Hai gestito per anni una ferramenta ma ora, tra tasse non pagate, fornitori da saldare e rate in sospeso, ti ritrovi con debiti che non riesci più a sostenere? Anche se hai chiuso l’attività, le richieste continuano ad arrivare? Non sei solo: oggi la legge ti offre una soluzione concreta per uscire dalla crisi, anche se sei un ex titolare.
Che succede ai debiti dopo la chiusura della ferramenta?
Se hai operato come ditta individuale o in forma artigiana, i debiti dell’attività restano a tuo carico personale. Questo vale per:
– Cartelle esattoriali di tasse, IVA, INPS non pagate
– Rate di finanziamenti o leasing
– Fornitori rimasti insoluti
– Fideiussioni personali
– Canoni di affitto e utenze non saldate
Cosa rischi se non intervieni?
– Pignoramento di conto corrente, stipendio o pensione
– Ipoteca sulla casa o fermo dell’auto
– Segnalazioni in banca dati e blocco del credito
– Cause da parte di creditori e banche
– Difficoltà nel ripartire o tutelare la tua famiglia
Esistono soluzioni legali per liberarti dai debiti?
Sì. Anche se non sei più in attività, puoi accedere alla procedura di sovraindebitamento, pensata per ex imprenditori individuali, artigiani e piccoli commercianti. È una procedura giudiziaria che ti permette di:
– Bloccare ogni azione esecutiva contro di te
– Rinegoziare o ridurre i debiti, in base al tuo reddito attuale
– Cancellare i debiti residui se sei in stato di grave difficoltà
– Proteggere la casa, lo stipendio o la pensione
Quali sono le soluzioni previste dalla legge?
– Concordato minore, se puoi proporre un piano di pagamento sostenibile
– Liquidazione controllata, se non hai più entrate sufficienti
– Esdebitazione dell’incapiente, se non puoi offrire nulla e agisci in buona fede
Cosa NON devi fare mai?
– Intestare beni a familiari o amici
– Firmare nuovi prestiti o cambiali senza una strategia
– Ignorare cartelle e atti giudiziari
– Sperare che i debiti “spariscano da soli”
Anche da ex titolare, puoi uscire dai debiti con una procedura seria, legale e sostenibile.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in sovraindebitamento e difesa patrimoniale – ti spiega come difenderti se hai lasciato la tua ferramenta ma i debiti ti inseguono ancora.
Hai chiuso l’attività ma non sei riuscito a chiudere i conti?
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Introduzione
Un ex titolare di una ferramenta sommerso dai debiti si trova ad affrontare una situazione di grave difficoltà finanziaria. In Italia, fortunatamente, l’ordinamento offre strumenti giuridici avanzati per difendersi dai creditori e cercare un “fresh start”, ovvero una ripartenza libera dai debiti insostenibili. Questi strumenti sono stati potenziati negli ultimi anni: dal 2022 è in vigore il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, “CCII”), aggiornato da interventi nel 2020 e 2024, che ha riformato la vecchia legge sul sovraindebitamento (L. 3/2012) e introdotto procedure più efficienti e flessibili. Il fine è duplice: garantire ai creditori il massimo soddisfacimento possibile e liberare il debitore onesto dai debiti residui, in linea col principio della seconda opportunità promosso anche a livello UE.
In questa guida avanzata – rivolta a avvocati, imprenditori e privati – esamineremo tutte le tipologie di debito che un ex imprenditore (nel nostro caso, un commerciante di ferramenta) può aver contratto e gli strumenti di difesa oggi disponibili (piani di sovraindebitamento, concordati “minori”, liquidazione controllata ed esdebitazione). Adotteremo un linguaggio giuridico ma divulgativo, con riferimenti normativi precisi e sentenze aggiornate a luglio 2025, senza però tralasciare esempi pratici e tabelle riepilogative. Il punto di vista adottato è quello del debitore: vedremo come un ex titolare di ferramenta possa reagire ai debiti, tutelare i propri beni essenziali (come l’abitazione) e avviarsi verso la liberazione dalle obbligazioni pregresse. Al termine, una sezione di Domande e Risposte (FAQ) affronterà i dubbi frequenti, e tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate saranno elencate in una sezione finale dedicata, per consentire ulteriori approfondimenti.
Scenario di partenza: immaginiamo Mario, ex titolare di un negozio di ferramenta, che ha dovuto chiudere l’attività a causa della crisi economica. Ora Mario si ritrova con vari debiti: mutui e prestiti bancari contratti per l’impresa, fornitori non pagati, cartelle esattoriali per imposte e contributi, eventuali canoni di locazione arretrati del locale commerciale, bollette e altre passività personali. I creditori hanno iniziato a farsi avanti con ingiunzioni di pagamento e pignoramenti, mettendo a rischio i (pochi) beni rimasti di Mario, tra cui la casa familiare. Come può difendersi Mario? In che modo la legge italiana gli consente di evitare di essere travolto dai debiti e magari di ripartire senza questo fardello? Procediamo con ordine, analizzando prima la natura dei debiti e poi le possibili strategie di difesa (stragiudiziali e giudiziali) a disposizione del debitore sovraindebitato.
Tipologie di debiti di un ex imprenditore e implicazioni legali
Un ex titolare di ferramenta può trovarsi esposto a diverse tipologie di debito, ciascuna con proprie caratteristiche giuridiche e modalità di riscossione. Comprendere la natura dei propri debiti è fondamentale per individuare le difese appropriate. Di seguito passiamo in rassegna i debiti più comuni per un piccolo imprenditore e le relative implicazioni:
- Debiti bancari e finanziari: includono mutui ipotecari (es. sull’immobile commerciale o sull’abitazione), scoperti di conto corrente, finanziamenti per acquisto scorte, leasing su macchinari, carte di credito aziendali, ecc. Questi debiti sono spesso garantiti da pegno o ipoteca (ad es. un mutuo ipotecario sulla casa di Mario) oppure da fideiussioni personali. I creditori bancari possono agire in via esecutiva relativamente rapidamente: in presenza di ipoteca, la banca può iscrivere un pignoramento sull’immobile e metterlo all’asta; con semplice titolo esecutivo (come un contratto di mutuo non pagato o un decreto ingiuntivo non opposto) possono pignorare conti correnti e altri beni. I debiti bancari contrattuali spesso prevedono interessi elevati e clausole di decadenza dal beneficio del termine in caso di insolvenza, accelerando l’azione legale. Come difendersi? Oltre alle procedure concorsuali di cui diremo, il debitore può contestare la pretesa se vi sono irregolarità contrattuali: ad esempio, verificando l’eventuale usurarietà dei tassi di interesse o la presenza di clausole nulle (come certe fideiussioni dichiarate anticoncorrenziali dalla Banca d’Italia). Un riscontro positivo potrebbe ridurre l’importo dovuto o bloccare temporaneamente l’azione esecutiva, ma si tratta di eccezioni tecniche da far valere in giudizio tramite un avvocato. In generale, se il debito è certo e scaduto, la banca ha armi giuridiche molto forti (ipoteca, titoli esecutivi) e il debitore dovrà ricorrere a strumenti più strutturati (piani di rientro o procedure concorsuali) per evitare di perdere i beni dati a garanzia.
- Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari: sono i debiti commerciali rimasti insoluti (fatture per forniture di merce, bollette di utenze business, affitti del locale, parcelle di professionisti, ecc.). Questi creditori non hanno garanzie reali e quindi sono chirografari (senza prelazione). Tuttavia, se muniti di titolo (es. un decreto ingiuntivo divenuto esecutivo), possono attivare pignoramenti su beni mobili, crediti e immobili del debitore. In particolare, possono pignorare parti dello stipendio (se il debitore ha trovato lavoro dipendente) nella misura di 1/5, oppure forzare la vendita di immobili non ipotecati. Un fornitore potrebbe anche iscrivere un’ipoteca giudiziale sugli immobili dopo aver ottenuto una sentenza, entrando così in concorso con altri creditori. Difendersi da questi creditori significa spesso cercare un accordo transattivo (saldo e stralcio): ad esempio, offrire il pagamento immediato di una percentuale del dovuto (es. il 20-30%) in cambio della rinuncia alle azioni legali sul resto. Molti creditori chirografari, di fronte al rischio di tempi lunghi e incertezze di recupero, accettano stralci significativi se il debitore reperisce liquidità (anche tramite aiuti di familiari). Tuttavia, se i debiti sono molti, è difficile trattare singolarmente con ognuno; inoltre servono fondi per convincerli. Per questo spesso è preferibile un procedimento giudiziale di sovraindebitamento, che impone un piano collettivo a tutti i creditori chirografari con una certa percentuale di soddisfazione. Anticipiamo che nelle procedure di composizione, i creditori chirografari possono essere pagati solo parzialmente (anche pochi centesimi per euro di credito) e i debiti residui vengono cancellati con l’esdebitazione finale. Questo sacrificio è bilanciato dal fatto che, al di fuori di tali procedure, spesso i creditori chirografari non otterrebbero comunque molto (specialmente se il debitore è privo di beni rilevanti).
- Debiti fiscali e contributivi: comprendono imposte non versate (IVA, IRPEF, IRAP), tasse locali (es. TARI), contributi previdenziali INPS per eventuali dipendenti o per il titolare stesso (gestione commercianti), oltre a sanzioni e interessi di mora. Questi debiti sono spesso iscritti a ruolo e affidati all’Agenzia delle Entrate–Riscossione (ADER), che li riscuote tramite cartelle esattoriali. Lo Stato e gli enti previdenziali godono di privilegi speciali e generali sui beni del debitore (ad es. privilegio generale mobiliare ex art. 2752 c.c. per tributi, privilegio immobiliare per ICI/IMU, ecc.), il che li rende creditori prelatizi (prioritari) in caso di esecuzione forzata o concorsuale. Inoltre, l’ADER può iscrivere ipoteca esattoriale sugli immobili del debitore per crediti sopra €20.000 e, al superamento di certe soglie, avviare il pignoramento immobiliare. Tuttavia, esistono tutele legali per l’abitazione principale: la legge (D.P.R. 602/1973, art. 76) vieta all’ADER di pignorare la casa di residenza del debitore se è l’unico immobile di proprietà, non di lusso, e il debito totale è sotto €120.000 (resta possibile però l’ipoteca). Questa protezione, valida solo per il fisco, significa che Mario non rischia la casa per debiti tributari moderati, ma attenzione: non si applica ai creditori privati (una banca o un fornitore, se muniti di titolo, possono pignorare anche l’abitazione principale, salvo rarissimi casi di impignorabilità). Dunque, la difesa contro i debiti fiscali passa per altri strumenti: la normativa offre piani di rateazione amministrativa (fino a 72 rate o straordinariamente 120 rate), oppure periodici provvedimenti di “rottamazione delle cartelle”, in cui lo Stato consente di pagare le sole imposte senza sanzioni né interessi (l’ultima “Definizione agevolata” è avvenuta nel 2023). Mario può valutare la rateazione o adesione a rottamazioni per guadagnare tempo e ridurre il carico, ma spesso si tratta di soluzioni temporanee: se mancano le risorse per pagare anche solo il capitale, il problema si ripresenterà. È qui che intervengono i procedimenti di sovraindebitamento: anche i debiti tributari rientrano a pieno titolo nelle procedure e possono essere oggetto di falcidia (riduzione) e stralcio. Importante sottolineare che la legge non esclude i debiti fiscali dall’esdebitazione: una volta completata la procedura, anche il fisco deve adeguarsi e rinunciare a riscuotere la parte non pagata. La Cassazione ha confermato sin dal 2014 che le obbligazioni tributarie non sono escluse dal beneficio della liberazione dai debiti. Inoltre, a tutela del fresh start, il testo unico sulle imposte (TUIR) prevede che il debitore non debba pagare imposte sul “reddito” derivante dai debiti cancellati (in altre parole, l’eventuale condono di 100.000 € di debiti non genera un’imponibile tassabile). Anche gli enti previdenziali (INPS) partecipano alle procedure come creditori privilegiati per i contributi dovuti, e la parte non soddisfatta viene parimenti cancellata al termine.
- Debiti verso dipendenti, fornitori privilegiati e altri crediti prelatizi: se Mario aveva dipendenti o collaboratori, eventuali stipendi non pagati o TFR costituiscono crediti privilegiati (privilegio generale sui mobili ex art. 2751-bis c.c.). Anche alcuni fornitori possono godere di privilegi speciali (ad es. il venditore di macchinari con patto di riservato dominio, o il locatore sull’arredamento del negozio per i canoni non pagati). Questi creditori, in caso di insolvenza, hanno diritto di essere soddisfatti con precedenza sui beni specifici oggetto di privilegio o sul ricavato della liquidazione. Nelle procedure di sovraindebitamento e concorsuali, infatti, vige la par condicio creditorum, mitigata dai privilegi: il che significa che, ad esempio, se si liquida il magazzino della ferramenta, prima si pagheranno gli stipendi arretrati (privilegio generale) e poi l’eventuale residuo andrà ai chirografari. Difendersi da questi debiti non è facile fuori dalle procedure concorsuali, perché i privilegiati hanno maggior forza legale: ad esempio, i dipendenti possono ottenere ingiunzioni immediate e pignorare crediti dell’azienda, mentre i venditori con riserva di proprietà possono riprendersi i beni forniti. Va detto, però, che in caso di cessazione dell’attività i debiti verso i dipendenti spesso vengono soddisfatti in parte dal Fondo di Garanzia INPS (che anticipa TFR e ultime mensilità, surrogandosi poi nelle pretese verso il datore, ma come chirografario). Nelle procedure di composizione della crisi, i creditori privilegiati devono ricevere almeno quanto ricaverebbero dalla liquidazione dei beni su cui hanno privilegio. Ad esempio, se un macchinario su cui vanta privilegio speciale un fornitore vale 5.000 €, qualsiasi piano di ristrutturazione dovrà assicurare a quel fornitore circa 5.000 € (tramite pagamento o cessione del bene), altrimenti il suo voto sarebbe contrario o il giudice non omologherebbe il piano. In ogni caso, i privilegiati possono acconsentire volontariamente a ricevere meno del 100% (una “falcidia” del credito): ciò avviene soprattutto per il Fisco, che nei piani accetta spesso percentuali ridotte pur di chiudere la procedura, o quando il creditore privilegiato ritiene che il piano offra comunque il massimo realizzabile. Approfondiremo oltre come i privilegiati sono trattati nelle singole procedure. Per ora, è importante che il debitore sappia che non tutti i debiti sono uguali: alcuni (privilegiati e garantiti) vanno soddisfatti in misura maggiore rispetto ai chirografari, e quindi vanno tenuti in particolare considerazione nel formulare qualsiasi proposta di rientro.
- Garanti e coobbligati: spesso l’ex imprenditore ha coinvolto terzi nelle proprie obbligazioni – ad esempio un familiare che ha fatto da fideiussore per il mutuo, oppure una SNC in cui i soci rispondono solidalmente. È fondamentale chiarire che la protezione offerta al debitore principale non si estende automaticamente ai garanti: se Mario ottiene una procedura che blocca le azioni esecutive nei suoi confronti, il creditore potrà comunque rivalersi sul fideiussore o sugli obbligati in solido (art. 66, comma 3 CCII). Ad esempio, se la banca non può pignorare a Mario perché c’è un piano approvato, potrebbe però escutere la moglie di Mario che aveva firmato fideiussione, a meno che anche lei partecipi alla medesima procedura (vedi procedura familiare più avanti) o attivi a sua volta un proprio percorso di sovraindebitamento. Allo stesso modo, l’esdebitazione libera Mario dai debiti, ma non cancella il debito per il garante: i creditori potranno pretendere da quest’ultimo l’intero importo (salvo poi il garante potrà rivalersi su Mario, ma ormai Mario sarà esdebitato e non dovrà pagare). Questa asimmetria può creare tensioni familiari: pertanto, una strategia difensiva spesso è coinvolgere i coobbligati nella soluzione della crisi, ad esempio accedendo ad una procedura unitaria familiare prevista dall’art. 66 CCII (più membri della famiglia presentano un unico piano congiunto). Abbiamo infatti casi in cui marito e moglie, o genitore e figlio, entrambi indebitati (magari uno consumatore e l’altro ex imprenditore), uniscono le forze in un solo concordato minore familiare, evitando che la liberazione dell’uno lasci l’altro scoperto. In conclusione, se Mario ha garanti, deve coordinarsi con essi: il suo “difendersi” dai debiti implica trovare una soluzione complessiva che eviti solo uno scarico di responsabilità su altri legati a lui.
Riassumendo, il primo passo difensivo per un debitore ex imprenditore è fare un’analisi dei propri debiti: quanto deve, a chi, con quali garanzie e preferenze. Questo consente di capire il rischio immediato (una banca con ipoteca potrà aggredire subito la casa, un fornitore chirografo dovrà magari prima inseguire altri beni; il fisco con ipoteca su casa non può venderla sotto 120.000 € di debito, ma può pignorare lo stipendio, ecc.) e di tarare la strategia. Nel caso del nostro Mario, ipotizziamo che egli abbia: 1) un mutuo residuo di €100.000 sulla casa (valore immobile €150.000) + un fido bancario non garantito di €20.000; 2) debiti con fornitori per €50.000 (chirografari, alcuni già con decreto ingiuntivo); 3) cartelle esattoriali per €30.000 (IVA e IRPEF non versate) e €10.000 di contributi INPS; 4) nessun dipendente in arretrato; 5) reddito attuale di €1.500/mese da un nuovo lavoro come dipendente. Di fronte a questo quadro, le azioni esecutive possibili sarebbero: la banca può escutere la casa (avendo ipoteca) ma con la protezione prima casa potrebbe temporeggiare; i fornitori possono pignorare il quinto dello stipendio e il conto corrente; l’ADER ha già iscritto ipoteca esattoriale ma sotto 120.000 € non può procedere all’asta della casa (potrebbe però pignorare altri beni o crediti, ad es. conto, ma di fatto anche lei punterebbe al quinto stipendio). Mario rischia dunque di vedersi pignorare lo stipendio (fino al 20% per ciascuna categoria di crediti, con un massimo cumulo del 50% se più atti esecutivi) e perdere la casa nel medio termine (appena i debiti superassero soglia o un creditore chirografo iscrivesse ipoteca giudiziale e pignorasse). Questa situazione, se affrontata con i soli mezzi “ordinari”, lo condannerebbe a molti anni di trattenute stipendiali e forse alla vendita forzata dell’immobile. Diventa cruciale quindi rivolgersi agli strumenti offerti dalle procedure da sovraindebitamento, che analizziamo nei prossimi capitoli.
(N.B.: Prima di passare alle soluzioni giudiziali, va ricordato che in ogni momento il debitore può tentare soluzioni stragiudiziali come accordi con singoli creditori o piani di rientro informali. Tuttavia, queste vie richiedono consenso di tutti i creditori coinvolti e/o nuove risorse finanziarie. Nel prosieguo vedremo come le procedure concorsuali possano ottenere risultati simili (esdebitazione, riduzione debito) con l’autorità del tribunale, vincolando anche i creditori dissenzienti.)
Strumenti stragiudiziali di difesa dal sovraindebitamento
Prima di ricorrere ai tribunali, un debitore oberato di debiti può valutare alcune soluzioni stragiudiziali (cioè fuori dalle procedure concorsuali) per cercare di ristrutturare o ridurre il proprio debito. Tali strumenti, sebbene meno “forti” legalmente, possono talvolta risolvere o attenuare la crisi debitoria senza la formalità di un procedimento giudiziario. Ecco le principali opzioni:
- Accordi transattivi con i creditori (saldo e stralcio): consiste nel negoziare con ciascun creditore un accordo di estinzione anticipata del debito mediante pagamento di una parte di esso. Ad esempio, Mario potrebbe offrire a un fornitore €5.000 a saldo di un debito di €10.000, oppure proporre alla banca di restituire subito il 50% del fido in cambio dell’esonero sul restante 50%. Questa strada è percorribile se il debitore dispone di una somma immediata (anche procurata da familiari o tramite finanziamento) da distribuire ai creditori. I creditori finanziari e commerciali spesso accettano percentuali anche basse se temono di non recuperare nulla altrimenti – in particolare se il debitore appare insolvibile e minaccia di ricorrere a procedure concorsuali (dove il loro incasso potrebbe essere ancora minore). L’accordo stragiudiziale ha il vantaggio di evitare la pubblicità e i costi di una procedura formale e può essere rapido. Di contro, presenta due limiti: (1) serve liquidità da offrire (il debitore deve avere o trovare soldi per pagare il saldo concordato); (2) richiede il consenso di ogni creditore. Basta un creditore importante non aderente perché resti fuori e possa agire per intero. Nel caso di Mario, ad esempio, convincere la banca e alcuni fornitori potrebbe essere possibile, ma è improbabile che il Fisco accetti stralci fuori dalle procedure giudiziali (se non nelle forme previste per legge, come le definizioni agevolate). Inoltre, Mario dovrebbe raccogliere una cifra consistente per fare offerte credibili. L’esperienza insegna che i creditori finanziari a volte pretendono percentuali non trascurabili (es. >60%) per i saldi e stralci, a meno che intravedano chiaramente l’alternativa di incassare zero in un fallimento personale.
- Piano di rientro o moratoria con le banche: se il problema è principalmente con banche/finanziarie, il debitore può tentare di ottenere una rimodulazione del debito. Ad esempio, chiedere una dilazione più lunga per abbassare le rate, o un periodo di moratoria (sospensione) delle rate per alcuni mesi. Dal 2019 esiste il “Fondo di solidarietà per i mutui prima casa” (Fondo Gasparrini) che consente, in presenza di specifici requisiti, la sospensione fino a 18 mesi delle rate di mutuo prima casa (coprendo anche gli autonomi e le PMI in difficoltà). Mario potrebbe valutare se rientra nelle condizioni per attivare questo Fondo sul proprio mutuo, congelando temporaneamente l’esposizione. Inoltre, associazioni di categoria o dei consumatori spesso assistono i debitori nelle trattative con gli istituti di credito per definire piani di rientro sostenibili, talvolta anche con il supporto di garanti terzi. Tuttavia, anche qui vale il principio del consenso volontario: la banca accetta solo se convinta che così massimizza il recupero. In assenza di garanzie nuove o di prospettive di miglioramento del reddito del debitore, l’istituto di credito potrebbe preferire l’azione legale piuttosto che ulteriori dilazioni.
- Rottamazione delle cartelle e altre definizioni agevolate: per i debiti con il Fisco e gli enti pubblici, spesso il legislatore introduce ex post delle misure di sollievo. La “rottamazione” consente di pagare il dovuto senza sanzioni e interessi di mora (talvolta con una rateazione interna di pochi anni). Nel 2023, ad esempio, con la “Rottamazione-quater” (L. 197/2022) migliaia di debitori hanno potuto definire le cartelle esattoriali pendenti pagando solo l’imposta originale e un interesse ridotto. Mario, se non lo ha già fatto, può verificare se i suoi debiti rientrano in qualche agevolazione: ad esempio, il “saldo e stralcio” 2019 per contribuenti in difficoltà economica (ISEE < €20.000) cancellava addirittura buona parte delle imposte dovute. Va detto però che queste misure hanno finestre temporali limitate e criteri stringenti, e non risolvono il problema dei debiti verso privati. Nel nostro scenario, Mario con €40.000 di cartelle avrebbe potuto aderire entro il 30 giugno 2023 alla rottamazione pagando magari circa €30.000 (solo tributi e pochi interessi) in 18 rate: un impegno ancora gravoso e, se non rispettato, la decadenza riporterebbe la situazione al punto di partenza con aggravio di sanzioni.
- Composizione negoziata della crisi d’impresa: va menzionato per completezza che il D.L. 118/2021 (conv. in L. 147/2021) ha introdotto per gli imprenditori in difficoltà uno strumento stragiudiziale assistito, la composizione negoziata, nel quale un esperto indipendente aiuta l’imprenditore (anche piccolo) a trovare accordi con i creditori o a convogliare verso un concordato. Tuttavia, si tratta di uno strumento pensato per imprese ancora operative e mira più al risanamento che all’esdebitazione. Nel caso di Mario, che ha già cessato l’attività, la composizione negoziata non si applicherebbe (lui rientra ormai tra i “debitori civili” non più in esercizio).
In sintesi, le vie stragiudiziali possono ridurre i debiti ma raramente li eliminano del tutto, salvo che il debitore paghi comunque una parte significativa (difficile per chi è già in crisi). Inoltre, non offrono una tutela uniforme: un creditore può non aderire e agire lo stesso. Nel nostro esempio, Mario potrebbe stralciare con qualche fornitore e ottenere la rottamazione per il Fisco, ma resterebbe comunque il problema della banca ipotecaria e di eventuali creditori dissenzienti. Ecco perché, quando la situazione debitoria è grave e coinvolge molti soggetti, occorre considerare le procedure giudiziali di sovraindebitamento: queste permettono di gestire tutti i debiti in un unico contesto, congelare le azioni esecutive nell’immediato e puntare alla cancellazione dei debiti residui a fine procedura. Passiamo dunque ad esaminare dettagliatamente tali procedure.
Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento: quadro generale
Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento sono percorsi legali istituiti per risolvere le situazioni di insolvenza dei debitori non fallibili. Si rivolgono quindi a persone fisiche, piccoli imprenditori, professionisti, enti non commerciali e in generale a chi non può essere assoggettato alle normali procedure concorsuali “maggiori” (fallimento o, come si chiama ora, liquidazione giudiziale). Questo insieme di procedure, introdotto inizialmente con la L. 3/2012 (chiamata infatti “legge salva-suicidi”), è stato poi riorganizzato nel Codice della Crisi (CCII) agli artt. 65-91 e 268-283, con diverse innovazioni e con l’aggiunta di un quarto istituto nel 2020-2022.
Qual è l’idea di fondo? Permettere al debitore onesto ma sfortunato di proporre una soluzione collettiva ai suoi creditori – sia essa un piano di rientro parziale o la messa a disposizione del suo patrimonio – sotto il controllo di un giudice. Se la soluzione va a buon fine (cioè viene omologata e attuata), il debitore ottiene l’esdebitazione, ossia la liberazione dai debiti residui non pagati. In altre parole, le procedure di sovraindebitamento bilanciano l’interesse dei creditori a incassare il possibile con l’interesse pubblico a riabilitare il debitore liberandolo dai debiti impossibili da pagare. Ciò in linea col principio, ormai affermato, che un fallimento economico non debba diventare una “condanna a vita”: dopo aver dato tutto il ragionevolmente possibile ai creditori, il debitore meritevole può ripartire da zero senza quei debiti pregressi.
Soggetti ammessi e definizioni chiave
Le procedure da sovraindebitamento non sono aperte a chiunque: occorre rientrare in specifiche categorie soggettive e situazioni. Vediamo i requisiti principali (art. 2, comma 1 CCII):
- Debitore non fallibile: sono ammessi coloro che, per legge, non possono accedere alla liquidazione giudiziale (il “fallimento” delle imprese). Rientrano qui:
- le persone fisiche consumatrici, ossia individui che hanno contratto debiti per scopi estranei ad attività d’impresa o professionale (es. famiglie indebitate per mutui, prestiti personali, bollette, fideiussioni per terzi non legate a un’attività economica). Anche un socio di società può essere considerato consumatore per i debiti personali non legati alla società. Ad esempio un socio di SNC che ha garantito col patrimonio personale un mutuo per la propria casa resta “consumatore” per quel debito (anche se è imprenditore per altri debiti aziendali).
- gli imprenditori “minori”: piccoli imprenditori commerciali che non superano le soglie di fallibilità previste dalla legge fallimentare (art. 1 L.Fall, ora art. 2 lett. d CCII). Le soglie indicative – non normative nel CCII ma derivate dalla giurisprudenza – sono: attivo patrimoniale annuo ≤ ~€300.000, ricavi lordi ≤ ~€200.000 e debiti ≤ ~€500.000. Se un’impresa individuale o società rimane entro almeno due di questi parametri negli ultimi esercizi, non può essere dichiarata fallita (liquidazione giudiziale) e dunque, se insolvente, ricade nel sovraindebitamento. Nel nostro esempio, la ditta di ferramenta di Mario era una piccola impresa sotto soglia, dunque Mario è un imprenditore minore. In questa categoria rientrano anche le startup innovative (che la legge esclude temporaneamente dal fallimento) e gli imprenditori agricoli di qualsiasi dimensione (gli agricoltori per definizione non falliscono, art. 2135 c.c., e accedono solo a queste procedure).
- i professionisti e lavoratori autonomi (avvocati, artigiani, commercianti individuali non sotto forma di impresa commerciale, artisti, ecc.): anch’essi non soggetti a fallimento, ma possono incorrere in insolvenza e quindi utilizzare gli strumenti di sovraindebitamento.
- gli enti non commerciali (associazioni, fondazioni non imprenditoriali, ONLUS, etc.): se hanno debiti che non riescono a pagare, non potendo fallire, rientrano nel sovraindebitamento.
- in generale qualsiasi persona fisica (anche un pensionato o disoccupato) che abbia debiti e non sia soggetta a procedure concorsuali diverse.
Invece non possono accedere a queste procedure:
- gli imprenditori commerciali sopra soglia (imprese medio-grandi): questi devono usare le procedure ordinarie (concordato preventivo, liquidazione giudiziale, ecc.);
- soggetti per cui la legge prevede procedure ad hoc (banche, assicurazioni, enti pubblici): ad esempio, una banca in dissesto segue l’amministrazione straordinaria, non il sovraindebitamento;
- in alcune circostanze, chi abbia già abusato delle procedure (come vedremo, la legge pone limiti alle reiterazioni).
Un altro concetto chiave è la definizione di “sovraindebitamento” stesso. Il CCII lo definisce come lo stato di crisi o insolvenza del debitore non fallibile, caratterizzato da “persistente squilibrio” tra i debiti assunti e il patrimonio liquidabile per farvi fronte, tale da rendere il debitore incapace di adempiere regolarmente alle obbligazioni. In parole semplici, un soggetto è sovraindebitato se non riesce più a pagare i debiti alle scadenze con le risorse a disposizione, e questa non è una difficoltà passeggera. Non serve che sia già insolvenza “definitiva” – basta anche uno stato di crisi grave, in prospettiva irreversibile. Ad esempio, se Mario ha solo 1.500 € al mese di stipendio ma rate e uscite per 3.000 €, si trova in uno squilibrio strutturale ed è sovraindebitato; se invece ha un problema di liquidità temporanea ma con certe prospettive di miglioramento, potrebbe non essere ancora in stato di crisi (potrebbe semmai attivare strumenti di allerta o negoziazione). Questo discrimine è importante anche perché il giudice valuta l’ammissibilità della procedura se c’è effettivamente uno stato di sovraindebitamento e non una difficoltà transitoria.
Infine, è cruciale il requisito della “meritevolezza” del debitore. Tutte le procedure di sovraindebitamento richiedono che il debitore non abbia causato la propria situazione con dolo o colpa grave, né abbia commesso atti in frode ai creditori (art. 69 CCII, richiamato in varie parti). In pratica, il debitore deve aver tenuto un comportamento onesto e responsabile: niente frodi, niente patrimonio occultato, niente spese folli ingiustificate quando già era in difficoltà. La giurisprudenza negli anni ha interpretato la colpa grave come ad esempio l’aver fatto ricorso al credito in modo sproporzionato e imprudente rispetto alle proprie capacità, oppure l’aver continuato ad accumulare debiti sapendo di non poter pagare senza ragione plausibile. Ad esempio, un consumatore che fa 10 prestiti per giocare in borsa o al casinò potrebbe essere considerato non meritevole (colpa grave nel sovraindebitarsi). Viceversa, chi si indebitato per cure mediche, per far fronte a una crisi dell’attività o per cause di forza maggiore solitamente è ritenuto in buona fede. La meritevolezza viene valutata caso per caso dal Tribunale, ma è un filtro fondamentale: piani e istanze verranno rigettati se emergono frodi o colpe gravi del debitore. Tra le cause ostative espressamente previste (art. 69 CCII e successive modifiche) ci sono:
- attinenti alla condotta: l’aver già ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti, o più di due volte nella vita; l’aver violato i doveri di collaborazione col giudice o OCC; l’aver simulatamente aggravato la propria situazione o compiuto atti in frode (come vendere beni sotto costo a parenti prima di chiedere la procedura); l’aver trasgredito eventuali divieti imposti (es. continuare a fare debiti durante la procedura).
- attinenti a precedenti penali: condanne per reati tributari o fallimentari gravi, oppure misure di prevenzione antimafia, possono impedire l’accesso (sono indicatori di fraudolenza).
Sul punto, una recente decisione (Trib. Nola, 13 maggio 2024) ha chiarito che gli “atti in frode” rilevanti sono quelli dolosi e sostanzialmente assimilabili a bancarotta fraudolenta – ad esempio, aver distratto o nascosto beni, o creato passività fittizie, per danneggiare i creditori. Insomma, non si negherà l’accesso per semplici errori di gestione o azzardi eccessivi, ma solo per condotte realmente maliziose o gravemente imprudenti. In mancanza di queste situazioni estreme, vige un principio di favore verso il debitore sovraindebitato: la legge e le corti tendono a dargli la chance di una procedura, riconoscendo la funzione sociale del fresh start. La Cassazione 2023-2024 ha confermato che non si possono aggiungere requisiti ulteriori a quelli di legge per negare il beneficio – conta la meritevolezza, non l’entità del pagamento ai creditori. Questo significa che anche se il piano propone di pagare una quota minima (perché più di tanto non si può fare), il giudice omologherà comunque se il debitore ha agito correttamente e la proposta è il meglio possibile in concreto.
Chiariti questi aspetti generali (chi può accedere e a quali condizioni), vediamo quali procedure specifiche il nostro ordinamento mette a disposizione di Mario.
Le quattro procedure disponibili (2025)
A seguito della riforma, oggi un debitore sovraindebitato ha quattro possibili strumenti tra cui scegliere, a seconda della propria categoria e situazione:
- Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (in breve, piano del consumatore): è l’erede del vecchio “piano del consumatore” della L.3/2012, riservato esclusivamente al debitore consumatore (persona fisica che ha contratto debiti come privato, non per attività d’impresa). Permette al consumatore di proporre al giudice un piano di pagamento parziale e/o dilazionato dei propri debiti, senza l’accordo dei creditori: non è richiesta alcuna votazione, sarà il giudice – dopo aver sentito le parti – a decidere se omologare il piano, valutandone la fattibilità, la correttezza e la convenienza per i creditori. È uno strumento unilaterale a favore del consumatore meritevole.
- Concordato minore (evoluzione dell’accordo di composizione dei debiti): è dedicato ai debitori non consumatori (piccoli imprenditori, professionisti, start-up, imprenditori agricoli, ecc.). Funziona in modo simile a un concordato preventivo, ma in miniatura: il debitore propone un piano ai creditori e questo dev’essere approvato dalla maggioranza in valore (almeno il 50% dei crediti). In mancanza di maggioranza, il concordato non si può omologare (non è previsto cram-down giudiziale totale come per il piano del consumatore, salvo il caso di procedura familiare mista). È quindi una procedura di tipo negoziale, che richiede il consenso dei creditori (seppur a maggioranza, vincolando eventuali dissenzienti minoritari).
- Liquidazione controllata del sovraindebitato: è l’equivalente, per i debitori non fallibili, della liquidazione giudiziale (ex fallimento). In pratica, tutti i beni del debitore vengono liquidati sotto il controllo del Tribunale e di un liquidatore nominato, e il ricavato distribuito ai creditori. Si chiama “controllata” perché soggetta al controllo giudiziario e con alcune particolarità rispetto al fallimento classico, ma sostanzialmente comporta la spossessamento del patrimonio. Questa procedura può essere chiesta dal debitore quando non è in grado di proporre un piano, oppure (novità del CCII) chiesta dai creditori o dal Pubblico Ministero in certi casi di inerzia del debitore. È considerata la soluzione di “ultima istanza”, quando non vi sono accordi possibili. Al termine della liquidazione, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione dei debiti residui (salvo eccezioni) – come vedremo, oggi ciò avviene pressoché automaticamente per legge.
- Esdebitazione del debitore incapiente (detta anche esdebitazione a zero, o fresh start del debitore senza patrimonio): introdotta dapprima con L.176/2020 e ora disciplinata dall’art. 283 CCII, è una procedura innovativa che consente al debitore persona fisica privo di qualunque attivo liquidabile e senza redditi attaccabili di ottenere la cancellazione dei debiti senza dover aprire una liquidazione. È di fatto un’esdebitazione “anticipata” concessa subito, sul presupposto che non ci sarebbe nulla da liquidare a vantaggio dei creditori. È riservata ai casi più disperati, richiede rigorosi requisiti di meritevolezza e comporta un periodo di “osservazione” di 4 anni durante il quale, se il debitore incapiente riceve utilità rilevanti (es. un’eredità, una vincita, un aumento di reddito), è tenuto a pagarle ai creditori almeno in parte. Approfondiremo anche questa opzione, che nel nostro scenario potrebbe applicarsi solo se Mario fosse davvero nullatenente e disoccupato, cosa che per fortuna non è (ha uno stipendio e una casa, quindi dovrà ricorrere a una delle prime tre procedure).
Procedura familiare: da segnalare, come accennato, che se i debiti coinvolgono più membri della stessa famiglia, è possibile presentare un’unica procedura unitaria (art. 66 CCII). Ad esempio Mario e la moglie (se coobbligata in alcuni debiti come garante) potrebbero fare insieme un concordato minore familiare, oppure un unico piano del consumatore familiare se entrambi sono consumatori. Questo consente di risolvere la crisi familiare in modo coordinato, con un solo procedimento e un unico piano, evitando duplicazioni di costi e incongruenze (il tribunale però valuterà la sostenibilità complessiva e l’origine comune del sovraindebitamento). Nel concordato minore familiare, come già detto, anche i consumatori eventualmente coinvolti beneficiano della procedura unica estesa.
Nei prossimi paragrafi analizzeremo separatamente le prime tre procedure (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata) – che potrebbero interessare Mario – e successivamente la speciale esdebitazione dell’incapiente. Per ciascuna illustreremo come funziona, come si accede, quali effetti produce (sui beni del debitore e sulle azioni esecutive dei creditori) e in che modo conduce all’esdebitazione finale. Infine proporremo simulazioni pratiche di applicazione al caso dell’ex titolare di ferramenta, per capire concretamente “come difendersi” utilizzando questi strumenti.
Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore
Il piano del consumatore è la procedura disegnata a misura delle persone fisiche non imprenditori. È particolarmente adatta a famiglie, lavoratori dipendenti, pensionati – in generale soggetti che hanno debiti da credito al consumo, mutui, bollette, scoperti di conto, ecc., e che si trovano in una spirale di debiti non più sostenibile. Nel nostro scenario, Mario potrebbe utilizzare questo strumento solo per i debiti personali estranei all’attività (ad es. se avesse un prestito personale per acquisto auto, o bollette di casa arretrate, o debiti di famiglia); non può invece inserirvi i debiti derivanti dalla sua attività imprenditoriale (fornitori, fisco d’impresa, ecc.), perché ciò lo qualifica come debitore “non consumatore”. Infatti, la legge distingue nettamente: il piano del consumatore è precluso a chi ha debiti professionali o d’impresa, salvo che tali debiti siano marginali rispetto al resto. Nel caso di un ex imprenditore, se tutti i debiti principali sono legati all’attività, si dovrà optare per il concordato minore o la liquidazione. Tuttavia, descriviamo il funzionamento del piano del consumatore per completezza e perché alcuni ex imprenditori potrebbero aver cessato l’attività da molto tempo e i loro debiti residui essere ormai “personalizzati”.
Accesso e presupposti: il piano è riservato al consumatore meritevole. Significa che il debitore:
- deve rientrare nella definizione di consumatore (art. 2, c.1 lett. e CCII): persona fisica che ha contratto obbligazioni per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale. La riforma ha esplicitato che anche il socio illimitatamente responsabile di società di persone può essere consumatore per i debiti estranei all’impresa sociale. Dunque, avere avuto un’impresa in passato non esclude il piano del consumatore se i debiti da inserire sono di natura personale. In pratica, un ex imprenditore potrebbe usare il piano solo per i debiti privati, mentre per quelli d’impresa dovrebbe aprire altra procedura; questo però è inefficiente e la legge preferisce evitare duplicazioni, motivo per cui generalmente ex imprenditori usano il concordato minore per includere tutto.
- deve essere in stato di sovraindebitamento (crisi o insolvenza) come definito prima.
- deve non aver atti in frode o colpa grave (meritevolezza). Nel piano del consumatore di CCII, il concetto è ripreso dall’art. 69 e specificato: il giudice verifica la meritevolezza e può rigettare se, ad esempio, il consumatore ha contratto debiti senza la prospettiva di poterli adempiere con colpa grave. Ad esempio, se Mario come privato ha accumulato €200.000 di debiti da gioco online, potrebbe essergli contestata la meritevolezza; se invece i debiti derivano da aver garantito il mutuo del figlio o da spese mediche impreviste, è considerato in buona fede. La valutazione morale nel piano del consumatore è più stringente che nel concordato minore (dove i creditori votano e in parte “perdonano” loro la condotta): qui decide tutto il giudice, quindi il legislatore ha voluto criteri chiari di ammissione.
Ruolo dell’OCC e presentazione del ricorso: il debitore consumatore deve rivolgersi a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) abilitato. L’OCC nomina un gestore della crisi (spesso un commercialista o avvocato esperto) che aiuta il debitore a:
- raccogliere tutti i dati sui debiti, l’elenco creditori, l’inventario dei beni e dei redditi;
- elaborare un piano di ristrutturazione, cioè una proposta di pagamento dei debiti compatibile con il bilancio familiare del debitore;
- redigere una relazione particolareggiata sulla situazione, attestando la veridicità dei dati e dando un giudizio sulla fattibilità del piano e sulla meritevolezza del debitore.
Questa relazione dell’OCC è un documento chiave: descrive le cause dell’indebitamento, il comportamento tenuto (se ci sono stati atti in frode), e valuta in particolare la convenienza del piano per i creditori rispetto all’alternativa della liquidazione (c.d. best interest test). Ad esempio, se Mario propone di pagare in 5 anni il 20% dei debiti chirografari, l’OCC dovrà stimare quanto quei creditori prenderebbero in una liquidazione dei beni: se risulta che nella liquidazione del patrimonio (casa compresa) prenderebbero, poniamo, il 10%, allora il piano che offre 20% è conveniente e l’OCC lo segnala positivamente; se invece dalla vendita dei beni risulterebbe un soddisfacimento del 40%, allora il piano al 20% è meno conveniente e l’OCC lo evidenzierà, il che quasi certamente porterà il giudice a non omologare.
Una volta predisposto ricorso, piano e documenti, si deposita tutto in Tribunale. Da questo momento scattano importanti effetti protettivi: il debitore può chiedere al giudice la sospensione di eventuali procedure esecutive in corso e il blocco di nuovi pignoramenti (misure protettive). Diversamente dalla vecchia L.3/2012, in cui la protezione era automatica col deposito, ora serve un’apposita istanza e un provvedimento del giudice. Di solito, contestualmente al deposito Mario chiederà di sospendere subito – ad esempio – il pignoramento del quinto sullo stipendio avviato dal fornitore o la vendita all’asta della casa avviata dalla banca. Il tribunale, se ritiene il ricorso ammissibile “prima facie” (documentazione completa e piano non manifestamente inammissibile), emette un decreto di apertura in cui fissa l’udienza di omologazione e concede le misure protettive richieste. Tali misure bloccano tutte le azioni esecutive individuali contro il debitore: i pignoramenti in corso vengono sospesi e i creditori non possono avviarne di nuovi. Fanno eccezione solo eventuali azioni su obbligazioni impignorabili (es. assegni di mantenimento) o contro eventuali coobbligati/garanti (come detto, i creditori possono continuare verso di loro). Le misure protettive durano fino all’omologazione o fino a eventuale rigetto e possono essere revocate se emergono abusi. Questa fase è cruciale perché dà respiro al debitore: Mario potrà affrontare la procedura senza lo spettro immediato di perdere la casa o vedersi decurtare lo stipendio (tutto viene sospeso per qualche mese). Inoltre dal deposito derivano altri effetti automatici, ad esempio il debitore non può aggravare la sua esposizione (gli interessi maturano solo se ipotecari) e certi atti dispositivi non consentiti sarebbero inopponibili.
Udienza di omologazione: giunti all’udienza fissata (tipicamente 60–90 giorni dal deposito), il giudice verifica di nuovo i requisiti e ascolta le eventuali opposizioni dei creditori. Nel piano del consumatore, non c’è voto dei creditori, ma la legge dà loro la possibilità di prendere visione del piano e formulare contestazioni (scritte e orali in udienza). Ad esempio, un creditore potrebbe contestare la meritevolezza (portando prove che il debitore ha mentito su qualcosa, o ha sperperato denaro), oppure la convenienza del piano (sostenendo che prenderebbe di meno rispetto alla liquidazione). Se vi sono opposizioni, il giudice le valuta; il debitore e l’OCC possono replicare in udienza con eventuali chiarimenti.
A questo punto, il Tribunale decide se omologare il piano. I criteri legali per l’omologa sono (art. 70 CCII):
- completezza e legalità: tutta la documentazione richiesta c’è e il piano rispetta le norme (ad es. prevede di pagare prima i creditori privilegiati nel limite delle possibilità, non discrimina arbitrariamente creditori dello stesso grado, ecc.);
- meritevolezza del debitore: come detto, assenza di dolo o colpa grave e frodi;
- convenienza per i creditori: nessun creditore deve risultare trattato peggio di come sarebbe nella liquidazione dell’intero patrimonio del debitore (best interest test). Ciò non significa che il piano debba pagare tutti più di zero: se nella liquidazione i chirografari avrebbero zero (perché magari il debitore non ha beni), allora è accettabile anche un piano che dia zero o una cifra simbolica – ma di solito se c’è un reddito disponibile si propone qualcosa >0. Se invece c’è patrimonio, il piano deve far ottenere ai creditori almeno quel valore.
Se il giudice ritiene tutti e tre i requisiti soddisfatti, omologa il piano con decreto. L’omologazione rende il piano vincolante per tutti i creditori anteriori, anche se non hanno dato il consenso. In effetti, nel piano del consumatore il cram-down è completo: il giudice può imporre la riduzione dei debiti pure ai creditori dissenzienti, purché sia rispettata la legge e la convenienza minima. Un creditore che ha contestato rimane comunque vincolato al decreto di omologa, e potrà essere soddisfatto solo nei termini previsti dal piano, rinunciando a ogni altra azione esecutiva (infatti i pignoramenti sospesi decadono e non possono esserne iniziati di nuovi per i crediti inclusi nel piano). Questa caratteristica – assenza di voto – distingue nettamente il piano del consumatore dal concordato minore: nel piano i creditori non “trattano”, subiscono la decisione del giudice; la ratio è che il consumatore spesso ha pochi creditori professionali e uno squilibrio di potere tale che, per agevolare il suo risanamento, il legislatore gli permette di bypassare il loro veto (se è onesto e offre il meglio possibile). Per contro, nel concordato minore (dove si presume il debitore sia un operatore economico) il consenso dei creditori gioca un ruolo, come vedremo.
Se invece il tribunale non omologa (ad esempio, scopre atti in frode, oppure giudica il piano non fattibile o non conveniente), emette decreto motivato di diniego. Il debitore può proporre reclamo ma, in pratica, il rigetto del piano chiude quella via. Tuttavia, la legge prevede una valvola di sicurezza: contestualmente al rigetto, se il debitore lo chiede, il tribunale dichiara aperta la liquidazione controllata del patrimonio. In questo modo Mario non perde tempo: se il suo piano viene bocciato (magari perché irrealistico o perché un creditore ha provato che lui non era meritevole), può subito “ripiegare” sulla liquidazione dei beni, che porterà comunque all’esdebitazione finale (salvo frodi). Attenzione: se il rigetto è dovuto a frodi del debitore, la legge consente addirittura ai creditori o al PM di chiedere l’apertura forzata della liquidazione controllata. In altre parole, un debitore disonesto può essere trascinato in liquidazione (anche contro la sua volontà) per tutelare i creditori.
Contenuto tipico del piano del consumatore: il piano può prevedere le forme più varie di soddisfacimento dei creditori, compatibilmente con le risorse del debitore. Ad esempio:
- Pagamenti rateali su base reddituale: l’impiego della parte di reddito mensile disponibile, per un certo numero di anni, da distribuire ai creditori. Spesso i piani di consumatore prevedono che il debitore versi in un fondo occ presso il tribunale una rata mensile (gestita dall’OCC o dal liquidatore nominato) che poi viene periodicamente ripartita. La durata non ha un limite fisso, ma prassi vuole che non si vada oltre 5 anni circa, salvo eccezioni. Cassazione ha chiarito che anche dilazioni ultrannuali (10 anni o più) sono possibili se giustificate, ma la riforma del 2024 ha introdotto per i crediti privilegiati un limite di moratoria: fino a 2 anni di sospensione è concessa automaticamente, oltre occorre il loro assenso. Ciò significa che, ad esempio, Mario può proporre di sospendere per 24 mesi il pagamento delle rate del mutuo ipotecario e riprenderle poi (vedi oltre il tema della casa), mentre per sospendere più a lungo dovrebbe avere il consenso della banca o convertire quel credito in chirografo col voto (meccanismo non applicabile in piano, solo nel concordato). I crediti chirografari invece possono essere pagati in termini anche più lunghi se questo li favorisce (nessuna norma fissa un tetto massimo di anni, purché il piano sia sostenibile e conveniente).
- Stralcio (riduzione) di parte dei debiti: spesso il piano prevede che il debitore paghi solo una percentuale del dovuto e che il resto venga cancellato a esdebitazione. Ad esempio, pagare 30% ai chirografari e nulla sul restante 70%. Questo è il fulcro: il debitore paga quanto può, il residuo è perdonato. La percentuale dipende dalle sue possibilità e dal valore liquidatorio. Un piano può anche prevedere percentuali diverse per classi di creditori (se si formano classi omogenee di crediti), sebbene nel piano del consumatore puro la classificazione sia meno rilevante perché non c’è voto (ma serve per trasparenza: es. separare privilegiati, chirografari, eventuali crediti postergati, ecc.).
- Cessione o realizzo di beni non essenziali: il consumatore può includere l’impegno a vendere alcuni suoi beni e versarne il ricavato ai creditori. Ad esempio, se Mario ha due auto, potrebbe prevedere di venderne una e distribuire il ricavato. Oppure, se ha un piccolo immobile non prima casa, metterlo in vendita nel piano. Queste liquidazioni parziali possono far parte del piano senza dover attivare la procedura liquidatoria completa, e l’OCC sovraintenderà all’operazione (che avviene di solito mediante vendita privata autorizzata o tramite il liquidatore nominato ad hoc).
- Mantenimento di beni essenziali (la casa di abitazione): uno degli aspetti più importanti: la legge (art. 67, co.5 CCII) ora consente esplicitamente di preservare la prima casa autorizzando il debitore a pagarne le rate scadute del mutuo e quelle a scadere, fuori dal piano. In pratica, Mario può proporre nel piano che il mutuo ipotecario non venga toccato, continuando a pagarlo regolarmente (magari dopo aver sanato le rate arretrate se ce ne sono). Il giudice può autorizzarlo a contrarre un nuovo finanziamento per pagare le rate scadute o a utilizzare somme a tale fine (in modo da evitare la decadenza dal beneficio del termine e mantenere la banca ipotecaria soddisfatta). Così facendo, la casa non viene venduta e il debitore la conserva, continuando però a onorare il mutuo (che per definizione è a scopo abitativo e quindi “estraneo all’impresa” – rientra a pieno titolo nel piano). Questa norma è molto recente e di enorme rilievo sociale: consente ai debitori di salvare la propria abitazione quando c’è margine per pagare il mutuo, evitando che la procedura concorsuale la liquidi. Ovviamente ciò non deve nuocere ai chirografari: se c’è equità residua nell’immobile (valore che eccede il mutuo), il piano deve prevedere un ritorno equivalente per i creditori, altrimenti sarebbe conveniente liquidare la casa. Ad esempio, se la casa vale €150.000 e il mutuo residuo è €100.000, c’è un’equity di €50.000 che i chirografari vedrebbero in una liquidazione. Per tenere la casa, Mario dovrà fare in modo che i creditori prendano comunque l’equivalente di €50.000 (sotto forma di pagamenti da reddito magari). In caso contrario, il giudice difficilmente omologherebbe: non sarebbe rispettato il best interest test per i chirografari, che direbbero “meglio vendere la casa e prenderci quei 50k che tenere Mario proprietario”. Quindi, la casa si può salvare solo se o non ha sostanziale valore per i creditori oppure se il debitore riesce a compensarli in altro modo. Molte volte la prima casa è gravata da mutuo quasi quanto il suo valore, quindi ai chirografari cambierebbe poco; in tali situazioni i giudici sono ben lieti di autorizzare la continuazione del mutuo e lasciare la casa al debitore.
- Eventuale apporto di terzi: nulla vieta che familiari o amici contribuiscano al piano con somme a fondo perduto (una “classe” di creditori postergati). Anzi, spesso l’aiuto dei familiari può alzare la percentuale offerta nel piano. Queste somme terze non passano per i creditori normali perché volontariamente date a beneficio del debitore, però in genere l’OCC le indica e se ne tiene conto nella fattibilità.
Esecuzione del piano e chiusura: dopo l’omologa, il debitore (sotto vigilanza OCC/commissario) deve eseguire quanto promesso: effettuare i pagamenti, vendere i beni indicati, ecc. Il tribunale può nominare un commissario giudiziale (spesso coincide col gestore OCC) per sorvegliare l’esecuzione, benché per i piani del consumatore spesso l’OCC stesso gestisce senza necessità di misure ulteriori. Se il debitore adempie regolarmente e porta a termine il piano, otterrà l’esdebitazione integrale: tutti i debiti antecedenti rimasti insoddisfatti saranno definitivamente cancellati. Nel CCII il legislatore specifica che non serve neppure una domanda ad hoc: sarà il tribunale, verificato l’adempimento integrale del piano, a dichiarare inesigibili i debiti residui con decreto (o addirittura tale effetto si produce automaticamente trascorso un termine). Il debitore torna così “pulito” e i creditori non potranno più avanzare pretese (fatte salve le esclusioni di legge, come alimenti, danni da illecito e sanzioni penali, che comunque resterebbero dovuti). Se invece il debitore non rispetta il piano – ad esempio salta pagamenti importanti senza giustificato motivo – il tribunale, su istanza dei creditori, può dichiarare la risoluzione del piano. In tal caso i creditori riacquistano la facoltà di agire per l’intero debito originario (meno quanto eventualmente hanno ricevuto nel frattempo). Tuttavia, il CCII consente di evitare la risoluzione nelle piccole inadempienze: di regola è previsto un margine di tolleranza (es. il 10% di scostamento) e la possibilità di modificare il piano in corso d’opera se le circostanze cambiano (con una nuova omologa). Inoltre, come già notato, un piano risolto può essere convertito in liquidazione controllata per consentire comunque l’esdebitazione tramite quella via. Quindi al debitore è data più di una chance di arrivare al traguardo.
Simulazione pratica (Piano del consumatore): immaginiamo che Mario, dopo aver chiuso la ferramenta, trovi un lavoro da dipendente e i suoi debiti “privati” (mutuo casa e qualche prestito familiare) siano preponderanti, mentre i debiti d’impresa siano limitati o esclusi. Mario, con l’aiuto dell’OCC, propone un piano così congegnato: mantenere la casa e continuare a pagare il mutuo (€600/mese) regolarmente (chiedendo al giudice di poter utilizzare parte del TFR accumulato per coprire €5.000 di rate arretrate, ex art. 67 co.5 CCII); destinare inoltre €300 al mese del proprio stipendio per 5 anni in un fondo per i creditori chirografari (il che darà circa €18.000 da distribuire); vendere l’auto seconda di famiglia per €4.000 e aggiungere anche quella somma al fondo. Supponiamo che i debiti chirografari (fornitori non privilegiati e finanziarie) ammontino a €60.000. Grazie a questi contributi, il piano consentirà di pagare circa €22.000 su €60.000, ossia il ~36%. L’OCC calcola che, in un’alternativa liquidazione, se vendessero la casa di Mario per €150.000, dopo aver pagato la banca (€100.000 di mutuo) rimarrebbero €50.000 per i chirografari (ipotizzando nessun altro costo o privilegio superiore) – ossia circa l’83%. Quindi il piano al 36% di soddisfacimento sembrerebbe non conveniente per i creditori rispetto alla vendita della casa. Tuttavia, Mario fa presente che la casa è in comproprietà con la moglie al 50% (che non è debitrice). Nella liquidazione, quindi, si potrebbe liquidare solo la metà di Mario, e realisticamente i creditori otterrebbero molto meno (vendere un immobile in comunione comporta spesso vendite a stralcio di quote). Inoltre, i costi di procedura e il tempo ridurrebbero quell’83%. L’OCC nel suo giudizio stima ad esempio che in liquidazione i chirografari prenderebbero netti il 40%. Se questa valutazione regge, il piano al 36% non è troppo distante; magari Mario trova un parente disposto a contribuire ulteriori €5.000 per alzare il dividendo al 45%. A quel punto l’OCC potrà affermare che il piano offre ai creditori almeno quanto la liquidazione (anzi, forse di più considerando i costi evitati e la certezza immediata dei pagamenti mensili). Il giudice, verificata anche la buona fede di Mario (che, ad esempio, non ha altri beni nascosti e ha ridotto le spese familiari all’essenziale), omologa il piano. Tutti i creditori saranno tenuti a rispettarlo: la banca ipotecaria non potrà più escutere l’ipoteca finché Mario paga le rate come da piano; i fornitori non potranno pignorare lo stipendio perché il piano prevede già quell’esborso di €300 (in pratica, sostituisce i vari pignoramenti con un unico esborso controllato dal tribunale). Dopo 5 anni, Mario avrà pagato i €22.000 previsti: il tribunale emetterà decreto di attestazione del corretto adempimento e dichiarerà inesigibile ogni residuo dei €60.000 iniziali. Mario resterà proprietario della casa (gravata dal mutuo rimanente, che continua a pagare per conto suo, ma almeno ha mantenuto un tetto per la famiglia) e sarà libero dai vecchi debiti. I creditori, d’altro canto, avranno ottenuto un pagamento parziale in tempi certi e trasparenti, e dovranno rinunciare al resto.
Concordato minore
Il concordato minore è la procedura destinata ai debitori sovraindebitati non consumatori (art. 74 e segg. CCII). È l’equivalente, nel mondo “minore”, del concordato preventivo per le imprese maggiori. Si tratta quindi di un accordo tra debitore e creditori sulla ristrutturazione dei debiti, che diventa vincolante se approvato da una certa maggioranza di creditori e omologato dal tribunale. Questo strumento raccoglie l’eredità dell’accordo di composizione dei debiti previsto dalla L.3/2012, ampliandone la portata e integrandolo meglio nel sistema concorsuale.
Nel nostro caso, Mario – in quanto ex imprenditore con debiti derivanti dalla sua attività commerciale – è esattamente il tipo di soggetto per cui è pensato il concordato minore. In effetti, la legge oggi chiarisce che gli imprenditori cessati da oltre un anno (quindi non più iscritti al Registro Imprese) devono anch’essi usare il concordato minore se i debiti hanno origine imprenditoriale. Non c’è più la lacuna che qualcuno temeva in passato (ossia ex imprenditori non fallibili, senza procedura): ora c’è questo strumento ad hoc. Anche i professionisti con debiti professionali, gli imprenditori agricoli e gli enti non fallibili rientrano qui. Sono invece esclusi i consumatori puri, a meno che partecipino assieme a un familiare imprenditore in una procedura unificata.
Vediamo i punti salienti del concordato minore:
- Proposta di concordato e contenuto: il debitore propone un piano di concordato ai suoi creditori, analogo a quanto visto per il piano del consumatore quanto a possibili soluzioni (pagamenti parziali, dilazioni, cessioni di beni, ecc.). La differenza cruciale è che qui la proposta deve essere accettata dai creditori con il voto. In particolare, serve il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza in valore > 50%). Non è richiesta, invece, una maggioranza di teste o classi (non c’è la formazione obbligatoria di classi, anche se il debitore può suddividerli in classi omogenee di trattamento se opportuno). Dunque, se Mario deve €100.000 totali, gli servirà il sì di creditori che rappresentano oltre €50.000 per avere l’accordo. I crediti privilegiati votano solo se il piano propone di non pagarli integralmente: se, ad esempio, Mario nel piano propone di pagare ai chirografari il 20% e ai privilegiati solo il 80% del loro importo, allora anche i privilegiati (nei limiti della parte falcidiata) votano, perché rinunciano a qualcosa. Se invece i privilegiati sono soddisfatti al 100% di quanto spetterebbe loro, non partecipano al voto (perché non subiscono decurtazioni). Attenzione: nel concordato minore, a differenza del preventivo, i creditori privilegiati possono essere falcidiati anche senza il loro consenso individuale, purché la maggioranza globale approvi e purché sia garantito loro almeno il valore di realizzo del bene su cui hanno privilegio (lo stesso best interest test di prima). Questa è una novità rispetto ai vecchi accordi L.3/2012 in cui per decurtare un privilegiato occorreva il suo assenso specifico; il CCII, recependo anche indicazioni UE, consente ora di cramdown dei privilegiati dentro al concordato minore, analogamente a quanto succede nel concordato preventivo (dove se una classe di privilegiati dissente ma prende almeno il pari passu di un liquidazione, il tribunale può imporre l’accordo). Dunque Mario potrebbe proporre, ad esempio, di pagare il Fisco (creditore privilegiato) al 30% anziché 100%, e se la maggioranza dei crediti complessivi vota sì e il 30% risulta >= quanto il Fisco otterrebbe liquidando quei beni, allora il tribunale può omologare anche senza il voto favorevole dell’Erario. Ovviamente è più facile a dirsi che a farsi: i privilegiati di solito hanno un peso rilevante e tenderanno a votare contro se troppo penalizzati, trascinando magari con sé altri creditori. Sta all’abilità del debitore formulare una proposta equilibrata che raccolga consensi.
- Iter procedurale: come per il piano, si presenta il ricorso in tribunale con l’ausilio di un OCC e la relazione attestativa. Anche qui si possono chiedere misure protettive per sospendere i pignoramenti pendenti. Il giudice, ricevuti gli atti, compie un esame di ammissibilità (meritevolezza, completezza documenti, fattibilità giuridica del piano) e emette un decreto di apertura con cui:
- ammette il debitore alla procedura di concordato minore,
- nomina un commissario giudiziale (spesso il gestore OCC stesso),
- convoca i creditori per l’espressione del voto (in forma scritta o in adunanza, a seconda dei regolamenti interni),
- concede le misure protettive sospendendo individuali esecuzioni e impedendo nuove (similmente al piano).
- Il commissario notificherà il piano e la relazione a tutti i creditori e li inviterà a votare entro un termine.
- Omologazione o mancata approvazione: se la proposta è approvata, il giudice convoca un’udienza di omologa dove eventualmente i creditori oppositori (che hanno votato no o assenti) possono sollevare contestazioni di legittimità. Diversamente dal piano, qui i creditori hanno deciso loro sulla convenienza (col voto), quindi non possono opporsi sul “potevamo avere di più” se la maggioranza era d’accordo: possono però eccepire vizi di meritevolezza occulti, errori procedurali, o violazioni di legge nel trattamento dei crediti. Il giudice, sentite le parti, procede a omologare il concordato con decreto se tutto è regolare. L’omologazione rende il concordato obbligatorio per tutti i creditori anteriori, compresi i dissenzienti, limitatamente alle somme e modalità previste. Ad esempio, se un creditore chirografo ha votato contro ma la maggioranza ha approvato un piano che gli paga 30%, quell’opponente dovrà accontentarsi del 30% e rinunciare al resto. Il concordato omologato, infatti, ha efficacia giuridica analoga a una sentenza passata in giudicato tra debitore e creditori: sostituisce le originarie obbligazioni con quelle nuove concordatarie. Se invece non si raggiunge la maggioranza dei voti, oppure il giudice nega l’omologa per gravi motivi (es. scopre frodi), la procedura di concordato fallisce. In tal caso, il tribunale – su istanza del debitore o anche d’ufficio in certi casi – può aprire la liquidazione controllata. Oltre a ciò, se la mancanza di approvazione è dovuta al fatto che solo un creditore rilevante ha votato contro, esiste una particolare possibilità: il cram-down giudiziale su classi dissenzienti (simile al concordato maggiore) non è espressamente disciplinato per il concordato minore, ma alcune modifiche del 2024 hanno previsto ipotesi di omologa nonostante il dissenso di creditori pubblici se la proposta è più vantaggiosa di quanto otterrebbero altrove. È un tema tecnico in evoluzione, segno di una tendenza a impedire a singoli creditori (soprattutto pubblici) di “tiranneggiare” l’accordo quando è conveniente.
- Esecuzione del concordato: una volta omologato, il debitore (sotto supervisione del commissario/liquidatore) esegue gli atti previsti: paga le rate ai creditori, cede eventuali beni da liquidare ecc. Nel concordato minore, come in quello preventivo, è prassi che se il piano prevede cessione di beni, venga nominato un liquidatore che li vende e distribuisce il ricavato secondo le priorità. Ad esempio, se Mario concorda di vendere il magazzino residuo, lo farà il liquidatore e poi consegnerà ai creditori le somme pattuite. Il debitore rimane tuttavia proprietario dei beni fino alla liquidazione ed è tenuto a cooperare lealmente.
- Chiusura ed esdebitazione: quando Mario avrà adempiuto a tutto quanto promesso nel concordato, il tribunale dichiarerà eseguito il concordato e lo chiuderà. A quel punto, scatta l’esdebitazione: i debiti restanti (che erano stati oggetto di falcidia) si intendono cancellati, e Mario è liberato da ogni obbligo ulteriore. Tecnicamente, nel concordato minore l’esdebitazione coincide con la completa esecuzione del piano. Se però Mario non adempie correttamente (ad es. omette pagamenti rilevanti), su istanza dei creditori il tribunale può dichiarare la risoluzione del concordato. La risoluzione fa rivivere i debiti originari (detratto quanto pagato) e di solito porta all’apertura di una liquidazione controllata successiva, in cui però – attenzione – il debitore potrebbe vedersi negare l’esdebitazione se la risoluzione è imputabile a sua colpa o frode (es. ha deliberatamente non venduto un bene come previsto). La legge infatti scoraggia chi fa approvare un concordato e poi non lo rispetta, soprattutto se in malafede. Vi è anche la possibilità di revoca dell’omologazione se si scoprono dopo fatti fraudolenti del debitore decisivi (specie per frode ai creditori o occultamento di attivo): in tal caso si torna indietro e i creditori possono agire come prima o chiedere una liquidazione coattiva.
Simulazione pratica (Concordato minore): supponiamo che per Mario i debiti principali siano quelli d’impresa (fornitori, banche, fisco). Mario non ha liquidità sufficiente per accontentare tutti, ma possiede alcuni asset: ad esempio, l’attrezzatura e le rimanenze di magazzino della ferramenta (valore stimato €20.000), un furgone (€5.000), e la casa con mutuo ipotecario (valore €150.000, mutuo residuo €100.000). Inoltre ha il nuovo stipendio di €1.500/mese. Formula quindi questa proposta di concordato:
- Vendita dei cespiti aziendali (magazzino e attrezzature): prevede di ricavare almeno €20.000 da destinare interamente ai creditori;
- Cessione del furgone con incasso di €5.000 da destinare ai creditori;
- Mantenimento della casa e del relativo mutuo (pagato fuori dal concordato, come autorizzato dal giudice – meccanismo analogo al piano, anche in concordato minore il tribunale può consentire di continuare a pagare le rate ipotecarie scadute per evitare la decadenza). La casa dunque non entra nella massa attiva (salvo l’eventuale valore libero di €50.000, ma Mario argomenta che senza la casa sarebbe un problema per la famiglia e che quell’equity è di difficile realizzo in quanto l’immobile è cointestato con la moglie).
- Pagamento del debito fiscale privilegiato al 30% (per es. Mario deve €30.000 tra IVA e IRPEF: offre €9.000 a saldo, che verranno pagati parte subito con il ricavato dei beni venduti, parte in due anni con rate).
- Pagamento dei crediti chirografari al 20% in 4 anni, mediante versamenti semestrali provenienti dal suo stipendio (circa €300 al mese destinati al concordato, come nel piano).
- Coinvolgimento di un parente garante: lo zio di Mario garantisce un apporto di €10.000 se il concordato viene approvato, per aumentare la percentuale ai chirografari.
Facciamo i conti: se i fornitori chirografari vantano €50.000, il 20% è €10.000 – esattamente l’importo garantito dallo zio, quindi i fornitori sarebbero pagati grazie a quell’apporto (in realtà il piano di Mario prevede che i €25.000 derivanti dalle vendite cespiti vadano in gran parte a coprire il 30% al Fisco – €9.000 – e il resto, €16.000, vada a banche e fornitori pro-quota, alzando di fatto il dividendo chirografario oltre il 20%, magari al 50%). In totale, i creditori ipotecari (banca mutuo) prendono il 100% fuori piano (mutuo prosegue), il Fisco 30%, i chirografari forse 50% grazie all’extra ricavato. Il commissario giudiziale valuta che: vendendo tutto (casa compresa) in una liquidazione, i creditori chirografari forse avrebbero preso il 60% (perché la casa avrebbe liberato €50k equity), però considera i costi e le incertezze e ritiene che l’offerta è comparabile. I creditori vengono convocati: la banca ipotecaria è indifferente (fuori piano, continua ad avere le sue rate, quindi formalmente non vota), l’Agenzia delle Entrate potrebbe essere contraria al 30% ma se vede che comunque è il massimo realizzabile magari non vota (silenzio-assenso), i fornitori e altri chirografari probabilmente votano sì poiché vedono un pagamento concreto di percentuale significativa in tempi brevi, e l’alternativa (vendere la casa) potrebbe allungare i tempi e non dare molto di più. Il risultato è che, su €80.000 di crediti aventi diritto a voto (tutti tranne la banca ipotecaria), Mario ottiene ad esempio il voto favorevole del 70% (€56.000) – sopra il quorum richiesto. Il tribunale, all’udienza, verifica che la procedura è regolare e omologa il concordato minore. Le azioni esecutive restano bloccate e il piano entra in esecuzione: viene nominato Mario stesso o un liquidatore per vendere i beni concordati, l’OCC ripartisce i fondi secondo le percentuali omologate, e Mario versa le rate semestrali da stipendio come promesso. Dopo 4 anni la procedura si chiude: Mario ha eseguito il concordato, ottenendo così la definitiva esdebitazione dei crediti Tagliati (il Fisco rinuncerà al 70% residuo, i fornitori al 50% residuo, ecc.). Mario è riuscito a conservare la casa e un budget di reddito sufficiente per vivere (destinava €300 su 1500, quindi il resto per la famiglia), i creditori hanno avuto un soddisfacimento ragionevole in base alle possibilità. Se per ipotesi un creditore fosse insoddisfatto (es. il Fisco potrebbe sempre dire che 30% è poco), dovrà accettarlo perché la maggioranza ha deciso così e il giudice ha ritenuto equo il trattamento. Solo se Mario avesse mentito su qualcosa (poniamo, non ha rivelato di avere un altro conto con soldi) il concordato potrebbe essere revocato.
Liquidazione controllata del sovraindebitato
La liquidazione controllata è la procedura “liquidatoria” prevista per qualunque debitore sovraindebitato (consumatore o non) che non abbia altre soluzioni praticabili. In sostanza, è l’analogo del vecchio “fallimento personale” (in L.3/2012 si chiamava liquidazione del patrimonio). Si ricorre a essa quando il debitore non è in grado di proporre un piano o un concordato fattibile, oppure quando i creditori stessi prendono l’iniziativa di far liquidare coattivamente il patrimonio del debitore insolvente.
Come si avvia: la liquidazione controllata può iniziare:
- Volontariamente su istanza del debitore: il debitore deposita un ricorso chiedendo di liquidare tutto il suo patrimonio ai sensi degli artt. 268 e segg. CCII. Questo spesso avviene quando il debitore non ha entrate sufficienti per un piano di ristrutturazione, oppure la mole di debiti è tale che nessun accordo con percentuali ragionevoli sarebbe approvato. Nel caso di Mario, se per esempio i debiti fossero enormi e i creditori non intendessero accettare piani di saldo parziale, Mario potrebbe scegliere la liquidazione come via più diretta all’esdebitazione, sacrificando i suoi beni.
- Su richiesta di un creditore o del Pubblico Ministero: questa è una novità del Codice della Crisi. Se un debitore non fallibile è insolvente e non prende iniziative (né paga né attiva procedure), un creditore (o il PM, ad esempio in caso di rilevanza sociale del caso) può rivolgersi al tribunale per chiedere l’apertura della liquidazione controllata. Naturalmente il creditore dovrà provare lo stato di insolvenza e la qualifica del debitore come soggetto ammissibile. Prima della riforma, i creditori di soggetti non fallibili erano impotenti: potevano fare solo esecuzioni individuali e se il debitore era nullatenente, non potevano “farlo fallire”. Ora invece hanno questa chance, sebbene non molto utilizzata ancora. La legge però tutela il debitore: se, dopo la domanda del creditore, il debitore reagisce presentando un piano del consumatore o concordato minore, la sua procedura prevale e la liquidazione chiesta dal creditore viene sospesa. Ciò incentiva il debitore a darsi da fare e non restare inerte. Se invece non reagisce, il tribunale potrà aprire la liquidazione d’ufficio.
In pratica, nella vicenda di Mario, immaginiamo che i creditori non siano soddisfatti né fiduciosi in piani: potrebbero coalizzarsi e presentare istanza per liquidazione. Mario a quel punto per “difendersi” potrebbe immediatamente depositare un proprio concordato per bloccarli. Ecco come l’ordinamento spinge comunque verso soluzioni concordate, lasciando la liquidazione coattiva come ultima ratio.
Procedimento: la liquidazione controllata viene aperta dal Tribunale con una sentenza (o decreto) di apertura, con cui:
- nomina un giudice delegato e un liquidatore (figura simile al curatore fallimentare);
- assegna i compiti al liquidatore e fissa termini per le varie attività;
- dispone eventualmente la sospensione di esecuzioni in corso (anche se di fatto l’apertura della liquidazione produce il divieto di iniziarne/proseguirne ai sensi dell’art. 270 CCII, analogo all’automatica stop delle azioni come nel fallimento).
Dal momento dell’apertura, il debitore è spossessato dei suoi beni: tutto il patrimonio (esclusi i beni impignorabili per legge, come gli effetti personali, stipendi nei limiti di legge, ecc.) entra nella massa attiva gestita dal liquidatore. Il liquidatore redige l’inventario, invita i creditori a presentare domande di insinuazione entro un termine (generalmente 30-60 giorni). Dopodiché, come in un fallimento, si tiene un’udienza di verifica dello stato passivo in cui il giudice esamina le domande e forma l’elenco dei crediti ammessi, con indicazione di eventuali cause di prelazione (privilegi, ipoteche, pegni). Da quel momento, il liquidatore procede a realizzare gli attivi: vende i beni mobili (anche all’asta, magari via internet come prevede il Codice), vende gli immobili (di norma tramite procedure competitive analoghe alle aste fallimentari) oppure cede in blocco l’azienda se c’è ancora, ecc. I poteri del liquidatore sono ampi, ma per atti importanti deve avere l’autorizzazione del giudice delegato o del comitato dei creditori (se nominato). Nel frattempo, il debitore deve collaborare e ha obblighi simili a quelli del fallito: consegnare documentazione, fornire informazioni, ecc., pena sanzioni e potenziale diniego di esdebitazione. Anche qui interviene il concetto di meritevolezza: se in corso di liquidazione emergono condotte fraudolente, il debitore rischia di perdere il beneficio finale.
La liquidazione controllata dura al massimo 3 anni (salvo proroghe motivate) dalla apertura. Questa previsione di durata massima è stata introdotta proprio per evitare che le liquidazioni personali si trascinino troppo a lungo (recependo la direttiva UE 2019/1023 sul fresh start rapido). Se allo scadere dei 3 anni qualche bene non è venduto, la procedura potrebbe chiudersi lo stesso dichiarando inesigibili i crediti residui. Durante la liquidazione, i creditori non possono agire individualmente (sono tutti dentro, in concorso). I creditori privilegiati e garantiti però manterranno prelazione sulle somme ricavate dalla vendita dei beni oggetto di garanzia. Esempio: la banca ipotecaria di Mario sarà soddisfatta con prelazione sul prezzo di vendita della casa, l’eventuale eccedenza andrà ai chirografari. I creditori chirografari prendono in proporzione alla loro percentuale di credito.
Chiusura ed esdebitazione: una volta liquidati tutti i beni e ripartito il ricavato secondo la graduatoria (con uno o più riparti intermedi e finali), la procedura si chiude. A differenza del passato, oggi il debitore persona fisica ha diritto all’esdebitazione “di diritto”: il tribunale dichiara inesigibili i debiti non soddisfatti con il decreto di chiusura. Non occorre più un’apposita domanda di esdebitazione dopo un anno, come prevedeva la L.3/2012; né occorre la valutazione discrezionale del giudice se il debitore è meritevole – quella valutazione avviene già in corso di procedura e in sede di apertura. Quindi, salvo casi di frode conclamata o abuso, la regola è che il debitore esce libero dai debiti entro 3 anni. Ci sono eccezioni importanti: restano esclusi dall’esdebitazione (art. 278 CCII) i debiti per alimenti, mantenimento, danni da illecito extracontrattuale, e le sanzioni penali o amministrative non accessorie. Quindi, ad esempio, se Mario aveva una multa stradale o doveva un risarcimento per diffamazione, quel debito rimane (ma spesso importi simili sono marginali rispetto al resto). Tutti gli altri – finanziamenti, debiti bancari, fiscali, contributivi – sono cancellati. I creditori non potranno più pretendere nulla da Mario (anche qui, con l’ovvia eccezione di eventuali fideiussori terzi, che rimangono obbligati al posto suo).
Una particolarità: se durante la liquidazione il debitore persona fisica percepisce redditi eccedenti il necessario per il suo mantenimento, può trattenere la parte per vivere dignitosamente (la legge indica come soglia l’assegno sociale aumentato della metà per lui e famiglia), ma l’eccedenza deve destinarla ai creditori. Dunque, se Mario trova un ottimo lavoro durante i 3 anni, dovrà contribuire con la quota eccedentaria. Ciò massimizza la soddisfazione e impedisce arricchimenti improvvisi del debitore mentre i creditori restano a bocca asciutta.
Simulazione (Liquidazione controllata): immaginiamo Mario in una situazione peggiore: nessun reddito, attività cessata, debiti altissimi e creditori non collaborativi. Mario opta per la liquidazione. Il Tribunale la apre, nomina un liquidatore, sospende i pignoramenti. Vengono acquisiti: la casa (che sarà venduta all’asta: supponiamo ricavo €140.000), il furgone (€5.000), i crediti verso clienti residui (€3.000) e il saldo di conto (€2.000). La banca con ipoteca sul casa prende dal ricavato €100.000 (suo credito mutuo, privilegiato da ipoteca). Restano €40.000 dalla casa; il liquidatore deduce le spese (diciamo €5.000 tra compensi e costi procedura), rimangono €35.000 da distribuire: il Fisco, con privilegio su parte di quei beni, prende ad es. €10.000 (mettiamo avesse €30.000 di crediti privilegiati, soddisfatto al ~33%), altri eventuali privilegiati prendono il loro, e ai chirografari residua poco – magari un 10%. Alla fine, su debiti totali di €200.000, i creditori hanno ottenuto magari €120.000 (la banca) + €15.000 (fisco e altri privilegiati) + €5.000 (chirografari) = €140.000 totali, e rimangono insoddisfatti €60.000 circa. Il tribunale chiude la liquidazione dopo due anni. Mario perde la proprietà della casa e degli altri beni, ma ottiene l’esdebitazione per i €60.000 rimanenti (essendo meritevole, non avendo nascosto nulla). I creditori non potranno più avanzare pretese su di lui. Mario dovrà ripartire da zero, magari in affitto e cercando un lavoro, ma senza debiti pregressi. In pratica, ha subìto quello che in un fallimento succede agli imprenditori, con l’unica differenza che qui anche i debiti personali (tipo carte di credito, fisco persona fisica etc.) sono compresi e perdonati. Dopo 3 anni, se ad esempio Mario riceve un’eredità inaspettata di €20.000, essendo la procedura chiusa e l’esdebitazione già concessa, quei soldi resteranno a Mario (i creditori non potranno più toccarli, a meno che non emerga che quell’eredità era già conosciuta prima e c’è stata malafede). Dunque la liquidazione, pur drastica, offre al debitore onesto la possibilità di tornare economicamente “pulito” in tempi relativamente brevi (3 anni). Questo è un enorme cambiamento culturale rispetto al passato, in cui i debitori restavano inseguiti a vita.
Esdebitazione del debitore incapiente
L’esdebitazione dell’incapiente è un istituto introdotto per risolvere i casi estremi in cui il debitore non possiede alcun bene né ha redditi aggredibili, e quindi una procedura di liquidazione sarebbe solo una perdita di tempo e denaro (non c’è niente da liquidare). In tali casi, il Codice (art. 283 CCII) permette di ottenere subito l’esdebitazione senza dover liquidare nulla, a condizione che il debitore sia meritevole e incapiente in modo assoluto.
Requisiti principali (art. 283, co.1):
- Il debitore deve essere una persona fisica sovraindebitata (consumatore o imprenditore minore, non importa, purché persona fisica – le società non possono esdebitarsi perché se prive di beni semplicemente restano estinte e i debiti non hanno chi perseguire).
- Deve essere meritevole, cioè non aver causato la sua insolvenza con dolo o colpa grave, e non aver commesso atti in frode. Viene richiesto un controllo molto rigoroso qui: il giudice assume informazioni e deve verificare attentamente assenza di frodi e grave negligenza nella formazione dei debiti. Vengono considerati anche gli sforzi fatti dal debitore: ad esempio, se ha comunque cercato di trovare lavoro, di limitare le spese, di vendere beni non essenziali prima di arrendersi. Se percepisce un reddito seppur minimo, magari gli si chiede perché non propone almeno un piccolo piano.
- Il debitore non deve essere in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, né diretta né indiretta, nemmeno futura. Ciò significa: niente beni vendibili, niente stipendi o pensioni pignorabili, nessuna prospettiva concreta di miglioramento a breve. È un requisito oggettivo di incapienza totale. Ad esempio, un disoccupato senza beni, mantenuto dalla carità, rientra; un soggetto con un piccolo stipendio eccedente il minimo vitale invece no (in tal caso avrebbe utilità futura – quel piccolo eccesso – e dovrebbe semmai fare un piano del consumatore di importo modesto). In pratica, l’incapiente è colui che, anche aprendo una liquidazione, non darebbe nulla ai creditori. Va sottolineato: se pure c’è qualche risorsa teorica (es. un’auto vecchia dal valore 1.000 €), quella è considerata minima e comunque verrebbe assorbita dai costi di procedura, quindi non è una vera utilità per creditori. Lo scopo è evitare procedure inutili. La legge richiede che l’OCC certifichi la mancanza di attivi liquidabili per ammettere l’istanza.
- Non bisogna aver già ottenuto un’esdebitazione incapiente in passato: la norma consente questa esdebitazione solo una volta nella vita, proprio perché è un beneficio eccezionale senza contropartite (a differenza della liquidazione dove almeno si cede il patrimonio). Inoltre resta il limite generale delle due esdebitazioni massimo nella vita e 5 anni tra una e l’altra, come visto.
Procedura: il debitore presenta un ricorso al tribunale chiedendo l’esdebitazione ex art. 283. Anche qui conviene avvalersi di un OCC per predisporre l’istanza, sebbene la legge non lo imponga esplicitamente (in pratica però serve qualcuno che asseveri la condizione di incapienza e prepari la relazione, di solito l’OCC fa anche questo). Nel ricorso, il debitore deve:
- allegare l’elenco completo di tutti i creditori e degli importi dovuti;
- descrivere le cause del sovraindebitamento e la propria situazione economica;
- dimostrare di non avere beni né redditi disponibili (ad esempio allegando stato di famiglia, attestazione di disoccupazione, ISEE pari a zero, estratti conto che mostrano saldo minimo, ecc.);
- dichiarare di non poter offrire nulla e di impegnarsi, se la richiesta verrà accolta, a rispettare le condizioni che il giudice porrà (vedi fra poco riguardo eventuali utilità future).
Il Tribunale fissa un’udienza, in cui ascolta eventualmente i creditori (che possono opporsi, ad esempio contestando la veridicità di quanto dice il debitore – “non è vero che non ha nulla, so che lavora in nero”, ecc.). Quindi valuta la sussistenza dei requisiti. Se tutto è a posto, emette un decreto di accoglimento dell’esdebitazione incapiente. In tale decreto:
- dichiara inesigibili tutti i debiti del debitore indicati (esclusi sempre alimenti, risarcimenti e sanzioni come da art. 278);
- stabilisce le modalità con cui il debitore dovrà segnalare eventuali sopravvenienze attive nei 4 anni successivi e l’eventuale misura entro cui dovrà pagare i creditori;
- avverte che il beneficio è revocabile in caso di inadempimento a tali obblighi o di dolo.
Effetti immediati: con questo decreto, di fatto, Mario (se fosse questo il caso) è libero dai debiti all’istante. Non essendoci patrimonio, i creditori non ricevono nulla, ma il debitore è esdebitato. Si noti che, nel disporre ciò, il giudice potrebbe comunque indicare un minimo contributo se, ad esempio, fiuta che qualche risorsa forse c’è (per dire: “il debitore dovrà versare ai creditori eventuali rimborsi fiscali futuri fino a 1.000 € l’anno…”). In generale però se la procedura è concessa è perché davvero non c’è nulla da dare.
Periodo di “condizionale” quadriennale: per i 4 anni successivi, il debitore incapiente deve comunicare annualmente al liquidatore o al tribunale (a seconda delle prassi) se ha avuto utilità rilevanti. La legge definisce rilevante l’utilità sopravvenuta che consente di soddisfare i creditori in misura non inferiore al 10%. Più concretamente, come la dottrina suggerisce, se Mario entro 4 anni vince alla lotteria €50.000 e i suoi debiti originari erano €300.000 (il 10% sarebbe €30.000), quell’importo è rilevante (perché potrebbe pagare il 16% circa ai creditori) e dunque Mario avrebbe l’obbligo di pagare ai creditori l’intera somma vinta fino a concorrenza del 10% del debito. L’art. 283 prevede proprio che, se sopravvengono utilità tali da dare almeno il 10% ai creditori, l’obbligo di pagamento permane. In tal caso, la procedura che era chiusa si “riattiva” limitatamente a far distribuire queste somme ai creditori (tramite un liquidatore nominato ad hoc). Se il debitore non collabora (ad es. non dichiara la vincita o l’eredità), rischia la revoca del beneficio. Questo meccanismo serve a evitare comportamenti opportunistici e a rassicurare i creditori che, se il debitore incapiente dovesse poi avere fortuna, non resteranno a secco.
Passati i 4 anni, senza che siano intervenute utilità significative, l’esdebitazione incapiente diventa definitiva e irrevocabile. Il debitore ha avuto il suo fresh start completo: i creditori non potranno più reclamare nulla, neanche in caso di arricchimenti futuri oltre quel termine.
Meritevolezza stringente: va detto che i tribunali applicano con rigore questa procedura. Ad esempio, se il debitore incapiente ha anche solo una piccola pensione ma dalla quale potrebbe togliere 100 € al mese, gli si potrebbe dire di fare un piano del consumatore con 100 € al mese per 4 anni (dando un 10-15% ai creditori) invece di esdebitazione zero. Quindi l’incapiente puro è per situazioni di indigenza pressoché totale. Il vantaggio enorme per il debitore è evitare la liquidazione (con i suoi strascichi, la pubblicità, ecc.) e liberarsi dai debiti velocemente; lo svantaggio è che la legge concede questo solo se davvero non c’è alternativa. Il debitore inoltre per 4 anni rimane “sorvegliato speciale”.
Simulazione (Esdebitazione incapiente): Rosa, 60 anni, ex negoziante, vedova, nessun immobile di proprietà, vive in affitto in una casa popolare, pensione minima di €600 (già tutta assorbita per sopravvivenza). Debiti: €50.000 con banche e fisco. Nessun parente in grado di aiutarla. Rosa è il prototipo dell’incapiente: se anche aprisse liquidazione, non ci sarebbe nulla da vendere (la pensione minima è impignorabile, non possiede auto né beni di valore). Con l’assistenza OCC, Rosa deposita istanza di esdebitazione incapiente. Il tribunale verifica che Rosa non ha occultato nulla (controlla Cassetto fiscale, Anagrafe tributaria, catastale: nessun immobile, conti quasi a zero), che la sua insolvenza è dovuta a cause di salute e crisi (quindi non colpa grave). I creditori vengono avvisati ma nessuno si oppone (sanno anche loro che Rosa non ha nulla). Decreto di accoglimento: il giudice esdebita Rosa da €50.000 di debiti. Nel decreto ordina a Rosa di comunicare ogni anno la sua situazione reddituale e patrimoniale per 4 anni e dispone che, se entro 4 anni Rosa dovesse entrare in possesso di una somma > €5.000 (cioè >10% di 50k), dovrà destinarla ai creditori fino a quel 10%. Rosa ovviamente non prevede di ricevere nulla di simile, ma può capitare un imprevisto (ad es. una lontana zia che le lascia €10.000 in eredità). Se tra 2 anni riceve quei €10.000, dovrà informare il giudice e verrà riaperta la partita per distribuirli: i creditori incasseranno ~20% ciascuno, e Rosa avrà comunque beneficiato dell’esdebitazione per il resto. Se invece nei 4 anni non succede nulla, Rosa trascorso quel periodo è definitivamente libera: nessuno potrà mai più pretenderle quei €50.000. Lei purtroppo non ha migliorato la sua condizione economica, ma almeno può vivere la vecchiaia senza l’angoscia di essere perseguitata dai creditori (che prima magari le avevano pignorato in passato il conto o minacciato azioni).
Va evidenziato che questa procedura è eccezionale e concessa con prudenza, per evitare abusi (non diventi un modo furbo di non pagare nulla). Perciò, i tribunali se hanno dubbi preferiscono indirizzare il debitore verso la liquidazione controllata (dove c’è sempre la verifica finale). L’esdebitazione incapiente è comunque un istituto di civiltà giuridica: riconosce che “in soldoni non si può cavar sangue da una rapa”, e che tenere in vita in eterno debiti inesigibili non serve a nessuno e anzi può favorire lavoro nero e disperazione. Meglio tagliare e permettere al debitore di rifarsi una vita (se può).
Confronto sintetico tra le procedure
Di seguito una tabella riepilogativa delle caratteristiche chiave delle procedure discusse, dal punto di vista del debitore:
Procedura | Soggetti ammessi | Accordo o liquidazione? | Voto dei creditori | Durata tipica | Esdebitazione | Perdita beni | Conservazione casa |
---|---|---|---|---|---|---|---|
Piano del consumatore | Solo consumatori (debiti personali). | Accordo giudiziale sul piano di pagamento (no liquidazione integrale). | No voto – decide il giudice (cram-down). | 4-5 anni di pagamenti mediamente (più rapida se somma immediata). | Al termine dell’esecuzione del piano, automatica. | Il debitore mantiene i beni, salvo quelli che decide di liquidare nel piano. | Possibile continuare a pagare mutuo e tenerla, se il piano è equo. |
Concordato minore | Debitori non fallibili non consumatori (piccoli imprenditori, ex imprenditori, professionisti, ecc.). | Accordo con i creditori su un piano (tipo concordato preventivo semplificato). | Sì, voto richiesto: maggioranza >50% crediti. Dissenzienti vincolati se omologato. | Variabile: dipende da piano (spesso 3-5 anni). | Al termine dell’esecuzione del piano omologato. | Il debitore conserva i beni durante la procedura, ma potrebbe doverli liquidare in tutto o parte secondo il piano. | Possibile mantenerla se ciò non danneggia i creditori (il valore eccedente mutuo va compensato). |
Liquidazione controllata | Qualsiasi debitore sovraind. (consumatore o non) insolvente, quando piani non fattibili. | Liquidazione giudiziale del patrimonio (tipo fallimento). | No voto (tutti i creditori partecipano in base ai loro diritti di prelazione). | Max 3 anni dalla apertura (proroghe possibili), poi chiusura. | Con decreto di chiusura: debiti insoddisfatti inesigibili d’ufficio. | Sì, tutti i beni non impignorabili vengono liquidati e venduti. | No, se la casa è di proprietà viene di regola venduta salvo intese diverse con creditori (non c’è protezione prima casa come nel fisco). Eccezione: se nessuno la compra all’asta e valore modesto, potrebbe restare invenduta. |
Esdebitazione incapiente | Persone fisiche senza beni né redditi, meritevoli (one shot nella vita). | Nessuna liquidazione né accordo: esdebitazione “a zero” (fresh start puro). | N/A (creditori possono eventualmente opporsi in sede di udienza, ma non c’è voto su un piano). | Procedimento breve (pochi mesi). Poi 4 anni di condizionale. | Immediata col decreto (condizionata a 4 anni per eventuali sopravvenienze >10%). | Il debitore non perde nulla perché non ha nulla di valore (se ha qualcosa non è incapiente). | Se era proprietario casa, non sarebbe incapiente perché la casa sarebbe un bene liquidabile → quindi questa procedura non si applica al proprietario di immobile di valore (andrebbe liquidato). |
(Legenda: “meritevole” sta per debitore privo di dolo, colpa grave o frode; “condizionale 4 anni” indica il periodo successivo nei quali eventuali ricchezze improvvise vanno condivise coi creditori).
Come vediamo, dal punto di vista del debitore la scelta dipende molto dalla sua condizione:
- Il consumatore con un reddito, ma magari pochi beni, preferirà il piano: potrà ridurre il debito mantenendo il controllo dei beni essenziali (es. casa, auto) e senza subire vendite forzate, a patto di destinare parte del reddito per alcuni anni.
- L’ex imprenditore come Mario, con debiti d’impresa, punterà sul concordato minore se ha margini per convincere i creditori (ad esempio risorse da liquidare e un business plan di rimborso parziale). Ciò gli consente magari di salvare parte dell’attività o beni come la casa, contrattando i termini con i creditori.
- Se invece il debitore non ha alcuna possibilità di pagare qualcosa di significativo, la liquidazione controllata è lo sbocco inevitabile: sacrifica i suoi beni subito, ma in massimo 3 anni sarà libero dai debiti. È dura (perde la casa, etc.), ma è comunque preferibile a restare a vita inseguito dai creditori.
- Infine, se il debitore non possiede letteralmente nulla, conviene puntare direttamente all’esdebitazione da incapiente: in pochi mesi risolve tutto, senza nemmeno passare per l’asta dei (inesistenti) beni. Naturalmente dev’essere un caso genuino di indigenza, altrimenti il tribunale non lo ammetterà.
Il ruolo della meritevolezza e i casi di esclusione
Come filo conduttore di tutte queste procedure c’è il concetto di meritevolezza del debitore. Ripetiamo: le agevolazioni previste (blocco dei pignoramenti, taglio dei debiti, ecc.) non sono un “premio” a chiunque, ma sono riservate a chi ha agito onestamente e si trova nell’impossibilità di pagare per circostanze sfortunate. La legge e la giurisprudenza delineano in modo abbastanza chiaro quando un debitore non è meritevole:
- Se ha commesso frodi o atti in frode ai creditori: ad esempio, se ha dissipato o nascosto beni prima di chiedere aiuto (vendite fittizie a parenti, svuotamento conti, costituzione di fondi patrimoniali opportunistici, creazione di false passività). Tali condotte portano a inammissibilità della procedura o a rigetto dell’omologa se scoperte dopo. In caso estremo possono condurre a denunce penali (es. bancarotta fraudolenta per distrazione, se il fatto integra reato).
- Se ha contratto debiti con dolo o colpa grave: qui rientrano situazioni di indebitamento “colposo” eccessivo. Ad esempio, chi continuava a prendere finanziamenti pur sapendo di essere già insolvente, senza prospettive reali di ripagarli (il classico “turista del credito” che accumula prestiti su prestiti); oppure chi ha fatto spese voluttuarie enormi incompatibili col proprio reddito (es. auto di lusso a rate sapendo di non poterle mantenere). La colpa grave non va confusa con l’azzardo normale d’impresa o con l’errore: per dire, un imprenditore può aver fatto investimenti rivelatisi sbagliati e indebitato l’azienda, ma se lo ha fatto confidando ragionevolmente in ricavi che poi non ci sono stati, non è automaticamente colpa grave. Invece un comportamento del tipo “prendo soldi a destra e sinistra tanto poi fallisco e non pago” è colpa grave dolosa.
- Se ha violato obblighi procedurali: ad esempio, presentando documentazione incompleta o falsa, omettendo creditori nella lista (per favoritismi), non depositando gli importi dovuti alle spese, ecc. In particolare, ricordiamo che non può accedere chi nei 5 anni precedenti ha già beneficiato di un’esdebitazione (in qualunque procedura), né chi ne ha ottenute due in totale anche a distanza. Questa preclusione quinquennale e il limite di due volte mira a evitare abusi seriali (il fresh start è concesso, ma non è che uno può farsi cancellare i debiti ogni anno…).
- Inoltre, nel concordato preventivo minore e nelle liquidazioni, non è meritevole chi ha subito condanne per alcuni reati economici gravi (es. bancarotta fraudolenta, riciclaggio, usura, ecc.) o chi è stato sanzionato per atti contrari al fisco. Spesso queste circostanze emergono come indizi di malafede e portano il giudice a negare l’omologazione.
La giurisprudenza recente, come già accennato, ha adottato un orientamento abbastanza “benevolo” verso il debitore onesto: si tende a ritenere che la meritevolezza vada negata solo in presenza di condotte davvero riprovevoli, non per semplici scelte economiche avventate o per negligenze veniali. Ad esempio, un consumatore che ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità con leggerezza potrebbe comunque accedere alla procedura, a meno che non emergano elementi di malizia (inganni ai creditori, false attestazioni di reddito per ottenere prestiti, etc.). Un caso concreto: Cassazione, ord. 9090/2021, ha affermato che il giudice non può rifiutare l’omologa di un piano del consumatore solo perché il debitore ha contratto molti debiti “imprudentemente”; deve verificare se vi è stato dolo o colpa grave specifica. In quell’ordinanza si legge che la normativa vuole favorire il debitore sovraindebitato onesto, e la meritevolezza va interpretata restrittivamente, altrimenti verrebbe frustrato lo scopo della legge (che è aiutare chi è in difficoltà).
Naturalmente ogni vicenda è a sé. I tribunali di merito hanno talora valutato diversamente situazioni analoghe: ecco perché in passato parlavamo di “Babele della meritevolezza”. Ma col tempo si sta uniformando: Cassazione 2023 (es. ord. 262/2023, ord. 7820/2023) ha ribadito che non si possono introdurre criteri arbitrari, tipo “il debitore deve aver pagato almeno il 5% – se no è in mala fede”: queste soglie non esistono in legge e non vanno applicate. Il focus resta sul comportamento: ha cooperato? ha detto tutta la verità sui suoi beni? non ha fatto il furbo a danno dei creditori? Se sì, allora merita l’esdebitazione a prescindere che paghi il 2% o il 50%.
Inoltre, come menzionato in precedenza, alcune cause di esclusione sono tassative. L’art. 278 CCII (analogo all’art. 142 L.F. per l’esdebitazione post-fallimentare) elenca in modo chiuso quali debiti restano comunque dovuti anche dopo l’esdebitazione: alimenti, danni da illecito, sanzioni penali/ammin. non accessorie. Nessun’altra categoria di debito è esclusa. La Cassazione già nel 2014 (ord. 23219/2014) lo chiarì in ambito fallimentare: i debiti tributari NON sono esclusi, quindi si esdebitano anch’essi (contrariamente a un vecchio timore che il fisco fosse intoccabile). Ciò vale ovviamente anche nel sovraindebitamento: il fallito persona fisica ottiene la liberazione dai debiti fiscali, e così il sovraindebitato esdebitato. C’era stata discussione sul comma di legge che parlava di “obbligazioni estranee all’esercizio dell’impresa” come escluse (nella vecchia formulazione), ma la Cassazione ha interpretato che ciò si riferiva alle obbligazioni di tipo personale come alimenti, non alle tasse (le tasse non sono estranee all’impresa, anzi ne sono un onere accessorio). Anche la Corte Costituzionale con sentenza 15/2022 è intervenuta per dichiarare illegittima una norma che, nelle procedure maggiori, impediva il fresh start al debitore persona fisica se condannato per omesso versamento IVA: la Consulta ha ritenuto irragionevole negare l’esdebitazione automaticamente per quel reato tributario (va valutato caso per caso semmai). Insomma, c’è un trend di favore verso dare davvero una seconda opportunità, senza sommari moralismi.
Esempi pratici di difesa del debitore sovraindebitato
Dopo tutta questa teoria, torniamo al caso del nostro ex ferramenta Mario per vedere come potrebbe concretamente difendersi e risolvere la sua situazione, a seconda di quale procedura segue:
- Esempio 1 – Concordato minore riuscito: Mario presenta un concordato minore (come simulato sopra) e ottiene l’approvazione. Durante la procedura, tutti i pignoramenti sullo stipendio e l’ipoteca giudiziale sul suo immobile vengono sospesi dal tribunale. Mario continua a vivere in casa sua e a percepire lo stipendio senza trattenute (salvo quelle che volontariamente destina al piano). Riesce a vendere il magazzino e il furgone con l’assistenza del liquidatore, ottenendo i fondi per accontentare parzialmente i creditori. Dopo 4 anni di versamenti periodici, il piano è completato: il tribunale dichiara eseguito il concordato e Mario è libero da tutti i debiti residui. Ha difeso con successo la sua abitazione e la fonte di reddito (che altrimenti sarebbero stati aggrediti dai creditori): la casa non è stata venduta all’asta e rimane alla famiglia; lo stipendio non è stato pignorato oltre quanto stabilito. I creditori, pur non avendo avuto il 100%, hanno accettato la soluzione e non possono più pretendere nulla oltre quanto incassato. Mario può quindi vivere del proprio lavoro, far studiare i figli e magari chiedere nuovi piccoli prestiti in futuro (poiché la sua posizione debitoria pregressa è chiusa), con la prudenza imparata dall’esperienza.
- Esempio 2 – Liquidazione controllata forzata: ipotizziamo invece che i tentativi di concordato di Mario falliscano (magari i creditori hanno bocciato la proposta perché la ritenevano insufficiente). Si apre allora la liquidazione controllata, magari su istanza di un creditore esoso. Mario a quel punto subisce la liquidazione: il liquidatore pignora e vende la casa, vendendo magari a prezzo di saldo; pignora lo stipendio di Mario fino al momento della chiusura (nei limiti di 1/5), e chiude l’attività liquidando anche i crediti residui. Mario e famiglia devono trasferirsi in affitto (perdendo la casa di proprietà). Dopo 2 anni la procedura finisce: i creditori sono stati soddisfatti in parte e i debiti residui (consistenti) vengono cancellati con decreto del giudice. Mario ora non ha più debiti, ma neanche patrimonio: deve ricominciare da capo, però almeno senza pendenze. In retrospettiva, forse avrebbe preferito la prima opzione, ma non sempre il debitore può scegliere l’esito – a volte è la fattibilità economica che decide.
- Esempio 3 – Esdebitazione incapiente di un ex imprenditore: un caso simile a Mario, ma ancora più sfortunato: supponiamo che la sua ferramenta sia fallita completamente, che lui abbia perso pure la casa (ad es. era in affitto) e sia rimasto senza lavoro. Debiti 200.000 €, patrimonio zero, 55 anni, salute precaria e nessuno che possa aiutarlo. Mario vive con un piccolo sussidio sociale. Qui la scelta logica è la procedura di incapienza. Mario, con l’aiuto di un OCC, documenta tutto e chiede l’esdebitazione. Il Tribunale concede il beneficio, riconoscendo che Mario – sebbene imprenditore sfortunato – non ha nulla e mantenere vivi quei debiti non farebbe che impedirgli qualsiasi ripresa (anche psicologica). I creditori non oppongono nulla, consapevoli che comunque non avrebbero recuperato granché. Nel decreto, il giudice prevede: “Il debitore dovrà comunicare per 4 anni eventuali nuove disponibilità eccedenti €10.000 lordi annui e destinarle ai creditori fino alla concorrenza del 10%”. Mario quindi è libero dai debiti, ma sa che se per esempio ereditasse la casa del padre entro pochi anni, dovrebbe liquidarla in favore dei creditori fino a quel limite. Passati i 4 anni, a meno di svolte improbabili, Mario sarà definitivamente libero. Potrà cercare un lavoretto senza paura che qualcuno gli porti via lo stipendio, potrà aprire un piccolo conto in banca senza trovarlo bloccato da pignoramenti. In breve, torna ad essere un cittadino economicamente “riabilitato”, seppur con i mezzi modesti di cui dispone. Questo esempio mostra come la legge consente persino un “fresh start totale” in casi di vera disperazione economica: un concetto impensabile fino a qualche anno fa, ma oggi realtà (con le dovute cautele per evitare approfittatori seriali).
Domande frequenti (FAQ)
D: Un ex imprenditore come Mario può accedere al piano del consumatore?
R: No, se i debiti derivano in prevalenza dall’attività d’impresa. Il piano del consumatore è riservato a chi ha debiti personali “di consumo” (non legati ad attività professionale). Un ex imprenditore con debiti d’impresa rientra tra i debitori non consumatori, quindi deve utilizzare il concordato minore o la liquidazione controllata. Solo se ha anche debiti personali distinti potrebbe, in teoria, fare un piano per quelli e un concordato per gli altri, ma la legge preferisce una soluzione unitaria. Nel caso di ex imprenditori, di norma si segue il concordato minore per tutti i debiti. Fa eccezione il caso di procedura familiare mista: ad es., marito ex imprenditore e moglie consumatrice possono presentare un unico concordato minore familiare, includendo i debiti di entrambi.
D: I debiti fiscali e con l’Agenzia Entrate Riscossione possono essere stralciati in queste procedure?
R: Sì. Tutti i debiti tributari e contributivi possono essere inclusi nei piani e concordati e subire riduzioni, come qualunque altro credito. L’Erario partecipa come creditore privilegiato o chirografo a seconda del tipo di tributo (IVA e ritenute privilegiate, ad esempio). Non c’è alcuna norma che li esenti dal concorso: anzi, è espressamente previsto che non sono esclusi dall’esdebitazione. Nella pratica, l’Agenzia delle Entrate–Riscossione può votare nei concordati e in genere accetta percentuali ridotte se sono pari o superiori a quanto otterrebbe in liquidazione (spesso il 5-10%). Nei piani del consumatore, il Fisco può opporsi ma il giudice può omologare ugualmente se il piano è equo. Esempio: in un caso il tribunale ha omologato un piano con pagamento parziale dell’IVA perché i creditori ottenevano comunque di più che dalla vendita dei (pochi) beni del debitore. Quindi sì, anche IVA, IRPEF, IMU, contributi INPS, ecc. vengono falcidiati e poi cancellati a fine procedura. La Cassazione e la Consulta hanno chiarito che ciò non viola alcuna norma comunitaria (il principio è che se il debitore è insolvente, meglio incassare qualcosa che nulla – e in sede concorsuale anche l’IVA può essere ridotta). Infine, ricordiamo che il debitore non paga tasse sul debito cancellato: l’art. 14, comma 4-terdecies L.3/2012 (ora trasfuso nel TUIR) esenta da imposizione fiscale il reddito figurativo derivante dallo stralcio dei debiti. Quindi se vi condonano 50.000 € di debiti, non dovrete dichiararli come reddito. Ciò per non vanificare il beneficio (e il Fisco recupera in parte con la tassazione del creditore che deduce la perdita).
D: Cosa succede se il debitore nasconde qualcosa o mente durante la procedura?
R: In breve, perde i benefici e può incorrere in guai peggiori. Tutte le procedure prevedono obblighi di trasparenza e lealtà del debitore. Se emergono atti in frode (beni sottratti, passività simulate) o dolo grave, il tribunale può:
- dichiarare inammissibile la domanda all’inizio (se scoperto subito);
- non omologare il piano/concordato (se scoperto dopo il voto/opposizione dei creditori);
- revocare l’omologazione o risolvere la procedura (se scoperto a posteriori, es. il debitore aveva promesso di vendere un bene e invece lo teneva nascosto – la procedura verrebbe annullata e i creditori di nuovo liberi di agire);
- in liquidazione, negare l’esdebitazione finale (il giudice può escludere il beneficio se scopre frode o violazioni dei doveri).
Inoltre, il comportamento potrebbe configurare reati: ad es. falsi documentali, sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, bancarotta semplice o fraudolenta (se imprenditore), ecc. Dunque, non conviene assolutamente mentire o occultare: si rischia di aggravare la situazione. Meglio dichiarare tutto: la legge è disposta a perdonare i debiti, ma non tollera l’inganno. Un caso: un debitore ottenne l’omologa del piano, ma poi si scoprì che aveva omesso di indicare un conto con parecchi soldi – il tribunale revocò l’omologa per atti in frode emersi post e segnalò la cosa alla Procura.
D: Quali debiti NON vengono cancellati neppure con l’esdebitazione?
R: Sono solo quelli elencati tassativamente nell’art. 278, comma 7 CCII:
- Obblighi di mantenimento e alimentari: es. assegni di mantenimento a coniuge separato o ai figli. Non si possono scaricare i debiti derivanti da mancato pagamento di alimenti (questo per tutela della famiglia).
- Debiti da risarcimento di danni da fatto illecito extracontrattuale: ad esempio, se Tizio è responsabile di un incidente stradale e deve risarcire Caio per lesioni, quel debito non è esdebitabile. L’idea è che chi ha causato un danno non possa liberarsene semplicemente con un concorso. Anche multe per fatti illeciti civili rientrano.
- Sanzioni pecuniarie penali o amministrative non accessorie a debiti estinti: significa le multe, ammende, contravvenzioni (penali o amministrative). Se avete multe stradali, sanzioni per violazioni amministrative o un’ammenda penale, restano dovute. (L’inciso “non accessorie a debiti estinti” vuol dire che se la sanzione era accessoria a un debito principale che viene estinto, allora anche la sanzione si estingue. Esempio: interessi e soprattasse su un tributo – se il tributo viene condonato, quelle sanzioni decadono in quanto “accessorie a debito estinto”. Ma se la sanzione è autonoma, come una multa per eccesso di velocità, resta).
Tutti gli altri debiti, come detto, si cancellano. Quindi: debiti bancari, finanziarie, fornitori, leasing, canoni, bollette, carte di credito, tributi, contributi previdenziali, canoni di locazione scaduti, insomma quasi tutto rientra e viene esdebitato. E se un debito appartiene a una delle categorie escluse, il debitore comunque può seguire la procedura per gli altri debiti: verrà liberato da questi ultimi, mentre quel debito escluso resterà. Ad esempio, se Tizio ha €100.000 di debiti vari e anche €10.000 di arretrati alimentari verso i figli, potrà fare il piano o la liquidazione; a fine esdebitazione, i €100.000 saranno cancellati, mentre dovrà ancora i €10.000 verso i figli (non per niente, quei crediti alimentari non partecipano alla procedura concorsuale, stanno fuori).
D: Durante la procedura, i creditori possono continuare a perseguitare il debitore?
R: No, se il tribunale ha concesso le misure protettive. In tutti i procedimenti si può ottenere un blocco delle azioni esecutive:
- Nel piano del consumatore e concordato minore, il giudice con il decreto iniziale sospende i pignoramenti in corso e vieta di intraprenderne di nuovi (salvo verso garanti esterni). Questo “scudo” dura fino all’omologazione. Attenzione: se poi la procedura fallisce (non omologa), le misure protettive decadono e i creditori possono riprendere le azioni, almeno fino a che magari si apre la liquidazione.
- Nella liquidazione controllata, la legge prevede l’effetto automatico di arresto delle esecuzioni individuali (par condicio). Quindi, dalla data di apertura, i creditori stanno dentro la procedura e non possono pignorare separatamente beni del debitore.
- Nell’esdebitazione incapiente, spesso il giudice, appena depositata l’istanza, può comunque emettere un provvedimento di sospensione di eventuali pignoramenti in corso, in attesa della decisione (anche se qui non è espressamente normato, è nella discrezionalità come misura cautelare). Ma di solito chi è incapiente non ha esecuzioni in corso perché i creditori hanno già visto che non c’è niente da prendere.
Quindi, sì: uno dei vantaggi immediati per il debitore è la tregua dalle aggressioni dei creditori. Ad esempio, Mario presentando il ricorso ottiene in pochi giorni un decreto che sospende il pignoramento immobiliare e quello sul quinto dello stipendio che lo stavano angustiando. Da quel momento, i creditori devono confrontarsi nel procedimento invece che correre ciascuno per conto proprio. Se qualche creditore viola il divieto (es. notifica ugualmente un pignoramento dopo l’apertura della procedura), quell’atto è inefficace per legge (non produce effetti).
D: Quanto tempo ci vuole per tornare “pulito” dai debiti?
R: Dipende dalla procedura scelta e dalla complessità del caso:
- Un piano o concordato generalmente richiede 1-3 mesi per essere ammesso e omologato (se tutto fila liscio e i creditori non fanno troppe storie), più l’arco di esecuzione. Se il piano prevede rate per, ad esempio, 4 anni, l’esdebitazione arriva dopo quei 4 anni (al completamento). Se il piano prevedesse un pagamento in unica soluzione (caso raro, ma possibile se il debitore riesce a ottenere subito risorse), l’esdebitazione sarebbe più rapida, contestuale alla chiusura anticipata. Diciamo che tipicamente i piani durano 4-5 anni.
- Una liquidazione controllata di norma si chiude entro 2-3 anni (il Codice fissa 3 anni come termine auspicato). In alcuni tribunali chiudono anche prima se il patrimonio è semplice da liquidare. Dopo la chiusura, l’esdebitazione è immediata. Quindi in scenario liquidatorio uno può essere libero dai debiti in circa 3 anni (molto meno dei 10 anni che in passato un fallito doveva attendere per la liberazione).
- L’incapiente è il più rapido: qualche mese per ottenere il decreto di esdebitazione subito. Poi c’è il periodo di 4 anni in cui, tecnicamente, l’esdebitazione potrebbe venir meno se arrivano utilità. Ma se non arriva nulla, di fatto il debitore era già libero dai debiti fin da subito. Possiamo considerarlo un fresh start immediato con condizionale quadriennale.
In generale, il CCII ha accelerato i tempi rispetto al passato. Ad esempio, nella legge 3/2012 non c’erano limiti di durata delle liquidazioni e alcune duravano 5-6 anni; ora c’è l’obiettivo di chiudere in 3. Anche le procedure di accordo seguono iter più snelli. E soprattutto non bisogna più fare la “coda” per chiedere l’esdebitazione dopo un anno dalla chiusura: viene data subito. Quindi oggi un debitore diligente e cooperativo può ragionevolmente prevedere di uscire dal tunnel debitorio entro 3-5 anni al massimo (salvo casi eccezionali). È un periodo più che sopportabile, considerato che senza queste procedure resterebbe oppresso a tempo indeterminato.
D: Il debitore può conservare carte di credito, conti correnti, auto, ecc. durante la procedura?
R: In parte sì, in parte no, dipende dal tipo di procedura:
- In un piano/concordato, il debitore mantiene l’amministrazione dei suoi beni (non è spossessato come nel fallimento). Quindi in teoria può continuare a usare il conto corrente, tenere le sue carte, la sua auto, ecc. Deve però rispettare il piano: ad es., se il piano prevedeva la vendita dell’auto entro 6 mesi, quell’auto dovrà consegnarla/realizzare e non usarla più dopo tale termine. Inoltre, dal deposito del ricorso scattano limiti: il debitore non può aggravare la sua esposizione e non può compiere atti dispositivi eccedenti l’ordinaria amministrazione senza autorizzazione (art. 270, co. 3 CCII). Quindi non può ad esempio vendere un altro bene o fare spese straordinarie senza avvisare. Ma per la vita quotidiana, può continuare. L’OCC e il giudice vigilano che non faccia uscite ingiustificate (per dire: se Mario dopo aver presentato il piano spende 5.000 € in vacanze, i creditori potrebbero opporsi per condotta in mala fede). Però niente vieta al debitore di avere un conto su cui versa lo stipendio e da cui paga le rate del piano. Quel conto anzi sarà protetto dai pignoramenti (grazie alle misure protettive) e potrà usarlo per le spese normali.
- In una liquidazione controllata, la musica cambia: il debitore è spossessato dei beni. Il liquidatore prende possesso, ad esempio, dei saldi di conto corrente alla data di apertura. Il conto viene “congelato” e il denaro trasferito alla massa. Il debitore potrà aprire un nuovo conto per accreditare lo stipendio successivo, ma attenzione: le somme via via percepite fino alla chiusura potrebbero essere anch’esse attratte (salvo la parte impignorabile). Diciamo che in liquidazione, il debitore vive in modo simile a un fallito: su stretta sorveglianza, con l’obbligo di consegnare eventuali eccedenze di reddito al procedura. Un’auto di proprietà verrà acquisita e venduta; se gli serve per andare al lavoro magari il liquidatore può lasciargliela usare fino all’asta. In pratica, in liquidazione il tenore di vita viene ridotto all’essenziale. È il sacrificio richiesto, bilanciato però dal fatto che finita la procedura il debitore sarà alleggerito per sempre.
- Nell’esdebitazione incapiente, il debitore formalmente non è privato di nulla perché non ha nulla. Può avere un conto quasi vuoto, nessuno glielo tocca. Se ha un’auto di modesto valore, l’avrà probabilmente venduta prima di chiedere la procedura (per dimostrare buona fede: se non l’ha fatto, il giudice potrebbe dire “venditi l’auto e dalli ai creditori, poi ne riparliamo”, a meno che l’auto gli serva per sopravvivere ed è di valore trascurabile).
D: Cosa succede ai garanti e coobbligati (es. fideiussori, condebitori, soci illimitatamente responsabili) se il debitore ottiene l’esdebitazione?
R: La liberazione dei debiti vale solo per il debitore procedurale. I coobbligati rimangono obbligati per intero (art. 277 CCII e art. 1239 c.c.). Ciò significa:
- Se Mario viene esdebitato, ma aveva la moglie garante del mutuo, la banca potrà rivalersi sulla moglie per l’intero importo residuo (meno quanto incassato nella procedura, se ha incassato qualcosa). La moglie, non essendo esdebitata, resta debitrice.
- Se due soci di SNC avevano debiti sociali e solo uno fa la procedura, l’altro resta obbligato in solido. Infatti la legge lo considera un altro debitore, che i creditori possono inseguire separatamente.
- Se il padre di famiglia aveva firmato come coobbligato cambiali o prestiti per il figlio, e il figlio si esdebita, il padre dovrà pagare l’intero (la sua obbligazione non è toccata).
Tuttavia, per favorire soluzioni unitarie, la legge come visto consente procedure familiari congiunte. Nel caso di fideiussori, nulla vieta che anche il garante acceda a sovraindebitamento (se ha i requisiti). Ad esempio, se Mario e sua moglie sono entrambi sommersi dai debiti (lui primario, lei come garante), potrebbero presentare un piano unico familiare includendo i debiti di entrambi. Se fanno due procedure separate, andranno coordinate: spesso conviene farle davanti allo stesso giudice, in parallelo, in modo che un creditore comune veda trattato il suo credito coerentemente (ad esempio, la banca nei confronti di Mario e della moglie garante otterrà più o meno lo stesso dividendo complessivo, sommando quanto paga Mario più quanto paga la moglie). In definitiva: l’esdebitazione cancella i debiti solo verso il debitore esdebitato, i terzi obbligati ne restano fuori. Questo spiega perché i creditori con garanti non si oppongono ferocemente: sanno che se Tizio è esdebitato, possono comunque bussare a Caio fideiussore. Ma attenzione: Caio fideiussore non potrà più rivalersi su Tizio esdebitato per recuperare – la sua eventuale azione di regresso rientra nei crediti concorsuali di Tizio ed è spenta dall’esdebitazione. Quindi Caio pagherà e se ne farà carico (per questo conviene, se possibile, coinvolgere anche Caio in una soluzione). Un esempio giurisprudenziale: Trib. Brescia 2020 ha ammesso con successo un concordato minore familiare in cui marito (imprenditore) e moglie (garante) univano i debiti e li risolvevano insieme, evitando rincorse reciproche.
D: Se durante il piano di pagamento il debitore ha un incremento di reddito (trova un lavoro migliore, eredita qualcosa), deve automaticamente dare di più ai creditori?
R: Nel piano del consumatore e concordato minore, quello che conta è quanto stabilito nel piano omologato. Il debitore è tenuto a pagare esattamente quanto previsto. Se guadagna di più, non scatta un obbligo automatico di aumento delle somme dovute, a meno che il piano stesso contenga una clausola in tal senso (alcuni piani prevedono contributi aggiuntivi proporzionali al reddito, ma è su base volontaria contrattuale). Tuttavia, se il miglioramento è significativo e permanente, il debitore può valutare di modificare il piano per migliorare le condizioni (la legge consente di presentare modifiche al piano prima dell’omologa, e dopo l’omologa eventuali accordi modificativi con i creditori, col tramite OCC). Se invece l’aumento avviene dopo la chiusura, i creditori non possono pretendere nulla di più, tranne nel caso speciale dell’incapiente (dove c’è la condizionale 4 anni). Nel concordato preventivo non minore esiste una norma che impone al debitore di segnalare utilità sopravvenute prima del decreto di omologa, ma nel concordato minore tale obbligo non è esplicito (comunque vige il principio di buona fede: se scopre di poter pagare di più ancor prima dell’omologa, dovrebbe farlo presente per evitare contestazioni). In liquidazione controllata, invece, se arrivano utilità prima della chiusura, vanno tutte nella massa attiva. Dopo la chiusura, no (tranne l’incapiente come detto). Quindi Mario, se durante il suo piano quinquennale trova un secondo lavoro e inizia a guadagnare di più, non è costretto per legge ad aumentare la rata, ma se l’aumento è notevole i creditori potrebbero lamentarsi che non sia meritevole. In pratica, se l’aumento è temporaneo o lieve, il debitore di solito se lo tiene (anche perché magari serve per far fronte ad imprevisti, il giudice non va a spulciare ogni centesimo); se invece vincesse alla lotteria durante il piano, moralmente e strategicamente converrebbe usarne una parte per chiudere prima e in modo più favorevole ai creditori, per evitare contestazioni. Ma non c’è una norma di addebito automatico, siamo nell’ambito dell’equità e buona fede.
D: Quanto costa avviare queste procedure? Ci sono spese da anticipare?
R: Uno degli ostacoli per i debitori è spesso la paura dei costi. In realtà, la legge ha cercato di renderle accessibili. Non ci sono contributi unificati elevati (per le procedure di sovraindebitamento il CU è ridotto o esente, dipende dai tribunali). L’OCC e i professionisti verranno pagati di solito a conclusione con i fondi disponibili nella procedura. Il giudice può prevedere degli acconti sui compensi dell’OCC durante la procedura, ma attingendo dall’attivo recuperato, non chiedendo (in teoria) soldi al debitore prima. Anzi, Cassazione ha sancito che il giudice non può imporre al debitore un deposito cauzionale anticipato per le spese come condizione di ammissibilità – cosa che qualcuno faceva analogamente all’istituto del concordato preventivo. Il debitore quindi può avviare la procedura anche se non ha soldi per pagare subito l’OCC e il tribunale: dovrà però destinarvi parte di ciò che offrirà nel piano o di ciò che si ricaverà dai beni. Ad esempio, l’OCC di solito chiede che nel piano si preveda almeno il pagamento delle sue spese vive e un compenso (che è stabilito per legge in misura non elevata, spesso poche migliaia di euro). Se il piano riesce, quell’importo verrà pagato come credito prededucibile. Se la procedura non produce attivo (caso incapiente), spesso i compensi OCC sono ridotti al minimo e in alcuni tribunali c’è un Fondo di solidarietà (previsto dall’art. 14-ter L.3/2012 e decreti attuativi) che rimborsa in parte l’OCC. Dunque, il debitore può rivolgersi all’OCC di riferimento senza timore di dover sborsare cifre folli: la prestazione dell’OCC è dovuta e spesso gli OCC pubblici applicano tariffe calmierate. Certo, un minimo di spesa legale va considerata (ad es. la parcella dell’avvocato se il debitore ne nomina uno di fiducia, che comunque è consigliabile). Ma parliamo di costi molto inferiori a quelli di un pignoramento immobile o di anni di interessi su interessi. Molti debitori riescono a pagare questi costi grazie al respiro ottenuto: es. bloccato il pignoramento, vendono spontaneamente l’auto e con parte del ricavato pagano l’avvocato e l’OCC, il resto ai creditori in piano. È un investimento per liberarsi del macigno. Lo Stato ha anche previsto la possibilità, per i non abbienti, di accedere al patrocinio a spese dello Stato per l’assistenza legale in queste procedure, e molti OCC convenzionati con tribunali riducono le pretese se il caso è di particolare rilevanza sociale. In sintesi: le spese iniziali non sono un ostacolo insormontabile e non bisogna lasciarsi bloccare dalla paura dei costi, perché esistono soluzioni.
D: Dopo l’esdebitazione, il debitore risulta “protestato” o ha difficoltà a ottenere credito?
R: L’esdebitazione non è un incantesimo che cancella le registrazioni storiche delle vicende debitorie. I dati delle procedure concorsuali finiscono in alcune banche dati ufficiali (il registro delle procedure concorsuali tenuto dai tribunali). Inoltre, se c’erano stati protesti di cambiali o assegni, quelli rimangono registrati (ma c’è la possibilità di cancellarli dopo un anno dall’ultima procedura o se riabilitati). Le segnalazioni CRIF o Centrale Rischi relative ai debiti insoluti di norma vengono aggiornate a “chiuso per procedura concorsuale/esdebitazione”. Questo può rendere le banche prudenti nel concedere nuovo credito per qualche tempo: di solito le segnalazioni restano visibili 36 mesi dopo la chiusura. Tuttavia, il debitore esdebitato non è più legalmente inadempiente, quindi se va a chiedere un prestito può dimostrare che quei debiti pregressi sono stati risolti per legge. Molti istituti di credito comunque preferiranno attendere alcuni anni di “riabilitazione” prima di erogare nuovi prestiti consistenti. È anche vero che il debitore esdebitato spesso non ha subito necessità di nuovo credito – anzi è meglio che per un po’ viva con le proprie risorse per evitare ricadute. Dal punto di vista dei documenti legali, dopo l’esdebitazione il debitore può chiedere al tribunale un certificato che attesta la liberazione dai debiti ex art. 278 CCII, utile per mostrare che non deve più nulla a nessuno. La reputazione finanziaria in parte va ricostruita col tempo (pagando puntualmente affitto, bollette, ecc.). Ma non ci sono preclusioni legali: per esempio, l’ex fallito esdebitato può tornare a fare l’imprenditore senza le vecchie incapacità (il CCII ha eliminato molte infamie del passato). Dunque il debitore esdebitato è riabilitato a tutti gli effetti, e il suo passato debitorio non può più impedirgli di aprire un conto, di stipulare contratti, partecipare a gare, ecc. (salvo specifiche restrizioni se c’erano reati). Anzi, in certi casi la legge vede l’esdebitazione come un segno positivo di affidabilità recuperata: ad esempio per partecipare a concorsi pubblici dove si richiede assenza di pendenze esecutive, l’essersi esdebitati elimina la pendenza.
D: Cosa succede se, ottenuta l’esdebitazione, il debitore eredita o vince molti soldi oltre il periodo dei 4 anni (nel caso incapiente) o dopo la chiusura? I creditori possono rifarsi?
R: No. Trascorsi i 4 anni di “osservazione” dell’incapiente, oppure chiusa la liquidazione e se non c’è stata frode, i creditori sono definitivamente sacrificati. Quindi se al quinto anno l’ex debitore povero improvvisamente diventa ricco, non deve nulla ai vecchi creditori. Questo è il senso profondo del fresh start: dopo che hai pagato lo scotto per il periodo stabilito, sei libero anche se diventi milionario in seguito. Chiaramente, questo a volte fa storcere il naso, ma è il prezzo da pagare per il sistema: statisticamente pochi ex debitori diventano ricchi all’improvviso, la maggior parte continua a campare normalmente. In ogni caso la legge ha già preso ciò in considerazione con quei 4 anni di condizionale: oltre quello, si considera chiusa la partita definitivamente. Per dire, se Mario chiude la liquidazione e 2 anni dopo (non essendo incapiente, quindi senza condizionale formale) vince alla lotteria, i suoi creditori non possono riaprire la procedura – il decreto di esdebitazione fa stato. Fanno eccezione i soli creditori personali non toccati (alimentari, risarcimenti, etc.), che potrebbero ancora tentare di riscuotere (se non caduti in prescrizione); ma parliamo di quelli già esclusi dal beneficio. Quindi, nessuna riapertura delle ferite: l’esdebitazione è definitiva. C’è però una forma di “riabilitazione morale”: la legge dice che si può ottenere l’esdebitazione solo 2 volte nella vita al massimo, con almeno 5 anni tra l’una e l’altra. Quindi se un debitore, dopo essersi risollevato, incappa di nuovo in guai seri, potrà salvarsi un’altra volta, ma non oltre. Questo per responsabilizzare e prevenire abusi.
Conclusione
Abbiamo esaminato dettagliatamente come un ex titolare di ferramenta indebitato possa difendersi mediante gli strumenti del nostro ordinamento. In sintesi:
- Il debitore deve prima di tutto prendere iniziativa: analizzare i debiti, verificare con un professionista la propria situazione e non restare inerte finché i creditori divorano tutto. Esistono procedure efficaci per gestire la crisi, ma vanno attivate tempestivamente, prima che i danni (pignoramenti, vendite all’asta, ecc.) diventino irreparabili.
- Il sistema giuridico italiano, aggiornato al 2025, offre un ventaglio di soluzioni calibrate su casi diversi: dal piano senza sacrificio dei beni, alla liquidazione completa, fino al perdono totale per chi non ha nulla. C’è un filo conduttore: il debitore onesto e collaborativo viene aiutato a rialzarsi, mentre chi cerca scorciatoie fraudolente viene estromesso.
- Per un ex imprenditore come Mario, il piano del consumatore in sé non è accessibile, ma il concordato minore è lo strumento principe: consente di negoziare un taglio dei debiti mantenendo l’attività residua (se c’è) e beni personali importanti. Se questo non è praticabile, la liquidazione controllata resta la via per “azzerare” la posizione debitoria mediante il sacrificio patrimoniale, con l’uscita dopo 3 anni pulito da ogni debito. E in situazioni disperate, l’esdebitazione dell’incapiente rappresenta l’ultima rete di salvataggio sociale: nessuno deve essere oppresso dai debiti a vita se davvero non può pagare.
- Dal punto di vista normativo e giurisprudenziale, l’Italia ha ormai raggiunto standard avanzati di tutela del debitore sovraindebitato, in linea con la normativa UE e le migliori pratiche internazionali. La seconda chance non è più uno slogan, ma una realtà concreta: l’ex piccolo imprenditore che fallisce senza colpa grave può in pochi anni riscattarsi e persino tornare a fare impresa senza lo spettro dei vecchi debiti.
- Infine, un consiglio pratico: chi si trova in difficoltà dovrebbe rivolgersi a professionisti esperti (OCC, avvocati specializzati) e non farsi prendere né dalla vergogna né dall’inerzia. Le procedure descritte vengono spesso chiamate, non a caso, “procedure di sovraindebitamento” o anche “legge salva-suicidi”, proprio perché offrono una via d’uscita a situazioni che altrimenti sembrerebbero senza speranza. Sfruttarle per tornare a vivere dignitosamente è un diritto del debitore, oltre che un beneficio per la collettività (un debitore liberato torna produttivo, paga le tasse sul nuovo reddito, ecc., invece di alimentare l’economia sommersa o pesare sul welfare).
In definitiva, dal punto di vista del debitore, difendersi con successo significa attivarsi, collaborare e usare gli strumenti legali. La legge gli chiede onestà e impegno (dare “tutto il possibile” ai creditori), in cambio gli offre la liberazione dal passato. Per un ex titolare di ferramenta indebitato, questo può voler dire la differenza tra perdere ogni cosa restando perseguitato a vita, o invece ripartire senza debiti dopo qualche anno difficile ma gestito. Grazie alle procedure illustrate, il fallimento economico non è più una condanna perenne, ma un evento da cui ci si può rialzare – con lealtà, pazienza e l’aiuto che la legge mette a disposizione.
Fonti e riferimenti normativi
- Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, aggiornato al D.Lgs. 136/2024) – in particolare artt. 65-83 (procedure di ristrutturazione del consumatore e concordato minore) e 268-283 (liquidazione controllata ed esdebitazione). L’art. 278 CCII comma 7 elenca i debiti esclusi dall’esdebitazione. L’art. 283 CCII disciplina l’esdebitazione del debitore incapiente.
- Legge 3/2012 (vecchia legge sul sovraindebitamento) – abrogata dal CCII nel 2022, ma rilevante per la genesi delle procedure. Con L. 176/2020 molte norme CCII furono anticipate (es. estensione a soci illimitatamente responsabili e introdotta esdebitazione incapiente art. 14-quaterdecies L.3/2012).
- Cassazione civile:
- Cass., Sez. I, 8 ottobre 2024 n. 26300 – chiarisce il rapporto tra esecuzioni individuali e procedure di sovraindebitamento, confermando che le misure protettive bloccano i pignoramenti in corso (salvo diritti di terzi garanti).
- Cass., Sez. I, 23 dicembre 2024 n. 34150 – legittima la dilazione ultrannuale dei crediti privilegiati sia negli accordi che nei piani del consumatore, purché ai privilegiati sia data voce (diritto di voto o di esprimersi). Moratorie fino a un anno non contestabili; oltre, vanno concordate. Questa giurisprudenza è stata recepita nel correttivo 2024 con l’introduzione della moratoria biennale ex art. 67 CCII.
- Cass., 21 febbraio 2024 n. 4622 (ord.) – ribadisce la natura negoziale del piano del consumatore: scopo di evitare procedure esecutive demolitorie e consentire esdebitazione senza passare da liquidazione. Conferma che è ammessa dilazione >1 anno dei privilegiati se possono esprimersi sulla convenienza.
- Cass., Sez. I, 26 settembre 2022 n. 28013 – in tema di conversione del piano del consumatore in liquidazione: non consentita automaticamente dopo diniego di omologa se il piano era giuridicamente inammissibile (va verificata la fattibilità giuridica). Ha sancito che il tribunale, negata l’omologa del piano, deve valutare se aprire liquidazione solo se questa ha funzione (non se il piano era improponibile ab origine).
- Cass., Sez. VI, 30 ottobre 2014 n. 23129 – (in materia fallimentare, principio esteso) ha affermato che “le obbligazioni tributarie non sono escluse dall’esdebitazione”: il fallito esdebitato non è più tenuto a pagare IVA, IRAP etc. . In motivazione confuta l’idea che i debiti fiscali siano “estranei all’impresa” e chiarisce che la L.3/2012 parimenti li include.
- Cass., Sez. I, 27 dicembre 2013 n. 28248 – (primo caso su L.3/2012) definì i contorni di meritevolezza, escludendo che un indebitamento colposo “normale” impedisse l’accesso: solo comportamenti gravemente scorretti (frodi, abusività manifesta) lo fanno. Tracciò l’orientamento poi consolidato a favore del debitore onesto.
- Tribunali di merito (esempi):
- Trib. Napoli Nord 13 maggio 2024 – definisce “atti in frode” ex art. 69 CCII come gli atti dolosi di depauperamento analoghi alla bancarotta fraudolenta, escludendo interpretazioni estensive. Conferma che piccole omissioni o spese non sono frode se non dolose.
- Trib. Brescia 1 luglio 2024 – (richiamato) ha omologato un concordato minore familiare misto dove il marito imprenditore e la moglie consumatrice presentavano un’unica procedura, consentendo alla moglie (consumatore) di beneficiare del concordato minore grazie alla presenza del marito imprenditore.
- Trib. Torino 14 ottobre 2022 – decreto in materia di esdebitazione incapiente (Campobasso, Trapani 2023 analoghi) – ha accolto istanza ex art. 283 CCII di debitore incapiente, ritenendo soddisfatti i requisiti e fissando termini per la dichiarazione annuale e l’eventuale pagamento ai creditori in caso di sopravvenienze (decisioni reperibili nelle banche dati ministeriali).
- Trib. Milano 30 settembre 2022 – (citato in dottrina) ha specificato che lo stato di “incapienza attuale” va inteso oggettivamente, senza margini discrezionali: se il debitore non può offrire nulla, ha diritto all’esdebitazione a zero, invertendo il rapporto rispetto alla liquidazione (dove serve attivo).
- Siti web istituzionali e normativi:
- Portale dei temi parlamentari – Camera dei Deputati (Temi.camera.it), scheda su “La composizione delle crisi da sovraindebitamento (L.3/2012)” – utile per background storico della legge 3/2012 e finalità (contrastare usura ed estorsione).
- Ministero della Giustizia – Relazioni illustrative al CCII e ai decreti correttivi, che spiegano ratio delle modifiche del 2020 e 2024 (ad es. perché introdotto limite 3 anni liquidazione, perché estesa definizione di consumatore, ecc.).
- Gazzetta Ufficiale – D.Lgs. 136/2024 (Correttivo ter) pubblicato il 27/9/2024, con articoli modificati: ad es. nuova formulazione art. 2 lett. e CCII (consumatore include soci per debiti extra impresa); nuova formulazione art. 65 (stop domande “in bianco” per sovraindebitamento); art. 268 co.3 (necessità attestazione OCC attivo); art. 281 (esdebitazione automatica a fine liquidaizone/3 anni).
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