Hai scoperto che la tua azienda ha pagato interessi e spese eccessive sul conto corrente bancario per anni? Ti stai chiedendo se è possibile ottenere un rimborso e come funziona davvero questa procedura? Se sei un imprenditore o un ex titolare d’azienda, devi sapere che recuperare quanto ti spetta è possibile, ma serve una strategia chiara e tempestiva.
Quando hai diritto al rimborso degli interessi bancari?
Puoi richiederlo quando la banca ha applicato:
– Tassi usurari, superiori ai limiti di legge
– Anatocismo illegittimo, cioè il calcolo di interessi sugli interessi non autorizzato
– Commissioni non pattuite nel contratto
– Spese o costi occulti non giustificati
– Clausole vessatorie non firmate in modo valido
Come funziona il rimborso degli interessi su conto corrente aziendale?
- Analisi tecnica del rapporto bancario: si esaminano gli estratti conto e i contratti
- Perizia econometrica: un consulente calcola l’esatto importo indebitamente addebitato
- Richiesta stragiudiziale: si invia alla banca la domanda di rimborso
- Se la banca non risponde o rifiuta, si può agire in giudizio, anche con decreto ingiuntivo
- Se il tuo conto è ancora aperto, puoi compensare i rimborsi con i debiti residui
Quanti anni si possono recuperare?
– Di norma puoi recuperare fino a 10 anni a ritroso dalla chiusura del conto o dalla contestazione
– Se il conto è ancora attivo, puoi agire anche sugli addebiti correnti
Quali sono i vantaggi di agire per tempo?
– Interrompi la prescrizione e blocchi la perdita del diritto
– Puoi ottenere somme importanti da recuperare o da scontare sul debito residuo
– Se la tua azienda è in difficoltà, il rimborso può alleggerire l’esposizione e evitare azioni esecutive
Cosa NON devi fare mai?
– Chiedere verbalmente spiegazioni alla banca: serve una contestazione scritta e tecnica
– Pensare che se hai firmato tutto, non puoi fare nulla: molti contratti sono nulli o viziati
– Aspettare che il conto venga chiuso per “mettere tutto a posto”: potresti perdere il diritto al rimborso
Recuperare gli interessi illegittimi pagati alla banca può fare la differenza tra la crisi e la ripartenza.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto bancario e contenzioso finanziario – ti spiega come ottenere il rimborso degli interessi su conto corrente aziendale, quando agire e come tutelarti contro gli abusi bancari.
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Introduzione
Il rimborso degli interessi su conto corrente aziendale è un tema di grande rilievo nel diritto bancario italiano, specie dal punto di vista del debitore (correntista). Negli ultimi decenni, molte imprese e professionisti hanno scoperto di aver pagato alle banche interessi non dovuti o calcolati in modo illegittimo su scoperti di conto corrente. Tali somme, addebitate nel corso del rapporto bancario, possono talvolta essere recuperate attraverso specifiche azioni legali, fondate su norme imperative e consolidate pronunce giurisprudenziali.
Le situazioni più comuni che possono dare luogo al rimborso degli interessi indebitamente pagati riguardano:
- Anatocismo bancario: la pratica (vietata se non in casi eccezionali) di capitalizzare periodicamente gli interessi a debito, facendoli produrre a loro volta ulteriori interessi su interessi già scaduti.
- Usura bancaria: l’applicazione di tassi di interesse superiori ai limiti legali (tassi soglia) fissati dalla legge antiusura (L. 108/1996), che rende nulla la pattuizione degli interessi eccedenti e comporta la non debenza di qualsiasi interesse su quel finanziamento.
- Clausole nulle o irregolari nel contratto di conto: ad esempio clausole di determinazione degli interessi indeterminate (come il rinvio generico a “usi di piazza”), clausole che prevedono commissioni occulte (es. la commissione di massimo scoperto non chiaramente contrattualizzata) o condizioni unilaterali modificate senza consenso. Tali clausole possono essere dichiarate nulle e portare al ricalcolo del dovuto con tasso legale o altro criterio sostitutivo.
- Prescrizione: la possibilità di ottenere il rimborso è limitata nel tempo. Occorre comprendere entro quando il correntista può agire per la ripetizione di quanto indebitamente versato, alla luce della disciplina della prescrizione decennale e delle peculiari regole applicate ai conti correnti bancari aperti a credito.
Questa guida, aggiornata a luglio 2025, offre un’analisi avanzata di questi temi, combinando rigore giuridico e chiarezza espositiva. Saranno esaminati i riferimenti normativi italiani, le più recenti sentenze della Corte di Cassazione e altri provvedimenti autorevoli, con l’obiettivo di spiegare come funziona il rimborso degli interessi su un conto corrente aziendale.
Nelle sezioni seguenti affronteremo in dettaglio:
- Il fenomeno dell’anatocismo bancario nei conti correnti, il suo divieto e le eccezioni di legge.
- L’usura bancaria: definizione di tasso soglia, conseguenze civilistiche della pattuizione di interessi usurari e le più recenti evoluzioni giurisprudenziali (come la usura sopravvenuta).
- La nullità di clausole contrattuali relative a interessi, commissioni e spese nei contratti di conto corrente (es. clausole “uso piazza”, commissione di massimo scoperto, ius variandi irregolare) e i rimedi previsti.
- I termini di prescrizione per agire in rimborso degli interessi anatocistici o usurari, distinguendo il caso di conto corrente chiuso da quello ancora in corso, e l’importante differenza tra versamenti solutori e ripristinatori ai fini della decorrenza del termine.
- Le procedure pratiche per ottenere il rimborso: dall’analisi tecnica dei movimenti di conto (perizia econometrica), al reclamo scritto in banca, agli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie (come l’Arbitro Bancario Finanziario), fino all’eventuale causa civile.
- Domande e risposte frequenti per chiarire i dubbi più comuni, con esempi e simulazioni pratiche relative a conti correnti aziendali.
- Tabelle riepilogative che sintetizzano le principali norme e sentenze in materia, fornendo un comodo quadro d’insieme.
Prima di addentrarci nei dettagli tecnici, è importante sottolineare che il diritto al rimborso di interessi indebiti deriva sempre dalla nullità o illegittimità di clausole o pratiche contrattuali: l’ordinamento tutela il correntista quando la banca ha applicato interessi in violazione di norme imperative (come il divieto di anatocismo ex art. 1283 c.c. o il tasso soglia antiusura). In tali casi, gli interessi non sono giuridicamente dovuti e, se già pagati, possono essere richiesti in restituzione (azione di ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c.), oppure, se ancora non pagati, il correntista può opporre l’eccezione di nullità o di usura per non pagarli.
Proseguiamo ora delineando il quadro normativo di riferimento e i concetti chiave.
Quadro normativo e definizioni chiave
In questa sezione esamineremo le norme fondamentali che regolano la materia e spiegheremo i concetti giuridici chiave utili a capire come funziona il rimborso degli interessi su conti correnti aziendali.
Norme principali coinvolte:
- Art. 1283 Codice Civile – Anatocismo: stabilisce il principio generale secondo cui gli interessi scaduti possono produrre ulteriori interessi (interessi composti) solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione successiva alla scadenza, e purché si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi. Gli “usi contrari” possono derogare a questo divieto solo se si tratta di usi normativi, non semplici prassi contrattuali. L’art. 1283 c.c. è norma imperativa di carattere eccezionale, diretta a evitare l’aggravamento incontrollato del debito del contraente debole e prevenire fenomeni usurari.
- Art. 1815, comma 2, Codice Civile – Interesse usurario: prevede che se sono convenuti interessi in misura usuraria, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi (né quelli usurari né quelli al tasso legale). Questa disposizione, inserita dalla legge antiusura del 1996, sanziona drasticamente il patto usurario privandolo di effetti economici.
- Legge 108/1996 (Legge antiusura): ha introdotto una disciplina organica contro l’usura. Stabilisce che il Ministero del Tesoro fissi trimestralmente i tassi soglia oltre i quali gli interessi sono considerati usurari, rilevando i tassi effettivi medi (TEGM) praticati dalle banche e aumentando tale valore di una certa percentuale. Ad esempio, attualmente il tasso soglia è pari al TEGM medio aumentato di 1/4, cui si aggiungono 4 punti percentuali (entro un massimo di 8 punti oltre il TEGM). La legge prevede che nel calcolo del tasso effettivo ai fini dell’usura si debbano includere commissioni, remunerazioni e spese collegate all’erogazione del credito (escluse imposte e tasse). L’usura rileva sia civilmente (nullità della clausola ex art. 1815 c.c.) sia penalmente (reato di usura ex art. 644 c.p.).
- Testo Unico Bancario (D.lgs. 385/1993), artt. 117 e 118: l’art. 117 impone la forma scritta dei contratti bancari e la chiarezza/determinabilità di tassi, prezzi e condizioni applicate. Le clausole che rinviano a usi o che non indicano in modo determinato il tasso sono nulle, con sostituzione automatica tramite criteri legali (tasso sostitutivo). Ad esempio, per i contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della L. 154/1992 (trasfusa nell’art. 117 TUB), se manca l’indicazione del tasso d’interesse, si applica il tasso minimo dei BOT annuali nei dodici mesi precedenti (c.d. “tasso BOT”) o altro criterio stabilito dal CICR. L’art. 118 TUB regola invece lo ius variandi, ossia la possibilità della banca di modificare unilateralmente i tassi e le condizioni: ogni variazione dev’essere comunicata per iscritto al cliente, che ha diritto di recedere; in difetto, le variazioni sono inefficaci.
- Art. 120 TUB – Regime degli interessi nei rapporti bancari: questa norma ha subito modifiche sostanziali nel tempo. Nella versione originaria (introdotta nel 1999) delegava il CICR a stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi su interessi nelle operazioni bancarie. La Delibera CICR 9 febbraio 2000 (in vigore dal 22 aprile 2000) autorizzò, in attuazione dell’art. 120 TUB, la capitalizzazione periodica degli interessi a condizione di reciprocità (stessa periodicità per interessi attivi e passivi) e previa pattuizione espressa in forma scritta. La normativa è poi cambiata con la riforma del 2013-2016: oggi, dopo l’intervento dell’art. 17-bis D.L. 18/2016 convertito in L. 49/2016, l’art. 120 TUB vieta in modo esplicito l’anatocismo salvo interessi di mora. In particolare, gli interessi maturati annualmente (calcolati al 31 dicembre) non possono produrre altri interessi se non quelli moratori, e diventano esigibili solo dopo 60 giorni (tipicamente il 1° marzo dell’anno successivo). Il cliente può autorizzare addebiti in conto a titolo di pagamento degli interessi maturati; in tal caso, dopo la scadenza del termine di grazia, gli interessi non pagati sono contabilizzati come capitale (senza incorrere nel divieto di anatocismo, perché considerati sorte capitale una volta divenuti esigibili e addebitati). In sintesi, dal 2017 in poi vige un regime di capitalizzazione annuale degli interessi, con divieto di ulteriori interessi sugli interessi maturati (tranne la possibile applicazione di interessi moratori in caso di mancato pagamento dopo la scadenza).
Concetti chiave da comprendere:
- Interessi corrispettivi vs. interessi moratori: I primi sono gli interessi dovuti come corrispettivo per l’uso del denaro della banca (ad esempio, l’interesse sul fido utilizzato in conto corrente); i secondi sono gli interessi dovuti in caso di mora o ritardo nel pagamento di un debito liquido ed esigibile (ad esempio, il tasso di mora applicato dopo la scadenza di un finanziamento o su un saldo debitore non rientrato a fine fido). Nel contesto del conto corrente, gli interessi corrispettivi maturano sul saldo a debito del correntista; se il correntista non paga quanto dovuto e il conto viene chiuso o revocato, sull’esposizione insoluta la banca potrebbe applicare interessi di mora contrattuali (solitamente più elevati). La distinzione è importante perché entrambi i tipi di interessi rientrano nella disciplina antiusura, ma le conseguenze possono differire (per gli interessi moratori usurari, la Cassazione ha stabilito la nullità della clausola di mora e l’applicazione in sostituzione degli interessi al tasso legale ex art. 1224 c.c.).
- Anatocismo: Termine tecnico che indica la produzione di interessi su interessi. In pratica, l’anatocismo bancario si realizza quando la banca capitalizza periodicamente gli interessi maturati (tipicamente ogni fine trimestre) aggiungendoli al capitale su cui poi calcola ulteriori interessi nei periodi successivi. Ad esempio, se in un trimestre maturano €100 di interessi debitori e non vengono pagati, la banca li addebita in conto aumentandone il saldo a debito; nel trimestre successivo, quegli €100 producono essi stessi interessi. Questo meccanismo era prassi standard nei conti correnti fino agli anni ‘90, basata su usanze bancarie che prevedevano capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori (a carico del cliente) e annuale degli interessi creditori (a favore del cliente), con evidente squilibrio a sfavore del correntista. Oggi, come vedremo, tale prassi è stata dichiarata illegittima e le clausole anatocistiche antecedenti al 2000 sono state colpite da nullità. L’anatocismo è consentito solo nei limiti previsti dall’art. 1283 c.c. o da norme speciali: nel rapporto banca-cliente, dopo le riforme, ciò significa che solo con periodicità annuale e in forma reciprocamente uguale è possibile la capitalizzazione, e comunque con meccanismi che evitino interessi ulteriori su interessi scaduti (grazie al differimento di esigibilità e all’autorizzazione preventiva del cliente).
- Usura bancaria (tasso usurario): Nel contesto del conto corrente, si ha usura quando il costo effettivo del credito utilizzato dal correntista eccede il tasso soglia vigente. Nei conti affidati, la banca applica un tasso debitore sull’utilizzato e può applicare altre commissioni e spese (ad es. commissione di massimo scoperto, commissioni sul fido, spese di tenuta conto). Tutte queste voci concorrono a formare il costo complessivo del credito e, ai sensi dell’art. 644 c.p., vanno considerate per verificare se il tasso soglia è superato. Se il tasso soglia risulta superato, la pattuizione degli interessi è nulla e nessun interesse è dovuto (sanzione civile antiusura ex art. 1815 c.c.). È irrilevante che il cliente fosse un’azienda (quindi non tecnicamente un consumatore): la legge antiusura si applica a chiunque. Occorre tuttavia distinguere tra usura originaria, in cui il tasso pattuito ab origine supera il tasso soglia del periodo di conclusione del contratto, e usura sopravvenuta, in cui il tasso, inizialmente lecito, supera i limiti in un momento successivo (magari perché i tassi soglia si sono abbassati). La Cassazione a Sezioni Unite ha escluso che l’usurarietà sopravvenuta determini nullità o inefficacia della clausola di interessi, dovendosi valutare l’usura solo al momento del patto. Tuttavia, come vedremo, pronunce più recenti hanno affermato che il creditore non può pretendere interessi divenuti usurari nel corso del rapporto, in virtù dei principi di buona fede contrattuale.
- Commissione di Massimo Scoperto (CMS): Era una commissione, diffusa nei contratti fino al 2009, calcolata in percentuale sul massimo saldo a debito registrato in un periodo (di solito trimestrale), applicata se il cliente andava “in rosso” oltre un certo numero di giorni. La CMS remunerava la banca per l’obbligo di tenere fondi a disposizione del cliente oltre l’utilizzo medio. Questa commissione ha rilevanza in due ambiti: (1) può contribuire a elevare il costo effettivo del credito e quindi concorrere all’usura (la legge 108/96 richiede di tenerne conto, ma le Istruzioni della Banca d’Italia non la includevano nel calcolo del tasso medio fino a fine 2009, creando un noto contenzioso); (2) sul piano contrattuale, se la CMS non è stata pattuita chiaramente, può considerarsi nulla per mancanza di trasparenza. Dal 2010 la CMS è stata di fatto abolita e sostituita da altre commissioni (es. commissione onnicomprensiva ex art. 117-bis TUB) con limiti specifici. La Cassazione a Sezioni Unite nel 2018 (sent. n. 16303) ha affrontato la questione del calcolo dell’usura nei rapporti ante 2010, stabilendo un criterio di confronto separato tra tasso di interesse e soglia da un lato, e CMS e una specifica “soglia CMS” dall’altro, compensando poi gli effetti per verificare l’eventuale superamento usurario complessivo. In altre parole, la SU 16303/2018 ha chiarito che anche la CMS va considerata ai fini dell’usura, secondo un meccanismo che impedisca di eludere i limiti di legge spostando la remunerazione sugli oneri commissionali. Questo orientamento tutela maggiormente il correntista, imponendo che tutte le voci di costo (interessi e commissioni) rientrino nel perimetro antiusura.
- Rimesse “solutorie” vs “ripristinatorie”: Sono termini cruciali per comprendere la prescrizione nel conto corrente con affidamento (fido). Una rimessa è un versamento (accredito) fatto sul conto dal correntista. La giurisprudenza distingue: la rimessa è ripristinatoria quando serve solo a ripristinare la disponibilità entro il fido concesso, senza estinguere un debito liquido ed esigibile; è invece solutoria quando va a coprire uno scoperto eccedente il fido o comunque paga un saldo negativo divenuto esigibile (ad esempio, dopo la revoca del fido, ogni versamento volto a ridurre il debito è solutorio). Questa distinzione determina quando inizia a decorrere il termine di prescrizione per la ripetizione di indebito: secondo la Cassazione, nelle aperture di credito bancarie, le annotazioni in conto di interessi non dovuti possono essere contestate entro 10 anni dalla chiusura del conto se le rimesse effettuate erano tutte di natura ripristinatoria (perché in corso di rapporto affidato il cliente non sta “pagando” in via definitiva gli interessi, ma sta usando credito). Se invece vi sono state rimesse solutorie (pagamenti effettivi di scoperti), la prescrizione per ripetere quelle somme decorre dalla data di ciascun versamento solutorio. Approfondiremo più avanti come applicare questa regola nella pratica.
- Apertura di credito in conto corrente (conto affidato): È il classico fido bancario in conto corrente. La banca mette a disposizione del cliente un importo massimo (plafond) e gli interessi vengono calcolati sul saldo debitore utilizzato. In un conto affidato, finché l’esposizione rimane entro i limiti concordati, il cliente non è in mora e gli interessi sono contabilizzati trimestralmente (o come da contratto) ma pagati solitamente capitalizzandoli in conto. Solo alla revoca o chiusura del rapporto, l’eventuale saldo debitore diviene esigibile in un’unica soluzione. Questa natura di rapporto di durata con crediti e debiti che si consolidano solo a fine rapporto spiega perché, ai fini della prescrizione, spesso si guarda alla chiusura del conto come dies a quo (salvo il caso di sconfinamenti extrafido che generano obbligazioni autonome).
- Estratto conto e approvazione ex art. 1832 c.c.: L’estratto conto periodico comunicato dalla banca al cliente si intende approvato se non contestato entro 60 giorni (art. 119 TUB e art. 1832 c.c.). Tuttavia, l’approvazione non sana eventuali nullità delle clausole contrattuali né fa decadere dal diritto di contestare addebiti illegittimi. La Corte di Cassazione ha chiarito che la firma sugli estratti conto o la mancata contestazione non impediscono di agire per la ripetizione di indebito su interessi anatocistici o usurari, trattandosi di importi non dovuti per nullità delle clausole: l’approvazione dell’estratto ha effetto contabile, ma non preclude le contestazioni giuridiche di merito sulle poste indebite.
Tabella 1: Principali riferimenti – normative e giurisprudenza
Per avere un colpo d’occhio sulle fonti normative e le sentenze chiave che verranno citate nella guida, riportiamo una tabella riepilogativa:
Riferimento normativo/giurisprudenziale | Contenuto essenziale (in sintesi) |
---|---|
Art. 1283 c.c. (Anatocismo) | Divieto di interessi su interessi salvo giudizio o convenzione successiva (>6 mesi). Norma imperativa ed eccezionale a tutela del debitore. |
Art. 1815 c.c., co. 2 (Usura) | Se convenuti interessi usurari, clausola nulla e nessun interesse è dovuto (neppure quello legale). |
Legge 108/1996 (antiusura) | Definisce usura e tassi soglia trimestrali; tutti i costi del credito contano ai fini del calcolo. Usura rileva al momento della pattuizione (Cass. SU 2017), ma interessi divenuti usurari non esigibili per buona fede (Cass. 27545/2023). |
Art. 117 TUB (Trasparenza) | Contratti bancari devono indicare tassi e condizioni. Clausole vaghe (es. “uso piazza”) nulle per indeterminatezza; si applica tasso sostitutivo (tasso legale o tasso BOT ex art. 117, co.7 TUB). |
Art. 120 TUB (Interessi bancari) | Versione ante 2014: delega CICR su anatocismo; Delibera CICR 2000 consente capitalizzazione trimestrale purché reciproca e pattuita. Versione post 2016: divieto di anatocismo infrannuale, periodicità conteggio annuale (31/12), interessi esigibili dopo 60 gg; consentito addebito in conto degli interessi maturati solo con preventiva autorizzazione del cliente. |
Cass. Civ. Sez. Un. 2374/1999 | Sancisce la nullità delle clausole di anatocismo trimestrale fondate su “usi bancari”: tali usi non sono normativi ma semplici usi negoziali, quindi inidonei a derogare all’art. 1283 c.c.. Fine della capitalizzazione asimmetrica (trimestrale su interessi debitori vs annuale su creditori). |
Delibera CICR 9.2.2000 | Attua art. 120 TUB (d.lgs. 342/99 art. 25): dal 22/4/2000 consente clausole anatocistiche lecite, se forma scritta e pari periodicità attivi/passivi. Richiede specifica approvazione del cliente (doppia firma ex art. 1341 c.c., essendo clausola onerosa). |
Cass. Sez. Un. 21095/2004 | Conferma legittimità delle clausole di capitalizzazione post Delibera CICR 2000 se rispettano parità di periodicità e previa approvazione specifica. Questione di particolare importanza decisa a SU. (Chiarisce anche effetti della L. 154/92 sulle clausole “uso piazza”, vedasi SU 21095/2004 cit. in Expartecreditoris). |
L. 2/2009, art. 2-bis (decreto anti-CMS) | Dal 2009, commissioni di massimo scoperto sempre conteggiate ai fini dell’usura; fissato limite e disciplina sostitutiva (poi art. 117-bis TUB dal 2011). Clausole CMS nulle se saldo <30gg in rosso continuativo. |
Cass. Sez. Un. 24418/2010 | Risolve contrasti su prescrizione: in conto con apertura di credito, la prescrizione decennale dell’azione di ripetizione decorre dalla chiusura del conto per le rimesse ripristinatorie (entro fido), mentre decorre dalla singola rimessa solutoria per gli importi versati a copertura di scoperti extrafido. Conferma inoltre che, dichiarata la nullità della clausola anatocistica, il ricalcolo va fatto senza capitalizzazione alcuna (interessi semplici). |
Corte Cost. n. 78/2012 | Dichiara incostituzionale l’art. 2, co.61, D.L. 225/2010 (Milleproroghe) che voleva limitare retroattivamente le azioni di rimborso per anatocismo al 2010. La Consulta tutela così il diritto dei correntisti a ripetere l’indebito, eliminando il tentativo legislativo di sanatoria del pregresso. |
Cass. Sez. I 24163/2013 (es.) | Esempio di pronuncia che conferma nullità clausole “uso piazza” anche per contratti ante 1992, con applicazione tasso legale fino al ’92 e sostitutivo poi (allineata a SU 21095/04). Numerose Cass. dal 1997 in poi sul punto. |
Cass. Sez. I 12965/2016 | (cit. in dottrina) Affermava che per rapporti chiusi prima del 2010 la CMS non va inclusa nel calcolo usura, seguendo istruzioni Bankitalia. Orientamento poi superato da SU 16303/2018. |
Cass. Sez. Un. 16303/2018 | Risolve il conflitto su CMS e usura: ai fini del tasso soglia, va fatta doppia comparazione separata di interessi e CMS con le rispettive soglie, poi compensazione degli extraprofitti; l’usura scatta se la somma delle eccedenze supera la soglia. Principio vale per rapporti ante 2010, in cui Istruzioni Banca d’Italia non includevano CMS nel TEGM. Pronuncia orientata a maggior tutela del cliente. |
Cass. Sez. I 26769/2019 | Ribadisce che la clausola anatocistica, anche nei contratti post-2000, è valida solo se specificamente approvata per iscritto dal correntista. Se introdotta unilateralmente in contratti ante 2000, la modifica è inefficace senza consenso (non è un “miglioramento automatico” per il cliente portare tutti gli interessi a trimestrale). |
Cass. Sez. I 26779/2019 | Conferma che, dichiarata la nullità della capitalizzazione trimestrale pre-2000, il saldo si ricalcola con interessi senza alcuna capitalizzazione (nemmeno annuale), salvo accordi successivi validi. Inoltre, variazioni contrattuali peggiorative (es. introduzione anatocismo trimestrale “paritetico”) devono essere approvate dal cliente. |
Cass. Sez. I 9140/2020 | (V. massime con 26779) Sostanzialmente allineata su efficacia di nuove clausole anatocistiche: se conto aperto prima del 2000, la delibera CICR non si applica automaticamente; serve patto scritto successivo per attivare capitalizzazione paritetica. Senza patto, resta divieto anatocismo e interessi conteggiati senza capitalizzazioni. |
Cass. Sez. Un. 19597/2020 | Chiarisce in via definitiva che la disciplina antiusura si applica anche agli interessi moratori. In caso di tasso di mora pattuito superiore alla soglia, si applica l’art. 1815 c.c.: la clausola è nulla e il creditore non può esigere interessi di mora convenzionali; tuttavia, restano dovuti gli interessi legali di mora ex art. 1224 c.c. (nella misura degli interessi corrispettivi lecitamente pattuiti, se previsti). Le SU precisano inoltre che il debitore ha sempre interesse ad agire per accertare l’usurarietà, anche in corso di rapporto, e delineano l’onere della prova: il debitore deve allegare contratto, tassi pattuiti e soglia del periodo; la banca deve provare eventuali fatti estintivi o modificativi (contestazione generica non basta). |
Cass. Sez. Un. 41994/2022 | (Interesse in materia di fideiussioni conformi schema ABI, parzialmente nulle ex art. 2 L. 287/90 – fuori tema interessi). Tuttavia richiama SU 19597/2020 su onere della prova dell’usura: la banca che pretende interessi (anche moratori) contestati come usurari deve provare la non usurarietà. |
Cass. Sez. III 27545/2023 | Evoluzione su usura sopravvenuta: ferma restando l’assenza di nullità automatica, la Corte afferma che gli interessi che superano la soglia in corso di rapporto sono comunque importi indebiti; il creditore che li pretenda agisce contro buona fede contrattuale. In pratica, pur senza sanzionare la clausola, si nega tutela alla pretesa di interessi sopravvenuti ultra-soglia, impedendone il pagamento forzoso. Sentenza che integra i rimedi in favore del debitore, conciliando SU 2017 con i principi di correttezza. |
(N.B.: I riferimenti sopra elencati saranno approfonditi nelle sezioni seguenti con spiegazioni ed esempi. Le sentenze della Cassazione sono citate con numero e anno; “Sez. Un.” indica Sezioni Unite, massimi consessi che compongono contrasti giurisprudenziali.)
Passiamo ora ad esaminare nel dettaglio le singole aree tematiche: anatocismo, usura, nullità contrattuali e prescrizione, per poi vedere come procedere concretamente al rimborso degli interessi non dovuti.
Anatocismo bancario nei conti correnti
Cos’è e perché è vietato: L’anatocismo, ossia la capitalizzazione degli interessi, è generalmente vietato dall’ordinamento salvo eccezioni tassative. La ratio del divieto è chiara: impedire che il debito del correntista lieviti incontrollatamente per effetto di interessi che si sommano al capitale, producendo a loro volta ulteriori interessi. Come evidenziato dalla Cassazione, il costo economico per il debitore è assai diverso tra interessi semplici e composti: ad esempio, un capitale mutuato al 5% annuo raddoppia in 20 anni con interesse semplice, ma in soli 14 anni con capitalizzazione periodica. Questa differenza rende l’anatocismo potenzialmente rovinoso per il cliente bancario e spiega la natura imperativa dell’art. 1283 c.c..
La prassi fino agli anni ‘90 e la svolta giurisprudenziale del 1999: Per lungo tempo le banche italiane hanno applicato automaticamente l’anatocismo nei conti correnti, confidando su un pregresso orientamento giurisprudenziale che riteneva lecita tale prassi in quanto fondata su usi normativi. In particolare, dagli anni ‘80 la Cassazione (sent. n. 6631/1981) aveva avallato l’uso bancario di capitalizzare trimestralmente gli interessi passivi e annualmente quelli attivi, considerandolo un “uso contrario” ai sensi dell’art. 1283 c.c.. Ciò creava una palese asimmetria: il correntista pagava interessi su base trimestrale (anche sugli interessi via via capitalizzati), mentre la banca, sui saldi attivi del cliente, capitalizzava solo una volta l’anno (talvolta nemmeno quella, se le giacenze erano modeste). Questa situazione favorevole alle banche è durata circa un ventennio.
La svolta è arrivata con la famosa sentenza della Cassazione n. 2374 del 16 marzo 1999, che ha rivisto criticamente l’orientamento precedente. La Suprema Corte ha stabilito che le cosiddette Norme Bancarie Uniformi ABI sulla capitalizzazione trimestrale non integravano affatto un uso normativo, bensì un semplice uso negoziale (ossia una pratica contrattuale di categoria). Gli usi normativi, ha spiegato la Corte, sono caratterizzati da generalità, pubblicità e opinio iuris, e costituiscono fonte di diritto; al contrario, gli usi negoziali sono mere clausole d’uso inserite nei contratti (art. 1340 c.c.), efficaci solo se non derogate dalle parti. In assenza di un vero uso normativo, non c’è deroga al divieto di anatocismo di cui all’art. 1283 c.c. Pertanto, tutte le clausole contrattuali che prevedevano la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori (a fronte di capitalizzazione annuale di quelli creditori) dovevano considerarsi nulle, per contrasto con norma imperativa.
Questa pronuncia del 1999 ha avuto un effetto dirompente: migliaia di conti correnti presentavano clausole di questo tipo, e improvvisamente i correntisti potevano contestarle e chiedere la restituzione degli interessi anatocistici pagati in passato. Le banche hanno corso ai ripari sia proponendo transazioni ai clienti, sia soprattutto facendo pressione per un intervento normativo chiarificatore.
Interventi legislativi e normativi dal 1999 al 2000: Il legislatore è effettivamente intervenuto poco dopo la sentenza del 1999. Con il D.lgs. 4 agosto 1999 n. 342, art. 25, venne modificato l’art. 120 TUB aggiungendo il comma 2, che delegava il CICR (Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio) a stabilire le modalità e i criteri per la produzione di interessi su interessi nelle operazioni in conto corrente bancario. Nelle more, il legislatore aveva anche previsto una sorta di sanatoria transitoria: le clausole anatocistiche stipulate prima potevano essere valide fino all’emanazione della delibera CICR, purché rispettassero la reciprocità di periodicità. Tuttavia, tale sanatoria (art. 25, co. 3 D.lgs 342/99) fu oggetto di dubbi di legittimità costituzionale e alla fine la Corte Costituzionale la dichiarò incostituzionale (sentenza n. 425/2000, seguita poi dalla citata sent. 78/2012 su un tentativo analogo di proroga).
Il CICR emanò la delibera attuativa il 9 febbraio 2000 (pubblicata a fine 2000, ma entrata in vigore il 22 aprile 2000, 60 giorni dopo pubblicazione). Questa delibera recepiva in parte le istanze bancarie: consentì di nuovo la capitalizzazione degli interessi, ma a condizioni stringenti per tutelare il cliente. In sintesi:
- Periodicità uguale per interessi debitori e creditori: non più trimestrale vs annuale, ma se la banca vuole capitalizzare trimestralmente gli interessi a suo favore, deve farlo anche per quelli a favore del cliente (in pratica, parificazione). In teoria poteva anche scegliersi periodicità diversa (es. semestrale per entrambi) ma di fatto l’interesse delle banche era mantenere la trimestralità, quindi hanno iniziato a prevedere anche per gli interessi attivi la stessa cadenza.
- Pattuizione espressa e approvazione specifica: la delibera richiamava l’obbligo di forma scritta e probabilmente si dava per scontato che trattandosi di clausola sfavorevole al cliente richiedesse l’approvazione specifica (ex art. 1341 c.c.). La giurisprudenza ha poi confermato che la “nuova” clausola anatocistica, anche se lecita perché rispettosa della parità, deve essere sottoscritta espressamente dal correntista, non potendo essere imposta unilateralmente.
Di conseguenza, si distinguono due periodi fondamentali:
- Contratti stipulati prima del 22 aprile 2000: le clausole di capitalizzazione trimestrale interessi debitori (assimmetriche rispetto ai creditori) sono radicalmente nulle, in violazione dell’art. 1283 c.c.. Il correntista può quindi richiedere la restituzione degli interessi anatocistici pagati nel corso del rapporto (nei limiti non prescritti, come vedremo). In giudizio, il giudice, accertata la nullità, deve ricalcolare il saldo dovuto eliminando ogni capitalizzazione sugli interessi debitori, applicando solo interessi semplici calcolati sul capitale via via utilizzato. Questo è stato sancito espressamente anche dalle Sezioni Unite nel 2010 e da successive pronunce: se la clausola è nulla, non la si può sostituire d’ufficio con un’altra periodicità (ad es. annuale), ma si toglie del tutto l’effetto anatocistico. Ne risulta un saldo rettificato a favore del cliente, spesso molto inferiore al saldo bancario.
- Contratti stipulati (o modificati) dopo il 22 aprile 2000: sono ammesse clausole di capitalizzazione, purché simmetriche e pattuite per iscritto. La tipica clausola post-2000 prevede “interessi creditori e debitori capitalizzati con periodicità trimestrale” (o altra periodicità uguale). Se tale clausola è stata firmata dal cliente (molto spesso con apposita doppia firma, in quanto considerata clausola vessatoria), essa è valida. Dunque, per i rapporti dal 2000 in poi, il mero anatocismo trimestrale reciproco non è di per sé illegittimo. Tuttavia, bisogna fare attenzione: se la banca non ha raccolto l’approvazione specifica, la clausola può comunque essere invalida. Ad esempio, alcune banche nei primi anni 2000 inviarono ai clienti comunicazioni unilaterali per adeguare le condizioni alla delibera CICR (introducendo la capitalizzazione per entrambe le parti) e sostennero che ciò fosse un “miglioramento” per il cliente e quindi efficace anche senza accettazione. La Cassazione ha respinto questa tesi: passare da nessuna capitalizzazione (dopo la nullità della clausola vecchia) a una capitalizzazione trimestrale reciproca non è affatto neutro o migliorativo per il cliente, perché implica che gli interessi debitori vengano capitalizzati (sia pure ora in modo simmetrico) mentre prima erano considerati illegittimi. Dunque, tale modifica è peggiorativa e richiede esplicito consenso. Cassazione 26779/2019 ha affermato chiaramente che nei conti pre-2000 la nuova clausola anatocistica conforme alla delibera CICR è efficace solo se espressamente pattuita ex novo. In assenza di accordo, continua a non operare alcuna capitalizzazione (interessi solo semplici).
Anatocismo oggi: Come accennato, la materia ha avuto un ulteriore sviluppo con la riforma del 2016. Dopo una fase di incertezza (in cui la norma di delega fu riscritta e più volte prorogata), attualmente vige un divieto di capitalizzazione infrannuale sancito per legge. Le banche, in base al nuovo art. 120 TUB “versione 2016”, possono conteggiare gli interessi su base annuale (al 31/12) e renderli esigibili non prima di 60 giorni. Il cliente può autorizzare l’addebito di tali interessi sul conto il 1° marzo dell’anno successivo; così facendo, tali interessi diventano capitale (aumentano il saldo debitore) solo dopo essere maturati ed essersi consolidati come dovuti. Formalmente, questo meccanismo evita la configurazione di anatocismo: gli interessi non generano altri interessi nel periodo di maturazione, e quando vengono addebitati l’anno dopo sono considerati “capitale” perché pagati (anche se ciò avviene tramite scritturazione in conto). È una costruzione giuridica un po’ sofisticata, ma in sostanza, dal punto di vista del cliente, oggi l’anatocismo è stato drasticamente limitato. Egli sa che nel corso dell’anno gli interessi si accumulano ma non producono interessi ulteriori; solo dopo la fine dell’anno, se non li paga entro il termine di grazia, potrà essere addebitato e da quel momento costituiranno nuovo debito su cui, se il conto rimane in rosso, matureranno interessi di mora (contrattuali o legali).
Questo regime è più favorevole al correntista rispetto al passato: pensiamo che prima del 2000 gli interessi maturavano e venivano capitalizzati ogni tre mesi, contribuendo in modo significativo all’aggravarsi del debito. Ad esempio, in un anno un tasso nominale annuo del 10% con capitalizzazione trimestrale produce un tasso effettivo di circa il 10,38% (per via dell’interesse sugli interessi ogni trimestre); con capitalizzazione annuale si resta esattamente al 10%. Oggi di fatto si ha un’efficace capitalizzazione annuale (posticipata), a meno di sconfinamenti oltre l’anno.
Rimborso degli interessi anatocistici: quando è possibile? Se un’impresa ha avuto un conto corrente negli anni passati in cui la banca applicava anatocismo vietato (ad esempio conto aperto negli anni ‘90 o 2000 con capitalizzazione trimestrale senza parità o senza firma specifica), può chiedere la restituzione di quegli interessi illegittimamente pagati. Occorre verificare:
- Che ci sia stata effettivamente una clausola nulla (es. capitalizzazione trimestrale attivi/passivi asimmetrica ante 2000, oppure assenza di pattuizione valida post-2000). Spesso i contratti bancari vecchi contenevano riferimenti generici a “usi piazza” per la capitalizzazione: anche in tal caso, non essendo chiaro, la capitalizzazione applicata è priva di valido titolo contrattuale e dunque indebita.
- Che il rapporto non sia troppo risalente nel tempo, ossia non prescritto. Approfondiremo la prescrizione più avanti, ma anticipiamo che solitamente si possono recuperare gli interessi anatocistici pagati entro i 10 anni precedenti alla domanda (la quale spesso coincide con la chiusura del conto se il conto è stato chiuso negli ultimi 10 anni, oppure con le singole rimesse per quelle solutorie). C’è una particolarità: molte cause hanno riguardato conti chiusi da più di 10 anni, sostenendo che la prescrizione decorresse dalla chiusura anche se gli interessi erano stati addebitati magari 15-20 anni prima. La Cassazione SU 2010 ha in parte accolto ciò (per conti affidati), purché le rimesse fossero ripristinatorie. Esempio pratico: Conto aperto nel 1995, chiuso nel 2015. Interessi anatocistici addebitati 1995-2000: il cliente nel 2015 può chiederli? Sì, se durante il rapporto li ha “pagati” solo tramite movimenti entro il fido (quindi mai saldando definitivamente il debito fino alla chiusura). Invece, se il conto era sconfinato e nel 2001 il cliente ha fatto un versamento extra-fido coprendo interessi maturati, quel versamento del 2001 è prescrittibile decorsi 10 anni (quindi dopo il 2011 non più recuperabile). È dunque necessaria un’analisi tecnica delle movimentazioni.
- Il calcolo del quantum: per ottenere il rimborso, bisogna rideterminare il saldo del conto senza l’effetto anatocistico. In pratica, si rifà la storia del conto computando gli interessi ogni trimestre senza capitalizzarli (o con capitalizzazione annuale se quella sarebbe stata la prassi valida, a seconda del caso). La differenza tra il saldo calcolato legittimamente e quello effettivamente addebitato dalla banca rappresenta l’indebito pagato dal cliente. Ad esempio, se al momento della chiusura la banca ha dichiarato un saldo a debito di 50.000 €, ma ricalcolando senza anatocismo il saldo risulterebbe di 30.000 €, significa che 20.000 € sono interessi anatocistici non dovuti. Se il cliente ha pagato quella somma, può pretenderne la restituzione; se invece il conto era affidato e c’è un decreto ingiuntivo della banca per il saldo di 50.000 €, il cliente in opposizione può far valere la nullità delle clausole e chiedere che il debito venga ridotto a 30.000 €. In molti casi, infatti, l’azione è stata usata difensivamente: ovvero il correntista convenuto dalla banca per il saldo ha eccepito l’indebito (anatocismo/usura) per abbattere il debito. Ciò è perfettamente legittimo, perché la nullità di una clausola può sempre essere eccepita in compensazione o riduzione del credito della banca, senza termini di prescrizione (diverso invece chiedere un pagamento inverso, su cui c’è appunto il limite dei 10 anni se il conto era chiuso a credito del cliente).
- Bisogna anche considerare se nel corso degli anni ci siano stati atti interruttivi della prescrizione o riconoscimenti di debito. Ad esempio, a volte i clienti firmavano delle ricognizioni di debito o saldaconti alla chiusura. Se non impostati bene, tali documenti possono complicare la domanda di ripetizione. Però l’orientamento attuale è che una quietanza o un estratto conto firmato non convalida clausole nulle di anatocismo, salvo che costituisca una transazione specifica in cui il cliente rinuncia ai diritti (e anche in tal caso, la validità di rinunce preventive a diritti derivanti da nullità è discutibile, essendo la nullità insanabile).
Sentenze più recenti in tema di anatocismo: Oltre alla storica Cass. 2374/99 e SU 24418/10 già citate, va menzionato che la Cassazione è tornata più volte sull’argomento, per chiarire aspetti applicativi:
- Cass. 24156 e 24153 del 13/10/2017: confermarono che, accertata la nullità della clausola anatocistica pre-2000, il giudice deve ricalcolare gli interessi dovuti senza alcuna capitalizzazione (neppure annuale). Questo chiarimento fu necessario perché alcuni tribunali pensavano di applicare comunque una capitalizzazione annuale “di default”, ma la Cassazione ha escluso questa soluzione: senza patto valido, l’art. 1283 c.c. non consente capitalizzazione alcuna.
- Cass. 4262/2019 (esempio): ha ribadito l’onere probatorio a carico della banca convenuta dal cliente: se quest’ultimo allega il contratto con clausola nulla e gli estratti conto, è la banca che eventualmente deve provare pagamenti solutori o eccepire la prescrizione su specifiche rimesse. In assenza di prova, si presume che le rimesse siano tutte ripristinatorie e quindi l’azione non prescritta (se il conto è chiuso da meno di 10 anni). In altre parole, il semplice eccepire “è tutto prescritto perché i pagamenti sono avvenuti oltre 10 anni fa” non basta: la banca deve indicare quali movimenti configurano pagamento definitivo.
- Cass. 9160/2022: sul piano processuale, ha confermato che la nullità di anatocismo è rilevabile d’ufficio e dunque se il giudice trova clausole nulle, deve tenerne conto, anche oltre le eccezioni di parte (nel rispetto del contraddittorio). Questo per dire che la protezione del correntista è forte: la nullità non subisce decadenze e può emergere anche senza un’azione ad hoc del cliente, potenzialmente.
Esempio pratico di calcolo anatocismo: Supponiamo un conto corrente aziendale aperto nel 1998 e chiuso nel 2005, con un fido di €100.000. La banca applicava tasso debitore 15% annuo, capitalizzato trimestralmente, e tasso creditore 2% annuo capitalizzato annualmente. Nel 2005 la banca presenta un estratto conto finale col cliente che mostra un saldo a debito di €50.000. Il cliente, però, fa ricalcolare il conto a un perito eliminando l’anatocismo: gli interessi debitori vengono computati senza capitalizzazione (cioè come se fossero semplicemente addebitati a parte ma non aggiunti al capitale). Risulta che il saldo corretto sarebbe di €30.000. Questo significa che €20.000 del saldo “ufficiale” sono frutto esclusivamente di interessi su interessi (anatocistici) non dovuti. Se il cliente ha pagato l’intero saldo di €50.000 alla chiusura, ha diritto a chiedere indietro €20.000. Se invece non ha pagato e la banca agisce per €50.000, il giudice – riconosciuta la nullità della clausola – condannerà al massimo a €30.000, spogliando il credito dagli interessi illegittimi. Naturalmente nei conteggi vanno compresi anche gli interessi legali sull’indebito una volta determinato, ma questi sono dettagli successivi.
Clausole anatocistiche post-2000 e casi dubbi: Molte aziende hanno continuato ad avere rapporti oltre il 2000. È importante verificare la documentazione: se nel contratto originario (ante 2000) c’era la clausola trimestrale poi nulla, ci vuole un nuovo accordo dopo aprile 2000 per introdurne una valida. Spesso ciò è avvenuto con patti aggiuntivi (moduli firmati di variazione condizioni) nel 2000-2001. Se un tale patto manca, la banca in teoria non avrebbe potuto capitalizzare neanche dopo il 2000. Tuttavia, in pratica, quasi tutte hanno continuato a farlo, assumendo che la delibera CICR permettesse loro di farlo unilateralmente. La giurisprudenza attuale (come visto con Cass. 26779/19) è sfavorevole a considerare sufficiente la delibera: serve la volontà contrattuale. Dunque, un’azienda con un vecchio conto potrebbe scoprire che anche oltre il 2000 ha diritto a uno storno di interessi anatocistici, se la banca li ha capitalizzati senza base contrattuale. Al contrario, se l’accordo c’è e la capitalizzazione è reciproca, dal 2000 in poi non c’è indebito da quel titolo (restano però possibili altri rilievi, come l’usura o commissioni non pattuite).
Anatocismo e interessi di mora: Un’ultima notazione tecnica: gli interessi moratori (di mora) già per definizione non possono essere capitalizzati, perché maturano solo dalla scadenza di un’obbligazione non pagata. Ad esempio, se un conto è revocato nel 2025 e sul saldo X scattano interessi di mora, questi interessi non si capitalizzeranno trimestralmente a loro volta (lo vieta anche espressamente il nuovo art. 120 TUB). Quindi il problema anatocismo riguarda essenzialmente la fase “fisiologica” del conto corrente, non la fase patologica post-revoca.
In sintesi, dal punto di vista del debitore-correntista, l’anatocismo è stato un “costo occulto” notevole nei rapporti bancari e la legge, con l’ausilio della giurisprudenza, ha predisposto strumenti per recuperare quel costo quando era applicato in violazione delle norme. Fondamentale è attivarsi per far valere i propri diritti entro i termini di prescrizione e con un’adeguata base documentale (contratti e estratti conto). Spesso è necessario l’ausilio di un consulente tecnico (commercialista, revisore o consulente bancario) per rifare i conti epurandoli dall’anatocismo e quantificare l’indebito.
Nel prossimo capitolo ci occuperemo dell’altra grande area di illegittimità nei conti correnti: l’usura bancaria, ossia gli interessi superiori ai limiti di legge.
Usura bancaria: interessi oltre la soglia legale
Il concetto di usura in banca: La usura bancaria si verifica quando la banca applica, su un finanziamento o su un credito (in questo caso l’affidamento di conto corrente o lo sconfinamento), un tasso di interesse effettivo superiore al tasso soglia stabilito dalla legge antiusura. L’art. 644 del Codice Penale (modificato dalla L. 108/1996) definisce usurari gli interessi che superano il limite oltre il quale gli interessi sono presunti usurari. Questo limite è determinato sulla base dei tassi effettivi globali medi (TEGM) rilevati trimestralmente per ciascuna categoria di operazioni creditizie, aumentati di un margine. Ad oggi, il tasso soglia = TEGM * 1,25 + 4 punti percentuali (con un tetto massimo di 8 punti sopra il TEGM). I valori dei tassi soglia per ogni tipologia (aperture di credito in c/c, anticipi, leasing, mutui, ecc.) vengono pubblicati ogni trimestre dal Ministero dell’Economia.
Nel caso di conti correnti aziendali, la categoria di riferimento solitamente è “aperture di credito in conto corrente” (fidi) oppure “scoperti senza affidamento” se il conto va in rosso oltre il fido. I tassi medi e soglia per queste categorie variano a seconda degli importi e del periodo. Ad esempio, per i fidi entro 5.000 €, storicamente i tassi medi sono più alti che per fidi maggiori, quindi i tassi soglia sono calibrati diversamente.
Quali voci si considerano per il calcolo: La normativa antiusura, come detto, include tutti gli oneri collegati all’erogazione del credito. Ciò significa che, oltre agli interessi nominali annuali, bisogna considerare:
- Commissioni e spese legate all’utilizzo del fido. In passato la principale era la commissione di massimo scoperto (CMS), ma oggi possono esserci la commissione di disponibilità fondi (detta anche commissione onnicomprensiva, art. 117-bis TUB) oppure spese per sconfinamenti, ecc.
- Eventuali interessi di mora (anche se nel conto corrente classico di solito il tasso di mora entra in gioco solo dopo la revoca del fido).
- Ogni altra remunerazione periodica connessa (ad es. polizze assicurative obbligatorie legate al fido, etc., anche se nel c/c puro è raro).
In termini pratici, per un conto corrente affidato con tasso debitore annuo i e commissione trimestrale fissa o proporzionale, si calcola un tasso effettivo globale (TEG) che tiene conto degli interessi maturati nel trimestre e delle commissioni rapportate al credito utilizzato. Questo TEG va poi confrontato col tasso soglia del trimestre per quella categoria.
Esempio semplificato di calcolo usura: supponiamo che nel 2° trimestre 2024 la soglia per fidi oltre 5.000 € sia (esempio ipotetico) 15% annuo. Un’azienda ha un fido di €50.000 con tasso 14% annuo e paga in più una commissione sul fido dello 0,5% trimestrale sull’accordato. Anche se il tasso nominale 14% è sotto soglia, la commissione 0,5% trimestrale incide per circa un altro 2% annuo (0,5% * 4 = 2%). Il costo complessivo annuo diventa ~16%, che supera la soglia del 15%. Quindi il rapporto potrebbe essere usurario in quel trimestre. La conseguenza legale sarebbe che la banca non può esigere alcun interesse per quel periodo, essendo la clausola nel suo complesso usuraria. Se il cliente ha pagato tali interessi, può ripetere l’indebito; se non li ha pagati, la banca non potrà pretenderli.
Usura originaria vs sopravvenuta:
- Usura originaria si ha quando già al momento della stipula del contratto il tasso concordato eccedeva la soglia vigente. Ad esempio, un’apertura di credito con tasso 20% annuo firmata in un periodo in cui la soglia era 15% è usuraria ab origine. In tal caso si applica senza dubbio l’art. 1815 c.c.: nessun interesse è dovuto dal cliente, né corrispettivo né di mora. Il debito si considera produttivo solo di interessi legali (forse) o addirittura gratuito a seconda delle interpretazioni, ma la giurisprudenza prevalente dice che se la clausola interessi è nulla per usura, il finanziamento è infruttifero (salvo interessi moratori legali per ritardo, se applicabili). Dunque, il cliente dovrebbe restituire solo il capitale avuto in prestito, senza interessi.
- Usura sopravvenuta si ha quando il contratto nasce lecito e poi, per cambiamenti nelle soglie o aumenti unilaterali dei tassi, il tasso applicato supera i limiti in un momento successivo. Questo è tipicamente possibile nei contratti a tasso variabile o nelle aperture di credito a revoca, dove la banca potrebbe aver aumentato il tasso, oppure dove le soglie si sono abbassate (ad esempio in periodi di forte calo dei tassi di mercato). La questione è stata molto dibattuta. Le Sezioni Unite della Cassazione, sentenza n. 24675 del 19/10/2017, hanno affermato il principio che la sopravvenuta usurarietà non travolge la clausola originariamente lecita: il superamento del tasso soglia durante il rapporto non determina né nullità né cessazione del diritto agli interessi, potendosi semmai configurare altri rimedi (come la rinegoziazione, la risoluzione per eccessiva onerosità, ecc.). In particolare, la SU 2017 escluse che la pretesa del creditore di continuare a percepire gli interessi concordati (divenuti superiori alla soglia) integrasse di per sé violazione della buona fede esecutiva. Ciò tranquillizzò le banche sul fatto che un calo delle soglie non avrebbe trasformato in gratuito il credito.
– Tuttavia, recentemente la Cassazione ha rivisto parzialmente questa posizione sotto il profilo civilistico della buona fede. Cass. 27545/2023 (Sez. III) ha stabilito che, pur non essendovi nullità della clausola, gli interessi divenuti usurari in corso di rapporto sono comunque indebiti in quanto il creditore che li richiede agisce in violazione del dovere di buona fede contrattuale. In pratica la Corte dice: il patto resta valido, ma se la banca in giudizio pretende quegli interessi “fuori soglia”, il giudice può sanzionare tale pretesa dichiarandoli non dovuti, perché sarebbe un comportamento contrario a correttezza chiedere performance sproporzionate. È una sottigliezza giuridica, ma sostanzialmente significa che anche l’usura sopravvenuta oggi offre al debitore un appiglio per non pagare gli interessi eccedenti. Infatti la stessa pronuncia richiama le SU 2017 e sottolinea che esse non escludevano altri rimedi: ecco, la buona fede è quel rimedio integrativo. Dunque, allo stato attuale, il punto di vista del debitore è: se in qualunque momento gli interessi applicati (compreso ogni onere) superano la soglia, si può evitare di pagarli – o recuperarli se già pagati – appellandosi quantomeno alla buona fede contrattuale, oltre che (quando applicabile) alla nullità ex art. 1815 c.c. per usura originaria. Questa evoluzione estende la tutela.
Interessi moratori e usura: Una questione particolare riguarda gli interessi di mora (quelli applicati sul ritardato pagamento). C’era in passato incertezza se anche i tassi di mora dovessero sottostare alla legge antiusura, dato che i DM del Tesoro sul TEGM non riportavano chiaramente i tassi medi di mora. La Cassazione ha risolto definitivamente: sì, anche gli interessi moratori rientrano nell’ambito di applicazione della legge antiusura, perché la legge intende colpire qualsiasi somma usuraria dovuta in relazione al contratto, non solo il corrispettivo primario. Le Sezioni Unite 19597/2020 hanno quindi affermato che va individuato un criterio per il confronto: siccome le statistiche ufficiali non indicavano il TEGM dei moratori, la SU 2020 ha ritenuto valida la prassi di prendere il tasso medio corrispettivo e aggiungervi una maggiorazione media per la mora (spesso si considera +2.1% come media rilevata dalla Banca d’Italia in un’indagine del 2002) prima di applicare il margine di legge. In parole povere, si costruisce un tasso soglia di mora ad hoc (TEGM + 2.1% + 1/4 +4, ecc.). Se il tasso di mora pattuito supera tale soglia, la clausola di mora è nulla. Cosa succede in quel caso? Le SU 2020 hanno sancito che non sono dovuti gli interessi moratori convenzionali, ma ciò non significa che il ritardato pagamento sia esente da interessi: infatti “vige l’art. 1224 c.c.”, cioè si applicano gli interessi moratori legali o comunque nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti. Tradotto: se un contratto prevedeva corrispettivo 5% e mora 12% (sforando la soglia ad esempio), la clausola 12% è nulla; in caso di ritardo, però, il creditore avrà diritto almeno al 5% (interessi corrispettivi come misura del danno da ritardo) o al tasso legale se non c’era un corrispettivo. Non c’è arricchimento del debitore in caso di mora, ma non deve neanche pagare la penale usuraria.
Tutto ciò si applica ai conti correnti? Sì, per analogia: se un conto chiude con un saldo e il contratto prevede un tasso di mora sull’esposizione non rientrata, quel tasso deve rispettare la soglia oppure sarà ridotto al tasso legale. Comunque, durante il rapporto di conto corrente di solito non ci sono “interessi moratori” formalmente, a meno di sconfinamenti non autorizzati. A proposito: gli interessi sugli sconfinamenti oltre fido – spesso chiamati tassi di sconfinamento, più alti del tasso fido – assolvono un po’ alla funzione di mora (penalizzano l’abuso del credito). Anch’essi ovviamente vanno inclusi nel calcolo del TEG e soggetti a soglia. Se una banca applica 14% entro fido e 20% oltre fido, e avviene uno sconfinamento, bisognerà verificare se quel 20% più commissioni sfora il tasso soglia del periodo.
Conseguenze civilistiche dell’usura accertata: Ribadiamo la regola cardine: quando è accertato che gli interessi applicati sono usurari, scatta l’art. 1815, comma 2 c.c. La formula è “non sono dovuti interessi”. La Cassazione interpreta ciò nel senso che nessun interesse convenzionale è dovuto. Per i corrispettivi, vuol dire interessi zero; per i moratori, come visto, vuol dire niente interesse moratorio convenzionale, ma rimane quello legale per il ritardo. In pratica, il debito residuo del correntista va privato di qualunque interesse. Se ha già pagato interessi, ha diritto di ripetere quelli eccedenti la soglia come indebito oggettivo (o tutti se era usura originaria). Se ancora non li ha pagati (ad esempio interessi contabilizzati ma non saldati), semplicemente non li dovrà pagare.
Da un punto di vista processuale, spesso l’usura viene usata come scudo in cause bancarie: il correntista, convenuto per pagare il saldo, eccepisce che il tasso era usurario quindi nulla è dovuto oltre al capitale. Se provato, il giudice accoglie e riduce il dovuto al solo capitale (magari al netto di anatocismo pure, se c’era). Viceversa, se il correntista ha pagato e vuole indietro, deve attivare lui un giudizio come attore.
Dimostrare l’usura in giudizio: La questione dell’onere della prova è delicata. Secondo Cass. SU 19597/2020, il debitore che allega l’usurarietà deve produrre il contratto con l’indicazione del tasso pattuito, indicare il tasso soglia del periodo, e magari produrre una perizia che calcoli il TEG effettivo. A quel punto la banca non può limitarsi a dire “non è vero, i tassi erano sotto soglia”: deve provare, ad esempio, che certe commissioni non si applicavano, o che il tasso effettivo calcolato è diverso, ecc. (fatti estintivi/modificativi). Se la banca resta sul vago, la contestazione del cliente vince. In pratica, è opportuno che l’azienda correntista si avvalga di un consulente tecnico che ricalcoli con precisione il TEG per ciascun trimestre, includendo ogni costo. Questo perché la banca potrebbe difendersi sostenendo che il calcolo del cliente è sbagliato (magari non andava inclusa l’istruttoria perché è una tantum non periodica, ecc.). Avere un’analisi accurata è fondamentale. In giudizio spesso viene poi nominato un CTU (consulente tecnico d’ufficio) per rifare i calcoli e stabilire se e dove la soglia è stata superata, e quantificare i relativi importi.
Evoluzione normativa su commissioni e usura: Abbiamo accennato al problema della commissione di massimo scoperto (CMS). Ricapitolando velocemente la timeline:
- 1996: L.108 impone di considerare tutte le commissioni nel tasso usura. Eppure, le Istruzioni Banca d’Italia dal 1996 al 2009 hanno fatto una scelta contestata: escludere la CMS dal calcolo del TEGM (fornivano i TEGM al netto della CMS). Ciò creava una discrepanza: la legge dice includile, ma il tasso soglia ufficiale pubblicato di fatto non le considerava. Alcune sentenze ne hanno tratto conseguenze diverse: c’era chi diceva “allora, se la Banca d’Italia non l’ha inclusa, la soglia è calcolata su basi diverse e non posso mischiare mele con pere includendo la CMS nel TEG del singolo caso”; altri dicevano “la legge prevale, la CMS va sempre contata perché sennò la banca aggira la soglia”.
- 2009: il legislatore interviene con D.L. 185/2008 conv. L. 2/2009, art. 2-bis, comma 2, chiarendo una volta per tutte che interessi, commissioni e provvigioni comunque denominate legate all’effettiva durata del credito sono rilevanti per usura. Inoltre, dal 2010 in poi le Istruzioni vengono aggiornate e la CMS viene inclusa nel calcolo dei TEGM (o eliminata come categoria a sé, sostituita dall’onnicomprensiva). Dunque, per i rapporti dopo il 2010 non ci sono più dubbi: tutto viene considerato.
- Nel frattempo, la giurisprudenza era divisa su come trattare i casi pre-2010. La Prima sezione civile Cassazione per un periodo (es. sent. 12965/2016 citata nel DB) riteneva che, per coerenza con la prassi amministrativa, non si dovesse tener conto della CMS nei rapporti chiusi prima del 2010 (perché le soglie ufficiali di allora erano “senza CMS”). La Sezione penale invece già dal 2010 con la sent. 12028/2010 aveva detto il contrario, cioè che la CMS andava sommata (per ravvisare il reato). Questo contrasto ha portato alla rimessione alle Sezioni Unite, che nel 2018 (sent. 16303) hanno preso una posizione più favorevole al cliente:
SU 16303/2018: hanno elaborato il criterio della doppia comparazione con compensazione. Non escludiamo la CMS dal conteggio, dicono le SU, ma neanche sommiamola semplicemente agli interessi facendoti sforare subito la soglia. Piuttosto, facciamo così: confrontiamo il TEG puro (senza CMS) con la soglia ufficiale di interesse; poi confrontiamo la CMS applicata con una soglia CMS apposita (la CMS media di settore aumentata del 50%). Se la CMS applicata eccede la soglia CMS, vediamo se c’era “spazio” sotto la soglia interessi non utilizzato: se c’è spazio, possiamo tollerare l’eccedenza compensandola, ma se anche dopo averlo usato rimane eccedenza, allora c’è usura. In pratica è un calcolo a due step per tener conto che la soglia ufficiale del tempo non includeva CMS: se la tua banca ha messo CMS alta, potrebbe aver lasciato interessi più bassi, quindi bilanciamo; se comunque il totale supera, sei usurario. Questo metodo è più complesso ma evita di punire la banca che ha seguito le regole amministrative se rimane nei limiti globali, e al contempo evita che le commissioni facciano sfuggire costi non computati. Le SU 2018 hanno “privilegiato il punto di vista del fruitore del conto” rispetto a quello della banca, sottolineando che ha poco senso escludere voci di costo dall’usura perché ciò favorirebbe spostare i costi dagli interessi ad altre voci. - Oggi: per i contratti recenti, come detto, c’è un’unica soglia e un TAEG comprensivo di tutto. Quindi la questione CMS è storica. Ma molte cause riguardano proprio periodi passati (anni 2000). Con SU 2018, il criterio è univoco per i giudici civili.
Rimborso degli interessi usurari: aspetti pratici – Dal lato pratico di un’azienda correntista, come capire se ha pagato interessi usurari? Occorre raccogliere:
- Il contratto di conto corrente e eventuali lettere di fido, per conoscere i tassi nominali promessi (ad esempio tasso debitore X%, tasso extra-fido Y%, commissione Z). Spesso nei contratti c’è un richiamo ai “tassi soglia usura”: dal 2003 in poi molte banche misero clausole in cui si impegnavano a non eccedere i tassi soglia (clausole cosiddette di salvaguardia). Ma attenzione: se poi nella pratica con commissioni li hanno ecceduti, la clausola non li salva dalla nullità (serve ad evitare il penale, forse, perché manca il dolo, ma civilmente se eccedi la soglia, il risultato è quello).
- Gli estratti conto trimestrali con dettaglio degli interessi e competenze addebitati. E anche gli scalari (tabelle con saldi giornalieri) per calcolare l’utilizzo medio.
- Con questi, un consulente può calcolare per ogni trimestre il tasso effettivo applicato. In pratica prende gli interessi maturati in quel trimestre, le commissioni maturate, li rapporta alla media dell’esposizione e al tempo. Se quel tasso supera il tasso soglia di quel trimestre, evidenzia l’usura.
Ad esempio, un perito potrebbe produrre una tabella dove per ogni trimestre appare: Interessi addebitati X €, Commissioni Y €, Altre spese Z €, Totale costi €W, Importo medio utilizzato Q €, TEG calcolato = (W/Q)*4 (se trimestrale) = R%, soglia periodo S%, esito: Usura? Sì/No e di quanto.
Poi si sommano tutti i trimestri usurari: magari su 40 trimestri di rapporto, 5 risultano oltre soglia. In quei 5 trimestri, gli interessi dovuti andrebbero eliminati. Il perito può rifare il saldo del conto azzerando gli interessi di quei trimestri (o riducendoli al limite soglia). La differenza finale dà l’indebito usuraio pagato. Anche qui, se il conto è chiuso da tempo, serve considerare prescrizione (10 anni da ogni addebito usurario pagato, secondo la logica dell’indebito solutorio, anche se c’è chi sostiene che essendo nullità la prescrizione decorra da chiusura per i conti affidati – orientamento minoritario). Ma in genere per usura i tribunali tendono a dire: se c’è stata usura, la banca deve restituire, e considerano la prescrizione dall’addebito perché ogni addebito usurario è un pagamento indebito. Quindi conviene agire entro 10 anni dall’ultimo addebito contestato.
Difese tipiche della banca e come superarle: Quando si solleva l’usura, le banche spesso obiettano:
- Contestazione del metodo di calcolo: possono dire che certe voci non andavano conteggiate. Ad esempio, sulla CMS, prima del 2010 alcune banche dicevano “non va contata perché soglia no include”. Ora con SU 2018 quella difesa cade. Oppure dicono “quella commissione era una tantum e non un costo periodico, non va annualizzata”. Le sentenze però includono tutto ciò che è collegato all’erogazione del credito e fruizione, anche costi una tantum riproporzionati sulla durata.
- Clausola di salvaguardia: “Non c’è usura perché in contratto c’era scritto che se si supera soglia ci si adegua automaticamente”. Questa clausola alcuni tribunali la considerano efficace per escludere la volontà di pattuire usura: quindi parlano di “mancanza di elemento oggettivo del reato” e di interpretazione conforme. Ma se poi la banca in pratica l’ha violata, significa che ha applicato condizioni non pattuite (perché il patto prevedeva riduzione a soglia). In tal caso, quegli interessi extra-soglia sono comunque non dovuti, anzi forse non c’è nemmeno un patto per essi. Quindi sotto il profilo della restituzione non cambia molto: il cliente li ha pagati indebitamente (erano oltre soglia e non pattuiti validamente). Dunque li rivuole indietro.
- Usura sopravvenuta come tema: la banca può dire “sì in quel trimestre il tasso andò sopra soglia ma il contratto era del 2005 e il tasso pattuito era lecito all’inizio, è solo sopravvenuto, quindi secondo SU 2017 non è nullo”. A questo si risponde, oggi, con Cass. 2023: la buona fede impedisce di pretenderli. Anche prima, vari giudici di merito comunque tendevano a non far pagare oltre soglia nemmeno se sopravvenuto (alcuni applicavano analogicamente art. 1815, altri riducevano equitativamente). Ormai l’appiglio c’è e invalida la pretesa.
- Differenza tra tasso pattuito e tasso effettivo: a volte le banche sostengono che per l’usura contrattuale conta il tasso pattuito (nominale) rispetto alla soglia, non quello effettivo comprensivo di effetti anatocistici e simili. Cercano di ridurre il confronto ai parametri contrattuali. Ma la Cassazione ha sempre detto che si guarda al costo effettivo in concreto del denaro. Sennò, di nuovo, la banca potrebbe promettere 10% e poi farti pagare 5% di commissioni extra e dire “da contratto ero sotto soglia”. No, la legge considera tutto il pay-out effettivo.
Simulazione pratica – caso di usura in conto corrente: Poniamo che l’azienda Alpha Srl abbia un conto affidato di €100.000 con la Banca X. Nel 2018, la banca applicava tasso debitore 12% e una commissione sul fido dello 0,5% trimestrale. Il tasso soglia nel 2018 per i fidi di quelle dimensioni ipotizziamo fosse intorno al 16% annuo. Calcoliamo: 12% annuo di interessi su €100.000 sono €3.000 a trimestre; la commissione 0,5% su €100.000 sono €500 a trimestre. Se l’azienda ha utilizzato mediamente tutto il fido in quel trimestre, ha pagato €3.500 di oneri. Rapportato al fido (€100k) è un 3,5% per il trimestre, cioè ~14% annuo. Fin qui sotto soglia 16%. Ma supponiamo che in un trimestre particolare l’azienda abbia usato meno, diciamo €50.000 medi. Interessi 12% su €50k = €1.500 a trimestre; commissione comunque su 100k = €500; totale €2.000 su €50k = 4% trimestre = 16% annuo tondo. Se la soglia era 15,5%, ha sforato di 0,5%. Ecco l’usura (sì, può succedere che usare meno del fido porti a incidenza maggiore delle commissioni fisse!). In tal caso quell’ultimo trimestre è usurario. Cosa succede? Tutti gli interessi e commissioni di quel trimestre non sarebbero dovuti. Se li hanno addebitati sul conto, il cliente può non pagarli. Se li ha già pagati, chiederà rimborso di quei €2.000. Potrà anche sostenere che da quel momento in poi, finché le condizioni restano tali, il patto interessi è nullo e quindi gli interessi successivi non vanno pagati. In pratica, la banca per evitare ciò dovrebbe ridurre le condizioni (cosa che di solito fanno, perché le banche monitorano di non superare soglie: abbassano tassi o stornano commissioni se stanno per sforare, proprio per non perdere tutti gli interessi).
Morale per il correntista: la legge antiusura è un potente strumento, ma va utilizzato con rigore tecnico. Conviene far analizzare il rapporto a esperti. Se emergono superamenti, l’impresa ha leva per trattare con la banca una riduzione del debito o un risarcimento. Spesso, ancor prima della causa, il solo far presente con una perizia che c’è stata usura spinge la banca a cercare un accordo per evitare un giudizio dal risvolto anche potenzialmente penale (in teoria, gli amministratori responsabili di aver applicato usura potrebbero essere perseguibili, anche se nelle vicende di usura bancaria raramente la via penale ha avuto esiti per via della complessità di dimostrare il dolo).
Da notare: il tasso soglia antiusura comprende già un margine di tolleranza (come visto, TEGM *1,25 +4 punti) proprio per evitare di far scattare usura per scostamenti minimi. Quindi quando un tasso la supera, di solito non è “colpa di un arrotondamento”: è significativamente più alto del mercato medio.
Chiudiamo segnalando che l’usura può riguardare anche i contratti di mutuo o leasing che l’azienda può aver stipulato, ma qui rimaniamo sul tema conto corrente. Nel mutuo, se TAN + spese superano soglia all’origine, il mutuo diventa senza interessi (si rimborsa solo capitale rateizzato). Nei conti correnti, non c’è un capitale da rimborsare in rate, c’è solo un saldo da regolare; l’effetto antiusura si manifesta nel ricalcolo di quel saldo e nel non pagare gli interessi.
Passiamo ora ad esaminare un altro aspetto strettamente collegato: la nullità di clausole contrattuali relative a interessi e costi, oltre ad anatocismo e usura fin qui trattati. Ci sono infatti clausole che possono essere nulle indipendentemente dall’usura o dall’anatocismo, e la loro nullità comporta riduzioni degli interessi dovuti.
Nullità delle clausole contrattuali sugli interessi e commissioni
Oltre ai casi di nullità già visti (clausola di anatocismo contraria a norme imperative, clausola che prevede interessi usurari), esistono altre ipotesi in cui le condizioni economiche applicate dalla banca possono essere dichiarate nulle perché violano obblighi di forma o trasparenza o altre norme di legge. Analizziamo le principali:
Clausole di rinvio a “usi piazza” e indeterminatezza del tasso
Nei vecchi contratti bancari (soprattutto precedenti alla legge di trasparenza del 1992), era comune trovare formule del tipo: “gli interessi debitori sono determinati al tasso praticato usualmente dalle aziende di credito su piazza”, oppure “al tasso bancario corrente di piazza”, senza specificare un numero. Queste clausole lasciavano la determinazione del tasso alla discrezione della banca, magari richiamando generici “usi”. Già prima della questione anatocismo, la giurisprudenza aveva censurato tali pattuizioni per violazione dell’art. 1346 c.c. (che richiede che l’oggetto del contratto sia determinato o determinabile). Se manca un parametro sicuro per determinare il tasso, la clausola è nulla per indeterminatezza. La Cassazione fin dal 1997-2001 ha ripetutamente affermato che il riferimento agli usi su piazza non soddisfa il requisito, perché non distingue quali interessi (attivi? passivi? di che operazioni?) e non consente di capire a quale tasso concreto le parti volessero riferirsi. In più, è intervenuta la Legge 154/1992 (sulla trasparenza bancaria, antenata del TUB) che all’art. 4 proibiva espressamente il rinvio agli usi per determinare tassi e prezzi nei contratti bancari. Questa norma è confluita nell’art. 117 TUB. Pertanto:
- Se un contratto di conto corrente è stato stipulato dopo il 9/7/1992, qualsiasi clausola che rinvia ad “usi” per stabilire il tasso è nulla ex lege (art. 117 TUB comma 6) e si applica il tasso sostitutivo previsto dalla legge (allora era art. 5 L.154/92, poi art. 117 co.7 TUB): in pratica, il tasso nominale minimo dei BOT annuali dell’anno precedente. In quegli anni il tasso BOT era spesso inferiore ai tassi di mercato, quindi la differenza può essere notevole. Per esempio, se la banca in pratica applicava l’uso piazza diciamo dell’15% ma non l’ha scritto, e il tasso legale sostitutivo era 10%, il cliente può chiedere la rideterminazione al 10%. Per i contratti dopo il 2003, il criterio è il tasso minimo fra quelli effettivamente applicati dalle banche (ancora più basso). Insomma, la sanzione tende a penalizzare la banca che non ha indicato il tasso, costringendola ad accontentarsi di interessi legali minimi.
- Se un contratto è anteriore al 1992, quella legge non si applica retroattivamente per invalidarlo fin dall’inizio (principio di irretroattività). Tuttavia, la Corte di Cassazione ha comunque dichiarato nulle per indeterminatezza tali clausole in base al codice civile (art. 1346) per violazione di norma imperativa (all’epoca art. 1284 c.c., che richiedeva pattuizione espressa per interessi ultralegali). Inoltre, si è ritenuto che, pur non potendo travolgere il passato, la legge del 1992 abbia reso inefficaci ex nunc quelle clausole per i rapporti ancora in corso: in pratica, dal 9/7/1992 in poi la banca non poteva più farle valere, e se il rapporto proseguiva, doveva adeguarsi. Cass. SU 21095/2004 evidenzia proprio che dall’entrata in vigore della L.154/92 quelle clausole diventano inoperanti per il futuro. Ne deriva che, se uno ha avuto un conto aperto negli anni ’80 e ’90, dal 1992 in poi gli interessi avrebbero dovuto essere corrisposti al tasso legale se la clausola era “uso piazza”. Molte banche però continuarono ad applicare i tassi d’uso… indebitamente.
- La conseguenza pratica della nullità è: si applica il tasso legale (o quello sostitutivo di cui all’art. 117 TUB) in luogo del tasso pattuito nullo. Dunque, il cliente ha diritto al rimborso della differenza tra ciò che ha pagato e ciò che avrebbe pagato a tasso legale. Spesso è una differenza enorme perché negli anni ‘80-‘90 il tasso legale era tipo 5% mentre i tassi bancari erano 15-20%. Anche qui, però, attenzione alla prescrizione: la pretesa di restituzione degli interessi ultralegali pagati, essendo un indebito, soggiace a 10 anni dalla data del pagamento. Ma se il conto è affidato e chiuso dopo, può valere il discorso delle rimesse solutorie. È simile all’anatocismo come approccio.
Facciamo un esempio: l’impresa Beta ha avuto un conto dal 1988 al 1998. Il contratto del 1988 dice “tasso uso piazza”. La banca applicava via via i tassi trimestrali come da usanza (diciamo 18% nel 1990, 15% nel 1995 etc). Nel 1998 chiudono e pagano. Scoperta: quella clausola era nulla e dal 1992 al 1998 la banca poteva pretendere solo il tasso legale (che in quegli anni oscillava dal 5% al 10% al max). Beta ha pagato magari 100 milioni di lire di interessi, quando a tasso legale sarebbero stati 50. Potrebbe chiedere indietro 50, se non prescritto. Il problema è che se ha pagato a poco a poco, forse tutto ciò che è stato pagato prima del 1988-1989 è prescritto, e anche 1992-1993 forse (dipende quando fa causa). Ma se ha chiuso il conto e firmato un saldo nel 1998, e agisce entro il 2008, potrebbe recuperare fino al ‘98.
Va sottolineato che la giurisprudenza ha costantemente sostenuto queste nullità: Cass. n. 14684/2004, Cass. n. 12976/2007, Cass. n. 10713/2018, e tante altre, hanno dichiarato nulle le clausole di rinvio agli usi bancari locali. È un punto fermo, oramai pacifico. Nei contenziosi, infatti, la prima cosa che si cerca nel contratto è: c’è scritto il tasso in numeri? Se no, la banca ha un grosso problema, perché quella clausola salta e si ricalcola tutto a tasso legale.
Clausole di variazione unilaterale del tasso (ius variandi)
Nei contratti di lunga durata come i conti, spesso la banca si riserva di modificare i tassi. Normativamente, l’art. 118 TUB consente allo intermediario di variare unilateralmente condizioni contrattuali per giustificato motivo, con preavviso scritto minimo 2 mesi al cliente, il quale ha diritto di recedere senza penali. Se questo iter non è rispettato, la variazione è inefficace.
In passato, però, i contratti di conto corrente (soprattutto prima del 2007, quando fu potenziata la trasparenza) includevano clausole generiche tipo: “La banca si riserva di variare in qualsiasi momento il tasso di interesse in relazione alle condizioni di mercato o a suo insindacabile giudizio, dandone comunicazione al cliente”. Oppure: “I tassi potranno essere modificati dalla banca in senso sfavorevole al correntista dandogliene avviso”. Clausole così generiche, prive di specifico motivo e spesso anche non evidenziate, sono state ritenute vessatorie e/o in contrasto con l’art. 118 TUB. In sostanza: se la banca ha aumentato i tassi e non lo ha comunicato correttamente (o il cliente non ha accettato), l’aumento è nullo e il tasso resta quello originario.
Dunque, se un’azienda nota che sul suo estratto conto il tasso nel 2018 era 10% ma nel 2020 la banca lo ha portato a 13% senza che vi sia traccia di una lettera di variazione o di un documento firmato, potrebbe eccepire che quell’aumento è inefficace. Ciò porterebbe a ricalcolare gli interessi oltre quella data al tasso precedente contrattualmente pattuito. Non è esattamente “rimborso interessi illegittimi” per nullità, ma un aggiustamento in sede di contabilità. La differenza sarebbe indebito.
Sul piano pratico, però, va detto che dal 2000 in poi le banche sono state abbastanza attente a notificare le variazioni (di solito con comunicazioni di modifica unilaterale, spesso messe negli estratti conto). Bisogna vedere se la comunicazione era conforme (motivazione, 60 gg di preavviso, ecc.). Se non lo era, il cliente doveva contestarla entro 60 gg o recedere; se non lo fece, potrebbe essere complicato poi lamentarsene, anche se in linea teorica la mancata osservanza delle formalità può dare luogo a nullità (questa è una zona un po’ grigia giurisprudenziale: alcuni dicono che la mancata comunicazione rende la clausola di variazione non operativa, e il cliente può sempre calcolare al vecchio tasso; altri dicono che andava impugnata subito).
Nel contesto di cause di rimborso, raramente la questione ius variandi è risolutiva, però può sommarsi: ad esempio, il perito del correntista rifà il conto mantenendo i tassi invariati come da contratto originario se la banca non prova di aver inviato lettera. Questo può abbassare gli interessi dovuti e generare un indebito a restituirsi.
Commissioni e spese non pattuite chiaramente
Altro fronte: se la banca ha addebitato commissioni non previste dal contratto, quelle sono indebite per difetto di pattuizione (art. 117 TUB: nulla ogni clausola che prevede oneri a carico cliente non pattuiti per iscritto).
Un esempio classico: Commissione di massimo scoperto nascosta. A volte la banca non la scriveva chiaramente in contratto oppure la indicava in un foglio a parte non firmato. Molti tribunali hanno dichiarato nulla la CMS se non risulta da patto sottoscritto. Idem dicasi per altre commissioni come commissione di istruttoria veloce (CIV) applicata sugli sconfinamenti: oggi la normativa (dal 2012) la consente purché trasparente e correlata ai costi effettivi, ma se viene applicata senza essere stata concordata nelle condizioni, il cliente può chiederne la restituzione.
Un caso frequente: spese forfettarie trimestrali e percentuali varie. Ad esempio, “commissione disponibilità fondi 0,5% trimestrale” deve essere in contratto; se la banca l’ha addebitata ma non c’è traccia, è indebita.
Un altro: spese di tenuta conto esagerate non concordate. Di solito le spese fisse mensili o per operazione sono in contratto. Se la banca ne aggiunge, il cliente può eccepire.
Interessi ultralegali non pattuiti per iscritto
Questo è un principio di base: l’art. 1284 c.c. dice che gli interessi superiori al tasso legale devono essere pattuiti per iscritto; altrimenti sono dovuti solo nella misura legale. È norma imperativa. Nell’ambito bancario però è pacifico che i contratti scritti indicano i tassi; se non lo fanno (caso “uso piazza” di cui sopra), scatta appunto il tasso legale. Quindi questo concetto l’abbiamo già coperto.
Errori formali nel contratto o usura “contrattuale”
Se il contratto avesse errori come TAEG mancante (nel conto corrente il TAEG non è obbligatorio, lo è nei mutui al consumo), o se per assurdo le somme delle percentuali sono scritte male (es. tasso in cifre diverso da tasso in lettere), potrebbero esserci nullità relative. Ma queste sono situazioni specifiche.
In generale, la regola d’oro è: ogni costo deve risultare da pattuizione chiara e scritta; in difetto, il cliente non è tenuto a pagarlo. Così dice l’art. 117 TUB e l’art. 125-bis TUB per i consumatori. Ciò significa che, in sede di verifica di un conto, si controlla la lettera di fido e le condizioni: se manca qualcosa che invece è stato addebitato, quell’importo è recuperabile. Ad esempio, in alcune cause i correntisti hanno contestato addebiti di spese per invio estratto conto eccessive rispetto al concordato, o valute non pattuite (le valute sono i giorni aggiuntivi per accredito/addebito: dal 2000 dovevano essere pattuite, se la banca tratteneva giorni di valuta non concordati, poteva essere considerata una remunerazione implicita indebita: c’è stato dibattito se computarla come costo ai fini usura o come indebito da ristorare).
Nullità parziale e rideterminazione del rapporto
Quando una clausola contrattuale è nulla, la nullità non travolge l’intero contratto di conto corrente (che continua a esistere) ma solo la singola pattuizione, a meno che si tratti di elemento essenziale. Di solito qui è nullità parziale ex art. 1419 c.c., con integrazione eteronoma (cioè con criteri legali o equitativi). Ad esempio:
- Clausola anatocismo nulla: si butta via la capitalizzazione, però resta valida la parte di tasso, quindi si applicano interessi semplici.
- Clausola tasso indeterminato nulla: si integra col tasso legale o BOT ex lege 117 TUB.
- Clausola CMS nulla (perché non specificata o per diposizione di legge): se considerata nulla in toto, la banca non potrebbe pretendere nulla come CMS. Spesso le CMS già pagate sono state restituite o portate a riduzione del debito.
- Clausola interessi usurari nulla: qui in effetti l’elemento interessi corrispettivi è essenziale, ma la legge prevede espressamente l’effetto sostitutivo: zero interessi. Quindi il contratto resta valido come mutuo gratuito.
In definitiva, per il correntista l’effetto è sempre: si ricalcolano i dare/avere con le clausole corrette eliminate o sostituite.
Ricapitoliamo le principali clausole e loro destino in uno schema di riepilogo:
Clausola contrattuale viziata | Motivo di nullità/illegittimità | Conseguenza pratica |
---|---|---|
Capitalizzazione trimestrale interessi debitori (ante 2000) senza pari periodicità attivi | Contrasta con art. 1283 c.c. (nessun uso normativo valido) – Nullità per violazione norma imperativa. | Eliminazione dell’anatocismo: interessi da ricalcolare senza capitalizzazione (interessi semplici). Cliente rimborsa solo interessi semplici; gli interessi composti pagati vanno restituiti. |
Clausola “uso piazza” per tassi (indeterminatezza) | Violazione art. 1284 c.c. e 1346 c.c. – Nullità per indeterminabilità dell’oggetto. Inoltre, proibita ex art. 117 TUB (post 1992). | Sostituzione con tasso legale o tasso BOT (ex art. 117 TUB). Differenza tra quanto pagato e quanto dovuto a tasso legale = indebito da restituire al cliente. |
Interessi ultralegali senza forma scritta (non pattuiti per iscritto) | Violazione art. 1284 c.c. – Nullità. | Cliente deve solo il tasso legale. (In pratica copre il caso uso piazza di cui sopra). |
Commissione di massimo scoperto non pattuita chiaramente o applicata in modo difforme (es. su saldo < 30 gg, vietata dal 2009) | Violazione obbligo forma scritta (art. 117 TUB) o L. 2/2009 art. 2-bis co.1 (divieto CMS <30gg) – Nullità della clausola CMS. | La CMS addebitata viene stornata. Se già pagata, è ripetibile. Dal 2010 sostituita da commissione onnicomprensiva: se non rispetta requisiti di legge (max 0,5% trimestre sul affidato), l’eccedenza è nulla. |
Clausola di ius variandi generica (facoltà banca di cambiare tasso senza specifiche) | Potenzialmente vessatoria (art. 33 Codice Consumo, se consumatore) o nulla ex art. 117 TUB se non rispettosa di condizioni. | In teoria clausola invalida -> variazioni unilaterali nulle se fatte in base ad essa. Quindi tasso resta quello iniziale salvo accordi. (In pratica da valutare caso per caso). |
Aumento tassi non comunicato (violazione art.118 TUB) | Inosservanza norma imperativa (art. 118 impone forma/sostanza). La giurisprudenza talora parla di inefficacia più che nullità. | Il tasso rimane quello precedente per il periodo non comunicato. Interessi pagati in più vanno restituiti. |
Interessi (corrispettivi o di mora) pattuiti sopra soglia usura | Nullità per contrarietà a norma imperativa (L.108/96, art. 1815 c.c.) – causa illecita del patto di interessi eccedenti. | Nessun interesse dovuto su quel contratto (corrispettivo). Se di mora, nessun interesse di mora convenzionale, ma solo interesse legale per ritardo. Restituzione integrale degli interessi usurari pagati dal cliente. |
Spese, commissioni non pattuite (es. spese incasso effetti non previste) | Violazione art. 117 TUB – nullità. | Non dovute; se addebitate, ripetibili. |
Fideiussione con clausole nulle (ABI) – (tema tangente) | Contrasto con normativa antitrust (pattuizioni conformi schema ABI censurato da Banca d’Italia) – nullità parziale ex art. 1419 c.c. | Clausole come “sopravvivenza dell’obbligo fideiussore” etc. nulle; il fideiussore può non pagare su quelle basi. (C’entra indirettamente: Cass. SU 41994/2022). |
(La tabella sopra riassume alcuni casi di nullità e relative conseguenze. Le fonti giurisprudenziali sono indicate dove rilevante, ad es. Cass. 1287/2002 e altre sul “uso piazza”; L. 154/92 – art. 4 e Cass. SU 21095/04; Cass. 27118/2013 su CMS “uso piazza” sempre nulla; Cass. 12965/2016 e SU 16303/2018 su CMS e usura; Cass. 602/2013 su tasso soglia e mora; ecc.)
Come rilevare queste nullità nei rapporti pratici: Un avvocato o un esperto, nel valutare un conto corrente per un cliente, procederà tipicamente così:
- Esame del contratto di apertura di conto e degli eventuali contratti di affidamento: cercare le clausole di determinazione interessi, commissioni, valute. Se trova “al tasso che sarà comunicato”, “al tasso uso piazza”, o spazi bianchi poi riempiti in modo non chiaro, segnala possibili nullità.
- Esame delle comunicazioni successive: lettere di variazione tassi, contratti modificativi (es. patti di ricognizione, nuovi fidi, ecc.). Verificare se la capitalizzazione è stata contrattualizzata post-2000, se le commissioni sono state cambiate con consenso, etc.
- Confronto con gli estratti conto: vedere se la banca ha applicato voci non presenti nel contratto. Ad es., c’è addebito “Commissione istruttoria veloce €50” ogni volta che sconfina, ma nel contratto degli anni 2000 non c’era menzione: quella voce è contestabile.
- Analisi peritale: far ricostruire il saldo del conto applicando scrupolosamente solo le condizioni valide (escludendo clausole nulle). Il perito rifà il calcolo rimuovendo anatocismo, usando tasso legale al posto di tasso non pattuito, togliendo commissioni e spese non dovute, e applicando zero interessi nei trimestri usurari, ecc. Otterrà un saldo “rettificato”. La differenza col saldo contabile ufficiale è l’importo che la banca ha indebitamente addebitato.
Questa differenza potrà essere utilizzata dal correntista per pretendere un rimborso (se ha pagato in eccesso) oppure come riduzione del debito verso la banca (se c’è ancora uno scoperto).
Va osservato che spesso nei giudizi di questo tipo emergono più profili insieme: ad esempio, un medesimo conto può presentare sia anatocismo trimestrale illegittimo sia tassi ultra-soglia in certi periodi sia commissioni non pattuite. Tutti questi motivi si cumulano a beneficio del correntista. Le banche provano a difendersi su ogni fronte, ma se emergono violazioni nette delle norme, i giudici sono ormai orientati a far rispettare rigorosamente la legge. Le banche, a loro volta, in anni più recenti sono diventate più attente: oggi difficilmente un contratto 2020 conterrà errori grossolani come “uso piazza”; e con tassi bassi l’usura è meno frequente sui conti. Però per molte piccole imprese gli abusi risalgono agli anni addietro, e c’è un interesse attuale a fare pulizia storica dei rapporti.
Nel prossimo capitolo parleremo dei profili di prescrizione, ovvero fino a che punto indietro nel tempo si può reclamare e ottenere il rimborso degli interessi illegittimi. Questo è un aspetto critico perché, per quanto un cliente possa aver subito addebiti illegittimi magari per decenni, la legge impone dei limiti temporali all’azione di ripetizione.
Prescrizione del diritto alla ripetizione degli interessi indebiti
La prescrizione è il limite temporale oltre il quale un diritto non può più essere fatto valere in giudizio. In materia di ripetizione di indebito bancario, il termine di prescrizione è quello ordinario decennale (art. 2946 c.c.), trattandosi di diritti di credito di natura contrattuale o extracontrattuale (indebito oggettivo ex art. 2033 c.c.). Tuttavia, determinare quando inizia a decorrere questo termine (il cosiddetto dies a quo) nei rapporti di conto corrente è stata questione dibattuta e risolta dalle Sezioni Unite della Cassazione.
Il principio generale: per domandare il rimborso di somme indebitamente pagate, la prescrizione comincia dal giorno del pagamento (art. 2935 c.c., decorrenza dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere). Quindi, se un correntista paga una certa somma di interessi non dovuti in una data, da quella data ha 10 anni per chiederla indietro. Questo criterio si applica facilmente ai pagamenti isolati. Ma nel conto corrente con apertura di credito, i “pagamenti” non sono sempre distinguibili chiaramente, e per di più il conto è un rapporto di durata dove addebiti e accrediti si susseguono continuamente.
La problematica era: i vari addebiti trimestrali di interessi (anatocistici e non) sul conto costituivano di per sé dei “pagamenti” da cui far decorrere la prescrizione dell’azione di ripetizione, oppure no? Le banche sostenevano di sì: ogni trimestre, quando capitalizzavano gli interessi, si avrebbe un pagamento da parte del cliente (che li vedeva addebitati, magari coperti dai versamenti successivi) – dunque 10 anni da ciascun trimestre. I clienti sostenevano di no: finché il conto è aperto e con affidamento, quegli addebiti non sono pagamenti definitivi, ma solo registrazioni provvisorie in conto, perché il saldo rimane nell’ambito del fido e nulla è definitivamente versato alla banca; solo alla chiusura del conto o revoca fido c’è l’obbligo di pagare il saldo. Di qui la tesi che la prescrizione inizi dal saldo di chiusura.
Le Sezioni Unite 24418/2010 hanno composto il quadro con una soluzione distinta a seconda della natura delle rimesse:
- Se il conto è affidato (c’è un fido) e le rimesse (versamenti) del correntista avvengono entro il limite del fido, tali versamenti sono considerati ripristinatori della provvista e non pagano un debito liquido esigibile, quindi non fanno decorrere la prescrizione. In tal caso, il diritto del correntista di ripetere gli interessi illegittimamente addebitati matura (diventa esigibile) solo quando il conto si chiude (per recesso o revoca) e viene quantificato il saldo. Dalla data di chiusura del conto parte il termine di 10 anni. Questa regola vale solo per le rimesse entro fido, ovvero quando il conto, nonostante gli interessi indebiti, non è mai andato oltre il credito concesso. L’idea è che il cliente, dentro il fido, non sta realmente “pagando” gli interessi, ma li sta solo contabilizzando: il debito per interessi è incluso nel saldo che resta fluttuante finché c’è disponibilità. Quindi il cliente può attendere la fine per fare i conti.
- Se invece c’è una rimessa solutoria, ossia un versamento che va a coprire uno scoperto extrafido (oltre il fido) o comunque paga una somma che la banca poteva già esigere (ad esempio, se il fido era azzerato e c’era un saldo a debito fuori fido, ogni versamento su quello è pagamento effettivo del debito), allora quel versamento è considerato un pagamento a tutti gli effetti e fa scattare il termine di 10 anni da quel momento per l’eventuale ripetizione. In pratica: se la banca ti aveva addebitato interessi anatocistici su uno sconfinamento e tu poi hai versato coprendo, hai pagato quell’indebito e hai 10 anni da lì per chiederlo indietro.
Un modo semplice per individuare rimesse solutorie: se il conto non aveva fido (conto “scoperto non affidato”), allora ogni versamento su un saldo passivo è solutorio perché riduce uno scoperto che la banca può chiedere in ogni momento. Quindi, per conti non affidati, la prescrizione decorre rata per rata di interessi capitalizzati. Invece, se c’è un fido di X euro, finché il saldo rimane tra 0 e -X, le operazioni rientrano nel fido e sono ripristinatorie; se va a -X-qualcosa (scoperto oltre fido), la parte in più è come un debito immediatamente dovuto, e i versamenti che lo colmano sono pagamenti.
Esempio per chiarire: Conto affidato €100k. Saldo oscilla, ma supponiamo che per la maggior parte stia entro -100k. Tutti i versamenti fatti in quella fase servono a riportare il saldo magari da -90 a -50 etc., comunque entro fido: nessun pagamento definitivo. A fine rapporto (chiusura conto), supponiamo 2018, c’è un saldo di -80k che il cliente paga allora. I 10 anni partono dal 2018 per contestare qualsiasi interesse indebito addebitato negli anni. Al contrario, se in un periodo nel 2015 il cliente era andato a -120 (20k oltre fido) e il giorno dopo versa 30k portando saldo a -90 (entro fido), quei 20k coperti erano debito esigibile: per eventuali interessi indebitamente conteggiati in quell’extrafido nel 2015 la prescrizione parte dal 2015.
Questa distinzione è a volte complessa da applicare, perché bisogna storicizzare l’andamento del conto e capire quali versamenti eccedevano il fido. Però è ciò che i CTU e periti fanno: marcano con un colore le rimesse solutorie e ripristinatorie.
Eccezione di prescrizione in giudizio: È la banca a dover eccepire la prescrizione, indicando quali addebiti indebiti sarebbero prescritti perché riferiti a pagamenti oltre i 10 anni. Secondo SU 24418 e seguenti, la banca deve specificare le rimesse solutorie su cui si fonda l’eccezione. Un’eccezione generica “gli interessi anteriori al 2010 sono prescritti” non basta se il conto è chiuso nel 2018 e c’era fido: la banca dovrebbe dire “era senza fido” oppure “c’erano sconfinamenti saldati in data X, Y”. Se non lo fa, il giudice potrebbe non considerare provata la prescrizione per quell’indebito.
Attenzione: Queste regole si riferiscono all’azione di ripetizione attiva del cliente. Se invece la banca agisce per il saldo e il cliente eccepisce nullità e indebito in via difensiva, si discute se valga la prescrizione. La Cassazione ha detto che la prescrizione opera anche in compensazione: se il credito del correntista è prescritto, non può opporlo neanche come eccezione per ridurre il dovuto (perché diverrebbe comunque un mezzo per far valere un diritto prescritto). C’è però chi distingue nullità come eccezione “di mero accertamento” – ad es., dire la clausola è nulla e quindi il credito della banca è inferiore non è proprio ripetere un indebito, ma questione di quantificazione. Comunque, grosso modo la giurisprudenza ritiene che la prescrizione è un limite generale e anche in sede difensiva l’indebito non può essere computato se era già prescritto quando la banca ha chiuso conto e chiesto il saldo.
Quindi, fino a quanti anni indietro si può recuperare? Dipende dalla situazione del conto e dal tipo di rapporto:
- Conto affidato chiuso: dieci anni dalla data di chiusura del conto per tutto l’indebito generato da rimesse ripristinatorie. Esempio: conto chiuso nel 2020, affidato; il cliente ha tempo fino al 2030 per azione su interessi anatocistici/usurari indebiti accumulatisi anche dal 2000 in poi, purché le eccedenze pagate siano state tutte entro fido. Ovviamente se il conto era aperto da prima del 2010, alcune poste più antiche rientrano ancora. Questo criterio ha permesso ad azioni iniziate nel 2010 di coprire conti aperti addirittura dagli anni ‘80 e chiusi nei primi anni 2000.
- Conto non affidato o sconfinamenti pagati via via: in questo caso, ogni addebito di interessi sul conto (che di fatto riduce il saldo disponibile) è come un pagamento immediato. Quindi vale 10 anni dall’addebito stesso. Un conto non affidato è come un debito a vista: se la banca addebita 100€ di interessi il 30/6/2014 e il cliente aveva 0 e va a -100, quella è una sottrazione dal conto. Se poi versa 100 il 1°/7, ha pagato. Quindi fino al 30/6/2024 può richiederli.
- Conto ancora aperto: Finché il conto è aperto ed è affidato, la prescrizione per le rimesse ripristinatorie non inizia proprio. Questo però non vuol dire che convenga aspettare all’infinito, perché poi dalla chiusura decorre e un’azione può essere lunga. Ma teoricamente uno può anche agire durante il rapporto per far accertare la nullità di clausole senza chiedere immediatamente importi (ad esempio cause di accertamento del saldo). Però in genere si attende la chiusura per fare i conti finali.
- Un caso peculiare: conti chiusi con saldo zero (nessuno deve nulla a nessuno) e il cliente poi scopre di aver diritto a rimborso. Anche lì, direi 10 anni dalla chiusura, interpretando la chiusura come momento di “saldo e pagamento” reciproco anche se il saldo era zero (in realtà zero perché erano compresi indebiti pagati). Cass. 24418 ha parlato in generale di chiusura come dies a quo. Quindi se un conto è stato chiuso nel 2015 con versamento finale che copriva tutto, il cliente avrebbe fino al 2025 per far causa su eventuali indebitamente pagati (nonostante alcuni interessi fossero stati originariamente addebitati anche 15-20 anni prima, ma mai “soluti” prima).
Rilevanza pratica: Molte banche in giudizio riescono a far cadere una parte delle pretese dei clienti sollevando la prescrizione. Ad esempio: azienda fa causa nel 2025 su conto chiuso nel 2012 affidato. Sono passati più di 10 anni, potrebbe essere tutto prescritto se contiamo dalla chiusura (2012 + 10 = 2022). In tal caso, se la banca eccepisce, il cliente perde l’azione perché ha aspettato troppo. Ecco perché è fondamentale muoversi entro 10 anni dalla chiusura (anzi, meglio molto prima, per sicurezza).
Oppure: conto senza fido dove interessi indebiti sono stati pagati via via dal 2010 al 2015, e si fa causa nel 2024. Le poste 2010-2013 potrebbero essere parzialmente prescritte (oltre 10 anni) mentre 2014-2015 recuperabili.
Interruzioni della prescrizione: Certamente, se il cliente ha fatto un reclamo scritto alla banca contestando interessi, quello può valere come atto interruttivo, ricominciando i 10 anni. Anche l’adesione a una procedura di mediazione può avere effetti interruttivi. Inoltre, se la banca riconosce il debito (cosa rarissima), la prescrizione riparte. In pratica, se un cliente contesta nel 2018 e poi fa causa nel 2025, quell’atto del 2018 può aver interrotto la prescrizione, facendo ripartire da zero i 10 anni. Bisogna però che l’atto identifichi il credito e la volontà di farlo valere. Un generico reclamo “ci avete applicato usura e anatocismo” a volte viene valutato come sufficiente.
Nullità imprescrittibile? Alcuni ragionano: la nullità di una clausola contrattuale non è soggetta a prescrizione, ex art. 1422 c.c. (l’azione di nullità è imprescrittibile). Questo è vero se si tratta di far dichiarare la nullità: ad esempio, anche dopo 20 anni potresti far accertare che la clausola era nulla. Però la restituzione delle somme pagate in forza di quella clausola segue le regole dell’indebito e quindi è prescrivibile. Quindi non c’è un modo per aggirare il termine: uno può sempre eccepire nullità per non pagare in un giudizio attuale, ma se chiede indietro soldi già pagati, scatta l’indebito con prescrizione.
Riassumendo i casi in cui il correntista può trovarsi rispetto alla prescrizione:
- Ha il conto ancora aperto da molto tempo, con fido. Non ha urgenza immediata di agire perché il termine non corre fino a chiusura (per gli addebiti entro fido). Ma se sente odore di revoca fido o chiusura, deve stare all’erta e comunque ragionevolmente agire prima di 10 anni dopo la chiusura. Potrebbe anche valutare di attivare intanto un reclamo o ABF per mettere in mora la banca.
- Ha un conto chiuso entro 10 anni: buon momento per agire, l’azione è pienamente nei termini.
- Ha un conto chiuso da più di 10 anni: l’azione di ripetizione sarà con ogni probabilità dichiarata prescritta (a meno di trucchi come dire che c’è stata una causa pendente, o la banca ha riconosciuto, ecc., ma rari). Potrà però ancora usare l’eccezione di nullità se la banca tentasse di chiedergli qualcosa (ma se è chiuso, di solito no).
Val la pena segnalare che la Consulta fu coinvolta su questo tema: La Corte Costituzionale con sentenza 78/2012 (nominata prima) dichiarò illegittimo un tentativo normativo che mirava a far decorrere la prescrizione degli indebiti bancari sempre dalla data dell’annotazione in conto e non dalla chiusura. Il legislatore con il D.L. 225/2010 art. 2, co.61 (milleproroghe) aveva provato a emanare una norma interpretativa pro-banche, dopo SU 2010, per neutralizzarne l’effetto. Stabiliva che per i contratti chiusi prima del 2010 la prescrizione decorreva comunque dall’annotazione (di fatto cancellando diritti di chi aveva conti ancora aperti!). La Consulta l’ha dichiarata incostituzionale nel 2012, tutelando così i correntisti. Questo significa che i contenziosi pre-2010 hanno continuato a proliferare; se la norma fosse passata, tanti non avrebbero avuto scampo per pretese vecchie. È un dettaglio storico, ma importante a livello di policy: l’ordinamento ha scelto di non tagliare con legge retroattiva i diritti dei correntisti.
Conclusione su prescrizione: Il debitore-correntista deve tenere a mente il fattore tempo. Anche se moralmente ritiene di aver subito un torto prolungato, deve muoversi entro certi limiti. In azioni giudiziarie complesse come queste, spesso vengono contestati decenni di operazioni; tuttavia il giudice potrà accogliere solo la parte non caduta in prescrizione secondo le regole sopra esposte. E se c’è incertezza su quali versamenti siano solutori, spesso si chiede al CTU di individuare da quando considerare le poste prescritte. Questo aggiunge tecnicismo, ma ormai i parametri SU 2010 sono ben assimilati.
Riassumiamo in breve: per conti affidati, 10 anni dalla chiusura del conto (salvo sconfinamenti pagati prima); per conti non affidati, 10 anni da ogni addebito di interessi. Nel dubbio, se si è a ridosso del termine, conviene interrompere con un atto scritto (raccomandata/PEC di diffida alla banca), che fa ripartire il conteggio.
Ora che abbiamo delineato quali interessi possono essere recuperati (anatocistici, usurari, da clausole nulle) e entro quando, passiamo a illustrare come procedere concretamente per ottenere il rimborso.
Procedura pratica per ottenere il rimborso degli interessi indebiti
Dal punto di vista del correntista (debitore), come si passa dalla teoria – sapere di aver pagato interessi non dovuti – alla pratica del rimborso? Ecco i passaggi e strumenti tipici:
1. Raccolta dei documenti bancari: Il primo passo è procurarsi tutta la documentazione del rapporto di conto corrente:
- Il contratto di conto corrente e di apertura di credito (fido), inclusi eventuali atti aggiuntivi, lettere di modifica delle condizioni, patti di ricognizione del saldo, ecc.
- Gli estratti conto completi di tutto il periodo interessato (mensili o trimestrali a seconda della periodicità ricevuta). Fondamentali sono gli allegati di ciascun estratto conto dove sono indicate le competenze trimestrali: tasso applicato, interessi maturati, commissioni addebitate, valute.
- Gli scalari o movimenti giornalieri, se disponibili, per poter calcolare i saldi medi su cui si basano gli interessi. Spesso i periti richiedono gli scalari. In mancanza, si possono stimare i saldi medi mensili se servono.
- Il conteggio di chiusura conto (estratto conto finale) ed eventuali atti di quietanza o saldo e stralcio firmati. Se ad esempio il cliente ha firmato un documento accettando un certo saldo a chiusura, va esaminato per capire se vi ha rinunciato a far cause. Di solito però clausole di rinuncia generiche non impediscono azioni su nullità.
- Documenti accessori: condizioni economiche praticate (talvolta fornite in allegato), corrispondenza con la banca (es: comunicazioni di variazione tassi).
- Se si sospetta usura: i decreti ministeriali dei tassi soglia nel periodo (questi sono pubblici e facilmente reperibili, ma il perito li avrà).
Se il cliente non ha conservato gli estratti conto, ha il diritto di richiederli alla banca (ex art. 119 TUB, diritto di ottenere copia della documentazione fino a 10 anni indietro dalla richiesta). Oltre 10 anni, la banca non è tenuta per legge a conservarli. Però spesso per cause di questo tipo servono periodi anche più antichi: molti studi si sono attrezzati con archivi di documenti o ricostruzioni presuntive. In mancanza assoluta di estratti conto, è difficile quantificare – si può chiedere un CTU contabile in causa per farsi ricostruire movimenti, ma serve qualche base (ad esempio, se si hanno i contratti e qualche estratto saltuario). Comunque, l’ideale è avere tutti i trimestri.
2. Analisi tecnica preliminare (perizia econometrica): Con i documenti alla mano, è prassi far eseguire da un esperto (perito bancario, commercialista, società specializzata) una perizia sui rapporti. Questa perizia calcolerà:
- Quantificazione dell’anatocismo: ricalcolo del conto senza capitalizzazione illegittima, producendo il saldo rettificato e l’importo degli interessi anatocistici pagati in eccesso.
- Verifica usura: calcolo dei TEG trimestrali e confronto con soglie, individuando i trimestri usurari e calcolando quanto di interessi/commissioni va stornato.
- Applicazione delle clausole valide: ad esempio sostituzione di “uso piazza” col tasso legale e ricalcolo.
- Individuazione della prescrizione: di solito il perito evidenzia i periodi che sarebbero prescritti a seconda della chiusura conto o delle rimesse solutorie, in modo da tenere conto solo di ciò che è recuperabile. (Spesso comunque si fornisce il dato complessivo e poi quello decurtato del prescritto).
Il risultato sarà spesso un report con tabelle: per ogni trimestre il saldo e la differenza tra conto banca e conto ricalcolato, e la sommatoria finale. Ad esempio: “Interessi addebitati dalla banca: €50.000; interessi dovuti secondo legge: €20.000; interessi indebiti pagati: €30.000”. Oppure: “Saldo calcolato dalla banca al 31/12/2020: -€80.000; saldo rettificato: -€40.000; differenza €40.000 di addebiti illegittimi”.
Questa perizia preliminare è utile per: a) capire se c’è materia concreta da reclamare (se la differenza fosse minima, può non valere la pena avviare una lite); b) avere un riferimento per le trattative o per sostenere il reclamo. È importante affidarsi a esperti seri, perché le banche poi scrutano queste perizie per trovare errori. Ad esempio, errori nel calcolo del TEG o nell’individuare i periodi prescritti possono indebolire la posizione.
3. Reclamo scritto alla banca: Prima di passare a vie legali, è opportuno (e per alcuni tipi di controversie, obbligatorio) tentare una soluzione stragiudiziale. Il cliente invia un reclamo formale all’ufficio reclami della banca (di solito via PEC o raccomandata). Nel reclamo si espone sinteticamente:
- Il rapporto in oggetto (numero di c/c, intestatario, periodo).
- Le contestazioni: es. “Avete applicato anatocismo trimestrale in assenza di pattuizione valida fino al 2007, avete applicato tassi ultra soglia nei trimestri X, Y, la clausola di interesse era nulla per uso piazza… etc.” – dipende dai casi.
- L’importo che si ritiene indebitamente pagato (supportato dalla perizia eventualmente) e la richiesta di rimborso di tale somma.
- Eventualmente, citare le norme e sentenze chiave a sostegno (questo va calibrato: se il reclamo è troppo aggressivo, la banca risponde coi para-legali; ma far capire che si conosce SU 2010, Cassazioni, ecc. può spingerli a non sottovalutare).
- Richiesta di riscontro entro il termine (generalmente 30 o 60 giorni come da normativa sulla gestione reclami).
Spesso, le banche respingono il reclamo, soprattutto se la somma è alta, per prassi. Potrebbero rispondere con motivazioni standard: “abbiamo applicato le condizioni contrattuali e normative vigenti” oppure “il reclamo è infondato e/o prescritto”. In rari casi, potrebbero proporre una composizione (es. offerta di rimborso parziale) – più facile questo accada se la somma non è enorme e la banca riconosce internamente che effettivamente c’è un problema (ad esempio, su conti di consumatori spesso fanno offerte per evitare ABF). Per conti aziendali con cifre rilevanti, di solito il contenzioso prosegue.
4. Ricorso all’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) o mediazione: In Italia esiste l’Arbitro Bancario Finanziario, un organismo di risoluzione stragiudiziale delle controversie bancarie, competente per valori fino a €200.000 (sopra è solo se il cliente rinuncia all’eccedenza). L’ABF è abbastanza usato dai consumatori per questioni di anatocismo/usura su conti e mutui, con decisioni spesso favorevoli ai clienti (anche se non vincolanti come legge, ma moralmente per la banca sì, se soccombe deve adeguarsi o ci fa brutta figura). Il vantaggio ABF: costa solo €20 al ricorrente, decisione in 6-9 mesi senza avvocato necessario. Svantaggio: non è vincolante come sentenza (ma 99% delle banche rispettano le decisioni), e alcuni temi complessi (es. soglia usura tecnica del TEG, ecc.) possono essere trattati sommariamente.
Per un imprenditore non consumatore, l’ABF è comunque accessibile (non solo per consumatori). Molti studi legali provano ABF prima di causa: se va bene, il cliente ottiene risultato in meno di un anno; se va male, la posizione in ABF non pregiudica più di tanto la causa (anche se la banca la esibirà).
L’alternativa (o in parallelo, a volte obbligatoria) è la mediazione civile. Le controversie in materia bancaria sono soggette a mediazione obbligatoria (D.Lgs. 28/2010): prima di andare in tribunale bisogna presentare un’istanza di mediazione presso un organismo e incontrare (o almeno convocare) la banca. Spesso, le banche partecipano solo formalmente e non offrono granché. Ma in alcuni casi, specie se vedono che il cliente ha un caso forte, può scapparci un accordo. La mediazione sospende per legge la prescrizione per la durata del procedimento e 4 mesi dopo.
5. Azione giudiziaria in tribunale: Se il reclamo viene negato o ignorato (dopo 60 gg di silenzio si può procedere), e se la mediazione non dà esito, non resta che fare causa. L’atto di citazione dovrà ben argomentare tutte le nullità e violazioni contrattuali, quantificando l’indebito richiesto (spesso “salvo diverso calcolo in corso di causa”, ma comunque dando un numero). Va chiesto al giudice:
- Dichiarare la nullità delle clausole X, Y (anatocismo, uso piazza, ecc.).
- Accertare la giusta misura del saldo di conto corrente epurato dagli addebiti illegittimi.
- Condannare la banca a restituire € tot (o a pagare quella somma), oltre interessi legali e rivalutazione dalla data dei singoli pagamenti (o da domanda) al saldo.
Spesso si chiede di quantificare esattamente tramite Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU): il giudice nomina un perito super partes che rifà i calcoli secondo le direttive che il giudice gli dà (es: “ricalcoli il rapporto eliminando la capitalizzazione trimestrale fino al 2000 e applicando tasso legale in luogo di tasso uso piazza, e verifichi il TEG vs soglia, etc.”). Le CTU bancarie sono molto tecniche e durano mesi. Le parti nominano consulenti di parte (CTP) che seguono. Alla fine il CTU produce una relazione con numeri, e di solito su quella base si decide.
L’esito tipico: se il correntista ha ragione, il tribunale pronuncia una sentenza che dichiara nulle le clausole contestate e condanna la banca a pagare la somma risultante (più spese legali generalmente). Oppure, se la banca aveva un decreto ingiuntivo, lo revoca in parte o totalmente. Esempio: tribunale X accerta che il cliente ha pagato €100k di interessi non dovuti, condanna la banca a restituirli con interessi legali dal giorno della domanda (o dalla mora, a seconda).
6. Esecuzione e rimborso effettivo: Una volta ottenuta la decisione favorevole (ABF o sentenza), la banca di solito paga spontaneamente, specie se il cliente ha ancora rapporti. Se no, si procede esecutivamente come per qualsiasi credito (pignoramenti etc., ma raramente serve con banche solvibili).
È importante notare che, se il cliente ha ancora esposizione residua con la banca (ad esempio un mutuo o un altro conto), potrebbe valutare di compensare o di usare il credito in conto corrente in quel modo. Le banche a volte preferiscono fare un netting: se ti devono 50 ma tu hai un debito di 80, ti scalano e rimodulano il residuo debito a 30. Ovviamente ciò deve risultare da accordi o da pronuncia se i rapporti sono diversi. La compensazione legale opera se i crediti sono liquidi ed esigibili: se c’è già sentenza, il credito del correntista verso banca è liquido, quindi compensabile con eventuali debiti.
Costi e convenienza: Agire per rimborso interessi comporta spese (consulenze, legali). Se l’importo in ballo è modesto (diciamo sotto €5-10 mila), conviene tentare ABF o accordo, perché la causa rischia di avere costi paragonabili. Se l’importo è alto (decine o centinaia di migliaia), l’azione può valere la pena. Le cause bancarie possono durare a lungo (2-4 anni in primo grado, più eventuali appelli), quindi il cliente deve essere consapevole. In compenso, spesso gli interessi legali maturati nel frattempo su quanto da restituire mitigano il ritardo.
Scenario alternativo: difendersi da una richiesta della banca. Finora abbiamo parlato di recuperare somme pagate. Ma molti casi sorgono quando è la banca a chiedere soldi al cliente (es. saldo debitore, decreto ingiuntivo, ecc.) e il cliente oppone le illegittimità. In tal caso, il cliente assume il ruolo di convenuto/opponente: l’onere di avviare mediazione è della banca creditrice (ma l’opponente può farlo per accelerare). La logica è la stessa: dimostrare che il saldo richiesto è gonfiato da anatocismo/usura/nullità. In queste ipotesi, più che ricevere denaro, l’obiettivo del cliente è non pagare o pagare meno. Ad es., se la banca ingiunge €100k e il giudice trova che 40k sono indebito, l’opposizione riesce e il debito scende a 60k (o si annulla se l’indebito superava il saldo).
Composizione transattiva: Data la lunghezza dei giudizi, spesso durante la causa le parti possono accordarsi. La banca potrebbe offrire uno sconto, il cliente accettare di chiudere a una cifra intermedia. Esempio: indebito calcolato 100k, banca offre 60k “cash e chiudiamo qui senza ammettere colpa”. Il cliente risparmia tempi e incertezze. Molte cause di questo tipo effettivamente si chiudono così, anche a seguito di trattative condotte durante la CTU (il CTU anticipa magari che viene fuori tot, e allora si stringono patti per evitare spese ulteriori).
Da notare: in certe vicende, soprattutto quelle di usura, i clienti arrabbiati a volte presentano anche denunce penali per usura a carico di dirigenti della banca. Questo mette pressione, ma la Cassazione penale ha criteri di prova molto rigorosi (bisogna dimostrare dolo, consapevolezza della soglia, ecc.). Spesso le denunce penali vengono archiviate perché la materia è ambigua. Comunque, come leva negoziale a volte spunta, specie per far ottenere documenti o attenzione al reclamo. È un’arma delicata da maneggiare con cautela e serio fondamento, altrimenti ci si espone a querele di calunnia.
In sintesi, il percorso consigliato per un debitore che voglia ottenere rimborso è: perizia – reclamo – (ABF e/o mediazione) – citazione in tribunale. Il tutto assistito da professionisti (avvocati esperti di diritto bancario, supportati da consulenti contabili).
Di seguito, per maggiore chiarezza espositiva e per rispondere ai dubbi più comuni, proponiamo una sezione di Domande e Risposte, che affronta in modo diretto i quesiti frequenti che imprenditori e professionisti si pongono sul rimborso degli interessi bancari.
Domande frequenti (FAQ) sul rimborso di interessi bancari indebitamente pagati
D: Chi può richiedere il rimborso degli interessi su un conto corrente aziendale?
R: Qualsiasi titolare di conto corrente (società, ditta individuale, professionista o anche privato) che abbia pagato interessi non dovuti per effetto di clausole nulle o pratiche illegittime. Nel contesto di questa guida parliamo di conti aziendali, quindi tipicamente imprese e professionisti, ma i principi valgono anche per i consumatori. Va chiarito che se il conto è intestato a una società poi fallita o liquidata, la legittimazione spetta alla curatela fallimentare o ai liquidatori. In generale, però, l’azienda correntista (o chi ne ha titolo attualmente) può agire per ripetere le somme indebitamente versate alla banca.
D: Quali sono i casi più frequenti di interessi indebiti nei conti correnti?
R: I casi più comuni sono: anatocismo (capitalizzazione periodica degli interessi a debito, specie trimestrale, prima che la legge lo consentisse, dunque fino al 2000 senza reciprocità, o anche dopo 2000 se non approvata dal cliente); usura (tassi effettivi praticati superiori al tasso soglia di legge in uno o più trimestri, includendo commissioni e spese); clausole nulle sui tassi (rinvio a “usi piazza” o comunque mancata pattuizione scritta del tasso ultralegale); commissioni indebite (es. commissione di massimo scoperto non pattuita o vietata, commissioni occulte); variazioni unilaterali non valide (banca che alza i tassi senza rispettare l’art.118 TUB); errori di calcolo o applicazione di condizioni diverse da quelle contrattuali. Tutte queste situazioni generano addebiti non dovuti che il correntista può reclamare.
D: Cosa significa esattamente “anatocismo” e perché è stato a lungo al centro delle cause?
R: Anatocismo significa far produrre interessi a interessi scaduti. In concreto, la banca calcolava gli interessi passivi su base trimestrale e li addebitava sul conto. Quegli interessi incrementavano il capitale dovuto, per cui nel trimestre seguente il cliente pagava anche interessi su di essi (interessi su interessi). Ciò aumentava il costo totale del fido. Questa prassi, diffusa e regolata solo da usi bancari, è stata dichiarata illegittima nel 1999 (Cass. 2374/1999) perché in conflitto con l’art. 1283 c.c.. Da allora, tantissimi correntisti hanno chiesto indietro gli interessi anatocistici pagati negli anni. Attualmente la legge vieta l’anatocismo infrannuale e consente la capitalizzazione solo annuale con precauzioni.
D: Gli interessi anatocistici si possono recuperare tutti o ci sono limiti temporali?
R: Si possono recuperare quelli pagati entro i limiti di prescrizione. La prescrizione è 10 anni dal pagamento. Tuttavia, se il conto era affidato, finché era aperto e entro fido non c’era un pagamento definitivo, quindi il termine parte dalla chiusura del conto. In pratica: se il conto è chiuso da meno di 10 anni, si possono far valere tutti gli interessi anatocistici addebitati durante il rapporto (anche 20-30 anni di interessi, purché il conto si sia chiuso di recente). Se invece il conto non era affidato o aveva sconfinamenti saldati, il termine decorre da ogni versamento che ha coperto quegli interessi. Insomma, conti chiusi da oltre 10 anni sono in gran parte prescritti; conti chiusi entro 10 anni o ancora aperti permettono azioni sul lungo periodo. Ogni caso va valutato, spesso con l’ausilio di un esperto che distingue rimesse solutorie e ripristinatorie.
D: Cos’è il tasso soglia antiusura e come faccio a sapere se la banca ha applicato usura?
R: Il tasso soglia è il limite oltre il quale gli interessi sono considerati usurari. Viene fissato per legge ogni trimestre, differenziato per categorie di operazioni (fidi, mutui, scoperti, ecc.). Per verificarlo, bisogna calcolare il tasso effettivo globale (TEG) che la banca ti ha applicato su base trimestrale: comprendere gli interessi, le commissioni e spese collegate, e rapportarli all’esposizione media. Poi confrontare quel TEG con il tasso soglia del trimestre in questione (che si trova nei decreti ministeriali o sul sito Banca d’Italia). Se il TEG effettivo supera la soglia, quel trimestre il costo è usurario. Ad esempio, se nel 4° trim 2022 la soglia per i fidi era 14% annuo e la tua banca considerando interessi + commissioni ti ha fatto pagare il 16%, c’è usura. In tal caso, per legge non sono dovuti interessi. In concreto, significa che tutti gli interessi di quel trimestre (ed eventuali altri trimestri usurari) vanno eliminati. Le verifiche vanno fatte trimestre per trimestre, e magari su tutto il rapporto per essere certi. È un calcolo tecnico: conviene far fare una perizia. Tieni presente che dal 2010 tutte le componenti di costo sono incluse nel calcolo soglia; per gli anni pre-2010, la Cassazione SU 2018 ha definito come includere la commissione di massimo scoperto nel calcolo.
D: Se trovo che alcuni trimestri erano usurari, ho diritto a non pagare tutti gli interessi del rapporto o solo quelli dei trimestri “sforati”?
R: Questa è una domanda importante. L’art. 1815 c.c. dice che se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi (sottointeso: per quel contratto). C’è dibattito se basti un trimestre usurario per invalidare tutti gli interessi dell’intero rapporto di conto (che di solito è a durata indeterminata). Alcune sentenze hanno interpretato che l’effetto nullo riguarda quantomeno tutti gli interessi maturati nel periodo in cui la pattuizione rimane quella. In pratica, se il contratto prevedeva un tasso e commissioni tali che in certi momenti superavano la soglia, si può sostenere che l’intera pattuizione degli interessi è usuraria e quindi azzerare gli interessi per l’intero rapporto. Molti giudici però adottano un approccio più restrittivo e fanno lo “zeramento” solo per i trimestri eccedenti, applicando per gli altri il dovuto. La Cassazione non ha ancora affrontato in modo specifico l’usura nei conti correnti rotativi in termini di periodicità, però il trend è: se c’è usura originaria (dall’inizio tassi sopra soglia) allora zero interessi su tutto il rapporto; se c’è usura solo in alcuni trimestri (sopravvenuta), si tende a togliere quelli sopra soglia e lasciare gli altri, in nome del principio di buona fede/abusività di quelle pretese. In ogni caso, il cliente non deve pagare nulla oltre soglia.
D: È vero che se c’è usura non devo pagare neppure il capitale?
R: No, questo è un falso mito. Deriva da una lettura forzata dell’art. 1815 c.c. che parla solo di “interessi”. Il capitale ottenuto in prestito va comunque restituito (altrimenti sarebbe un arricchimento indebito). Quindi, in un conto corrente, se la banca ha accreditato 100 e tu ne hai restituiti 120 di cui 20 di interessi usurari, hai diritto a riavere i 20, ma i 100 di capitale li dovevi. In un mutuo, se gli interessi convenuti erano usurari, pagherai solo il capitale rateizzato (senza interessi). L’unica ipotesi estrema è se hai già pagato tutti gli interessi e capitale: potresti recuperare gli interessi. Ma non esonera mai dal restituire il capitale preso. Attenzione: a volte si confonde con il penale, dove un contratto usurario potrebbe essere considerato nullo in radice; ma civilmente il legislatore ha voluto punire azzerando gli interessi, non il capitale.
D: Ho firmato gli estratti conto periodici senza mai contestare nulla: posso ancora fare causa?
R: Sì. La firma o mancata contestazione degli estratti conto non impedisce di contestare gli interessi indebiti. L’estratto conto approvato ex art. 1832 c.c. fa stato delle scritture contabili se non impugnato in 60 giorni, ma non sana le nullità contrattuali. In altre parole, l’approvazione dell’estratto impedisce di contestare errori di contabilizzazione o singole operazioni non contestate, ma non preclude al correntista di dire “quegli addebiti, ancorché contabilmente corretti, si fondano su clausole nulle quindi non erano dovuti in radice”. Cassazione e giurisprudenza sono costanti su questo: nullità di clausole di interessi o commissioni può essere fatta valere nonostante l’approvazione degli estratti. Quindi, anche se per anni non hai mai sollevato obiezioni, hai diritto a farlo ora, nei termini di prescrizione. Certo, è sempre bene contestare per tempo, ma legalmente non perdi il diritto di far causa perché hai taciuto prima.
D: Durante il rapporto la banca mi fece firmare un documento di “ricognizione del debito” in cui riconoscevo il saldo. Questo mi impedisce di agire per indebito?
R: Dipende dal contenuto. Se era una ricognizione generica del saldo (tipo: “riconosco di dovere €X alla data Y”), la giurisprudenza la considera spesso come atto dovuto per trasparenza ma non come rinuncia a eccepire nullità. Non è una transazione né un accordo che convalida le clausole nulle. Quindi non ti preclude di contestare che quel saldo includeva somme non dovute. Anche Cass. 2016 n. 22270 ha avallato questa interpretazione: una ricognizione non è una transazione e non blocca la ripetizione di indebito. Diverso se avessi firmato una transazione vera e propria in cui, ad esempio, ti veniva abbuonata una parte e tu rinunciavi a ogni pretesa futura: quella può chiudere i giochi (se fatta dopo che i diritti sono sorti). Ma è rara nei conti correnti. Di solito le “lettere di manleva” o di riconoscimento predisposte dalle banche non sono sufficienti a farti perdere i diritti sulle nullità.
D: Quanto tempo ci vuole per ottenere il rimborso?
R: Può volerci purtroppo parecchio. Se si riesce a evitare il giudizio (tramite ABF o accordo), potresti ottenere rimborso in meno di un anno. Se si va in causa, considera che un processo civile in primo grado può durare 2-3 anni (spesso c’è una CTU in mezzo che prende 6-12 mesi). Se poi la banca appella, altri 2-3 anni. Quindi in peggiore dei casi 5-6 anni (fino in Cassazione anche di più, ma tante cause bancarie si risolvono in appello). Tuttavia, moltissime banche scelgono di transigere prima della sentenza se vedono che il CTU ti dà ragione, per cui realisticamente entro 2-3 anni potresti chiudere la vicenda. Importante: l’ABF è più celere (decisioni tra 6 e 12 mesi in media) e non richiede avvocato, quindi per importi sotto 100k conviene provare.
D: Devo per forza rivolgermi a un avvocato e a un perito? I costi valgono la candela?
R: Se la somma in ballo è significativa, sì, è praticamente necessario. La materia è altamente specialistica: le banche sono difese da legali esperti, e serve una perizia tecnica per convincere giudici o ABF. I costi di perizia e legali possono essere non trascurabili, ma se vinci la causa in tribunale è normale che le spese di CTU e una parte di quelle legali ti vengano rimborsate dalla banca soccombente. Con l’ABF, invece, le spese sono minime (€20 di contributo). In ogni caso, valutando il rapporto costi/benefici, se hai pagato magari decine di migliaia di euro di interessi illegittimi, vale investire in una consulenza e assistenza legale. Per somme piccole (es. €1.000-2.000) potrebbe non convenire andare in tribunale, ma magari l’ABF sì. Molti studi legali offrono un’analisi preliminare gratuita o a costo contenuto per stimare l’indebito; dopodiché potresti valutare.
D: La banca mi ha già revocato il fido e chiesto un saldo che non riesco a pagare. Posso sospendere il pagamento in attesa di far valere queste contestazioni?
R: Situazione frequente: l’azienda subisce revoca fido e decreto ingiuntivo. In tal caso, se hai elementi per contestare interessi e addebiti, devi agire prontamente presentando opposizione al decreto ingiuntivo (entro 40 giorni) e chiedendo eventualmente la sospensione dell’esecuzione. Il giudice può sospendere l’esecutorietà del decreto se vede che c’è fumus (buone ragioni) nelle tue eccezioni, ad esempio presenti una perizia che mostra usura anatocismo. Spesso la sospensione viene concessa, bloccando le azioni esecutive della banca. Poi si fa la causa di merito e si accerterà il saldo corretto. Quindi sì, è possibile evitare di pagare subito usando lo strumento processuale, ma attenzione ai termini: in 40 giorni dall’ingiunzione devi attivarti con un avvocato. Se invece non c’è decreto ma solo richiesta bonaria, puoi comunque rifiutarti di pagare e fare causa tu per accertare il saldo. Ovviamente questa è una posizione conflittuale: rischi che la banca nel frattempo segnali a Centrale Rischi, ecc. Ma è un rischio calcolato se sei convinto. Molti preferiscono cercare un accordo: ad esempio, bloccare l’importo contestato su un conto vincolato e pagare il resto, giusto per non essere segnalati. Dipende dalla trattativa e dal potere contrattuale.
D: Posso chiedere il rimborso anche delle spese legali e degli interessi sul maltolto?
R: Sì. Nell’azione giudiziaria chiederai oltre al capitale indebitamente pagato anche gli interessi legali (o interessi al tasso medio bancario, a titolo di risarcimento) dal giorno del pagamento a quello della restituzione, e la rivalutazione monetaria se c’è stata inflazione sensibile. I giudici spesso liquidano gli interessi legali (che oggi sono attorno al 5% annuo) per il periodo, o dalla domanda giudiziale. Per le spese legali: se vinci, il tribunale di solito condanna la banca a rifondere le spese di causa (entro limiti tariffari). Ciò include il costo della CTU (anticipato da te ma posto a carico della banca soccombente) e le competenze dell’avvocato. Però sappi che raramente il rimborso copre il 100% di quel che hai speso (c’è discrezionalità sulle liquidazioni). In caso di accordo transattivo, di solito ognuno paga i propri legali e si spartiscono i costi. Con l’ABF, non c’è rimborso spese legali (ognuno le proprie), a parte i €20. Quindi se ti sei avvalso di un avvocato per ABF, resterà a tuo carico, perché ABF anche se ti dà ragione non prevede spese.
D: In conclusione, conviene intraprendere un’azione di rimborso interessi?
R: Conviene se l’importo recuperabile è consistente e se si è entro i termini. Oltre al recupero economico, c’è un aspetto di giustizia: si ottiene che la banca rispetti le regole e non tragga profitto da pratiche illegittime. D’altro canto, bisogna mettere in conto un iter potenzialmente lungo e conflittuale con la banca (che può significare, se sei ancora cliente, tensioni nel rapporto). Molti imprenditori che si sentono danneggiati comunque decidono di agire, specie se hanno chiuso i rapporti con quella banca. È importante avvalersi di professionisti seri: negli anni passati, il proliferare di cause “facili” alimentato da società poco competenti ha creato a volte aspettative irrealistiche. Oggi c’è più maturità: si fa un’analisi accurata e se c’è margine concreto si procede. Ricordiamo anche che negli ultimi anni le condizioni bancarie sono migliorate (anatocismo annuo, tassi bassi), quindi per i conti recenti i problemi possono essere minori; ma per i vecchi conti, i margini di recupero possono essere notevoli. In definitiva, ogni situazione va valutata nel merito. Se c’è stato abuso, gli strumenti giuridici per rimediare ci sono e sono stati confermati fino alla Cassazione e oltre.
Fonti normative e giurisprudenziali (bibliografia)
- Codice Civile: artt. 1283 c.c. (Divieto di anatocismo, salvo eccezioni); 1284 c.c. (Interessi legali e ultralegali, forma scritta); 1346 c.c. (Determinabilità dell’oggetto, rilevante per clausole “uso piazza”); 1418-1419 c.c. (Nullità contrattuale, nullità parziale); 1422 c.c. (Imprescrittibilità azione di nullità); 1815 c.c. comma 2 (Nullità pattuizione usuraria, interessi non dovuti); 1832 c.c. (Approvazione estratti conto, non preclude contestazioni su nullità); 2033 c.c. (Azione di ripetizione di indebito).
- Codice Penale: art. 644 c.p. (Usura: definizione e computo interessi, commissioni e spese ai fini del reato).
- Testo Unico Bancario (D.lgs. 385/1993): art. 117 TUB (Forma e contenuto dei contratti bancari: nullità clausole di rinvio agli usi, obbligo indicare tassi e ogni costo); art. 118 TUB (Ius variandi: modifica unilaterale condizioni con preavviso e diritto recesso); art. 120 TUB (Disciplina della produzione degli interessi: versione introdotta da D.lgs. 342/99 con delega CICR; versione 2013 e poi 2016 con divieto anatocismo); art. 120, comma 2, lett. b TUB (come modificato dalla L. 49/2016: interessi debitori non producono altri interessi, salvo moratori); art. 120, comma 2, lett. a TUB (dopo L. 49/2016: conteggio interessi almeno annuale); art. 120, comma 2, versione 2000 (pari periodicità); art. 127 TUB (Norma sulla derogabilità in melius per cliente delle norme CICR); art. 117-bis TUB (Commissioni credito, introdotto dopo abolizione CMS 2011); art. 119 TUB (Diritto del cliente a documenti entro 10 anni); art. 125-bis TUB (Trasparenza nei crediti ai consumatori; richiamato per nullità costi non pattuiti).
- Legge 154/1992 (Trasparenza bancaria): art. 4 (Divieto di rinvio agli usi per tassi; obbligo indicare tassi nominale e effettivo, commissioni); art. 5 (Tasso sostitutivo BOT in caso di nullità clausola interessi). (Trasfusi in TUB art. 117 co.6 e 7).
- Legge 108/1996 (Anti-usura): art. 1 (modifica art. 644 c.p., criteri calcolo TEGM e soglia); art. 2 (modifiche art. 1815 c.c. e art. 644 c.p.); art. 4 (Decreti trimestrali MEF su tassi soglia).
- D.L. 185/2008 conv. L. 2/2009: art. 2-bis (Norme su commissione massimo scoperto: nullità CMS <30gg; rilevanza di interessi e commissioni comunque denominate ai fini usura).
- D.L. 29/12/2010 n. 225 (Milleproroghe 2010): art. 2, comma 61 (Tentativo di interpretazione autentica su decorrenza prescrizione anatocismo da data annotazione) – dichiarato incostituzionale da Corte Cost. n. 78/2012.
- Delibera CICR 9 febbraio 2000: “Modalità e criteri per la produzione di interessi” (G.U. 22/4/2000). Stabilisce parità periodicità attivi/passivi, obbligo pattuizione espressa, ambito rapporti in c/c. (Attuativa art. 120 TUB versione 1999).
- Delibera CICR 3 agosto 2016: (In attuazione nuovo art. 120 TUB 2016) – Ha fissato termini di conteggio annuale (31/12) ed esigibilità differita 1/3, requisiti di autorizzazione cliente per addebito interessi. (Fonte: Temi Camera n.128 – L’anatocismo bancario, 2016).
Sentenze giurisprudenziali principali citate:
- Cass., Sez. Un., 16/03/1999, n. 2374: Anatocismo: usi bancari trimestrali = usi negoziali ex art. 1340 c.c., non derogano art.1283; nullità clausole capitalizzazione trimestrale interessi debitori.
- Cass., Sez. Un., 04/11/2004, n. 21095: Conferma nullità anatocismo ante 2000; chiarisce effetti L.154/92 su clausole uso piazza (inoperatività ex nunc dal 1992).
- Cass., Sez. Un., 02/12/2010, n. 24418: Anatocismo e prescrizione: nessuna sostituzione con capitalizzazione annuale, interessi a debito senza capitalizzare; prescrizione decennale da chiusura conto per rimesse ripristinatorie (entro fido), da singoli pagamenti per rimesse solutorie (extrafido).
- Corte Costituzionale, 19/04/2012, n. 78: Incostituzionale art.2 co.61 D.L.225/2010 (che retrodatava decorrenza prescrizione per anatocismo). Tutela affidamento dei correntisti.
- Cass., Sez. I, 01/02/2002, n. 1287; Cass. Sez.I, 18/04/2001, n. 5675; Cass. Sez.I, 19/07/2000, n. 9465; etc.: Serie di sentenze anni ‘97-‘02 dichiarano nulle clausole “uso piazza” per indeterminatezza ex art.1346 c.c.. Confermato da molte altre (es. Cass.12120/2018).
- Cass., Sez. I, 04/12/2013, n. 27118: Clausola commissione massimo scoperto “uso piazza” nulla anch’essa per indeterminatezza (variante su tema trasparenza).
- Cass., Sez. I, 22/06/2016, n. 12965: (Prima di SU 2018) Sosteneva non conteggiabilità CMS per rapporti chiusi ante 2010 (tesi poi superata).
- Cass., Sez. Un., 20/06/2018, n. 16303: Commissione di massimo scoperto e usura: principio doppia comparazione separata tassi e CMS con relative soglie e compensazione; include CMS ai fini usura in modo strutturato. Supera orientamento contrastante; tutela cliente.
- Cass., Sez. I, 21/10/2019, nn. 26769 e 26779: – 26769: clausola anatocismo post-2000 valida solo con specifica approvazione cliente. – 26779: modifica unilaterale a capitalizzazione trimestrale reciproca in conto ante 2000 va approvata, altrimenti inefficace; se clausola anatocismo nulla, interessi calcolati senza alcuna capitalizzazione.
- Cass., Sez. Un., 18/09/2020, n. 19597: Disciplina antiusura applicabile anche a interessi moratori; tasso soglia mora determinabile; clausola di mora usuraria nulla, non si devono interessi moratori convenzionali ma solo quelli legali ex art.1224. Debitore può agire anche a rapporto in corso per far dichiarare usurarietà; onere della prova ripartito: cliente indica contratto, tassi, soglia; banca deve provare fatti estintivi/modificativi (contestazione specifica).
- Cass., Sez. Un., 19/10/2017, n. 24675: (Usura sopravvenuta) – Ha escluso nullità o inefficacia del patto per superamento soglia successivo, negando fosse contro buona fede esigere tasso pattuito divenuto oltre soglia. (Ha lasciato però aperta possibilità altri rimedi).
- Cass., Sez. III, 28/09/2023, n. 27545: (Evoluzione su usura sopravvenuta) – Principio: gli interessi divenuti usurari in corso di rapporto sono indebiti; la pretesa del creditore di ottenerli è contraria a buona fede e dunque inibita. Si rifà a SU 2020 e valorizza clausola buona fede contrattuale. Conferma onere probatorio aggravato per banca che pretende interessi contestati come usurari.
- Decisioni ABF e dottrina: Numerose decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario conformi agli indirizzi Cassazione (ad es. ABF Collegio di Coordinamento, Decisione n. 586/2015 su prescrizione da chiusura conto affidato; ABF Milano n. 578/2017 su anatocismo post 2000 non pattuito = interessi solo semplici).
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Quando hai diritto al rimborso degli interessi?
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- 📈 Tassi oltre soglia usura: il tasso effettivo applicato ha superato i limiti di legge
- 🧾 Commissioni illegittime: addebiti non pattuiti o voci di costo non giustificate
- 📉 Spese di tenuta conto eccessive o non previste dal contratto
- 📝 Contratto incompleto o viziato: mancanza di trasparenza, pattuizioni orali mai formalizzate
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