dei pignoramenti in corso (a discrezione del giudice, qualora essi pregiudichino la fattibilità di un piano di risanamento);
  • proporre un piano di ristrutturazione che preveda il pagamento parziale dei debiti secondo le proprie possibilità, impedendo ai creditori dissenzienti di agire autonomamente una volta omologato il piano;
  • oppure, in casi estremi, mettere a disposizione tutti i propri beni per la loro liquidazione controllata, ottenendo in cambio la cancellazione di tutti i debiti residui (esdebitazione).

Prima di approfondire queste soluzioni giudiziali, vale la pena considerare brevemente anche le possibili soluzioni stragiudiziali (accordi privati), adatte soprattutto quando l’ammontare dei debiti è ancora contenuto o i creditori sono pochi.

Soluzioni stragiudiziali (accordi privati e transazioni)

In alcuni casi l’ex imprenditore può tentare di negoziare direttamente con i creditori per evitare le vie legali. Questa strada richiede capacità di mediazione e, spesso, un supporto da parte di consulenti o società specializzate. Ecco alcune opzioni stragiudiziali:

  • Piani di rientro e dilazioni private: Consistono nel concordare con ciascun creditore un piano di pagamento rateale del debito. Ad esempio, un fornitore potrebbe accettare di ricevere €1.000 al mese per 24 mesi in soddisfazione di un credito di €24.000. Questi accordi sono del tutto volontari: non vi è obbligo per il creditore di concedere dilazioni, ma molte aziende preferiscono incassare lentamente piuttosto che avviare costose azioni legali. È fondamentale formalizzare per iscritto l’accordo (anche via PEC) e rispettarlo rigorosamente, perché un singolo ritardo potrebbe far decadere il beneficio della dilazione.
  • Saldo e stralcio: È una transazione a saldo del debito per un importo inferiore al dovuto, solitamente in un’unica soluzione o poche rate. Il debitore offre al creditore un pagamento immediato di una percentuale del debito (ad es. il 40%) chiedendo in cambio l’abbandono di ogni pretesa sul resto. Questa soluzione può riuscire se il creditore percepisce che altrimenti rischia di non recuperare nulla (ad es. se il debitore è prossimo all’insolvenza conclamata). Banche e finanziarie accettano spesso saldi e stralci sui crediti deteriorati, applicando sconti più o meno elevati a seconda delle garanzie a disposizione. Anche i fornitori a volte accettano un importo forfettario – magari proveniente da un terzo (un familiare del debitore) – pur di chiudere la partita senza ulteriori spese. È essenziale farsi rilasciare quietanza liberatoria scritta che attesti la rinuncia al residuo credito.
  • Rinegoziazione di mutui e finanziamenti: Se l’impresa di costruzioni aveva acceso mutui o leasing, l’ex titolare può provare a rinegoziarne le condizioni in qualità di garante o debitore rimasto. Ad esempio, chiedere alla banca un allungamento del piano di ammortamento, una sospensione temporanea (“moratoria”) delle rate o un taglio dei tassi. Dal 2023 è operativo anche il meccanismo della Rinegoziazione Assistita introdotto dalla “Riforma Cartabia” (DLgs 149/2022) per facilitare accordi stragiudiziali, applicabile anche ai debiti civili: di fronte a situazioni di sovraindebitamento, è possibile coinvolgere gli OCC (Organismi di Composizione della Crisi) per tentare un accordo amichevole, prima di ricorrere al giudice. Tuttavia, queste novità hanno ancora efficacia limitata e si ricorre più spesso direttamente alle procedure di sovraindebitamento formali.

Vantaggi e limiti degli accordi privati: La via stragiudiziale evita la pubblicità e i costi delle procedure giudiziarie, e può essere personalizzata caso per caso. Di contro, presenta notevoli rischi: se anche un solo creditore rifiuta l’accordo, potrà agire separatamente mettendo potenzialmente in crisi gli accordi raggiunti con gli altri. Inoltre non offre protezione legale in caso di inadempimento: se il debitore non paga una rata concordata, il creditore può riprendere le azioni esecutive (anzi, talvolta il tempo passato lo avrà aggravato di interessi e spese). In sostanza, le trattative private funzionano quando il numero di creditori è ridotto e la credibilità del debitore (anche grazie all’assistenza di un legale) è tale da convincere le controparti della convenienza dell’accordo. In presenza di troppi debiti o creditori eterogenei, o se i debiti eccedono di gran lunga le capacità di rimborso, la strada necessariamente passa per le procedure concorsuali da sovraindebitamento, ove è il tribunale a imporre ai creditori una soluzione equilibrata.

Nei paragrafi seguenti ci concentriamo quindi sugli strumenti offerti dalla legge per gestire e risolvere il sovraindebitamento, con particolare attenzione alle esigenze di un ex imprenditore edile indebitato. Tali strumenti – disciplinati ora dal Codice della Crisi – sono essenzialmente tre (più uno speciale):

  • Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (il vecchio “piano del consumatore”), rivolto a debitori persone fisiche con debiti personali (senza debiti d’impresa);
  • Concordato minore (già chiamato “accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento”), rivolto a debitori imprenditori o professionisti sotto le soglie di fallibilità, con possibilità di pagamento parziale dei crediti previo voto dei creditori;
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex “liquidazione del patrimonio”), procedura liquidatoria aperta su richiesta del debitore o dei creditori, in cui tutti i beni vengono liquidati a beneficio dei creditori e al termine si ottiene l’esdebitazione;
  • Esdebitazione del debitore incapiente, una speciale procedura (introdotta nel 2020) che consente al debitore totalmente privo di beni e reddito di essere liberato dai debiti una tantum senza alcun pagamento.

Vediamo ora nel dettaglio ciascuno di questi strumenti, le condizioni di accesso, i vantaggi e gli svantaggi, con riferimenti normativi e alle più recenti sentenze in materia.

La normativa sul sovraindebitamento e il “nuovo inizio”

La Legge 3/2012, in vigore da gennaio 2012, ha introdotto nell’ordinamento italiano l’idea di sovraindebitamento come situazione giuridica meritevole di una procedura concorsuale ad hoc. Lo scopo principale della normativa è di permettere al debitore onesto ma sfortunato di pagare quanto effettivamente può – in base alle proprie reali possibilità economicheliberandolo dal resto dei debiti che non riuscirebbe mai a pagare. In cambio di questa esdebitazione (cancellazione dei debiti inesigibili), il debitore deve sottoporsi a un percorso controllato, mettendo a disposizione il proprio patrimonio e reddito disponibile, e soddisfacendo i creditori in misura proporzionata alla sua capacità.

Questa impostazione ricalca il principio anglosassone del fresh start, introducendo per la prima volta in Italia una possibilità di “nuovo inizio” anche per debitori civili e piccoli imprenditori, che in precedenza rischiavano la perpetuità dei debiti (essendo esclusi sia dalle procedure fallimentari – riservate alle imprese più grandi – sia dai benefici di esdebitazione allora previsti solo per i falliti). Con il sovraindebitamento, lo Stato riconosce che è preferibile reinserire il debitore in difficoltà nel circuito economico, liberandolo dai debiti irrimediabili, piuttosto che condannarlo a una situazione cronica di insolvenza senza via d’uscita.

La legge originaria prevedeva tre strumenti (piano del consumatore, accordo con creditori, liquidazione), accessibili solo ai soggetti non fallibili (consumatori, piccoli imprenditori, professionisti, enti non profit, ecc.). Nel tempo, la normativa è stata migliorata con vari interventi (DL 179/2012, DL 83/2015, L.176/2020) per ampliarne l’efficacia. Infine, dal 15 luglio 2022, è entrato in vigore il nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza (CCII), che ha riformato profondamente la materia. Pur richiamando molti concetti della Legge 3/2012, il Codice (artt. 65-83 CCII per le procedure di composizione e artt. 268-277 CCII per la liquidazione controllata) ha introdotto importanti novità a favore del debitore:

  • Procedura familiare: più membri indebitati della stessa famiglia possono presentare un’unica procedura congiunta, anziché tante separate. Ciò riduce costi e tempi, ed evita soluzioni scoordinate tra coniugi o parenti conviventi. Occorre che vi sia convivenza o un’origine comune della situazione debitoria (es. entrambi i coniugi garanti dello stesso mutuo). In tal caso, pur rimanendo distinte le masse attive/passive di ciascun membro, il tribunale tratta unitariamente la crisi. Questa innovazione, anticipata già dal 2020, si rivela utile nel caso frequente di famiglie sovraindebitate a causa di un mutuo sulla casa o di un’attività comune.
  • Meritevolezza semplificata: la vecchia legge richiedeva un rigoroso esame di “meritevolezza” per l’accesso al piano del consumatore, basato su criteri come la ragionevole prospettiva di adempiere le obbligazioni all’atto di assunzione e l’assenza di colpa grave nell’indebitamento. Il Codice ha alleggerito questi criteri. Oggi conta solo che il debitore non abbia determinato il sovraindebitamento con dolo o colpa grave, né violato l’obbligo di leale collaborazione. In pratica, viene meno il c.d. “triplice test” prima previsto e resta un unico principio generale: non sono ammessi ai benefici quei debitori che hanno provocato la propria insolvenza tramite comportamenti gravemente irresponsabili, mala fede o frode. Le inadempienze dovute a errore lieve, imprudenza moderata o semplice eccesso di fiducia nel futuro non precludono l’accesso alla procedura. La Cassazione ha confermato questa svolta: ad esempio, con ordinanza Cass. 22890/2023 ha cassato un diniego di omologa basato sui vecchi parametri, ribadendo che il giudizio di meritevolezza va aggiornato alla luce del nuovo art. 69 CCII, che esclude rilevanza della colpa lieve del debitore. Ciò significa che oggi il tribunale valuta soprattutto se vi siano frodi o colpe gravi (es. aver scientemente aumentato i debiti sapendo di non poter pagare), ma non può più negare la procedura per il solo fatto che il debitore abbia contratto obbligazioni in modo un po’ avventato o eccessivo rispetto alle sue finanze.
  • Merito creditizio (colpa del creditore): interessante novità è la previsione che in sede di omologa il giudice tenga conto anche del comportamento degli istituti finanziatori che hanno concesso credito irresponsabilmente. In altre parole, se banche o finanziarie hanno continuato a erogare prestiti al soggetto già indebitato, violando le regole di sana valutazione del merito creditizio, ciò gioca a favore del debitore: i creditori “imprudenti” non possono poi dolersi se il debitore chiede l’esdebitazione. Questa norma ha un portato sanzionatorio verso il credito facile e tutela i debitori consumatori che spesso si trovano sovraesposti anche per pratica commerciale aggressiva delle finanziarie.
  • Sospensione delle cessioni del quinto e delle trattenute stipendiali: il Codice chiarisce che quando viene aperta una procedura di sovraindebitamento, si bloccano le trattenute in corso sullo stipendio/pensione del debitore (cessioni del quinto, pignoramenti già attivi). Ciò evita che durante la procedura alcuni creditori continuino a soddisfarsi fuori concorso. Ad esempio, se l’ex imprenditore ora dipendente aveva una cessione del quinto per un prestito, l’avvio della procedura consente di sospenderla e ricomprendere quel debito nella soluzione generale.
  • Durata ridotta e esdebitazione automatica: per la procedura liquidatoria, il Codice prevede una durata massima di 3 anni (4 anni in casi particolari di liquidazione immobiliare), contro i precedenti 4+ anni della legge 3/2012. Inoltre, l’esdebitazione è automatica: non serve più una domanda separata a fine procedura, ma il giudice la dichiara (salvo motivi ostativi) una volta trascorso il triennio. Questo incentiva il debitore a scegliere la liquidazione sapendo che in tempi certi otterrà la liberazione dai debiti residui. Ad esempio, se Tizio consegna tutti i suoi beni alla liquidazione controllata e versa ai creditori quello che ricava in 3 anni, al termine ottiene automaticamente la cancellazione del restante debito, potendo ripartire da zero.
  • Introduzione dell’esdebitazione per il debitore incapiente: di cui si dirà tra poco, è stata inserita una procedura radicale per i casi più disperati, in cui il debitore non ha alcuna risorsa da offrire ai creditori. In tali casi, una volta nella vita, egli può chiedere comunque di essere esdebitato, a certe condizioni, anche se i creditori non ricevono nulla. È un istituto di “esdebitazione a zero”, che prima non era concepibile (la legge 3 richiedeva almeno la liquidazione del patrimonio, anche se esiguo).

In sintesi, la filosofia attuale della normativa italiana (anche recependo la Direttiva UE 2019/1023) è quella di bilanciare gli interessi dei creditori con il diritto al risanamento del debitore insolvente onesto. I creditori vengono soddisfatti per quanto possibile in modo organizzato (anziché in ordine sparso e litigioso), e il debitore ottiene – se rispetta le regole e agisce con trasparenza – la “riabilitazione” economica e sociale, vedendo cancellati i debiti irrestanziali. Per un ex imprenditore di costruzioni oberato dai debiti, queste procedure rappresentano spesso l’unica via d’uscita definitiva: a confermarlo vi sono ormai numerose pronunce dei tribunali che hanno permesso a piccoli imprenditori edili di liberarsi dai debiti una volta completato il percorso concorsuale.

Vediamo ora nel dettaglio le singole procedure (Piano del consumatore, Concordato minore e Liquidazione controllata), ciascuna con le sue caratteristiche, per capire quale sia la più adatta a un determinato profilo di debitore.

Piano del Consumatore (ristrutturazione dei debiti del consumatore)

Il Piano del consumatore è lo strumento pensato per le persone fisiche non fallibili che hanno contratto debiti come privati, cioè fuori dall’attività imprenditoriale. Si tratta di una procedura di ristrutturazione dei debiti rivolta tipicamente a famiglie, lavoratori dipendenti, pensionati e in generale soggetti senza partita IVA, oppure con partita IVA ma i cui debiti siano esclusivamente personali (non legati alla produzione di reddito). È il caso, ad esempio, di un ex imprenditore che dopo aver chiuso l’attività lavori come dipendente: se i suoi debiti residui derivano da prestiti personali, spese familiari, carte di credito, bollette, canoni, garanzie personali, ecc., egli può qualificarsi come consumatore rispetto a quei debiti e accedere a questa procedura. Viceversa, se i debiti derivano in misura rilevante dall’attività d’impresa (es. fornitori, leasing di macchinari), il debitore non sarà considerato un “consumatore” e dovrà orientarsi verso il concordato minore. La normativa vieta infatti al debitore-consumatore di “scegliere” il concordato minore solo per aggirare i requisiti del piano del consumatore: ogni figura deve usare l’istituto appropriato.

Caratteristiche del Piano del consumatore:

  • È una proposta di pagamento dilazionato o parziale dei debiti che il debitore formula in base alla sua situazione reddituale. Deve essere un piano di pagamenti sostenibile rispetto ai redditi del debitore, cioè calibrato su ciò che il debitore realistico può pagare senza ledere il proprio minimo vitale. Ad esempio, un ex imprenditore ora impiegato con stipendio di €1.500/mese potrebbe proporre di pagare €400 al mese per 5 anni (€24.000 totali) a fronte di debiti complessivi per €80.000, ripartendo il ricavato proporzionalmente tra i creditori.
  • Non richiede il voto dei creditori. Questa è una peculiarità rilevante: diversamente dal concordato, nel piano del consumatore i creditori non sono chiamati ad approvare la proposta. Sarà il Tribunale a valutare ed eventualmente omologare il piano, anche in presenza di opposizioni dei creditori. Ciò ovviamente richiede che il piano soddisfi tutte le condizioni di legge (fattibilità, meritevolezza del debitore, convenienza per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria). Se il giudice ritiene equo il piano, lo omologa d’ufficio e imponendone l’esecuzione a tutti i creditori, anche dissenzienti. Questa “imposizione” è giustificata dalla natura non imprenditoriale del debitore, che merita una corsia protetta.
  • Controllo di meritevolezza: come visto sopra, il debitore consumatore deve superare il vaglio di meritevolezza. In base all’art. 69 CCII (già art. 7, co.2, lett. d-ter L.3/2012) il piano è ammesso solo se il sovraindebitamento non è imputabile a dolo, colpa grave o frode del debitore. Ciò significa, in pratica, che non deve emergere una condotta gravemente scorretta: ad es. avere contratto debiti sapendo di non poterli pagare, sperperare capitali in gioco d’azzardo o lusso immotivato, falsificare documenti per ottenere credito, ecc. Comportamenti del genere porterebbero all’inammissibilità del piano. Invece, errori di gestione economica ordinaria, scelte imprenditoriali sbagliate o eventi negativi (crisi di mercato, insolvenza di clienti, malattie, divorzi, pandemia) non sono ostacoli se non raggiungono il grado di colpa grave o frode. Ad esempio, il titolare di impresa edile che abbia accumulato debiti perché alcuni clienti importanti non lo hanno pagato, costringendolo a chiudere, rimane meritevole: il suo indebitamento non è doloso né gravemente colposo, ma conseguenza di rischi d’impresa e magari di scelte infelici ma non fraudolente.
  • Requisiti soggettivi: il piano del consumatore si applica a tutte le persone fisiche, inclusi imprenditori individuali ed ex imprenditori, purché i debiti che inseriscono nel piano siano di natura personale/consumeristica. In concreto:
    • Debiti da mutui, finanziamenti personali, carte di credito, prestiti tra privati, scoperti di conto per spese familiari, canoni vari, debiti di condominio, bollette non pagate, ecc. rientrano nel piano.
    • Debiti verso fornitori commerciali, leasing aziendali, debiti IVA o verso dipendenti dell’azienda, ecc., se riguardano l’attività d’impresa, di regola non possono essere trattati col piano del consumatore (farebbero qualificare il debitore come imprenditore). Tuttavia, c’è un certo margine interpretativo: alcune pronunce hanno ammesso piccoli debiti “commerciali” nel piano del consumatore, se marginali rispetto al totale. Ad esempio, se un ex artigiano ha 90% debiti personali e un 10% di pendenze residuali con un fornitore, taluni tribunali hanno consentito il piano del consumatore includendo quel fornitore minore. In ogni caso, è una valutazione caso per caso.
    • Debiti di tipo tributario possono rientrare, anche se contratti per attività di impresa, se il soggetto ora è un consumatore. Ad esempio, cartelle esattoriali per IRPEF o contributi INPS non versati dall’ex imprenditore possono essere inserite nel piano (vedi infra per il trattamento particolare dei tributi).
  • Contenuto del piano: il debitore, con l’ausilio di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) e di un professionista, redige un piano che descrive:
    • l’elenco completo dei creditori e dei debiti (importi, cause, eventuali privilegi o garanzie);
    • le risorse che il debitore mette a disposizione per pagarli (redditi futuri per X anni, patrimonio liquidabile, eventuali apporti di terzi – es. un parente disponibile a contribuire finanziariamente);
    • la proposta di riparto di tali risorse tra i creditori. Di norma, si segue la priorità delle cause di prelazione: ad esempio, se c’è un debito ipotecario sulla casa, il piano deve prevedere che il creditore ipotecario venga soddisfatto almeno nei limiti del valore di realizzo dell’immobile, prima di pagare i chirografari. I creditori chirografari (senza garanzie) ricevono di solito una percentuale ridotta del loro credito (es. 20%, 50%… a seconda delle risorse disponibili). Il piano può prevedere moratorie, rateizzazioni, vendita di singoli beni non essenziali con devoluzione del ricavato, ecc.
    • la durata del piano: non c’è un termine fisso, ma il principio di durata ragionevole impone che non sia eccessivamente lungo. In genere i piani del consumatore durano tra i 3 e i 5 anni. La riforma ha indicato indirettamente che 5-6 anni sono il limite per un concordato minore; per analogia anche un piano del consumatore difficilmente supera tale arco temporale, salvo eccezioni motivate.
  • Procedimento: il debitore deposita ricorso al tribunale di residenza, allegando il piano e una relazione particolareggiata dell’OCC sulla sua situazione (redditi, cause dell’indebitamento, eventuali atti in frode, e l’attestazione che il piano è fattibile e che i creditori ottengono almeno quanto otterrebbero in una liquidazione). Il Tribunale valuta in prima battuta l’ammissibilità (requisiti formali, meritevolezza, completezza documentale) e, se supera questa fase, fissa un’udienza per l’eventuale comparizione dei creditori. Importante: su istanza del debitore, nelle more il giudice può sospendere eventuali esecuzioni già in corso che possano pregiudicare il piano – ad esempio può bloccare temporaneamente un’asta della casa se il piano prevede che quella casa venga venduta diversamente o rifinanziata. All’udienza, i creditori possono comparire per contestare il piano (es. sostenendo che il debitore non è meritevole o che ha sottostimato certi valori). Il giudice quindi decide se omologare il piano: verifica che ai creditori sia assicurato un trattamento non inferiore a quello che avrebbero ottenuto dalla liquidazione del patrimonio (principio di convenienza) e che il debitore sia meritevole. Se dà omologa, il piano diventa vincolante per tutti i creditori anteriori. Le eventuali cause esecutive pendenti vengono dichiarate improcedibili e i creditori devono accontentarsi di quanto previsto nel piano. Un gestore nominato dal tribunale (spesso lo stesso OCC) sovrintende all’esecuzione, riscuotendo i pagamenti del debitore e distribuendoli ai creditori secondo le percentuali stabilite.
  • Effetti finali: se il debitore esegue regolarmente il piano fino alla fine, ottiene l’integrale esdebitazione per la parte di debiti che eccede quanto pagato. Significa che i creditori non possono più pretendere nulla di aggiuntivo e le obbligazioni si considerano estinte (vengono cancellate le eventuali pendenze residue). Se invece il debitore non riesce a rispettare il piano (es. salta diverse rate per sopravvenute difficoltà), il piano può essere revocato e i creditori riacquistano la libertà di agire. Tuttavia, spesso il giudice può anche apportare piccole modifiche per venire incontro al debitore (ad es. una proroga, se si tratta di un ritardo temporaneo non grave).

Esempio pratico: Tribunale di Pavia, sentenza 29/3/2021. Un pensionato 75enne si trovava con €125.000 di debiti (per lo più finanziarie e arretrati vari), impossibili da pagare con la sola pensione. Ha presentato un Piano del consumatore che prevedeva la vendita volontaria di un piccolo immobile di proprietà e il versamento ai creditori del ricavato, integrato da parte della pensione eccedente il minimo vitale. Il tribunale ha omologato il piano e, a seguito della liquidazione del bene e di alcuni versamenti rateali, l’uomo ha pagato circa il 40% del dovuto; la quota restante dei debiti è stata azzerata grazie all’esdebitazione finale. Questo caso mostra che il piano del consumatore può includere anche una componente di liquidazione patrimoniale (vendita di beni), senza bisogno di aprire una procedura di liquidazione separata: è possibile proporre un piano “misto” in cui si pagano i creditori in parte con somme rateizzate e in parte con il ricavato di cessioni di beni non essenziali.

In conclusione, il Piano del consumatore è la soluzione ideale quando l’ex imprenditore:

  • ha ora un reddito certo (stipendio, pensione) con cui può sostenere pagamenti periodici;
  • i suoi debiti residui sono prevalentemente di natura personale o comunque non professionale, oppure riconducibili a garanzie personali prestate;
  • desidera evitare di liquidare tutti i propri beni, mantenendo magari la casa o l’auto, e ha margini per pagare qualcosa mensilmente;
  • può dimostrare la meritevolezza, ossia di non aver colpe gravi nell’aver contratto quei debiti.

Va notato che anche i debiti verso il Fisco e gli enti pubblici possono essere inseriti nel piano del consumatore. La Gazzetta del Debitore ad esempio sottolinea che tutti i debiti fiscali, anche se già a ruolo con cartella esattoriale, possono essere compresi e cancellati nella procedura. Ciò distingue il piano dalle mere dilazioni fiscali (rottamazioni), perché qui si possono persino eliminare sanzioni, interessi e parte del capitale. Un punto controverso riguarda l’IVA: alcuni tribunali hanno ritenuto ammissibile la cancellazione totale del debito IVA nel piano, altri invece esigono almeno un pagamento parziale ritenendo la natura pubblicistica dell’IVA meritevole di tutela. Ad ogni modo, la tendenza attuale è di includere anche l’IVA, purché il trattamento del Fisco nel piano sia congruo rispetto a quello degli altri creditori (non discriminatorio in peius).

Vantaggi riassuntivi del Piano del consumatore:

  • Nessuna votazione dei creditori (decisione affidata al giudice).
  • Possibilità di conservare beni essenziali (l’abitazione, se il piano prevede di mantenerla pagando i creditori in altro modo).
  • Flessibilità nelle modalità di pagamento (rate sostenibili in base al reddito).
  • Sospensione di pignoramenti e azioni esecutive durante la procedura su ordine del giudice.
  • Al termine, cancellazione totale dei debiti residui non pagati.

Svantaggi/limiti:

  • Accessibile solo a debitori non imprenditori per quei debiti (non adatto se la massa debitoria è in gran parte commerciale).
  • Il debitore è sottoposto a verifica di meritevolezza e trasparenza: occorre esporre tutta la propria situazione economica e storica, e non aver compiuto atti in frode (ad es. non si deve aver “nascosto” soldi o beni prima di chiedere il piano, altrimenti il giudice rigetta la richiesta).
  • Se la situazione è troppo compromessa e il reddito insufficiente persino a un piano minimale, potrebbe non esserci materia per un piano fattibile – in tal caso si dovrà optare per la liquidazione controllata o l’esdebitazione di nullatenenti.

In definitiva, per l’ex titolare di impresa di costruzioni che dopo la cessazione è diventato lavoratore dipendente, privo di rilevanti beni immobili ma con uno stipendio mensile, il piano del consumatore rappresenta spesso lo strumento ideale. Egli potrà proporre di destinare ai creditori la parte di stipendio che eccede il suo fabbisogno (minimo vitale) per un periodo definito, dopodiché sarà libero dai debiti.

Concordato Minore (accordo di ristrutturazione per imprese e professionisti)

Il Concordato minore è lo strumento parallelo al piano del consumatore, riservato però ai debitori che hanno debiti derivanti da attività d’impresa o professionale. In origine, nella Legge 3/2012, era chiamato “accordo di composizione della crisi”; il Codice della crisi lo ha ridenominato e ne ha modificato alcuni aspetti. Si potrebbe definire come un “piccolo concordato preventivo” per soggetti non fallibili.

Rientrano in questa categoria:

  • gli imprenditori commerciali sotto soglia (le famose soglie di non fallibilità: attivo ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000, debiti ≤ €500.000 negli ultimi 3 esercizi);
  • gli imprenditori cessati che non siano stati assoggettati a fallimento entro l’anno dalla cessazione (trascorso un anno, non possono più essere dichiarati falliti, quindi diventano “non fallibili” e accedono al concordato minore);
  • gli imprenditori agricoli (esenti da fallimento per legge, art. 1 l.fall., ora comunque ammessi alle procedure di sovraindebitamento);
  • i professionisti (avvocati, ingegneri, medici con debiti professionali);
  • gli start-up innovative (che per legge godono di esenzione dal fallimento nei primi anni);
  • le società di persone e le associazioni professionali che rientrano nei limiti di non fallibilità;
  • le persone fisiche che hanno garantito debiti altrui di natura imprenditoriale (es: il fideiussore di un’azienda non fallibile).

In generale, tutti i debitori “non fallibili” ai sensi dell’art. 1 l.fall. possono accedere al concordato minore. Anche un consumatore potrebbe teoricamente proporlo, ma la legge glielo vieta espressamente come detto, perché il consumatore ha già il suo strumento specifico. Dunque il concordato minore è per chi ha partita IVA o comunque debiti “aziendali”. Ad esempio, un ex titolare di impresa edile che ha chiuso da poco e ha debiti con fornitori, banche (fidi aziendali), subappaltatori, oltre magari a qualche debito personale, dovrà seguire il concordato minore per includere l’intera esposizione.

Caratteristiche del Concordato minore:

  • Proposta ai creditori e voto: a differenza del piano del consumatore, qui i creditori sono chiamati a votare la proposta. Il debitore, sempre con l’aiuto di un OCC e di un attestatore se necessario, predispone un piano di concordato che può prevedere:
    • il pagamento parziale dei crediti secondo un certo ordine di priorità e percentuale,
    • eventualmente la cessione di beni o di azienda, la continuità aziendale (se l’impresa prosegue l’attività) oppure la liquidazione di alcuni asset,
    • può offrire anche risorse esterne (denaro apportato da terzi, come un familiare, soci, investitori) per aumentare il soddisfacimento dei creditori,
    • può prevedere misure particolari come la suddivisione dei creditori in classi se opportuno (ad es. separare banche, fornitori chirografari, creditori privilegiati) anche se nelle piccole crisi spesso non si fa classazione complessa,
    • l’eventuale mantenimento di beni indispensabili: per esempio, il debitore può proporre di tenere la casa di abitazione se ciò non lede i creditori, compensandoli magari con denaro di terzi di valore equivalente. Alcune pronunce hanno aperto a questa possibilità: Tribunale di La Spezia 30/8/2023 e Tribunale di Cagliari 21/9/2023 hanno ammesso concordati minori con carattere “liquidatorio” dove però il debitore conferiva risorse aggiuntive per evitare la vendita della casa. Questo può salvare l’abitazione se il debitore trova mezzi alternativi per soddisfare almeno in parte i creditori ipotecari (es. un parente paga una somma concordata).
    Una volta depositata la proposta, il Tribunale verifica la fattibilità e ammissibilità, poi dispone che i creditori vengano convocati per esprimere il voto (eventualmente il voto si raccoglie per iscritto tramite OCC). La soglia per l’approvazione è il voto favorevole di creditori rappresentanti almeno il 50% dei crediti (maggioranza per teste e per valore). Questa è una novità migliorativa: prima era richiesto il 60%, ora basta la maggioranza semplice dei crediti votanti (e il silenzio equivale ad assenso dopo 30 giorni, come nel concordato preventivo). Se la maggioranza è raggiunta, si va in omologa; se non si raggiunge, il concordato non è approvato e il debitore può essere costretto a ripiegare sulla liquidazione controllata.
  • Nessun automatic stay, ma sospendibilità delle esecuzioni: la presentazione del concordato minore di per sé non sospende automaticamente le azioni esecutive (non c’è l’automatismo del “blocco dei creditori” come nel fallimento). Tuttavia, il debitore può chiedere al giudice, già nel decreto di ammissione, di disporre la sospensione dei singoli pignoramenti in corso che possano compromettere la fattibilità del piano (analogamente al piano del consumatore). Spesso i tribunali concedono misure protettive temporanee, soprattutto se è stato attivato il procedimento di composizione negoziata (strumento extragiudiziale introdotto nel 2021) preludio al concordato minore. In definitiva, durante la fase di trattativa e voto, il debitore può ottenere un po’ di respiro dalle aggressioni individuali.
  • Continuità aziendale o cessazione: il concordato minore può essere:
    • in continuità: se il debitore prosegue l’attività imprenditoriale durante e dopo la procedura. In tal caso il piano dovrà mostrare che la continuazione genera flussi sufficienti a pagare i creditori secondo l’accordo. Nel contesto di un ex titolare di impresa di costruzioni, la continuità può riferirsi a continuare come ditta individuale ridimensionata o come progetto di rilancio, ma spesso in questi casi l’attività è già cessata.
    • liquidatorio: se il debitore non continua l’impresa ma mette a disposizione tutti i suoi beni (o i beni dell’impresa cessata) per pagarli. In passato la legge 3/2012 richiedeva in questo caso almeno il 60% di consenso dei creditori (per evitare concordati liquidatori che aggirassero il fallimento). Ora questo limite non c’è più e si ammette il concordato minore anche a carattere liquidatorio puro, purché abbia il voto favorevole dei creditori. In altre parole, se i creditori preferiscono gestire la liquidazione consensualmente col debitore invece che chiederne la liquidazione controllata forzata, possono farlo. Questo ha senso in situazioni in cui ad esempio c’è un solo immobile e i creditori ipotecari trovano conveniente un accordo, oppure in contesti di creditori particolarmente collaborativi.
  • Ruolo del Tribunale: una volta raccolti i voti, se c’è la maggioranza il Tribunale procede all’omologazione. In questa fase i creditori dissenzienti possono fare opposizione lamentando, ad esempio, violazioni di legge o che avrebbero ricevuto di più in un’alternativa liquidazione. Il giudice valuta la convenienza per i creditori dissenzienti (non devono essere danneggiati rispetto a ciò che otterrebbero dalla liquidazione controllata) e il rispetto delle priorità di legge (ad es. non si può dare ai chirografari più che ai privilegiati se questi non vengono soddisfatti almeno in parte, salvo espressa rinuncia dei privilegiati). Se tutto è regolare, emette decreto di omologa che rende vincolante il concordato per tutti i creditori anteriori, anche per chi ha votato contro o non si è presentato. Da notare: mentre nel piano del consumatore il giudice valuta anche la meritevolezza soggettiva, nel concordato minore l’elemento soggettivo è meno stringente. Un tempo la L.3/2012 richiedeva la “meritevolezza” solo per il piano del consumatore. Col Codice, la formula di non imputabilità a colpa grave/dolo è estesa come requisito generale (art. 66 CCII prevede che nessuna procedura è accessibile se il debitore ha frodato i creditori). Quindi in caso di comportamenti fraudolenti potrebbe essere negato anche il concordato minore (es: se l’ex imprenditore ha distratto beni prima). Ma errori gestionali o colpe generiche non impediscono l’accordo se i creditori sono comunque favorevoli. Anzi, spesso i creditori votano tenendo conto dell’offerta economica più che della condotta del debitore.
  • Esecuzione e esdebitazione: se il concordato è omologato, il debitore (o il liquidatore nominato, se previsto) deve eseguire quanto promesso. Una volta eseguite le obbligazioni concordatarie (es. pagamento del 30% a tutti in 4 anni, ecc.), il debitore ottiene l’esdebitazione per la parte residua dei debiti concorsuali. Se invece non adempie al concordato omologato, i creditori possono chiedere la risoluzione del concordato e, in quel caso, spesso viene aperta d’ufficio la liquidazione controllata (per non lasciare i creditori senza tutela).

Esempio pratico: Tribunale di Treviso, decreto 7/2/2023 – Riguarda proprio un ex imprenditore individuale edile cancellato dal registro imprese da oltre un anno, con debiti principalmente verso la banca per un mutuo ipotecario sulla casa e verso l’erario per arretrati IVA. Questo soggetto non poteva più essere dichiarato fallito (essendo trascorso l’anno dalla cessazione) e aveva perso lo status di imprenditore attivo. Il tribunale ha osservato che l’unica alternativa all’esecuzione individuale (pignoramento e vendita della casa) era la procedura di sovraindebitamento, in particolare il concordato minore o la liquidazione controllata. Poiché il debitore voleva cercare di salvare l’abitazione, ha proposto un concordato minore offrendo ai creditori ipotecari una somma proveniente dalla famiglia (in misura pari al valore di mercato della casa al netto del mutuo) e ai creditori chirografari una percentuale modesta. In tal modo, soddisfacendo adeguatamente la banca, il debitore è riuscito a mantenere la proprietà della casa, con sacrificio minimo per gli altri creditori grazie all’apporto di risorse esterne. Il concordato è stato approvato dai creditori (la banca chiaramente favorevole perché otteneva subito un pagamento) e omologato dal tribunale. Questo caso dimostra che nel concordato minore è possibile strutturare soluzioni flessibili e creative: l’obiettivo non è liquidare tutto a ogni costo, ma massimizzare la soddisfazione dei creditori in linea con i loro interessi, anche permettendo al debitore di conservare beni se ciò non danneggia il ceto creditorio.

Concordato minore vs. Liquidazione controllata: spesso il debitore in crisi si chiede quale procedura scegliere. Il concordato minore ha senso quando c’è la possibilità di offrire ai creditori qualcosa in più rispetto alla semplice liquidazione (ad esempio continuando l’attività e generando utili futuri, o coinvolgendo terzi finanziatori), e quando si ritiene di poter ottenere l’adesione (esplicita o tacita) di almeno metà dei crediti. Se i creditori sono troppi o ingestibili, o se il debitore non ha alcuna risorsa aggiuntiva da mettere in gioco oltre ai beni esistenti, allora la via più pratica è la liquidazione controllata (vedi oltre). La legge consente al debitore di provare prima il concordato; se fallisce (manca l’accordo), nulla vieta di ripiegare sulla liquidazione successivamente.

Vantaggi del Concordato minore:

  • Permette anche all’imprenditore (non fallibile) di ristrutturare i debiti mantenendo eventualmente in vita l’impresa (diversamente dalla liquidazione che la estingue). È quindi indicato se c’è ancora un business sostenibile da portare avanti.
  • Il debitore può conservare alcuni beni funzionali all’impresa o alla vita quotidiana, con l’accordo dei creditori, invece di liquidare tutto indiscriminatamente.
  • La soglia di adesione è relativamente bassa (50%), e il silenzio è consenso, il che aiuta nelle situazioni con molti piccoli creditori disattenti.
  • Si possono trattare tutti i tipi di debito, inclusi quelli fiscali, con la possibilità di stralci consistenti (purché l’erario voti a favore, oppure anche se contrario, il giudice può omologare se ritiene la proposta comunque più vantaggiosa per l’erario rispetto alla liquidazione).
  • Dopo l’omologa, i creditori perdono i diritti originari e devono attenersi al piano concordatario: il debitore ha quindi la protezione della forza di legge per i pagamenti concordati, senza timore di azioni individuali.

Svantaggi/limiti:

  • Richiede un certo consenso dei creditori: se c’è ostilità generalizzata, il concordato non passa. Alcuni creditori strategici (es. la banca ipotecaria) hanno di fatto potere di veto se detengono più del 50% dei crediti.
  • Il debitore resta in carica (se c’è continuità) ma sotto la vigilanza di un commissario giudiziale nominato dal tribunale, con obblighi periodici di informazione.
  • In caso di classi di creditori, bisogna rispettare regole più complesse (artt. 78-81 CCII) e potenziali contestazioni di trattamento disparitario.
  • La procedura può essere lunga: mediamente 1 anno per arrivare all’omologa, poi gli adempimenti possono durare altri 3-5 anni. Quindi il debitore resta imbrigliato nella procedura per un periodo non brevissimo, benché la riforma miri a contenere i tempi entro limiti ragionevoli (indicativamente, 5-6 anni massimo per completare i pagamenti di un concordato minore).

Per l’ex imprenditore edile con molti debiti d’impresa, il concordato minore è spesso la prima scelta: consente di negoziare con i creditori una soluzione dove magari non si liquida ogni bene personale. Ad esempio, se l’ex imprenditore ha un capannone o dei mezzi che potrebbero generare reddito se messi a frutto, con il concordato minore può provare a tenerli e pagare i creditori col reddito prodotto. Invece, nella liquidazione controllata tali beni verrebbero venduti all’asta e l’attività cesserebbe. Dunque, quando c’è ancora capacità produttiva, è opportuno tentare il concordato minore. Se invece l’impresa è definitivamente chiusa e non c’è prospettiva di recupero economico, tanto vale considerare la liquidazione.

Liquidazione Controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio)

La Liquidazione controllata (disciplinata dagli artt. 268-277 CCII) è la procedura concorsuale “finale” per il sovraindebitato. Equivale, in sostanza, a una liquidazione giudiziale (fallimento) su piccola scala, ma con importanti garanzie per la persona del debitore, prima fra tutte la possibilità di ottenere l’esdebitazione. Si ricorre alla liquidazione quando non è possibile o conveniente un piano di ristrutturazione. Può essere chiesta dallo stesso debitore, oppure – novità del Codice – richiesta da un creditore o dal P.M. in alcuni casi (ad esempio, se il debitore ha cessato l’attività ed è insolvente). Quest’ultima ipotesi rende simile la liquidazione controllata a un fallimento: i creditori possono promuoverla coattivamente. Tuttavia, la legge ha posto dei limiti per evitare abusi: ad esempio, se è passato più di un anno dalla cessazione dell’attività di un imprenditore, i creditori non possono più chiedere la liquidazione controllata, mentre l’ex imprenditore può comunque domandarla volontariamente per liberarsi dei debiti (questa modifica – introdotta con il correttivo 2023 – risolve un precedente squilibrio).

Caratteristiche della Liquidazione controllata:

  • Universalità e spossessamento: con l’apertura della liquidazione, tutti i beni del debitore diventano oggetto della procedura concorsuale. Si ha uno spossessamento simile a quello fallimentare: un liquidatore nominato dal tribunale prende in carico il patrimonio, lo inventaria e provvede a convertirlo in denaro (vendita beni mobili, immobili, crediti). Il debitore non perde formalmente la titolarità dei beni fino alla vendita, ma ne perde la disponibilità: non può più gestirli liberamente né disporne in favore di qualcuno. I beni futuri (acquisiti dopo l’apertura) di norma non entrano, tranne una parte dei redditi futuri: la legge infatti prevede che per tutta la durata della procedura il debitore debba versare ai creditori la porzione di reddito che eccede il minimo vitale per sé e la famiglia. Il concetto di minimo vitale è preso, come detto, dall’assegno sociale aumentato in base al nucleo familiare. Ad esempio, se un ex imprenditore single in liquidazione guadagna €1.200 al mese e il minimo per lui è fissato in €800, dovrà versare €400 mensili al liquidatore perché siano destinati ai creditori.
  • Durata massima: il Codice fissa a 3 anni (dalla dichiarazione di apertura) il periodo ordinario di liquidazione. Entro tale termine il liquidatore cerca di vendere i beni e raccogliere attivo. Se qualche bene rimane invenduto o qualche azione è pendente, la procedura può proseguire oltre il triennio, ma ciò non ostacola l’esdebitazione allo scadere del triennio. In pratica, dopo 3 anni il debitore può essere esdebitato, e la liquidazione continua solo per distribuire eventuali attivi sopravvenuti (ovviamente l’esdebitazione non tocca i debiti eventualmente garantiti da quei beni residui, ma in generale dopo 3 anni il debitore è libero personalmente). Questa norma tutela il debitore da procedure interminabili – un difetto riscontrato in alcuni casi con la vecchia legge 3/2012.
  • Soggetti coinvolti: la liquidazione controllata può riguardare sia consumatori che piccoli imprenditori. È di fatto aperta a tutti i sovraindebitati, salvo che abbiano già beneficiato di esdebitazione nei 5 anni precedenti o commesso atti dolosi (in tal caso il tribunale può rigettare la richiesta). Come accennato, possono chiederla:
    • il debitore stesso, con ricorso volontario, riconoscendo di non riuscire a pagare i debiti (una sorta di “autofallimento”);
    • un creditore, dimostrando lo stato di insolvenza del debitore non fallibile (es. un ex artigiano che ha cessato l’attività e non paga i debiti);
    • il Pubblico Ministero, se emergono situazioni di insolvenza in ambiti che richiedono il suo intervento (es. debiti di enti non profit che coinvolgono interessi pubblici).
    Se a chiedere la liquidazione è un creditore imprenditore o professionista, la legge richiede il tentativo preventivo di composizione negoziata (art. 268 co. 2 CCII): in altri termini, vorrebbero evitare che i creditori precipitino subito il debitore in liquidazione senza aver esplorato soluzioni concordatarie. Ma se il debitore non collabora o la composizione fallisce, la richiesta di liquidazione è accolta.
  • Procedimento: il tribunale verifica che ricorrano i presupposti (insolvenza del debitore, non fattibilità di altre soluzioni, completezza documenti). Una volta dichiarata aperta la liquidazione controllata, si produce un effetto simile alla sentenza di fallimento:
    • gli eventuali pignoramenti individuali in corso vengono travolti (i beni pignorati confluiscono nella massa liquidatoria);
    • i creditori devono presentare domanda di ammissione al passivo entro un termine (come nelle procedure concorsuali, si forma lo stato passivo);
    • viene nominato un Giudice Delegato e un Liquidatore che amministrano la procedura;
    • il liquidatore può compiere azioni revocatorie o di inefficacia per recuperare atti fatti prima dell’apertura in pregiudizio ai creditori (ad es. vendite a familiari a prezzi stracciati nei 2 anni precedenti possono essere revocate);
    • tutti i debiti anteriori all’apertura restano congelati e saranno soddisfatti solo col concorso nella liquidazione; eventuali debiti nuovi (ad es. bollette successive all’apertura) restano a carico del debitore ma in linea di massima sono gestibili separatamente perché le entrate successive vanno prima a mantenimento del minimo vitale.
  • Vendita dei beni e riparto: il liquidatore procede a monetizzare il patrimonio: indice aste per gli immobili, vende beni mobili (anche tramite siti web specializzati), riscuote i crediti verso terzi (magari intraprende azioni legali se qualcuno doveva soldi al debitore). Una particolarità: il liquidatore può anche valutare piani del debitore. Cioè, se il debitore durante la liquidazione trova un accordo con i creditori per evitare la vendita di tutto – per dire, se un parente offre una somma forfettaria per chiudere – il liquidatore può sottoporre la cosa al giudice, il quale sentiti i creditori, può sospendere la liquidazione in favore di quel accordo transattivo. Questo era previsto già nella legge 3 (conversione della liquidazione in accordo se trovata intesa). In pratica, la liquidazione è la via “di default”, ma se emergono opportunità migliori per i creditori, si possono cogliere.
  • Chiusura e esdebitazione: arrivati a tre anni, il liquidatore fa il punto: se tutto è finito prima, bene; se qualcosa resta (es. un immobile non venduto per mancanza di offerte), la procedura può proseguire tecnicamente, ma il debitore ha diritto a ottenere l’esdebitazione su domanda (che ora viene presentata nell’ambito della procedura stessa, non serve un giudizio a parte). Salvo che siano emerse irregolarità gravi (tipo frodi), il giudice dichiara inesigibili tutti i debiti residui non soddisfatti. Il debitore torna libero dalle obbligazioni pregresse. Nota: l’esdebitazione può essere negata solo in casi specifici, simili a quelli del fallimento (se il debitore non ha collaborato, ha sottratto attivo ai creditori, ha ritardato dolosamente la procedura, ecc.). Ma si tratta di eccezioni. Nella maggior parte dei casi di liquidazione controllata conclusa, il debitore ottiene la cancellazione totale dei debiti e può ricominciare con un patrimonio netto zero ma anche zero debiti.

Trattamento dei creditori particolari: come nel fallimento, i creditori privilegiati (es. ipotecari, pignoratizi, privilegiati ex art. 2751 bis c.c. ecc.) vengono soddisfatti per prelazione sul ricavato dei beni vincolati o privilegiati. Se ad esempio c’è un mutuo ipotecario, la banca ipotecaria riceverà il ricavato della vendita dell’immobile fino a concorrenza del credito (se avanza qualcosa va ai chirografari). I creditori chirografari ricevono in proporzione l’eventuale attivo residuo dopo i privilegi. Spesso nelle liquidazioni dei sovraindebitati l’attivo è modesto (il classico caso: casa all’asta copre a malapena la banca ipotecaria, niente rimane per gli altri), quindi i chirografari prendono zero o pochi centesimi. Ciò nondimeno, al termine anch’essi vengono esdebitati (non possono più pretendere nulla dal debitore).

Esempio pratico: Tribunale di Udine, decreti 14/10/2020 – Due titolari di ditte individuali edili, schiacciati dai debiti, hanno ceduto l’azienda e chiesto l’apertura della liquidazione del patrimonio. Il prezzo ricavato dalla cessione è entrato nella massa attiva a beneficio dei creditori. Entrambi gli ex imprenditori hanno trovato un nuovo lavoro come dipendenti. Il tribunale ha stabilito che anche una parte dei loro futuri stipendi confluirà nella liquidazione: nello specifico, ogni mese dovranno versare la quota eccedente il minimo vitale, mantenendo per sé solo l’importo pari all’assegno sociale aumentato della metà. In un caso uno dei debitori guadagnava meno di €500 mensili; il giudice ha quindi precisato che, finché il suo reddito resterà così basso (sotto il minimo vitale di circa €690 all’epoca), non dovrà versare nulla ai creditori. Quando e se avrà redditi maggiori, inizierà a cedere la parte eccedente. Queste decisioni mostrano la flessibilità umana della procedura: la legge garantisce al debitore di mantenere sempre quanto necessario per vivere dignitosamente, e modula i versamenti alle capacità effettive. Al termine dei 4 anni (all’epoca la legge prevedeva 4 anni, ora ridotti a 3), i due imprenditori – che avevano debiti per centinaia di migliaia di euro – saranno liberati integralmente da ogni residuo, avendo sacrificato l’azienda e versato ai creditori solo quanto ricavato da essa e dai loro stipendi eccedenti il minimo.

L’esdebitazione del fallito e il debitore incapiente: occorre sottolineare che la liquidazione controllata è l’unica via che consente l’esdebitazione in caso di fallimento personale. Se l’ex imprenditore edile fosse stato soggetto a liquidazione giudiziale (ex fallimento), avrebbe comunque potuto chiedere l’esdebitazione ex art. 282 CCII, ma quella si ottiene solo dopo aver chiuso il fallimento e pagando almeno in parte i creditori (o dimostrando di aver cooperato). Nel sovraindebitamento invece la esdebitazione è integrata: si dà per scontato che, se il debitore ha fatto il possibile e ha rispettato le regole, deve essere liberato. In passato, qualcuno temeva che restassero fuori dalla liberazione i debiti erariali, specie l’IVA, per via di normative UE. Ma la Cassazione ha ormai chiarito che anche i debiti IVA e tributari si estinguono con l’esdebitazione se inclusi in queste procedure, purché non vi siano frodi. Infatti la direttiva UE 2019/1023 impone agli Stati membri di prevedere la liberazione integrale dell’imprenditore onesto dalle sue passività entro 3 anni.

Un particolare interessante è l’istituto del debitore incapiente (art. 283 CCII), spesso chiamato “esdebitazione senza utilità”. Si tratta di un sottocaso della liquidazione controllata: se il debitore non ha alcun bene liquidabile né redditi aggredibili, può ugualmente chiedere di essere esdebitato subito, senza dover affrontare una liquidazione pluriennale praticamente inutile. Il tribunale valuta la domanda e, se accerta che:

  1. il debitore è meritevole (non ha colpe gravi né atti in frode),
  2. non dispone effettivamente di nulla da offrire ai creditori, nemmeno in prospettiva,

allora emette un decreto di esdebitazione del debitore incapiente. Tutti i debiti sono dichiarati inesigibili. Questa possibilità è concessa una sola volta nella vita, proprio per evitare abusi: è un “colpo di spugna” eccezionale per situazioni disperate. Chi ne beneficia, per contro, ha l’obbligo morale e giuridico di avvisare i creditori se entro 4 anni ottiene un miglioramento imprevisto (es. un’eredità cospicua, una vincita). In tal caso, se i nuovi beni permetterebbero di pagare almeno il 10% di ogni credito, il debitore deve metterli a disposizione pro-quota. È come dire: “ti cancelliamo i debiti perché non hai nulla, ma se nel breve futuro diventi benestante, una parte (fino al 10%) dovrai comunque destinarla a quei creditori, in fairness”. Se il debitore tace e non segnala l’acquisizione di ricchezza entro 4 anni, il beneficio può essere revocato. In ogni caso, trascorsi 4 anni di condotta regolare, anche un eventuale miglioramento successivo non comporterà nulla: il debitore resterà definitivamente libero senza obblighi verso i vecchi creditori.

Esempio pratico: Tribunale di Milano, 15/7/2021 – Un ingegnere si era indebitato per circa €45.000, ma a causa di disoccupazione e problemi di salute era totalmente privo di beni e guadagnava zero. Ha chiesto l’esdebitazione come incapiente. Il tribunale l’ha concessa, dichiarando inesigibili tutti i €45.000 di debiti. È stato uno dei primi casi applicativi della nuova norma (in vigore in via anticipata già dal 2020). L’uomo è stato liberato dai debiti senza dover pagare nulla, essendo accertata la sua completa incapienza economica. Dovrà però comunicare ai creditori e all’OCC se, entro 4 anni, troverà un lavoro o riceverà somme che gli consentano di rimborsare almeno €4.500 (cioè il 10%). In tal caso, dovrà versare quell’importo, ripartendolo ai creditori; se non lo farà e verrà scoperto, rischierebbe la revoca dell’esdebitazione. Questo istituto è dunque pensato come rete di protezione estrema contro il debito perpetuo, ma con un meccanismo di salvaguardia del credito per eventuali colpi di fortuna del debitore.

Vantaggi della Liquidazione controllata:

  • È spesso l’unica soluzione se non c’è accordo possibile: tutti i debiti vengono trattati in modo unificato e definitivo, senza bisogno di convincere i creditori uno a uno.
  • Appena aperta la procedura, il debitore è protetto: cessano le azioni esecutive individuali e i pignoramenti in corso vengono assorbiti. I creditori devono far valere le pretese solo nella procedura.
  • Il debitore ha comunque diritto a mantenere un minimo vitale impignorabile per sé e la famiglia.
  • La durata è relativamente breve (3 anni per l’esdebitazione), e l’esdebitazione è automatizzata, non discrezionale come in passato.
  • Tutti i tipi di debito sono cancellabili, incluse tasse, multe, contributi, ecc. (eccezione: eventuali obblighi di mantenimento, alimenti al coniuge/figli, che per legge restano esclusi dall’esdebitazione).
  • Anche se inizialmente dolorosa (perdita dei beni), la procedura porta il debitore a ripulirsi dai debiti e poter ripartire senza zavorre.

Svantaggi:

  • Comporta la perdita del patrimonio: la casa, se di valore per i creditori, verrà venduta (salvo eccezioni come visto) e il debitore dovrà trovare soluzioni abitative alternative (ad es. in affitto). Per un ex imprenditore edile, spesso la casa di famiglia era stata data in garanzia ipotecaria, quindi nella liquidazione quasi sicuramente sarà liquidata se il creditore ipotecario non è soddisfatto altrimenti.
  • Segue un iter paragonabile a un fallimento: c’è una certa “stigmatizzazione” sociale, anche se attenuata rispetto al fallimento classico (non c’è iscrizione nel registro dei falliti, ma rimane traccia nei registri delle procedure concorsuali).
  • Durante i 3 anni, il debitore è sotto controllo: deve collaborare lealmente col liquidatore, ogni comportamento malizioso può portare a sanzioni (ad es. se nasconde un bene, commette reato di bancarotta semplice o impropria ex art. 344 CCII).
  • Non c’è flessibilità: una volta avviata, la procedura fa il suo corso indipendentemente dalla volontà dei creditori (che anzi, in questo caso subiscono passivamente il risultato spesso modesto della liquidazione). Perciò i creditori chirografari recuperano quasi sempre poco o nulla, ma sono costretti ad accettarlo.

Quando scegliere la liquidazione controllata? In genere:

  • se il debito complessivo è enorme e non c’è prospettiva di pagare più di una frazione minima (es. debiti per 1 milione, patrimonio 100k – percentuale pagabile 10%: probabile che i creditori non accetterebbero un concordato al 10%, quindi tanto vale liquidare e ottenere l’esdebitazione);
  • se i creditori sono troppo dispersi o conflittuali per sperare in un accordo (ad es. decine di piccoli fornitori rancorosi – la soglia del 50% potrebbe non raggiungersi);
  • se il debitore preferisce “mettere fine” subito alla storia imprenditoriale, cedendo tutto e chiudendo i conti, anziché restare imbrigliato in un piano di pagamento lungo e incerto;
  • se il debitore non ha un reddito certo per impegnarsi in un piano (pensiamo all’ex imprenditore disoccupato e privo di beni: in tal caso la via corretta è la liquidazione o addirittura l’esdebitazione incapiente, come visto).

In conclusione, la liquidazione controllata è un’arma potente per liberarsi definitivamente dai debiti, al prezzo di un sacrificio patrimoniale totale e di qualche anno di restrizioni. Per molti ex imprenditori falliti di fatto, è il percorso di riabilitazione economica che consente di tornare a una vita normale. Numerose sentenze negli ultimi anni hanno mostrato la portata di sollievo sociale di questa procedura: ad esempio, un caso eclatante è quello di un ex amministratore di una società edile (S.p.A.) in Lombardia che, pur proveniendo da una realtà formalmente fallibile, è riuscito ad accedere alla liquidazione nell’ambito del sovraindebitamento (in quanto socio-garante non fallito) e ha ottenuto la cancellazione di 3,7 milioni di euro di debiti con banche. Ciò evidenzia come anche situazioni debitorie enormi possano trovare soluzione attraverso l’esdebitazione sovraindebitamento, quando le vie “tradizionali” (concordati preventivi, ecc.) non erano percorribili.

Debiti verso fornitori: come gestirli e difendersi

Un focus particolare va dedicato ai debiti commerciali verso fornitori, molto comuni nel settore edile. Tipicamente, un’impresa di costruzioni cessata lascia dietro di sé fatture non pagate a fornitori di materiali, subappaltatori, noli a caldo, consulenti tecnici, ecc. Questi creditori, spesso anch’essi PMI, tendono ad essere aggressivi nel recupero, anche per necessità di cassa. Dal punto di vista dell’ex titolare debitore, ecco cosa bisogna sapere e come agire:

  • Verificare la legittimità del debito: sembra banale, ma il primo passo è confermare che il debito verso il fornitore sia certo, liquido ed esigibile nell’importo richiesto. A volte, in situazione di fine attività confusa, possono emergere contestazioni: merci consegnate parzialmente, vizi nelle forniture, errori di fatturazione, applicazione di penali non dovute, ecc. Se c’è una contestazione sostanziale su una fattura, il debitore ha titolo per opporsi al decreto ingiuntivo e chiedere al giudice una riduzione o annullamento dell’importo. Ad esempio, se un fornitore di calcestruzzo emette fattura per 100 mc ma ne ha consegnati solo 80, è legittimo contestare €20 di fornitura inesistente. Ovviamente, serve provarlo (bolle, documenti di cantiere). Anche la prescrizione va valutata: i crediti commerciali di regola si prescrivono in 5 anni (art. 2948 c.c.), se il fornitore è rimasto inattivo per lungo tempo. Tuttavia, attenzione: è frequente che il decorso della prescrizione sia interrotto da solleciti, raccomandate o riconoscimenti di debito; inoltre molti fornitori agiscono entro 1-2 anni. Dunque, salvo eccezioni, raramente un debito commerciale sfuma in prescrizione prima che il fornitore si attivi.
  • Negoziare un accordo transattivo: come già accennato nella parte stragiudiziale, con i fornitori – specie se locali o conosciuti personalmente – si può tentare un saldo e stralcio. Spiegare la propria situazione di dissesto e offrire un pagamento parziale immediato (magari con l’aiuto di parenti o tramite un finanziamento) può portare il fornitore ad accettare e chiudere il rapporto. Molti fornitori, a malincuore, preferiscono “prendere il poco e chiudere” piuttosto che inseguire per anni un cliente ormai fallito con rischio di non ottenere nulla. È importante non fare promesse vane: meglio offrire 20 subito (se li si ha) piuttosto che promettere di pagare 100 in 10 rate se poi non si hanno entrate. La credibilità nel rispettare l’accordo è tutto.
  • Tutelarsi dalle società di recupero crediti: capita che il fornitore ceda il credito a una società di factoring o di recupero crediti. Queste società spesso mettono in atto un pressing telefonico o epistolare, talora al limite della molestia. Il debitore ha comunque diritti: può pretendere che ogni comunicazione avvenga per iscritto, può diffidare il recuperatore dal contattare soggetti terzi (es. vicini, parenti, datore di lavoro, il che sarebbe violazione della privacy e può configurare molestie). Se il recupero diventa aggressivo, è possibile segnalarlo all’AGCM o alla polizia postale. Tuttavia, sul piano sostanziale, la cessione del credito non cambia i termini: se il debito è dovuto, il cessionario può agire legalmente allo stesso modo. In sede di trattativa, le società di recupero spesso hanno acquistato il credito a prezzo ridotto, quindi possono accettare stralci con più facilità (es. hanno comprato a 20 un credito di 100, se il debitore offre 30 realizzano un profitto).
  • Inserire i fornitori in un piano/accordo di sovraindebitamento: all’interno di un piano del consumatore o concordato minore, i debiti verso fornitori vengono trattati come crediti chirografari (a meno che il fornitore avesse privilegi particolari, cosa rara: ad es. il subappaltatore edile potrebbe avere privilegio edilizio ex art. 2764 c.c., ma di solito tali privilegi non coprono l’intero credito). Ciò significa che riceveranno la percentuale prevista per i chirografari. Spesso, purtroppo, questa percentuale è bassa (dipende dalle risorse disponibili). Tuttavia, per il fornitore aderire a una procedura concorsuale può essere conveniente perché almeno ottiene una distribuzione equa con gli altri, ed evita spese ulteriori. Se non aderisse e il debitore andasse in liquidazione, rischierebbe di non vedere nulla. Dal punto di vista pratico, quando si elabora un piano o concordato, può essere saggio classare separatamente alcuni creditori strategici: ad esempio, mettere tutti i piccoli fornitori in un’unica classe promettendo loro la medesima (sia pur bassa) percentuale. Questo evita disparità e rende più probabile un voto favorevole del gruppo (o che non si oppongano). Ricordiamo che nel concordato minore basta il 50% totale: dunque, se i fornitori nel complesso non superano metà del debito, anche se votassero contro ma la banca e il fisco (che rappresentano il grosso) votano a favore, il concordato passa. Nel piano del consumatore, invece, i fornitori non votano affatto: potranno solo eventualmente contestare l’omologa, ma se il giudice ritiene il piano corretto, se ne faranno una ragione. Dal loro punto di vista, dovranno accettare la percentuale e i tempi decisi dal piano omologato.
  • Difese legali nelle cause promosse dai fornitori: se un fornitore procede giudizialmente (es. atto di citazione o decreto ingiuntivo), il debitore deve valutare con un avvocato eventuali opposizioni. Le motivazioni classiche di opposizione a decreto ingiuntivo sono: contestazione della fornitura (come detto), eccezione di incompetenza territoriale (a volte utile per prendere tempo, ma spesso si risolve con riassunzione), eccezione di prescrizione, domanda riconvenzionale di risarcimento (se ad esempio il materiale fornito era difettoso e ha causato danni). In difetto di ragioni concrete, opporsi solo per ritardare può essere controproducente: si rischiano ulteriori spese legali e alla fine il debito sarà confermato in sentenza con aggravio. Meglio in tal caso concentrarsi sulla procedura concorsuale, che una volta avviata travolge anche la sentenza ottenuta dal singolo fornitore, portandolo sul terreno comune del concorso.
  • Pignoramenti da parte di fornitori: un fornitore che ottiene un titolo cercherà rapidamente di pignorare qualcosa. Spesso punterà al conto corrente aziendale o personale del debitore (sapendo che troverà forse liquidità) oppure al magazzino o ai beni strumentali (nel caso di ditta individuale). Se il pignoramento colpisce beni ancora utili per l’attività (macchinari, attrezzature), può mettere definitivamente in ginocchio il debitore. Per questo, appena appare inevitabile il crollo, l’imprenditore dovrebbe valutare di mettere in sicurezza gli attrezzi indispensabili prima che vengano pignorati, ad esempio facendoli formalmente cedere a terzi di fiducia prima che inizino le azioni (attenzione: queste operazioni potrebbero però essere revocate se fatte troppo a ridosso dell’insolvenza). Un’altra tattica, se il debitore sta per avviare una procedura di sovraindebitamento, è di chiedere al giudice la sospensione specifica della singola esecuzione avviata dal fornitore, come detto sopra. I tribunali di solito accolgono tali richieste se vedono che la procedura concorsuale è ben avviata e che il pignoramento minaccia di vanificare il piano (es. la vendita di un mezzo chiave per generare reddito futuro).
  • Preservare i rapporti reputazionali: molti ex imprenditori, specie in comunità locali, tengono anche alla reputazione e ai rapporti personali con fornitori storici. In certi casi, mostrare buona fede e trasparenza aiuta: incontrare il fornitore, spiegare la situazione, magari offrire piccoli pagamenti periodici informali (anche €100 al mese in attesa della procedura) può mantenere un clima meno conflittuale, inducendo il fornitore a non infierire. Purché questo non si traduca in pagamenti preferenziali vietati se poi si va in procedura (nei 6 mesi prima, pagare un fornitore e non altri può essere revocato, attenzione!). Bisogna calibrare bene. Spesso i professionisti del settore consigliano: “o paghi tutti i fornitori proporzionalmente, o non ne paghi nessuno prima della procedura, per evitare azioni revocatorie”. Questa è una regola prudente da seguire: se si hanno risorse limitate, meglio conservarle e poi distribuirle nell’ambito della procedura erga omnes, piuttosto che soddisfare solo alcuni creditori e rischiare poi contenziosi.

In conclusione, verso i fornitori l’arma principale di difesa del debitore è includerli in una procedura di sovraindebitamento (piano o concordato) che cristallizzi le loro pretese e le soddisfi nei limiti del possibile. Durante la fase preparatoria, l’ex imprenditore deve evitare errori (pagamenti preferenziali, distrazioni di beni) e, se possibile, prendere accordi temporanei per evitare il collasso immediato. Una volta omologato un piano o aperta la liquidazione, i fornitori diventeranno partecipanti al concorso insieme agli altri creditori e dovranno rispettare l’iter stabilito dal tribunale.

Debiti fiscali e con enti previdenziali

Un ex imprenditore di costruzioni può ritrovarsi con debiti verso il Fisco (Agenzia delle Entrate e Agenzia Riscossione) e verso enti previdenziali (INPS, Casse edili) derivanti dalla gestione dell’impresa. Questi debiti – che spesso spaventano per via delle possibili sanzioni e interessi – sono affrontabili anch’essi nelle procedure di sovraindebitamento. Anzi, spesso costituiscono la parte preponderante del debito. Occorre considerare:

  • Inclusione nei piani e accordi: le norme non escludono affatto i debiti tributari dalle procedure di composizione. La Gazzetta del Debitore conferma esplicitamente che la legge sul sovraindebitamento si applica a tutti i debiti fiscali, anche già iscritti a ruolo e cartellati. Ciò significa che, ad esempio, cartelle esattoriali per IVA, IRAP, contributi, multe stradali, IMU ecc. possono essere stralciate mediante un piano del consumatore o concordato minore. Questo offre un vantaggio enorme rispetto alla semplice “rottamazione” delle cartelle: con la rottamazione il debitore deve comunque pagare tutto il capitale in massimo 18 rate (a cui vengono tolti interessi e sanzioni), mentre col sovraindebitamento può proporre di pagare solo una parte del capitale e cancellare il resto. Ad esempio, se l’ex imprenditore ha €100.000 di cartelle, potrebbe, nel piano, proporne il pagamento parziale (diciamo €30.000) con contestuale rinuncia a €70.000 di crediti da parte dell’Erario.
  • Transazione fiscale interna: i debiti erariali godono di alcune tutele normative. Nella legge 3/2012 c’era l’obbligo che, se si proponeva di pagare meno del 100% di tributi come IVA e ritenute, la proposta dovesse assicurare almeno il pagamento dei debiti con privilegio nelle stesse percentuali degli altri privilegiati e comunque non meno del 10% (ex art. 7, co.1, L.3/2012, come mod. dal DL 137/2020). Col Codice della crisi, i vincoli sono analoghi: l’Agenzia Entrate può partecipare al voto nel concordato minore e, se non approva, il tribunale può omologare ugualmente solo se la proposta fiscale è conveniente rispetto alla liquidazione (art. 80 CCII). Per il piano del consumatore, invece, non c’è voto ma il giudice valuta d’ufficio la convenienza per il Fisco. In pratica, il debitore non può trattare il Fisco peggio degli altri creditori. Deve offrire all’Erario almeno quanto otterrebbe vendendo i beni con privilegio (es. se c’è un immobile a garanzia dell’ipoteca di Equitalia, il piano deve dare a Equitalia almeno quel valore netto di realizzo).
  • IVA e atti dovuti: un punto delicato è l’IVA, perché la normativa UE di principio vieta allo Stato di rinunciare al gettito IVA. Ciononostante, la giurisprudenza italiana negli ultimi anni ha ammesso la falcidia dell’IVA nei piani di sovraindebitamento, equiparando il regime a quello del concordato preventivo (dove l’IVA può essere falcidiata se c’è voto favorevole dell’ente creditore). Alcuni tribunali hanno consentito anche la cancellazione totale dell’IVA in casi estremi, altri han concesso solo parzialmente. In ogni caso, oggi non è più un tabù prevedere uno stralcio dell’IVA se è l’unico modo per rendere sostenibile il piano. L’Agenzia delle Entrate, per parte sua, tende a votare favorevolmente se la proposta è ragionevole (consapevole che alternative come la liquidazione spesso darebbero zero). Ci sono circolari interne che invitano gli uffici a valutare con apertura gli accordi ex L.3/2012.
  • Debiti INPS e previdenziali: questi sono assimilati ai debiti verso l’erario (crediti privilegiati). Ad esempio i contributi non versati ai dipendenti o alla gestione artigiani. Possono essere falcidiati anche loro. L’INPS partecipa solitamente alle votazioni come altro creditore pubblico. Va ricordato però che i contributi previdenziali dei dipendenti (trattenute non versate) potrebbero avere uno status particolare di privilegio superprioritario (come le ritenute operate e non versate, equiparabili a peculato): su quelli di solito si cerca di offrire almeno un pagamento significativo.
  • Multe e sanzioni amministrative: le multe stradali, sanzioni amministrative, ecc., rientrano tra i debiti falcidiabili. Il debitore potrebbe teoricamente proporre di pagarle in minima parte. Non ci sono divieti, trattandosi di crediti non di natura tributaria (le sanzioni tributarie invece seguono il destino del tributo, e spesso sono tra i primi importi ad essere tagliati). Ad esempio, in un caso di sovraindebitamento familiare gestito dal Tribunale di Bologna (2022), è stata omologata la proposta che prevedeva il pagamento solo del 5% di un cumulo di multe comunali, ritenendo che comunque il Comune in liquidazione non avrebbe ottenuto di più.
  • Ipoteca esattoriale sulla casa: se l’ex imprenditore possiede una casa di proprietà, e ha debiti fiscali > €20.000, è probabile che Equitalia (ora ADER) abbia iscritto ipoteca esattoriale sull’immobile. Ciò dà all’ente un privilegio su quell’immobile. Come già spiegato, per legge Equitalia non può espropriare l’unica casa se il debitore vi risiede e non è di lusso, ma l’ipoteca resta valida (serve a bloccare eventuali vendite e garantire che se mai la casa viene ceduta, le entrate vadano al Fisco). Nella procedura concorsuale, quell’ipoteca va considerata: se la casa viene venduta in liquidazione, ADER sarà trattato come creditore ipotecario e incasserà fino a soddisfazione del suo credito prima di altri chirografari. Se invece il debitore propone un concordato e vuole mantenere la casa, dovrà prevedere di pagare all’ADER un importo pari almeno al valore di mercato della casa meno eventuali ipoteche prioritarie (in pratica riscattare l’ipoteca). In mancanza, difficilmente il giudice approverebbe far mantenere la casa al debitore mentre l’ente ipotecario rimane insoddisfatto. Dunque, un ex imprenditore con grossi debiti fiscali e casa ipotecata dal Fisco avrà interesse a vendere la casa e ripartire in affitto, oppure trovare un accordo specifico con l’ADER (spesso in questi casi l’ADER accetta di accontentarsi del valore d’asta dell’immobile, evitando la procedura: ma servono soldi freschi).
  • Ruolo dell’OCC e documentazione: per i debiti fiscali, è cruciale avere la situazione aggiornata delle cartelle e accertamenti. Il debitore dovrebbe farsi rilasciare dall’Agente della Riscossione un estratto conto delle posizioni debitorie, e inserire tutte le cartelle nella procedura, anche quelle sospese o in rateazione. Durante la procedura, la presenza di una rateazione (rottamazione) decaduta di solito non crea problemi: la rottamazione non è più applicabile e si tratta il debito come ordinario. Va anche notificato all’ADER l’eventuale apertura della procedura, cosicché sospenda iniziative di recupero. Per i debiti IVA dichiarati e non versati, a volte sorgono questioni penali (omesso versamento IVA sopra soglie rilevanti è reato): la pendenza della procedura di sovraindebitamento non estingue il reato, ma se poi l’IVA viene anche parzialmente pagata in concordato potrebbe rilevare come causa di non punibilità (in caso di integrale pagamento entro certi termini). Sono questioni incrociate da valutare con un legale penalista eventualmente.

In sintesi, i debiti verso il Fisco e gli enti pubblici non sono affatto esclusi dalla gestione concorsuale. Anzi, la possibilità di falcidiare tali debiti è uno dei punti di forza del sistema sovraindebitamento rispetto alle tradizionali soluzioni fiscali (dilazioni, ecc.). È importante trattare l’Erario in modo corretto nel piano (offrendo il massimo realizzabile equo) per ottenere il via libera del giudice. Molti piani vengono omologati con stralci notevoli di tributi, in quanto il tribunale riconosce che “piuttosto che niente, è meglio piuttosto”: se il debitore onestamente non può pagare, è interesse dello stesso Stato permettergli di tornare produttivo piuttosto che tenerlo per sempre ostaggio del debito fiscale. Questa è ormai la filosofia sottesa, anche suffragata dalla Cassazione e dalla Corte di Giustizia UE.

Come fermare sul nascere le azioni di recupero e difendersi legalmente

Riassumiamo ora alcuni consigli operativi su come difendersi dalle azioni dei creditori, specie nella fase in cui ancora non si è entrati in una procedura concorsuale o la si sta preparando:

  1. Attivarsi tempestivamente: la difesa migliore è non aspettare che la situazione degeneri. Se l’impresa è già chiusa o sta per chiudere e i debiti non sono pagabili, muoversi subito per predisporre un piano o accordo di sovraindebitamento. Prima lo si fa, più facile è mettere un freno ai creditori. Ad esempio, se si presenta un ricorso per sovraindebitamento prima che la casa finisca all’asta, si può chiedere di sospendere l’asta. Se invece si lascia che l’asta avvenga, poi sarà tardi: il bene sarà aggiudicato e il debitore avrà perso asset e rimarrà comunque con debito residuo se il ricavato non copre.
  2. Centralizzare la difesa con la procedura concorsuale: come filo conduttore di questa guida, appare chiaro che la procedura di sovraindebitamento è il “contenitore” ottimale dove far confluire tutte le posizioni debitorie e risolverle in modo ordinato. Dunque, ogni azione specifica di difesa (opposizioni, reclami) va valutata anche alla luce di questo obiettivo finale. Inutile vincere una battaglietta legale se poi si perde la guerra finanziaria. Ad esempio, opporsi a un singolo decreto ingiuntivo per guadagnare 6 mesi potrebbe non servire se in quei 6 mesi altri 5 creditori iniziano cause. Più saggio è presentare in quei 6 mesi un piano omnicomprensivo che, se accettato, spegnerà tutte le cause in un colpo.
  3. Conoscere i propri diritti nelle esecuzioni: se un creditore ha già un titolo:
    • Verificare notifiche e termini: molti decreti ingiuntivi diventano definitivi solo perché il debitore non li ha visti o compresi in tempo. Tenere d’occhio la propria posta (anche PEC se si è ex imprenditori) è essenziale. Se c’è un vizio di notifica, lo si può far valere, a volte anche tardivamente.
    • Evitare l’accanimento difensivo: come detto, opporsi senza valide ragioni può solo peggiorare la posizione (condanna alle spese, ecc.). Meglio concentrare le risorse economiche per la procedura concorsuale e quelle emotive per cooperare col professionista che la seguirà.
    • Utilizzare le “fibre” del codice di procedura: il codice prevede ad esempio la conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.) ossia la facoltà del debitore, prima che si tenga l’asta, di evitare la vendita depositando una somma pari al debito + spese + 1/5 (a cauzione). Se l’ex imprenditore trova un prestito familiare o ipotecario per coprire l’importo richiesto, può bloccare il pignoramento immobiliare convertendolo in denaro da distribuire ai creditori pignoranti. Questo può essere propedeutico a un accordo poi formalizzato. Altro istituto: la rateizzazione del debito in sede esecutiva (art. 586 c.p.c. mod. L. 119/2016) che però è assai rara e concessa solo in casi eccezionali (il giudice esecutivo può sospendere la vendita se il debitore offre un piano di pagamento serio, ma è discrezionale e raramente applicato).
    • Sapere cosa non è pignorabile: la legge tutela alcuni beni: oltre al già citato minimo vitale su stipendi e conti, non sono pignorabili gli strumenti di lavoro indispensabili (nei limiti di 3/5 del valore, art. 515 c.p.c.), i beni di uso quotidiano (letto, elettrodomestici essenziali, vestiti, etc., art. 514 c.p.c.), i ricordi di famiglia, gli animali di affezione. Quindi se un ufficiale giudiziario entra in casa del debitore, ci sono confini a ciò che può prendere. Nel caso di un imprenditore edile, i beni come attrezzi e veicoli da lavoro sono pignorabili, ma se li utilizza come dipendente in proprio, potrebbe difenderli parzialmente come strumenti di lavoro (linea sottile, dipende).
    • Rapporti con i garanti/fideiussori: spesso i creditori (es. banca) hanno anche un fideiussore terzo (magari un familiare). Il sovraindebitamento del debitore principale non copre automaticamente il fideiussore, che rimane obbligato. Tuttavia, se il debitore principale ottiene l’esdebitazione, la banca non può più rivalersi su di lui, ma mantiene l’azione verso il garante. Ciò è rilevante: se l’ex imprenditore ha fatto da garante a debiti di società o viceversa ha garanti per i suoi, occorre coordinare eventuali procedure per entrambi se possibile (anche con la procedura familiare se c’è vincolo di parentela). Un garante escusso poi ha a sua volta un credito di regresso, che potrebbe far valere nella procedura del debitore principale (ma se il principale è esdebitato, quel credito di regresso non sarà più esigibile).
  4. Affidarsi a professionisti esperti: difendersi dai debiti è un compito arduo e tecnicamente complesso. Un ex imprenditore dovrebbe farsi assistere da:
    • un avvocato specializzato in crisi d’impresa e sovraindebitamento, per impostare la strategia legale generale e curare gli aspetti procedurali in tribunale;
    • un Organismo di Composizione della Crisi (OCC), obbligatorio per accedere alle procedure di sovraindebitamento. L’OCC nominerà un professionista (gestore) che redige la relazione e affianca il debitore nella redazione del piano. Spesso il gestore è un commercialista o avvocato con specifica formazione.
    • eventualmente un consulente finanziario per stimare i valori dei beni, un perito immobiliare per valutare la casa (informazione utile per decidere se tenerla o liquidarla), ecc.
    I costi di tali assistenze possono essere onerosi, ma molti OCC pubblici (presso Camere di Commercio o Ordini professionali) offrono tariffe calmierate. Inoltre, le spese dell’OCC e dei professionisti possono essere inserite nel piano come crediti prededucibili da pagare dilazionati. In pratica, non serve avere subito tanti soldi per pagare i professionisti: essi spesso accettano di essere soddisfatti nell’ambito della procedura stessa. Ad esempio, l’OCC potrebbe prendere 2-3% dell’attivo liquidato, pagandosi a fine procedura, o ricevere piccole percentuali nelle ripartizioni periodiche.
  5. Mantenere la buona fede e la trasparenza: ultimo consiglio, ma forse il più importante: il debitore che vuole difendersi legalmente deve agire in buona fede. Significa:
    • Non nascondere beni o redditi agli occhi del tribunale. Tutto va dichiarato nella documentazione: conti, immobili, eventuali polizze, partecipazioni. L’OCC farà controlli incrociati (Camera di Commercio, PRA, catasto, banche dati) e scoprirebbe facilmente omissioni. Se emergono, la procedura può saltare e addirittura scaturire denunce per atti in frode.
    • Non favorire alcuni creditori a discapito di altri quando si è già insolventi. Pagare “sottobanco” un fornitore amico e non gli altri può sembrare umanamente comprensibile, ma se fatto nei 6 mesi (per i chirografari) o 1 anno (per i privilegiati) prima della domanda di sovraindebitamento, rischia di essere revocato o di pregiudicare la meritevolezza. Meglio astenersi da favoritismi, e se proprio indispensabile (ad es. pagare bollette per non farsi staccare la luce) documentare bene le ragioni.
    • Cooperare con gli organi della procedura: una volta iniziata la procedura, seguire le indicazioni del gestore/commissario, fornire rapidamente ogni documento richiesto, informare tempestivamente di eventuali variazioni (es. si trova un nuovo lavoro? va comunicato subito perché incide sul piano). Questo atteggiamento cooperativo è fondamentale per ottenere la fiducia del giudice e la concessione dell’esdebitazione finale senza intoppi.

Se il debitore rispetta questi principi, la legge è dalla sua parte: come si è visto, l’attuale quadro normativo italiano è assai più favorevole ai debitori sovraindebitati rispetto a 15 anni fa. Oggi l’ordinamento riconosce il diritto del debitore onesto alla liberazione dai debiti e alla conservazione di un minimo di dignità economica. I creditori non possono più “infierire” oltre il ragionevole; devono accettare soluzioni di compromesso. Le recenti sentenze, anche di legittimità, confermano questo spirito: ad esempio, la Cassazione ha sottolineato che il giudizio di meritevolezza va condotto con minor severità verso il consumatore sovraindebitato, escludendo di fatto la rilevanza di condotte semplicemente imprudenti. Ciò segna un cambio di paradigma: dal vecchio stigma “hai fatto debiti, devi pagarli tutti” a una visione più sociale “hai diritto a una seconda chance se hai fatto tutto il possibile”.

Casi giurisprudenziali recenti significativi

Per dare concretezza a quanto esposto, si riportano alcuni casi giudiziari recenti riguardanti ex imprenditori indebitati e l’applicazione degli strumenti di sovraindebitamento:

  • Cassazione Civile, Sez. I, 27 luglio 2023 n. 22890: la Suprema Corte, in un caso di piano del consumatore proposto da un ex imprenditore, ha chiarito che la valutazione della meritevolezza deve adeguarsi ai nuovi criteri introdotti dal Codice della crisi, che richiedono solo l’assenza di colpa grave, malafede o frode del debitore. Ha cassato la decisione di merito che aveva negato l’omologa basandosi sui vecchi parametri di sproporzione tra credito ottenuto e capacità patrimoniali. La Cassazione ha affermato che non è più motivo di inammissibilità il fatto di aver assunto obbligazioni senza ragionevole prospettiva di adempiervi o di aver fatto ricorso al credito in modo eccessivo, se ciò non integra frode o colpa grave. Questo precedente è importante perché uniforma l’interpretazione: giudici di merito devono “abbassare l’asticella” ed ammettere al piano anche debitori che abbiano commesso leggerezze, purché non vere e proprie malizie.
  • Tribunale di Treviso, decreto 7 febbraio 2023 (in IlCaso.it, 2024, 146): caso citato in precedenza, in cui un imprenditore edile cessato con debiti ipotecari ha ottenuto l’apertura del concordato minore invece della liquidazione. Il tribunale ha evidenziato che, trascorso l’anno dalla cessazione, i creditori non potevano chiederne il fallimento (liquidazione giudiziale), e che quindi l’imprenditore poteva ancora proporre un concordato minore per evitare la perdita della casa di abitazione, apportando risorse esterne e garantendo ai creditori una soddisfazione apprezzabile. Questo provvedimento mostra la sensibilità dei giudici nel trovare soluzioni “umane” per i piccoli imprenditori: invece di spingerlo verso la liquidazione controllata immediata (che avrebbe portato all’asta della casa), hanno accolto il concordato che ha salvato l’immobile grazie all’intervento di familiari.
  • Tribunale di Milano, decreto 15 luglio 2021: già menzionato, dove si applica la nuova esdebitazione del debitore incapiente. Un soggetto privo di beni ha ottenuto la cancellazione di €45.000 di debiti senza alcun pagamento. Questo è stato uno dei primi riconoscimenti dell’istituto ex art. 14-quaterdecies L.3/2012 (oggi art. 283 CCII) a favore di un debitore che non aveva alcuna utilità da offrire. Il decreto ha condizionato la liberazione all’obbligo quadriennale di segnalare sopravvenienze attive, creando un precedente su come implementare quel controllo post-esdebitazione.
  • Tribunale di Brescia, sentenza 12 ottobre 2021: caso notevole di un ex CEO e fondatore di una S.p.A. (settore costruzioni) che, pur provenendo da un contesto corporate, ha utilizzato la liquidazione del patrimonio (Legge 3/2012) per liberarsi di debiti personali per €3,7 milioni verso banche. Il soggetto aveva garantito con fideiussioni i debiti della società poi fallita, ritrovandosi esposto per milioni. Non essendo lui fallito (era persona fisica distinta dalla società), ha potuto accedere alla procedura di sovraindebitamento come debitore civile. Il tribunale ha aperto la liquidazione e, dopo la vendita di alcuni beni (non coprenti l’intera somma), ha concesso l’esdebitazione del residuo. Questo evidenzia come la legge sul sovraindebitamento possa fungere anche da “paracadute” per imprenditori di società maggiori colpiti da garanzie personali, evitando che restino indebitati a vita.
  • Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, decreto 17 marzo 2022: interessante per il tema del mutuo cointestato tra coniugi. I coniugi, entrambi sovraindebitati, hanno presentato un piano del consumatore familiare congiunto. Il tribunale ha precisato che il giudice deve valutare la fattibilità del piano e la meritevolezza di ciascun debitore separatamente, ma che è possibile un unico giudizio. Ha inoltre sottolineato come i coniugi, avendo contratto il mutuo insieme, non possano risolvere la crisi se non con una soluzione coordinata. Il piano è stato omologato salvando la casa con una ristrutturazione del mutuo, ed è stato sospeso il pignoramento avviato dalla banca. Ciò dimostra l’utilità pratica della procedura familiare per risolvere con un solo colpo situazioni che coinvolgono entrambi i membri della famiglia.
  • Tribunale di Palermo, decreto 28 gennaio 2021: caso di imprenditrice individuale (negoziante) schiacciata da debiti tributari, che ha ottenuto l’apertura della liquidazione del patrimonio destinando solo il suo reddito futuro alla procedura (non avendo immobili). Il tribunale le ha lasciato un margine sullo stipendio (era nel frattempo divenuta dipendente) e al termine la libererà dai debiti erariali. È un esempio tipico in cui un ex imprenditore può “convertire” i debiti fiscali in una sorta di prelievo sul reddito per un periodo limitato, evitando così iscrizioni ipotecarie, ganasce fiscali o pignoramenti prolungati. Questo decreto è citato su Ri.Analisi come soluzione che ha bloccato un pignoramento in corso e una cessione del quinto grazie alla legge 3/2012.

Questi casi, tra i tanti, confermano l’orientamento ormai costante della giurisprudenza di merito: privilegiare soluzioni che conducano alla soddisfazione anche parziale dei creditori ma contestualmente alla liberazione del debitore. I tribunali sono diventati “problem solver” in materia di sovraindebitamento, cercando di cucire il risultato migliore date le circostanze. Fonti istituzionali autorevoli, come il Ministero della Giustizia, sottolineano nelle relazioni illustrative come queste procedure realizzino gli obblighi di dare una seconda opportunità ai debitori onesti, previsti dalla direttiva UE (cfr. considerando Dir. 1023/2019).

Domande Frequenti (FAQ)

D: La mia impresa individuale è stata chiusa, posso sperare che i debiti “spariscano” da soli col tempo?
R: No. La chiusura della partita IVA non estingue affatto i debiti dell’impresa. Essi restano a tuo carico personale e i creditori possono agire sul tuo patrimonio (presente e futuro) senza limiti di tempo, se non quelli dovuti alla prescrizione. Attenzione: la prescrizione per debiti contrattuali ordinari è 10 anni, per forniture 5 anni, per cartelle esattoriali in media 5 anni, ma può essere interrotta. Quindi nella pratica i debiti non “spariscono” a breve, anzi potrebbero seguirti per decenni con interessi. L’unico modo per liberartene è affrontarli con una delle procedure descritte (piano, concordato o liquidazione con esdebitazione). Se non fai nulla, i creditori possono – anche a distanza di anni – ripresentarsi e aggredire nuovi beni o redditi che dovessi acquisire. Conviene quindi agire proattivamente per risolvere la questione in via definitiva tramite la legge.

D: Ho dei soci con cui avevo l’impresa (società di persone). I debiti comuni possiamo gestirli insieme?
R: Sì, il Codice della crisi prevede la possibilità di un’unica procedura familiare o di gruppo anche per coobbligati. Se, ad esempio, due ex soci di una S.n.c. sono entrambi indebitati per i debiti sociali, possono presentare un ricorso congiunto (purché entrambi non fallibili). Il tribunale aprirà una procedura unica, nominando un OCC unico, ma tenendo distinte le masse attive/passive di ciascuno. Ogni socio pagherà con i propri beni, ma si risparmieranno costi perché molte attività procedurali sono comuni. Questa possibilità è utile anche coniugi o padre e figlio che abbiano garantito gli stessi debiti. Coordinare le procedure evita che uno paghi e l’altro no, o duplicazioni. Attenzione: se invece uno dei coobbligati è fallibile e viene dichiarato fallito, l’altro (non fallibile) dovrà seguire il sovraindebitamento a parte; non si possono unire una procedura fallimentare e una da sovraindebitamento, viaggiano separate.

D: Ho solo debiti personali (prestiti, carte, bollette, un mutuo per la casa) ma niente di commerciale: devo fare comunque il concordato minore?
R: No, in tal caso sei un consumatore sovraindebitato. Dovrai utilizzare il Piano del consumatore. Il concordato minore è riservato a chi ha debiti d’impresa o professionali. Se hai solo debiti personali, il piano del consumatore è più vantaggioso perché non richiede il voto dei creditori e valuta la tua meritevolezza secondo criteri “protettivi” per il consumatore. Ad esempio, un ex imprenditore che ha chiuso l’attività e i suoi debiti attuali sono un mutuo prima casa e prestiti personali rinegoziati (e nessun debito verso fornitori o fisco dell’attività), viene trattato come consumatore per questi debiti. Potrà fare il piano del consumatore per ristrutturarli magari abbattendo il mutuo (se la banca non è soddisfatta dalla vendita della casa). Si noti che professionisti e partite IVA con debiti personali (non legati all’attività) possono anch’essi usare il piano consumatore. L’importante è la natura del debito, non tanto lo status del soggetto.

D: Posso includere nel piano del consumatore anche i debiti di fornitura rimasti dell’attività che avevo?
R: Dipende. Formalmente, se i debiti derivano dall’attività d’impresa, le norme originarie non lo consentirebbero (saresti imprenditore e dovresti fare concordato minore). Tuttavia, come accennato, in alcuni casi la giurisprudenza ha tollerato che piccoli debiti commerciali residui vengano inclusi nel piano del consumatore, purché siano una parte minima del totale. Ad esempio, se hai 100k di debiti, di cui 90k prestiti personali e solo 10k verso un vecchio fornitore, un tribunale potrebbe ammettere il piano consumatore anziché costringerti al concordato minore. Ma se quella quota commerciale è significativa, è probabile che dovrai fare un concordato minore (se ancora formalmente imprenditore) oppure, se sei cessato da oltre un anno e non fallibile, potresti comunque essere considerato non consumatore per via dell’origine dei debiti. In pratica, se oltre il 50% dei tuoi debiti sono “di impresa”, preparati a seguire le regole del concordato minore. Se invece sono marginali, il tuo OCC potrà argomentare la prevalenza della posizione di consumatore e tentare il piano.

D: Ho debiti con l’Agenzia delle Entrate (IVA, tasse) e ho già una rateazione/rottamazione in corso ma non riesco a stare al passo. Posso passare alla procedura di sovraindebitamento?
R: Sì, assolutamente. La pendenza di una rateazione o rottamazione non preclude di chiedere un piano del consumatore o concordato. Se la rateazione non l’hai rispettata, di fatto decadrai e l’ADER potrebbe iniziare recupero. Ma se presenti per tempo la domanda di sovraindebitamento, la procedura concorsuale prevale. Potrai includere nel piano quei debiti anche se rottamati. Anzi, come detto, con il piano potrai forse offrire meno di quanto prevede la rottamazione (che normalmente chiede il 100% del capitale). Dovrai tuttavia motivare la ragione per cui all’Erario conviene accettare di meno (es. far vedere che se andasse all’asta la tua casa e in liquidazione, incasserebbe ancora meno). L’ADER valuterà e il giudice pure. Spesso, se non hai beni sufficienti, il giudice omologa anche senza un parere positivo esplicito dell’ADER, basandosi sull’evidenza che il piano dà il massimo possibile per il Fisco.

D: Rischio qualcosa a livello penale con queste procedure?
R: Le procedure di sovraindebitamento sono di natura civile. Non c’è una dichiarazione di fallimento (quindi non scattano automaticamente reati fallimentari). Tuttavia, attenzione: se hai commesso reati pregressi, la procedura non ti immunizza. Esempi: omesso versamento di IVA oltre soglia (reato tributario), bancarotta se eri tenuto a fallimento, distrazione di beni dell’impresa commessa prima di chiudere (potrebbe emergere come bancarotta fraudolenta postuma), falso in bilancio ecc. Questi reati seguono il loro corso indipendentemente dal sovraindebitamento. Anzi, l’OCC ha l’obbligo di segnalare eventuali fatti illeciti scoperti. Quindi non considerare la procedura un porto franco penale. Per fortuna, se non hai fatto atti dolosi particolari, difficilmente incorrerai nel penale. Anche l’omesso versamento contributi dipendenti, se regolarizzato nel piano prima della sentenza, evita la punibilità. Inoltre, se emergono piccole irregolarità (tipo mancanza di scritture contabili), spesso non vengono perseguite per irrilevanza se la procedura va a buon fine. L’importante è non compiere falsità o frodi durante la procedura: quelli sì che potrebbero costituire reati (es. frode ai creditori ex art. 388 CP se nascondi attivi, o dichiarazioni mendaci al tribunale). Quindi segui un principio di trasparenza per stare tranquillo anche sul fronte penale.

D: Potrò tenere la mia casa o la perderò?
R: Dipende dalla procedura scelta e dalla sostenibilità. Se la casa ha un mutuo e vuoi tenerla, l’ideale è il piano del consumatore: puoi proporre di rinegoziare il mutuo o di pagarne le rate normali, mettendo in minor misura a quel creditore (banca) e stralciando altri debiti. Il giudice può approvare, e tu continuerai a pagare il mutuo tenendo la casa. Nel concordato minore, tenere la casa è possibile solo se i creditori ipotecari sono consenzienti (raggiungendo il voto) o se porti risorse equivalenti alternative. Nella liquidazione, invece, la regola è che la casa è venduta per soddisfare i creditori (a meno che sia priva di valore significativo o nessuno la compri – ma se è l’unico immobile, di solito interessa). C’è un’eccezione: se la casa è gravata da mutuo, spesso in asta non coprirebbe l’intero debito ipotecario e gli altri crediti: se viene liquidata, tu perdi la casa ma resti comunque con un debito residuo verso la banca, che però poi sarà esdebitato. Alcune leggi speciali proteggono la prima casa dal Fisco (non da privati) impedendo esproprio, ma in liquidazione concorsuale quell’impedimento non opera per i privati. Quindi, concretamente, valuterai con il tuo consulente: tenere la casa è fattibile se hai redditi per servire il mutuo e se il piano è sostenibile anche pagando qualcosa agli altri; rinunciare alla casa diventa quasi obbligatorio se il tuo reddito è troppo basso e se la vendita della casa serve a fare cassa per i creditori. Ricorda però: se perdi la casa in liquidazione, dopo l’esdebitazione potrai ripartire senza debiti e magari un domani ricomprarne una con un nuovo mutuo; se invece cercassi di tenere la casa a tutti i costi fuori dalle procedure, rischieresti di perderla comunque per pignoramento e restare anche indebitato. Meglio allora gestire la situazione in tribunale, dove puoi ottenere magari di abitare nell’immobile per un certo periodo anche dopo l’asta (il giudice può coordinare lo sloggio con esigenze familiari).

D: Quanto tempo ci vuole per tutta la procedura e per tornare “pulito”?
R: I tempi variano, ma indicativamente:

  • Per predisporre il ricorso iniziale con OCC: qualche settimana o pochi mesi (dipende dalla complessità e dalla prontezza tua nel fornire documenti).
  • Piano del consumatore: il tribunale fissa udienza magari 2-3 mesi dopo il deposito, poi se non ci sono intoppi omologa subito o nel giro di un mese. Da lì parte l’esecuzione del piano che può durare, come detto, in media 3-5 anni. Alla fine, appena eseguito, sei esdebitato.
  • Concordato minore: tempi simili per l’ammissione, poi 30 giorni per il voto dei creditori, eventuale omologa in 1-2 mesi. Diciamo che in 6-8 mesi dal deposito potresti avere il decreto di omologa (se i creditori approvano). Poi l’esecuzione del concordato dura il tempo previsto dal piano (anche qui spesso intorno ai 4-5 anni). L’esdebitazione avviene al termine dell’esecuzione.
  • Liquidazione controllata: il tribunale in 1-2 mesi può aprirla con decreto. Da quel momento, 3 anni “standard” per la chiusura ai fini esdebitazione (anche se la procedura di liquidazione potrà tecnicamente proseguire per vendere residui). Quindi, ad esempio, se la liquidazione si apre a gennaio 2025, a gennaio 2028 avresti già il decreto di esdebitazione (sempre che tu cooperi e non emergano cause ostative). Tre anni passano in fretta, ed è un termine certo ora.
  • Esdebitazione incapiente: teoricamente più rapida perché non c’è da vendere nulla: alcuni tribunali hanno concesso il decreto di esdebitazione incapiente in 3-6 mesi dal ricorso, giusto il tempo di fare le verifiche e sentire i creditori (che possono opporsi). Una volta concesso, i debiti sono subito cancellati, e resta solo l’obbligo quadriennale di segnalare eventuali utilità (che però non sospende l’effetto esdebitante, è solo risolutivo se violato).

In totale, quindi, l’orizzonte per essere “pulito” varia da circa 6 mesi (incapiente) a 5 anni (piano/concordato con pagamenti lunghi). Direi che nella maggioranza dei casi realistici, entro 4-5 anni si chiude il capitolo debiti. Rispetto a un tempo in cui i debiti ti inseguivano magari 20 anni, è un enorme passo avanti. Tieni conto poi che i tuoi dati negativi nelle centrali rischi (CRIF etc.) dopo l’esdebitazione andranno aggiornati: l’esdebitazione non cancella le segnalazioni creditizie pregresse in automatico, ma potrai far annotare che il debito è estinto per provvedimento di esdebitazione. In ogni caso, dopo qualche anno dalla chiusura, anche la tua reputazione creditizia potrà risanarsi.

D: Durante la procedura, i creditori possono ancora infastidirmi?
R: Una volta ammesso alla procedura (sia piano omologato, sia concordato in corso di omologa, sia liquidazione aperta), scatta il divieto di azioni esecutive individuali. Ciò significa che i creditori non possono avviare nuovi pignoramenti né proseguire quelli già in atto (il giudice li sospende o li fa decadere). Possono eventualmente far valere le loro ragioni dentro la procedura (ad es. insinuandosi al passivo in liquidazione, o contestando il piano in udienza), ma non più autonomamente contro di te. Inoltre, devono cessare tutte le misure cautelari come i sequestri e i vincoli sui beni (li gestirà il liquidatore). In pratica, sotto la “protezione” del tribunale, il debitore non può più essere toccato singolarmente. Certo, i creditori potrebbero ancora provare a contattarti o inviarti solleciti, ma tu/li tuo avvocato potrai rispondere che c’è la procedura in corso e ogni questione va rivolta all’OCC o al liquidatore. È bene comunicare a tutti i creditori noti (spesso lo fa l’OCC) l’avvenuta apertura della procedura, così anche gli addetti al recupero smetteranno di chiamarti, sapendo che sarebbe una pratica scorretta e inutile. Dunque la procedura concorsuale funziona anche come “scudo” psicologico: niente più telefonate pressanti, niente più lettere minatorie del recupero crediti – tutto si svolge secondo le regole in tribunale.

D: Alla fine, i creditori possono tornare a chiedermi i soldi in futuro?
R: No. Se tutto va come previsto, l’atto finale sarà il provvedimento di esdebitazione emesso dal giudice (nel piano/concordato coincide con l’attestazione di completamento del piano, nella liquidazione è un decreto ad hoc). Questo provvedimento libera il debitore da tutti i debiti residui non pagati in procedura. Significa che sono giuridicamente inesigibili: se un creditore provasse a farti causa, tu opporresti l’esdebitazione e avrebbe torto. Fa eccezione solo qualche debito particolare escluso per legge (es: obblighi di mantenimento verso figli, risarcimenti da fatti illeciti penali, e pochissimi altri). Ma i debiti commerciali, bancari, fiscali, tutto ciò che hai inserito nella procedura e non hai potuto pagare, viene annullato. In futuro potrai quindi dire di non dovere più nulla. I crediti dei creditori vengono cancellati anche contabilmente: l’esdebitazione fa sì che non possano nemmeno essere ceduti o vantati come perdita fiscale (il creditore li tratta come crediti inesigibili e basta). Insomma, il perdono dei debiti è pieno e definitivo. Solo se dovessi essere destinatario di più procedure: la legge vieta di ottenere l’esdebitazione per più di una volta in 5 anni (per ovvi motivi: niente furbetti seriali). E l’esdebitazione incapiente è una volta sola in assoluto per la vita. Quindi, usala bene!

D: Cosa succede se durante il piano mi arrivano nuovi debiti (es. nuove tasse, nuove bollette)?
R: I debiti sorti dopo l’omologazione del piano o l’apertura della liquidazione non rientrano in quella procedura. Devi gestirli normalmente. Il piano in genere prevede già le spese correnti che sosterrai (es. devi continuare a pagare l’affitto, le utenze, ecc., col reddito che ti rimane). L’importante è non fare nuovi debiti rilevanti: se durante l’esecuzione del piano ti indebiti di nuovo e non li paghi, il tribunale potrebbe revocare l’omologazione per inaffidabilità sopravvenuta. Quindi devi mantenere un profilo finanziario prudente. Se arrivano nuove cartelle per tasse degli anni successivi, quelle vanno pagate o eventualmente potresti pensare a un secondo sovraindebitamento, ma non è augurabile. Nei 4 anni post-esdebitazione incapiente, come detto, se ottieni risorse dovrai usarle in parte per i vecchi creditori; invece, se fai nuovi debiti dopo l’esdebitazione, quelli sono ovviamente tutti dovuti (non hai protezione se non, eventualmente, chiedere un’altra procedura molti anni dopo, visto che 5 anni devi aspettare per ripresentare un’istanza, e comunque speriamo non serva). In breve: la procedura ti dà sollievo dal pregresso, ma non ti autorizza a non pagare ciò che maturi in futuro. Occorre vivere entro i propri mezzi e costruire la nuova vita creditizia su basi solide.

D: Serve l’avvocato obbligatoriamente o posso fare da solo con l’OCC?
R: Nei procedimenti di sovraindebitamento non è strettamente obbligatoria l’assistenza di un avvocato, in teoria il debitore potrebbe depositare il ricorso tramite l’OCC. Tuttavia, è vivamente consigliato avere un avvocato di fiducia: la procedura prevede udienze in tribunale, eventuali contenziosi con creditori opponenti, questioni di diritto complesse (sospensioni di pignoramenti, impugnazioni, ecc.). L’OCC stesso spesso collabora con un legale. Dunque, a livello pratico, quasi tutti i debitori sono assistiti da un legale. L’avvocato preparerà con l’OCC il piano, curerà il deposito telematico, li rappresenterà in eventuali opposizioni dei creditori in udienza. Considera i costi come un investimento per uscire dal tunnel: molti avvocati applicano tariffe a forfait o dilazionate se capiscono la situazione. Ci sono anche casi di patrocinio a spese dello Stato se il reddito attuale del debitore è sotto soglia, sebbene su materie concorsuali non sempre sia ammesso. In ogni caso, date le poste in gioco (la casa, centinaia di migliaia di euro di debiti) è opportuno avere un esperto al tuo fianco.

D: Cosa succede se un creditore prova comunque a fare causa o a pignorare durante/per dopo la procedura?
R: Se lo fa durante la procedura, viola il divieto e quell’azione è nulla o quantomeno inefficace. Ad esempio, se un creditore non informato notifica un pignoramento dopo che il piano è omologato, il tuo avvocato potrà segnalarlo al giudice il quale lo dichiarerà improcedibile. Se un creditore intenta causa su un debito già incluso nella procedura, il giudice gliela chiuderà contro (perché il debito è “sub judice” concorsuale). Se un creditore aspetta dopo l’esdebitazione e poi prova a riscuotere (magari credendo che tu ora hai soldi), tu opporrai il provvedimento di esdebitazione e quel credito essendo inesigibile verrà estinto giuridicamente. In genere, però, i creditori sono attenti: ricevono notifica dell’esdebitazione e scaricano i crediti dal bilancio. Dubito che poi, a distanza di anni, proverebbero scientemente a farti causa per un debito che sanno essere stato esdebitato (sarebbe anche contro deontologia per un avvocato farlo). Magari qualche società di recupero meno informatizzata potrebbe tentare, ma esibendo la sentenza di esdebitazione la faccenda finirà lì. In sostanza, il provvedimento finale del giudice è la tua “carta di immunità”: conservalo con cura e mostrane copia se mai qualcuno venisse a battere cassa indebitamente in futuro.

Conclusioni

Affrontare una pesante situazione debitoria come ex titolare di un’impresa di costruzioni è senza dubbio stressante e impegnativo, ma – come abbiamo visto – il nostro ordinamento offre oggi strumenti concreti ed efficaci per venirne fuori. La chiave è non isolarsi e non arrendersi: occorre attivarsi, farsi assistere da professionisti e utilizzare al meglio le leggi sul sovraindebitamento, concepite proprio per dare respiro a chi si trova sommerso dai debiti incolpevolmente.

Dal punto di vista dell’ex imprenditore debitore, è fondamentale:

  • riconoscere per tempo lo stato di insolvenza o sovraindebitamento e prendere l’iniziativa (le soluzioni legali premiano chi agisce in buona fede appena capisce di non farcela);
  • predisporre un piano realistico delle proprie possibilità economiche: valutare quali beni possono essere sacrificati e quali risorse future si hanno (stipendi, pensioni, aiuti familiari), per costruire una proposta credibile verso i creditori;
  • affidarsi ad un OCC competente e seguire con fiducia le indicazioni del gestore nominato (questi organismi sono creati per facilitare la tua ristrutturazione, non per complicarla);
  • mantenere un atteggiamento trasparente e collaborativo con il tribunale e i creditori (mostrare la propria onestà e impegno è spesso decisivo per convincere anche i creditori più ostinati ad accettare la soluzione proposta, o per persuadere il giudice a sospendere pignoramenti in attesa del piano).

È altresì importante avere consapevolezza che i creditori, per quanto tutelati nei loro diritti, non possono ottenere più di ciò che oggettivamente c’è. Questa consapevolezza ormai è diffusa: le sentenze più aggiornate ribadiscono che la funzione delle procedure di sovraindebitamento è proprio quella di formalizzare un compromesso equo tra debitore e creditori. In questo compromesso, il debitore offre tutto il possibile senza compromettere la propria dignità (grazie al minimo vitale e all’esdebitazione finale); i creditori accettano una parziale insoddisfazione, in cambio di una soluzione ordinata e definitiva (meglio una percentuale assicurata oggi, che anni di rincorse legali dal risultato incerto).

Per un ex imprenditore ciò significa poter voltare pagina: dopo aver affrontato l’insolvenza tramite il piano o la liquidazione con esdebitazione, si può tornare ad essere economicamente attivi, avviare nuove iniziative o semplicemente vivere serenamente senza l’angoscia di avere debiti pregressi. Da un punto di vista sociale ed economico, questo è un risultato positivo: si evita l’“omicidio civile” del debitore e lo si restituisce al circuito produttivo come consumatore e magari imprenditore rinnovato (con maggiore esperienza e attenzione).

In conclusione, se ti trovi nella condizione di ex titolare di un’impresa di costruzioni con debiti, non disperare. Le leggi italiane – con gli ultimi aggiornamenti del 2020-2022 – sono dalla tua parte nel darti una via d’uscita. Procurati l’assistenza necessaria, valuta con lucidità la tua situazione e intraprendi il percorso di sovraindebitamento più adatto. Nel giro di pochi anni potrai lasciarti alle spalle i debiti che ti soffocano e ricostruire la tua stabilità finanziaria. Come recita un motto spesso citato nelle aule fallimentari: “anche dopo la notte più buia, sorge sempre il sole”. La normativa sul sovraindebitamento è quel sole all’orizzonte per chi, come te, sta vivendo la notte oscura dei debiti.


Fonti e Riferimenti Normativi

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) – Articoli rilevanti: artt. 65-83 (ristrutturazione debiti del consumatore e concordato minore), artt. 268-277 (liquidazione controllata), art. 283 (esdebitazione incapiente). Modifiche introdotte dal DL 137/2020 conv. L.176/2020 (procedure familiari, meritevolezza semplificata).
  • Legge 3/2012 (disciplina originale sul sovraindebitamento) – Articoli chiave: art. 7 (requisiti, incluso meritevolezza ante riforma), art. 12-bis (sospensione esecuzioni), art. 14-terdecies (esdebitazione).
  • Tribunale di Venezia – Portale della Crisi – Esempi di procedure: pubblicazione dei decreti di Liquidazione controllata 2023 (utile per prassi su esdebitazione automatica, disponibile in elenco.
  • Codice Civile – Articoli: 2740 (responsabilità patrimoniale illimitata); 2495 c.c. (effetti cancellazione società su debiti soci); 2324 c.c. (responsabilità accomandanti post liquidazione); 2948 c.c. (prescrizione 5 anni forniture); 515-517 c.p.c. (beni impignorabili parzialmente o totalmente).
  • Codice Penale – Riferimento reati: art. 388 co.2 (mancata esecuzione dolosa di provvedimento del giudice, rilevante se debitore occulta beni durante la procedura concorsuale), art. 216-217 L.F. (bancarotta fraudolenta/semplice, applicabile in via analogica se atti in frode).
  • Massimario Cassazione – indicazioni in materia di sovraindebitamento (es. Cass. 24214/2021 su inclusione debiti erariali, Cass. 1869/2016 su meritevolezza consumer – precedenti pre-riforma, ma utili per evoluzione).
  • ODCEC Roma – Una prima lettura del correttivo-ter (2023): commenti su art. 33 CCII e modifica termine 1 anno liquidazione controllata.

Ex titolare di impresa di costruzioni con debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai chiuso la tua impresa edile, ma i debiti ti stanno ancora inseguendo?
Fornitori non pagati, tasse, contributi, fideiussioni, mutui per capannoni o mezzi: oggi ti ritrovi sommerso da cartelle esattoriali, pignoramenti, fermi amministrativi e revoche bancarie.
Ma anche se l’attività è cessata, puoi ancora difenderti e rientrare legalmente dalla crisi.


🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

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📌 Verifica la prescrizione dei debiti o eventuali vizi procedurali
✍️ Redige un piano di ristrutturazione o sovraindebitamento per bloccare i creditori
⚖️ Ti difende da esecuzioni forzate, ipoteche e sequestri
🔁 Richiede l’esdebitazione se sei ormai privo di patrimonio o reddito sufficiente


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in crisi d’impresa e debiti post-chiusura attività edili
✔️ Gestore della crisi iscritto al Ministero della Giustizia
✔️ Difensore in opposizioni a pignoramenti e cartelle esattoriali
✔️ Autore di piani approvati con forti riduzioni del debito
✔️ Consulente per ex titolari di imprese edili, artigiane e subappaltatori in difficoltà


Conclusione

Anche se hai chiuso la tua impresa di costruzioni, non sei obbligato a portare il peso dei debiti per sempre.
Con la giusta strategia legale puoi bloccare i creditori, tutelare ciò che ti resta e chiedere una ripartenza.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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