Cosa Fare In Caso Di Sovraindebitamento?

Ti senti schiacciato dai debiti e non riesci più a pagare rate, tasse o fornitori? Le telefonate dei creditori sono diventate un incubo quotidiano? Se ti stai chiedendo cosa fare in caso di sovraindebitamento, sappi che la legge oggi ti offre una via d’uscita concreta, legale e tutelata.

Quando si parla di sovraindebitamento?
Si è in situazione di sovraindebitamento quando non riesci più a far fronte ai debiti con il tuo reddito o patrimonio, in modo definitivo o duraturo. Succede, ad esempio, se:
– Hai accumulato troppi prestiti e finanziamenti
– Non riesci più a pagare le cartelle esattoriali o le tasse
– Hai debiti da impresa chiusa o da attività autonoma fallita
– Sei garante o fideiussore per altri debitori insolventi
– Sei un pensionato, dipendente o imprenditore minore con reddito insufficiente

Cosa puoi fare legalmente per uscire dal sovraindebitamento?
La legge ti permette di accedere a una procedura guidata dal tribunale, che può:
Bloccare i creditori, pignoramenti e interessi
– Azzerare i debiti non sostenibili (esdebitazione)
– Consentirti di pagare solo una parte dei debiti, secondo le tue reali possibilità
– Proteggere la casa, lo stipendio e i beni essenziali
– Offrirti un nuovo inizio pulito, senza debiti

Quali sono le soluzioni previste?
Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore: riservato a chi ha debiti da privato (famiglie, ex lavoratori, pensionati)
Concordato minore: per professionisti, autonomi, artigiani o imprese minori
Liquidazione controllata: se non puoi offrire un piano ma sei comunque sovraindebitato
Esdebitazione del debitore incapiente: se non hai redditi né beni, e agisci in buona fede

Perché è fondamentale agire subito?
– Perché puoi interrompere pignoramenti e fermi amministrativi
– Perché la situazione non si risolve da sola: ogni giorno che passa peggiora
– Perché prima presenti la domanda, prima blocchi gli atti esecutivi
– Perché puoi tutelare te stesso e la tua famiglia prima che sia troppo tardi

Cosa NON devi fare mai?
– Firmare nuovi prestiti per coprire vecchi debiti
– Accettare accordi verbali o cambiali non scritte con i creditori
– Vendere i tuoi beni senza protezione legale: potresti essere accusato di frode
– Aspettare di “avere più soldi”: quando sei sovraindebitato, servono soluzioni giuridiche, non illusioni

Anche se ti sembra impossibile, la legge può liberarti dai debiti. Ma devi agire ora.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto del sovraindebitamento – ti spiega cosa fare se sei pieno di debiti, quali strumenti puoi usare e come ottenere una seconda possibilità senza essere schiacciato.

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Introduzione

Quando una persona – sia un privato cittadino che un piccolo imprenditore – si trova schiacciata dai debiti al punto da non riuscire più a pagarli regolarmente, si parla di sovraindebitamento. In Italia il sovraindebitamento è definito per legge come “lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle start-up innovative […] e di ogni altro debitore non assoggettabile alle procedure concorsuali maggiori (fallimento, liquidazione coatta, etc.)”. In parole semplici, un soggetto è sovraindebitato quando le obbligazioni che ha assunto (mutui, finanziamenti, bollette, tasse, ecc.) superano la sua effettiva capacità di rimborso, creando uno squilibrio finanziario duraturo.

Fino a qualche anno fa, chi si trovava in queste condizioni rischiava di rimanere inseguito dai creditori a vita, non essendo previste per le persone fisiche procedure “liberatorie” paragonabili al fallimento degli imprenditori commerciali. Dal 2012, però, l’ordinamento italiano si è dotato di strumenti specifici per affrontare il sovraindebitamento. La vecchia Legge n. 3/2012 (detta anche “Legge salva-suicidi”) ha introdotto procedure concorsuali semplificate a cui potevano accedere i debitori civili e gli imprenditori non fallibili, con l’obiettivo di ristrutturare i debiti o esdebitarsi (ossia ottenere la cancellazione dei debiti residui). Oggi quella normativa è stata superata: dal 15 luglio 2022 è entrato in vigore il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), che ha riordinato e aggiornato la disciplina, introducendo procedure ancora più accessibili e strumenti innovativi per favorire il fresh start del debitore onesto in difficoltà.

In questa guida esamineremo cosa fare in caso di sovraindebitamento dal punto di vista del debitore. Illustreremo tutti gli strumenti previsti dal Codice della crisi per regolare la posizione debitoria – dal piano del consumatore al concordato minore, dalla liquidazione controllata fino alla particolare procedura di esdebitazione dell’incapiente – con un taglio avanzato ma dal linguaggio chiaro e divulgativo. Vedremo chi può accedere a queste procedure, con quali requisiti e in che modo si svolge l’iter, soffermandoci in particolare su una categoria di debitori (i consumatori) e facendo cenno anche ai piccoli imprenditori e ai professionisti. Saranno fornite tabelle riepilogative comparative, esempi pratici e un elenco di domande frequenti con risposte, il tutto corredato dalle più recenti fonti normative e pronunce giurisprudenziali (sentenze di merito e di Cassazione sino al 2025). L’obiettivo è fornire una guida completa su come un debitore sovraindebitato possa legalmente liberarsi dai debiti e ripartire, nel rispetto dei diritti dei creditori e sotto il controllo degli organi competenti.

Chi può accedere alle procedure di sovraindebitamento?

Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento sono riservate ai debitori che non rientrano nelle normali procedure concorsuali (fallimento o concordato preventivo). In particolare, possono accedere alle soluzioni offerte dal Codice della crisi le seguenti categorie di soggetti:

  • Consumatori, cioè persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei ad un’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Esempi: un privato che ha debiti per acquisti, mutui o spese familiari, oppure un socio di società di persone per i propri debiti personali (distinti da quelli sociali). Anche il fideiussore o coobbligato che ha garantito un debito altrui è considerato consumatore, se l’obbligazione di garanzia è assunta per fini privati e non per interessi professionali propri. È importante notare che il consumatore deve avere debiti “personali puri”: se invece i suoi debiti originano in parte da un’attività d’impresa o lavoro autonomo, la normativa non consente di definirlo consumatore ai fini del sovraindebitamento. In tal caso dovrà utilizzare le procedure per debitori non consumatori (si pensi a un ex imprenditore con debiti residuali verso fornitori o Fisco). La Cassazione ha chiarito, ad esempio, che un soggetto con debiti promiscui – cioè in parte di natura consumeristica e in parte legati ad attività d’impresa – non può accedere al piano del consumatore, dovendo semmai ricorrere al concordato minore o alla liquidazione.
  • Imprenditori minori, cioè imprenditori commerciali che rientrano nei limiti di legge per l’esonero dal fallimento (attivo patrimoniale annuo ≤ 300.000 €, ricavi annui ≤ 200.000 €, debiti ≤ 500.000 €). Sono i cosiddetti imprenditori “sotto-soglia”, esclusi dalla liquidazione giudiziale. In questa categoria rientrano anche i soci illimitatamente responsabili di società di persone (snc, sas) per i debiti residuali ex socio.
  • Professionisti e lavoratori autonomi (avvocati, commercialisti, artigiani non in forma d’impresa, artisti, ecc.). Pur svolgendo un’attività economica individuale, non sono soggetti a fallimento e pertanto possono utilizzare gli strumenti di sovraindebitamento in caso di insolvenza.
  • Imprenditori agricoli, tradizionalmente esclusi dal fallimento per legge. Anche aziende agricole indebitate, sia individuali che societarie, possono accedere a queste procedure. Anzi, per le imprese agricole il Codice prevede un piccolo vantaggio: in alcuni casi possono scegliere fra più opzioni di composizione della crisi (come il piano del consumatore se i debiti non riguardano l’attività agricola).
  • Enti non commerciali e start-up innovative non fallibili. Ad esempio associazioni, fondazioni non lucrative, ONLUS o start-up innovative registrate che abbiano debiti e si trovino insolventi.

In generale, può accedere alle procedure di sovraindebitamento qualsiasi debitore non assoggettabile al fallimento o ad altre procedure concorsuali maggiori, purché in stato di crisi o insolvenza. È compreso il classico “debitore civile”: la persona fisica che non esercita attività d’impresa (es. un lavoratore dipendente, un pensionato, un disoccupato) schiacciata dai debiti finanziari o tributari.

Chi è escluso? Restano esclusi i soggetti che, per dimensioni o natura, ricadono nelle procedure ordinarie: quindi gli imprenditori commerciali sopra-soglia (che dovranno semmai ricorrere al concordato preventivo o alla liquidazione giudiziale/fallimento) e gli enti per i quali sono previste procedure speciali (banche, assicurazioni, enti pubblici, etc.). In pratica, se un soggetto può essere dichiarato fallito secondo la legge, non può usare le procedure di sovraindebitamento, e viceversa.

Requisiti di onorabilità e meritevolezza: Oltre ad appartenere a una delle categorie ammesse, il debitore deve presentare determinati requisiti soggettivi di correttezza. Il Codice richiede espressamente che il sovraindebitato non abbia causato il proprio dissesto con dolo o colpa grave, né abbia compiuto atti in frode ai creditori. Ciò significa, ad esempio, che non deve aver accumulato debiti in malafede (ad es. facendo spese voluttuarie sproporzionate o ricorrendo al credito in modo irresponsabile), né deve aver sottratto o occultato beni del suo patrimonio per sottrarli ai creditori. L’assenza di comportamenti gravemente imprudenti o fraudolenti è un filo conduttore essenziale di tutta la normativa: il beneficio dell’esdebitazione è pensato per il debitore onestamente incapiente o sfortunato, non per chi ha agito con malafede. Ad esempio, in tema di piano del consumatore la Cassazione ha affermato che spetta al debitore provare di aver assunto le obbligazioni con ragionevole prospettiva di adempimento e di essere poi divenuto insolvente per eventi imprevedibili e a lui non imputabili. In caso contrario (debiti contratti con leggerezza o volontariamente inadempiuti), il giudice dovrà negare l’omologazione del piano. Analogamente, chi ha distratto o nascosto attivi patrimoniali per non pagare i creditori vedrà dichiarare inammissibile la procedura e potrà incorrere anche in responsabilità penali.

Infine, per prevenire abusi, la legge stabilisce che non si può accedere alle procedure di sovraindebitamento più di una volta ogni 5 anni. Se un debitore ha già beneficiato di una precedente esdebitazione (da sovraindebitamento o anche da fallimento) nei cinque anni precedenti, una nuova domanda verrà dichiarata inammissibile. Inoltre, il debitore persona fisica non può ottenere l’esdebitazione per più di due volte in totale nell’arco della vita (una terza “liberazione” dei debiti è esclusa). Questa soglia è stata introdotta per evitare che un individuo faccia ricorso al fresh start ripetutamente oltre un limite di tolleranza.

Riassumendo, dal punto di vista del debitore, possono imboccare la via del sovraindebitamento: il consumatore sovraccarico di debiti familiari, il piccolo imprenditore o professionista insolvente, l’imprenditore agricolo indebitato, l’ex socio di società fallita con debiti personali residuali, l’ente non commerciale insolvente. Tutti costoro, se onesti ma sfortunati, possono cercare sollievo attraverso le procedure previste dal Codice della crisi. Al contrario, l’imprenditore commerciale di dimensioni medio-grandi dovrà rivolgersi alle procedure concorsuali tradizionali, e nessuno – grande o piccolo – potrà ottenere vantaggi se ha agito con malizia o frode. Questo equilibrio garantisce da un lato una seconda chance al debitore meritevole, dall’altro tutela i creditori dal rischio di abusi.

Quali strumenti offre il Codice della crisi per il sovraindebitamento?

Il Codice della crisi (CCII) prevede quattro procedure principali per la composizione della crisi da sovraindebitamento. Ciascuna è adatta a una diversa tipologia di debitore e di situazione debitoria. Ecco una panoramica iniziale:

  1. Ristrutturazione dei debiti del consumatore – È un piano di pagamento dei debiti riservato esclusivamente ai debitori consumatori (persone fisiche con debiti personali). Consente di proporre ai creditori il pagamento, parziale e/o dilazionato, di quanto dovuto, secondo le reali possibilità economiche del debitore. Non richiede il voto dei creditori: il piano è sottoposto direttamente all’omologazione del tribunale, che valuta fattibilità e meritevolezza. È l’evoluzione del “piano del consumatore” introdotto dalla L.3/2012, mantenendone la sostanza ma con alcune novità.
  2. Concordato minore – È una procedura concorsuale volontaria rivolta ai debitori non consumatori (piccoli imprenditori, professionisti, startup, impr. agricoli, enti non fallibili). Si basa su una proposta di concordato simile al concordato preventivo, ma semplificata. Il debitore propone un piano di ristrutturazione dei debiti (eventualmente con prosecuzione dell’attività d’impresa) che deve essere approvato dai creditori con il voto favorevole della maggioranza dei crediti e poi omologato dal tribunale. Consente al debitore di evitare la liquidazione giudiziale (fallimento) o la liquidazione controllata, ottenendo l’esdebitazione a fine procedura. I consumatori non possono accedere al concordato minore (sono tenuti ai loro strumenti propri).
  3. Liquidazione controllata del sovraindebitato – È una procedura liquidatoria (cioè di realizzo dell’attivo) applicabile a qualsiasi debitore sovraindebitato, sia persona fisica sia impresa minore. In pratica è l’equivalente del fallimento per i soggetti non fallibili: il patrimonio del debitore viene sottoposto a liquidazione sotto il controllo del tribunale, per soddisfare i creditori in base alle cause di prelazione, dopodiché il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione (liberazione dai debiti non pagati). Può essere avviata su richiesta del debitore stesso oppure dei creditori o del Pubblico Ministero, e comporta lo spossessamento dei beni del debitore con nomina di un liquidatore. È una procedura residuale, cui ricorrere quando non sia possibile o conveniente un piano di ristrutturazione.
  4. Esdebitazione del debitore incapiente – È l’innovativa procedura introdotta dal Codice (anticipata nel 2020 dal c.d. “Decreto Ristori”) pensata per il debitore persona fisica totalmente privo di beni e di reddito disponibile, ma meritevole. Consente, in casi eccezionali, di ottenere la cancellazione di tutti i debiti senza alcun pagamento, la cosiddetta “esdebitazione a costo zero”. Il tribunale, verificati i requisiti, emette un decreto che rende inesigibili tutti i crediti personali del debitore incapiente, offrendogli un vero fresh start. Si tratta di un rimedio estremo e residuale, utilizzabile solo quando non vi sia alcuna capacità di rimborso nemmeno minimale.

Oltre a queste quattro procedure individuali, il Codice contempla anche la possibilità di una procedura unitaria familiare (art. 66 CCII). Più membri della stessa famiglia, conviventi o coobbligati tra loro, possono presentare un ricorso congiunto per regolare insieme la crisi. Ad esempio, marito e moglie fortemente indebitati insieme, oppure i soci illimitatamente responsabili di una SNC con debiti sociali e personali, possono accedere a un unico procedimento di sovraindebitamento. Il tribunale nominerà un unico gestore/OCC e tratterà unitariamente la massa attiva e passiva, pur mantenendo distinte le posizioni dei singoli debitori. La procedura familiare consente di ottimizzare tempi e costi quando l’insolvenza ha un’origine comune e coinvolge più persone legate da vincoli familiari o di garanzia.

Nei paragrafi seguenti analizzeremo in dettaglio ciascuno degli strumenti sopra elencati, mettendone in luce i requisiti, la procedura, gli effetti per il debitore (e per i creditori) e le particolarità emerse dalla prassi e dalla giurisprudenza più recente. In particolare, daremo risalto al piano del consumatore – per la sua importanza pratica e le evoluzioni normative degli ultimi anni – e confronteremo le diverse procedure attraverso tabelle e esempi. In coda, una sezione sarà dedicata alle domande frequenti, per chiarire i dubbi più comuni (ad esempio sulla conservazione della casa di abitazione, sul trattamento delle cartelle esattoriali, sui tempi della procedura, etc.).

Il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore

Cos’è e a chi si applica

Il piano del consumatore (denominazione completa: piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore, artt. 67-73 CCII) è la procedura di sovraindebitamento pensata specificamente per le persone fisiche consumatori, cioè coloro che hanno debiti di natura personale e non professionale. Si tratta, in sostanza, della nuova versione del “piano del consumatore” introdotto nel 2012 dalla L.3/2012. La nuova normativa ha modificato alcuni dettagli ma ha mantenuto l’impianto di base: il consumatore indebitato può proporre al tribunale un piano di pagamento parziale e/o differito dei propri debiti, sostenibile in base al suo bilancio familiare, al termine del quale otterrà la cancellazione di tutti i debiti residui non pagati.

Soggetti ammessi: solo il debitore consumatore può accedere a questa procedura. Ciò implica che devono trattarsi di debiti contratti per fini estranei ad attività d’impresa. Se la persona ha anche debiti derivanti da un’attività imprenditoriale o professionale, non potrà utilizzare il piano del consumatore per “aggirare” i requisiti: in tal caso la strada tipica è il concordato minore o la liquidazione controllata. La legge, insomma, riserva il piano del consumatore solo a chi ha debiti personali puri. Anche un socio illimitatamente responsabile di una società o un garante possono teoricamente accedere al piano per i debiti che hanno assunto a titolo personale (distinguendoli nettamente da quelli di natura aziendale o da garanzie prestate nell’ambito dell’attività professionale). Resta escluso chi è, di fatto, un imprenditore in attività: se Tizio è titolare di una ditta individuale commerciale ancora operativa, anche per i suoi debiti privati dovrà optare per il concordato minore (poiché la qualifica di consumatore non è compatibile con l’esercizio attuale di attività d’impresa).

Requisiti soggettivi (meritevolezza): come già accennato, anche per il piano del consumatore vale l’onere della buona fede. Il debitore non deve aver causato il proprio sovraindebitamento con colpa grave, dolo o frode. In sede di omologazione, il tribunale deve poter escludere che il consumatore abbia assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere o abbia aggravato volontariamente la propria esposizione. Nella vigenza della vecchia legge, si parlava di requisito della “meritevolezza” da dimostrare a cura del debitore; oggi l’ottica è leggermente diversa (grazie alle riforme del 2020), ma sostanzialmente il giudice non omologherà alcun piano se emerge che il soggetto ha agito con leggerezza gravemente colpevole o in malafede. Ad esempio, contrarre finanziamenti senza valutarne la sostenibilità, sperando magari in entrate aleatorie, è indice di colpa grave (lo ha ribadito una recente ordinanza della Cassazione, la n. 27843/2022). Invece, indebitarsi confidando su entrate ragionevoli che poi vengono meno per eventi sfortunati è compatibile con la buona fede (nella vicenda esaminata dalla Cassazione, il debitore aveva acceso finanziamenti durante un periodo in cui percepiva redditi eccezionali ma non garantiti nel tempo; la cessazione di tali redditi lo aveva travolto economicamente, ma la Corte ha ritenuto che egli avesse peccato di imprudenza nel non accantonare nulla e nell’acquistare beni costosi, quindi niente omologa del piano).

In sintesi, il piano del consumatore è un privilegio concesso al debitore civile onesto: proprio perché ai creditori non è richiesto consenso, il tribunale funge da “filtro” di equità, assicurandosi che non si tratti di un abuso. Per contro, se il debitore supera questo filtro, potrà usufruire di una procedura estremamente vantaggiosa.

Procedura: formazione del piano, ruolo dell’OCC e omologazione

Vediamo come si costruisce e si approva in concreto un piano del consumatore. L’iniziativa spetta al debitore: sarà lui, con l’ausilio obbligatorio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC), a elaborare una proposta di piano e a depositare il ricorso in tribunale. Non è prevista – a differenza del concordato preventivo delle imprese – la possibilità di deposito “in bianco” (senza piano): il D.Lgs. 136/2024 ha chiarito che non è ammessa una domanda prenotativa nelle procedure di sovraindebitamento. Dunque il debitore deve presentare subito il piano dettagliato e la documentazione completa; non può depositare un’istanza generica per bloccare le azioni esecutive riservandosi di integrare il piano più tardi. Questo per evitare usi strumentali e dilatori della procedura.

Coinvolgimento dell’OCC: prima del deposito in tribunale, il debitore deve attivare un OCC competente nel suo territorio (presso il Tribunale del luogo ove ha il centro degli interessi principali, tipicamente la residenza). L’Organismo di Composizione della Crisi nomina un gestore della crisi, figura terza e indipendente (può essere un professionista come un commercialista, un avvocato o un notaio appositamente formato). Il gestore assiste il debitore nella predisposizione del piano: verifica l’elenco dei debiti e dei beni, controlla i dati fiscali, valuta le cause dell’indebitamento e la condotta del debitore, e soprattutto redige una relazione particolareggiata da allegare al ricorso. Questa relazione dell’OCC è un documento chiave: contiene una sorta di “istruttoria” preliminare sulle cause della crisi, sul comportamento del debitore (diligenza o eventuali colpe), sulla fattibilità del piano proposto e sull’eventuale convenienza rispetto alla liquidazione. In pratica l’OCC funge da ausiliario del giudice e da garante per i creditori: pur essendo attivato dal debitore, mantiene terzietà e deve segnalare al giudice qualsiasi anomalia o criticità.

Contenuto del piano: il piano di ristrutturazione deve indicare nel dettaglio tempi e modalità con cui il consumatore intende superare la crisi e soddisfare i creditori, anche solo parzialmente. Non esiste uno schema rigido di contenuti, ma tipicamente il piano prevede che il debitore destini ai creditori tutte le risorse disponibili compatibilmente col mantenimento di un livello di vita dignitoso. Ad esempio può prevedere di versare una quota sostenibile del proprio stipendio per un certo numero di anni, di liquidare alcuni beni non essenziali (se posseduti) e contestualmente stralciare/ridurre la parte di debito che eccede la sua capacità di pagamento. Il Codice incoraggia anche l’apporto di risorse esterne (denaro da familiari, terzi garanti, ecc.), pur non rendendolo obbligatorio: contributi aggiuntivi di terzi possono aumentare la percentuale offerta ai creditori e rendere più probabile l’omologazione. Il piano può inoltre contemplare dilazioni significative di pagamento. È espressamente consentito pagare i creditori in modo dilazionato nel tempo, anche oltre l’anno, purché ciò non li pregiudichi. La Cassazione ha confermato che anche nei piani del consumatore (come negli accordi con i creditori) è lecito proporre ai creditori privilegiati il pagamento dilazionato dei loro crediti oltre i termini ordinari, a condizione che venga loro riconosciuto diritto di voto o comunque che la dilazione non li lasci in condizioni peggiori. Nel piano del consumatore, non essendoci voto, la dilazione anche ultrannuale dei crediti ipotecari e pignoratizi è ammessa se il giudice valuta il piano nel complesso conveniente e fattibile. Un aspetto importante a tutela del debitore è la possibilità di conservare la prima casa: il piano del consumatore può prevedere che l’abitazione principale, se gravata da mutuo ipotecario, non venga liquidata, consentendo al debitore di continuare a pagare le rate del mutuo alle scadenze originarie ed escludendo il credito della banca dal concorso. Il Codice infatti esplicitamente consente che il debitore mantenga l’immobile adibito ad abitazione principale, continuando a onorarne il mutuo fuori dal piano, purché sia in regola con i pagamenti di tale mutuo al momento del deposito del piano. Questa norma risponde a esigenze sociali: evitare che una famiglia perda la casa per procedure concorsuali, se riesce comunque a sostenere il mutuo. In caso contrario (mutuo scaduto o irreversibilmente moroso), la vendita dell’immobile diventa spesso inevitabile, ma il ricavato andrà a soddisfare il creditore ipotecario nei limiti del valore di mercato, con liberazione dell’eventuale debito residuo. Più in generale, il piano può anche prevedere la falcidia dei crediti privilegiati (riduzione parziale) purché ciascun creditore privilegiato riceva almeno quanto otterrebbe dalla liquidazione dei beni su cui insiste la prelazione. Ad esempio, se c’è un’ipoteca su un immobile il cui valore stimato nettoprocedurale è 100, il piano non può offrire a quel creditore meno di 100 complessivamente – ma può offrirgli 100 dilazionato in più anni, oppure 100 mantenendo il mutuo corrente, ecc. Invece la parte di credito privilegiato eccedente il valore del bene (credito in sofferenza oltre garanzia) può essere trattata come chirografo e quindi falcidiata.

Una volta predisposto il piano e raccolta la documentazione, l’OCC redige la relazione e si deposita il ricorso per l’omologazione presso il Tribunale competente. Da questo momento inizia la fase giudiziale. Il tribunale esamina il ricorso e, se ritiene la proposta ammissibile (requisiti soggettivi ok, documenti completi, ecc.), emette un decreto di apertura della procedura. Contestualmente il giudice nomina un Giudice Delegato e dispone le forme di pubblicità e comunicazione ai creditori. Importante: nel decreto di apertura il tribunale può anche adottare misure protettive: ad esempio, se pende una procedura di esecuzione immobiliare sulla casa, il giudice può sospendere temporaneamente l’esecuzione fino alla decisione sull’omologa. In generale, dall’apertura della procedura scatta un divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali sul patrimonio del debitore (una sorta di automatic stay): i creditori vengono invitati a “congelare” le azioni in corso in attesa dell’omologazione. Attenzione però: come ha precisato la Cassazione, il giudice del sovraindebitamento non può dichiarare la nullità o improcedibilità delle singole esecuzioni pendenti, ma solo disporre il divieto generale di prosecuzione. Saranno poi i singoli giudici dell’esecuzione ad adottare i provvedimenti di sospensione nei rispettivi procedimenti, su istanza delle parti informate del divieto. In altre parole, il tribunale concorsuale emette un ombrello protettivo generale, vincolante per i creditori, ma l’eventuale mancata sospensione di un’esecuzione andrà contestata dal debitore davanti al giudice esecutivo competente.

Udienza ed eventuali opposizioni: il piano del consumatore, differentemente dalle altre procedure, non prevede voto dei creditori, ma i creditori hanno comunque la possibilità di interloquire. Il tribunale fissa un’udienza in cui i creditori e l’OCC sono convocati per esprimere osservazioni od opposizioni. Un creditore, ad esempio, potrebbe contestare la meritevolezza del debitore, allegando prove che dimostrino comportamenti dolosi o spese futili incompatibili col beneficio. Oppure potrebbe eccepire che il piano non assicura il pagamento integrale di un suo credito privilegiato secondo la legge. Tali contestazioni vengono discusse davanti al giudice. Non c’è però, si ribadisce, una votazione: il parere dei creditori non è vincolante. Anche se tutti i creditori fossero contrari, il tribunale può ugualmente omologare il piano se lo ritiene meritevole e fattibile. Di contro, se un creditore solleva obiezioni fondate (es. il debitore ha taciuto di possedere un certo bene, oppure offre meno del dovuto su un credito ipotecario), il giudice potrà non omologare. In pratica l’udienza serve al contraddittorio, ma la decisione finale spetta al Tribunale.

Omologazione del piano: verificato che tutto sia in regola – ovvero che sussistano le condizioni di ammissibilità (categoria soggettiva corretta, documenti ok, niente atti in frode) e che il piano presenti fattibilità e convenienza generale – il tribunale emette il decreto di omologazione. Con l’omologa, il piano diventa efficace e vincolante per tutti i creditori indicati. Da quel momento scattano eventuali prescrizioni fissate dal giudice: ad esempio il blocco definitivo di pignoramenti o aste sulla casa (se prevista la sua conservazione nel piano), le modalità con cui i pagamenti dovranno essere eseguiti, ecc. L’omologa segna l’inizio della fase di esecuzione del piano.

Effetti per il debitore e per i creditori

Dal punto di vista del debitore, l’omologazione del piano del consumatore comporta essenzialmente che egli deve rispettare gli impegni presi nel piano (versamento delle somme promesse, eventuale liquidazione di beni, ecc.) nei tempi stabiliti. In genere il gestore nominato dall’OCC continua a seguire la procedura, verificando che i pagamenti vengano effettuati regolarmente e riferendo al giudice in caso di problemi. Al termine dell’esecuzione integrale del piano, il debitore ottiene l’esdebitazione automatica: tutti i debiti anteriori rimasti eventualmente impagati sono definitivamente cancellati e il debitore torna libero da obbligazioni pregresse. Questo effetto “liberatorio” discende già dalla legge: non occorre un ulteriore provvedimento giudiziale (diversamente dalla vecchia legge in cui, per la liquidazione, serviva una specifica istanza di esdebitazione). Già il Codice prevede espressamente che, nell’omologa del piano e ancor più nella liquidazione, l’esdebitazione avviene di diritto a certe condizioni. Pertanto, completato il piano, il debitore meritevole è finalmente sollevato da ogni ulteriore pretesa dei creditori anteriori.

Dal punto di vista dei creditori, il piano omologato rappresenta un accordo giudiziale vincolante: tutti i creditori indicati ne sono vincolati, anche se non hanno partecipato o si sono opposti. Essi hanno diritto di ricevere quanto previsto dal piano (in termini di somme o altri utilità), nei tempi stabiliti. Le eventuali azioni esecutive individuali restano bloccate e dovranno confluire nella soddisfazione secondo il piano. Se un creditore è rimasto totalmente o parzialmente insoddisfatto al termine del piano, dovrà comunque subire l’esdebitazione: non potrà più pretendere il residuo. Ad esempio, se un istituto bancario vantava 50.000 € e dal piano riceve solo 20.000 €, una volta concluso il piano dovrà rinunciare a reclamare i restanti 30.000 €. In questo senso il piano omologato produce un effetto esdebitatorio generale. Durante l’esecuzione del piano, i creditori chirografari (non garantiti) non possono accumulare ulteriori interessi per il tempo della dilazione, salvo che il piano stesso li preveda. Inoltre eventuali garanzie reali (ipoteche, pegni) restano sul bene fino al soddisfo dell’importo previsto nel piano: ad esempio se il piano dice che all’ipotecario andrà la somma X (inferiore al credito iniziale), pagata quella somma il giudice ordinerà la cancellazione dell’ipoteca residua.

Vantaggi per il debitore: Il piano del consumatore è probabilmente lo strumento più vantaggioso tra quelli previsti, per chi può accedervi. I punti di forza sono: (a) nessun voto dei creditori – il che significa che il debitore non è alla mercé di una maggioranza di creditori, ma può ottenere l’omologa anche contro il loro parere, se convince il giudice; (b) flessibilità – il piano può adattarsi alle capacità del debitore, prevedendo riduzioni consistenti del debito e dilazioni molto lunghe (la Cassazione ha ritenuto omologabile anche un piano di durata 12 anni in casi particolari); (c) protezione del patrimonio essenziale – in particolare della prima casa, che il debitore può mantenere continuando a pagare il mutuo; (d) esdebitazione totale finale, senza bisogno di ulteriori procedure. Dalla prospettiva del consumatore sovraindebitato onesto, il piano è una sorta di boa di salvataggio: paga solo quello che può pagare (ciò che non paga viene cancellato) e ottiene un nuovo inizio libero dai debiti.

Limiti e rischi: Il principale limite è l’ambito soggettivo ristretto – solo consumatori con debiti personali – di cui si è detto. Inoltre molto dipende dal giudizio di meritevolezza: se il tribunale ritiene, anche su istanza di creditori, che il debitore abbia colpe gravi, non omologherà il piano. Un altro rischio è legato all’esecuzione: se il debitore non rispetta il piano, perde il beneficio. La legge prevede infatti la conversione del piano in liquidazione controllata in caso di inadempimento sostanziale. Ciò significa che, se durante l’esecuzione il debitore smette di pagare le rate dovute senza giustificato motivo, l’OCC o i creditori possono segnalarlo al giudice, il quale revoca l’omologazione e apre la procedura di liquidazione controllata dei beni. In tal caso ovviamente l’esdebitazione finale sarà subordinata alla chiusura della liquidazione, con possibile dilazione ulteriore e perdita dei beni non ancora liquidati. Anche prima dell’omologazione ci sono rischi: se emergono circostanze impeditive (es. il debitore nascondeva un immobile, oppure un creditore dimostra la malafede), il tribunale può rigettare l’omologa. In tal caso, il consumatore potrà eventualmente ripiegare sulla liquidazione controllata per ottenere comunque l’esdebitazione. Fortunatamente il Codice consente, in caso di rigetto del piano o di revoca successiva, di non dover iniziare da zero: il giudice può contestualmente aprire la liquidazione controllata così che il debitore, pur perdendo i benefici del piano, non debba tornare allo stadio delle esecuzioni individuali disordinate. In altre parole, se il piano “salta” c’è un paracadute nella liquidazione.

Va infine ricordato che, siccome il piano incide sui diritti dei creditori senza il loro consenso, la legge penale punisce severamente eventuali falsità o frodi del debitore nella procedura. Ad esempio omettere dolosamente di indicare tutti i creditori, o presentare documentazione alterata, costituisce reato (ricordiamo che l’art. 344 CCII punisce il debitore sovraindebitato che dolosamente omette informazioni rilevanti o simula attività inesistenti). Dunque, trasparenza e correttezza sono indispensabili.

Esempio pratico di piano del consumatore

Caso: Mario è un impiegato di 45 anni con uno stipendio netto di 1.500 € al mese. Ha moglie e un figlio a carico. Nel tempo Mario ha accumulato debiti: 20.000 € in prestiti personali con finanziarie, 5.000 € di arretrati condominiali, 8.000 € di debiti con l’Agenzia delle Entrate (per imposte non versate) e un mutuo residuo di 80.000 € sulla casa di abitazione (la rata mensile è 500 €). Purtroppo, a causa di spese mediche improvvise e della perdita del lavoro della moglie, Mario si è trovato nell’impossibilità di pagare regolarmente. Attualmente riesce a pagare a stento mutuo e condominio, ma è moroso verso le finanziarie e il Fisco. Le finanziarie minacciano decreti ingiuntivi e l’Agente della Riscossione ha già iscritto un’ipoteca secondaria sulla casa.

Soluzione con piano del consumatore: Mario si rivolge all’OCC territoriale (presso la Camera di Commercio) e, assistito da un gestore e da un avvocato, predispone un piano così strutturato: (a) mantenimento del mutuo casa: Mario è in regola con le rate e propone di continuare a pagarle normalmente fuori dal piano, così da non perdere l’abitazione (la banca mutuante non rientra quindi nei creditori concorsuali, mantenendo la propria garanzia); (b) pagamento parziale dei debiti chirografari (prestiti finanziari e condominio): Mario può destinare 300 € al mese del suo stipendio ai creditori, per 5 anni, creando un monte pagamenti di circa 18.000 €. Questa somma, considerata la capienza, permetterà di pagare circa il 70% del debito condominiale e il 50% dei finanziamenti, in proporzione; (c) stralcio totale delle sanzioni e interessi fiscali e pagamento parziale del debito fiscale: all’Erario Mario offre 2.000 € (includendo qui un piccolo aiuto economico da parte di un parente) a saldo degli 8.000 € dovuti tra imposte e interessi. L’Agente della Riscossione parteciperebbe dunque come chirografario al 25% circa; (d) durata e garanzie: il piano ha durata 5 anni; Mario cede all’OCC il quinto dello stipendio (300 €) tramite convenzione con il datore di lavoro, così da assicurare i versamenti; (e) meritevolezza: la relazione OCC descrive la situazione di Mario, evidenziando come il sovraindebitamento sia dipeso in parte da fattori esterni (spese mediche impreviste, licenziamento della moglie) e non da sprechi voluttuari.

Con questo piano, depositato in tribunale, Mario ottiene la sospensione delle azioni esecutive (le finanziarie non possono pignorargli lo stipendio nel frattempo). Nessun creditore propone opposizione all’udienza – la banca del mutuo è fuori concorso e tranquilla, il condominio è favorevole perché recupera buona parte, l’Agente della Riscossione non si oppone formalmente. Il tribunale verifica che Mario sia un consumatore (sì, ha solo debiti privati), che non abbia atti in frode (no, nulla di anomalo) e che il piano rispetti la legge (sì: per i chirografari offre tutto il possibile, al Fisco offre un pagamento congruo, la casa resta fuori ma il mutuo prosegue regolarmente). Valutata anche la meritevolezza (la relazione OCC è positiva, Mario ha ridotto il tenore di vita e non ha colpe gravi), il giudice omologa il piano. Da quel momento Mario deve semplicemente attenersi a quanto concordato: versa 300 € al mese all’OCC che li smista ai creditori secondo il piano e continua a pagare puntualmente le rate del mutuo casa. Dopo 5 anni, avendo eseguito tutto, Mario ottiene il decreto di avvenuto adempimento e l’esdebitazione: i debiti verso le finanziarie, il condominio (residuo 30%) e il Fisco (residuo 6.000 € circa) sono cancellati. La casa è salva (l’ipoteca dell’AdER verrà rimossa in quanto il credito erariale è stato soddisfatto parzialmente ma in sede concorsuale) e Mario può ripartire senza debiti pregressi. Il tutto, si noti, senza che nessun creditore abbia potuto bloccare la procedura: il condominio e l’AdER sono stati soddisfatti solo parzialmente, ma hanno dovuto accettarlo; le finanziarie hanno incassato metà credito e rinunciato al resto, senza poter opporsi. Questo esempio mostra chiaramente il beneficio del piano del consumatore per un debitore onesto ma in difficoltà.

Il concordato minore

Cos’è e chi può utilizzarlo

Il concordato minore (disciplinato dagli artt. 74-83 CCII) è lo strumento dedicato ai debitori sovraindebitati diversi dal consumatore. Vi rientrano dunque gli imprenditori minori, i professionisti, gli imprenditori agricoli, le start-up non fallibili, gli enti non profit indebitati, ecc. In generale, ogni debitore non consumatore che non sia soggetto a liquidazione giudiziale può proporre un concordato minore. Come suggerisce il nome, questa procedura riprende l’istituto del concordato preventivo (previsto per le imprese maggiori) adattandolo alla dimensione minore. Si tratta infatti di una procedura concorsuale con carattere negoziale: il debitore formula una proposta di ristrutturazione che viene sottoposta al voto dei creditori e, in caso di approvazione, viene omologata dal tribunale. L’obiettivo è identico alle altre procedure di sovraindebitamento: consentire al debitore di superare la crisi pagando quanto possibile e di ottenere l’esdebitazione entro certi limiti.

Soggetti ammessi: non possono accedere al concordato minore i consumatori puri, i quali hanno come visto il loro piano speciale. Possono invece accedervi tutti gli altri sovraindebitati: tipicamente l’imprenditore sotto-soglia che ha debiti di natura aziendale, il libero professionista indebitato verso fornitori e Fisco, l’imprenditore agricolo insolvente, ecc. Anche un ex imprenditore (che abbia cessato l’attività) può avvalersi del concordato minore se la sua insolvenza deriva dall’attività cessata. Per esempio, un commerciante individuale che ha chiuso il negozio ma ha debiti pregressi verso banche e fornitori rientra tra i possibili beneficiari. La regola è che il debitore non sia fallibile e non sia un consumatore. Va precisato che un consumatore non può “scegliere” il concordato minore per bypassare la valutazione di meritevolezza del piano: la legge lo esclude categoricamente, onde evitare abusi. Si ricordi infatti che nel concordato i creditori votano, quindi (almeno prima della riforma 2020) un consumatore in mala fede poteva sperare di ottenere comunque l’accordo con i creditori; ora questa scappatoia è stata chiusa. D’altro canto, un debitore “misto” (in parte consumatore, in parte no) dovrà necessariamente stare nel concordato minore, perché come detto il piano consumer richiede debiti estranei ad attività.

Finalità e tipologie: la finalità è evitare la liquidazione offrendo ai creditori una soddisfazione migliore o almeno non inferiore a quella ottenibile liquidando i beni. Il concordato minore può presentarsi in due forme: in continuità o liquidatorio. Nel concordato minore in continuità il debitore prosegue (o riprende) l’attività d’impresa o professionale, utilizzando i flussi generati per pagare i creditori in percentuale. Questa continuità può essere diretta (lo stesso debitore continua l’attività) oppure indiretta, tramite la cessione o affitto dell’azienda a un soggetto terzo che la gestisce. Il legislatore privilegia la continuità aziendale, perché preserva il valore economico e occupazionale. Alternativamente, nel concordato minore liquidatorio non vi è prosecuzione dell’attività ma solo liquidazione dei beni tramite il piano. Tuttavia il concordato liquidatorio è ammesso solo a condizione che vi sia un apporto di risorse esterne che incrementi in modo apprezzabile la soddisfazione dei creditori. Questa clausola (art. 74 co.2 CCII) serve ad evitare concordati “liquidatori puri” che sarebbero inutilmente onerosi rispetto a una liquidazione controllata: se il debitore vuole liquidare tutto tramite concordato, deve offrire qualcosa in più ai creditori rispetto alla normale liquidazione, ad esempio facendo intervenire un terzo con capitali aggiuntivi. Sarà il tribunale a valutare se l’apporto esterno è sufficiente (il correttivo 2024 ha ancorato tale giudizio all’aumento dell’attivo disponibile al momento della domanda). In pratica, si chiede un quid pluris a vantaggio dei creditori per giustificare la procedura concordataria invece della liquidazione. Se tale beneficio aggiuntivo non c’è, il concordato minore liquidatorio non verrà ammesso, in quanto i creditori non avrebbero motivo di preferirlo alla liquidazione.

Procedura di concordato minore: presentazione, voto dei creditori e omologazione

Avvio della procedura: analogamente al piano del consumatore, è il debitore che prende l’iniziativa rivolgendosi a un OCC e predisponendo la proposta di concordato e il piano. Si presenta quindi un ricorso al Tribunale, completo di piano, proposta ai creditori e tutta la documentazione richiesta (elenco dei debiti, elenco dei beni, ultime dichiarazioni dei redditi, ecc.). Nel caso del concordato minore, la documentazione è spesso più corposa che nel piano del consumatore, poiché se c’è un’attività d’impresa occorreranno anche i bilanci degli ultimi esercizi (o le scritture contabili) e le informazioni sull’azienda. L’OCC redige la sua relazione particolareggiata, come visto, attestando cause della crisi, meritevolezza e fattibilità economica del piano.

Dopo il deposito, il tribunale verifica l’ammissibilità formale e dichiara aperta la procedura di concordato minore con decreto. Anche qui vengono nominati un giudice delegato e un commissario giudiziale (spesso lo stesso gestore OCC assume le funzioni di commissario). Il commissario/gestore cura che i creditori vengano informati. Con il decreto di apertura, il tribunale emette le misure protettive analoghe al piano: divieto di azioni esecutive individuali durante la pendenza del concordato e sospensione di quelle in corso. Eventuali procedure di fallimento (liquidazione giudiziale) pendenti a carico del debitore restano sospese sino all’esito del concordato minore.

Adunanza o voto dei creditori: la caratteristica distintiva è che i creditori devono votare sulla proposta. Il commissario giudiziale convoca quindi i creditori a un’adunanza (assemblea) oppure li invita ad esprimere voto per iscritto entro un termine, a seconda di come dispone il giudice. Nel concordato minore di norma non si formano classi di creditori (a meno che vi siano creditori con interessi economici differenziati, ma è raro in procedure così semplici). Ogni creditore ha diritto ad un voto il cui “peso” è proporzionale all’ammontare del suo credito ammesso. La legge prevede che la proposta di concordato minore è approvata se ottiene il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Dunque serve >50% del totale dei crediti. Non occorre più – a differenza dell’Accordo della L.3/2012 – il 60%, né distinzioni tra votanti e non votanti. È sufficiente la maggioranza assoluta dei crediti. I creditori privilegiati di regola non votano (perché dovrebbero essere soddisfatti integralmente dal piano, almeno in linea teorica); tuttavia se il piano prevede una qualche dilazione o sacrificio per i privilegiati, allora anch’essi sono ammessi al voto per la parte di credito oggetto di possibile sacrificio. Ad esempio, se si propone a un ipotecario di pagarlo integralmente ma in 5 anni anziché immediatamente, la dilazione configura un pregiudizio solo temporale: in tal caso quel creditore vota per la parte di credito corrispondente agli interessi compensativi o all’erosione di valore dovuta alla dilazione. I crediti muniti di garanzia reale non soddisfatti interamente dall’attivo su cui insiste la garanzia (parte chirografaria) votano anch’essi per la parte scoperta.

Se alla chiusura della votazione la maggioranza dei crediti ha approvato la proposta, il commissario ne dà atto con verbale. Se invece manca la maggioranza, la procedura di concordato minore non potrà essere omologata: il giudice dichiarerà chiusa la procedura per mancanza di adesione e, normalmente, contestualmente aprirà la liquidazione controllata d’ufficio (o su richiesta di creditori) per evitare il ritorno alle azioni individuali. Il Codice infatti prevede una tutela per il debitore anche in questo frangente: se la votazione fallisce, l’esito negativo viene considerato come istanza di apertura della liquidazione (salvo che il debitore nel frattempo trovi un accordo stragiudiziale diverso). Va ricordato inoltre che, nel caso inverso, se sono i creditori a chiedere per primi la liquidazione controllata (iniziativa di un creditore), il debitore ha diritto a una finestra temporale fino a 120 giorni per presentare un proprio piano o concordato e “salvarsi” dalla liquidazione. Questa norma di salvaguardia – introdotta dal correttivo 2021 – consente al debitore di non subire passivamente un’istanza di liquidazione: può reagire proponendo una soluzione concordata, a patto di attivarsi rapidamente (fino a 120 giorni dal ricorso del creditore).

Omologazione del concordato minore: una volta ottenuta la maggioranza dei voti, la palla torna al tribunale. Il giudice deve verificare la regolarità della procedura e la conformità della proposta alle norme imperative. Innanzitutto, va controllato il rispetto delle cause di prelazione: nessun creditore può ottenere meno di quanto gli spetterebbe in una liquidazione. Inoltre, se ci sono state contestazioni di creditori dissenzienti, il tribunale le esamina. Ad esempio, un creditore escluso dal voto potrebbe aver proposto reclamo sostenendo di aver diritto a votare, oppure un creditore dissenziente potrebbe lamentare che la maggioranza lo cram-down pregiudicandolo. Il tribunale decide su queste opposizioni nell’udienza di omologazione. Se tutto è in ordine, il concordato minore viene omologato con decreto. Da notare: se i voti favorevoli ci sono stati ma il giudice riscontra violazioni gravi (es. il piano è stato approvato grazie al voto determinante di un creditore in conflitto di interessi, oppure manca il requisito dell’apporto esterno in un concordato liquidatorio), il giudice può rifiutare l’omologa. In tal caso, dichiarerà inammissibile il concordato e aprirà la liquidazione controllata. Tuttavia, al di fuori di vizi così rilevanti, il tribunale non sindaca nel merito la convenienza della proposta per i creditori dissenzienti (come invece accade nel concordato preventivo con cram-down): qui vale la regola che la maggioranza decide la convenienza per tutti. Dunque l’omologa verrà negata solo per irregolarità formali o legali, non perché il giudice ritenga la percentuale offerta troppo bassa (se i creditori l’hanno accettata).

Con il decreto di omologazione, il concordato minore diventa efficace. Viene nominato un liquidatore giudiziale se previsto dal piano (ad es. per vendere certi beni) o comunque il commissario vigilerà sull’attuazione. Eventuali procedure esecutive restano definitivamente bloccate e i creditori devono attendere quanto promesso in concordato. Se c’era una procedura di liquidazione giudiziale sospesa in attesa, questa viene definitivamente resa improcedibile per l’effetto dell’omologa.

Esecuzione del concordato minore ed esdebitazione

Nella fase di esecuzione, il debitore (o il liquidatore nominato) dovrà dare corso agli impegni del piano: ad esempio pagare le percentuali concordate ai creditori, eventualmente proseguire l’attività d’impresa in continuità sotto la vigilanza degli organi, o liquidare i beni indicati. Durante questa fase, il debitore rimane in bonis (non c’è spossessamento integrale come nel fallimento, a meno che il piano preveda di affidare tutto il patrimonio al liquidatore). Il commissario giudiziale continua la sua funzione di controllo fino alla chiusura. Se il debitore adempie regolarmente, alla fine tutti i crediti concorsuali si considerano definiti come da concordato e la parte eventualmente eccedente viene cancellata (esdebitazione). Diversamente dal piano del consumatore, qui l’esdebitazione è già implicita nell’omologa: quando il debitore esegue tutto ciò che prometteva, è liberato dai debiti residui automaticamente.

Inadempimento del concordato: anche nel concordato minore la legge contempla l’ipotesi che il debitore non rispetti gli impegni. Se l’inadempimento è di scarsa importanza (es. qualche ritardo lieve), il commissario può soprassedere. Ma se l’inadempimento è grave e tale da compromettere il piano, i creditori oppure l’OCC stesso possono chiedere al tribunale la risoluzione del concordato. In caso di risoluzione, il tribunale dichiara aperta la liquidazione controllata dei beni del debitore. In pratica, il concordato viene convertito forzosamente in una procedura liquidatoria per consentire ai creditori di tentare di soddisfarsi sul patrimonio residuo del debitore. Chiaramente, in tale situazione l’esdebitazione non è immediata: il debitore dovrà attendere l’esito della liquidazione per chiedere di essere liberato dai debiti. Dunque, l’inadempimento ha conseguenze serie: si perde il beneficio del concordato e si finisce sotto liquidazione (con spossessamento e possibilità di azioni revocatorie sui pagamenti eventualmente fatti in concordato, ecc.). Pertanto è essenziale che il debitore rispetti scrupolosamente il piano omologato. Si noti che la conversione avviene su istanza di parte (creditore o commissario): se nessuno la chiede, formalmente il concordato potrebbe non venire risolto, ma in pratica è nell’interesse dei creditori attivarsi.

Esdebitazione finale: se il concordato minore viene regolarmente eseguito, l’esdebitazione dei debiti residui è un effetto naturale. In caso di risoluzione e apertura di liquidazione, l’esdebitazione potrà avvenire nei termini previsti per la liquidazione (vedremo in seguito). In ogni caso, il debitore non consumatore ha la stessa possibilità del consumatore di uscire liberato dai debiti dopo la procedura. La differenza è che nel concordato minore il peso decisionale è in mano ai creditori: sono loro, con il voto di maggioranza, a determinare se accettare la proposta del debitore e quindi concedergli (di fatto) la possibilità di esdebitazione concordata. Il giudice interviene più come garante procedurale che come decisore di merito.

Esempio pratico di concordato minore: consideriamo Paola, piccola imprenditrice artigiana (parrucchiera) che ha chiuso il suo salone a causa del calo di lavoro. Ha debiti per 100.000 € (fornitori di prodotti, affitto locale, un prestito bancario e debiti verso l’Erario per IVA non versata). Possiede come unico bene un’automobile e attrezzature usate del salone, di valore modesto. Paola ora ha trovato un impiego come dipendente (stipendio 1.200 €/mese). Vuole evitare la liquidazione per non dover subire pignoramenti sullo stipendio per anni. Tramite OCC, propone un concordato minore così strutturato: (a) contributo di un terzo (un familiare) di 10.000 € immediatamente per distribuirli ai creditori; (b) impegno di Paola a versare 200 € al mese dello stipendio per 3 anni, producendo altri ~7.000 €; (c) totale attivo da ripartire ~17.000 €, che darà ai creditori circa il 17% ciascuno; (d) nessuna liquidazione dell’auto e attrezzature perché di valore trascurabile ai fini creditori (l’OCC attesta che venderle coprirebbe a malapena i costi). I creditori vengono chiamati a votare: la banca (credito 30.000 € garantito da un pegno su polizza) rinuncia al voto perché sarà soddisfatta liquidando la polizza separatamente; i fornitori (50.000 €) e l’ex proprietario del locale (10.000 €) votano sì perché temono di non vedere nulla in fallimento; l’Erario (10.000 € IVA) vota no perché preferirebbe escutere coattivamente; tuttavia i sì coprono 60.000 su 70.000 crediti votanti (85%): la maggioranza è raggiunta. Il tribunale omologa il concordato (ritenendo sufficiente l’apporto di 10.000 € di terzi come quid pluris). Paola esegue nei 3 anni quanto promesso. Al termine, viene dichiarata l’esdebitazione: i creditori hanno preso il 17% e il restante 83% è inesigibile. Se Paola invece non avesse versato regolarmente le rate, i creditori avrebbero potuto chiedere la risoluzione e a quel punto il suo stipendio sarebbe stato pignorabile individualmente o tramite liquidazione controllata.

La liquidazione controllata del sovraindebitato

Caratteristiche generali e apertura della procedura

La liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII) è la procedura concorsuale di carattere liquidatorio riservata ai debitori sovraindebitati. Rappresenta, in sostanza, il corrispondente del fallimento (oggi liquidazione giudiziale) per i soggetti non fallibili. Quando il debitore non è in grado di proporre o attuare un piano di rientro, oppure quando i creditori stessi preferiscono procedere direttamente alla liquidazione del patrimonio, si fa ricorso a questa procedura.

Effetti principali: con la liquidazione controllata il debitore viene spossessato dei propri beni, che costituiscono un’attività destinata ai creditori. Un liquidatore nominato dal tribunale provvede a raccogliere e vendere tutti i beni del debitore (salvo quelli impignorabili o non compresi) e a distribuire il ricavato ai creditori secondo le regole delle prelazioni. Al termine, se il debitore è una persona fisica e ha collaborato lealmente, può ottenere l’esdebitazione di diritto dei debiti residui. La liquidazione controllata produce quindi gli stessi effetti di un fallimento: il patrimonio pregresso del debitore viene azzerato in favore dei creditori, ma il debitore persona fisica può avere la liberazione dai debiti a conclusione.

Iniziativa per l’apertura: la liquidazione può essere aperta su iniziativa volontaria del debitore oppure su iniziativa forzata di creditori (o del Pubblico Ministero in casi specifici).

  • Istanza del debitore: il debitore può presentare direttamente domanda di liquidazione controllata quando ritenga di non avere alcuna possibilità di pagare i debiti in modo ordinato, oppure quando preferisca liquidare tutto il patrimonio sotto tutela del tribunale per ottenere poi l’esdebitazione. Ad esempio, un consumatore che non voglia o non possa impegnarsi in un piano pluriennale potrebbe scegliere di liquidare subito i beni disponibili e chiudere la partita. Anche un debitore a cui sia stato negato il piano o il concordato (perché non approvato/omologato) può ripiegare chiedendo immediatamente la liquidazione.
  • Istanza dei creditori: uno o più creditori possono chiedere al tribunale l’apertura della liquidazione controllata se il debitore è in stato di insolvenza (cioè incapace di soddisfare regolarmente le obbligazioni). È richiesto che il debitore sia un soggetto ammesso al sovraindebitamento (non fallibile). Questa istanza è l’equivalente di una richiesta di fallimento. Ad esempio, un creditore con ingente credito scaduto verso un professionista potrebbe chiedere la liquidazione dei suoi beni. La legge consente ciò per evitare che il debitore inerte rimanga indefinitamente insolvente: il creditore legittimato può “forzare” la procedura concorsuale. In tal caso, come già detto, al debitore viene riconosciuta la possibilità di proporre un piano alternativo entro un certo termine (max 120 giorni), ma se non lo fa o se il piano non va a buon fine, la liquidazione si apre.
  • Iniziativa del P.M.: il pubblico ministero può chiedere la liquidazione in casi particolari, ad esempio se vi sono ragioni di interesse pubblico (come avveniva per il fallimento di imprenditori, ma è una casistica rara nel sovraindebitamento, limitata a ipotesi come grosse esposizioni verso erario o similari).

Inammissibilità per mancanza di attivo: una novità rilevante è che la liquidazione controllata non viene aperta affatto se non c’è alcun attivo ricavabile. Se il debitore risulta totalmente privo di beni e privo di redditi pignorabili, e l’OCC attesta che non vi sono prospettive di recuperare utilità (nemmeno tramite azioni revocatorie o crediti verso terzi), il tribunale dichiara improcedibile la domanda di liquidazione. Ciò per evitare procedure inutili e costose quando non c’è nulla da distribuire. In tal caso, il debitore persona fisica potrà semmai rivolgersi direttamente alla procedura di esdebitazione da incapiente. Dunque la presenza di un minimo attivo realizzabile è condizione di apertura della liquidazione. Se i creditori chiedono la liquidazione ma il debitore è “nullatenente assoluto”, il tribunale rigetterà l’istanza: non si può spremere sangue da una rapa, e la legge preferisce evitare i costi fissi di una liquidazione inutile.

Decreto/sentenza di apertura: ricevuta l’istanza (del debitore o dei creditori), il tribunale convoca il debitore e verifica i presupposti: stato di insolvenza, categoria soggettiva ammessa, documenti forniti, ecc. Se decide di procedere, dichiara aperta la liquidazione controllata con sentenza (è chiamata proprio sentenza di apertura, parallela alla sentenza di fallimento). Nella sentenza di apertura il tribunale:

  • nomina un Giudice Delegato che seguirà la procedura e un Liquidatore (figura analoga al curatore fallimentare); spesso come liquidatore viene scelto il gestore già nominato dall’OCC, ma non è obbligatorio;
  • ordina al debitore di consegnare entro breve tempo l’elenco dei creditori e ogni informazione necessaria al liquidatore;
  • dispone le opportune forme di pubblicità (registro delle imprese se il debitore è imprenditore, pubblicazione in registro procedure, ecc.) e di comunicazione ai creditori noti;
  • stabilisce eventualmente misure specifiche (ad es. autorizza il liquidatore a esercitare azioni urgenti per conservare beni).

Effetti dell’apertura: la sentenza di apertura produce effetti immediati assai simili a quelli di un fallimento:

  • Il debitore è spossessato dei suoi beni presenti e futuri (fino alla chiusura): tutti i beni di proprietà del debitore al momento dell’apertura e quelli acquisiti durante la procedura confluiscono nella massa attiva a disposizione dei creditori. Fanno eccezione soltanto i beni dichiarati impignorabili per legge (es. stipendi entro i limiti di sopravvivenza, pensioni minime, beni di stretta necessità personale o lavorativa entro certi limiti, ecc.). Ad esempio, l’abitazione principale non è impignorabile di per sé: se libera da ipoteca e di valore realizzabile, verrà inclusa nella liquidazione e probabilmente venduta, salvo accordi diversi. Viceversa, attrezzi di lavoro di modesto valore o arretrati di mantenimento potrebbero essere esclusi perché impignorabili ex lege.
  • Tutte le azioni esecutive individuali cessano: i creditori non possono più iniziare né proseguire pignoramenti o altre esecuzioni sul patrimonio del debitore. Ogni credito dovrà essere soddisfatto secondo le regole della liquidazione, presentando domanda di ammissione al passivo. I pignoramenti in corso decadono e gli eventuali beni pignorati confluiscono nella massa liquidatoria.
  • I debiti del debitore anteriori all’apertura restano congelati nella loro misura: cessano di produrre interessi (salvo quelli ipotecari nei limiti della garanzia) e non possono essere pagati al di fuori della procedura. Se il debitore aveva rate in corso, queste si considerano scadute e il creditore dovrà insinuarsi al passivo per il capitale residuo e interessi maturati fino all’apertura (quelli successivi saranno eventualmente pagati solo se privilegio lo consente). Eventuali contratti in corso possono essere sciolti su istanza del liquidatore se onerosi.
  • Il debitore perde la gestione del patrimonio: non può validamente compiere atti di disposizione dei beni senza autorizzazione del Giudice Delegato. Gli atti dispositivi non autorizzati sarebbero nulli. Il debitore deve collaborare con liquidatore e giudice, fornire documenti, informazioni e assistenza. Può conservare l’amministrazione di beni esclusi dalla liquidazione (se ce ne sono, es. stipendio in parte impignorabile) e naturalmente può continuare eventuali attività lavorative per sé (i redditi saranno in parte attratti alla liquidazione salvo la quota vitale).

Ruolo del Liquidatore e formazione del passivo: nominato il liquidatore, questi procede a inventariare i beni e a prendere in consegna la documentazione contabile ed extra-contabile del debitore. Il liquidatore invia una comunicazione a tutti i creditori noti invitandoli a presentare le domande di ammissione al passivo entro una certa data. I creditori devono insinuarsi (analogamente al fallimento) producendo documentazione del credito e indicando eventuali cause di prelazione. Il liquidatore predispone uno stato passivo – l’elenco dei crediti ammessi, con indicazione se sono privilegiati, chirografari, contestati, ecc. – che viene sottoposto all’esame del Giudice Delegato in un’apposita udienza. Dopo eventuali impugnazioni e correzioni, lo stato passivo diventa definitivo. Questa fase serve a cristallizzare quanto e a chi il debitore deve.

Liquidazione dell’attivo: parallelamente, il liquidatore individua i beni da realizzare. Può proseguire eventuali esercizi provvisori (ma in genere in queste procedure di norma l’impresa era già cessata o viene chiusa subito). Mette in vendita i beni mobili e immobili tramite procedure competitive (aste, affidamenti mediatori, etc.), oppure cede crediti, risolve contratti, esercita azioni revocatorie o risarcitorie se utili (ad esempio, se il debitore ha compiuto atti in pregiudizio dei creditori prima della procedura, il liquidatore può chiederne la revoca ex art. 292 CCII per recuperare beni o valori). Il tutto sotto la supervisione del Giudice Delegato. I beni gravati da ipoteca o pegno vengono di regola venduti e il ricavato destinato in primis a quei creditori fino a concorrenza del valore del bene.

Distribuzione e chiusura: mano a mano che si accumulano somme, il liquidatore procede a riparti ai creditori: prima i creditori con privilegio generale (es. dipendenti, Erario per alcune imposte) e quelli ipotecari sul ricavato dei beni vincolati, poi i chirografari pro quota con l’eventuale residuo. Ultimate le vendite e riscosse eventuali cause pendenti, si effettua il riparto finale e il liquidatore presenta il rendiconto conclusivo. Durata della procedura: il Codice auspica che la liquidazione controllata si concluda entro 3 anni dall’apertura. Infatti, a differenza del vecchio fallimento (dove la liberazione del debitore richiedeva almeno 4 anni), qui è previsto un orizzonte più breve: “entro 3 anni dalla sentenza di apertura devono concludersi le operazioni di liquidazione”. In parallelo, l’esdebitazione di diritto del debitore meritevole interviene dopo 3 anni. Ciò non significa che la procedura sia tassativamente chiusa in 3 anni, ma viene fissato come obiettivo e, in effetti, dopo 3 anni il debitore persona fisica ottiene comunque l’esdebitazione (vedi oltre).

Terminata la liquidazione, il giudice dichiara chiusa la procedura con decreto. A questo punto si aprono le eventuali fasi di esdebitazione e riparto finale.

Esdebitazione nella liquidazione controllata

Una delle innovazioni più significative del Codice è l’esdebitazione “di diritto” del debitore sovraindebitato meritevole a fine liquidazione. In passato, con la L.3/2012, il debitore doveva presentare un’apposita istanza al termine della liquidazione e il tribunale la accoglieva o rigettava a seconda dei casi. Ora, invece, il debitore persona fisica è liberato dai debiti residui automaticamente con la chiusura della procedura, salvo che emerga una causa ostativa. In altre parole, l’esdebitazione è la regola, non più un’eccezione discrezionale. L’art. 278 CCII prevede che il debitore meritevole ottiene di diritto l’esdebitazione quando il giudice approva il decreto di chiusura della liquidazione controllata. Non c’è bisogno di istruttoria ulteriore, a meno che qualche creditore o il liquidatore non contestino la condotta del debitore.

Le cause che impediscono l’esdebitazione sono sostanzialmente: la presenza di atti in frode o di condotte dolose del debitore, oppure l’inadempimento di alcuni obblighi processuali (es. mancata cooperazione, sottrazione di attivi durante la procedura). Se nulla di ciò si verifica, il debitore esce libero da tutti i debiti anteriori non soddisfatti. Fanno eccezione soltanto alcuni debiti per loro natura non dimissibili, come quelli per obblighi di mantenimento, alimenti, risarcimento da fatti illeciti extracontrattuali e sanzioni penali/amm.ve pecuniarie, i quali possono restare a carico (queste eccezioni valgono per qualunque esdebitazione).

In realtà, il Codice rende persino automatica l’esdebitazione decorso un certo termine: se entro tre anni dall’apertura della liquidazione il debitore ha tenuto una condotta regolare, scatta l’esdebitazione di diritto anche se la procedura dovesse proseguire oltre. Ciò è per evitare che lungaggini procedurali ritardino oltremodo il fresh start. Dunque, per esempio, se dopo 3 anni dalla sentenza di apertura il liquidatore non ha ancora liquidato un immobile ma il debitore si è comportato bene, il debitore può già ottenere l’esdebitazione; la liquidazione continuerà solo per distribuire l’attivo residuo ai creditori, ma il debitore nel frattempo è già liberato (salvo revoca se emergesse poi frode).

Riassumendo gli effetti per il debitore: la liquidazione controllata è certamente la procedura meno “indolore” nell’immediato, perché il debitore vede il proprio patrimonio aggredito e liquidato integralmente. Però rappresenta spesso l’ultima risorsa quando non vi sono altre soluzioni. Il beneficio per il debitore persona fisica sta nel fatto che, subìto il sacrificio dei beni, ha la prospettiva di riemergere pulito dai debiti. Non dovrà subire pignoramenti sine die: c’è un termine preciso alla procedura e i debiti vengono concentrati lì. È quindi preferibile, per un debitore disperato, subire una liquidazione controllata sotto l’egida del tribunale e poi ripartire senza debiti, piuttosto che essere inseguito ad vitam da creditori e finanziarie con pignoramenti a ripetizione. Infatti, come spesso si sottolinea, l’esdebitazione “è un istituto di civiltà: punire a vita l’insolvenza non giova a nessuno”, e anche il debitore sfortunato, se onesto, ha diritto a riemergere dalla disperazione. La liquidazione controllata concretizza proprio questo: dare un punto finale ai debiti, sebbene al prezzo di liquidare i beni.

Esempio pratico di liquidazione controllata: Tizio è un ex imprenditore edile, cancellato dal registro imprese due anni fa. Ha debiti per circa 300.000 € (mutuo residuo di un capannone, diversi decreti ingiuntivi di fornitori, cartelle esattoriali) e il suo patrimonio consiste in: un appartamento cointestato con la moglie (prima casa), un capannone industriale ipotecato, qualche attrezzatura. Tizio non ha redditi perché è disoccupato. In questo caso, un piano o concordato sarebbe impraticabile (nessun flusso per pagare). Dunque Tizio, assistito dall’OCC, chiede la liquidazione controllata. Il tribunale accerta che Tizio è sovraindebitato e insolvente, apre la liquidazione e nomina un liquidatore. Vengono venduti il capannone (soddisfacendo in parte la banca ipotecaria) e l’attrezzatura; la casa coniugale è ipotecata per i debiti di Tizio? Se sì, il 50% di Tizio verrà liquidato salvo accordi con la moglie (caso complesso, ma semplifichiamo). Alla fine i creditori chirografari ricevono forse il 5% del loro credito. Dopo tre anni, completate le operazioni, il giudice chiude la procedura ed esdebita Tizio dai 300.000 € di debiti residui. Tizio ha perso i beni, ma ora può ricominciare da zero senza debiti. I creditori hanno ottenuto il possibile dal suo patrimonio e non potranno più pretendere altro.

L’esdebitazione del debitore incapiente

Cos’è e quando si applica

L’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII) è la quarta e più innovativa procedura introdotta dal Codice della crisi. Consiste nella possibilità per il debitore persona fisica che si trovi in condizioni di assoluta incapienza – cioè privo di qualunque risorsa attuale e prospettica per soddisfare i creditori – di ottenere la cancellazione di tutti i debiti senza dover pagare nulla. Per questo viene detta anche “esdebitazione a costo zero”. È uno strumento di ultima istanza, utilizzabile solo se il debitore non può accedere ad alcun altro (né ha beni per una liquidazione, né reddito per un piano). Il legislatore ha voluto in tal modo rafforzare il principio del favor debitoris, offrendo una via d’uscita anche a chi si trova in estrema difficoltà e non ha proprio nulla da mettere a disposizione.

La figura del debitore incapiente era stata introdotta nell’ordinamento già con il D.L. 137/2020 (conv. L.176/2020) che ha anticipato parte del Codice, ed è operativa dal 2022. Il correttivo ter del 2024 ha poi chiarito alcuni aspetti applicativi. Vediamo i requisiti chiave per accedere:

  • Incapienza economica comprovata: il debitore deve dimostrare di non possedere alcun patrimonio liquidabile, né di avere redditi capienti per soddisfare i creditori anche solo in parte. In pratica, dev’essere una persona nullatenente o con beni di valore trascurabile, e con redditi al più pari al minimo vitale. Il Codice fornisce un criterio quantitativo: dopo aver dedotto le spese essenziali di sostentamento per sé e la famiglia, il debitore non deve avere un surplus annuo superiore a una soglia pari all’assegno sociale aumentato della metà (x il parametro familiare ISEE). Tradotto: se anche percepisce un piccolo reddito, deve essere talmente basso che, tolto il necessario, non supera circa 1,5 volte l’assegno sociale. Ad esempio, per un single l’assegno sociale 2025 (€6.800) + metà (€3.400) = ~€10.200: chi ha reddito netto annuo inferiore a ~10.200 € può considerarsi incapiente. Per un nucleo di 3 persone il parametro sale (ISEE 3 persone ~2,04, quindi soglia intorno a €20.800; se il nucleo ha meno di tale reddito, è incapiente). Questo criterio evita che si dichiari incapiente chi invece ha un reddito – sebbene modesto – comunque in parte aggredibile dai creditori. In sintesi: l’incapiente è colui che oggettivamente non può offrire alcuna utilità, né subito né in futuro prossimo, ai creditori.
  • Meritevolezza “estrema”: il debitore incapiente deve rispettare un requisito di condotta ancora più stringente, dato l’effetto radicale. La legge esclude l’accesso per chi abbia determinato il sovraindebitamento con dolo, colpa grave o frode. Praticamente, è lo stesso criterio generale di meritevolezza visto per le altre procedure, ma applicato con rigore: solo debitori onesti e sfortunati possono beneficiare di una cancellazione integrale dei debiti. Chi ha anche lontanamente colpe rilevanti (ad es. dissipa patrimonio, contrae debiti avventati) non potrà sperare nell’esdebitazione a zero.
  • Unicità e novità del beneficio: l’esdebitazione incapiente può essere concessa una sola volta nella vita del debitore. Inoltre, non è ammessa se il debitore ha già beneficiato in passato di qualunque altra esdebitazione (fallimentare o da sovraindebitamento) o se gli è stata revocata un’esdebitazione per dolo. Questo sottolinea il carattere eccezionale e irripetibile del rimedio: è un colpo solo, che cancella tutto ma non si ripeterà.
  • Residualità: la procedura è definita “alternativa e residuale”: può essere richiesta solo se il debitore non ha attivo sufficiente per una liquidazione e non ha accesso ad altre soluzioni. In effetti, la legge chiede di allegare alla domanda un’attestazione dell’OCC che certifichi che non vi sono beni né utilità recuperabili, e che piano o concordato non sono attuabili. Ciò per evitare che un debitore con qualche risorsa, anziché pagare qualcosa, scelga furbescamente l’opzione “scorciatoia” dell’incapienza. L’OCC deve insomma certificare che l’incapiente non è un furbo, ma realmente non c’è nulla da aggredire. Se emergesse che invece qualcosa c’era (es. un’azione revocatoria possibile), allora la procedura incapienti non dovrebbe essere concessa e al suo posto andrebbe fatta la liquidazione controllata.

Procedimento: la domanda di esdebitazione incapiente si propone con ricorso al tribunale competente, tramite OCC. Il debitore dichiara lo stato di sovraindebitamento e l’assoluta incapacità di offrire qualsivoglia utilità ai creditori, nemmeno in futuro prossimo. Allegati obbligatori: l’elenco completo di tutti i creditori con i relativi importi dovuti, l’inventario dei propri (eventuali) beni, l’indicazione di eventuali redditi anche minimi, le ultime dichiarazioni dei redditi, lo stato di famiglia, ecc. In più, appunto, l’attestazione dell’OCC che conferma l’assenza di attivo liquidabile o recuperabile e la non attuabilità di altre procedure.

Il tribunale esamina il ricorso e, di norma senza formalità particolari (può sentire il debitore se necessario), verifica: (a) che il debitore rientri nei parametri di incapienza economica; (b) che non risultino atti in frode (tipo trasferimenti sospetti di beni prima della domanda); (c) che il debitore non abbia chance di offrire utilità ai creditori (confermato da OCC); (d) che soddisfi i requisiti soggettivi (nessuna procedura precedente oltre 5 anni, ecc.). Se tutto è a posto, il tribunale accredita la buona fede e accoglie il ricorso.

La decisione di accoglimento assume la forma di decreto di esdebitazione incapiente. In tale decreto il giudice:

  • dichiara inesigibili nei confronti del debitore tutti i crediti rimasti impagati alla data del decreto. Ciò significa che, da quel momento, per legge, i creditori non possono più pretendere nulla dal debitore su quei debiti. È una cancellazione giuridica delle obbligazioni del debitore (restano in essere verso eventuali coobbligati o garanti, attenzione: i garanti sono ancora obbligati).
  • Onere informativo triennale/quadriennale: il giudice impone al debitore di presentare annualmente, per i 4 anni successivi, una dichiarazione in cui attesta se ci sono state variazioni rilevanti della sua situazione economica. In pratica, per i quattro anni dopo l’esdebitazione, il debitore deve comunicare eventuali nuovi redditi o beni sopravvenuti oltre la soglia di incapienza.
  • Condizione risolutiva: il decreto stabilisce che l’esdebitazione è concessa ma con la condizione che, se entro 4 anni il debitore ottiene risorse sufficienti a soddisfare almeno il 10% dei crediti originari, egli dovrà destinare tali risorse in pagamento ai creditori. Questo punto è cruciale: la legge prevede che se l’incapiente “miracolato” (ad es. trova un buon lavoro, riceve un’eredità, vince alla lotteria) e grazie a ciò potrebbe pagare qualcosa, allora è giusto che paghi i creditori almeno in parte. Tecnicamente, la norma recita: fatto salvo il caso in cui, nei quattro anni successivi, il debitore consegua utilità rilevanti tali da consentire il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al 10%. In pratica, se entro 4 anni dal decreto l’ex debitore diventa abbastanza benestante da poter pagare almeno il 10% dei vecchi debiti, dovrebbe farlo. È una condizione risolutiva: l’esdebitazione viene meno (o meglio, i crediti reviviscono in quella misura) se tale situazione si verifica e il debitore non adempie spontaneamente a questo obbligo di pagamento parziale. Sarà l’OCC a vigilare e segnalare se del caso.

Trascorso il quadriennio di osservazione, l’esdebitazione diventa definitiva e irrevocabile. Il debitore è libero per sempre dai debiti oggetto del decreto e, se nei 4 anni non vi è stata alcuna variazione significativa, non deve più nulla a nessuno. Ovviamente, se durante i 4 anni ci sono state entrate eccezionali, il debitore avrà dovuto destinarne la parte eccedente la soglia ai creditori, fino almeno al 10% come detto. Una volta assolto eventualmente tale pagamento parziale, la liberazione è confermata. In ogni caso dopo i 4 anni il debitore esdebitato incapiente è definitivamente esdebitato e non potrà mai più chiedere altra procedura di questo tipo in futuro.

Effetti per i creditori: i creditori, a seguito del decreto di esdebitazione incapiente, non possono più intraprendere né proseguire alcuna azione esecutiva o di riscossione verso il debitore. I debiti diventano un peso morto giuridicamente. Tuttavia, se entro il periodo di osservazione viene comunicato loro (tramite OCC) che il debitore ha ottenuto risorse sopra soglia, essi potranno ricevere un pagamento parziale (fino al 10% minimo). In effetti, il legislatore ha previsto a breve l’istituzione di un Fondo di solidarietà per coprire anche i costi procedurali: è stato introdotto un Fondo nazionale per l’esdebitazione degli incapienti con dotazione iniziale di 500.000 € per il 2025. Questo Fondo presso il Ministero della Giustizia servirà proprio a pagare le spese dell’OCC e di giustizia nelle procedure incapienti, evitando che tali costi disincentivino l’accesso. Il giudice può autorizzare l’accesso al Fondo a beneficio dell’OCC, così il debitore incapiente non deve anticipare nulla. È una novità di grande rilievo, introdotta con la legge di bilancio 2024, che rende davvero effettiva la possibilità per i nullatenenti di liberarsi dai debiti senza ostacoli economici.

Esempio pratico di esdebitazione incapiente: Anna è una ex commerciante che ha cessato l’attività. Ha debiti per 50.000 € (banche, fornitori, bollette arretrate) ma nessun bene di proprietà (vive in affitto, l’auto vecchia vale 1.000 €) e nessun reddito fisso (fa solo lavori saltuari). Anna vive sola e viene mantenuta dai genitori; il suo ISEE personale è praticamente zero. Dopo aver verificato che non ci sono possibili azioni per recuperare nulla (nessuna eredità attesa, nessuna causa pendente, niente), l’OCC attesta la totale incapienza. Anna presenta istanza di esdebitazione incapiente. Il tribunale accerta che Anna soddisfa i parametri (reddito quasi zero, nessun attivo), che non ha atti in frode (ha consegnato spontaneamente quel poco di mobilio di valore simbolico ai genitori prima, ma niente di rilevante), e che non ha beneficiato in passato di altre esdebitazioni. Emana quindi il decreto: da questo momento, i 50.000 € di debiti di Anna sono dichiarati inesigibili verso di lei. I creditori dovranno rinunciare a ogni pretesa (potranno eventualmente dedurre fiscalmente il credito come inesigibile, ma non altro). Viene nominato l’OCC per vigilare i prossimi 4 anni. Anna dovrà ogni anno comunicare se ha trovato un lavoro o ricevuto denaro. Poniamo che dopo 2 anni, Anna ottenga un impiego a 1.100 €/mese: con ~13.000 €/anno, supera la soglia di ~10.200 € (se single) di circa 2.800 € l’anno. Questo miglioramento è “significativo” perché la pone oltre la linea di incapienza. Ora, se in 2 anni di lavoro potenzialmente Anna potrebbe pagare almeno 5.000 € (che è il 10% dei 50.000 € di debiti originali), allora scatta l’obbligo: Anna dovrà destinare ai suoi ex creditori almeno quel 10% (o tutta la disponibilità eccedente il minimo, se minore). Diciamo che riesce a mettere da parte 6.000 € e li versa ai creditori tramite OCC. A questo punto, avendo soddisfatto la condizione risolutiva, la sua esdebitazione rimane valida e definitiva. Se invece Anna nei 4 anni non avesse mai trovato lavoro o avesse guadagnato pochissimo (sotto soglia), nulla sarebbe dovuto ai creditori e dopo 4 anni l’esdebitazione sarebbe confermata d’ufficio. In entrambi i casi, Anna è ora libera dai suoi debiti passati e può concentrarsi sul futuro. Non potrà mai più chiedere un’altra esdebitazione incapiente, ma speriamo non ne abbia bisogno.

Questo istituto dell’incapiente appare quasi “troppo bello per essere vero” – cancellare i debiti senza pagare nulla – ma è importante comprendere che è riservato a situazioni umanamente drammatiche, dove il debitore è davvero sull’orlo della povertà assoluta. Lo Stato ha riconosciuto che in tali casi perdonare il debito è la scelta più razionale e anche socialmente utile: consente a persone altrimenti condannate all’irregolarità (lavoro nero, usura, disperazione) di emergere e magari tornare attive nell’economia legale. Per i creditori, d’altra parte, poco cambia: non avrebbero comunque recuperato nulla da quel debitore, per cui formalizzare la sua inesigibilità offre almeno certezza del diritto e risparmia costi di esazione inutili. È, in definitiva, un istituto di equilibrio sociale e di second chance portato alle estreme conseguenze.

Procedura pratica: il ruolo dell’OCC e lo svolgimento del procedimento

Dopo aver esaminato le singole procedure, è utile descrivere brevemente come si svolge in pratica un procedimento di sovraindebitamento e, soprattutto, quale sia il ruolo dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) dall’inizio alla fine. Questa prospettiva pratica, dal punto di vista del debitore, chiarisce i passi necessari “sul campo” per ottenere l’esdebitazione.

1. Scelta e attivazione dell’OCC: Il debitore che intende avvalersi delle procedure deve innanzitutto rivolgersi a un OCC nel proprio circondario. Gli OCC sono enti terzi imparziali istituiti presso vari organismi (Camere di Commercio, Ordini professionali, fondazioni, ecc.) iscritti in un apposito registro ministeriale. In pratica, ogni tribunale ha uno o più OCC di riferimento nel territorio. Il debitore presenta una istanza di avvio all’OCC prescelto, fornendo le informazioni di base sulla propria situazione. Ad esempio, presso la Camera di Commercio territoriale è spesso attivo un OCC che raccoglie queste domande.

2. Raccolta documentazione: L’OCC fornisce al debitore l’elenco dei documenti necessari da produrre. In generale, servono: l’elenco completo di tutti i creditori con l’indicazione delle somme dovute (contratti di finanziamento, estratti conto, cartelle esattoriali, fatture insolute, etc.); l’elenco di tutti i beni di proprietà (mobili, immobili, conti bancari, veicoli) e l’indicazione di eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi 5 anni (donazioni, vendite a terzi); le ultime dichiarazioni dei redditi e, se disponibile, le dichiarazioni patrimoniali (es. bilanci se era un’impresa); l’elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento (spese di casa, alimentari, etc.) e lo stato di famiglia. Questa fase richiede uno sforzo documentale significativo da parte del debitore, che deve essere trasparente e accurato nel fornire tutte le informazioni. Attenzione: omettere volontariamente dei creditori o occultare dei beni in questa fase costituisce poi un grave illecito e può far naufragare la procedura, quindi conviene fornire tutto.

3. Nomina del gestore e analisi preliminare: Dopo il deposito dell’istanza e della prima documentazione, l’OCC nomina un Gestore della crisi per il caso. Il gestore (di solito un professionista iscritto all’albo dei gestori) prende in carico la pratica e inizia a valutare la situazione. Egli verifica innanzitutto i presupposti soggettivi (che il debitore rientri tra gli ammessi, e non abbia procedure concorsuali in corso, etc.) e oggettivi (stato di sovraindebitamento effettivo). Se il debitore ha requisiti dubbi, glielo segnala. Altrimenti procede.

4. Scelta dello strumento e predisposizione del piano/accordo: In base ai dati raccolti, il gestore consiglia quale procedura intraprendere: piano del consumatore se il debitore è consumatore e sembra meritevole; concordato minore se il debitore è non consumatore e ha prospettive di offrire qualcosa ai creditori; liquidazione controllata se il debitore ha discreto patrimonio ma niente capacità di rientro sostenibile; esdebitazione incapiente se non c’è proprio nulla. Spesso la scelta è evidente (es. consumatore nullatenente -> liquidazione o incapiente; imprenditore con flussi -> concordato). Una volta deciso, il gestore aiuta a redigere il piano o la proposta di concordato, oppure l’istanza di liquidazione/incapiente. Questa è forse la fase più delicata: significa tradurre in numeri e proposte concrete la soluzione. Il gestore calcola quanta parte di debito il debitore può ragionevolmente pagare e in che tempi, oppure qual è il presumibile attivo liquidabile e come distribuirlo. Si elaborano anche eventuali strategie: coinvolgere un parente come terzo finanziatore? Vendere l’auto o tenerla perché serve a lavorare? Mantenere il mutuo casa o liquidare l’immobile? Tutte queste scelte vengono vagliate con il debitore (e spesso con il suo avvocato, se presente). Nota bene: la legge non obbliga il debitore ad avere un avvocato per presentare il ricorso, in quanto il ricorso può essere firmato dal solo debitore e dal gestore OCC. Tuttavia è fortemente consigliato farsi assistere da un legale di fiducia, specie nelle fasi di udienza e contraddittorio. L’OCC è un organo neutrale e non può essere anche difensore del debitore, quindi avere un avvocato tutela meglio gli interessi del debitore durante la procedura (eventuali opposizioni dei creditori, reclami, ecc.). In pratica, quasi tutti i debitori nominano un legale di fiducia accanto all’OCC.

5. Relazione particolareggiata dell’OCC: Una volta definito il piano/proposta, il gestore OCC redige la relazione particolareggiata obbligatoria. Questa relazione riepiloga: le cause dell’indebitamento (es. riduzione reddito, malattia, ecc.), la diligenza o meno del debitore nell’assumere i debiti (es. se ha contratto prestiti pur senza reddito, sarà annotato negativamente), la sua incapacità attuale di adempiere, una valutazione di fattibilità del piano e l’indicazione presunta dei costi della procedura. In caso di piano del consumatore, la relazione prende posizione anche sulla meritevolezza o meno del debitore. In caso di concordato, evidenzia la convenienza rispetto alla liquidazione. Se si tratta di liquidazione o incapiente, attesta la situazione patrimoniale e reddituale (per l’incapiente, come visto, deve attestare che non c’è nulla). La relazione è un documento destinato al Giudice e ai creditori: è quindi piuttosto oggettiva e non nasconde i “nei” del debitore. È bene che il debitore la legga con il gestore per conoscere eventuali punti critici (es. se il gestore scriverà “il debitore ha usato 30.000 € di prestiti per vacanze di lusso, comportamento imprudente”, il debitore sappia che il giudice lo leggerà).

6. Deposito del ricorso in Tribunale: Con il piano/proposta e la relazione OCC pronti, si deposita il ricorso per l’apertura della procedura presso la cancelleria del tribunale competente (dove il debitore ha il centro interessi principali, di solito la residenza). Il ricorso viene assegnato al Giudice Delegato o a un Collegio, a seconda delle prassi. Come abbiamo illustrato in dettaglio prima, il tribunale verifica la regolarità e dichiara aperta la procedura.

7. Comunicazione ai creditori e udienza: Dopo l’apertura, l’OCC/gestore notifica l’apertura a tutti i creditori indicati, comunicando se è un piano senza voto (quindi li invita a fare eventuali osservazioni scritte) o un concordato con voto (li invita all’adunanza o all’espressione del voto). Il debitore potrebbe essere chiamato a confermare o integrare dichiarazioni all’udienza. I creditori possono interloquire per iscritto o oralmente all’udienza. Qui può capitare che alcuni creditori alzino la voce: es. contestano che il debitore abbia svenduto un bene prima, o che abbia un tenore di vita ancora troppo alto. L’avvocato del debitore potrà controbattere. Il giudice ascolta tutti, magari chiede chiarimenti al gestore OCC, e poi si riserva la decisione.

8. Omologazione o provvedimento finale: Il tribunale emette quindi il decreto di omologa (per piani/concordati) oppure la sentenza di apertura liquidazione (per liquidazione) o decreto di esdebitazione (per incapiente). Da qui in avanti, se è un piano/concordato, il debitore inizia a eseguire il piano sotto monitoraggio OCC; se è liquidazione, il liquidatore prende le redini e il debitore aspetta l’esdebitazione finale; se è incapiente, il debitore attende solo la fine del periodo di controllo OCC.

9. Attuazione e chiusura: Nel caso di piani e concordati, l’ultima fase è attuare quanto promesso. Il debitore versa le somme dovute, eventualmente vendendo beni se previsto (spesso li liquida l’OCC stesso nei piani). Per facilitare, talvolta il giudice autorizza l’OCC a creare un conto dedicato dove far affluire i pagamenti del debitore e da cui poi ripartirli ai creditori. A piano ultimato, l’OCC presenta un rendiconto finale al giudice e si attesta l’avvenuto adempimento. Il tribunale quindi dichiara soddisfatti gli obblighi e constata l’esdebitazione. Nella liquidazione controllata, a fine procedura il giudice emette il decreto di chiusura e contestualmente dichiara l’esdebitazione di diritto del debitore. Nell’incapiente, dopo 4 anni l’OCC fa rapporto e il giudice conferma la definitiva inesigibilità.

Tempi della procedura: Un piano o concordato può essere omologato nell’arco di alcuni mesi (dai 3 ai 6 mesi di solito), poi la durata dell’esecuzione dipende dal piano (può essere 4-5 anni tipicamente). La liquidazione controllata può durare attivamente 2-3 anni per liquidare, con prospettiva di chiudere entro 3 anni come detto. L’incapiente è la più rapida nell’effetto (il decreto cancella subito i debiti) ma mantiene la coda dei 4 anni di monitoraggio. In ogni caso, rispetto al passato in cui non c’era via d’uscita, anche 4-5 anni di percorso sono un orizzonte ragionevole per liberarsi da situazioni debitorie che altrimenti durerebbero decenni.

Costi della procedura: I costi consistono principalmente nel compenso dell’OCC e nelle eventuali spese vive (bolli, pubblicazioni). La legge prevede che l’OCC abbia diritto a: una spesa di avvio fissa (spesso qualche centinaio di euro) e un compenso variabile calcolato in percentuale sull’attivo e passivo, modulato secondo scaglioni. In generale, per piccoli debiti i compensi OCC sono contenuti (possono andare da €1.000 a €4.000, a seconda dei casi). Tali compensi sono prededucibili, cioè si pagano prima di soddisfare i creditori. Il debitore di solito versa una quota iniziale per coprire le spese di avvio. Se il debitore è completamente incapiente e non può neppure pagare l’OCC, come visto è allo studio il Fondo pubblico per coprire questi casi. Oltre al costo OCC, il debitore deve considerare il compenso del proprio avvocato, se ne ha nominato uno (variabile a seconda dell’attività, ma spesso l’avvocato concorda un forfait contenuto in considerazione delle difficoltà del cliente). Sommando OCC e legale, il costo complessivo è di solito molto inferiore ai benefici: ad esempio, pagare magari 3-5 mila euro tra spese e compensi per cancellare 100 mila euro di debiti è sicuramente un ottimo affare per il debitore, se si può permettere questo sforzo. Inoltre, molti OCC permettono di dilazionare il loro compenso all’interno del piano stesso (cioè l’OCC viene pagato man mano che il debitore esegue il piano, attingendo dalle risorse concorsuali). Ciò rende la procedura accessibile anche a chi non ha liquidità immediata. Infine, ricordiamo che l’apertura della procedura blocca gli interessi sui debiti chirografari e sospende le azioni esecutive, evitando ulteriori spese di diffide, precetti, pignoramenti e così via. Quindi, anche da un punto di vista finanziario, spesso al debitore conviene spendere qualcosa oggi per avviare la procedura e congelare la situazione, piuttosto che rimandare e vedersi lievitare debiti per interessi e spese legali di recupero.

In conclusione, la procedura di sovraindebitamento richiede un po’ di impegno iniziale (raccolta documenti, incontri con OCC, definizione della strategia), ma offre al debitore un percorso ordinato e sotto tutela giudiziale per uscire dal tunnel. È fondamentale la totale collaborazione e sincerità con l’OCC e il proprio legale: fornire tutti i dati, non nascondere nulla, seguire le indicazioni (ad esempio non fare spese inconsulte durante la procedura, che darebbero cattiva impressione). Dal punto di vista del debitore, affrontare apertamente la situazione di sovraindebitamento attraverso gli strumenti legali è quasi sempre preferibile a subire passivamente cause e pignoramenti: queste procedure, per quanto impegnative, hanno l’obiettivo esplicito di dare sollievo e una seconda opportunità al debitore.

Confronto tra le diverse procedure (tabella riepilogativa)

Per ricapitolare le caratteristiche salienti delle procedure di sovraindebitamento, riportiamo una tabella comparativa che evidenzia le differenze principali dal punto di vista del debitore:

CaratteristicaPiano del consumatoreConcordato minoreLiquidazione controllataEsdebitazione incapiente
Soggetti ammessiSolo debitore consumatore (persona fisica con debiti personali estranei ad attività d’impresa).Debitori non consumatori sovraindebitati (imprenditori minori, professionisti, impr. agricoli, enti non fallibili). Consumatori esclusi.Qualsiasi debitore sovraindebitato (persona fisica o soggetto non fallibile).Solo persona fisica completamente incapiente (nessun bene né reddito disponibile). Non per società o enti.
IniziativaDebitore (con OCC). Creditori non votano ma possono opporsi.Debitore (con OCC). Creditori votano per approvare.Debitore o creditori/PM. Può essere volontaria o coattiva.Debitore (con OCC). Creditori non partecipano (decide il giudice).
Ruolo dei creditoriNessun voto. Partecipano solo con eventuali osservazioni. Decisione rimessa al giudice (meritevolezza/fattibilità).Voto richiesto: serve maggioranza dei crediti ≥ 50%. Se maggioranza raggiunta, concordato omologato; se no, procede liquidazione.Nessun voto (è procedura liquidatoria). I creditori presentano domande di ammissione al passivo e ricevono riparti secondo prelazioni.Nessun voto. I creditori subiscono la cancellazione dei crediti salvo ripresa parziale se nei 4 anni il debitore ottiene risorse ≥10%.
Meritevolezza richiestaSì, assenza dolo o colpa grave (giudice verifica che il consumatore non abbia causato il dissesto con grave imprudenza). No atti in frode.Sì, assenza dolo/colpa grave/atti in frode (requisito generale per accesso). Valutato in sede di omologa se opponendo.Non impedisce apertura (anche un debitore con colpa può finire liquidato), ma incide sull’esdebitazione: il debitore persona fisica avrà la liberazione dei debiti solo se non ha frodi o mala fede.Sì, in forma assoluta: concessa solo a debitore onestissimo (niente dolo, colpa grave o frode). Al minimo dubbio, il giudice rigetta.
Gestione del patrimonioConservazione: il debitore mantiene la gestione dei beni sotto supervisione OCC. Può conservare beni essenziali (es. casa con mutuo continuato). Deve destinare al piano risorse disponibili (quota reddito, realizzo eventuali beni non protetti).Mista: se in continuità, il debitore prosegue attività e gestione corrente con vigilanza; se liquidatorio, prevede cessione di beni (anche a liquidatore nominato). In ogni caso mantiene disponibilità dei beni non destinati ai creditori.Spossessamento: il debitore perde la disponibilità di tutti i beni presenti e futuri (eccetto impignorabili). Un liquidatore gestisce e liquida l’intero patrimonio. Il debitore non può disporre dei beni.Nessun patrimonio da gestire: il debitore, essendo privo di beni utili, non subisce spossessamento poiché non c’è nulla da liquidare. Resta comunque obbligato a dichiarare eventuali nuovi beni sopravvenienti per 4 anni.
Durata indicativaProcedura di omologa: ~4-6 mesi. Esecuzione del piano: variabile (tipicamente 4–5 anni) anche oltre, a seconda del piano.Procedura di voto+omologa: ~4-6 mesi. Esecuzione concordato: variabile (se in continuità può durare anni secondo piano industriale; se liquidatorio, vendite in 1-2 anni).Durata auspicata: ~2-3 anni per liquidare tutto. La legge fissa 3 anni come orizzonte per conclusione e esdebitazione automatica. Può estendersi se attivo complesso, ma debitore persona fisica libero dopo 3 anni (salvo frodi).Decreto di esdebitazione emesso in pochi mesi. Periodo di condizione risolutiva: 4 anni di monitoraggio. Decorso tale termine senza eventi, la procedura si chiude definitivamente.
Esdebitazione (liberazione debiti residui)Automatico a fine piano: completato il pagamento di quanto previsto, il debitore è esdebitato per la parte non pagata. Non serve ulteriore istanza. Se il piano non viene completato, possibile conversione in liquidazione (esdebitazione subordinata a quella).Dopo esecuzione concordato: al termine della esecuzione integrale, il debitore è liberato dai debiti residui automaticamente. Se il concordato fallisce (risoluzione), si apre liquidazione e esdebitazione segue le regole di quella.Di diritto a chiusura: il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione di diritto con la chiusura della liquidazione (dopo ~3 anni). Non occorre istanza, salvo opposizioni di creditori su mala fede. (Debiti esclusi: alimenti, malversazioni, sanzioni etc. restano comunque).Immediata ma condizionata: il decreto rende inesigibili tutti i debiti subito. Se entro 4 anni il debitore ottiene capacità di pagamento ≥10%, deve pagare quella parte. Trascorsi 4 anni senza miglioramenti, l’esdebitazione diventa definitiva al 100%. Una volta concessa, non ripetibile in futuro.

Legenda: OCC = Organismo di Composizione della Crisi; prededucibile = con priorità di pagamento nella procedura; COMI = centro degli interessi principali del debitore.

Domande frequenti (FAQ) sul sovraindebitamento

  • D: Le procedure di sovraindebitamento cancellano tutti i tipi di debiti?
    R: In linea di massima , con alcune eccezioni. Tutti i debiti “civili” e commerciali (banche, finanziarie, fornitori, bollette, canoni, ecc.) e anche i debiti fiscali e contributivi possono essere inclusi e, in caso di esdebitazione, vengono cancellati. Le eccezioni riguardano poche categorie di debiti che per legge non si estinguono neanche con l’esdebitazione: tipicamente le obbligazioni alimentari e di mantenimento (es. gli assegni di mantenimento al coniuge o ai figli) e le sanzioni penali o amministrative di carattere pecuniario. Anche i debiti da risarcimento di danni extracontrattuali (es. derivanti da reato) sono esclusi dal perdono. Dunque, se il sovraindebitamento deriva da una multa, da un risarcimento per lesioni o da arretrati di mantenimento, il debitore non verrà liberato da queste specifiche obbligazioni (che dovrà comunque onorare se e quando potrà). Tutti gli altri debiti invece, dopo la procedura, non saranno più dovuti. In particolare, è confermato che anche i debiti verso il Fisco (imposte, tasse) e verso l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia) possono essere falcidiati e poi esdebitati come gli altri crediti concorrenti. Il Codice consente di includere nel piano anche debiti tributari privilegiati dilazionandoli oltre l’anno, e nella liquidazione controllata i crediti erariali non soddisfatti rientrano nell’esdebitazione finale al pari degli altri.
  • D: Cosa succede se ho un mutuo per la casa? Perderò l’abitazione?
    R: Dipende dalla procedura e dalle scelte strategiche. Il Codice tutela la prima casa principalmente nel piano del consumatore: è previsto espressamente che il debitore possa conservare la casa di abitazione se è in corso un mutuo ipotecario, continuando a pagarne le rate regolarmente fuori dal piano. In tal caso l’immobile non viene toccato dalla procedura e il debitore evita di perderlo (ovviamente deve essere in regola o regolarizzare le rate del mutuo). Anche nel concordato minore in continuità è ammesso che il debitore mantenga beni gravati da garanzie (ad es. un capannone con mutuo leasing), continuando a pagare alle scadenze, se ciò non lede gli altri creditori. Invece, nella liquidazione controllata, purtroppo la regola generale è che tutti i beni del debitore vengano liquidati, compresa l’eventuale casa di proprietà, per soddisfare i creditori. Se sull’abitazione insiste un mutuo ipotecario, il liquidatore la venderà e il ricavato andrà anzitutto alla banca ipotecaria (il debito residuo della banca poi sarà eventualmente esdebitato). Il debitore perde la casa, salvo che il valore di mercato sia così basso da renderne la vendita antieconomica (ma è raro). C’è da dire che in molti casi il debitore è indietro col mutuo e la banca ha già avviato un pignoramento: presentare un piano del consumatore può bloccare la vendita all’asta e permettere di riprendere i pagamenti. In taluni piani si riesce anche a “spalmare” l’arretrato o a ottenere un periodo di moratoria dal giudice. Quindi, la procedura di sovraindebitamento può offrire soluzioni per salvare la casa, ma richiede che il debitore abbia un reddito sufficiente a sostenere almeno le rate del mutuo corrente. Se invece la casa è già in esecuzione avanzata o il debitore non può proprio più pagare il mutuo, spesso la liquidazione è inevitabile. In ogni caso, dopo la liquidazione il debitore viene liberato dall’eventuale debito residuo verso la banca (es. se la vendita all’asta non copre tutto il mutuo, il residuo viene esdebitato). Quindi quantomeno si evita il paradosso di perdere la casa e restare debitori della banca: con la procedura, una volta che la casa è venduta e si dà tutto il ricavato alla banca, il mutuatario è libero dall’ulteriore debito.
  • D: Come vengono trattati i debiti con garanzie (ipoteche, pegni, fideiussioni)?
    R: I creditori garantiti da pegno o ipoteca (detti privilegiati) hanno diritto a un trattamento di favore. Nelle procedure di sovraindebitamento, il principio è che il loro credito può essere ristrutturato ma solo a condizione di preservare il valore della garanzia. Per esempio, nel piano del consumatore si può proporre a un ipotecario di non pagarlo interamente, ma almeno per il valore ricavabile dal bene su cui vanta garanzia. Oppure di pagarlo integralmente ma con dilazione lunga (come confermato dalla Cassazione). Se il creditore privilegiato non viene soddisfatto integralmente nel piano, di solito dev’essere messo in condizione di esprimersi: ad esempio, nel concordato minore, i creditori privilegiati votano per la parte di credito che non verrebbe soddisfatta a causa della dilazione o falcidia. In liquidazione, invece, il liquidatore venderà il bene e pagherà il creditore ipotecario fino a concorrenza del ricavato (gli interessi maturati dopo l’apertura non sono dovuti se il ricavato non li copre). Il fideiussore o coobbligato, invece, non è protetto dall’esdebitazione altrui: se Tizio fa un piano e viene esdebitato, il garante Caio resta obbligato verso i creditori per intero. Però c’è una novità: il Codice equipara il fideiussore persona fisica a un possibile consumatore per i suoi debiti di regresso. Quindi, il garante escusso a sua volta potrà accedere a sua volta a una procedura per liberarsi. Inoltre se, in un concordato minore, un debitore è società e presenta accordo, i soci fideiussori beneficiano dell’accordo per i debiti sociali garantiti (norma introdotta nel 2020). In sintesi: la liberazione del debitore principale non estingue le garanzie reali o personali rilasciate da terzi, salvo che la legge disponga espressamente (come nel caso citato dei soci illimitatamente responsabili, i cui debiti sociali sono inclusi nell’accordo ex art. 7 co.2-ter L.3/2012). Tuttavia, i garanti possono a loro volta attivare strumenti sovraindebitamento se ne hanno i requisiti.
  • D: Quanto tempo ci vuole per avere l’esdebitazione?
    R: Il tempo varia a seconda della procedura scelta e della complessità del caso. Possiamo però dare un’idea: per un piano del consumatore relativamente semplice, l’omologazione può arrivare in 3-6 mesi dal deposito del ricorso (dipende dai carichi di lavoro del tribunale e dalle eventuali opposizioni) e l’esdebitazione effettiva si ha dopo l’esecuzione completa del piano, che spesso dura qualche anno (es. piani quinquennali sono comuni). Per un concordato minore, analogamente, servono alcuni mesi per la fase di voto e omologa e poi qualche anno di esecuzione (può essere anche qui un piano triennale o quinquennale di pagamento). Quindi in media, dall’inizio dell’iter all’esdebitazione finale, un debitore con piano/concordato impiega intorno ai 4-5 anni (di cui però la maggior parte trascorsi semplicemente effettuando i pagamenti periodici concordati). Per la liquidazione controllata, l’esdebitazione è ottenibile anche più rapidamente: il Codice mira a far chiudere tutto entro 3 anni. In pratica, se il patrimonio da liquidare è modesto (es. solo un immobile), la procedura potrebbe chiudersi anche in 1-2 anni, con esdebitazione immediatamente dopo. Comunque, passato il terzo anno, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione di diritto anche se la liquidazione non è formalmente chiusa. Quindi diciamo 3 anni circa è un orizzonte tipico. L’esdebitazione dell’incapiente è la più rapida in termini di ottenimento: il decreto che cancella i debiti arriva in pochi mesi dal ricorso, tuttavia va considerato il periodo di condizione di 4 anni in cui il debitore resta sotto osservazione. Durante quei 4 anni l’esdebitazione è “sospesa” nel senso che potrebbe venir meno se ci sono miglioramenti economici significativi; trascorsi i 4 anni senza novità, diventa definitiva. Quindi l’incapiente in sostanza ottiene subito sollievo (stop alle richieste dei creditori) ma deve “tenere duro” 4 anni per la conferma finale. In conclusione, la forbice temporale va da pochi mesi (nel migliore dei casi di liquidazione con niente da vendere, o incapiente puro) fino a 5-6 anni (nel caso di piani molto lunghi). La maggior parte delle procedure comunque porta a esdebitazione entro 3-5 anni totali. Un enorme miglioramento se pensiamo che senza queste procedure un debitore potrebbe essere inseguito per 20 o 30 anni…
  • D: Devo pagare tutte le spese in anticipo? Mi posso permettere la procedura?
    R: La normativa ha cercato di rendere le procedure accessibili. Non è richiesto un grosso esborso iniziale. In genere l’OCC chiede solo una spesa di avvio (qualche centinaio di euro) quando si deposita l’istanza. Il resto del suo compenso verrà ricavato all’interno della procedura, come prededuzione, cioè pagato con le somme destinate ai creditori (riducendo di poco la percentuale per essi). Anche il compenso dell’eventuale avvocato può essere dilazionato o subordinato al buon esito (molti avvocati capiscono la situazione e concordano pagamenti rateali o a omologa ottenuta). Inoltre, come detto, per i debitori incapienti è in arrivo un Fondo pubblico proprio per coprire i costi OCC e di giustizia. Ciò significa che la mancanza di denaro non preclude di avviare la procedura: l’importante è essere sinceri con OCC e legale sulla propria capacità. Molti OCC attuano politiche “sociali” di riduzione dei compensi nei casi più disperati (es. debitori a zero reddito). Quindi, sì, te lo puoi permettere: pensa che restare schiavo dei debiti è molto più costoso a lungo andare (interessi, more, ecc.). Le procedure, oltre a risolvere il problema, bloccano la lievitazione dei costi: ad es. dal deposito del ricorso, cessano gli interessi sui debiti chirografari e si fermano le azioni esecutive costose. In molte situazioni, se il debitore non agisse, finirebbe per pagare più soldi in pignoramenti, parcelle legali dei creditori e interessi che non non i pochi che servono per la procedura. Quindi è un investimento conveniente per uscire dal tunnel.
  • D: Posso avviare la procedura da solo, senza avvocato?
    R: Formalmente , la legge consente che il ricorso sia sottoscritto dal debitore stesso e dal gestore dell’OCC, senza firma di avvocato. Questo per semplificare l’accesso iniziale. Tuttavia, è altamente raccomandabile farsi seguire anche da un legale di fiducia esperto in materia. L’avvocato servirà soprattutto nella fase di udienza e di eventuali contenziosi: ad esempio, se un creditore si oppone o propone reclamo in appello, l’avvocato difende il debitore. L’OCC infatti non è il “difensore” del debitore, ma un organo terzo: non può impostare la strategia processuale nell’interesse esclusivo del debitore, né può fare reclami in suo nome. Inoltre, un avvocato preparato potrà consigliare sin dall’inizio le mosse giuste (ad esempio quali documenti enfatizzare, come trattare con i creditori prima del deposito, ecc.). Dunque, pur non essendo obbligatorio, avere un avvocato è quasi d’obbligo per un esito ottimale. Molti OCC stessi suggeriscono ai debitori di farsi assistere. L’assenza di avvocato è pensata per situazioni rarissime in cui il debitore proprio non riesca a trovarne uno (ma in genere ci sono associazioni e avvocati volontari pronti ad aiutare nei casi di indigenza).
  • D: Cosa succede se durante il piano perdo il lavoro o peggiora la mia situazione?
    R: La legge prevede una certa flessibilità per eventi sopravvenuti. Se durante l’esecuzione di un piano del consumatore o di un concordato minore il debitore subisce un peggioramento significativo (es. perde l’occupazione, o sopraggiunge una malattia), può chiedere al tribunale una modifica delle condizioni. In particolare, l’art. 68 CCII consente – per i piani del consumatore – di chiedere una sospensione dei pagamenti fino a 1 anno o una rideterminazione delle scadenze, in caso di “circostanze sopravvenute che alterano l’equilibrio del piano”. Similmente per il concordato minore è possibile presentare un’istanza di modifica del piano prima che sia completato, da sottoporre a nuova valutazione dei creditori o del giudice. Se il debitore si trova impossibilitato a proseguire nei pagamenti, il giudice può disporre misure di salvaguardia (ad es. sospendere temporaneamente l’obbligo di pagamento rate) per dare respiro. Nella peggiore delle ipotesi, se proprio il piano diventa irrealizzabile, si potrà convertire la procedura in liquidazione controllata. Questo ovviamente è l’extrema ratio, ma ha il vantaggio che il periodo già trascorso non è del tutto perso: i crediti dei creditori rimangono ridotti di quanto eventualmente già pagato e il debitore potrà comunque aspirare all’esdebitazione tramite la liquidazione. Quindi un incidente di percorso non è una condanna irrimediabile: c’è margine per adeguare il piano o quantomeno per non vanificare la protezione concorsuale faticosamente ottenuta. L’importante è comunicare subito all’OCC e al giudice le difficoltà e non aspettare di accumulare inadempimenti. Se il debitore agisce in buona fede, il sistema cerca di trovare soluzioni.
  • D: Dopo l’esdebitazione, sarò pulito anche in CRIF / centrale rischi?
    R: L’esdebitazione non cancella automaticamente le segnalazioni creditizie negative, ma consente di aggiungere una nota di avvenuto risanamento. Ad esempio, CRIF (la banca dati dei crediti al consumo) conserva le informazioni su prestiti non pagati per un certo numero di anni (tipicamente 3 anni da quando risultano a sofferenza). Ottenere l’esdebitazione non azzera quelle registrazioni, che verranno cancellate solo decorso il tempo previsto. Tuttavia, il debitore esdebitato può fornire evidenza della pronuncia di esdebitazione e chiedere che venga riportato che quei debiti sono stati chiusi per procedura concorsuale. La centrale rischi della Banca d’Italia invece segnala i fallimenti e le procedure concorsuali: in tal caso, la chiusura della procedura viene registrata e dopo un periodo (di norma 5 anni) anche la segnalazione concorsuale decade. In sostanza, nel breve periodo il credit score di un debitore che ha appena avuto l’esdebitazione non sarà immediatamente “pulito come una lavagna”, ma col passare del tempo potrà certamente riabilitarsi. L’importante è che, una volta esdebitato, non avrà più nuove segnalazioni negative perché i vecchi creditori non possono più segnalarlo come moroso: quei debiti sono estinti. Dunque si interrompe la catena delle segnalazioni. Per fare un esempio: Mario ottiene l’esdebitazione nel 2025; fino al 2028 CRIF potrebbe ancora mostrare i suoi vecchi ritardi del 2022, ma non oltre. Dal 2028 in poi Mario risulterà neutro. Già dal 2025 però, in caso chieda un nuovo finanziamento, potrà esibire la documentazione dell’omologa a dimostrazione di essersi liberato legalmente dei debiti. Alcune banche considerano positivamente il fatto che l’indebitamento pregresso sia stato risolto. Inoltre, con l’esdebitazione Mario non risulta più protestato (se lo era) né soggetto a procedure esecutive: quindi può ricominciare ad avere un conto corrente e, con prudenza, riconquistare fiducia creditizia. In sintesi: , dopo la procedura il debitore può davvero “ripartire da zero” anche nella vita economica, evitando però di commettere gli errori passati che portarono al sovraindebitamento.

Conclusioni

Dal punto di vista del debitore, le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento rappresentano un’importante ancora di salvezza. Grazie a esse, il soggetto oppresso dai debiti può trasformare una situazione altrimenti senza via d’uscita in un percorso regolato e con un termine definito, al cui esito potrà tornare ad una vita finanziariamente sostenibile. Come abbiamo visto, il Codice della crisi offre strumenti differenziati per adattarsi alle varie casistiche: dal piano del consumatore che consente ai privati di ridurre e riscadenzare i debiti mantenendo i beni essenziali, al concordato minore che permette ai piccoli imprenditori di evitare la liquidazione e proseguire l’attività ristrutturando l’esposizione, fino alla liquidazione controllata che, pur implicando il sacrificio patrimoniale, garantisce comunque l’epilogo liberatorio dell’esdebitazione, e all’esdebitazione incapiente che tutela persino chi non ha davvero nulla da offrire.

Il filo rosso che attraversa tutte queste procedure è l’idea del “fresh start”, ossia che punire a vita l’insolvenza non giova a nessuno. Un debitore onesto ma sfortunato, se lasciato in una condizione debitoria perpetua, non potrà mai ritornare un cittadino economicamente attivo; viceversa, dandogli una seconda opportunità (magari dopo aver pagato quanto possibile), lo si rimette in condizione di contribuire all’economia e conduce una vita dignitosa senza l’ombra schiacciante dei debiti passati. Naturalmente, il sistema è calibrato per evitare abusi: chi ha colpe gravi o comportamenti fraudolenti non viene premiato, e anzi rischia sanzioni. Ma per quella larga fascia di persone in difficoltà finanziaria per motivi indipendenti dalla loro volontà – pensiamo alle crisi economiche, alla pandemia, alla perdita del lavoro, a malattie, a tassi usurari, ecc. – il sovraindebitamento non è più una condanna senza appello: esiste una procedura per uscirne legalmente.

Da un punto di vista operativo, la chiave del successo sta nella corretta impostazione della procedura con l’aiuto di professionisti (OCC e avvocati) e nella collaborazione leale del debitore. È fondamentale essere trasparenti, rispettare gli obblighi informativi e seguire le indicazioni degli organi. In tribunale, ormai, c’è una crescente sensibilità e conoscenza di queste procedure: le sezioni specializzate (spesso le stesse che si occupano di fallimenti) in tutta Italia hanno consolidato prassi efficienti e giurisprudenza uniforme. Non mancano pronunce della Corte di Cassazione a guidare l’interpretazione su punti controversi – alcune le abbiamo citate, ad esempio sulla dilazione dei crediti privilegiati, sulla definizione di consumatore e debiti promiscui, sul requisito della meritevolezza e sul ruolo dell’OCC nella verifica documentale. Questo corpus di sentenze assicura che l’istituto funzioni in maniera prevedibile e garantista per tutte le parti.

In definitiva, un debitore sovraindebitato oggi non è più solo e senza speranza: ha davanti a sé un ventaglio di possibili soluzioni giuridiche. Deve scegliere con oculatezza (magari con l’aiuto di un legale esperto) quale via sia più adatta al suo caso – ad esempio, se è un privato con reddito decente punterà al piano del consumatore; se è un ex imprenditore con beni punterà al concordato minore se regge o alla liquidazione con esdebitazione; se non ha nulla opterà per l’esdebitazione incapiente. Qualunque sia lo strumento scelto, il risultato finale sarà – se le condizioni sono rispettate – la liberazione dai debiti e la possibilità di ricominciare. Questo è un messaggio potente, di civiltà giuridica: uscire dai debiti si può, attraverso le procedure di composizione della crisi, ed è un diritto riconosciuto dall’ordinamento per ridare dignità economica alle persone.

Fonti e riferimenti

  • Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14) – Artt. 2, 67-83, 268-277, 283 (disciplina delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento e esdebitazione).
  • Legge 27 gennaio 2012 n.3 (vecchia legge sul sovraindebitamento, abrogata dal 2022) e successive modifiche – utile per inquadramento storico e per interpretazioni ante Codice (es. concetto di meritevolezza).
  • Decreto Legge 28 ottobre 2020 n.137 (Decreto Ristori, conv. L.176/2020) – ha introdotto anticipatamente alcune norme poi confluite nel Codice (procedura familiare, esdebitazione incapiente, ecc.).
  • D.Lgs. 13 agosto 2022 n.83 e D.Lgs. 13 settembre 2024 n.136 (cosiddetti decreti correttivi del CCII) – hanno apportato varie modifiche integrative, ad es. abbassamento soglia voto concordato minore, divieto di domande “in bianco”, criteri per apporto esterno, fondo incapienti.

Fonti giurisprudenziali:

  • Cass. civ. Sez. I, 25/10/2022 n. 27843 – Ordinanza su piano del consumatore: onere del debitore di provare la ragionevole prospettiva di adempimento e proporzionalità del credito alle sue capacità (concetto di meritevolezza, ante riforma 2020).
  • Cass. civ. Sez. III, 26/07/2023 n. 22715 – Sentenza su rapporti tra giudice sovraindebitamento e giudice esecuzione: il GD può solo disporre divieto generale di azioni esecutive, la sospensione dei singoli pignoramenti spetta ai GE (principio di coordinamento).
  • Cass. civ. Sez. I, 21/09/2023 n. 22900 – Sentenza su piano consumatore: responsabilità per incompletezza documentazione è in primis dell’OCC e del giudice, non imputabile al debitore (rafforza tutela debitore in caso di errori procedurali).
  • Cass. civ. Sez. I, 21/02/2024 n. 4622 – Ordinanza (principio di diritto) che conferma la possibilità di dilazionare il pagamento dei crediti privilegiati oltre un anno nei piani/accordi di sovraindebitamento, purché ai creditori sia assicurato voto e convenienza (richiama Cass. 17391/2020).
  • Tribunale di Trapani, 11/05/2023 (decreto) – Esempio di esdebitazione incapiente concessa: il decreto onera il debitore di presentare ogni anno per 4 anni una dichiarazione sulla propria situazione, a pena revoca beneficio se sopravvenienze (caso in linea con art. 283 CCII).

Sei sovraindebitato? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai più debiti di quanti ne riesci a gestire? Rate non pagate, cartelle, prestiti, mutui o fornitori ti stanno soffocando finanziariamente?
Se non riesci più a pagare tutto e ogni mese è una lotta per evitare il pignoramento, sei in una condizione di sovraindebitamento.
La buona notizia è che puoi uscirne legalmente, con strumenti previsti dalla legge che tutelano chi è in buona fede ma ha perso il controllo della situazione economica.


Cos’è il sovraindebitamento?

È la condizione di chi non riesce più, in modo stabile, a far fronte ai propri debiti.
Riguarda:

  • 🙋‍♂️ Privati e famiglie
  • 👨‍💼 Imprenditori individuali, professionisti e partite IVA
  • 🏢 Ex titolari di attività chiuse con debiti personali rimasti
  • 👩‍🦰 Persone colpite da malattia, separazione, perdita di lavoro o imprevisti economici

Non importa la causa: se non riesci più a pagare, puoi chiedere una soluzione giudiziale.


Cosa fare in caso di sovraindebitamento?

Ecco i passaggi da seguire:

✅ 1. Bloccare la paura e fare un’analisi realistica

  • Raccogli tutti i documenti: mutui, prestiti, cartelle, solleciti
  • Calcola quanto entra davvero ogni mese
  • Evita nuovi debiti “tampone” che peggiorano la situazione

✅ 2. Rivolgiti a un avvocato esperto in crisi debitoria

  • Solo un legale specializzato può indicarti quale procedura attivare tra:
    • Piano del consumatore
    • Concordato minore
    • Liquidazione controllata
    • Esdebitazione dell’incapiente

✅ 3. Attiva una procedura di sovraindebitamento

  • Si presenta al tribunale con l’assistenza dell’avvocato
  • Blocca pignoramenti, fermi amministrativi, interessi e azioni esecutive
  • Prevede il pagamento solo in base a ciò che puoi davvero sostenere
  • Alla fine, ottieni la liberazione totale dai debiti residui

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

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✍️ Redige il piano sostenibile per il tribunale
⚖️ Blocca legalmente le azioni dei creditori
🔁 Ti accompagna fino all’omologazione del piano e alla tua esdebitazione
🤝 Ti tutela anche se sei senza reddito o senza beni: esistono soluzioni specifiche


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Esperto in sovraindebitamento civile e imprenditoriale
✔️ Gestore della crisi iscritto al Ministero della Giustizia
✔️ Difensore di privati, famiglie, ex imprenditori, pensionati, partite IVA
✔️ Consulente per salvaguardare la casa


Conclusione

Il sovraindebitamento non è una vergogna, è una condizione che la legge riconosce e risolve.
Se hai agito in buona fede, hai diritto a una seconda possibilità.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo puoi bloccare i creditori e tornare a respirare.

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