Piano Di Rientro Con La Banca: Come Farlo Bene

Hai accumulato debiti con la banca e ora ti propongono un piano di rientro? Ti stai chiedendo se conviene accettarlo, come trattare le condizioni e come fare un piano di rientro bancario fatto bene?

Attenzione: firmare un piano di rientro senza strategia può ingabbiarti in rate insostenibili o addirittura peggiorare la tua situazione. Ma se costruito con criterio, può essere uno strumento utile per evitare pignoramenti, segnalazioni e cause legali.

Cos’è un piano di rientro con la banca?
È un accordo scritto in cui ti impegni a restituire il debito arretrato in modo dilazionato, con rate mensili o scadenze concordate.
Serve per:
– Evitare una causa o il pignoramento del conto
– Uscire da una segnalazione negativa in centrale rischi
– Rientrare da uno scoperto di conto corrente o da rate saltate di un prestito

Cosa devi valutare prima di firmare?
Importo complessivo: devi sapere esattamente a quanto ammonta il debito (capitale + interessi + more)
Tasso applicato: verifica che non sia sproporzionato
Durata del piano: deve essere sostenibile in base al tuo reddito
Impegno scritto: ogni piano di rientro è un vero contratto: se non lo rispetti, la banca può agire immediatamente
Eventuali garanzie richieste: ipoteca, fideiussioni, coobbligati

Come fare un piano di rientro fatto bene?
Mai firmare da solo: fai esaminare la proposta da un avvocato o un consulente legale
– Proponi tu un piano, basato sulle tue reali possibilità di pagamento
– Chiedi sempre uno sconto o uno stralcio degli interessi se il debito è vecchio o ci sono anomalie
– Inserisci clausole di flessibilità (es. sospensione rate per difficoltà future)
– Pretendi la cancellazione dalle centrali rischi al termine del piano

Cosa NON devi fare mai?
– Accettare rate più alte di quelle che puoi realmente sostenere
– Firmare senza leggere tutte le clausole
– Fidarti solo delle promesse verbali del funzionario di banca
– Lasciare tutto in sospeso: la banca può agire senza avvisarti ancora

Un buon piano di rientro ti protegge. Uno sbagliato ti rovina.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contratti bancari e gestione del debito – ti spiega quando conviene un piano di rientro con la banca, come strutturarlo e cosa fare per non commettere errori irreparabili.

Hai ricevuto una proposta dalla banca o vuoi negoziare un piano sostenibile?

Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Ti aiuteremo a valutare il piano, trattare le condizioni e tutelarti da clausole dannose o richieste sbilanciate.

Introduzione

Un piano di rientro è un accordo tra un debitore e la banca per rimborsare gradualmente un debito in sofferenza o scaduto. Si tratta di uno strumento fondamentale per evitare azioni legali immediate (come decreti ingiuntivi o pignoramenti) e per diluire nel tempo l’esposizione debitoria. In questa guida, aggiornata a luglio 2025, esamineremo in dettaglio come strutturare correttamente un piano di rientro con la banca dal punto di vista del debitore. Adotteremo un taglio avanzato, adatto sia a professionisti legali sia a privati e imprenditori, con linguaggio giuridico ma accessibile. Verranno analizzati i riferimenti normativi italiani (Codice Civile, TUB – Testo Unico Bancario, istruzioni di Banca d’Italia), la giurisprudenza più recente (sentenze di merito e di legittimità, decisioni ABF), nonché aspetti fiscali (deducibilità degli interessi, tassazione di eventuali riduzioni del debito) e di segnalazione in Centrale Rischi.

Tratteremo casi specifici come mutui ipotecari, affidamenti bancari (fidi) con conti scoperti, e prestiti personali, offrendo consigli pratici, modelli di lettere e bozze di accordo. Saranno incluse tabelle riepilogative, simulazioni numeriche di piani di pagamento e una sezione Domande & Risposte per chiarire i dubbi frequenti. L’obiettivo è fornire una guida completa e approfondita su come negoziare e formalizzare un piano di rientro “fatto bene”, tutelandosi al meglio e rispettando la normativa vigente.

Cos’è un piano di rientro e quale natura giuridica ha?

Un piano di rientro è essenzialmente un accordo stragiudiziale in cui la banca concede al debitore di rimborsare il dovuto a rate, anziché in un’unica soluzione immediata. In cambio, il debitore si impegna a un pagamento rateale secondo un calendario concordato. Dal punto di vista giuridico, un piano di rientro può assumere diverse nature a seconda di come è formulato:

  • Ricognizione di debito non novativa: Molti piani di rientro hanno natura meramente ricognitiva. Ciò significa che il debitore riconosce l’esistenza e l’entità del proprio debito verso la banca e promette di pagarlo a rate, senza però modificare la causa del debito originario né introdurre nuove condizioni sostanziali. In tal caso il piano non estingue né sostituisce le obbligazioni originarie: non c’è novazione (art. 1230 c.c.), ma solo conferma del rapporto preesistente. Ad esempio, se il debito deriva da uno scoperto di conto o da rate di mutuo impagate, il piano ricognitivo si limita a riconoscere l’importo dovuto e a dilazionarne il pagamento, senza rinunciare o transigere sui diritti originari di ciascuna parte.
  • Accordo transattivo (transazione): Se nel piano di rientro vi sono reciproche concessioni tra le parti allo scopo di prevenire o definire una lite, l’accordo può qualificarsi come transazione ex art. 1965 c.c.. Ciò accade, ad esempio, quando la banca rinuncia ad agire immediatamente e magari riduce parzialmente interessi o importi dovuti, mentre il cliente rinuncia a contestare certi addebiti o diritti (ad esempio, accetta l’importo addebitato senza più sollevare eccezioni di nullità o invalidità). In tal caso il piano di rientro è un vero negozio transattivo e comporta la definitiva definizione delle controversie tra le parti, con efficacia preclusiva: ciò che è oggetto di transazione non potrà più essere contestato successivamente, salvo rimedi straordinari (come l’annullamento della transazione ex art. 1972 c.c. per errore su causa di nullità, ecc.). Ad esempio, una clausola del piano che afferma “il cliente rinuncia a ogni contestazione sugli addebiti maturati sino ad oggi” indica volontà transattiva. Occorre notare che la nullità radicale di un contratto bancario (es. per usura originaria) è di norma irrinunciabile, ma sono disponibili le pretese patrimoniali che ne discendono. Quindi un cliente può validamente rinunciare a ripetere somme addebitate a titolo di interessi nulli, salvo il caso di interessi usurari, perché questi integrano un illecito la cui transazione sarebbe nulla ex art. 1972 co.1 c.c..
  • Novazione del debito: In alcuni casi, il piano di rientro può costituire addirittura una novazione ai sensi del codice civile (artt. 1230-1231 c.c.), cioè la sostituzione del debito originario con una nuova obbligazione. La regola generale, affermata dalla Cassazione, è che un piano di rientro non ha effetto novativo salvo espressa volontà contraria. Ad esempio, se la banca e il cliente stipulano un nuovo contratto di finanziamento che rimpiazza il precedente (come un prestito di consolidamento per chiudere un fido o un mutuo in sofferenza), allora si configura una novazione: la vecchia obbligazione si estingue e ne nasce una nuova con condizioni eventualmente diverse. La volontà di novare deve risultare chiara: in mancanza, l’accordo si interpreta come ricognitivo. Novare un debito può avere implicazioni importanti, perché il debitore potrebbe perdere eventuali tutele legate al contratto originario (es. garanzie o eccezioni). Si noti che la semplice dilazione di pagamento non implica di per sé novazione, a meno che le parti manifestino l’intento di sostituire integralmente il rapporto. Quindi, salvo che il testo dell’accordo dica esplicitamente che il nuovo piano “sostituisce” il precedente rapporto, si esclude l’effetto novativo.

Per il debitore è cruciale capire la differenza: se il piano ha natura ricognitiva, egli conserva il diritto di contestare successivamente vizi del contratto originario (es. clausole nulle, interessi illegittimi) perché il piano non “sana” tali vizi. Se invece sottoscrive una transazione rinunciando ad eccezioni, poi non potrà più agire contro la banca per quelle ragioni (salvo i limiti visti, ad es. usura). È quindi importante, in fase di trattativa, leggere attentamente le clausole: frasi come “saldo riconosciuto e non più contestabile” indicano rinuncia a impugnazioni future. In assenza di tali pattuizioni, vale il principio affermato dalla Suprema Corte: «Il piano di rientro concordato tra la banca ed il cliente, avente natura meramente ricognitiva del debito, non preclude la contestazione della nullità delle clausole negoziali preesistenti…». Questa massima, tratta da Cass. 2855/2022, rassicura il cliente: firmare un piano di rientro non implica accettare supinamente ogni addebito pregresso – si paga per evitare guai immediati, ma se il piano non prevedeva una transazione con rinuncia, si potranno successivamente far valere eventuali illegittimità originarie (anatocismo, interessi ultralegali non pattuiti, ecc.). Viceversa, se si è firmata una clausola di rinuncia, quella costituirà impegno vincolante e sarà molto difficile recuperare somme già pagate.

Effetto sulla prescrizione: va segnalato infine che la ricognizione di debito produce l’effetto di interrompere la prescrizione (art. 2944 c.c.), facendo decorrere un nuovo termine dal riconoscimento. Anche la mera promessa di pagamento scritta ha lo stesso effetto (art. 1988 c.c.). Dunque, dal momento in cui si sottoscrive un piano di rientro, il precedente termine prescrizionale (spesso 10 anni per le obbligazioni contrattuali) si azzera e riparte. Per il debitore ciò significa che la banca avrà piena tutela giudiziaria per l’intero nuovo termine se il piano fallisce. Questo non è necessariamente negativo – dopotutto, anche senza piano la banca potrebbe interrompere la prescrizione inviando una diffida o agendo legalmente – ma è un aspetto da avere chiaro: firmare un piano formalizza il debito e “congela” eventuali eccezioni legate al tempo trascorso.

Riassunto – Tipologie di accordo nel piano di rientro:

Tipo di pianoCaratteristiche principaliEffetti giuridici
Ricognizione di debito (piano “ricognitivo”)– Debitore ammette il debito e concorda una dilazione– Nessuna nuova obbligazione, nessuna rinuncia esplicita del debitore– Spesso formalizzata con lettera o scrittura privata sempliceNon estingue il rapporto originario– Non sana eventuali vizi originari (es. clausole nulle)– Interrompe la prescrizione (riconosce il diritto della banca)– Banca deve comunque provare il contratto originario in giudizio (il piano non supplisce a un contratto mancante)
Transazione (piano “concessorio”)– Prevede concessioni reciproche (do ut des) per evitare una lite– Tipico: rateazione concessa dalla banca + rinunce del cliente a contestazioni– Può includere riduzioni di importi (parziale saldo e stralcio) o semplici rinunce legali– Ha effetto preclusivo: definisce in via transattiva le pendenze– Il debitore rinuncia a far cause su ciò che ha transatto (salvo nullità non conoscibili)– Se contratto originario era illecito (usura), la transazione è nulla ex art.1972 c.c.– È un nuovo contratto con efficacia di legge tra le parti (art.1965 c.c.)
Novazione (nuovo contratto di finanziamento)– Le parti sostituiscono il debito con una nuova obbligazione (es: stipula di un nuovo mutuo per coprire l’esposizione pregressa)– Intento novativo deve essere esplicito (non si presume)– Spesso comporta condizioni diverse: nuovo tasso, nuova scadenza, ecc.Estingue il vecchio debito e ne crea uno nuovo (art. 1230 c.c.)– Il debitore perde le eccezioni relative al rapporto originario (che è chiuso)– Le garanzie originarie (es. fideiussioni, ipoteche) di regola permangono per il nuovo debito solo se espressamente mantenute (altrimenti si estinguono con il debito novato, art.1232 c.c.)– Nuova prescrizione decorre ex novo dal contratto di novazione

Come si vede, spesso il confine tra ricognizione e transazione può essere sottile: un piano di rientro proposto con semplice lettera firmata dal cliente di solito è ricognitivo; un accordo redatto come scrittura bilaterale in cui il cliente “rinuncia ad eccezioni” tende ad essere transattivo. Il consiglio per il debitore è di negoziare, se possibile, piani di rientro che non contengano rinunce generali, o comunque di essere consapevole che firmandole sta chiudendo ogni contestazione pregressa. In ogni caso, anche senza rinunce esplicite, il debitore deve essere leale: pretendere in futuro restituzioni di somme pagate ha senso solo se vi erano reali illegittimità (tassi usurari, anatocismo non pattuito, ecc.), non certo per sottrarsi al dovuto. La giurisprudenza offre tutela a chi denuncia clausole nulle in buona fede, ma ovviamente non a chi agisce pretestuosamente.

Normativa di riferimento in breve

Per contestualizzare i piani di rientro, riepiloghiamo le principali norme italiane che rilevano in materia di crediti bancari e inadempimenti:

  • Contratti bancari e trasparenza: l’art. 117 TUB (D.lgs. 385/93) richiede la forma scritta ad substantiam per i contratti bancari e le condizioni economiche applicate. Un contratto di conto corrente, apertura di credito o mutuo privo di forma scritta è nullo. Questo è rilevante perché un piano di rientro non può sopperire alla mancanza di un contratto originario scritto: ad esempio, la Cassazione ha chiarito che una ricognizione di debito non basta a comprovare pattuizioni di interessi ultralegali se il contratto scritto manca o è nullo. La banca dunque, anche in presenza di piano firmato, deve aver validamente pattuito per iscritto interessi e condizioni, altrimenti tali clausole restano nulle.
  • Apertura di credito e revoca (affidamenti in conto corrente): l’art. 1842 c.c. definisce il contratto di apertura di credito (fido bancario) e l’art. 1845 c.c. disciplina il recesso della banca. In particolare, se il fido è a tempo indeterminato (c.d. a revoca), ciascuna parte può recedere in qualsiasi momento, ma la banca deve dare un preavviso minimo di 15 giorni (salvo un termine maggiore previsto dal contratto o dagli usi). Durante il preavviso, il cliente non può più utilizzare nuove somme, ma non è tenuto a restituire immediatamente tutto: il debito deve essere pagato alla scadenza del termine di preavviso. Se il fido è a tempo determinato, invece, la banca non può revocarlo prima della scadenza se non per giusta causa (grave inadempienza del cliente, decadimento patrimoniale, ecc.). L’eventuale revoca “anticipata” senza giusta causa è illegittima. Inoltre, la revoca deve essere comunicata per iscritto (raccomandata o PEC) indicando i motivi: comunicazioni orali o vaghe violano i doveri di trasparenza e possono essere contestate. La Banca d’Italia e l’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) hanno ribadito che preavvisi troppo brevi (es. 2 giorni) o comunicazioni generiche non sono valide: in un caso l’ABF ha ritenuto non congruo un preavviso di soli due giorni previsto da clausola contrattuale, invitando la banca a rivederla. Questo orientamento ha portato molte banche a moderare l’uso di clausole di revoca “immediata” nei fidi.
  • Buona fede contrattuale: l’art. 1375 c.c. impone di eseguire i contratti secondo buona fede. Questo principio generale è stato applicato dalla giurisprudenza ai rapporti di apertura di credito: anche dove la banca ha formalmente diritto di recedere ad nutum (liberamente), ciò non può avvenire contra bona fides, ossia in modo arbitrario e tale da sorprendere il cliente affidato. Già dagli anni ’90 la Cassazione (sent. n. 11566/1993, n. 9307/1994, n. 4538/1997) affermò che il recesso “libero” può risultare illegittimo se esercitato in modo del tutto imprevedibile e arbitrario, violando la ragionevole aspettativa del cliente di poter contare sul fido per il tempo concordato. In altre parole, anche senza una “giusta causa” in senso tecnico, la banca rischia responsabilità se revoca bruscamente un affidamento senza circostanze obiettive che lo giustifichino. La Cassazione 8 luglio 2016 n.17291 ha rafforzato il concetto, vietando espressamente alla banca di pretendere rientri immediati e imprevedibili dal fido: un comportamento simile, se il cliente era in bonis, costituisce abuso del diritto. Parimenti la Cass. 24 agosto 2016 n.17921 ha aggiunto che anche nei fidi a revoca la banca deve comunicare le ragioni specifiche del recesso anticipato, estendendo l’obbligo di motivazione analogamente a quanto previsto per i fidi a scadenza. In sintesi, la legge (art. 1845) e i giudici richiedono che il cliente affidato non sia gettato in crisi da revoche improvvise: se ciò accade, il cliente potrà opporsi e chiedere risarcimenti dei danni subiti (ad es. perdita di opportunità commerciali per mancanza improvvisa di liquidità, secondo la teoria della “rottura brutale del credito” ripresa dalla Cassazione).
  • Mutui e finanziamenti rateali: il Testo Unico Bancario, all’art. 40, regola la decadenza dal beneficio del termine per mutui e altri finanziamenti con ammortamento. In generale, per i mutui fondiari (mutui garantiti da ipoteca su immobili) la banca può dichiarare risolto il contratto (accelerazione del debito) se il cliente accumula almeno sette ritardi nel pagamento delle rate (anche non consecutive), purché ogni ritardo superi 30 giorni. La norma chiarisce che un pagamento tardivo è “ritardato” se avviene tra il 30º e il 180º giorno dalla scadenza. Raggiunti sette ritardi di tale entità, il mutuante può invocare la risoluzione del contratto. Inoltre, un singolo mancato pagamento protratto per oltre 180 giorni dà facoltà alla banca di risolvere immediatamente il mutuo, senza attendere altre rate. In pratica: se una rata resta non pagata per più di 6 mesi, costituisce inadempimento grave (“non tollerabile”) e legittima la richiesta immediata dell’intero debito residuo. Queste soglie di legge prevalgono su quanto disposto dall’art. 1819 c.c. (che in teoria consentirebbe la risoluzione anche per una sola rata non pagata): il legislatore ha voluto introdurre un periodo di tolleranza per i mutui fondiari, proprio di sette rate o 180 giorni. Attenzione: se il contratto di mutuo prevede condizioni più favorevoli al debitore (ad es. 10 rate), prevalgono quelle; se invece prevede meno di quanto stabilito dalla legge, tali clausole sono inefficaci perché in peius rispetto al dettato normativo (la banca non può risolvere prima di 7 rate in ritardo).
  • Mutui “prima casa” e clausola di inadempimento a 18 rate: dal 2016, per i mutui immobiliari ai consumatori è stata introdotta una disciplina ulteriore: il D.lgs. 72/2016 (attuativo della direttiva 2014/17/UE) ha inserito in TUB l’art. 120-quinquiesdecies, che consente di pattuire la cosiddetta clausola marciana. Tale clausola prevede che, in caso di grave inadempimento del consumatore (mancato pagamento di 18 rate mensili), la banca possa ottenere la proprietà dell’immobile dato in garanzia o procedere alla sua vendita senza passare dal tribunale, estinguendo il debito residuo (anche se il ricavato è inferiore, salvo restituire l’eccedenza se è superiore). Questa è un’alternativa alla via giudiziale: se presente nel contratto, la banca per attivarla deve attendere 18 rate non pagate. È importante distinguere: la soglia di sette rate (o una oltre 180 gg) rimane valida per far dichiarare la risoluzione ed eventualmente iniziare un’esecuzione forzata giudiziale. La soglia di diciotto rate vale invece per esercitare la facoltà contrattuale di vendita extragiudiziale dell’immobile (ove pattuita). In ogni caso, per i consumatori la legge impone che le banche adottino “procedure per gestire i rapporti con i clienti in difficoltà nei pagamenti” prima di arrivare all’esproprio. Questo include tentativi di soluzione concordata. Va segnalato che la clausola marciana è facoltativa: il consumatore deve averla accettata esplicitamente, e comunque non si applica retroattivamente ai mutui stipulati prima del 2016 a meno di un accordo successivo. Per i mutui d’impresa, una norma simile è l’art. 48-bis TUB, che consente patto marciano anche per imprenditori (ma con soglie diverse, es. 9 mesi di inadempimento dopo almeno 3 rate, oppure 9 mesi oltre la scadenza unica). Fuori da queste ipotesi, per i finanziamenti ordinari l’accelerazione segue le regole generali: se non c’è ipoteca fondiaria, la banca può pattuire liberamente nei contratti dopo quante rate non pagate scatterà la risoluzione (tipicamente 2 o 3 rate nei prestiti personali).
  • Sistemi di informazione creditizia (Centrale Rischi e CRIF): quando un debito con la banca diventa problematico (in ritardo o non pagato), scattano le segnalazioni nelle banche dati dei cattivi pagatori. La Centrale Rischi della Banca d’Italia (CR) raccoglie le esposizioni superiori a certe soglie (in generale €30.000, ma per sofferenze la soglia è solo €250). Le istruzioni di Bankitalia (Circolare n.139/1991) definiscono sofferenza la posizione di un cliente con grave e non transitoria difficoltà a pagare i debiti, “stabile incapacità” finanziaria, non identificabile con l’insolvenza fallimentare ma comunque seria. Importante: la segnalazione a “sofferenza” non è la semplice somma di ritardi: non basta una rata scaduta per segnalare a sofferenza, serve una valutazione complessiva sullo stato del cliente. L’ABF e la Cassazione hanno ribadito che la banca deve classificare a sofferenza solo chi versa in condizione comparabile a un insolvente (pur non irreversibile). Altre categorie di segnalazione sono incaglio (o UTP, inadempienza probabile) per esposizioni dove vi è difficoltà ma si confida nel recupero, e scaduto/past due per arretrati >90 giorni su linee >€250 (consumatori) o >€500 (imprese), ecc. Sul fronte privato, il SIC gestito da CRIF raccoglie praticamente tutte le segnalazioni di prestiti e mutui al dettaglio: un ritardo di 1-2 rate porta a segnalazione “di morosità” nel CRIF, che rimane visibile per un certo periodo (ad es. 12 mesi dopo regolarizzazione se 1-2 rate, 24 mesi se più rate). Con un piano di rientro concordato, generalmente la banca continua a segnalare la posizione, ma indicando l’ammontare via via decrescente man mano che le rate del piano vengono pagate. La sottoscrizione del piano in sé non cancella la precedente segnalazione a sofferenza se già c’era, perché di per sé non equivale a rimborso: l’ABF (dec. coord. n.1317/2023) ha chiarito che un piano di rientro non è un “fatto nuovo” sufficiente a declassificare automaticamente il credito, ma impone solo di aggiornare l’importo man mano pagato. Tuttavia, se la banca aveva segnalato a sofferenza prematuramente, ad esempio senza una valutazione aggiornata o mentre il cliente stava rispettando un accordo, tale segnalazione può risultare illegittima. Un caso deciso dal Tribunale di Torino nel 2021 ha ritenuto lecito segnalare “sofferenza” solo dopo che il cliente ebbe violato il piano di rientro, mentre ha considerato scorretta una segnalazione avvenuta prima e imposto alla banca di rettificarla (riconoscendo anche un simbolico risarcimento al cliente per danno da segnalazione errata). In sostanza, durante l’esecuzione regolare di un piano di rientro, la banca dovrebbe astenersi dal classificare la posizione come default irreversibile (sofferenza), limitandosi semmai a tenere il credito in “incaglio” o posizione ristrutturata. La Centrale Rischi va aggiornata mensilmente e deve riflettere fedelmente la situazione: se un accordo di rientro è in corso, la segnalazione può permanere ma con importi decrescenti e note eventuali. Solo il pagamento integrale (o un accordo di saldo a stralcio) porterà alla cessazione definitiva della segnalazione negativa, anche se storicamente rimarrà traccia per qualche tempo (CR conserva i dati per 36 mesi successivi) e nei SIC privati i dati vengono cancellati dopo un tot dalla chiusura (tipicamente 24 mesi).
  • Profili fiscali: i piani di rientro possono avere implicazioni fiscali sia per il debitore che per la banca. In generale, gli interessi passivi pagati dal debitore:
    • Privati consumatori: non sono deducibili, eccetto il caso specifico degli interessi su mutuo prima casa (detraibili al 19% entro certi limiti di importo annuo, attualmente max €4.000 di interessi annui per mutui ipotecari abitazione principale). Un piano di rientro su un mutuo non cambia questa possibilità: gli interessi di mora o aggiuntivi pagati per regolarizzare, se riferiti a mutuo prima casa, rientrano nel plafond detraibile, ma attenzione che interessi di mora e oneri accessori potrebbero non godere della detrazione (sono detraibili solo interessi corrispettivi).
    • Imprese e professionisti: gli interessi passivi pagati alla banca sono deducibili dal reddito d’impresa secondo le regole ordinarie (art. 96 TUIR per le società di capitali, che limita la deducibilità al 30% del EBITDA salvo eccezioni). Un piano di rientro che dilazioni il debito farà maturare interessi passivi per più tempo, che quindi saranno costi deducibili su base competenza. Dal lato della banca, gli interessi attivi incassati sono tassati come ricavi per competenza.
    • Accollo degli interessi da parte di terzi: se un garante o terzo paga gli interessi, fiscalmente rileva per chi li sostiene effettivamente (in caso di coobbligati si veda la disciplina delle spese detraibili ripartite).
    Più rilevante è il tema delle sopravvenienze attive da riduzione del debito: se il piano di rientro comporta un saldo e stralcio (rinuncia della banca a parte del credito), il debitore potrebbe avere un beneficio economico che il fisco considera sopravvenienza attiva. Per le imprese, l’art. 88 TUIR stabilisce che le sopravvenienze derivanti da riduzione di debiti sono in generale imponibili (come ricavo straordinario). Fanno eccezione i casi di accordi di ristrutturazione dei debiti omologati dal tribunale o procedure concorsuali: ad esempio, se la riduzione del debito avviene nell’ambito di un concordato preventivo o di un piano attestato ex art.67 LF (ora Codice della crisi), allora è esente da imposizione (art. 88 co.4-ter TUIR). Ma un accordo stragiudiziale privato con la banca non gode di esenzione fiscale: la società dovrà contabilizzare una sopravvenienza attiva tassabile per l’importo condonato. Per le persone fisiche non imprenditori, la questione è diversa: la remissione di un debito non costituisce un reddito imponibile IRPEF, trattandosi di una liberalità/sopravvenienza di natura occasionale non rientrante in categorie tassabili (non è reddito di capitale né lavoro né altro). Quindi, se un privato consumatore ottiene uno sconto sul debito, il beneficio in sé non viene tassato (diverso è se collegato a un’attività economica). Ad esempio, se Tizio aveva un prestito personale di €10.000 e la finanziaria accetta €6.000 per saldo e stralcio, i €4.000 abbuonati non generano IRPEF per Tizio. Invece, per una ditta individuale o società di persone, quei €4.000 potrebbero essere tassabili come componente positivo. In caso di dazione in pagamento di un immobile (il debitore cede un bene alla banca in cambio dell’azzeramento del debito), fiscalmente si configura una cessione: se il debitore è un privato che cede la prima casa non c’è plusvalenza tassabile; se cede un altro immobile potrebbe esserci plusvalenza solo se rivende entro 5 anni dall’acquisto (art. 67 TUIR). Per la parte di debito eccedente il valore del bene e condonata, valgono le considerazioni di cui sopra (non tassata se privato). Va comunque sempre consultato il commercialista, perché situazioni particolari (ad es. stralcio di debiti da carte di credito in sofferenza per un’impresa) possono avere trattamenti contabili e fiscali complessi. In sintesi, un piano di rientro “pieno” (pagamento integrale, magari con soli interessi dilazionati) non ha conseguenze fiscali straordinarie per il debitore; un piano con riduzione del debito comporta possibili tassazioni di sopravvenienze per gli operatori economici, mentre per i consumatori di solito no. La banca, da parte sua, potrà dedurre la perdita su crediti (nei limiti delle regole bancarie) se condona parte del credito.

Dopo questa panoramica normativa, possiamo passare alla pratica: come negoziare e concludere un buon piano di rientro, con riferimento ai singoli casi (fido di conto, mutuo, prestito personale) e alle strategie migliori per il debitore.

Piano di rientro per affidamenti bancari e conti scoperti

Un caso tipico in cui si ricorre al piano di rientro è la revoca di un fido bancario (apertura di credito in conto corrente) o comunque un conto corrente scoperto oltre i limiti. Qui il problema nasce quando la banca chiede il rientro delle somme utilizzate: in pratica comunica al cliente di dover restituire l’esposizione entro una certa data. Spesso ciò avviene a seguito di una revoca formale del fido (magari per giusta causa o nell’ambito di una revisione fidi) oppure per sconfinamenti non rientrati. Il debito può essere consistente e l’azienda o il privato potrebbero non avere liquidità per chiuderlo in un colpo solo.

Scenario: supponiamo che un’impresa abbia un fido di cassa di €100.000, utilizzato fino a €95.000. La banca, magari perché alcuni pagamenti sono stati insoluti o per deterioramento del merito creditizio, revoca l’affidamento e chiede di rientrare. Ufficialmente invia una lettera di recesso dal fido (rispettando i 15 giorni di preavviso ex art.1845 c.c., salvo casi di giusta causa). Il cliente si trova dunque con un saldo debitore di €95.000 da coprire.

Diritti del debitore nella fase di revoca: prima di tutto, come visto, il cliente può verificare se la revoca è stata fatta correttamente. Se la banca ha revocato senza preavviso (e non c’era una giusta causa gravissima), la revoca può essere contestata come illegittima. Giurisprudenza e ABF suggeriscono che spesso le controversie su revoche fidi si risolvono invitando la banca a trovare un accordo transattivo col cliente. Dunque, il debitore può usare come “leva” negoziale la buona fede: proporre un piano ragionevole e far presente che una pretesa di rimborso immediato sarebbe contraria ai principi di correttezza, specie se la sua situazione oggettiva non è disperata. Ovviamente, se la banca ha motivi solidi (score deteriorato, insolvenze, perdita di bilancio del cliente), sarà difficile opporsi; ma se la revoca appare precipitosa, il cliente può anche valutare un ricorso d’urgenza al giudice per ottenere più tempo (in passato, alcuni tribunali hanno persino ordinato alla banca di ripristinare provvisoriamente il fido revocato in tronco senza motivo, come nel caso Trib. Milano 21/09/2017).

Negoziare il piano di rientro: nella gran parte dei casi, comunque, la strada più efficace è negoziare con la banca un piano di rientro rateale. Le banche sono spesso disponibili, perché anche per loro un piano concordato è preferibile ad aprire un contenzioso o classificare il credito a sofferenza. Ci sono tuttavia considerazioni importanti:

  • Importo e durata: tipicamente, i piani di rientro per scoperti di conto sono relativamente brevi (entro 12-24 mesi), ma dipende dalla somma. La durata media va da 1 a 5 anni al massimo. Più il piano è lungo, più basse le rate ma maggiori gli interessi totali. La banca cercherà di non andare troppo in là col tempo, specie se il credito è a revoca (non avendo in origine una scadenza). Il debitore dovrà proporre una durata sostenibile: calcolare l’ammontare mensile o trimestrale che può davvero pagare, evitando di proporre rate eccessive (che causerebbero default del piano) ma anche di tirare troppo in lungo (la banca potrebbe rifiutare piani ultradecennali per crediti chirografari).
  • Interessi sul piano: quando il fido viene revocato, gli importi maturano interessi di solito al tasso di sconfinamento o al tasso contrattuale aumentato. Nel piano di rientro si può negoziare il tasso da applicare sulle rate. A volte la banca congela gli interessi al momento del recesso e chiede “solo” la restituzione del capitale più un tasso concordato sulle rate. Altre volte continua ad applicare il tasso previsto per gli scoperti fino al completo rientro. È fondamentale chiarire nell’accordo se le rate comprendono già gli interessi futuri o se gli interessi maturano a parte. Esempio: debito €95.000, se piano in 24 rate mensili, la banca potrebbe dire: paghi 24 rate da ~€4.000 ciascuna (che includono interessi, supponiamo 5% annuo); oppure potrebbe chiedere €3.958 + interessi mensili calcolati sul residuo. Il debitore preferirà soluzioni a tasso zero o basso, ma la banca di solito vorrà almeno il tasso legale o un tasso concordato. Dal punto di vista legale, questi interessi pattuiti per la dilazione devono anch’essi rispettare la forma scritta e i limiti antiusura. In un piano di rientro ricognitivo semplice, se non si menziona nulla, la banca comunque può pretendere gli interessi moratori contrattuali. Conviene dunque esplicitare il trattamento degli interessi: ad esempio, “le rate sono comprensive di interessi calcolati al tasso X; in caso di tempestivo pagamento di tutte le rate, la banca rinuncia a ulteriori interessi di mora”. Ricordiamo che interessi su interessi (anatocismo) possono essere capitalizzati solo secondo le regole di legge (oggi trimestralmente pro rata come da delibera CICR 2000, ma su rapporti revocati spesso l’anatocismo viene bloccato). Qualunque accordo di rientro, per trasparenza, dovrebbe riportare il piano di ammortamento o comunque l’importo totale dovuto e il piano delle scadenze.
  • Garanzie e coobbligati: se il fido era garantito da una fideiussione, il garante di solito dovrà sottoscrivere il piano di rientro o quanto meno dare il proprio assenso. Infatti, la banca vorrà mantenere la garanzia: far firmare anche i fideiussori serve a ottenere da loro la ricognizione del debito (interrompendo la prescrizione pure nei loro confronti) e la conferma che la garanzia permane fino a estinzione (in un piano ricognitivo, la fideiussione di regola continua a coprire il debito riconosciuto, non configurandosi novazione; se invece l’accordo fosse qualificabile come transazione novativa e i fideiussori non aderiscono, potrebbe porsi un problema di liberazione del fideiussore ex art. 1955 c.c., quindi la banca è molto attenta a farli firmare). Dal lato del debitore principale, è bene avvisare i garanti e cercare la loro collaborazione. Qualora non vi siano garanti, la banca potrebbe chiedere un’ulteriore garanzia per concedere il piano (ad esempio, la firma di un coobbligato, o un cambiale, o un pegno su titoli). Sta al debitore valutare se è sostenibile: aggiungere nuove garanzie lo espone di più in caso di default del piano.
  • Modalità di pagamento e titoli: usualmente le rate del piano di rientro si pagano con bonifico o addebito automatico. Alcune banche potrebbero chiedere emissione di cambiali per ciascuna rata, a maggiore tutela. La cambiale (pagherò cambiario) firmata dal debitore è un titolo esecutivo: significa che, se una rata non viene pagata alla scadenza e la cambiale va in protesto, la banca può procedere direttamente con esecuzione forzata senza bisogno di passare dal giudice (salvo ottenere il precetto). Questo ovviamente aggrava il rischio per il debitore: saltare una sola cambiale può portare a un pignoramento in tempi rapidi. Per la banca è una sicurezza in più. Dunque, se possibile, il debitore potrebbe negoziare di non rilasciare cambiali, offrendo magari altre garanzie o mostrando affidabilità. Se però la banca lo pretende, bisogna essere consapevoli della conseguenza ed assolutamente rispettare quelle scadenze. In alcuni casi, una via intermedia è far firmare assegni post-datati (prassi non regolare legalmente) oppure procure irrevocabili a incassare su conto dedicato – meglio evitare soluzioni opache: è preferibile un accordo chiaro, magari con cambiali, che però dia anche qualche giorno di tolleranza prima di attivare l’esecuzione (ad es. concordare che la banca aspetterà 10 giorni dopo scadenza prima di mettere all’incasso le cambiali, se non pagate nel frattempo).
  • Clausole di decadenza dal beneficio del termine nel piano: quasi tutti i piani di rientro includono la clausola per cui, in caso di mancato pagamento di anche una sola rata, l’intero importo residuo si intende immediatamente dovuto (decadenza dal beneficio del termine sul piano). Ciò significa che se saltiamo una scadenza, la banca può revocare il piano e richiederci subito tutto il rimanente in unica soluzione, come se il piano non fosse mai esistito. Questa clausola è legittima e comune. A volte c’è un minimo di tolleranza (es: “… in caso di mancato pagamento di una rata la banca potrà, decorsi 15 giorni, dichiarare decaduto il beneficio del termine…”); altre volte no (“il semplice ritardo costituisce inadempimento e risolve l’accordo di rateazione”). Dal punto di vista del debitore, sarebbe preferibile ottenere una piccola tolleranza (per evitare che un lieve ritardo tecnico faccia saltare tutto). Se ciò non è espressamente previsto, conviene comunicare tempestivamente alla banca eventuali difficoltà prima della scadenza della rata, per cercare una soluzione (ad esempio, differire l’ultima rata). La buona comunicazione può evitare l’immediata rottura.
  • Contestazioni sul conto corrente: spesso la ragione per cui un correntista non ha già pagato il saldo è che vi sono contestazioni sul rapporto (anatocismo illegittimo, commissioni non pattuite, tassi usurari, ecc.). Firmare un piano di rientro rischia, come detto, di pregiudicare queste contestazioni se viene impostato come transazione. La Cassazione ha però dato un forte appiglio ai clienti: se il piano è meramente ricognitivo, la banca non è esonerata dal dover provare il proprio credito originario e il cliente può ancora contestare eventuali clausole nulle del contratto di conto. Ad esempio, Cass. 2855/2022 (già citata) e altre pronunce hanno sancito che la firma di un piano di rientro non sana l’eventuale nullità delle clausole di determinazione degli interessi se il contratto era privo di forma scritta: la banca deve comunque produrre il contratto in giudizio e, se esso era invalido, il riconoscimento di debito non lo “convalida”. Ciò vuol dire che un cliente, anche dopo aver pagato le rate, può agire per ripetere ciò che sarebbe indebito in base alla nullità di certe clausole (es. riavere indietro interessi anatocistici illegittimi versati nelle rate). Tuttavia, attenzione: tale facoltà sussiste solo se non c’è stata rinuncia o transazione su quei punti. Se l’accordo di rientro contiene una frase del tipo “il cliente riconosce il saldo debitore di €X salvo solo il regolare adempimento del presente piano e nulla più ha da eccepire nei confronti della banca”, questo potrebbe essere interpretato come rinuncia tacita a contestazioni. La Corte d’Appello di Venezia (sent. 2337/2022) ha appunto valutato un caso in cui il cliente aveva firmato due piani dichiarando di rinunciare espressamente a contestare gli addebiti sul conto: ciò è stato considerato una transazione piena, valida e vincolante (tranne che per eventuale usura). Quindi, il debitore deve decidere: se ha solide ragioni per ritenere che il saldo richiesto dalla banca sia gonfiato da addebiti nulli (es. interessi ultralegali mai pattuiti, CMS illegittime, anatocismo prima del 2000 non concordato), può:
    • a) firmare comunque un piano per guadagnare tempo, senza esplicitamente rinunciare ai suoi diritti, e poi agire in giudizio per farsi riconoscere quelle nullità (strategia permessa dalle sentenze pro-clienti);
    • b) oppure cercare di far inserire nel piano una riserva: ad esempio una clausola dove “restano ferme eventuali contestazioni di nullità su precedenti addebiti, che le parti si riservano di definire separatamente”. Difficile che la banca accetti di inserirlo, ma tentare può essere segno di buona fede (riconoscere il dovuto salvo verifica di alcuni conteggi);
    • c) oppure, se la banca pretende la rinuncia, valutare di non firmare affatto e direttamente fare causa per la ripetizione (ma con i rischi e i tempi connessi).
    In pratica, molti debitori scelgono l’opzione a): fanno il piano per evitare l’immediato decreto ingiuntivo e riservatamente pianificano un’azione legale (o arbitrale ABF) parallela per far valere usura o anatocismo. Questa tattica può portare, ad esempio, a sospendere un eventuale decreto ingiuntivo se si prova che una buona parte del saldo era composta da addebiti illegittimi. Da sapere: se si intende contestare, conviene farlo il prima possibile (anche subito dopo la revoca, con un reclamo scritto) per mettere a verbale che si paga con riserva. Una lettera raccomandata alla banca in cui si dice “contestiamo il saldo per €XX di interessi non dovuti, ma al solo fine di evitare una lite pagheremo come da piano, salvo conguaglio all’esito” può essere utile come riserva scritta.

Conclusione sul punto fidi: il piano di rientro nei conti correnti affidati è spesso un’ancora di salvezza reciproca: la banca evita una sofferenza conclamata e magari recupera tutto in qualche anno; il cliente evita un collasso di liquidità e guadagna tempo per rimettersi in sesto o trovare altri fondi. Le sentenze recenti mostrano sensibilità verso il cliente affidato: la tendenza è di punire le revoche brutali e di non permettere alla banca di “blindare” gli addebiti illeciti tramite un semplice piano di rientro. D’altro canto, il cliente deve essere diligente: se ottiene un piano, deve rispettarlo rigorosamente o quantomeno comunicare subito eventuali problemi. In un caso (Trib. Roma 2020), un correntista che aveva firmato un piano è riuscito poi a farsi riconoscere parte degli interessi anatocistici indebiti versati nelle rate (il tribunale ha dichiarato la non novatività del piano e disposto la restituzione di quanto pagato in eccesso). Questo conferma che il piano non fa tabula rasa delle tutele del debitore – a patto che non sia inquadrato come transazione rinunciativa.

Piano di rientro per mutui ipotecari (rate di mutuo non pagate)

Quando si accumulano ritardi nel pagamento delle rate del mutuo, la situazione può precipitare verso la decadenza dal beneficio del termine e la conseguente azione esecutiva (pignoramento immobiliare). È fondamentale per il debitore con mutuo in difficoltà agire tempestivamente, prima che la banca risolva il contratto e iscriva ipoteca giudiziale o avvii l’asta. Vediamo come gestire un piano di rientro in questo contesto, distinguendo il caso di mutuatario privato (prima casa) e di impresa (mutuo aziendale), sebbene le logiche siano simili.

Conseguenze del mancato pagamento di alcune rate: per un mutuo, di solito dopo 1 rata non pagata la banca invia un sollecito o mette in mora il cliente, addebitando interessi di mora per i giorni di ritardo. Gli interessi di mora, come visto, sono tipicamente qualche punto percentuale sopra il tasso ordinario (es. tasso contrattuale 2%, mora +2% = 4%). Il ritardato pagamento di pochi giorni non comporta altro che la mora da pagare. Se però il ritardo supera i 30 giorni, formalmente scatta un “ritardato pagamento” rilevante (ai sensi dell’art. 40 TUB). La banca potrebbe già segnalare la posizione in CRIF come rata scaduta da 1 mese. Con due rate consecutive non pagate, molte banche inviano una lettera di “decadenza dal termine preventiva”, ovvero avvisano che se entro X giorni non vengono saldate le rate scadute, il mutuo verrà risolto. In realtà, come spiegato, la legge impone la soglia di 7 rate (o 6 mesi su una rata) per la risoluzione formale, ma nulla vieta alla banca di iniziare ad allertare il cliente prima. Alcuni contratti di mutuo prevedono espressamente che dopo 2-3 rate non pagate la banca può invocare la risoluzione: questa clausola, se riferita a mutuo fondiario, è subordinata comunque all’art. 40 TUB (non può farlo davvero prima di 7, a meno che il mutuo non sia non fondiario, ma quasi tutti i mutui casa in Italia sono fondiari). Comunque, sul piano pratico, dopo la 4ª o 5ª rata spesso la banca passa il fascicolo al legale interno o esterno per preparare la decadenza formale.

La soglia delle 7 rate e dei 180 giorni: ricordiamo in parole semplici: se il mutuatario salta sette rate (anche non di fila, ad es. è costantemente indietro di una rata per 7 volte) oppure lascia una rata impagata per oltre 6 mesi, la banca può considerare risolto il mutuo e chiedere l’intero importo residuo in un colpo solo. In pratica, la banca invierà una comunicazione di decadenza dal beneficio del termine, dichiarando il contratto risolto e intimando il pagamento di tutto il debito residuo (capitale residuo + interessi di mora maturati). Da quel momento, può partire la procedura esecutiva (pignoramento). Per i mutui prima casa va aggiunto che, per procedere al pignoramento e vendita forzata dell’immobile, c’è anche la regola delle 18 rate in caso di patto marciano (spiegata sopra): di fatto, però, se non è stata pattuita tale clausola, la banca può comunque iniziare il pignoramento con 7 rate di ritardo (seguirà la via giudiziale tradizionale, asta ecc.). Alcune banche, anche senza patto marciano, preferiscono attendere vari mesi di insoluti prima di attivare l’azione, specie se vedono possibilità di rientro: ciò perché le esecuzioni immobiliari sono lunghe e costose, e magari il cliente sta cercando di vendere privatamente la casa. Ad esempio, un istituto potrebbe aspettare che si arrivi a 10-12 rate, nella speranza di un accordo o pagamento.

Soluzioni stragiudiziali prima della decadenza: se il mutuatario prevede di non riuscire a pagare qualche rata (ad es. per una perdita temporanea di reddito), la prima cosa da fare è comunicare tempestivamente con la banca. Esistono diverse opzioni da valutare:

  • Rinegoziazione del mutuo: grazie anche alle normative sulla portabilità e all’accordo ABI-MEF del 2007, tutti i mutuatari hanno diritto di chiedere la rinegoziazione delle condizioni (ad es. allungamento della durata, abbassamento del tasso, cambio di tipo di tasso). La banca non è obbligata a concederla, ma spesso è nell’interesse di entrambi trovare un aggiustamento. Ad esempio, se la rata attuale è €800 mensili e il cliente non riesce più a sostenerla, si può proporre di allungare il piano (es. da 15 a 25 anni) così che la rata scenda, oppure di passare temporaneamente a sole quote interessi per un certo periodo, o altre soluzioni. La rinegoziazione è gratuita (non c’è imposta sostitutiva né notaio, se fatta per scrittura privata non autenticata) e non richiede consenso di terzi se è col mutuatario originario. È un accordo bilaterale che modifica il contratto in essere. Ad esempio, molte banche offrono l’opzione di ridurre la rata estendendo la durata residua (se compatibile con l’età del debitore e le politiche di credito). Questa è senz’altro la via preferibile quando la difficoltà è di lungo periodo: invece di accumulare arretrati, si cambia il piano di ammortamento per adattarlo alla nuova capacità di pagamento. Nota bene: rinegoziare prima di avere rate scadute è ideale; se già ci sono rate arretrate, la banca potrebbe voler gestire prima quelle (magari aggiungendole al capitale residuo o spostandole in coda).
  • Sospensione delle rate (moratoria): se la difficoltà è temporanea (es. perdita del lavoro ma si prevede di ritrovare occupazione, o emergenza sanitaria, etc.), il cliente può chiedere una sospensione delle rate. In Italia esiste il Fondo di Solidarietà “Gasparrini”, gestito da Consap, che consente la sospensione fino a 18 mesi delle rate del mutuo prima casa in caso di specifici eventi: disoccupazione, cassa integrazione, morte o grave infortunio/inabilità del mutuatario, e altre situazioni emergenziali. Durante la sospensione, il Fondo paga alla banca il 50% degli interessi maturati sul debito (sulla quota capitale delle rate sospese) e il restante 50% è a carico del mutuatario, che lo salderà a fine sospensione. Le banche aderiscono a questa misura (è prevista per legge) e la domanda va fatta tramite modulo Consap alla propria banca. Se si rientra nelle condizioni, è consigliabile usarla: la sospensione dà respiro e soprattutto la moratoria legale non comporta segnalazione negativa in Centrale Rischi né può essere considerata inadempimento. Ad esempio, durante la pandemia COVID, decine di migliaia di famiglie hanno sospeso le rate grazie a questo Fondo senza impatti sul loro merito creditizio. Fuori dai casi del Fondo, alcune banche possono concedere moratorie volontarie (per es. blocco pagamento per 6 mesi) ma questo dipende da accordi di settore o politiche interne, spesso in contesti di crisi (es. calamità naturali, accordi ABI). Il debitore può sempre chiedere per iscritto una pausa di X mesi: difficilmente la banca la concede senza cause di forza maggiore, ma tentare è lecito, specie se si è sempre stati puntuali prima.
  • Piano di rientro per rate scadute: se il problema sono alcune rate già scadute e magari la banca non intende rinegoziare l’intero mutuo, si può proporre un piano di rientro ad hoc per gli arretrati. Esempio: 4 rate da €800 non pagate = €3.200 arretrato. Il debitore può proporre: “riprendo a pagare le rate correnti da ora in poi, e in più verso €400 extra al mese per 8 mesi per coprire l’arretrato”. Questo è un classico piano di rientro interno sul mutuo: si diluisce il pregresso su un certo numero di mesi, parallelamente al pagamento delle rate normali. Molte banche sono disponibili a formalizzare per iscritto tale accordo (spesso chiamato “piano di rientro” o “accordo di dilazione” per rate scadute). Conviene farselo mettere per iscritto con protocollo. Durante il periodo del piano, la banca in genere si impegna a non risolvere il mutuo e a non segnalare a sofferenza, purché il cliente rispetti l’accordo. Attenzione che gli interessi di mora sulle rate scadute possono continuare a maturare fino al completo pagamento: il piano dovrebbe specificare se gli importi includono gli interessi di mora o se questi verranno conteggiati a parte. Idealmente, il cliente potrebbe chiedere la remissione (cancellazione) degli interessi di mora se rispetta il piano (incentivo); non è un diritto, ma può essere negoziato. Alcune banche, per incentivare la regolarizzazione, dicono: “se paghi tutti gli arretrati entro tot mesi, ti abbono gli interessi di mora”. Vale la pena informarsi.
  • Cessione del quinto o prestito di consolidamento: se il mutuatario ha perso liquidità ma ha ancora un reddito da lavoro, una soluzione potrebbe essere ottenere un nuovo prestito (ad esempio una cessione del quinto stipendio o pensione) per coprire le rate arretrate. In pratica, rifinanziare il debito scaduto. Questo però spesso è difficile perché se si è già in ritardo sul mutuo, la credit score è compromessa; inoltre aggiungere debito potrebbe non essere saggio. Tuttavia, se l’importo arretrato è piccolo, un prestito personale potrebbe risolvere subito l’emergenza, evitando il piano di rientro con la banca del mutuo. Va valutato caso per caso, tenendo conto dei tassi (spesso alti) dei prestiti personali.

Se il mutuatario non fa nulla e lascia andare avanti la banca, come visto, scatterà la risoluzione contrattuale trascorsi i termini di legge. A quel punto la banca potrà:

  • iscrivere ipoteca giudiziale (se non l’aveva già fatta in via cautelativa),
  • richiedere un decreto ingiuntivo (spesso nelle cause di mutuo si procede direttamente a precetto su mutuo fondiario senza D.I., utilizzando il titolo esecutivo costituito dal contratto di mutuo fondiario ex art. 41 TUB, ma dipende),
  • avviare il pignoramento immobiliare.

Prima che ciò accada, il piano di rientro è l’ultima chiamata: magari la banca stessa, vedendo che il cliente vuole pagare ma non può tutto insieme, propone un accordo. Spesso la lettera di decadenza dal termine contiene frasi come “qualora voleste formulare proposte di rimborso rateale del dovuto, si valuterà…”. Il debitore deve cogliere l’opportunità e rispondere subito.

Come formalizzare un piano di rientro su mutuo: a differenza dei fidi in c/c, dove il debito è a vista, qui il debito è rateale e ammortizzato. Il piano di rientro tipico, come detto, può riguardare gli arretrati oppure ristrutturare l’intero debito residuo:

  • Nel primo caso (soli arretrati), l’accordo sarà una scrittura semplice in cui il debitore si impegna a pagare, ad esempio, oltre alla rata mensile ordinaria, una rata aggiuntiva di importo X per Y mesi, sino a copertura dell’importo scaduto di €Z, comprensivo di interessi di mora. La banca dal canto suo si impegna a non risolvere il mutuo e a non segnalare a sofferenza se il cliente rispetta il piano. Può essere opportuno far inserire che in caso di puntualità la banca non intraprenderà azioni legali e non considererà decorsi i termini di risoluzione, magari convenendo di “sterilizzare” quei ritardi ai fini dell’art. 40 TUB. In pratica, la banca può concordare di non contare quei ritardi ai fini delle 7 rate, purché vengano sanati. Ad ogni modo, una volta pagato tutto l’arretrato, il mutuo ritorna in bonis.
  • Nel secondo caso (ristrutturazione completa), è più complesso: si potrebbe concordare un nuovo piano di ammortamento. Questo è simile a una rinegoziazione o a una novazione. Ad esempio, il mutuo residuo è €100.000 su cui sei in mora: la banca può offrire di stipulare un atto aggiuntivo in cui si allunga la durata e si capitalizzano gli arretrati. Tecnicamente, se le parti cambiano molti termini (es. tasso, durata) potrebbe configurarsi come un nuovo mutuo (richiedendo atto notarile se ipotecario) oppure, se si rimane entro certi limiti, come una modifica contrattuale senza atto pubblico. Molto spesso, però, le banche preferiscono soluzioni “tampone” senza rifare il contratto, a meno che non ci sia un intervento di legge (ad es. piano famiglia ABI). Il debitore può però proporre: “possiamo estendere di 5 anni la durata residua così la rata scende e riesco a pagare”. Se la banca accetta, formalizzerà un accordo di rinegoziazione (di solito scrittura privata autenticata o scrittura semplice notificata, così ha data certa e validità sul contratto).
  • Una variante del piano di rientro completo è il consolidamento: far subentrare una nuova banca che eroga un nuovo mutuo per estinguere il vecchio (surroga o sostituzione). Ma se si è già in sofferenza, difficilmente un’altra banca concede un mutuo. Però se la crisi è passeggera, si potrebbe esplorare la surroga verso un istituto disposto a incorporare le rate scadute nel nuovo piano (di solito la surroga non è fattibile se ci sono insoluti, servirebbe prima regolarizzare).

Esempio pratico di piano di rientro su arretrati mutuo: Mario ha un mutuo prima casa con rata €600/mese. Ha saltato 4 rate (€2.400) a causa di una malattia e ora è di nuovo in grado di pagare le rate correnti ma non ha €2.400 in un colpo solo. La banca non ha ancora risolto il contratto, ma gli chiede di regolarizzare. Mario propone e concorda: oltre alla rata corrente di €600, pagherà €200 extra al mese per i prossimi 12 mesi, così da colmare €2.400. La banca mette per iscritto l’accordo. Mario inizia a pagare €800/mese. Questo è un piano di rientro di tipo “informale” ma efficace. Se Mario rispetta i pagamenti:

  • Dopo 12 mesi, avrà saldato l’arretrato e continuerà con la rata normale di €600.
  • La banca nel frattempo non avrà attivato la decadenza né procedure esecutive.
  • Probabilmente la posizione di Mario è stata segnalata in CRIF come “in regolarizzazione” e verrà aggiornata come regolarizzata dopo il pagamento (le segnalazioni di morosità persistono ancora per 12 mesi dopo il saldo, ma con esito positivo). In Centrale Rischi di Banca d’Italia, se importo >€30k, Mario sarebbe rimasto segnalato per gli importi scaduti e poi man mano ridotti a zero. Non appena torna in bonis, la segnalazione di scaduto verrà rimossa nei report successivi (mentre una eventuale sofferenza non c’è mai stata).
  • Legalmente, quel piano costituisce una ricognizione del debito per gli €2.400 arretrati, ma non comporta novazione del mutuo. Se un domani Mario scoprisse, poniamo, che il mutuo aveva un TAEG irregolare e volesse fare causa, il fatto di aver fatto questo mini-piano non gli preclude nulla (non c’era alcuna rinuncia, anzi ha pagato tutto il dovuto).

Saldo e stralcio nei mutui: un cenno importante: a volte, specie se il mutuo è già in sofferenza avanzata e magari la casa vale meno del debito, si può trattare un saldo e stralcio. Cioè, la banca accetta di chiudere la posizione a fronte di un pagamento inferiore al dovuto, spesso contestuale alla vendita dell’immobile da parte del debitore. Questa è più propriamente una transazione finale (ne parleremo meglio in sezione dedicata). Ad esempio, Carlo ha un debito residuo mutuo di €120.000, ma la casa pignorata vale forse €100.000 sul mercato. La banca può accordarsi con lui: se vendi privatamente la casa e mi dai €95.000, io ti stralcio la differenza e rinuncio all’asta. In tal caso, l’accordo di saldo e stralcio va formalizzato per iscritto, con la banca che si impegna a rilasciare assenso a cancellazione ipoteca dopo incasso, e a rinunciare ad ogni pretesa ulteriore. In genere, nell’accordo si specifica che se la vendita non avviene entro una certa data o il pagamento non è puntuale, l’accordo è nullo (quindi la banca può riprendere l’azione). Questo tipo di soluzione è frequente nelle procedure esecutive: si cerca di evitare l’asta con una vendita volontaria a importo concordato e stralcio del residuo. Il vantaggio per il debitore è che esce dal debito residuo, evitando l’asta e liberandosi subito; per la banca, spesso, è recuperare una somma immediata maggiore di quanto prenderebbe all’asta (dove ci sono costi e tempi lunghi). Fiscalmente, come detto, per la banca è una perdita deducibile, per il consumatore la parte stralciata non è tassata; per un’impresa costruttrice che avesse un mutuo stralciato invece la parte condonata sarebbe tassabile salvo procedure. In Centrale Rischi, quell’operazione verrà segnalata come “credito chiuso per accordo transattivo a saldo parziale” (una nota interna: il cliente risulterà aver non pagato integralmente il debito, ma comunque meglio di un’insolvenza totale). Chiunque guarderà la CR di Carlo vedrà probabilmente €120k sofferenza, poi chiusura con €25k credito passato a perdita. Questo può influire sul merito creditizio futuro, ma meno che un’insolvenza integrale in cui nulla era stato recuperato.

Piano di rientro per mutuo d’impresa: per le aziende, la logica è analoga, ma spesso si inquadra in piani più complessi di ristrutturazione del debito. Se l’immobile è strumentale, l’impresa potrebbe cercare un concordato oppure accordarsi per vendere l’immobile e ridurre il debito (dazione pro solvendo). Le banche sono attente a eventuali procedure concorsuali: se vedono che un’impresa va verso il fallimento, possono accelerare le azioni. Tuttavia, nell’ottica di soluzioni negoziali promosse dal nuovo Codice della crisi (D.lgs.14/2019), è incoraggiato il dialogo banca-debitore per evitare il peggio. Ad esempio, un’impresa potrebbe proporre un piano attestato di risanamento in cui i mutui vengono ristrutturati, oppure un accordo ex art. 182-bis L.F. (ora concordato minore) coinvolgendo più banche. In tali casi, il piano di rientro su mutuo sarebbe parte di un pacchetto più ampio, magari con il tribunale a omologare.

In conclusione su mutui: se sei un privato con mutuo e sei in ritardo, non aspettare la settima rata! Appena capisci di non farcela, contatta la banca, informati sul Fondo di solidarietà, chiedi dilazioni. Le banche preferiscono essere rimborsate, anche in tempi più lunghi, piuttosto che dover gestire immobili pignorati. Ma devi presentare un piano credibile. Sii onesto sul perché sei in difficoltà (perdita lavoro? spese mediche? calo fatturato?) e mostra come conti di onorare il piano (nuovo impiego, affitto casa, aiuto familiare, ecc.). Documenta se possibile. Ricorda che la banca valuterà anche il valore dell’immobile: se il debito è molto più basso del valore della casa, è più probabile che spinga all’asta perché recupererebbe tutto; se invece il debito è vicino o superiore al valore, è più flessibile a trattare (perché rischia di non coprirsi in asta). Inoltre, prima che scattino segnalazioni gravi (sofferenza) hai margine: una volta segnalato a sofferenza, il tuo potere contrattuale cala e le banche cessionarie di NPL potrebbero subentrare.

Piano di rientro per prestiti personali e altri finanziamenti

Altre tipologie di debiti con banche/finanziarie – come prestiti personali, carte di credito revolving, finanziamenti finalizzati (es. auto) – possono ugualmente essere oggetto di piani di rientro. In questi casi non c’è un immobile di mezzo, e le procedure esecutive tipiche sono il decreto ingiuntivo e il pignoramento mobiliare o presso terzi (stipendio). Dal punto di vista contrattuale, i prestiti al consumo spesso prevedono rate mensili fisse e un piano di ammortamento. Cosa succede se saltano le rate?

Inadempimento nel credito al consumo: La disciplina dei finanziamenti ai consumatori (D.lgs. 141/2010, art. 125-quater TUB) prevede che in caso di mancato pagamento, la finanziaria possa chiedere la risoluzione del contratto dopo avere costituito in mora il cliente e applicato eventualmente interessi di mora. Molti contratti indicano che basta il mancato pagamento di due rate consecutive perché il finanziatore possa dichiarare la risoluzione e pretendere il saldo del debito residuo in una volta (ai sensi dell’art. 40 TUB, se applicabile, o comunque ex art.1455 c.c. trattandosi di inadempimento non lieve). Nella pratica, spesso già dopo la seconda rata non pagata il creditore revoca il beneficio del termine e trasferisce la pratica al recupero crediti. Alcune fonti indicano che nel credito al consumo l’intermediario può risolvere dopo un certo importo di rate scadute o un certo tempo (es. 120 giorni), ma non c’è una regola rigida come per i mutui fondiari; vale quanto stabilito nel contratto e la valutazione dell’inadempimento. In ogni caso, dal secondo mese di ritardo il debitore viene segnalato in CRIF. Queste segnalazioni per prestiti restano 24 mesi dopo regolarizzazione se il ritardo è >2 rate.

Trattare un piano di rientro su un prestito: di solito avviene in questo modo:

  • Il debitore, ricevute le prime lettere/telefonate di sollecito, se sa che non riuscirà a pagare subito gli arretrati, contatta la finanziaria (o l’agenzia di recupero incaricata) e propone una rateazione.
  • Esempio: Luigi ha un prestito personale con rata €300; ne ha saltate 3, quindi €900 scaduti. Non riesce a pagare €900 in unica soluzione, ma può pagare €150 al mese in più oltre la rata. Propone di diluire quei €900 in 6 mesi aggiungendo €150 a rata (oppure, se il prestito è già risolto, propone di rateare tutto il debito residuo magari in 12-24 mesi).
  • La controparte (banca o recuperatore) spesso accetta di buon grado, magari chiedendo un primo pagamento immediato “a dimostrazione di buona volontà”. Attenzione: se la pratica è stata ceduta a una società di recupero crediti (cessionario del credito), bisogna trattare con quest’ultima. In tal caso, il credito è già classificato in sofferenza e il cessionario potrebbe essere anche più disponibile a un saldo e stralcio (vedi oltre).
  • È fondamentale formalizzare per iscritto l’accordo: una lettera della finanziaria che conferma il nuovo piano di pagamento (importo delle rate, scadenze, eventuali interessi o spese aggiuntive). Spesso gli accordi telefonici non bastano: pretendete una conferma via PEC o raccomandata. Alcuni recuperatori propongono piani “ufficiosi” senza carta: non va bene, insistete per avere almeno un’email di conferma con i dettagli.
  • Durante l’esecuzione del piano, il creditore di solito sospende le azioni legali (se non le aveva già fatte partire). Se aveva ottenuto un decreto ingiuntivo, può stare fermo purché incassi le rate. Se non aveva ancora fatto decreto, in genere aspetta e non ne fa (anche perché farlo mentre state pagando sarebbe contrario a buona fede, e l’ABF in certi casi tutela il cliente che era in trattativa e viene segnalato o agito ugualmente).
  • Se il debitore rispetta il piano, bene: il debito si estinguerà e, trascorso il tempo necessario, la segnalazione negativa sarà cancellata (in CRIF, 1 anno se <2 rate, 2 anni se risolto il contratto). Se invece il debitore non riesce a rispettare il piano, di solito la finanziaria darà ancora qualche chance (es. accetta un lieve ritardo o un nuovo mini-piano) ma alla fine, se salta, procederà con le vie legali decise: decreto ingiuntivo e pignoramento (stipendio, conto, auto ecc. a seconda della convenienza).

Saldo e stralcio su crediti personali: qui è molto frequente, soprattutto se il credito è finito a società specializzate (come quelle che comprano NPL – Non Performing Loans). Ad esempio, un debito da carta di credito lievitato a €5.000 potrebbe essere chiuso con un accordo a €3.000 una tantum. Le società di recupero spesso offrono esse stesse piani a saldo ridotto (magari dopo aver tentato di recuperare il 100%). Il debitore deve comunque farsi mettere tutto per iscritto: l’accordo di saldo e stralcio deve indicare che il pagamento di €X entro data Y libera definitivamente dal debito e che nulla più sarà dovuto. È bene anche farsi confermare che eventuali segnalazioni in banche dati saranno aggiornate come saldo a stralcio (così almeno risulta chiuso). Molti consumatori temono che accettando un saldo a stralcio rimanga un marchio indelebile: in realtà, dopo 24 mesi dalla chiusura, CRIF cancella la posizione. In Centrale Rischi Bankitalia resterà la traccia storica (sofferenza poi chiusa, come dicevamo). Ma questo è comunque meglio che un fallimento nel rimborso.

Prescrizione e piani tardivi: va ricordato che i crediti da finanziamento si prescrivono in 10 anni dal momento in cui il credito è esigibile (spesso dalla scadenza dell’ultima rata o dalla risoluzione del contratto). Se un debito è molto vecchio e il creditore non ha mai fatto decreti o atti interruttivi, forse è prescritto. Il debitore dovrebbe, prima di pagare qualcosa, controllare l’ultima comunicazione ricevuta o l’ultimo pagamento effettuato. Esempio: un prestito del 2012 non pagato, se la finanziaria non ha notificato nulla per 10 anni, nel 2023 è prescritto e non va ripagato. Fare un piano di rientro in quel caso sarebbe un errore, perché con un pagamento si rinuncia alla prescrizione. Quindi, attenzione: mai firmare riconoscimenti o pagare acconti su debiti molto datati senza prima verificare con un legale la prescrizione. Spesso le società di recupero contattano dopo 6-7 anni di silenzio sperando in un pagamento del debitore ignaro: ma se mancano pochi mesi alla prescrizione, conviene attendere o opporsi, perché un piano la interromperebbe.

Caso particolare: cessione del credito e piani di rientro con il cessionario. Quando la banca cede il credito deteriorato a una società (ad esempio una SPV o un fondo), il debitore riceve comunicazione della cessione (ex art. 58 TUB). Da quel momento, dovrà trattare con il cessionario. Il cessionario può segnalare in Centrale Rischi in continuità col cedente, ma – come l’ABF ha chiarito – deve comunque valutare la situazione aggiornata del debitore e gli eventuali accordi presi. Se, ad esempio, il debitore aveva firmato un piano con la banca cedente prima della cessione, il nuovo creditore dovrebbe tenerne conto e non ignorarlo. Una decisione ABF del 2023 (Coordinamento) ha stabilito che il cessionario deve rivalutare la posizione e considerare fatti nuovi, come appunto un piano di rientro sottoscritto, ai fini della segnalazione. Non può limitarsi a segnalare meccanicamente sofferenza se la situazione è migliorata. Quindi, se il tuo credito è ceduto mentre stai pagando un piano, informa subito il nuovo creditore e documenta i pagamenti fatti: chiedi conferma che intende rispettare l’accordo. Spesso il cessionario lo rispetta (anzi, l’ha valutato nell’acquisto del pacchetto crediti). In altri casi potrebbe proporne uno nuovo.

Pignoramenti su stipendio/pensione: qualora il debitore non riesca a concordare nulla e il creditore ottenga un pignoramento del quinto, paradossalmente quello diventa un piano di rientro coatto: il quinto durerà gli anni necessari a saldare il dovuto con interessi e spese legali. A quel punto, l’unica negoziazione possibile è chiedere al creditore se è disposto a revocare il pignoramento in cambio di un saldo parziale (a volte succede: se il debitore trova i soldi per offrire un saldo, può convincere il creditore a cessare la trattenuta). Ma questo accade raramente, se il quinto sta andando bene.

In sintesi, per prestiti e finanziamenti minori: il piano di rientro è spesso informale e negoziato con società di recupero. Il debitore deve: comunicare per iscritto, farsi confermare ogni promessa, evitare di impegnarsi in rate che non può sostenere (meglio una rata più bassa ma sicura, che una alta e poi saltare di nuovo), valutare se può ottenere uno sconto per pagamento anticipato (saldo a stralcio). Tenere traccia di ogni pagamento e mantenere i contatti. Se si viene trattati ingiustamente (es. la finanziaria promette di non segnalare e poi segnala lo stesso, oppure accetta il piano e poi vende il credito senza informare), ci si può rivolgere all’ABF per lamentare la violazione di regole di correttezza.

Modelli di lettere e accordi per il piano di rientro

Di seguito forniamo alcune indicazioni sulla documentazione scritta utile per formalizzare un piano di rientro. È essenziale mettere nero su bianco sia la proposta del debitore sia l’accettazione della banca, per evitare malintesi e avere prova dell’accordo in caso di contestazioni future.

Lettera di richiesta di piano di rientro (da parte del debitore)

Quando si è in ritardo con i pagamenti o si prevede di esserlo, è buona prassi inviare alla banca (o finanziaria) una lettera formale in cui si chiede una dilazione del debito. Ecco uno schema di contenuti per una lettera efficace:

  • Intestazione: indicare i propri dati (nome, cognome, indirizzo, telefono, email) e i riferimenti del rapporto (numero di conto, mutuo o contratto di finanziamento). Ad esempio: “Oggetto: Richiesta piano di rientro – rapporto di conto n.123456”.
  • Introduzione e situazione attuale: spiegare brevemente la situazione. Es: “Gentili Signori, Vi scrivo in merito al mio conto corrente n.123456 affidato per €50.000, sul quale risulta un saldo passivo di €55.000 a seguito di revoca del fido comunicata il 10/07/2025. Riconosco che allo stato attuale non dispongo della liquidità per estinguere immediatamente l’esposizione.” Oppure, nel caso di mutuo: “… in merito al mutuo n. XYZ, di cui risultano insolute le rate di marzo e giugno”. È utile manifestare consapevolezza del debito (se non si contesta) ma anche le ragioni della difficoltà: “La temporanea difficoltà è dovuta al calo di fatturato causato dall’emergenza X”, oppure “dovuta alla perdita del lavoro nel mese Y”, ecc. Mantenere un tono collaborativo, non polemico.
  • Proposta concreta di rientro: questa è la parte fondamentale. Bisogna indicare quanto si può pagare e con che cadenza. Esempi:
    • “Propongo di rientrare dall’esposizione in 24 rate mensili di €2.300 ciascuna, a partire dal 31/08/2025”.
    • “Propongo di corrispondere, oltre alla normale rata mensile di mutuo, un importo aggiuntivo di €300 al mese per 12 mesi, al fine di coprire l’arretrato accumulato (pari a €3.600) entro un anno.”.
    • “Propongo un pagamento immediato di €5.000 entro fine mese e la rateazione del residuo €20.000 in 20 rate mensili da €1.000 cad.”.
    La proposta deve essere realistica: meglio promettere un po’ meno ma rispettare, che dipingere scenari troppo ottimistici. Se possibile, indicare anche la fonte dei fondi: “ritengo di potermi attenere a tale piano in quanto ho avviato un nuovo impiego/ho ottenuto nuovi contratti/posso contare sull’aiuto di familiari” ecc., per dare credibilità.
  • Eventuali condizioni richieste alla banca: ad esempio, chiedere di sospendere le azioni legali e le segnalazioni negative fintanto che rispettiamo il piano: “Chiedo che, in pendenza del piano concordato ed in caso di puntuale adempimento, la banca si astenga da azioni di recupero forzoso e dalla segnalazione della posizione a ‘sofferenza’ presso la Centrale Rischi.”. Oppure chiedere la rinuncia agli interessi di mora: “Gradirei inoltre sapere se la Vostra spettabile banca è disponibile a rivedere l’importo degli interessi di mora maturati, in caso di immediato avvio dei pagamenti come sopra proposti.”. Non è garantito ottenere queste cose, ma porle sul tavolo serve a definire meglio l’accordo.
  • Chiusura e impegno: concludere manifestando volontà di giungere a un accordo e chiedendo risposta scritta. Es: “Resto in fiduciosa attesa di un Vostro riscontro scritto alla presente proposta, augurandomi di poter trovare un accordo amichevole che soddisfi entrambe le parti. Nel frattempo, confermo la mia volontà di risolvere il debito in buona fede e tutelare così anche la Vostra posizione.”. Firmare (meglio a penna se spedita, o con firma digitale se via PEC).

Invio: spedire via raccomandata A/R o PEC alla banca, all’ufficio competente (spesso Ufficio Contenzioso o Crediti Deteriorati). Conservare la ricevuta. La comunicazione formale del debitore è importante perché, se poi la banca agisse senza nemmeno rispondere, dimostra al giudice o all’ABF la disponibilità del cliente e una possibile malafede della banca nel rifiutare soluzioni.

Accordo di piano di rientro (bozza di contenuti)

Quando banca e cliente trovano l’intesa, l’accordo può essere formalizzato tramite scambio di lettere di conferma o con una scrittura privata sottoscritta da entrambe le parti. Nei casi più complessi (es. transazione su mutuo ipotecario), può essere richiesto l’atto notarile (soprattutto se serve pubblicità sui registri, come modifica di ipoteca o consolidamento). Ma normalmente, per un piano di rientro, è sufficiente un documento firmato tra le parti.

Ecco gli elementi che dovrebbe contenere un accordo scritto di piano di rientro:

  • Identificazione delle parti: denominazione della banca (es. “Banca XYZ S.p.A., filiale di …”) e del cliente (nome, cognome, C.F. …), ed eventuali garanti o coobbligati coinvolti.
  • Premesse (situazione debitoria): una descrizione dell’origine del debito e dell’importo. Esempio: “la Banca e il Sig. Rossi convengono quanto segue. Premesso che: – in data … è stato stipulato un contratto di conto corrente n…, con affidamento di €…, – il saldo debitore al … ammonta ad €…, comprensivo di interessi e spese maturati sino a tale data, – la Banca ha comunicato recesso dal fido con lettera del … e il Cliente, trovandosi nell’impossibilità di estinguere immediatamente il debito, ha richiesto una rateizzazione…”. Oppure per mutuo: “– Il mutuo n… presenta n.3 rate scadute impagate, per un importo complessivo di €… oltre interessi di mora maturati.”. Queste premesse servono a contestualizzare, e spesso contengono la ricognizione di debito: il cliente riconosce di dovere €X alla data Y (può essere incluso come clausola a parte: “il cliente riconosce che il proprio debito attuale è pari a …”).
  • Piano di pagamento concordato: il cuore dell’accordo. Va dettagliato: importo di ogni rata, numero di rate, scadenza di ciascuna. Esempio: “Le parti convengono che il Sig. Rossi pagherà il suddetto importo di €50.000 in 24 rate mensili di €2.100 ciascuna, di cui la prima con scadenza 31/08/2025 e le successive al giorno 31 di ogni mese fino al 31/07/2027. Le rate saranno versate mediante addebito SEPA sul c/c n… / a mezzo bonifico sul conto … intestato a Banca…”. Se possibile, allegare un piano di rientro dettagliato (magari come allegato A) con l’elenco delle rate e date. Indicare anche eventuali differimenti: ad esempio, se c’è una sospensione iniziale (tipo, pago la prima rata fra 2 mesi) o se alcune rate sono di importo diverso (es. “l’ultima rata includerà gli interessi residui ed avrà importo leggermente maggiore pari a …”).
  • Interessi e spese: specificare il regime degli interessi durante il piano. Se la cifra è “onnicomprensiva” si può scrivere: “L’importo di ciascuna rata include già gli interessi maturandi al tasso concordato e le spese. Il tasso di interesse applicato durante la dilazione è stabilito nella misura del …% annuo calcolato sul capitale residuo decrescente.”. Oppure: “Durante il piano, sul debito residuo matureranno interessi semplici al tasso annuo del …%, che il Cliente si impegna a corrispondere unitamente alle rate come sopra quantificate.”. Se la banca rinuncia agli interessi futuri (raro, ma a volte succede in transazioni), scrivere: “Le parti convengono che, subordinatamente al puntuale adempimento del piano concordato, la Banca rinuncia a richiedere interessi di mora ulteriormente maturandi successivamente al … (data).”. Inoltre menzionare eventuali spese di recupero o notarili: “Le spese relative alla presente scrittura e alla sua eventuale registrazione sono a carico di …”. Se è un accordo che dovesse essere registrato (in caso d’uso), di solito c’è l’imposta di registro fissa (€200) in caso di transazione; se è solo ricognitivo, spesso non si registra affatto.
  • Clausola di decadenza dal termine: normalmente: “In caso di mancato pagamento anche di una sola delle rate alle relative scadenze, decorso un termine di tolleranza di 10 giorni, il Cliente decadrà automaticamente dal beneficio del termine e la Banca avrà diritto di esigere l’immediato pagamento dell’intero residuo in unica soluzione, dedotti gli importi eventualmente già corrisposti, fatto salvo il risarcimento dell’ulteriore danno.”. Questa clausola tutela la banca in caso di inadempimento del piano. Si può aggiungere che eventuali importi pagati parzialmente si imputano a capitale o interessi secondo legge (art. 1194 c.c., di solito prima agli interessi poi al capitale, salvo diverso accordo).
  • Impegni della banca (moratorie segnalazioni): una clausola importante per il debitore: “Fintanto che il Cliente adempie puntualmente alle obbligazioni del presente accordo, la Banca si impegna a non dare corso a nuove azioni giudiziarie esecutive né ad avanzare nuove richieste di pagamento ulteriori rispetto a quanto concordato. La Banca si asterrà inoltre dal segnalare il nominativo del Cliente in categoria di sofferenza presso la Centrale dei Rischi o altre banche dati, purché il piano sia rispettato, restando inteso che la normale segnalazione come credito in corso di rientro permane fino a estinzione.”. Chiaramente la banca potrebbe non voler promettere nulla su CR, ma almeno sull’azione legale sì: se poi iniziasse lo stesso un procedimento durante il piano, sarebbe in violazione dell’accordo. In alcuni accordi viene scritto anche: “Al completamento del pagamento dell’importo concordato, la Banca rilascerà ampia quietanza liberatoria e provvederà a richiedere la cancellazione di eventuali segnalazioni pregiudizievoli (pignoramenti/iscrizioni) a carico del Cliente”. Ad esempio, se c’era un decreto ingiuntivo, la banca potrà impegnarsi a rinunciare alla procedura esecutiva e a cancellare il pignoramento (con spese di solito a carico del debitore). Bisogna fare attenzione: la banca difficilmente toglierà la storia creditizia (che seguirà il suo corso), ma può smettere di aggiungere segnalazioni negative.
  • Rinuncia a contestazioni (se prevista): se l’accordo è transattivo, con riduzioni o accomodamenti, conterrà la clausola di rinuncia del debitore a contestare il passato. Ad esempio: “Con il presente accordo transattivo a saldo e stralcio, il Cliente dichiara di non aver null’altro a pretendere nei confronti della Banca in relazione al rapporto di conto corrente n… e rinuncia fin d’ora a qualsiasi eccezione o azione relativa ai saldi e agli addebiti precedentemente contabilizzati, riconoscendo la loro piena validità ed efficacia.”. Questa frase chiude ogni disputa. Abbiamo già commentato che il debitore dovrebbe accettarla solo se consapevole e se in cambio ha ottenuto un beneficio (es: un robusto stralcio o altra concessione). Se l’accordo invece è solo dilatorio e il cliente non intende rinunciare ad eventuali cause sul passato, non inserire questa clausola. La banca potrebbe allora pretendere una frase di mera ricognizione: “Resta inteso che nulla nel presente accordo potrà essere interpretato come rinuncia della Banca a far valere i propri diritti per cause diverse dall’inadempimento all’accordo medesimo” e viceversa, ma di solito le banche preferiscono una chiusura netta se ci sono dubbi.
  • Conservazione delle garanzie: se c’è un fideiussore o pegno/ipoteca a garanzia, specificare che tali garanzie permangono a copertura del debito rientrante. Esempio: “La fideiussione rilasciata dal Sig. Bianchi il 01/01/2020 a garanzia del conto corrente in oggetto manterrà la sua efficacia con riferimento alle obbligazioni di pagamento derivanti dal presente accordo, restando inteso che ogni termine di escussione è esteso conformemente al piano di rientro qui convenuto.”. Far firmare il garante in calce per “presa d’atto e adesione” è altamente consigliato, così non potrà eccepire novazione o modificazione non accettata. Se l’accordo è su mutuo ipotecario, la banca sicuramente includerà: “l’ipoteca iscritta il … a garanzia del mutuo mantiene il suo grado e la sua capienza a garanzia anche del debito rideterminato nel presente accordo sino a concorrenza di €…”. In caso di saldo e stralcio, prevedere: “a integrale pagamento di €X la Banca rilascerà quietanza e provvederà alla cancellazione dell’ipoteca iscritta …”.
  • Clausole varie finali: legge applicabile (sempre italiana se siamo con banca italiana), foro competente (spesso, se transazione, si mantiene il foro previsto originariamente). Se l’accordo è transattivo: “le parti rinunciano a ogni altra pretesa…”. Se il cliente è un consumatore, nessuna clausola contrattuale può derogare la competenza territoriale inderogabile (sede del consumatore) per eventuali cause, ma in un piano di rientro di solito non serve indicare il foro.
  • Data e firme: luogo, data e firma del debitore, dell’eventuale garante, e del funzionario della banca autorizzato. Se l’accordo comporta un saldo e stralcio significativo, la banca di solito fa firmare a un dirigente e magari in forma autenticata. Per importi modesti, spesso basta la firma del preposto della filiale.

Nota sulla registrazione: un accordo di piano di rientro, se è solo ricognitivo, non deve necessariamente essere registrato. Se però è una transazione che potrebbe dover essere esibita in giudizio (ad esempio, si vuole far valere come prova), allora potrebbe doversi registrare “in caso d’uso” o volontariamente. La registrazione comporta imposta: se è semplice ricognizione di debito, potrebbe essere esente da bollo ma soggetta a registro fisso (€200) se portata in giudizio. Se è transazione con stralcio, l’imposta di registro è €200 fisso (le transazioni su rapporti controversi scontano il fisso, salvo contengano trasferimenti immobiliari). Meglio chiedere al proprio avvocato/notaio in base al testo.

Esempio di accordo di saldo e stralcio (stralcio parziale)

Per chiarire, riportiamo uno schema semplificato di accordo a saldo e stralcio (piano di rientro con abbattimento del debito), come potrebbe apparire:

Accordo Transattivo a Saldo e Stralcio

Tra Banca ABC S.p.A., filiale di Roma, rappresentata da … (di seguito “Banca”)
E Sig. Mario Rossi, nato a …, C.F…, residente a … (di seguito “Cliente”)

Premesso che:
– Il Cliente è debitore verso la Banca di €50.000, derivanti da contratto di prestito personale n.123 del 01/01/2019, il cui pagamento risulta in arretrato;
– Le parti intendono definire bonariamente la posizione debitoria con una riduzione concordata dell’importo dovuto;

Tutto ciò premesso, le Parti convengono quanto segue:

  1. Ricognizione del debito: Il Cliente riconosce di essere debitore della Banca per l’importo complessivo di €50.000 (cinquantamila/00), per capitale, interessi e oneri maturati sino ad oggi, relativo al contratto di prestito n.123 sopra citato.
  2. Pagamento transattivo: La Banca, tenuto conto delle difficoltà rappresentate, accetta di ritenersi satisfatta del credito sopra indicato a fronte del pagamento, da parte del Cliente, della somma complessiva di €35.000 (trentacinquemila/00) così suddivisa:
    – €5.000 entro il 31/08/2025;
    – €30.000 entro il 31/12/2025.
    Il pagamento avverrà mediante bonifico sul c/c IBAN IT… intestato alla Banca ABC S.p.A. con causale “Saldo e stralcio Rossi”.
  3. Rinuncia al credito residuo: A fronte dell’effettivo e puntuale pagamento di €35.000 come sopra convenuto, la Banca rinuncia in via definitiva e irrevocabile a ogni diritto di credito ulteriore verso il Cliente relativo al prestito n.123, liberando il Cliente dalla residua obbligazione. La somma di €15.000 (differenza rispetto al riconosciuto debito di €50.000) sarà stralciata e nulla più sarà dovuto.
  4. Decadenza dall’accordo: In caso di mancato pagamento anche parziale di una delle somme alle scadenze di cui al punto 2, il presente accordo sarà risolto di diritto ex art.1456 c.c., con conseguente decadimento del beneficio concordato: il saldo stralciato non avrà più effetto e la Banca potrà agire per il recupero dell’intero importo originario al netto di quanto eventualmente già ricevuto, fatto salvo il ripristino di interessi e oneri contrattuali previsti.
  5. Quietanza liberatoria: Ad avvenuto integrale pagamento di €35.000 nei termini stabiliti, la Banca rilascerà al Cliente pronta quietanza liberatoria attestante l’estinzione di ogni obbligazione, e provvederà entro 30 giorni a comunicare la chiusura a saldo stralcio della posizione a banche dati creditizie eventualmente interessate.
  6. Clausola di stile (rinuncia reciproca): La presente transazione è a ogni effetto di legge definitiva. Essa rappresenta la volontà concorde delle Parti di comporre ogni controversia in essere sul rapporto di credito menzionato in premessa. Pertanto le Parti, con la sottoscrizione della stessa, rinunciano reciprocamente a qualsiasi pretesa, azione o eccezione inerente a tale rapporto.
  7. Spese: Ciascuna Parte sosterrà le proprie spese legali (se del caso). L’eventuale registrazione del presente atto sarà a carico del Cliente.
  8. Legge applicabile e foro: Il presente accordo è regolato dalla legge italiana. Per eventuali controversie relative allo stesso, è competente in via esclusiva il Foro di … .

Letto, confermato e sottoscritto.
Roma, … (data)
Banca ABC S.p.A. (firma del procuratore)
Mario Rossi (firma del Cliente)

Questo fac-simile contiene gli elementi chiave: ricognizione, rate concordate, rinuncia al resto, clausola risolutiva, quietanza, rinunce reciproche. Ovviamente va adattato alle circostanze (se fosse solo dilazione senza stralcio, si toglierebbe il punto 3 e modificherebbe l’importo ecc.).

Suggerimento pratico: il debitore dovrebbe sempre chiedere espressamente una “lettera di quietanza a saldo” una volta conclusi i pagamenti, in cui la banca dichiara che nulla più è dovuto. Questo documento servirà in futuro per cancellare eventuali iscrizioni o per esibirlo se qualche altro soggetto tentasse di escutere lo stesso credito (capita, ad esempio, per errori o cessioni). Nel caso di piani di rientro senza stralcio (pagamento integrale), di solito la quietanza è la semplice lettera liberatoria di avvenuto pagamento. Nel caso di saldo parziale, la quietanza deve menzionare che è a stralcio e che il residuo è rinunciato.

Implicazioni del piano di rientro sulla Centrale Rischi e sulla reputazione creditizia

Abbiamo toccato il tema, ma ricapitoliamo specificamente l’effetto di un piano di rientro sul profilo creditizio del debitore. Questo è un aspetto pratico cruciale: molti debitori accettano piani di rientro per pulire la propria posizione, e giustamente si chiedono come e quando torneranno “affidabili” per il sistema.

  • Durante il piano di rientro: Finché il debito non è estinto (o ridotto a livelli insignificanti), il nominativo del debitore rimane nelle banche dati come “negativo”. In Centrale Rischi Banca d’Italia, se il credito era segnalato a sofferenza, rimarrà sofferenza fino a che il debito non venga interamente estinto o stralciato. Il fatto di pagare a rate farà diminuire l’importo segnalato mese per mese, ma la qualifica di sofferenza tendenzialmente resta. Alcune banche, come detto, potrebbero declassare da sofferenza a incaglio se il cliente onora un piano (specie se interno), ma formalmente la circolare impone di tenere sofferenza finché c’è insolvenza non risolta. Nel caso di crediti ceduti, il cessionario dovrebbe valutare se il piano di rientro indica che non c’è più insolvenza: però l’ABF ha concluso che solo il completamento del rimborso o un evidente miglioramento giustifica la declassificazione. Quindi, realisticamente, fino all’ultima rata il debitore sarà considerato in default per il sistema bancario. Sul SIC privato (CRIF, Experian, CTC), se il contratto è ancora formalmente in essere (es. un mutuo in ritardo ma non risolto), la posizione potrebbe risultare “in regolarizzazione” o “scaduto ma in rientro”. Se invece il contratto è stato risolto e passato a sofferenza, appare come sofferenza finché non si chiude.
  • Dopo il completamento del piano: Una volta pagato tutto il dovuto (o la quota transattiva convenuta), la banca aggiornerà le segnalazioni:
    • In CR Bankitalia: il mese successivo mostrerà che l’esposizione è scesa a zero. Tuttavia, la storia rimane visibile a chi consulta i dati storici degli ultimi 36 mesi. Quindi per 3 anni chiunque guardi vedrà che fino al mese X c’era una sofferenza poi chiusa. Nel caso di saldo parziale, la banca potrebbe segnalare “importo a perdita €Y” nel campo sofferenze e poi chiusura. Comunque, dopo 36 mesi, quelle segnalazioni escono dagli schemi di dettaglio standard (restano negli archivi interni di Bankitalia per analisi ma non sono facilmente visibili).
    • In CRIF (e altri SIC): se il piano ha comportato la risoluzione del contratto, la segnalazione di sofferenza rimane 24 mesi dalla data di aggiornamento a saldo (per importi sofferenze inferiori a €250, in realtà si cancella in 12 mesi, ma di solito sono più alti). Se invece il piano era interno e il contratto non è stato mai risolto formalmente (ad esempio arretrati poi recuperati), le segnalazioni di ritardi vengono cancellate dopo 12 mesi dall’ultima regolarizzazione se erano <3 rate, oppure 24 mesi se erano situazioni più gravi. Comunque il debitore può controllare il proprio credit report per verificare la voce specifica.
    • Segnalazione di “saldo stralcio”: Quando c’è un accordo transattivo parziale, le banche dati a volte indicano una nota tipo “posizione chiusa per accordo a saldo parziale”. Questo avverte altri futuri finanziatori che il debito non è stato ripagato interamente ma c’è stato uno stralcio. Dal punto di vista del rating, non è positivo come un rimborso integrale, ma è comunque meglio di un’insolvenza senza accordo. C’è infatti differenza tra “sofferenza non pagata” e “sofferenza chiusa con stralcio”. Quest’ultima di solito rende comunque molto difficile ottenere nuovo credito per un po’ di anni, ma leggermente meno stigma rispetto a uno che non ha pagato nulla. In ogni caso, il debitore divenuto “pulito” può gradualmente ricostruire la propria affidabilità magari partendo da piccoli crediti, ma deve considerare che dopo un default ci vogliono di solito anni per riottenere fiducia piena dal sistema bancario.
  • Esempio numerico di segnalazione: Caio aveva un prestito di €10.000 finito a sofferenza nel 2023. Nel 2024 fa un saldo e stralcio pagando €6.000. La banca segnala per l’anno 2023 sofferenza €10.000 in CR; nel mese del pagamento aggiorna: recupero €6.000, perdita €4.000, chiusura posizione. In CRIF, la linea di credito risulterà “chiusa – importo non interamente rimborsato per accordo con il creditore” e verrà rimossa dal SIC trascorsi 2 anni. Nel 2025 Caio risulta senza posizioni aperte negative, ma per qualche anno le nuove richieste di finanziamento potrebbero essere respinte perché molti istituti chiedono al cliente se ha avuto disguidi pregressi e fanno controlli incrociati. Passati i 2-3 anni, Caio di fatto torna anonimo nei sistemi automatici, ma le banche di solito internamente conservano record più a lungo (soprattutto se Caio tornasse a chiedere alla stessa banca, questa sa dello stralcio, anche se formalmente non lo vede in CRIF).

In conclusione sul credit scoring: fare un piano di rientro non pulisce immediatamente la reputazione creditizia, ma è un passo necessario per poterla recuperare in futuro. Senza un accordo, un debito rimane insoluto e le segnalazioni negative si protraggono (es. sofferenza può essere aggiornata mese per mese all’infinito finché non si chiude in qualche modo). Con l’accordo, c’è una luce in fondo al tunnel con una data di fine. Inoltre, un debitore che onora un piano dimostra impegno e buona fede, e ciò può essere preso in considerazione persino in eventuali giudizi: un giudice potrebbe essere più indulgente verso chi ha provato a rimediare che verso chi è totalmente inadempiente. Allo stesso modo, se la banca violasse i patti (es. segnalasse a sofferenza malgrado il cliente stia pagando regolarmente il piano), il cliente avrebbe ottime chance di vittoria in ABF o causa, data la palese scorrettezza.

Il consiglio per il debitore che completa un piano è: verificare a distanza di qualche mese la propria Centrale Rischi e CRIF per assicurarsi che la posizione sia stata aggiornata come concordato. Se non lo fosse, inviare subito richiesta alla banca e in caso rivolgersi all’ABF. Ci sono casi decisi dall’ABF in cui il cliente chiedeva la cancellazione di una sofferenza segnalata dopo un accordo di rientro orale: l’ABF ha confermato che l’accordo di rientro di per sé non cancella la sofferenza finché non è pagato, ma ha anche ricordato che il cessionario deve verificare lo stato aggiornato. Dunque è un tema sfumato. Comunque, una volta pagato tutto, il debitore ha diritto a essere riabilitato nelle banche dati secondo le regole di conservazione dei dati.

Domande frequenti (FAQ) sul piano di rientro

D: Il piano di rientro blocca le azioni legali della banca?
R: Sì, se concordato e rispettato, generalmente la banca sospende le azioni legali. È buona pratica inserire nell’accordo che la banca si impegna a non procedere legalmente finché il piano viene onorato. Tuttavia, finché non hai pagato tutto, la banca mantiene formalmente il diritto di iniziare un’azione se percepisce un inadempimento. In pratica, se paghi puntualmente quanto accordato, la banca non ha motivo di agire in tribunale (lo farebbe solo in caso di rottura del piano). In caso di mutuo ipotecario, il rispetto del piano di rientro di solito impedisce l’avvio dell’asta immobiliare. Se la banca, nonostante tu stia pagando regolarmente secondo l’accordo, iniziasse comunque un pignoramento o un decreto ingiuntivo, sarebbe in violazione dell’accordo e potresti contestarlo in giudizio o tramite ABF, ottenendo probabilmente tutela (ad esempio, stop dell’esecuzione). Assicurati però che l’accordo sia scritto; se è tutto informale, la banca potrebbe comunque procedere (anche se sarebbe contraddittorio). Quindi formalizza sempre.

D: Devo pagare anche gli interessi maturati e le spese nel piano di rientro?
R: Dipende da cosa concordi con la banca. In un piano standard, il debitore paga il capitale dovuto più gli interessi maturati (di mora o contrattuali) fino a quel momento, e spesso anche gli interessi futuri sul periodo di dilazione. Ad esempio, se devi 10.000 e fai 10 rate, probabilmente dovrai pagare un po’ di interessi per il fatto che stai dilazionando (a meno che la banca non faccia tasso zero come concessione). Le spese legali eventualmente sostenute dalla banca (per diffide, decreti ingiuntivi già emessi, ecc.) di solito vengono incorporate nell’importo del piano. Puoi provare a negoziare la riduzione di interessi e spese: es. chiedere di non applicare ulteriori interessi di mora se rispetti le rate, o di non addebitare alcune commissioni. Alcune banche accettano di alleggerire gli oneri per agevolare il piano. L’importante è che nel testo dell’accordo sia chiaro se gli importi sono “onnicomprensivi” (capitale, interessi, spese tutto incluso) o no. Se non c’è scritto nulla, prudenzialmente la banca potrebbe poi chiedere interessi ulteriori. Quindi meglio specificare. In sintesi: pagherai quello che hai promesso di pagare nel piano. Se poi la banca volesse aggiungere costi dopo, tu potrai opporre l’accordo che delimita l’importo dovuto.

D: Firmare un piano di rientro mi fa perdere il diritto di fare causa per l’usura/anatocismo sul conto o mutuo?
R: Non automaticamente. Se il piano di rientro è solo una dilazione (ricognizione di debito), la Cassazione dice chiaramente che puoi ancora far valere nullità e illeciti del contratto originario. Quindi, ad esempio, se sul conto corrente c’erano interessi anatocistici non validi, potrai dopo (anche a piano eseguito) chiedere il ricalcolo e la restituzione di quanto indebitamente pagato, a patto di non aver rinunciato a farlo quando hai firmato il piano. Se però nel piano c’è scritto che rinunci a contestare o accetti il saldo “come dovuto a tutti gli effetti”, quella è considerata una transazione su quelle materie, quindi non potrai più agire (se non, al limite, sostenendo che la rinuncia era nulla perché riguardava diritti indisponibili, ma è una strada complessa e incerta). In generale, i tribunali oggi dicono: piano ricognitivo = non preclude contestazioni; piano transattivo = preclude ciò che hai transatto. Quindi prima di firmare, controlla il testo: se contiene clausole di rinuncia o di manleva verso la banca su tassi e competenze, sappi che stai chiudendo ogni questione. Se invece è neutro (riconosci il debito X e lo paghi così), mantieni i tuoi diritti. Un consiglio: se prevedi di voler fare causa alla banca per qualche illecito contrattuale, valuta con un avvocato l’opportunità di riservarti espressamente quel diritto nella corrispondenza. Ad esempio, nella lettera di proposta potresti scrivere “con riserva di ogni mio diritto in ordine all’eventuale rideterminazione del saldo per via giudiziale”. La banca potrebbe storcere il naso, ma intanto tu hai messo a verbale che non stai cedendo su quei punti. In ogni caso, se l’obiettivo primario è evitare il peggio (pignoramento casa, ecc.), spesso conviene prima stabilizzare la situazione con un piano, e poi valutare azioni legali con calma.

D: Il piano di rientro può prevedere che pago meno del dovuto (sconto sul debito)?
R: Sì, quello è il caso del saldo e stralcio, che è un tipo di piano di rientro transattivo in cui la banca accetta un pagamento inferiore al 100% del debito e “stralcia” la differenza. Non tutte le banche lo concedono, dipende molto dalla prospettiva di recupero. Una banca tradizionale tende a fare saldo e stralcio solo se ritiene che in mancanza recupererebbe meno o uguale in tribunale. Spesso lo stralcio avviene quando il debitore è palesemente insolvibile o quando c’è di mezzo un immobile che, venduto, non copre tutto il debito (la banca preferisce prendere subito una cifra X invece di attendere anni di asta). Per piccoli prestiti, invece, le finanziarie offrono stralci soprattutto quando il credito è già stato degradato a perdita nei loro bilanci. Il “quanto meno” varia: possono offrire un 80% sul dovuto, 50%, a volte perfino 30% in casi estremi (di solito società cessionarie su crediti anziani e difficili). Ma attenzione: una volta firmato per un saldo e stralcio, devi pagare puntuale quella somma ridotta, altrimenti l’accordo salta e la banca tornerà a chiederti il totale originale. Quindi, proponi saldo e stralcio solo se hai la concreta disponibilità di pagare quella cifra (magari grazie a un aiuto familiare, liquidazione TFR, vendita di un bene). Non impegnarti in un saldo a stralcio se non sei certo di poterlo rispettare, meglio in tal caso un piano al 100% più lungo.

D: Come influisce il piano di rientro sulla mia posizione in Centrale Rischi e CRIF?
R: Finché il tuo debito non è completamente saldato o regolarizzato, rimarrai segnalato come cattivo pagatore. Il piano di rientro viene visto dal sistema bancario come un tentativo di recupero, ma non ti toglie automaticamente dalla “lista nera”. In Centrale Rischi Banca d’Italia, se eri a sofferenza, la sofferenza rimane finché il credito non è chiuso (aggiornandosi man mano l’importo). In CRIF, se il contratto è in essere, la nota potrebbe dire “in regolarizzazione” e poi dopo la fine comparirà “pagamento effettuato, morosità sanata”. Le segnalazioni negative (ritardi, sofferenze) verranno cancellate dopo 12-24 mesi dalla fine a seconda dei casi (24 mesi per sofferenze). Se c’è un saldo e stralcio, spesso rimane indicato per quei 24 mesi che la posizione è stata chiusa per saldo a stralcio (che è un’informazione non ottima per il merito creditizio, ma dopo 2 anni sparisce dalle banche dati private). Riassumendo: durante il piano, difficilmente potrai ottenere nuovi crediti perché risulti ancora problematico; dopo il piano, ci vorrà un annetto o due affinché la tua reputazione si ripulisca, almeno verso terzi. Internamente, la banca con cui hai fatto il piano si ricorderà per più tempo della tua storia, ma altre banche vedranno che hai sistemato. In ogni caso, completare il piano è la conditio sine qua non per poter tornare ad avere finanziamenti in futuro: se non lo completassi, saresti segnalato come insolvente permanente. Quindi è un investimento di “riabilitazione”.

D: Posso detrarre fiscalmente qualcosa di quanto pago con il piano?
R: Dipende. Se sei un privato consumatore, le somme che paghi sono per restituire un debito, quindi non sono detraibili di per sé. Fanno eccezione gli interessi passivi di un mutuo prima casa: se nel piano di rientro paghi interessi su rate di mutuo, puoi includerli nella quota di interessi detraibili (19%) nella dichiarazione dei redditi, sempre nei limiti di legge. Ma attenzione: spesso i piani su mutui riguardano arretrati, quindi interessi di mora; l’Agenzia delle Entrate non consente di detrarre gli interessi di mora, solo quelli corrispettivi (contrattuali) entro il plafond. Quindi, se hai un mutuo prima casa e hai pagato delle rate in ritardo con interessi di mora, la quota mora non è detraibile. Se sei un’azienda o professionista, i pagamenti del piano di rientro (capitale) non sono costi deducibili perché sono rimborso di un debito; gli interessi pagati invece sì, come oneri finanziari deducibili. Quanto alla parte stralciata (non pagata): per un privato, come detto, non rileva come reddito; per un’azienda, la parte di debito che ti viene condonata è una sopravvenienza attiva tassabile salvo tu sia in una procedura concorsuale omologata. Quindi, se sei un imprenditore individuale e ottieni uno sconto di 10.000 € sul debito, in teoria dovresti contabilizzare +10.000 nei ricavi e pagarci le imposte (a meno che tu non sia in un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato dal tribunale, caso in cui è esente da imposte ex art. 88 TUIR). Questa è materia da commercialista, comunque. In generale, la deducibilità principale che interessa molti è: “posso dedurre le rate che pago come se fossero una perdita o un costo?” No, stai restituendo un prestito, non è un costo d’esercizio (hai avuto il ricavo quando hai ottenuto il prestito, ora restituendo non deduci niente, semmai recuperi la deduzione di eventuali accantonamenti fatti se eri in contabilità ordinaria).

D: E se non riesco a rispettare il piano di rientro?
R: Se prevedi di saltare una rata, contatta immediatamente la banca e spiegane i motivi, cercando di trovare un aggiustamento. Magari ti concedono di pagare dopo 15 giorni con una piccola penale, oppure di saltare una rata e spostarla in coda (non è comune, ma tentare è doveroso). Se invece non paghi e basta, stai certo che la banca reagirà rapidamente: spesso basta una rata non pagata per far decadere tutto il piano. A quel punto ti richiederanno l’intero importo residuo in un colpo. Se non potrai pagarlo (e presumibilmente non potrai, visto che eri in difficoltà), la banca procederà con gli strumenti legali: per un credito non garantito, decreto ingiuntivo e poi pignoramento stipendio/beni; per un mutuo, decadenza dal termine e pignoramento casa se ipotecato. Insomma, si torna al piano Banca vs. Rossi senza più sconti. Purtroppo, in molti contratti di piano la tolleranza è zero o minima, quindi anche un singolo inadempimento può far precipitare la situazione. In alcuni casi la banca potrebbe essere disponibile a riformulare un nuovo piano (soprattutto se hai pagato buona parte delle rate prima di incepparti). Ad esempio: avevi un piano di 24 mesi, paghi regolarmente 12, poi salti la 13esima: la banca potrebbe preferire fare un mini-piano per coprire quel buco e proseguire, piuttosto che azzerare tutto. Ma non contarci: giuridicamente potrebbero già agire sull’intero. Se proprio vedi che non riesci più (p.es. peggiora la tua situazione lavorativa), valuta altre soluzioni: se la cifra è grande, considera procedure di sovraindebitamento presso l’OCC (Organismo di Composizione Crisi) – la legge ti consente, se proprio sei incapiente, di proporre un piano del consumatore o un concordato minore per liberarti dei debiti residui, incluso il piano fallito. Sono procedure da tribunale, drastiche, ma a volte necessarie. L’importante è non aspettare l’ultimo secondo: comunica sempre, anche se dai brutte notizie, perché le banche a volte preferiscono ridiscutere piuttosto che buttarsi in tribunale se c’è ancora margine.

D: Meglio un piano di rientro concordato o subire direttamente un pignoramento del quinto?
R: Meglio un piano concordato, senza dubbio. Il pignoramento del quinto (di stipendio o pensione) è coatto: ti verrà prelevato forzatamente fino a un quinto delle tue entrate per il tempo necessario a soddisfare il credito (che continua a maturare interessi legali e moratori durante la procedura). Non hai voce in capitolo sull’ammontare (è fissato per legge come percentuale) né sulla durata. Inoltre, avrai spese legali e il marchio di pignorato, il che è molto negativo. Un piano concordato invece puoi modularlo sulle tue possibilità e magari evitare di pagare così tanto (interessi minori, niente spese legali). Senza contare che dimostri buona volontà e puoi mantenere un rapporto più civile col creditore. Il quinto inoltre viene annotato sul tuo statino e il tuo datore viene informato (per qualcuno è una grave vergogna o può creare problemi sul lavoro). Dunque, a meno che tu non sia completamente impossibilitato a negoziare (es. la banca ha perso fiducia o tu preferisci delegare al giudice), il piano volontario è preferibile. Anche perché, come dicevamo, se poi riesci a mettere insieme dei soldi, con un piano puoi chiudere a saldo e stralcio; con un quinto in corso è più difficile convincere il creditore a accettare un saldo ridotto (sta già incassando con certezza dal tuo stipendio). Ci sono situazioni però in cui qualcuno sceglie il quinto: ad esempio se il creditore è inflessibile sul 100% e tu preferisci che ti trattengano il minimo ogni mese via quinto piuttosto che fare sacrifici maggiori per pagare prima. È un calcolo possibile: il quinto preleva il minimo legale (20% reddito) ma potresti trascinarti per molti anni a causa degli interessi. Con un piano potresti pagare un po’ di più volontariamente ma toglierti il pensiero prima e magari senza interessi aggiuntivi. Bisogna valutare caso per caso, ma tendenzialmente il piano è meglio, anche psicologicamente perché sei tu che gestisci il tuo debito invece di subirlo.

D: Il garante/fideiussore deve partecipare al piano di rientro?
R: Se c’è un garante, la banca vorrà quasi certamente coinvolgerlo. In pratica: se stai trattando un piano perché tu debitore principale sei in difficoltà, la banca potrebbe dire “ok al piano ma me lo firma pure il garante”. Così il garante riconosce il debito e si impegna a pagare se tu non paghi le rate. Il garante potrebbe anche preferire pagare lui qualcosa subito per evitare guai peggiori (specie se l’alternativa è che venga escusso per l’intero in tribunale). Quindi, sì, aspettati che la banca chiami in causa il fideiussore: farlo firmare serve a mantenere valida la fideiussione e a rinunciare a eventuali eccezioni (ad esempio, se fosse una fideiussione non a prima richiesta, avrebbe potuto eccepire la mancanza di escussione del principale, ma firmando un piano quell’eccezione cade). Se il garante si rifiuta, la banca potrebbe comunque andare avanti lo stesso con il piano per il debitore principale, ma manterrà il diritto di escutere il garante in qualsiasi momento se il piano salta (anzi, spesso invia pure a lui la richiesta di pagamento). Dal punto di vista del garante, firmare un piano di rientro comporta interruzione della prescrizione pure per lui e riconoscimento del debito garantito, quindi perde eventuali benefici di termini o altre difese. Ma d’altronde, se ha garantito, è già esposto. Quindi di solito i garanti collaborano. Nota: se il garante paga direttamente alcune rate, subentra nei tuoi diritti verso la banca per quella quota (surroga) e potrà rivalersi su di te poi.

D: Se la banca cede il mio credito a un recupero crediti, il piano di rientro che avevo decade?
R: Dipende da come è stato formulato l’accordo e dallo stato dei pagamenti. In teoria, la cessione del credito non altera i patti: il cessionario subentra nelle condizioni concordate col cedente (art. 1263 c.c.). Quindi se avevi un piano firmato e stavi pagando, il nuovo creditore dovrebbe rispettarlo. Purtroppo nella pratica qualche cessionario aggressivo prova a rinegoziare o a dire “no, quell’accordo non lo riconosciamo”. Legalmente, se l’accordo era concluso prima della cessione, è vincolante anche per il cessionario. Se però era un accordo solo verbale o una proposta in corso, il cessionario potrebbe non sentirsi obbligato. In ogni caso, appena sai che il credito è ceduto, contatta subito il nuovo creditore, informa che c’era un piano e invia copia di eventuali documenti e ricevute di pagamento. Chiedi conferma scritta che intendono proseguirlo. L’ABF sul tema ha avuto orientamenti divergenti, ma il Collegio di Coordinamento (2023) ha stabilito che il cessionario deve valutare la persistenza dello stato di sofferenza considerando la sottoscrizione di un piano di rientro intervenuta. Cioè: se col piano stavi rientrando e magari non sei più “insolvente” ma solo in difficoltà temporanea, il cessionario dovrebbe tenerne conto e forse declassare da sofferenza se la situazione è migliorata. In altre parole, il cessionario non può ignorare un fatto sopravvenuto come il tuo accordo di rientro. Ma, se il piano era scritto, allora senz’altro lui è obbligato a rispettarlo contrattualmente. Se era una gentlement agreement, sarà materia di discussione. A livello pratico spesso i cessionari sono perfino più disponibili delle banche originarie a definire transazioni (perché acquistano a basso prezzo il credito). Quindi potresti anche negoziare un nuovo saldo e stralcio con loro, magari più vantaggioso. In sintesi: un piano in essere non decade automaticamente per cessione; però confrontati subito col nuovo interlocutore e formalizzate come proseguire.

D: Quali sono i segnali di allarme che la banca vuole il rientro?
R: Nel caso di fido/conto: lettere di riduzione fido, comunicazioni di revisione condizioni, richieste di rientro scaglionate, oppure semplicemente la classica raccomandata di recesso dal fido a revoca con 15 giorni di tempo. Anche un peggioramento della relazione (es. la banca inizia a respingere assegni o a non concedere sconfinamenti minimi) è segnale che sta stringendo le redini. Nel caso di prestiti rateali: la prima lettera di messa in mora dopo 2 rate saltate, o una telefonata del recupero crediti, indicano che la banca sta per passare al legale. Per i mutui: la lettera che comunica la decadenza dal beneficio del termine (o anche un’intimazione a pagare entro tot sennò decadi) è il segnale ultimo. Talvolta prima la banca manda un “preavviso di segnalazione sofferenza” (obbligatorio per codice deontologico ABI): se ricevi una PEC che dice che potresti essere segnalato a sofferenza se non regolarizzi entro 30 giorni, quello è un campanello d’allarme fortissimo. Significa che considerano il tuo credito molto deteriorato. A quel punto devi assolutamente attivarti, perché dopo la segnalazione a sofferenza sarà tutto più complicato. Quindi, non ignorare mai solleciti e raccomandate della banca; anche se non hai soldi per pagare, rispondi proponendo qualcosa. Il silenzio o la latitanza vengono interpretati come mancanza di volontà e peggiorano la tua posizione.

D: Posso rivolgermi all’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) per questioni sul piano di rientro?
R: Sì, l’ABF può trattare controversie relative a correttezza e trasparenza del comportamento bancario, anche su piani di rientro. Ad esempio, se la banca non rispetta l’accordo, o se segnala in modo scorretto in Centrale Rischi nonostante il piano, o se applica interessi non concordati, puoi fare ricorso all’ABF. L’ABF è un organismo extragiudiziale istituito da Banca d’Italia: costa €20 di contributo e decide in circa 6-12 mesi. Le sue decisioni non sono vincolanti come una sentenza, ma quasi tutte le banche le rispettano. È particolarmente utile per questioni di segnalazioni in CR/CRIF, contestazioni di interessi, ecc., specie se le somme in gioco non sono enormi (massimo €200k valore, oltre l’ABF non è competente). Ad esempio, l’ABF ha deciso molti casi di revoche di fido e piani di rientro: alcuni clienti hanno ottenuto rettifiche di segnalazioni o riconoscimenti di scorrettezze da parte delle banche. Vale la pena tentare l’ABF se ti ritieni vittima di un comportamento ingiusto e vuoi un esame autorevole senza spendere troppo in cause. Tieni però presente: per rivolgersi all’ABF devi prima aver fatto un reclamo scritto alla banca e aver ricevuto risposta insoddisfacente o nessuna risposta entro 60 giorni. L’ABF non può bloccare pignoramenti o decidere annullamenti di contratti, ma può dirimere aspetti pecuniari e di correttezza. Dunque, se la banca ti ha segnalato a sofferenza ingiustamente mentre pagavi un accordo, l’ABF può intimare alla banca di correggere la segnalazione (e la banca di solito lo fa). Se invece la questione è molto complessa o di importo enorme, forse serve il tribunale. In ogni caso, l’ABF è un’opzione valida da conoscere per dispute bancarie.

Conclusioni

Il punto di vista del debitore in un piano di rientro deve essere sempre duplice: da un lato, collaborativo – perché un accordo è nell’interesse di entrambi, e mostrarsi disponibili e affidabili aumenta le chances di ottenerlo alle migliori condizioni; dall’altro, prudente – perché è un atto legale che può incidere sui propri diritti futuri. Questa guida ha evidenziato come un piano di rientro ben congegnato possa diventare un vero e proprio salvagente finanziario, evitando fallimenti, aste giudiziarie o ulteriori danni economici e reputazionali. Tuttavia, bisogna fare attenzione a ogni clausola, pianificare scadenze realistiche e onorare gli impegni presi.

In sintesi, come farlo bene: agire tempestivamente (non aspettare che la situazione degeneri), comunicare in forma scritta, conoscere le proprie obbligazioni e tutele normative (sapendo ad esempio che 7 rate di mutuo saltate sono il limite o che la buona fede contrattuale è dalla tua parte se la banca esagera), coinvolgere se possibile professionisti (un avvocato per la parte legale, un commercialista per valutare l’impatto sul bilancio e sulle tasse), e soprattutto negoziare con trasparenza, senza promettere cose irrealizzabili. Meglio un piano un po’ più lungo ma sostenibile, che uno breve ma che ti strangola. Le banche apprezzano quando vedono serietà e documentazione alla mano (es. bilanci, piani di cash flow, lettere di impegno di garanti) e saranno più propense a concessioni (come congelare interessi o ridurre importi) se percepiscono che così probabilmente rientreranno.

Dal lato giuridico, ricordiamo di tenere traccia scritta di tutto: ogni email, PEC, lettera inviata o ricevuta può diventare una prova in caso di contenzioso. E se qualcosa non va – ad esempio, la banca non rispetta l’accordo, o emergono vizi – il debitore ha strumenti per far valere le proprie ragioni, in tribunale o tramite ABF, come visto.

Affrontare un debito bancario può essere stressante, ma con un buon piano di rientro si può voltare pagina: molte persone e imprese sono riuscite a risollevarsi grazie a queste soluzioni, evitando il default totale. L’importante è agire con cognizione di causa, evitare il fai-da-te improvvisato quando la situazione è complessa (meglio farsi assistere da legali esperti in diritto bancario, anche perché conoscono le ultime sentenze e prassi utili), e mantenere sempre una linea di condotta onesta e proattiva. In questo modo, il piano di rientro con la banca diventa non solo un obbligo da assolvere, ma anche un percorso per ricostruire credibilità finanziaria e fiducia reciproca, nell’ottica – auspicabile – di recuperare la propria solidità economica e i normali rapporti creditizi nel futuro.


Fonti e riferimenti normativi/giurisprudenziali

  • Codice Civile: artt. 1375, 1842-1845, 1218, 1230-1231, 1955, 1988, 2944 c.c. – Principi di buona fede contrattuale, disciplina dell’apertura di credito e recesso, novazione e fideiussione, interruzione prescrizione per ricognizione.
  • Testo Unico Bancario (D.lgs. 385/1993): art. 40 (decadenza dal termine nei finanziamenti), art. 117 (forma scritta dei contratti bancari), art. 120-quinquiesdecies TUB (clausola patto marciano 18 rate), art. 120-quater (credito consumatori immobiliare), art. 48-bis (patto marciano imprese).
  • Cass. Civile Sez. I, 1° febbraio 2022 n. 2855: il piano di rientro ricognitivo non preclude contestare nullità delle clausole originarie; non esonera la banca dalla prova del contratto scritto (art.117 TUB).
  • Cass. Civ., Sez. I, 19/09/2014 n. 19792: piano di rientro meramente ricognitivo non estingue né sostituisce le obbligazioni originarie; contestazioni sulle clausole (anatocismo, interessi) restano ammissibili.
  • Cass. Civ., Sez. I, 8/07/2016 n. 17291: revoca fido ad nutum illegittima se improvvisa e arbitraria; obbligo di buona fede impone preavviso congruo anche se contratto lo consentirebbe.
  • Cass. Civ., Sez. I, 24/08/2016 n. 17921: estende dovere di motivazione anche al recesso da fido a revoca; banca deve indicare le ragioni specifiche della revoca anticipata.
  • Cass. Civ., Sez. I, 22/02/2022 n. 5746: in caso di revoca senza preavviso ex art.1845 c.c., il debitore può eccepire, anche in revocatoria fallimentare, che con preavviso avrebbe pagato evitando la revoca; onere del debitore provare che 15 giorni in più gli avrebbero permesso di adempiere. Principio a tutela del cliente affidato contro revoche illegittime.
  • Corte d’Appello di Venezia, 2/11/2022 n. 2337: se nel piano di rientro vi sono reciproche concessioni (rateazione concessa vs rinuncia del cliente a contestazioni), è transazione ex art.1965 c.c.. Il cliente rinuncia ai diritti patrimoniali nascenti da nullità relative (tranne usura originaria, che renderebbe nulla anche la transazione). Confermata efficacia delle scritture transattive nel caso di specie.
  • Tribunale di Roma 2020 (contenzioso conto corrente): afferma la non novatività di un piano di rientro sottoscritto e accoglie parzialmente la domanda cliente di ripetizione di interessi anatocistici indebitamente versati nelle rate, richiamando Cass. 2014 e 2016.
  • Tribunale di Torino 2021: segnalazione in Centrale Rischi a “sofferenza” legittima solo dopo violazione del piano di rientro; segnalazione fatta prima (durante piano in corso) ritenuta scorretta, banca condannata a rettificarla e a risarcimento simbolico per danno reputazionale.
  • ABF – Collegio di Coordinamento, Decisione n. 1317 del 10/02/2023: in tema di sofferenza ceduta, stabilisce che il cessionario deve rivalutare la posizione del debitore ceduto e non può segnalare automaticamente a sofferenza in continuità col cedente senza autonoma valutazione. La sottoscrizione di un piano di rientro non costituisce di per sé evento tale da eliminare la sofferenza, se non accompagnata dal rimborso, ma il cessionario deve considerarla come fatto sopravvenuto: “la sottoscrizione di un piano di rientro volto alla rateizzazione del debito… non costituisce, di per sé, un elemento sopravvenuto tale da far cancellare la segnalazione a sofferenza”, bensì comporta riduzione graduale dell’importo segnalato.
  • ABF – vari collegi (Roma 2013 dec.3877, Milano 2016 dec.1172): clausole di fido a revoca senza preavviso invalide per contrasto con art.1845 c.c. – preavvisi di soli 2 giorni giudicati non conformi, ABF invita banche a rispettare 15 giorni.
  • ABF – Collegio di Napoli 2014 dec.873: nessun risarcimento danni per revoca improvvisa se l’azienda non prova il danno concreto, ma ribadito dovere banca di correttezza e possibilità di responsabilità contrattuale se abuso.
  • Relazioni annuali ABF 2012-2015 (orientamenti generali): spesso evidenziano che nelle revoche fidi la soluzione raccomandata è trovare piani di rientro concordati anziché vie legali immediate; ABF richiama banche a dare info tempestive al cliente in tensione e a cercare soluzioni condivise.
  • Legge 3/2012 (come integrata nel Codice della Crisi D.Lgs.14/2019): procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento – piano del consumatore, concordato minore – consentono di imporre ai creditori una ristrutturazione dei debiti. Rilevante sapere che un debitore civile può, in extremis, rivolgersi a tali procedure se non vi è accordo stragiudiziale (fonti: artt. 67-73 Codice della Crisi).

Sei in difficoltà con la banca? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai accumulato arretrati con la banca su un prestito, un fido, un mutuo o una carta revolving? Prima che partano segnalazioni o azioni legali, puoi concordare un piano di rientro.
Ma attenzione: non si tratta solo di rateizzare il debito. Per evitare errori e pressioni future, serve un piano ben strutturato e legalmente tutelante.


Cos’è un piano di rientro con la banca?

Il piano di rientro è un accordo volontario tra te e la banca per regolarizzare una situazione debitoria sospesa o in sofferenza.

Permette di:

  • 📅 Spalmare il debito in più rate
  • ✂️ Chiedere riduzioni parziali, interessi sospesi o saldo e stralcio
  • 🔁 Evitare il blocco dei conti o l’avvio di azioni esecutive
  • 🛑 Fermare la segnalazione a CRIF o Centrale Rischi

Ma non basta firmare quello che ti viene proposto: la banca tutela i suoi interessi, tu devi tutelare i tuoi.


I rischi di un piano mal gestito

Molti firmatari si trovano in queste situazioni:

  • ❌ Rate troppo alte rispetto al reddito
  • 🧾 Clausole sbilanciate e vessatorie
  • ⏱️ Ritardi o salti di pagamento che fanno decadere l’accordo
  • ⚠️ Nessuna tutela legale in caso di peggioramento economico
  • 💥 Segnalazioni in Centrale Rischi non revocate

Per questo è fondamentale redigere o negoziare il piano con l’assistenza di un legale esperto.


Come si fa un piano di rientro fatto bene?

✅ Valuta realisticamente il tuo bilancio familiare e la capacità mensile di pagamento
✅ Richiedi alla banca un prospetto chiaro del debito, interessi e penali
✅ Negoziate sulle condizioni: durata, tasso, eventuali rinunce
✅ Inserisci clausole di protezione, come tolleranza nei ritardi o revisione se il reddito cambia
✅ Fai mettere tutto per iscritto in modo vincolante, senza impegni verbali
✅ Verifica se puoi ottenere un saldo e stralcio o una rimodulazione agevolata


🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Analizza il tuo debito e i documenti contrattuali esistenti
✍️ Negozi a nome tuo con la banca per ottenere condizioni migliori
⚖️ Redige o revisiona il piano di rientro per renderlo sicuro e sostenibile
🔁 Ti tutela in caso di segnalazioni illegittime o richieste abusive
🧾 Interviene anche in casi di anatocismo, usura o clausole nulle


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto bancario e gestione del debito privato
✔️ Consulente per controversie con istituti di credito e finanziarie
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per accordi di rientro e saldo e stralcio approvati e chiusi
✔️ Consulente per famiglie, lavoratori, pensionati e piccoli imprenditori


Conclusione

Un piano di rientro ben fatto può salvarti dal sovraindebitamento, ma dev’essere costruito su misura e con piena tutela legale.
Non lasciare che la banca decida da sola le condizioni: fatti affiancare da un professionista esperto.

📞 Richiedi subito una consulenza riservata con l’Avvocato Giuseppe Monardo: perché pagare è giusto, ma solo alle condizioni corrette.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!