Hai ricevuto un atto di pignoramento ma il tuo conto corrente è già in rosso? Ti stai chiedendo se un conto in negativo può essere pignorato lo stesso e cosa può succedere? In questa situazione è fondamentale capire come funziona il pignoramento su un conto già scoperto e quali sono i tuoi diritti.
Si può pignorare un conto corrente in rosso?
Sì, il creditore può avviare comunque la procedura di pignoramento, anche se il conto risulta a saldo negativo. Tuttavia, se non ci sono fondi disponibili al momento del pignoramento, la banca comunicherà al creditore che non ci sono somme da bloccare.
Cosa succede se il conto va in attivo dopo il pignoramento?
Il pignoramento resta pendente per 90 giorni, e ogni somma che entra sul conto durante questo periodo può essere immediatamente bloccata e trasferita al creditore. Quindi:
– Se ricevi uno stipendio, un bonifico o una pensione nei 90 giorni successivi, verrà pignorato fino all’importo dovuto
– Anche se il conto era in rosso al momento del pignoramento, il vincolo si attiva non appena arrivano nuovi fondi
La banca può compensare il credito per scoperto?
Sì. Se hai un conto affidato (cioè con fido concesso dalla banca), la banca può trattenere le somme in entrata per recuperare lo scoperto prima ancora del pignoramento. Solo l’eccedenza, se presente, sarà vincolata per il creditore procedente.
Cosa può fare il creditore se il conto è vuoto o negativo?
– Aspettare che arrivino somme nei 90 giorni
– Procedere con altri pignoramenti (stipendio, pensione, beni mobili o immobili)
– Continuare a esercitare pressioni tramite solleciti, decreti ingiuntivi o notifiche
Come puoi difenderti in modo efficace?
– Verifica la regolarità del pignoramento: ci sono spesso vizi formali che possono renderlo impugnabile
– Controlla se il credito è prescritto o se il titolo esecutivo non è più valido
– Attiva una procedura di sovraindebitamento per bloccare i creditori e ristrutturare i debiti
– Valuta l’opposizione all’esecuzione, se il pignoramento è illegittimo o sproporzionato
Cosa NON devi fare mai?
– Sperare che il pignoramento “scada da solo”
– Intestare il conto a parenti o usare conti di terzi
– Sottovalutare un conto pignorato solo perché è in rosso: il creditore può colpire appena entrano nuove somme
Anche con un conto in rosso, puoi difenderti legalmente da un pignoramento e tutelare le tue entrate future.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in esecuzioni e crisi da sovraindebitamento – ti spiega cosa succede quando un conto pignorato è già scoperto, e come puoi reagire in modo tempestivo ed efficace.
Hai ricevuto un pignoramento su un conto vuoto o in negativo?
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1. Introduzione
Il pignoramento di un conto corrente è una forma di esecuzione forzata presso terzi in cui un creditore, munito di titolo esecutivo e precetto, notifica un atto di pignoramento alla banca (terzo pignorato) affinché vengano bloccate e destinate al soddisfacimento del debito le somme dovute dal terzo al debitore. Ma cosa accade se il conto corrente del debitore è “in rosso”, cioè presenta un saldo negativo? Molti debitori sperano che un conto scoperto li renda immuni dal pignoramento, ritenendo (a prima vista) che non essendoci un saldo attivo non vi sia nulla da aggredire. In realtà, la situazione è più complessa e merita un’analisi approfondita dal punto di vista del debitore, con riferimento alla normativa italiana vigente e alla giurisprudenza più aggiornata (Corte di Cassazione e tribunali).
In questa guida – aggiornata a luglio 2025 – esamineremo dettagliatamente il tema del pignoramento di un conto corrente in rosso, con un taglio avanzato adatto a professionisti (avvocati, imprenditori) ma in linguaggio chiaro e divulgativo. Spiegheremo cosa dice la legge e la giurisprudenza riguardo ai conti con saldo negativo (specie se coperti da fido bancario) e quali sono i diritti e i rischi per il debitore. Saranno inclusi esempi pratici, tabelle riepilogative, una sezione di domande e risposte frequenti, e riferimenti normativi e giurisprudenziali puntuali. L’obiettivo è fornire al debitore una visione completa di “cosa sapere” quando il proprio conto corrente è in rosso ed è oggetto di una procedura esecutiva.
2. Definizione di conto corrente “in rosso” e fido bancario
Un conto corrente “in rosso” indica semplicemente che il saldo contabile del conto è negativo: il correntista ha utilizzato più fondi di quanti ne avesse depositati, andando in debito verso la banca. Ciò può accadere essenzialmente in due modi:
- Conto scoperto con fido bancario (conto affidato): la banca ha accordato al cliente un’apertura di credito in conto corrente (detta comunemente fido), ossia una soglia di utilizzo oltre lo zero. Ad esempio, un fido di 5.000 € consente al correntista di avere un saldo fino a –5.000 € senza incorrere in irregolarità contrattuali. Il saldo negativo è quindi autorizzato nei limiti del fido concesso (saldo “negativo entro fido”). Il conto rimane tecnicamente attivo e operativo fino al limite accordato.
- Conto scoperto senza fido (extra-fido): il cliente ha prelevato o effettuato pagamenti oltre le disponibilità senza avere un fido formale. In tal caso si crea uno scoperto non autorizzato (extra-fido), che rappresenta comunque un debito verso la banca e in genere deve essere immediatamente coperto. La banca può tollerare temporaneamente uno scoperto di conto (addebiti che portano il saldo sotto zero) ma ciò configura sempre un credito della banca verso il cliente.
In entrambe le ipotesi, un saldo negativo significa che le somme utilizzate appartengono alla banca, non al correntista. Il cliente ha speso denaro della banca (perché il suo saldo attivo era esaurito) e pertanto non vanta alcun credito esigibile nei confronti dell’istituto di credito, anzi risulta debitore di quest’ultimo. Questa constatazione è centrale per capire gli effetti di un pignoramento: non c’è disponibilità economica del debitore che possa formare oggetto di esecuzione forzata se il conto è interamente in rosso.
È importante chiarire anche il concetto di disponibilità o saldo disponibile rispetto al saldo contabile. Un conto potrebbe presentare un saldo contabile negativo ma avere ancora “disponibilità” residua se esiste un fido non completamente utilizzato (ad es. saldo –2.000 € con fido di 5.000 €, quindi 3.000 € ancora prelevabili). Tuttavia questa disponibilità potenziale non equivale a denaro di proprietà del cliente: è solo una facoltà di ulteriore utilizzo del credito concesso dalla banca. La legge e i giudici, come vedremo, non considerano pignorabile una mera disponibilità di credito futura o eventuale, ma solo le somme che costituiscono un diritto di credito certo del correntista verso la banca.
3. Quadro normativo: esecuzione presso terzi e natura del credito pignorabile
Per comprendere se e come un conto in rosso possa essere pignorato, bisogna richiamare brevemente il quadro normativo dell’espropriazione forzata presso terzi (in questo caso, la banca come terzo debitor debitoris):
- Titolo esecutivo e precetto: il creditore procedente deve anzitutto avere un titolo esecutivo (sentenza, decreto ingiuntivo, cartella esattoriale, ecc.) e notificare un atto di precetto al debitore, intimando il pagamento entro un termine (artt. 474 e 480 c.p.c.). Trascorso inutilmente tale termine, può iniziare l’esecuzione forzata.
- Atto di pignoramento presso terzi: ai sensi dell’art. 543 c.p.c., il creditore notifica un atto di pignoramento sia al debitore che al terzo (la banca) contenente l’ingiunzione a quest’ultimo di non disporre delle somme dovute al debitore e a renderne dichiarazione. Dal giorno della notifica del pignoramento, scatta per il terzo il divieto di disposizione ex art. 546 c.p.c., ossia la banca non può consentire che il debitore movimenti o ritiri le somme dovute né può pagargliele. Le somme eventualmente esistenti sul conto restano “congelate” e destinate all’esecuzione.
- Dichiarazione del terzo pignorato: la banca, quale terzo pignorato, deve entro il termine di legge comunicare al creditore procedente (o comparire all’udienza davanti al giudice dell’esecuzione) per dichiarare quali somme o cose detenga del debitore (art. 547 c.p.c.). In sostanza deve indicare il saldo del conto corrente al momento del pignoramento e l’eventuale esistenza di vincoli (es. se sul conto affluiscono stipendio/pensione, ecc.).
- Crediti pignorabili: la regola generale (art. 543 c.p.c. e segg.) è che sono pignorabili presso terzi solo i crediti presenti e liquidi ed esigibili del debitore verso il terzo. Questo principio – più volte ribadito in giurisprudenza – significa che il pignoramento può colpire solo crediti già sorti e determinati nel loro ammontare, non aspettative di credito future o facoltà discrezionali. La Cassazione ha esplicitamente affermato, ad esempio, che “nel pignoramento presso terzi, sono pignorabili solo i crediti liquidi ed esigibili del debitore verso il terzo”.
- Assegnazione al creditore: una volta accertate le somme disponibili, il giudice dell’esecuzione con ordinanza di assegnazione (art. 552 c.p.c.) trasferisce al creditore procedente le somme pignorate, nei limiti del credito azionato e delle eventuali leggi di limitazione (come quelle su stipendi e pensioni, di cui parleremo). Se invece non risultano somme pignorabili, l’esecuzione presso terzi si chiude senza assegnazione (pignoramento infruttuoso).
Nel contesto di un conto corrente, il credito pignorabile è rappresentato dal saldo attivo eventualmente esistente in favore del correntista. Viceversa, se il conto è in saldo negativo, non vi è alcun credito liquido ed esigibile del correntista verso la banca: al contrario, è la banca a risultare creditrice del cliente. In termini giuridici, manca l’oggetto su cui possa incidere il pignoramento (non c’è un “bene” del debitore da espropriare). Pertanto un conto in rosso sembra, a rigor di legge, impignorabile in quanto privo di crediti del debitore.
Questo principio trova riscontro anche nel Codice Civile. L’art. 1830 c.c. (rubricato “Sequestro o pignoramento del saldo”) dispone che il sequestro o pignoramento del saldo non comporta la chiusura del conto, il quale prosegue fino alla scadenza del rapporto contrattuale, dopo di che verrà determinato il saldo da assegnare eventualmente al creditore pignorante. Già da tale norma si evince che si può pignorare il saldo del conto, inteso come credito risultante a favore del correntista – e solo quello. Se il saldo è negativo, manca per definizione un credito da sequestrare o pignorare. La Cassazione, in numerose pronunce, conferma questa impostazione: il diritto del correntista a ottenere erogazioni future dalla banca (in forza di un fido) non è un bene pignorabile, perché in quel caso il correntista è titolare solo di un’aspettativa di credito (o del lato passivo dell’obbligazione bancaria) e non di un diritto di credito attuale verso il terzo.
Infine, ricordiamo che la legge prevede anche norme specifiche a tutela del “minimo vitale” del debitore per somme da stipendio o pensione accreditate in banca (art. 545, commi 7 e 8 c.p.c., come modificato dal D.L. 83/2015 conv. in L. 132/2015). Tali limiti – di cui tratteremo più avanti – incidono sulla pignorabilità parziale di determinate somme, ma non trasformano in pignorabile ciò che non è un credito del debitore. In altri termini, anche le tutele del minimo vitale presuppongono che sul conto vi siano comunque somme di spettanza del debitore; se il conto è a zero o in rosso, le protezioni sui redditi essenziali restano teoriche perché non c’è alcun saldo attivo da salvaguardare.
4. Il fido bancario non è pignorabile: principi giurisprudenziali
Quando il conto corrente è affidato (cioè assistito da un fido bancario), gran parte dell’apparente “disponibilità” in realtà consiste in un credito concesso dalla banca. Dal punto di vista giuridico, un fido bancario non rappresenta mai un “bene” immediatamente aggredibile dai creditori del correntista. Su questo punto la giurisprudenza è univoca: la linea di credito accordata non è una ricchezza del debitore, ma piuttosto un’opportunità condizionata dalla fiducia della banca. I motivi sono molteplici:
- Il fido è solitamente revocabile dalla banca (soprattutto se concesso “a revoca” o con preavviso minimo ex art. 1845 c.c.); quindi il debitore non ha la garanzia definitiva di poter disporre di quelle somme in ogni caso.
- Il fido non costituisce un credito liquido ed esigibile in capo al correntista: al contrario, è la banca che vanta un credito (per le somme eventualmente utilizzate). Finché il correntista non utilizza l’apertura di credito, egli non può pretendere alcunché dalla banca, avendo solo la facoltà di chiedere fondi in prestito.
- Il fido ha natura di mera facoltà contrattuale, non di diritto patrimoniale immediatamente disponibile: è un accordo per cui la banca si impegna a mettere somme a disposizione entro un certo limite, ma ogni utilizzo genera un obbligo di restituzione in capo al cliente.
La Corte di Cassazione ha chiarito in più pronunce tali principi. Già con Cass., Sez. III, 18 febbraio 2009, n. 3975 si è affermato che “il fido bancario non è un credito certo, liquido ed esigibile del correntista, e non può essere aggredito dai creditori”. Allo stesso modo Cass., Sez. III, 16 gennaio 2013, n. 741 e Cass., Sez. III, 22 gennaio 2018, n. 1584 hanno ribadito che la disponibilità derivante da un’apertura di credito bancaria (non utilizzata o solo parzialmente utilizzata) non è pignorabile in sé. In altre parole, se ad esempio un conto ha saldo zero ma un fido attivo di 10.000 €, il creditore non può pignorare “quella potenzialità di utilizzo”: dovrà attendere che il correntista effettivamente disponga somme sul conto tali da generare un saldo attivo.
Questi principi discendono dal concetto già citato di credito pignorabile: il pignoramento può colpire solo crediti di cui il debitore sia titolare verso terzi. Nel caso del fido, il correntista non è titolare di un credito verso la banca, bensì di un diritto a ottenere prestiti (di cui però resta debitore). La Cassazione, da ultimo con Sez. III, 23 novembre 2021, n. 36066, ha sintetizzato l’orientamento: in un conto corrente affidato è “pignorabile solo il saldo attivo; se al momento del pignoramento il saldo è negativo, […] la banca [non deve] vincolare le rimesse successive se non quando e nella misura in cui il saldo divenga positivo”, confermando il consolidato principio dell’impignorabilità del fido.
Da questa prospettiva, il pignoramento non può mai “forzare” l’utilizzo di un fido: il creditore procedente non può pretendere che la banca eroghi denaro proprio (facendo usare al debitore la linea di credito) per soddisfare il pignoramento. Se il saldo è negativo, la banca non deve né può trasformare quella esposizione in un saldo attivo a beneficio del creditore. Si può pignorare solo ciò che “c’è” realmente sul conto come attivo del cliente, non ciò che potrebbe esserci facendo ricorso al credito. Anche la dottrina concorda su questo punto: un’autorevole analisi ha sottolineato che “il credito bancario da fido non è aggredibile in via esecutiva, poiché non rappresenta un diritto attuale del debitore, ma una disponibilità condizionata, revocabile e discrezionale”.
In sintesi, il fido bancario non costituisce di per sé un “bene” del debitore pignorabile, ma solo un rapporto contrattuale che lo autorizza a indebitarsi fino a un certo importo. Fino a quando dal rapporto di conto non emerge un saldo attivo, i creditori non possono ottenere nulla da quel conto.
5. Saldo attivo vs saldo negativo: cosa si può pignorare (schema)
Riassumiamo le possibili situazioni di un conto corrente e la loro pignorabilità, confrontando saldo attivo e saldo negativo:
Situazione del conto | È pignorabile? | Note |
---|---|---|
Conto con saldo positivo (creditore = cliente) | ✅ Sì | Le somme effettivamente presenti sul conto sono aggredibili (nei limiti di legge e fino a concorrenza dell’importo dovuto). |
Conto con saldo negativo (conto in rosso, affidato o no) | ❌ No | Il saldo è a debito verso la banca, quindi non c’è alcun credito del correntista da pignorare. Il credito è della banca (per lo scoperto), non del debitore. |
Conto con saldo zero e fido attivo | ❌ No | Un saldo zero significa nessun credito esigibile. L’affidamento non utilizzato è solo una potenzialità, non pignorabile in quanto credito futuro/incerto. |
Conto cointestato (saldo positivo, debitore cointestatario) | ✅ Parzialmente | Il conto cointestato appartiene a più soggetti. Il creditore di uno solo dei cointestatari può pignorare solo la quota parte di spettanza del debitore (presunzione pro quota, tipicamente il 50%) e non l’intero saldo. (Vedi FAQ per dettagli). |
Come si evince dallo schema, l’unico scenario in cui il conto corrente “in rosso” torna pignorabile è quello in cui il saldo diventi positivo. Finché il conto resta a saldo negativo (o nullo), il pignoramento non produce effetti utili: di fatto “non c’è nulla da pignorare”. La presenza di un fido attivo non cambia questo risultato, se non per il fatto che un conto affidato può più facilmente oscillare tra saldo negativo e positivo in relazione alle rimesse e ai prelievi. Sarà dunque cruciale analizzare cosa accade se il conto pignorato da negativo torna in attivo (vedi §7).
Notiamo anche l’aspetto del conto cointestato: benché non sia il focus principale di questa guida, è utile sapere che se il conto è intestato al debitore e ad un terzo estraneo all’obbligazione, la legge (art. 1854 c.c.) li considera creditori/debitori in solido del saldo. In sede esecutiva, però, si tende a tutelare il cointestatario non debitore, limitando l’assegnazione al creditore procedente alla sola quota del saldo riferibile al debitore esecutato (come confermato ad es. da Trib. Benevento 27 ottobre 2020, n. 1184: pignorabile solo il 50% delle somme depositate su conto cointestato, a tutela del contitolare estraneo). In pratica, la banca in presenza di pignoramento su conto cointestato blocca di norma tutto il saldo, ma il giudice assegnerà al creditore solo la parte spettante al debitore pignorato, liberando il resto a favore dell’altro intestatario.
6. Pignoramento di un conto in rosso: cosa succede in pratica
Consideriamo ora passo per passo cosa avviene concretamente quando un atto di pignoramento presso terzi colpisce un conto corrente il cui saldo è negativo al momento della notifica:
- Notifica e blocco (saldo negativo) – Il creditore notifica l’atto di pignoramento alla banca e al debitore. La banca, verificato lo stato del conto, riscontra che il saldo è negativo (es: –€1.500) oppure zero. In ottemperanza all’atto e all’art. 546 c.p.c., la banca deve comunque eseguire il divieto di disposizione: in pratica, blocca il conto per impedire che eventuali somme sopravvenienti vengano sottratte all’azione esecutiva. Tuttavia, al momento della notifica non esistono somme del debitore da vincolare, e la banca lo dichiarerà espressamente. Di fatto, l’operatività del conto risulta congelata pro forma, ma non essendoci un saldo attivo, il debitore non subisce alcuna sottrazione immediata di denaro (non ce n’è sul conto).
- Dichiarazione negativa della banca – Entro il termine di legge (o all’udienza fissata), la banca rende la dichiarazione da terzo pignorato (art. 547 c.p.c.), comunicando che “non esistono somme disponibili di spettanza del debitore” sul conto pignorato. Può specificare, se richiesto, che il conto risulta in saldo negativo e magari indicare l’esistenza di un fido, ma ai fini esecutivi la sostanza è che non vi è alcun credito liquido esigibile verso il correntista.
- Mancata assegnazione – Ricevuta la dichiarazione della banca, il Giudice dell’Esecuzione non può che prenderne atto: non essendoci fondi pignorati, non vi sarà alcuna ordinanza di assegnazione. Formalmente il processo esecutivo potrebbe essere dichiarato estinto per assenza di beni da espropriare o il creditore procedente potrebbe rinunciare al pignoramento. In ogni caso, il risultato è un pignoramento infruttuoso o inefficace per mancanza dell’oggetto. Una pronuncia del Tribunale di Milano ha ben riassunto questa situazione: “Nel conto corrente affidato, il saldo negativo preclude qualsiasi possibilità di assegnazione delle somme al creditore procedente.”.
- Costi e ulteriori atti – Sebbene infruttuoso, il pignoramento ha generato comunque dei costi (spese legali, notifiche) che il creditore potrebbe cercare di porre a carico del debitore. Di norma, tuttavia, in assenza di colpa del debitore (il quale non aveva attivi) queste spese restano a carico del creditore procedente. Quest’ultimo, dal canto suo, potrà valutare altre vie per recuperare il credito (ad esempio pignorare lo stipendio altrove, pignorare altri conti o beni, ecc.), avendo constatato che su quel conto specifico non c’erano disponibilità utili. In alcuni casi il creditore può insistere con il pignoramento lasciandolo pendente per qualche tempo, sperando che nel frattempo sul conto affluiscano somme (vedi oltre), ma generalmente – se informato correttamente – saprà che senza un saldo attivo iniziale difficilmente otterrà poi qualcosa, come spieghiamo nel prossimo paragrafo.
- Effetti sul conto e rapporto con la banca – Anche se il pignoramento non ha trovato denaro, l’atto potrebbe innescare conseguenze nel rapporto tra correntista e banca: ad esempio, la banca potrebbe per prudenza limitare le operazioni sul conto in rosso, o valutare la revoca dell’affidamento (si veda §9). Dal punto di vista strettamente procedurale, se il pignoramento non viene coltivato dal creditore (ad es. manca di depositare istanza di assegnazione o l’udienza va deserta), dopo un certo periodo il vincolo potrebbe decadere e il conto tornare operativo. In pratica, però, molte banche tengono il conto bloccato finché non ricevono formali indicazioni di svincolo (ordinanza del giudice o rinuncia del creditore). Ciò significa che il debitore potrebbe temporaneamente non poter utilizzare il conto neppure entro i limiti del fido, pur essendo il saldo negativo: la banca in genere sospende la facoltà di ulteriori prelievi o addebiti, in attesa di capire l’evoluzione (anche per evitare che il correntista utilizzi il fido e poi affluiscano somme che dovrebbero andare al creditore – situazione intricata da gestire). Su questo aspetto incide la discrezionalità della banca e, come detto, l’eventuale decisione di revocare il fido.
In definitiva, se il conto è in rosso al momento del pignoramento, la procedura esecutiva “non attecchisce”. Non si forma alcun vincolo effettivo su beni del debitore e la banca, trascorsi gli adempimenti formali, rimane libera di continuare il rapporto col cliente. Anzi, la Cassazione sottolinea che in tal caso “nessun pignoramento può in realtà ritenersi […] perfezionato su alcun bene del debitore”. Ne consegue che la banca può esigere dal cliente il pagamento dei propri crediti (derivanti dallo scoperto di conto), senza doversi confrontare con il concorso del creditore pignorante. Non c’è infatti conflitto di prelazione: il creditore procedente non ha agganciato alcun bene del debitore, quindi non può opporsi se le eventuali somme affluite sul conto vengono utilizzate solo per ridurre l’esposizione del cliente verso la banca.
❗ Importante: Alcuni debitori potrebbero pensare di poter continuare ad usare il conto in rosso durante il pignoramento, magari attingendo ancora al fido residuo. Di fatto, è sconsigliato e generalmente impedito: la banca, appena informata del pignoramento, potrebbe bloccare l’operatività (anche se formalmente il contratto di conto non si scioglie per il pignoramento, ex art. 1830 c.c.). Inoltre, se il debitore aggravasse l’esposizione (aumentando il saldo negativo) e poi affluissero somme sul conto, rischierebbe di violare i doveri di buona fede e causare contenziosi tra banca e creditore. Conviene dunque non considerare il fido come un paracadute per sfuggire all’esecuzione: meglio valutare strategie legali più corrette (vedi §11-12).
7. Accrediti successivi su un conto pignorato in rosso: le “rimesse ripristinatorie”
Una particolarità cruciale del pignoramento di conti correnti riguarda il trattamento degli accrediti successivi all’atto di pignoramento, in particolare quando il conto inizialmente in rosso torna in attivo grazie a nuove rimesse. Tali versamenti vengono detti “rimesse ripristinatorie” poiché ripristinano la provvista del conto riducendo o annullando lo scoperto.
Ipotizziamo che, dopo la notifica del pignoramento (conto a saldo –€1.500 al momento del blocco), sul conto del debitore arrivino dei versamenti: ad esempio l’accredito di €2.000 (un bonifico o lo stipendio). Cosa accade con riguardo al pignoramento? Occorre distinguere:
- Se i versamenti non bastano a coprire lo scoperto – Nel nostro esempio, supponiamo che arrivino €1.000 soltanto. Il saldo passerà da –1.500 a –500 €: rimane negativo. In tal caso non nasce ancora alcun saldo attivo pignorabile. I €1.000 affluiti sono stati interamente assorbiti dalla banca a riduzione del proprio credito (lo scoperto), e il conto è sempre in rosso. Il creditore pignorante non può vantare nulla su quella somma: si è trattato di una mera operazione interna di diminuzione del debito del correntista verso la banca. Anche se il creditore potrebbe sostenere che quei €1.000 “sarebbero potuti andare a lui”, in realtà non erano un bene del debitore, ma un’attribuzione patrimoniale che ha solo ridotto l’ammontare del saldo negativo (quindi, dal punto di vista giuridico, nessun credito del debitore è emerso). Il pignoramento resta non perfezionato finché il saldo non diventi positivo.
- Se i versamenti rendono il saldo positivo – Tornando all’esempio, immaginiamo invece che affluiscano €2.000. Il saldo si muove così: da –1.500 € sale a +500 € (dopo aver coperto lo scoperto). A questo punto, compare un saldo attivo di €500 in favore del correntista. Quella somma (500) diventa automaticamente vincolata dal pignoramento, poiché ora costituisce un credito del debitore verso la banca. In altri termini, appena le rimesse hanno superato la soglia dello zero, l’importo eccedente che ha generato attivo si considera pignorato a favore del creditore procedente fino a concorrenza del debito. La banca, per legge, deve trattenere tale saldo positivo e non renderlo disponibile al correntista, in attesa delle decisioni del giudice dell’esecuzione. Inoltre, la Cassazione precisa che eventuali ulteriori operazioni in addebito (nuove utilizzazioni del fido) non possono “intaccare” quell’attivo ai danni del creditore. Significa che, una volta che si forma un saldo positivo vincolato, il debitore non può opporre al creditore sopravvenute oscillazioni negative: il credito del debitore esecutato verso la banca è sorto e resta vincolato nei limiti di quell’attivo, anche se il correntista effettuasse altri pagamenti dal conto (che, se la banca permette, andrebbero solo ad aumentare di nuovo lo scoperto ma non libererebbero la somma vincolata a favore del creditore).
Questo meccanismo è stato chiarito dalla Suprema Corte: “se successive rimesse a favore del correntista rendono il saldo positivo, tale saldo positivo sarà automaticamente assoggettato al pignoramento e vincolato in favore del creditore […]; se il saldo resta negativo, non viene in essere alcun credito del cliente assoggettabile al vincolo”. In definitiva, il pignoramento “germoglia” solo quando e per quanto il conto torna in attivo. Fino ad allora resta quiescente.
È importante comprendere che la “fotografia” del saldo al momento del pignoramento è determinante: il terzo pignorato dichiara le somme esistenti alla notifica. Se a quella data il saldo era negativo, la dichiarazione è zero. Tuttavia, grazie all’art. 546 c.p.c. (divieto di disporre delle somme dovute dal terzo dal giorno della notifica), il vincolo esiste in potenza anche sulle somme che arriveranno successivamente e che al momento della dichiarazione vengano a costituire un credito esigibile. Dunque, in sede di udienza o assegnazione, il giudice potrebbe tener conto delle sopravvenienze attive entro un certo lasso di tempo. In pratica però, spesso il creditore, ottenuta una dichiarazione negativa, desiste e l’esecuzione si chiude; se invece il creditore sa che stanno per affluire somme (es. stipendio a fine mese) può cercare di mantenere aperto il pignoramento fino a quella data, in modo che la banca dichiari l’attivo. È qui che si inseriscono le tutele sui redditi da lavoro, di cui subito.
Attenzione: l’esempio fatto sopra con €2.000 affluiti sul conto presuppone che quelle somme fossero totalmente disponibili al creditore. In realtà, se si tratta di stipendio o pensione accreditati, intervengono i limiti di pignorabilità dell’art. 545 c.p.c. (minimo vitale e quota) – vedi prossimo paragrafo. Quindi, nel caso di accredito di stipendio, non tutto l’attivo di €500 potrebbe andare al creditore, ma solo la parte pignorabile secondo legge. Approfondiamo la disciplina specifica.
8. Limiti legali su stipendi e pensioni accreditati (il “minimo vitale”)
Il legislatore ha introdotto importanti limitazioni al pignoramento dei crediti da lavoro e da previdenza per garantire al debitore un minimo per vivere (il cosiddetto minimo vitale). Tali limitazioni operano sia in caso di pignoramento diretto presso il datore di lavoro/ente pensionistico, sia – con regole parzialmente diverse – in caso di pignoramento delle somme già accreditate sul conto corrente del debitore.
In sintesi, le norme (art. 545 c.p.c., commi 3, 7 e 8) prevedono che:
- Pignoramento di stipendi e pensioni “alla fonte” (presso il datore di lavoro o ente pensione): è ammesso solo nei limiti di un quinto della retribuzione o pensione netta (salvo cause alimentari). Per le pensioni, oltre al limite del quinto, vige l’ulteriore regola che la parte di pensione equivalente all’assegno sociale aumentato della metà è assolutamente impignorabile. In pratica, se una pensione mensile è molto bassa, il pignoramento si applica solo sulla parte che eccede una soglia pari a 1,5 volte l’assegno sociale (circa €800 mensili circa come soglia 2025, dato che l’assegno sociale pieno è ~€538,69). Questo per evitare che al pensionato venga sottratto il minimo indispensabile.
- Pignoramento di stipendi/pensioni accreditati in banca: il comma 8 dell’art. 545 c.p.c. (introdotto nel 2015) distingue due situazioni:
- Se lo stipendio/pensione è già accreditato sul conto prima della notifica del pignoramento: le somme su quel conto sono impignorabili fino all’importo pari al triplo dell’assegno sociale (circa €1.616 nel 2025). In altre parole, il debitore deve poter conservare almeno tre mensilità di assegno sociale. Solo l’eventuale eccedenza oltre tale importo può essere assegnata al creditore. Ad esempio, se Tizio ha €2.000 sul conto frutto di stipendio già accreditato prima del pignoramento, di questi una parte pari a ~€1.616 rimarrà libera e solo ~€384 potranno essere pignorati.
- Se lo stipendio/pensione viene accreditato alla data o dopo la notifica del pignoramento: le somme che man mano affluiscono per retribuzioni o pensioni possono essere pignorate nei limiti previsti per legge, ossia il quinto (o gli altri limiti di cui ai commi 3 e 7). In pratica, qui si assimila la situazione a un pignoramento diretto presso il datore: ogni mensilità affluita sul conto potrà essere vincolata nella misura di 1/5 (oppure, per le pensioni, nei limiti di importo sopra soglia). Ad esempio, se dopo il pignoramento arriva sul conto uno stipendio di €1.500, la banca ne dovrà accantonare €300 (il 20%) e lasciare €1.200 disponibili al debitore.
Queste norme si applicano anche ai pignoramenti bancari eseguiti dall’Agente della Riscossione (ex Equitalia), in quanto sono di carattere generale e volte a tutelare diritti costituzionali (dignità, mezzi adeguati, art. 38 Cost.). La Corte Costituzionale stessa ha ritenuto legittime tali previsioni (sent. n. 12/2019), evidenziando come il “filtro” del triplo assegno sociale sia coerente con la finalità di proteggere il minimo vitale.
In concreto, come interagisce questo con il nostro tema del conto in rosso? Immaginiamo che un conto fosse in rosso e poi riceva l’accredito di uno stipendio che porta il saldo appena positivo. La banca, al momento di dover eventualmente assegnare somme al creditore, deve distinguere la natura di quelle somme. Cassazione ha chiarito che il G.E. deve verificare l’origine delle somme accreditate per applicare i limiti di impignorabilità ex art. 545 c.p.c.. Quindi, riprendendo l’esempio del §7: conto da –€1.500, arriva stipendio di €2.000, saldo diventa +€500. Di questi €500 attivi, non necessariamente l’intero importo potrà essere assegnato. Poiché l’accredito è successivo al pignoramento, si applica la regola del quinto: €2.000 di stipendio generano €500 attivi; ma il quinto di €2.000 è circa €400. In effetti, in un pignoramento diretto sullo stipendio Tizio avrebbe pagato €400 e tenuto €1.600. Nel caso in cui la banca abbia compensato il resto dello stipendio per coprire il fido, il risultato è anomalo (il debitore rischia di perdere quasi tutto il salario tra banca e creditore). In giurisprudenza di merito, tuttavia, si tende a salvaguardare comunque il minimo vitale: ad esempio, Cass., Sez. III, 2 febbraio 2017, n. 2569 ha dichiarato illegittimo il blocco integrale di un conto contenente una pensione, affermando che va lasciato al debitore il minimo vitale. E Cass., Sez. III, 25 giugno 2020, n. 17178 ha confermato che il limite del triplo assegno sociale “si applica alle somme da stipendio/pensione già accreditate sul conto”, rendendo parziale il pignoramento.
Dunque, in presenza di stipendi o pensioni sul conto, la banca (o meglio, il giudice dell’esecuzione su istanza di parte) dovrà:
- Liberare in favore del debitore la parte impignorabile (fino a 3×assegno sociale se era già sul conto prima, oppure lasciare 4/5 se affluito dopo, in modo che comunque il debitore mantenga il minimo vitale).
- Trattenere solo la parte pignorabile (eccedenza oltre il triplo oppure quota del quinto) da destinare al creditore.
Ad esempio concreto: conto con saldo €2.500 di cui €2.000 sono pensione già accreditata prima del pignoramento. Il G.E. lascerà €1.616 circa al debitore (triplo assegno sociale 2025) e pignorerà solo €884. Se invece lo stesso importo fosse arrivato dopo la notifica, il G.E. accantonerebbe 1/5 di €2.000 = €400, lasciando il resto libero. In ogni caso mai il debitore dovrebbe ritrovarsi senza nulla se le uniche somme sono frutto di redditi essenziali. Le banche e i tribunali applicano ormai consistentemente questi criteri, soprattutto dopo che Cassazione e Corte Costituzionale ne hanno sottolineato la portata generale.
Nota: Queste protezioni ovviamente non si applicano a somme di diversa natura (es. saldo originato da risparmi, vendite, rimborsi, ecc., che sono interamente pignorabili salvo altre eccezioni). Inoltre, per completezza, ricordiamo che restano impignorabili al 100% eventuali crediti di natura alimentare strettamente intesa, sussidi di povertà, assegni di mantenimento per figli minori, etc., come da commi 1 e 2 dell’art. 545 c.p.c. (ma sono casi particolari, spesso non afferenti a conti correnti comuni).
9. Comportamento della banca: blocco del conto e possibile revoca del fido
Quando su un conto affidato arriva un atto di pignoramento, la banca si trova in una posizione peculiare. Da un lato, come terzo pignorato, deve rispettare gli obblighi legali: congelare le somme presenti (se ce ne sono) e inibirne l’utilizzo da parte del cliente, comunicando al giudice lo stato del conto. Dall’altro lato, la banca è anche creditrice del correntista se il conto è in rosso (per l’importo dello scoperto utilizzato) e parte contrattuale in un rapporto di affidamento basato sulla fiducia. È naturale che la notifica di un pignoramento – segnale del dissesto o comunque di problemi finanziari del cliente – induca la banca a tutelare i propri interessi.
In particolare, le possibili reazioni della banca includono:
- Blocco operativo del conto: Oltre al vincolo sulle somme esistenti (imposto per legge), la banca tipicamente limita l’operatività del conto affidato pignorato. Ciò può significare che il debitore non potrà più effettuare pagamenti, bonifici o prelievi dal conto, neppure entro l’eventuale fido disponibile. Questa scelta prudenziale serve a evitare complicazioni: se il conto è negativo, qualsiasi ulteriore utilizzo del fido aggraverebbe l’esposizione debitoria verso la banca e rischierebbe di interferire con l’azione esecutiva (ad esempio, facendo diminuire un saldo attivo appena creato, cosa che la Cassazione vieta come visto). Dunque la banca tende a “congelare” completamente il conto in attesa di sviluppi, consentendo al più le sole operazioni in entrata (accrediti) ma non in uscita. Alcuni istituti sospendono persino gli addebiti automatici (RID, utenze) per cautela, onde evitare scoperti non autorizzati.
- Revoca dell’affidamento: La banca ha facoltà, prevista contrattualmente e dall’art. 1845 c.c., di revocare il fido concesso al correntista, soprattutto se vi è giusta causa o comunque in caso di conto a revoca libera con preavviso. L’avvenuto pignoramento è spesso interpretato dalla banca come un serio motivo di sfiducia: segnala che il cliente ha debiti verso terzi che non sta pagando, e implica un rischio concreto che la banca non rientri facilmente delle proprie esposizioni. Pertanto, molto frequentemente la banca revoca il fido subito dopo la notifica del pignoramento. Se il contratto è “a tempo indeterminato”, la banca può recedere dando il preavviso pattuito (di solito 10-15 giorni); se c’è giusta causa (ad es. insolvenza conclamata, atti pregiudizievoli come appunto il pignoramento, considerato spesso un default tecnico) potrebbe revocare anche senza preavviso, con effetto immediato. In ogni caso, la revoca comporta che tutte le somme utilizzate divengono immediatamente esigibili: il cliente deve restituire l’importo per cui il conto è scoperto entro il termine di preavviso o subito, se a giusta causa. Ad esempio, se il conto era a –€5.000 su fido 5.000, la banca comunicherà la chiusura dell’affidamento e la richiesta di rientro di quei 5.000.
- Compensazione di crediti: Un’ulteriore tutela della banca, quando il conto affidato viene revocato, è la possibilità di compensare automaticamente eventuali nuove entrate sul conto con il proprio credito verso il correntista. Infatti, se il conto viene chiuso in passivo, ogni somma che affluisce successivamente (ad esempio un bonifico erroneo, o accrediti arrivati dopo) può essere trattenuta dalla banca in conto del suo credito, una volta che non vige più il rapporto di conto. La giurisprudenza arbitrale (ABF) ha ritenuto legittimo che dopo il recesso dal conto, la banca addebiti importi dovuti non appena il saldo diventa attivo con nuovi versamenti, trattandosi di debito certo del cliente. Tuttavia, è importante sottolineare che durante il pignoramento la banca non può arbitrariamente anteporsi al creditore pignorante: se il pignoramento si è perfezionato su certe somme (saldo attivo), la banca non può compensare in proprio quelle somme senza violare il vincolo (a meno che vantasse un diritto di pegno o privilegio speciale, non usuale in questi casi). Dunque, la banca di solito attende la definizione dell’esecuzione; ma se questa non blocca nulla (conto sempre negativo), allora sì, può usare i primi accrediti futuri per soddisfarsi.
In sintesi, dal punto di vista del debitore, gli effetti collaterali del pignoramento sul rapporto bancario possono essere anche più gravi del pignoramento stesso. Il conto corrente pignorato viene congelato e spesso l’affidamento revocato, rendendo indisponibile quella linea di credito che magari il debitore utilizzava regolarmente per esigenze di cassa. Questo può causare serie difficoltà: pagamento di fornitori bloccati, impossibilità di disporre dello stipendio se va su quel conto, necessità di restituire subito somme in rosso, ecc.
Va detto che la banca non sempre revoca in tronco il fido: se il cliente ha sempre pagato regolarmente gli interessi e mostrava affidabilità, potrebbe attendere a revocare, magari riducendo il plafond o chiedendo rientri parziali. Tuttavia, la tendenza generale è di ridurre l’esposizione. La Cassazione, Sez. I, 30 novembre 2017, n. 28003 ha riconosciuto la legittimità del recesso bancario dall’affidamento con congruo preavviso per giusta causa, in presenza di elementi che incrinino la fiducia (p.es. aggravamento della situazione patrimoniale del cliente). Un pignoramento è certamente un segnale che può giustificare il venir meno della fiducia creditizia.
Per il debitore, la revoca del fido significa dover trovare in breve tempo i fondi per coprire lo scoperto. Se non lo fa, la banca potrà iscriverlo a centrale rischi per insolvenza e avviare a sua volta azioni legali (ingiunzione di pagamento per il saldo scoperto, ulteriori pignoramenti su altri beni del debitore, ecc.). È un effetto a catena da non sottovalutare.
Dalla prospettiva del debitore, cosa fare? Nel prossimo paragrafo vedremo come gestire la revoca e le possibili soluzioni. Ma qui anticipiamo un consiglio: mantenere un dialogo con la banca. Appena arriva un pignoramento, è bene contattare la banca, capire le loro intenzioni (recesso sì/no) e eventualmente negoziare un piano di rientro sull’affidamento, prima che la situazione precipiti (ad es. chiedere di poter restituire lo scoperto a rate invece che in un’unica soluzione). Questo può evitare l’immediata segnalazione a sofferenza e ulteriori grane.
10. Fido revocato dopo il pignoramento: come gestirlo (accordi, rientri, saldo e stralcio)
Proseguiamo l’ipotetico scenario: il nostro debitore aveva un conto affidato, pignorato mentre era in rosso, e la banca ha deciso di revocare il fido richiedendo il rientro. Adesso il debitore si trova con due problemi: da un lato il creditore procedente che, sebbene non abbia preso nulla dal conto, potrebbe cercare altre strade per aggredire il patrimonio; dall’altro la banca creditrice che esige il rimborso dello scoperto entro breve.
Vediamo quali strategie può adottare il debitore per affrontare la situazione:
- Verificare la legittimità della revoca: Innanzitutto, controllare il contratto di fido e la lettera di revoca. La banca ha dato il preavviso contrattuale minimo (di solito 15 giorni) previsto dall’art. 1845 c.c. se il fido era “a revoca”? Oppure invoca una giusta causa per l’immediata cessazione? Se la revoca appare ingiustificata o intempestiva, il debitore (col supporto di un legale) potrebbe contestarla per guadagnare tempo. Ad esempio, se il pignoramento è di importo modesto rispetto alla sua situazione e la banca non rischiava realmente un peggioramento, si può provare a negoziare il mantenimento del fido. Tuttavia, nella pratica raramente le banche recedono senza ragione: la notifica di un pignoramento è quasi sempre considerata buona causa. Quindi è più fruttuoso concentrarsi sul come rientrare dal debito.
- Accordo di rientro rateale con la banca: Il debitore dovrebbe subito contattare la banca (direzione crediti o ufficio contenzioso) e proporre un piano di rientro dell’esposizione. Ad esempio, se aveva –€10.000, proporre di ripianare con €500 al mese per 20 mesi, magari con interessi contenuti e rinuncia a parte delle spese. La banca potrebbe accettare, trasformando lo scoperto in un affidamento ad esaurimento o in un mutuo chirografario. Questo è vantaggioso se il debitore ha flussi di cassa prevedibili ma non immediati per chiudere tutto subito. Formalizzare un piano di rientro interrompe eventuali azioni legali della banca fintanto che si rispettano le rate.
- Saldo e stralcio con la banca: Se la situazione finanziaria del debitore è molto compromessa, può tentare di ottenere uno stralcio del debito con la banca: ad esempio offrire una somma una tantum inferiore al dovuto (es. pagare €6.000 su 10.000) in cambio della chiusura immediata del conto e rinuncia al restante. Le banche valutano stralci di solito quando il credito appare difficilmente recuperabile per vie ordinarie (ad es. il debitore non ha beni, ha altri debiti, etc.). Essendo il fido un credito bancario, di norma preferiscono un rientro integrale, ma in presenza di procedure esecutive in corso e rischio insolvenza, talvolta accettano transazioni al ribasso. Importante è avere liquidità pronta da offrire per convincere.
- Sostituzione del fido: Un’altra opzione, se il debitore ha ancora qualche credibilità o garanti, è cercare un nuovo finanziamento presso un altro istituto per coprire lo scoperto (ad esempio un prestito personale, o l’intervento di un familiare). In pratica “sposterebbe” il debito dalla banca attuale a un’altra fonte, mantenendo magari attivo il rapporto con la banca originale (anche se difficilmente le permetteranno di tenere il conto dopo un pignoramento). Questa soluzione rientra più in una ristrutturazione del debito informale.
- Conseguenze se non si rientra: Se il debitore non paga la banca dopo la revoca, la banca può innanzitutto revocare formalmente il contratto di conto corrente, chiudendo il rapporto. Il saldo negativo diventa un credito scaduto: la banca potrebbe iscriverlo tra i “cattivi pagatori” (Centrale rischi Bankitalia se supera €100, o CRIF per importi minori) e dopo qualche sollecito passare al recupero giudiziale. Tipicamente ottiene un decreto ingiuntivo per il saldo dovuto, poi – ironia della sorte – può essa stessa agire in via esecutiva pignorando beni del debitore (compresi eventuali nuovi conti correnti altrove, stipendio, ecc.). In tal caso la banca, avendo normalmente privilegi e ipoteche solo se il fido era garantito (di solito no, se scoperto semplice), concorrerà coi restanti creditori chirografari.
- Procedure da sovraindebitamento: Qualora il debitore si trovi schiacciato da più fronti (debito con banca per il fido, debito col creditore procedente originario, altri debiti), può valutare soluzioni più radicali come le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento previste dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019). Strumenti come il piano del consumatore o il concordato minore permettono, sotto controllo del tribunale, di ristrutturare i debiti e anche di ottenere esdebitazione (discharge del debito residuo) se il patrimonio non consente il pagamento integrale. Ad esempio, potrebbe proporre ai creditori un pagamento parziale e ottenere la cancellazione del resto, bloccando nel frattempo le azioni esecutive. Si tratta di procedure complesse ma efficaci per chi è in grave difficoltà e onesto nella propria esposizione. Nel contesto del nostro caso, se il pignoramento sul conto in rosso era un segnale di insolvenza più ampia, queste procedure potrebbero essere l’unica via per venirne fuori ordinatamente.
In qualsiasi caso, è consigliabile avvalersi di consulenza legale qualificata per gestire il post-pignoramento. Un avvocato esperto in esecuzioni forzate e diritto bancario può individuare eventuali vizi procedurali nel pignoramento (anche se da saldo negativo è difficile opporsi per “illegittimità”, visto che il creditore ha diritto a tentare) e soprattutto negoziare con efficacia con la banca e con il creditore procedente. Talvolta, se il pignoramento ha esito nullo, il creditore originario sarà più disposto a trattare (vedi prossimo paragrafo): un accordo globale potrebbe risolvere sia il debito bancario che quello col creditore pignorante.
11. Strategie per il debitore per evitare o gestire il pignoramento del conto
Dal punto di vista del debitore, l’ideale sarebbe prevenire il pignoramento sul conto corrente, o se non possibile, almeno limitare i danni. Ecco alcune strategie e consigli pratici:
- Monitorare la propria esposizione e agire tempestivamente: Se si ricevono atti di precetto o si è a rischio di esecuzione, non ignorare la situazione. Un errore comune è lasciar arrivare il pignoramento sperando di guadagnare tempo. In realtà, muoversi prima consente magari di trovare un accordo col creditore ed evitare il pignoramento (vedi §12). Inoltre, in attesa del pignoramento, valutare di ridurre volontariamente le giacenze sui conti correnti: se si hanno più conti, lasciare sul conto a rischio pignoramento solo lo stretto indispensabile (tenendo presente il minimo vitale se è stipendio). Non si tratta di frodare i creditori, ma di evitare che il creditore blocchi somme ben oltre il suo credito o che servono per vivere. Spostare i risparmi su conti non noti al creditore (o temporaneamente su strumenti non pignorabili, come titoli di Stato nominativi, polizze vita impignorabili, ecc.) può essere una mossa prudente – meglio se prima che inizi il procedimento esecutivo, così da non incorrere in contestazioni.
- Evitare manovre opache all’ultimo minuto: Attenzione però a non effettuare movimenti sospetti a ridosso dell’esecuzione. Ad esempio, dopo la notifica del pignoramento (anche se il conto è in rosso) non conviene far transitare stipendi su altri conti di familiari o prelevare somme in contanti da altri conti per nasconderle. Tali condotte potrebbero far ipotizzare al creditore azioni revocatorie (se trasferite a terzi) o addirittura reati (sottrazione fraudolenta ai creditori se c’è dolo di pregiudicare le ragioni creditorie). Le strategie di protezione devono essere lecite e ponderate. Meglio agire in anticipo e alla luce del sole.
- Conto dedicato per lo stipendio/pensione: Se il debitore è lavoratore dipendente o pensionato e teme pignoramenti, può essere utile avere un conto separato solo per l’accredito di tali emolumenti, mantenendoci un saldo tendenzialmente basso (entro il triplo assegno sociale). Così, se arriva un pignoramento su quel conto, l’impatto sarà limitato dal minimo vitale, e se arriva su altri conti di deposito, non troverà i redditi essenziali. Questa accortezza organizza meglio la propria liquidità.
- Considerare la chiusura volontaria del conto scoperto: In certi casi estremi, il debitore potrebbe valutare di chiudere proattivamente il conto in rosso prima che venga pignorato, concordando con la banca una modalità di rimborso del fido. Se la banca accetta di negoziare (ad esempio convertendo il saldo a debito in un finanziamento ad hoc), il debitore potrebbe estinguere il conto corrente e aprirne uno nuovo altrove. Così il creditore procedente troverebbe il vecchio conto chiuso (un pignoramento su conto chiuso è inefficace per inesistenza del rapporto). Questa mossa però richiede la collaborazione della banca ed è realistica solo prima che il pignoramento sia notificato. Dopo, la banca non permette chiusure finché pende il vincolo.
- Separare i conti personali da quelli aziendali/familiari: Se il debitore è un imprenditore o professionista, conviene tenere separati i conti personali e quelli dell’attività. Un pignoramento su un conto aziendale per debiti personali può creare sconquassi operativi (anche se per legge dovrebbero essere su conti intestati al debitore, a volte imprenditori individuali usano lo stesso conto). Inoltre, evitare conti cointestati con persone estranee ai debiti: come visto, proteggere al 100% l’altro cointestatario non è garantito, dovrà forse intervenire un giudice a dividere le quote. Meglio conti separati.
- Valutare il saldo disponibile reale: Se un debitore sa di avere un fido utilizzato, non deve illudersi di avere “shield” infinito: dovrebbe considerare il suo saldo disponibile reale ai fini esecutivi, che è il minore tra (saldo contabile, zero). Ad esempio: saldo contabile –€5.000 su fido 10k, disponibile reale pignorabile = €0. Se però lo scoperto scende (per accrediti) e va in positivo, immediatamente quell’importo è a rischio. Quindi non appena affluiscono fondi, considerare che potrebbero essere catturati.
- Negoziare con il creditore procedente: Spesso la mossa migliore è dialogare con il creditore che minaccia o ha avviato il pignoramento. Offrire un piano di rientro o un saldo e stralcio può convincerlo a desistere dall’esecuzione, specie se questa appare complicata (come nel caso del conto in rosso, dove già non ha trovato nulla). Fare ciò prima che vengano sostenute troppe spese legali è opportuno (il creditore potrebbe essere più bendisposto prima di investire soldi nell’esecuzione). Nel §12 parliamo del saldo e stralcio in dettaglio.
- Chiedere aiuto professionale: Un debitore sotto pressione dovrebbe coinvolgere un professionista (avvocato o consulente debitorio) il prima possibile. Ci sono studi legali specializzati in difesa dei debitori (ad es. che conoscono bene i pignoramenti bancari) che possono individuare margini di opposizione o trattative. Nel caso di conti in rosso, possibili profili di opposizione formale sono pochi (il pignoramento in sé non è illegittimo solo perché il conto è negativo), ma un occhio esperto può scovare vizi di forma, notifica, incompetenza territoriale, ecc., su cui impostare un’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. per guadagnare tempo o invalidare il pignoramento. Ad esempio, se l’atto di pignoramento difettava di indicazioni obbligatorie (importo esatto del credito, generalità del terzo, ecc.), oppure se è stato notificato in modo errato, si può far valere tali vizi. Anche se il conto è vuoto, far annullare il pignoramento può evitare che il creditore reiteri subito l’azione altrove o carichi costi.
In generale, non bisogna mai “nascondere la testa sotto la sabbia”. Un debitore informato dei propri diritti (come i limiti di pignorabilità) e proattivo nel gestire i rapporti con banca e creditore, avrà molte più chance di uscire dalla vicenda limitando le conseguenze negative.
12. Accordo transattivo col creditore: saldo e stralcio del pignoramento
Poniamoci ora dal lato del rapporto con il creditore procedente (quello che ha tentato il pignoramento del conto). Se il pignoramento del conto corrente è andato a vuoto – ad esempio perché il conto era in rosso e non è poi entrato nulla – il creditore si trova nella posizione di non aver recuperato nulla con quell’azione. Tuttavia ha investito tempo e denaro (spese legali, contributo unificato, ecc.) e potrebbe valutare come proseguire. In questi frangenti spesso si apre una finestra di opportunità per il debitore: proporre un accordo transattivo, comunemente detto saldo e stralcio.
Cos’è il saldo e stralcio? È un accordo in cui il debitore offre al creditore un pagamento in somma inferiore al totale dovuto, ma immediato o in tempi brevi, in cambio della rinuncia alle ulteriori pretese e alla chiusura di ogni azione esecutiva. In pratica il credito viene “stralciato” (cancellato) dietro un “saldo” parziale.
Nel nostro contesto, immaginiamo che il debitore dica al creditore: “So che dal conto non ha ottenuto nulla. Posso però reperire X euro subito se accetta di chiudere la pratica e rinunciare al resto”. Le considerazioni da fare sono:
- Interesse del creditore: Il creditore deve valutare le sue alternative. Se il debitore ha altri beni aggredibili (stipendio, immobili, ecc.), forse vorrà tentare altre esecuzioni. Ma se il debitore appare poco solvibile (conto in rosso, magari disoccupato o altri debiti), il creditore potrebbe preferire incassare subito una percentuale piuttosto che inseguire un debitore “a secco” per anni. Molti creditori (banche, finanziarie, fornitori) hanno politiche attive di saldo e stralcio quando la riscossione coattiva si rivela inefficace.
- Quantum offrire: Non c’è una regola fissa. Dipende dall’entità del debito e dalle possibilità del debitore. Offrire troppo poco (es. 10% del debito) potrebbe non invogliare il creditore, a meno che sia chiaro che di più è impossibile ottenere. Offrire di più (es. 30-50%) può essere allettante se il creditore vede rischi. Importante: se il creditore ha titolo esecutivo e ha iniziato l’esecuzione, di solito mette in conto di recuperare almeno la quota pignorabile di eventuali redditi. Ad esempio, se può pignorare uno stipendio, in 1-2 anni forse recupera un 20-30%. Quindi un’offerta concorrente potrebbe ragionevolmente stare su quell’ordine o poco oltre. Va anche evidenziato al creditore che proseguire con esecuzioni comporterà spese ulteriori e incertezza, mentre l’accordo dà liquidità certa e zero costi ulteriori.
- Formalizzare la rinuncia: Se si raggiunge un accordo, è fondamentale che sia messo per iscritto (scrittura privata) e che il creditore si impegni a rinunciare al pignoramento e più in generale a rilasciare quietanza liberatoria integrale una volta incassato l’importo concordato. La rinuncia al pignoramento va comunicata al giudice dell’esecuzione ex art. 629 c.p.c., comportando l’estinzione della procedura. È bene che il debitore abbia assistenza legale in questa fase per assicurarsi che tutti i vincoli vengano rimossi: ad esempio, che la banca riceva ordine di scongelare il conto se era bloccato (in caso fosse rimasta cautelativamente bloccata qualche somma o operatività).
- Effetti sul debito: Con il saldo e stralcio, il debitore estingue il debito residuo senza ulteriori strascichi. Attenzione però che se il creditore è un ente pubblico (es. Agenzia Entrate Riscossione) ci sono limiti alla transazione stragiudiziale; ma esistono procedure di “rottamazione” o composizione agevolata per quelle. Tra privati invece è liberamente fattibile.
- Esempio pratico: Tizio deve €10.000 al creditore Alfa srl. Alfa pignora il conto di Tizio, ma c’erano solo spiccioli perché il conto era in rosso; l’azione risulta infruttuosa. A questo punto Tizio, con l’aiuto di un legale, propone: “Vi pago €4.000 entro 10 giorni se chiudiamo la questione”. Alfa riflette: sa che Tizio non ha immobili, lo stipendio non ce l’ha (magari lavora a chiamata), quindi per recuperare 10k ci vorrebbero anni e altre spese. Accetta €4.000 subito. Si sottoscrive un accordo, Tizio paga, Alfa deposita istanza di rinuncia al pignoramento e rilascia quietanza finale. Tizio risparmia €6.000 di debito e Alfa incassa qualcosa evitando il rischio zero.
Vantaggi per il debitore: Chiaramente uno sconto sul debito e la fine delle azioni esecutive. Inoltre, se il conto era bloccato (perché magari nel frattempo era affluito qualche importo ma non assegnato), la rinuncia del creditore libera quelle somme. Il debitore può così riappropriarsi del conto (anche se, come visto, la banca potrebbe comunque aver revocato il fido; ma almeno il conto torna libero da vincoli giudiziari).
Accortezze: Non impegnarsi a pagare una somma transattiva che non si è sicuri di poter raccogliere in tempo, altrimenti si peggiora la credibilità. Meglio raccogliere prima i fondi (tramite familiari, vendite di beni non pignorati, ecc.) e poi negoziare con “il gruzzolo in mano”. Inoltre, evitare dilazioni lunghe nell’accordo: i creditori preferiscono soluzioni immediate; se si chiede di rateizzare l’accordo in 2 anni tanto valeva per loro pignorare lo stipendio.
In conclusione, dal punto di vista del debitore un saldo e stralcio è spesso la via più rapida e meno traumatica per chiudere la vicenda del pignoramento infruttuoso, trasformando un fallimento (per il creditore) in un compromesso accettabile per entrambi.
13. Domande frequenti (FAQ)
D: Un conto corrente in rosso può essere pignorato dal mio creditore?
R: Sì e no. Il creditore può notificare un pignoramento e bloccare il conto, ma non può prelevare nulla se il saldo è negativo, perché non ci sono fondi di tua proprietà da aggredire. Il pignoramento rimarrà inefficace finché il conto resta in rosso. Solo se in seguito il saldo torna positivo (con nuovi accrediti) allora la parte positiva potrà essere sequestrata.
D: Il fido bancario concesso sul conto può essere pignorato o usato per pagare il creditore?
R: No. La linea di credito (fido) non è pignorabile in sé, in quanto non è un tuo bene ma una disponibilità che la banca ti offre revocabilmente. Il creditore non può costringere la banca a erogare denaro del fido per soddisfare il suo credito. Verranno bloccati solo eventuali soldi tuoi (saldo attivo) sul conto, non il fido.
D: Cosa succede se sul conto pignorato, inizialmente in rosso, arriva uno stipendio o un bonifico a mio favore?
R: Se l’accredito non supera l’ammanco (es. saldo va da –€500 a –€100), allora quelle somme servono solo a ridurre lo scoperto e non vanno al creditore. Se invece l’accredito rende il saldo positivo (es. da –500 a +200), la parte in attivo (+200) diventa automaticamente pignorata a disposizione del creditore. Attenzione però: se si tratta di stipendio o pensione, la legge ti tutela. La banca deve lasciarti almeno il minimo vitale (triplo assegno sociale se era già sul conto, oppure 4/5 di ogni accredito successivo) e pignorare solo la quota eccedente.
D: La banca può chiudere o revocare il mio fido dopo aver ricevuto il pignoramento?
R: Sì, può. In molti casi la banca, per prudenza e per tutelarsi, revoca l’affidamento non appena il conto viene pignorato. È autorizzata a farlo se previsto dal contratto (di solito con 15 giorni di preavviso) o immediatamente se ravvisa giusta causa. Questo significa che dovrai restituire alla banca l’importo per cui il conto è scoperto. Inoltre, la banca di solito blocca l’operatività del conto pignorato (niente pagamenti o prelievi) per evitare complicazioni.
D: Se la banca revoca il fido, devo rimborsare subito tutto lo scoperto? Cosa succede se non pago?
R: In caso di revoca, la banca richiede il rientro del saldo a debito entro i termini di preavviso (o immediatamente se a giusta causa). Se non paghi, il debito verso la banca diventa esigibile e la banca potrà agire per recuperarlo (ingiunzione di pagamento, pignorare altri tuoi beni, segnalazione in Centrale Rischi). È fondamentale contattare la banca e cercare un accordo: ad esempio rateizzare il dovuto, o trovare un compromesso (a volte anche un saldo e stralcio). Ignorare la richiesta di rientro porta quasi certamente a un aggravarsi della tua situazione debitoria con la banca.
D: Il pignoramento su conto in rosso risulta comunque sul mio “curriculum” creditizio?
R: Il pignoramento in sé è un atto pubblico del tribunale, ma non esiste un registro pubblico facilmente consultabile di pignoramenti subiti (se non nelle visure di procedure mobiliari, che però non sono centralizzate come quelle immobiliari). Tuttavia, gli effetti indiretti possono emergere: se la banca revoca il fido e ti segnala come cattivo pagatore per lo scoperto non rientrato, ciò apparirà in Centrale Rischi Bankitalia o SIC privati (CRIF, Experian). Inoltre, se il creditore procedente non ha riscosso, potrebbe iscrivere un’ipoteca giudiziale (se aveva un titolo) sui tuoi beni immobili come garanzia. In sostanza, il pignoramento infruttuoso del conto può lasciarti con tracce negative nei sistemi creditizi a causa del rapporto con la banca e dell’insolvenza verso il creditore.
D: Posso aprire un nuovo conto corrente altrove durante o dopo il pignoramento?
R: Sì. Non c’è un divieto legale di aprire altri conti. Se il tuo conto principale è bloccato o a rischio, è spesso consigliabile aprire un conto alternativo (magari presso un altro istituto) dove far transitare le entrate correnti, per non restare senza operatività. Tieni presente che quel nuovo conto non è automaticamente noto ai creditori esistenti, a meno che loro ne vengano a conoscenza e agiscano anche lì. Quindi, a fini cautelativi, un nuovo conto può aiutare per ricevere stipendio o gestire spese quotidiane al riparo da quel pignoramento specifico. Fai comunque attenzione: spostare grandi somme da conti noti a conti nuovi subito dopo atti di precetto o pignoramento potrebbe essere visto come atto in frode ai creditori se fatto con malizia. Ma aprire un nuovo conto per la gestione ordinaria è perfettamente lecito.
D: Se il conto corrente era cointestato con mio marito/moglie che non ha nulla a che fare col mio debito, cosa succede col pignoramento?
R: Il pignoramento può colpire anche conti cointestati (il creditore non ha bisogno che tutti gli intestatari siano debitori). La banca in tal caso blocca l’intero conto, ma in sede di assegnazione verrà considerata solo la tua quota di saldo. Solitamente, se siete in due cointestatari, la quota presunta è il 50%. Quindi il creditore potrebbe ottenere al massimo metà del saldo (o meno se il tuo debito è minore). L’altro cointestatario, se il blocco gli crea danno, può anche intervenire nel processo esecutivo per far valere i propri diritti sulla sua parte di denaro. In ogni caso, è sempre preferibile evitare conti cointestati se uno dei due rischia pignoramenti, per non coinvolgere l’altro.
D: L’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) può pignorare un conto in rosso?
R: L’ADER (Riscossione) ha poteri di pignoramento dei conti tramite un procedimento speciale (art. 72-bis DPR 602/1973) che le permette di ordinare direttamente alla banca di pagare le somme dovute dal contribuente, trascorsi 60 giorni dalla notifica della cartella senza opposizione. Tuttavia, anche l’ADER non può prendere ciò che non c’è: se il conto è in rosso, la banca dichiarerà incapienza e l’atto non avrà effetto pratico. Va detto che l’ADER di solito agisce conoscendo i conti dove transitano stipendi/pensioni o altre entrate; dunque, come per i privati, il vero punto è quando sul conto arriveranno fondi. L’ADER è tenuta a rispettare i medesimi limiti di impignorabilità dei stipendi/pensioni: lo ha chiarito anche la giurisprudenza di Cassazione in ambito penale e tributario, richiamando l’art. 545 c.p.c. come espressione di principi costituzionali. Quindi anche il Fisco non può pignorare il “minimo vitale” su un conto, né forzare un fido bancario negativo.
D: Quanto dura il blocco del conto pignorato?
R: Dipende dall’iter dell’esecuzione. Se il pignoramento va a vuoto e il creditore rinuncia o comunque non procede, il conto dovrebbe essere sbloccato appena il giudice dichiara chiusa la procedura (o appena la banca ha reso dichiarazione negativa e sono decorsi i termini di legge). In pratica però, le banche attendono un segnale ufficiale: ad esempio, un’ordinanza di estinzione o un atto di rinuncia notificato. Se nulla accade, il conto potrebbe restare congelato anche diversi mesi. Per evitare lunghe attese, il debitore (tramite il suo avvocato) può sollecitare la chiusura del procedimento o chiedere al giudice un ordine di dissequestro delle somme non trovate. Quando invece il pignoramento coglie fondi, il blocco dura fino all’ordinanza di assegnazione e relativo pagamento al creditore – dopodiché l’eventuale eccedenza viene sbloccata. Orientativamente, un pignoramento presso terzi dura qualche mese; se il creditore non attiva l’azione (manca di fare istanza di assegnazione), può estinguersi in 6 mesi per inerzia (ex art. 630 c.p.c. dopo riforma 2021).
D: Posso contestare un pignoramento sul conto in rosso?
R: Il fatto che il conto fosse in rosso non rende di per sé illegittimo l’atto di pignoramento. Il creditore ha il diritto di tentare l’esecuzione presso terzi, anche se poi risulta infruttuosa. Puoi però contestare eventuali irregolarità formali o procedurali: ad esempio, se l’atto di pignoramento non conteneva tutti i dati obbligatori, o se ti è stato notificato impropriamente, o se è stato pignorato un conto su cui c’erano solo somme assolutamente impignorabili e il creditore lo sapeva (abuso del processo). Queste opposizioni vanno presentate tempestivamente (entro 20 giorni dall’atto, in genere). Onestamente, in caso di conto in rosso, molti debitori preferiscono non opporsi (per non spendere in cause) poiché l’atto in sostanza non ha tolto loro denaro. Però se ci sono principi di diritto da far valere – o ad esempio vuoi evitare che il creditore reiteri l’azione – valutare un’opposizione agli atti esecutivi con il tuo avvocato potrebbe avere senso.
D: Dopo un pignoramento infruttuoso del conto, il creditore può pignorare qualcos’altro?
R: Sì, il creditore può rivolgere la sua azione altrove, purché rimanga nei limiti di legge. Può ad esempio tentare di pignorare un altro tuo conto (se ne individua uno), oppure pignorare lo stipendio presso il datore di lavoro, o un’auto, o la quota di un immobile, ecc. Il pignoramento sul conto in rosso non preclude ulteriori iniziative. Anzi, spesso il creditore, avuta conferma che quel conto non dà frutti, cambia bersaglio. Tieni presente però che ogni nuovo pignoramento ha costi e tempi, quindi come detto potrebbe nel frattempo accettare di trattare. In ogni caso è bene non abbassare la guardia: analizza con un legale quali altri beni potrebbero essere a rischio e come tutelarli nel rispetto della legge.
14. Esempi pratici e casi simulati (scenario Italia, debitore)
Per rendere più concreti gli aspetti trattati, presentiamo di seguito due casi pratici simulati focalizzati sul debitore italiano alle prese con un conto in rosso pignorato.
Esempio 1: Conto in rosso pignorato e accredito successivo
Situazione iniziale: Lucia ha un conto corrente personale presso Banca Alfa, con un fido bancario di €3.000. Al momento il suo saldo è –€1.500 (ha utilizzato metà della linea di credito). Lucia purtroppo ha un debito verso un fornitore, che ottiene un decreto ingiuntivo di €2.000 e, scaduto il precetto, notifica un atto di pignoramento alla Banca Alfa sul conto di Lucia.
Al momento del pignoramento: Il conto di Lucia è a –1.500 €. La banca, ricevuto l’atto, blocca il conto e successivamente dichiara al giudice che “il saldo del conto è negativo, nessuna somma dovuta”. Il giudice prende atto che non c’è nulla da assegnare (pignoramento infruttuoso). In questa fase Lucia non subisce prelievi dal conto (che era già in negativo), però la banca le sospende l’operatività: Lucia non può più usare il fido residuo né effettuare pagamenti dal conto.
Evoluzione: Pochi giorni dopo, sul conto di Lucia viene accreditato lo stipendio mensile di €1.800 (Lucia è dipendente, lo stipendio arriva ogni 27 del mese). Cosa accade? Analizziamo i passaggi:
- L’accredito di €1.800 porta il saldo da –1.500 € a +300 € (coperto lo scoperto e avanzano 300). Appena si genera questo saldo attivo di €300, la banca – ricordando che c’è un pignoramento in corso – lo vincola a favore del creditore. Di per sé, dunque, quei €300 sarebbero destinati al creditore pignorante.
- Tuttavia, trattandosi di stipendio accreditato dopo il pignoramento, si applica l’art. 545 co.8 c.p.c.: solo il 1/5 dello stipendio è pignorabile. Il quinto di 1.800 € è €360. Ma qui sul conto ce ne sono solo 300 attivi (perché 1.500 se n’è andato a ripianare lo scoperto). Tecnicamente, il creditore avrebbe diritto a €300 (non potendo eccedere l’attivo disponibile). A Lucia rimarrebbe €0 sul conto (problema!) perché i 300 sono tutti occupati dal pignoramento.
- Lucia però ha diritto al minimo vitale: notando che i €300 derivano da stipendio, il giudice – su istanza dell’avvocato di Lucia – ordina che di quei €300, una parte le sia liberata in modo che le resti il triplo dell’assegno sociale cumulativamente sui suoi depositi. Poniamo che Lucia non avesse altri soldi: il triplo dell’assegno sociale è circa €1.616, quindi i €300 (benché in attivo) sono inferiori al minimo vitale. Di conseguenza, nessuno dei €300 può essere assegnato al creditore, perché ciò lascerebbe Lucia sotto la soglia di sopravvivenza. Il giudice dispone la liberazione di quei €300 a favore di Lucia.
- In pratica, Lucia potrà ritirare o usare i €300 del suo stipendio, mentre il creditore non ottiene nulla. La banca sblocca dunque l’importo, ma attenzione: lo scoperto di Lucia verso la banca è ancora di €1.500? No, perché l’accredito ha azzerato lo scoperto e anzi creato +300, poi consegnati a Lucia. Quindi Lucia ora ha saldo 0 (ha preso 300, ma deve spenderli per vivere magari). Il fido però è ancora revocato e l’operatività resta bloccata.
- Il creditore, a questo punto, non ha recuperato nulla. Potrebbe chiudere il pignoramento e tentare altro (ad esempio scoprire dove Lucia ha lo stipendio e pignorarle direttamente 1/5 in busta paga, più efficace).
Commento: Questo esempio mostra l’intreccio tra fido, pignoramento e limiti su stipendi. Lucia di fatto ha “salvato” il proprio stipendio dallo scenario peggiore sfruttando la norma del minimo vitale, ma ha comunque il conto bloccato e il fido revocato. Inoltre, se il creditore la pignorasse presso il datore, il prossimo mese perderà 1/5 costantemente. Nel frattempo Lucia farebbe bene a cercare un accordo saldo e stralcio col creditore prima che questi passi ad altro (magari poteva offrirgli quei €300 per chiudere la partita, invece di restituirli a Lucia; ma il minimo vitale è irrinunciabile per legge). In più, deve sistemare il rapporto con la banca: ha il fido revocato e, se non versa 1.500 € per ripristinare, la banca prima o poi agirà. Lucia potrebbe usare una parte del prossimo stipendio per rientrare almeno parzialmente.
Varianti: Se l’accredito fosse stato di natura diversa (es. un bonifico da un amico) non ci sarebbe stato il limite del quinto: i €300 sarebbero andati al creditore direttamente. Se invece lo stipendio fosse arrivato prima del pignoramento (conto in attivo) sarebbero stati impignorabili fino a ~€1.616, ma il conto non sarebbe mai andato in rosso in quel caso. Questo scenario è complesso, ma reale, e dimostra che un conto in rosso offre solo una protezione momentanea: appena entrano soldi, tornano i nodi al pettine tra banca, creditore e debitor.
Esempio 2: Fido revocato dopo pignoramento e accordo di rientro
Situazione iniziale: Marco è titolare di una piccola impresa individuale. Ha un conto aziendale affidato presso Banca Beta con un fido di cassa di €20.000. Ha utilizzato gran parte del fido: il saldo oscilla tra –€18.000 e –€19.500 a seconda dei pagamenti. Marco ha anche debiti tributari arretrati e viene a sapere che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha avviato azioni esecutive. Un giorno, Marco trova il suo conto bloccato: l’ADER ha emesso un ordine di pignoramento dei crediti (ex art. 72-bis DPR 602/73) verso la Banca Beta per €15.000 di cartelle esattoriali non pagate.
Al momento del pignoramento: Il conto ha saldo –€18.500. Banca Beta, come da procedura, blocca il conto e invia comunicazione all’ADER dichiarando che “il correntista non ha saldo attivo, ma un’esposizione a debito”. L’ADER non può incassare nulla: il pignoramento risulta improduttivo. Tuttavia, la Banca Beta reagisce immediatamente all’accaduto: la situazione di Marco ora appare critica (fisco che pignora, conto perennemente in rosso). La banca decide di revocare il fido per giusta causa, comunicando a Marco che dovrà rientrare dei €18.500 entro 15 giorni, pena l’avvio di azioni legali.
Dopo il pignoramento: Il conto di Marco è congelato; egli non può pagare fornitori né incassare pagamenti sul solito conto (anche se tecnicamente i crediti futuri non sono pignorati perché il primo tentativo è fallito, la banca in blocco non li farebbe transitare). Marco si rende conto che rischia il collasso: se non può usare il conto, la sua attività si ferma; inoltre, trovare €18.500 in 15 giorni è impossibile per lui. Decide di agire:
- Per prima cosa, apre un nuovo conto presso un’altra banca (Banca Gamma) intestato alla sua impresa, così da deviare lì i pagamenti dei clienti in arrivo e continuare l’operatività quotidiana (scongiurando il blocco totale del business).
- Contatta Banca Beta per negoziare il rientro. Dopo discussioni, la banca concede a Marco di rientrare in 12 mesi: dovrà pagare ~€1.600 al mese (più interessi) e in cambio la banca sospende le azioni legali, ma comunque il conto resta chiuso e il fido revocato definitivamente. Marco accetta e firma un piano di rientro.
- Nel frattempo, con l’aiuto di un commercialista, Marco aderisce a una forma di definizione agevolata delle cartelle esattoriali (rottamazione), così blocca temporaneamente nuovi pignoramenti dell’ADER e diluisce il debito fiscale in 5 anni senza sanzioni.
- Passati i 15 giorni dalla revoca, la Banca Beta vede che Marco sta rispettando il piano (ha versato i primi €1.600). Tolgono il blocco dal conto giusto per permettere di contabilizzare questi versamenti, poi il conto verrà chiuso quando saldo a zero.
- Dopo 6 mesi, Marco grazie a un grosso pagamento di un cliente riesce a anticipare i rimborsi e chiude il debito con la Banca Beta in unica soluzione di €10.000 (aveva già pagato 6 rate per €9.600, tot 19.600 su 18.500 dovuti – un po’ di interessi inclusi).
- Banca Beta rilascia quietanza liberatoria, Marco evita il tribunale. L’ADER incassa le prime rate della rottamazione, poi Marco vende un macchinario inutilizzato e salda anche il Fisco anticipatamente con uno stralcio del 10% sulle sanzioni residue.
Commento: Questo caso illustra come un pignoramento su conto in rosso (per di più da parte del Fisco) inneschi conseguenze che vanno ben oltre l’atto in sé. Marco ha dovuto ristrutturare completamente la sua gestione finanziaria: nuovo conto, accordo colla banca per rientro, accordo col Fisco per evitare guai peggiori. Fortunatamente è riuscito a uscirne collaborando con i creditori. Se non avesse potuto pagare, lo scenario poteva essere: banca fa decreto ingiuntivo e ipoteca sui suoi beni, ADER rifà pignoramento appena il conto nuovo viene scoperto o su altri conti, ecc. La prontezza di Marco nel rivolgersi subito a professionisti (commercialista, consulente del lavoro) gli ha permesso di navigare la crisi. Il fido bancario revocato non era uno “scudo”, anzi è divenuto esso stesso un debito da regolare. Questo dimostra che avere conti in rosso prolungati è un rischio: quando arrivano guai (esecuzioni) mancano margini di manovra e il sistema bancario reagisce per proteggersi.
Varianti: In altri casi reali, se l’importo fosse più piccolo, una banca potrebbe stralciare: ad es. se Marco non fosse riuscito a pagare tutto, Banca Beta poteva magari accettare €15k su 18.5k e chiudere. Anche l’ADER se vede incapacità, a lungo termine può dover prendere atto (ma loro hanno 10 anni e oltre, difficilmente mollano se ci sono segni di ripresa). Marco ha evitato l’esdebitazione giudiziale scegliendo la via negoziale; un altro debitore più in crisi magari avrebbe optato per una liquidazione del patrimonio ex legge 3/2012.
15. Conclusione operativa
Dall’analisi svolta possiamo trarre alcuni punti fermi sul tema “conto in rosso e pignoramento” dal punto di vista del debitore:
- Saldo negativo = niente da pignorare: Se il conto è scoperto (saldo ≤ 0), il creditore non può prendere nulla perché manca un tuo credito verso la banca. Il conto in rosso di per sé non viene svuotato dal pignoramento (non c’è alcun attivo). Questo non significa però che sei al sicuro al 100%: significa solo che quell’azione esecutiva non avrà esito positivo immediato. Devi comunque gestire il debito sottostante.
- Il fido bancario non protegge magicamente: Avere un fido non vuol dire che i creditori resteranno a mani vuote per sempre. Il fido non è uno scudo assoluto: serve solo finché non hai soldi tuoi sul conto. Appena arrivano soldi (tuoi), il creditore potrà agganciarli. Inoltre la banca può revocare il fido in qualunque momento di crisi. Dunque, non fare affidamento sullo scoperto come strategia anti-pignoramento: può funzionare una volta, ma poi la situazione può peggiorare.
- Solo il saldo attivo è pignorabile: Ribadiamo la regola chiave: il pignoramento colpisce il saldo attivo del conto, non uno scoperto o una potenzialità. Quindi il creditore può prendere i soldi effettivamente a tuo credito in banca. Se questi non ci sono (conto rosso) o sono parziali, recupererà nulla o in parte. Questo ti dà un piccolo margine di manovra sul quando far risultare denaro sul conto (ad esempio, potresti deviare entrate altrove se le attendi durante un pignoramento).
- Le rimesse future contano (fino a saldo zero): Se il conto in rosso riceve depositi, essi prima sanano l’esposizione verso la banca e solo oltre zero creano pignorabile. Quindi, versamenti che non colmano interamente lo scoperto non portano beneficio al creditore (ma riducono il tuo debito con la banca). Versamenti che lo colmano e superano generano un saldo attivo subito bloccato per il creditore. In pratica, ogni euro sopra lo zero è un euro catturabile.
- Limiti su stipendi e pensioni: Se i soldi sul conto provengono da lavoro o pensione, godono di protezioni. Il debitore ha sempre diritto a conservare una soglia impignorabile (3×assegno sociale su pregresso, oppure 4/5 di ciascun accredito futuro). Quindi, anche se il conto va in attivo, non tutto l’attivo potrebbe essere assegnato al creditore. È importante segnalare al giudice l’origine di quelle somme per attivare la tutela. Non prelevare in contanti lo stipendio per paura: farlo non serve, perché se è già accreditato e pignorato, i limiti li applica comunque il giudice. Piuttosto, organizza i conti in modo da tenere le somme vitali separate e riconoscibili.
- La banca tutela se stessa: Dal tuo punto di vista, devi prevedere che la banca, a fronte di un pignoramento, agirà a suo vantaggio: bloccherà il conto e spesso revocherà il fido. Questo può generarti un debito immediato (restituzione dello scoperto) e la perdita di operatività bancaria. Prevedi un piano B (nuovo conto, riserva di liquidità per rientrare) in caso succeda.
- Agire per vie legali o stragiudiziali: Come debitore hai due strade complementari: da un lato, difenderti legalmente (con opposizioni, eccependo vizi, chiedendo applicazione dei limiti di legge, ecc.), dall’altro trattare coi creditori (banca e procedente) per trovare soluzioni. Spesso la via negoziale (accordi di rientro, saldo e stralcio) risolve più rapidamente e con meno spese di una battaglia legale che, se anche vinta su un cavillo, magari rinvia solo il problema. Valuta entrambe con un avvocato.
- Non sottovalutare le procedure di esdebitazione: Se il conto in rosso pignorato è un tassello di una crisi debitoria più ampia, considera strumenti come la composizione della crisi da sovraindebitamento. Sono procedure che congelano le azioni esecutive e portano (in certi casi) a ridurre i debiti complessivi in base alla tua effettiva capacità. È l’ultima spiaggia, ma meglio che restare strangolati dai debiti con conti chiusi e pignoramenti a catena.
- Reputazione creditizia: Infine, tieni a mente che anche se il pignoramento del conto in sé non ti ha prelevato soldi, l’evento segnala una difficoltà finanziaria che può avere riflessi sulla tua reputazione creditizia (specie se la banca revoca il fido e ti segnala a sofferenza). Lavora quindi per ripristinare equilibrio: onora il piano con la banca, sistema il debito col creditore. Col tempo (e magari con accordi transattivi) potrai ripulire la tua posizione e tornare affidabile.
In conclusione, “conto corrente in rosso e pignoramento” è una combinazione che richiede al debitore di essere informato e proattivo. Non bisogna farsi trarre in inganno dall’apparente inattaccabilità di un conto scoperto: sebbene nel breve termine il creditore rimanga a mani vuote, le conseguenze collaterali possono essere pesanti (revoca fido, blocco conto, altre esecuzioni). La chiave è conoscere i propri diritti (cosa può o non può prendere il creditore), collaborare con la banca per gestire il fido e soprattutto negoziare intelligentemente con i creditori per chiudere le pendenze, possibilmente a saldo ridotto. Così facendo, il debitore può superare questo momento critico limitando i danni e magari ristrutturando i propri debiti in maniera sostenibile.
Fonti normative e giurisprudenziali
- Codice Civile: artt. 1830 (pignoramento del saldo senza chiusura del conto), 1842 (contratto di apertura di credito), 1845 (recesso dall’apertura di credito e preavviso), 1854 (conto cointestato e solidarietà attiva/passiva dei saldi).
- Codice di Procedura Civile: artt. 543 (forma e contenuto dell’atto di pignoramento presso terzi), 545 (crediti impignorabili e limiti di pignoramento: alimenti, stipendi e pensioni – c.d. minimo vitale), 546 (divieto al terzo di disporre delle cose/somme dal giorno della notifica), 547 (dichiarazione del terzo pignorato – obblighi della banca), 552 (ordinanza di assegnazione al creditore), 629 (estinzione del pignoramento per rinuncia del creditore).
- D.L. 27/06/2015 n. 83, conv. L. 6/08/2015 n. 132: art. 13 modificativo dell’art. 545 c.p.c., introduzione del comma 7 e 8 sulla impignorabilità parziale di stipendi e pensioni accreditati in conto (triplo assegno sociale esente e limiti su accrediti successivi).
- D.P.R. 29/09/1973 n. 602: art. 72-bis (pignoramento presso terzi “diretto” da parte dell’Agente della Riscossione).
- D.Lgs. 12/01/2019 n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza): artt. 65-83 (piani di ristrutturazione dei debiti del consumatore) e 268-277 (esdebitazione del debitore civile) – procedure utilizzabili dal debitore sovraindebitato per ottenere una soluzione concordata o giudiziale dei debiti (applicabili anche a debiti bancari e esattoriali come nei casi di conto in rosso pignorato).
Giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione):
- Cass., Sez. Un., 22/11/2010, n. 24418: Principio sulle rimesse ripristinatorie in conto affidato: i versamenti su conto scoperto hanno natura ripristinatoria e non sono pignorabili singolarmente se non generano un saldo attivo (finché riducono solo lo scoperto).
- Cass., Sez. III, 18/02/2009, n. 3975: Il fido bancario non è un credito certo, liquido ed esigibile del correntista, quindi non pignorabile dai creditori.
- Cass., Sez. III, 16/01/2013, n. 741: Conferma l’impignorabilità delle disponibilità derivanti da affidamento bancario (saldo negativo): solo il saldo attivo eventualmente è aggredibile.
- Cass., Sez. III, 30/03/2015, n. 6393: Ribadisce che in caso di conto affidato con saldo negativo non sono pignorabili le singole rimesse affluite sul conto che si limitano a ridurre lo scoperto, senza creare un attivo.
- Cass., Sez. III, 22/01/2018, n. 1584: Nel pignoramento presso terzi sono attaccabili solo crediti liquidi ed esigibili; non è pignorabile la disponibilità da fido non utilizzato o parzialmente utilizzato. Inoltre, il giudice deve verificare la natura delle somme (stipendio/pensione) per applicare i limiti ex art. 545 c.p.c..
- Cass., Sez. III, 02/02/2017, n. 2569: Caso di pensione accreditata in conto: dichiarato illegittimo il blocco integrale del saldo contenente la pensione; va lasciato il minimo vitale al debitore.
- Cass., Sez. III, 25/06/2020, n. 17178: Conferma che il limite del triplo assegno sociale si applica alle somme da stipendio/pensione già accreditate sul conto (impignorabilità parziale).
- Cass., Sez. III, 07/04/2020, n. 9250: In linea con i precedenti, riafferma l’impignorabilità delle rimesse su conto in rosso finché non generano saldo positivo (principio delle rimesse ripristinatorie).
- Cass., Sez. III, 23/11/2021, n. 36066: in un conto corrente bancario affidato, è pignorabile solo il saldo attivo; se al momento del pignoramento il saldo è negativo, la banca non deve vincolare le rimesse successive se non quando e nella misura in cui il saldo divenga positivo. Conferma l’orientamento consolidato sull’impignorabilità del fido e chiarisce che il contratto di conto e di fido non si sciolgono per effetto del pignoramento, ma l’esecuzione rimane sospesa finché manca un attivo.
- Cass., Sez. I, 30/11/2017, n. 28003: In tema di revoca di fidi, afferma la legittimità del recesso da parte della banca con congruo preavviso e per giusta causa, senza violare buona fede, se vi sono stati comportamenti del cliente tali da incrinare la fiducia (come insolvenze, procedure esecutive, ecc.). Questo fornisce il quadro giuridico in cui le banche operano la revoca in casi come quelli descritti.
Giurisprudenza di merito e altre pronunce:
- Tribunale di Roma, sez. Esec., 14/07/2011, n. 20024: Chiarisce il concetto di “margine disponibile” su conto affidato, definendolo impignorabile in quanto non costituisce un credito del correntista ma solo disponibilità potenziale (in linea coi principi di Cassazione).
- Corte d’Appello di L’Aquila, 22/10/2019, n. 1385: Ribadisce che nel fido bancario le somme messe a disposizione sono proprietà della banca, non del cliente, e quindi non attaccabili dai creditori di quest’ultimo (anche in caso di saldo negativo derivante da fido).
- Tribunale di Milano, ord. 19/03/2020: Ha statuito che in un conto corrente affidato con saldo negativo non può esservi assegnazione al creditore procedente (pignoramento infruttuoso). Viene così confermata la prassi: saldo negativo preclude l’attribuzione di somme al creditore.
- Tribunale di Benevento, 27/10/2020, n. 1184: In tema di conto cointestato pignorato, stabilisce che il creditore di uno solo dei cointestatari può pignorare solo la quota parte (50%) delle somme depositate, a tutela del contitolare non debitore. Questo fornisce un parametro operativo per banche e giudici nei casi di conti cointestati.
- Arbitro Bancario Finanziario (ABF), Collegio di Milano, decisione n. 8227/2015: Ha osservato in prima battuta che sul conto cointestato vi è comunione di fatto del denaro, per cui il terzo pignorato (banca) non può autonomamente distinguere le quote di spettanza (indicazione poi superata dalla Cassazione successiva, che invece ha dato il criterio 50%, ma è significativa del dibattito in materia).
- ABF – varie decisioni su revoca fidi: es. ABF Roma n. 6187/2016, ABF Milano n. 2231/2017: affermano l’obbligo di preavviso scritto e motivato nella revoca degli affidamenti bancari, pena l’illegittimità del recesso e possibile risarcimento del cliente. Ciò rafforza quanto previsto dall’art. 1845 c.c. e giurisprudenza (Cass. 28003/2017), imponendo correttezza alle banche nel chiudere fidi anche in situazioni di rischio.
- ABF, Collegio di Bologna, dec. n. 6345/2018: Affronta un caso di compensazione operata dalla banca su un conto ex affidato: conferma che la banca, dopo il recesso dal conto, può addebitare importi dovuti (dal cliente) non appena il saldo diventa attivo con nuovi versamenti, trattandosi di debito certo del cliente; evidenzia però la necessità di un formale recesso/chiusura del rapporto prima di compensare. Questa decisione illumina il comportamento bancario in caso di versamenti successivi su conto chiuso in rosso (rientro forzoso via compensazione) e funge da monito per i debitori che sperano di recuperare somme su conti chiusi a debito: la banca avrà prelazione su quei nuovi fondi, essendo divenuta creditrice certa.
Pignoramento di un conto corrente in rosso: Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto un atto di pignoramento ma il tuo conto è già in negativo?
Molti pensano che un conto “in rosso” sia al sicuro… ma non sempre è così.
Anche se il saldo è negativo, il creditore può comunque pignorare le somme che arriveranno successivamente sul conto (stipendio, pensione, bonifici, ecc.).
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📂 Analizza l’atto di pignoramento notificato e verifica eventuali vizi
📌 Verifica la natura del conto (conto personale, cointestato, con fido ecc.)
⚖️ Contesta il pignoramento se irregolare o sproporzionato
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🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in esecuzioni mobiliari e pignoramenti bancari
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Conclusione
Anche un conto in rosso può essere aggredito se non intervieni in tempo.
Difendersi è possibile: serve solo la giusta strategia legale e l’analisi del caso specifico.
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