Pensionato Con Debiti? Ecco Cosa Fare

Hai raggiunto la pensione, ma i debiti ti seguono ancora? Hai ricevuto una cartella, un sollecito di pagamento o – peggio – un atto di pignoramento sulla pensione? Se sei un pensionato con debiti, sappi che la legge ti tutela, e puoi ancora difenderti ed evitare di perdere tutto.

Un pensionato può essere pignorato?
Sì, ma con dei limiti precisi. I creditori – come banche, finanziarie o l’Agenzia delle Entrate – possono agire sulla pensione, ma solo oltre una certa soglia, e non in modo totale. La parte di pensione che ti serve per vivere non può essere toccata.

Qual è il limite al pignoramento della pensione?
Secondo la legge:
– È impignorabile la parte pari a 1,5 volte l’assegno sociale (circa 763 euro nel 2025)
– Solo la parte eccedente può essere pignorata, e fino a un massimo di 1/5
– Se ricevi la pensione sul conto corrente, il pignoramento deve rispettare regole diverse (es. limite di 2 volte l’assegno sociale per somme già accreditate)

Cosa puoi fare se sei un pensionato con debiti?
– Puoi chiedere l’accesso alla procedura di sovraindebitamento, che blocca i pignoramenti
– Puoi proporre un piano di ristrutturazione sostenibile al giudice
– Se non hai beni e vivi solo con la pensione, puoi chiedere l’esdebitazione del debitore incapiente: la cancellazione totale dei debiti residui

E se i debiti sono vecchi?
Molti pensionati si portano dietro debiti prescritti o cartelle scadute. In questi casi si può:
– Verificare i termini di prescrizione
– Impugnare gli atti illegittimi
– Bloccare l’esecuzione o presentare opposizione al pignoramento

Cosa NON devi fare mai?
– Accettare passivamente un pignoramento senza sapere se è legittimo
– Firmare piani di rientro senza averli fatti verificare
– Vendere i tuoi beni per saldare debiti che potresti non dover pagare
– Rinunciare a difenderti: la legge prevede tutele anche per te

Essere in pensione non significa essere senza speranza. Con gli strumenti giusti, puoi proteggere il tuo reddito, chiudere i conti col passato e tornare a vivere con serenità.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti nella difesa dei pensionati indebitati – ti spiega come difenderti dai creditori, bloccare i pignoramenti e ottenere la cancellazione dei debiti quando possibile.

Se sei un pensionato con debiti, cartelle o pignoramenti in corso, non aspettare.

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Introduzione

Essere un pensionato indebitato in Italia può generare grande preoccupazione: si teme di perdere l’unica fonte di sostentamento (la pensione) o addirittura la casa, e di lasciare problemi economici ai propri eredi. Fortunatamente, l’ordinamento giuridico prevede specifiche tutele per i debitori pensionati, garantendo un “minimo vitale” impignorabile e ponendo limiti rigorosi ai pignoramenti su pensioni e beni primari. Negli ultimi anni (2022–2025) il legislatore e la giurisprudenza hanno ulteriormente rafforzato queste protezioni, aumentando la soglia di impignorabilità e introducendo procedure per la gestione dei debiti (come la composizione della crisi da sovraindebitamento).

Questa guida – aggiornata a luglio 2025 – offre un’analisi avanzata ma accessibile del quadro normativo italiano vigente dal punto di vista del debitore pensionato. Ci rivolgiamo sia a professionisti legali sia a privati cittadini (inclusi piccoli imprenditori in pensione) che vogliono capire cosa fare se un pensionato ha debiti.

Tra i temi trattati troverete: i limiti di pignorabilità della pensione e come calcolare la quota eventualmente pignorabile; le differenze nelle procedure a seconda del tipo di creditore (banche, Agenzia delle Entrate Riscossione, ex coniuge per alimenti, lo stesso INPS ecc.); le strategie di difesa del pensionato (opposizioni legali, rateizzazioni, saldo e stralcio, legge sul sovraindebitamento, ecc.); l’impatto di eventuali pignoramenti multipli o della coesistenza con una cessione del quinto; cosa accade in caso di decesso del pensionato debitore e come si trasmettono (o si possono estinguere) i debiti. Il tutto con riferimenti alla normativa italiana aggiornata e alle più recenti sentenze di Cassazione e della Corte Costituzionale, per garantire informazioni affidabili e aggiornate.

Importante: ogni situazione debitoria ha caratteristiche specifiche. Questa guida fornisce un quadro generale e orientativo. In caso di debiti significativi o azioni esecutive in corso, è consigliabile consultare un professionista (avvocato o esperto in crisi da sovraindebitamento) per valutare le soluzioni più adatte al caso concreto. La legge offre molteplici strumenti di tutela: conoscerli è il primo passo per affrontare i debiti con consapevolezza e proteggere la propria dignità economica.

Quadro normativo aggiornato al 2025

Negli ultimi anni vi sono state importanti modifiche legislative e interventi giurisprudenziali in materia di pignoramento di pensioni e tutela dei debitori, volte a garantire al pensionato il cosiddetto “minimo vitale”. In particolare, il Decreto Aiuti-bis (D.L. 9 agosto 2022 n. 115, convertito con L. 21 settembre 2022 n. 142) ha innalzato la soglia di impignorabilità delle pensioni. Prima di tale riforma, la parte di pensione non pignorabile era pari a 1,5 volte l’assegno sociale; dal 22 settembre 2022, invece, il minimo vitale è stato elevato a 2 volte l’assegno sociale, con un minimo assoluto di €1.000. In altre parole, oggi la legge (art. 545, comma 7, c.p.c. come modificato) stabilisce che le somme dovute a titolo di pensione non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio dell’assegno sociale, e comunque mai sotto €1.000. Questo importo costituisce il “minimo vitale” intoccabile, necessario a garantire mezzi adeguati di sussistenza al pensionato.

Ogni anno l’assegno sociale viene rivalutato, e con esso la soglia di impignorabilità si adegua. Ad esempio, nel 2024 l’assegno sociale era di circa €534,41 mensili, quindi la soglia era €1.068,82; nel 2025 l’assegno sociale è circa €538,68 al mese, e il doppio vale circa €1.077,36. Essendo questo importo superiore al minimo assoluto di €1.000, la pensione impignorabile nel 2025 è di fatto circa €1.077 mensili. In sintesi, tutte le pensioni fino a ~€1.077 al mese sono completamente impignorabili, mentre l’eventuale parte eccedente è aggredibile nei limiti di legge. Tali valori vengono comunemente definiti minimo vitale o trattamento minimo garantito. Va notato che il trattamento minimo INPS (cioè l’integrazione al minimo delle pensioni contributive basse) per il 2025 è anch’esso intorno a €563 mensili: la legge assicura che almeno quell’importo resti al pensionato, e anzi con l’aggancio a 2×assegno sociale la soglia è ancora più alta.

Oltre alla riforma del 2022 sul minimo vitale, ci sono state altre novità normative di rilievo:

  • La cosiddetta Riforma Cartabia della giustizia civile (D.Lgs. 149/2022, in vigore dal 2023) ha apportato modifiche alle procedure esecutive, inclusi i pignoramenti presso terzi. In particolare sono stati snelliti e accelerati i tempi delle esecuzioni forzate: ad esempio, il nuovo rito esecutivo prevede termini più brevi e udienze telematiche per assegnare rapidamente le somme pignorate. Questo non incide sui diritti sostanziali del pensionato (limiti di pignorabilità invariati), ma significa che una volta avviato un pignoramento potrebbe concludersi in tempi più rapidi. Si parla infatti di “pignoramenti sprint” in 2-3 mesi per rendere più efficiente il recupero crediti. Il debitore pensionato deve dunque prestare attenzione ai nuovi termini processuali più stringenti in caso di opposizione.
  • Sul fronte fiscale, la Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022) ha introdotto importanti misure di sollievo per i debitori verso il Fisco, con effetti indiretti anche sui pensionati con cartelle esattoriali pendenti. In particolare:
    • È stata prevista una nuova “Rottamazione-quater” delle cartelle (definizione agevolata dei debiti tributari): i carichi affidati all’Agente della Riscossione tra il 2000 e il 30 giugno 2022 possono essere estinti pagando solo l’imposta capitale e pochi oneri, con stralcio di sanzioni e interessi. Chi ha aderito a questa definizione agevolata entro le scadenze del 2023 ottiene la sospensione di tutte le azioni esecutive sulle cartelle rottamate (compresi eventuali pignoramenti su pensione in corso) durante il periodo di pagamento delle rate. In pratica, se un pensionato con debiti fiscali presenta domanda di rottamazione, il pignoramento viene congelato per legge fino all’eventuale decadenza della rottamazione (ad esempio per mancato pagamento delle rate).
    • È stato disposto lo “stralcio” automatico dei mini-debiti fino a €1.000 relativi agli anni 2000-2015: tali cartelle di piccolo importo sono state direttamente annullate al 31 marzo 2023. Molti pensionati avevano vecchie cartelle di modesto importo (multe, tributi locali, contributi minori) che, grazie a questa norma (art. 1 commi 227-228 L.197/2022), sono state cancellate d’ufficio. Ciò ha comportato anche l’estinzione di eventuali pignoramenti in corso su pensioni riferiti a quei crediti, eliminando alla radice il debito.
    • Sono stati prorogati termini di pagamento e introdotte soglie di tolleranza per le nuove cartelle notificate nel 2023-2024, per evitare decadenze immediate. Ad esempio, per le cartelle notificate nel 2023 il termine per il pagamento prima di subire azioni esecutive è stato esteso da 60 a 180 giorni. Questo significa che un pensionato che riceve una cartella nel 2023 ha circa 6 mesi di tempo per regolarizzare o chiedere rateazione prima che l’Agenzia delle Entrate Riscossione possa pignorare la pensione. Inoltre, nel 2024 sono state introdotte soglie di debito minimo sotto le quali l’Agente della Riscossione non avvia nuove procedure esecutive, privilegiando strumenti meno invasivi.
  • In materia di sovraindebitamento, è entrato in vigore (da luglio 2022) il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), D.Lgs. 14/2019 modificato dal D.Lgs. 83/2022, che ha assorbito la previgente Legge 3/2012. Questo codice ha introdotto procedure concorsuali semplificate per i debitori civili (consumatori, piccoli imprenditori non fallibili) volte a ristrutturare o cancellare i debiti. Per i pensionati sovraindebitati, le novità più rilevanti sono:
    • La procedura di esdebitazione del debitore incapiente, prevista dagli artt. 283-284 CCII: un pensionato persona fisica meritevole (cioè in buona fede e non colpevole di frodi) che non abbia alcuna capacità di pagare i propri creditori, può chiedere al tribunale la cancellazione totale dei debiti residui senza alcun pagamento, come misura di “fresh start”. Questa esdebitazione a zero è concessa una tantum nella vita ed è pensata per i casi estremi in cui il debitore non possiede né redditi capienti né patrimoni aggredibili. L’introduzione di questo strumento (nel 2021, attuato poi nel 2022) rappresenta un’importante ancora di salvezza: di fatto consente al pensionato povero e oppresso dai debiti di liberarsene e ripartire da capo, purché il tribunale valuti l’assenza di colpa grave.
    • Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (Piano del consumatore e Concordato minore): consentono di proporre ai creditori un piano di rientro sostenibile, con pagamento parziale dei debiti in proporzione alle effettive possibilità economiche del debitore. Ad esempio un pensionato potrà proporre di pagare solo una percentuale dei debiti (es. 20-30%) dilazionata negli anni, eventualmente utilizzando parte della pensione eccedente il minimo o il ricavato di vendita di beni, e ottenere l’esdebitazione del restante. Durante queste procedure il giudice sospende tutte le azioni esecutive in corso, compresi i pignoramenti della pensione, e una volta omologato il piano i creditori dovranno rispettarne le condizioni (rinunciando ad esempio a proseguire il pignoramento se il piano prevede modalità diverse di pagamento). Per i pensionati sovraindebitati, il Piano del consumatore è spesso lo strumento elettivo, in quanto non richiede l’accordo di tutti i creditori ma solo l’ok del giudice sulla fattibilità e convenienza rispetto alla liquidazione.
    • In sede di urgenza, alcuni giudici hanno iniziato ad applicare i principi del sovraindebitamento anche per ridurre temporaneamente le trattenute in corso. Ad esempio, il Tribunale di Napoli (decreto 14/4/2023) ha ridotto d’ufficio una trattenuta su pensione dal 20% al 10%, vista l’estrema difficoltà economica del pensionato debitore, richiamando i poteri di equità del giudice dell’esecuzione e i nuovi principi del CCII sulla composizione della crisi. Si tratta di soluzioni innovative e rare, ma indicano una crescente sensibilità della giurisprudenza verso la tutela del debitore incolpevole.

In sintesi, il quadro normativo attuale (aggiornato al 2025) offre al pensionato con debiti maggiore protezione sul minimo vitale e vari strumenti per gestire o estinguere il debito. Non risultano, allo stato, modifiche legislative peggiorative dei diritti del debitore pensionato: le soglie di impignorabilità rimangono quelle rafforzate nel 2022, e anzi sono in discussione ulteriori miglioramenti (ad esempio è pendente una questione di legittimità costituzionale sull’assenza di una soglia impignorabile specifica per le trattenute INPS su pensioni per indebiti, segno che la tutela minima potrebbe venire estesa anche in quell’ambito). Nel prossimo capitolo vediamo nel dettaglio come funziona il pignoramento della pensione e quali sono i limiti di legge da conoscere.

Pignorabilità della pensione: regole generali e calcolo della quota

La pensione rientra, come lo stipendio, tra i crediti periodici da lavoro sui quali la legge consente il pignoramento solo in parte, per garantire al debitore mezzi di sussistenza. I principi cardine da tenere presenti sono: (1) esiste una quota impignorabile (il minimo vitale), e (2) la parte pignorabile oltre tale soglia è comunque soggetta a un limite percentuale (di regola il 20%). Vediamo i dettagli.

  • Minimo vitale impignorabile: come anticipato, l’art. 545 c.p.c. tutela una fascia minima di importo della pensione rendendola assolutamente non pignorabile da qualsiasi creditore. Attualmente questa soglia corrisponde a due volte l’importo mensile dell’assegno sociale vigente, con un minimo di €1.000. Qualsiasi pensione pari o inferiore a tale importo non può essere toccata dal pignoramento. Ad esempio, nel 2025 una pensione di €800 è totalmente impignorabile. Se la pensione supera la soglia, solo la parte eccedente può essere sottoposta a pignoramento. Questa regola è fondamentale e deriva dal riconoscimento costituzionale del diritto a mezzi adeguati di vita (art. 38 Cost.): la legge garantisce che al pensionato rimanga sempre un importo sufficiente a coprire i bisogni primari.
  • Calcolo sulla pensione netta: la base di calcolo per il minimo vitale e per le percentuali di pignoramento è la pensione netta, ovvero l’importo effettivamente percepito dopo le trattenute fiscali e previdenziali di legge. Ad esempio, se la pensione lorda è €2.000 ma al netto delle tasse è €1.600, il minimo vitale (€1.077 circa) e l’eventuale quinto pignorabile si calcolano su €1.600, non su €2.000. Ciò evita che il debitore subisca il pignoramento anche sulla parte che comunque verrebbe trattenuta dal Fisco. Infatti l’assegno sociale (parametro del minimo) è un importo al netto in quanto esente da imposte, e la Cassazione ha chiarito che il minimo vitale va riferito al netto percepito. Dunque il pensionato debitore non deve temere che gli pignorino anche le tasse: prima si applicano le ritenute IRPEF sulla pensione, poi sulla somma residua (pensione netta mensile) si determina l’eventuale quota pignorabile.
  • Quota pignorabile massima: della parte di pensione che eccede il minimo vitale, solo una frazione limitata può essere pignorata. La regola generale (per i crediti ordinari) è il quinto, cioè 1/5 = 20%. Significa che, tolto il minimo impignorabile, il creditore può ottenere al massimo il 20% dell’importo residuo ogni mese. Ad esempio: pensione netta €1.500, soglia impignorabile ~€1.077 → eccedenza €423; importo pignorabile = 1/5 di 423 = circa €84 al mese. Il resto (4/5 dell’eccedenza + la parte fino a €1.077) resta al pensionato. NB: in presenza di crediti particolari (erariali, alimentari) o di più pignoramenti, questa percentuale può variare come vedremo, ma per un singolo credito ordinario il limite è sempre il 20%.
  • Mensilità aggiuntive e arretrati: la tredicesima mensilità della pensione (e l’eventuale quattordicesima, se spettante) sono pignorabili con le stesse regole della pensione mensile ordinaria. In pratica, nel mese in cui viene pagata la tredicesima, il calcolo del quinto pignorabile terrà conto dell’importo della tredicesima aggiunto alla pensione di quel mese, aumentando quindi l’eccedenza oltre il minimo e di conseguenza la quota prelevabile. Analogamente, eventuali arretrati di pensione (es. arretrati di rivalutazione) ricevuti in un’unica soluzione possono essere in parte pignorati. Tuttavia, la legge e la giurisprudenza tutelano l’ultima mensilità percepita: la Cassazione ha affermato che l’ultimo rateo accreditato prima del pignoramento non è aggredibile dal pignoramento presso terzi, a garanzia delle esigenze immediate del pensionato. Quindi se, ad esempio, arriva un pignoramento sul conto il giorno dopo l’accredito della pensione, l’importo di quella mensilità dovrebbe rimanere disponibile al debitore nei limiti del minimo vitale, mentre per le somme successive si applicheranno le regole ordinarie.
  • Prestazioni totalmente impignorabili: alcune somme erogate dall’INPS a pensionati non possono mai essere pignorate, perché di natura assistenziale. Rientrano in questa categoria: l’assegno sociale stesso, le pensioni e assegni di invalidità civile, le indennità di accompagnamento per invalidi, nonché le pensioni di guerra e simili provvidenze assistenziali. Tali trattamenti, non basati su contributi ma sullo stato di bisogno, sono impignorabili sia da creditori privati sia dall’Erario. Ad esempio, un creditore non può pignorare l’assegno sociale o la pensione di invalidità di un debitore. Attenzione: se però il debito è verso l’INPS per somme indebitamente percepite su quelle stesse prestazioni assistenziali, l’INPS può compensare riducendo l’importo futuro (caso raro e particolare). Invece la pensione di reversibilità (pensione ai superstiti) è considerata un trattamento di natura previdenziale derivato dai contributi del dante causa, quindi segue le stesse regole di pignorabilità delle normali pensioni (con soglia minima etc.). In ogni caso, tutte le pensioni di importo basso sotto il minimo vitale, pur non essendo assistenziali, di fatto non sono attaccabili da creditori (fino a ~€1.077 mensili nel 2025).

Riassumendo: la legge protegge il pensionato con debiti garantendogli sempre una quota intoccabile di pensione (2×assegno sociale), e limitando il prelievo al 20% della parte restante (salvo eccezioni di legge). Nei paragrafi successivi vedremo come avviene in pratica il pignoramento della pensione (procedure presso INPS o presso banca) e quali differenze vi sono a seconda del tipo di credito.

Come avviene il pignoramento della pensione

Il pignoramento della pensione è una forma di esecuzione forzata “presso terzi” in cui il terzo è l’ente pensionistico (INPS o altro) o la banca dove viene accreditata la pensione. In sostanza, il creditore invece di aggredire direttamente il debitore, colpisce le somme che l’INPS deve pagare al pensionato (prima che gli vengano versate) oppure quelle già depositate sul conto corrente del pensionato. Le modalità possono essere due:

Pignoramento presso l’INPS (alla fonte)

La forma più comune ed efficace è il pignoramento presso l’INPS. Qui il terzo pignorato è l’ente previdenziale che eroga la pensione. La procedura è la seguente: il creditore, munito di titolo esecutivo (ad es. una sentenza passata in giudicato o un decreto ingiuntivo definitivo), notifica un atto di pignoramento presso terzi sia al debitore pensionato che all’INPS. In quell’atto si intima all’INPS di non pagare al pensionato le somme pignorate e di destinarle invece al creditore nei limiti di legge. Non è necessario un ulteriore provvedimento giudiziale per iniziare le trattenute: l’INPS, ricevuta la notifica e verificata la regolarità, inizia a trattenere la quota pignorata sulla pensione mese per mese, accantonandola in attesa dell’ordinanza di assegnazione del giudice. In pratica, l’INPS diventa il soggetto che materialmente trattiene l’importo e lo versa (dopo l’ordinanza del giudice) al creditore, mentre il pensionato riceve solo la parte residua.

Vantaggi per il creditore: il pagamento è sicuro e automatizzato, perché la fonte di reddito è nota e stabile (l’INPS pagherà finché il debitore è vivo e creditore insoddisfatto). Svantaggi per il debitore: la trattenuta è immediata e inesorabile: l’INPS prima trattiene la quota pignorata e solo dopo accredita al pensionato il resto. Non c’è modo di “sfuggire” spostando la pensione altrove, perché l’ente pensionistico stesso è obbligato per legge a eseguire il pignoramento.

Applicazione dei limiti: Nel pignoramento presso INPS valgono pienamente i limiti visti sopra:

  • L’INPS deve sempre lasciare intatto il minimo vitale impignorabile (2×assegno sociale, min €1.000). Se la pensione è inferiore o pari a tale soglia, l’INPS dichiarerà al giudice che nulla può essere pignorato. Se è superiore, l’INPS calcola la parte eccedente tale minimo.
  • Sulla quota eccedente, verrà applicata la percentuale massima dovuta in base al tipo di credito: generalmente il 20% per crediti ordinari, percentuali diverse se credito fiscale o alimentare (come dettaglieremo più avanti). In ogni caso, non più di un quinto per ciascun credito ordinario.

Esempio pratico: pensione netta €1.500; minimo impignorabile ~€1.077; eccedenza = €423. Se il creditore è una finanziaria (credito ordinario), l’INPS tratterrà 1/5 di €423, cioè circa €84 al mese. Il pensionato riceverà quindi €1.416 al mese invece di €1.500. Se la pensione fosse più bassa, diciamo €1.100, eccedendo il minimo per soli €23, il quinto sarebbe €4,6 mensili; in pratica, per importi così esigui, spesso il creditore preferisce attendere tempi migliori o cercare un accordo, poiché il recupero sarebbe lentissimo.

Il pignoramento presso INPS ha carattere continuativo: la detrazione prosegue ogni mese fino alla completa soddisfazione del credito (capitale dovuto, interessi e spese legali). Può durare quindi molti anni, diluendo il pagamento nel tempo. Non vi è un termine massimo predeterminato: termina solo al pagamento integrale di quanto dovuto oppure se sopravviene una causa estintiva (es. accordo transattivo, sgravio del debito, apertura di procedura di crisi che sospende l’esecuzione, o la morte del debitore). Va però ricordato che interessi e spese maturano finché il debito rimane insoluto: per debiti molto grandi, la trattenuta mensile potrebbe coprire a malapena gli interessi, allungando ulteriormente l’orizzonte. Questo è un altro motivo per cui spesso conviene valutare soluzioni alternative (transazioni, rateizzazioni) anziché subire un pignoramento pluriennale.

Pignoramento della pensione sul conto corrente

In alternativa (o in aggiunta) al pignoramento presso l’ente pensionistico, il creditore può scegliere di pignorare le somme dopo che sono state accreditate sul conto corrente del pensionato. In questo caso il terzo pignorato non è l’INPS ma la banca o Poste dove il debitore ha il conto. Si parla di pignoramento del conto corrente (sempre presso terzi, il terzo essendo l’istituto di credito).

Funzionamento: il creditore notifica un atto di pignoramento alla banca e al debitore, indicando le coordinate del conto da bloccare. La banca, ricevuta l’ingiunzione, deve congelare le somme presenti sul conto intestato al debitore fino a concorrenza del credito pignorato. Tuttavia, la legge prevede regole speciali di tutela quando sul conto affluiscono stipendi o pensioni:

  • Se il pignoramento colpisce un conto su cui è accreditata la pensione, le somme già depositate prima della notifica sono pignorabili solo per la parte eccedente il triplo dell’assegno sociale. In altre parole, al momento del pignoramento il debitore deve poter conservare sul conto un importo pari a tre mensilità di assegno sociale, considerato il minimo indispensabile per le sue esigenze immediate. Poiché l’assegno sociale 2025 è ~€538,68, il triplo è circa €1.616: fino a questa cifra il saldo è impignorabile, l’eventuale eccedenza viene bloccata. Ad esempio, se sul conto ci sono €5.000 al momento della notifica, la banca ne congelerà al massimo €5.000–€1.616 = €3.384 (eccedenza), lasciando liberi €1.616.
  • Sulle somme future accreditate dopo il pignoramento, la legge distingue: se l’accredito (pensione) avviene successivamente alla data di pignoramento, si applicano i limiti ordinari di pignorabilità di stipendi e pensioni. Ciò significa che ogni nuovo bonifico della pensione sul conto può essere pignorato nei limiti del quinto eccedente il minimo vitale. In pratica, una volta notificato il pignoramento sul conto, il creditore potrebbe insistere per ottenere anche le pensioni successive. Tuttavia, il meccanismo non è automatico come con l’INPS: il pignoramento sul conto si esaurisce sulle somme presenti quel giorno. Se il creditore vuole agganciare le mensilità seguenti, dovrebbe rinnovare l’atto o, più efficacemente, procedere direttamente presso l’INPS.

Tutela dell’ultima mensilità: va evidenziato che la norma assicura che almeno la mensilità di pensione precedente resti al debitore: il triplo dell’assegno sociale copre infatti circa tre mesi di pensione minima, ma se la pensione è più alta potrebbe non coprirne una intera. Per questo la Cassazione 1044/2011 ha sostenuto che l’ultimo rateo di pensione accreditato prima del pignoramento non va toccato. Spiegando con un esempio concreto fornito dalla dottrina: se Antonio ha la pensione di €1.600 accreditata ogni 1º del mese e il creditore pignora il conto il 15 del mese con saldo €5.000 (in cui è compresa la pensione di due settimane prima), Antonio dovrebbe poter disporre di almeno €1.077 (minimo vitale) sul conto, o comunque dell’ultima pensione per le sue spese correnti, e solo il resto può essere catturato. In pratica, la banca al momento del pignoramento trattiene l’eccedenza oltre 3×assegno sociale; poi il giudice, nell’ordinanza di assegnazione, generalmente limita l’importo assegnato al creditore a una mensilità pignorabile (cioè un quinto dell’eccedenza mensile) e libera il resto. Nel nostro esempio: saldo €5.000, libera €1.616, residuo €3.384 congelato; ma siccome la pensione eccedente minimo è €523 e il quinto è €104, il giudice potrebbe assegnare solo €104 al creditore e sbloccare gli altri €3.280 circa a favore del debitore.

Esito e sviluppi successivi: di solito il pignoramento del conto frutta poco se il debitore è accorto. Un pensionato informato, appena saputo del rischio (ad es. dopo il precetto), potrebbe ritirare in contanti la pensione subito dopo l’accredito, lasciando sul conto il minimo indispensabile. Così, quando il creditore andrà a pignorare, troverà poco o nulla (comunque non oltre 3×assegno sociale). Questo espediente può salvare temporaneamente i fondi – e in effetti si consiglia di non lasciare grossi risparmi sul conto corrente se si hanno debiti in escussione – ma non risolve il problema alla radice. Infatti il creditore, ottenuto poco dal conto, quasi certamente sposterà l’azione sull’INPS notificando un nuovo pignoramento diretto alla fonte. A quel punto le trattenute mensili diventeranno inevitabili (come visto nella sezione precedente). Quindi, ritirare i soldi dal conto serve solo a guadagnare tempo o salvare qualche risparmio pregresso, ma non impedisce al creditore di colpire la pensione. Inoltre, va ricordato che manovre eccessivamente elusive – come movimentare ingenti somme per sottrarle ai creditori – potrebbero essere censurate (ad esempio con azione revocatoria) se fatte in frode ai creditori, anche se nel caso della pensione spesa per vivere generalmente non c’è malafede conclamata.

Conclusione su INPS vs conto: il pignoramento presso INPS è il metodo più diretto e continuativo per il creditore, mentre il pignoramento sul conto corrente offre qualche margine di protezione in più al debitore sulle somme pregresse. In entrambi i casi, però, valgono i limiti di importo impignorabile e percentuali visti. Un debitore pensionato informato può cercare di mitigare gli effetti (ad esempio mantenendo il conto con saldo sotto soglia, o spostando la pensione su un libretto postale nominativo non pignorabile come rapporto bancario – attenzione però, i libretti nominativi sono comunque pignorabili come crediti del debitore, quindi non sono uno scudo assoluto). La strategia migliore resta affrontare la questione legalmente: se i debiti sono insostenibili, valutare un piano di rientro o le procedure di esdebitazione, piuttosto che confidare in escamotage che aggirano temporaneamente il problema.

Limiti di pignoramento in base al tipo di debito

A seconda della natura del credito per cui si procede, la legge prevede limiti e percentuali diverse di pignorabilità della pensione. Finora abbiamo parlato del caso “standard” (creditore ordinario e unico, quota massima 1/5), ma è fondamentale conoscere le eccezioni:

  • i debiti verso l’Erario (Agenzia Entrate-Riscossione) hanno percentuali diverse su scaglioni di importo della pensione;
  • i debiti alimentari (mantenimento a familiari) possono portare a pignoramenti più consistenti, modulati dal giudice;
  • i debiti verso lo stesso INPS (contributi non pagati, pensioni indebite) seguono regole particolari di compensazione amministrativa;
  • se coesistono più pignoramenti (creditori diversi) sulla stessa pensione, ci sono norme sul cumulo e una soglia massima del 50%.

Analizziamo ciascuna situazione nel dettaglio. La seguente tabella riepilogativa mostra le quote massime pignorabili della pensione a seconda del tipo di credito, fermo restando che tali percentuali si applicano solo sulla parte di pensione eccedente la soglia impignorabile (~€1.077):

Tabella – Limiti di pignorabilità della pensione per tipo di debito

Tipo di creditoQuota massima pignorabile (sulla parte eccedente il minimo vitale)
Crediti ordinari (banche, finanziarie, privati, fornitori ecc.)1/5 (20%)
Crediti alimentari (es. assegno di mantenimento per coniuge o figli)Fino a 1/3 (33,3%) – determinato dal giudice caso per caso. Di regola non oltre 1/3, salvo concorso con altri pignoramenti (max 50% cumulate, v. oltre).
Crediti fiscali (debiti verso Stato / Agenzia Entrate-Riscossione)Aliquote progressive per legge speciale (art. 72-ter DPR 602/1973): 1/10 se pensione ≤ €2.500; 1/7 se €2.500 < pensione ≤ €5.000; 1/5 se pensione > €5.000. (Sempre calcolati sull’importo oltre il minimo vitale)
Debiti verso INPS (es. contributi previdenziali omessi, indebiti pensionistici)1/5 (20%) dell’eccedenza. Interessi e sanzioni su tali crediti INPS non pignorano la pensione (solo quota capitale). È fatto salvo il trattamento minimo INPS: l’ente non può intaccare la pensione al punto da scendere sotto l’importo di pensione minima sociale. In pratica si equipara ai crediti ordinari.

Note: In tutti i casi, la parte di pensione entro il minimo vitale (~€1.077 nel 2025) non si tocca. Le percentuali indicate sono il massimo teorico: il giudice può anche stabilire quote inferiori se le circostanze lo richiedono (specie nei crediti alimentari). Inoltre, queste percentuali non si sommano automaticamente se ci sono più creditori (vedi paragrafo seguente): la legge impone un tetto del 50% sul totale pignorato.

Vediamo ora qualche spiegazione aggiuntiva per ciascun tipo di debito:

Debiti con banche, finanziarie o altri creditori privati (Crediti chirografari ordinari): rientrano qui i prestiti bancari, scoperti di conto, finanziamenti, acquisti non pagati, debiti commerciali, risarcimenti danni, ecc. Sono crediti non privilegiati verso normali creditori. In questi casi si applica la regola generale dell’art. 545 c.p.c.: quota pignorabile 1/5 dell’importo eccedente il minimo. Non vi sono differenze se il creditore è una banca, una società di recupero crediti o una persona privata: tutti sono trattati alla pari e devono rispettare il limite del quinto. Esempio: pensione €1.500 netti, eccedenza €423 -> massimo €84 al mese pignorabili, come già calcolato sopra. Attenzione: questo è per singolo pignoramento; se ce ne sono più di uno, il primo occupa il quinto e gli altri devono attendere (o concorrere su quello stesso quinto, vedi oltre). Se però uno dei crediti è di natura diversa (fiscale o alimentare), può aggiungersi un’ulteriore quota.

Debiti per alimenti e mantenimento familiare: includono gli obblighi di mantenimento verso coniuge separato/divorziato, figli minori o non economicamente autosufficienti, e altri alimenti ex art. 433 c.c. (obblighi di assistenza familiare). Per questi crediti la legge consente pignoramenti più incisivi: l’art. 545 c.p.c. comma 6 autorizza, previa decisione del presidente del tribunale, il pignoramento in misura superiore al quinto, generalmente fino a un terzo della pensione. Non c’è un limite fisso: il giudice valuta caso per caso l’entità del mantenimento dovuto e le condizioni del debitore. Nella prassi, però, raramente si supera 1/3 e comunque si tende a tutelare il minimo vitale anche qui. Ad esempio, difficilmente un giudice autorizzerà 1/3 su una pensione di €1.200 (che lascerebbe solo €800 al debitore, sotto la soglia protetta). Più probabile invece 1/4 o 1/5 in quei casi, in modo da bilanciare il diritto dell’ex coniuge/figlio con la sopravvivenza del debitore. Da notare che, nel caso di assegno divorzile non pagato, esiste una norma ad hoc: l’art. 8 della L. 898/1970 sul divorzio permette all’ex coniuge beneficiario di ottenere dall’INPS il pagamento diretto di una quota della pensione del coniuge obbligato fino al 50% di quanto questo percepisce al netto (limite più alto, ma comunque non può superare la metà). Tale 50% in realtà si riferisce all’ammontare dovuto come mantenimento: ad es., se Tizio divorziato deve €500 al mese di assegno e percepisce €1.000 di pensione, l’ex coniuge può chiedere che l’INPS gli versi fino a €500 (50%) direttamente. Se però vi fossero altri pignoramenti in corso, anche in questo caso il cumulo totale non eccede mai la metà. Quindi, riassumendo i crediti alimentari: possono arrivare a prendere fino a un terzo della pensione e in casi estremi fino alla metà (per ex coniuge), ma mai oltre, e sempre a discrezione del giudice.

Debiti fiscali verso Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER): i crediti derivanti da cartelle esattoriali (imposte, tributi, contributi previdenziali riscossi tramite ruolo, multe erariali, ecc.) seguono una disciplina speciale stabilita dal DPR 602/1973. L’Agente della Riscossione ha la facoltà di pignorare stipendi e pensioni in via amministrativa, senza passare dal tribunale, ai sensi dell’art. 72-bis DPR 602/73. Ma deve rispettare i limiti dell’art. 72-ter DPR 602/73, che fissa le seguenti aliquote:

  • Se la pensione netta è fino a €2.500 mensili: pignorabile al massimo 1/10 (10%) dell’importo eccedente il minimo.
  • Se la pensione è tra €2.501 e €5.000: pignorabile fino a 1/7 (~14,3%) dell’eccedenza.
  • Se la pensione è oltre €5.000: pignorabile fino a 1/5 (20%) dell’eccedenza (in pratica, per pensioni molto alte si torna al limite standard).

Queste percentuali speciali si applicano in luogo del normale quinto, rendendo la trattenuta fiscale più favorevole al debitore sulle pensioni medio-basse. Ad esempio, con pensione netta €3.000: minimo €1.077 → eccedenza €1.923; essendo €3.000 entro 5.000, l’AER potrà pignorare 1/7 di 1.923 = ~€274 al mese (invece di €384 che sarebbe 1/5). Con pensione €1.500: eccedenza €423; sotto 2.500, quindi 1/10 di 423 = €42 al mese. Come si vede, il Fisco preleva meno di un creditore ordinario in molti casi: ciò perché il legislatore ha riconosciuto che l’Erario, pur dotato di ampi poteri, deve rispettare fasce protette di reddito per non mettere in ginocchio il contribuente. Nota: Anche l’Agenzia delle Entrate-R. deve in ogni caso lasciare intatto il minimo vitale €1.000/~1.077. Quindi le percentuali si applicano solo sulla parte sopra tale soglia. Inoltre, l’atto di pignoramento viene notificato direttamente all’INPS (oltre che al debitore) e l’INPS esegue la trattenuta come da richiesta senza bisogno di udienza. Tuttavia, se il debitore ha presentato istanza di rateizzazione o è in corso una rottamazione/sospensione, l’INPS viene informata e blocca le trattenute. È dunque fondamentale che, in presenza di cartelle, il pensionato comunichi subito all’INPS l’eventuale concessione di una rateazione o definizione agevolata, perché in tali casi ogni pignoramento fiscale dev’essere sospeso.

Debiti verso l’INPS (contributi, indebiti): può sembrare curioso, ma un pensionato può avere debiti verso il proprio ente pensionistico, ad esempio per contributi previdenziali non versati durante la vita lavorativa (il che genera cartelle INPS, comunque riscosse da AER) o per pensioni indebite percepite (errori o indebiti pagamenti che l’INPS chiede indietro). In questi casi l’INPS agisce in due modi:

  • Contributi non pagati: sono equiparati ai debiti fiscali, e infatti l’INPS di norma affida la riscossione all’Agenzia Entrate-Riscossione, che procederà come descritto sopra (pignorando la pensione con le aliquote 1/10, 1/7, 1/5). Quindi se un pensionato ha cartelle INPS (per mancati versamenti di ex artigiano/commerciante, ecc.), subisce il pignoramento con le stesse regole dei tributi.
  • Indebiti pensionistici: se l’INPS ha erogato somme non dovute (es. pensione calcolata male, o benefici poi revocati), ha facoltà di recuperare queste somme in via amministrativa, trattenendole direttamente dalla pensione futura. Tecnicamente non è un pignoramento giudiziario, ma il risultato è analogo: ogni mese l’INPS tratterrà una porzione della pensione fino a recupero completato. La legge (art. 69, co. 1, L. 153/1969) consente la trattenuta fino a 1/5 della pensione per questi debiti verso l’INPS, escludendo però interessi e sanzioni e facendo salvo l’importo del trattamento minimo INPS. Dunque anche l’INPS “pignora” al massimo il quinto eccedente la pensione minima. In pratica, per gli indebiti previdenziali c’è un’equiparazione ai crediti ordinari: 20% di trattenuta. Ad esempio, se un pensionato deve restituire €5.000 di pensione indebita e prende €800 al mese, l’INPS (dovendo lasciargli il minimo per vivere) potrà trattenere una piccola quota, diciamo €80 al mese (circa il 10%), impiegando diversi anni per il recupero. Se invece avesse una pensione più alta, applicherà indicativamente il quinto dell’eccedenza. Da notare che spesso, in questi casi, l’INPS preferisce concordare un piano di rateizzazione con il pensionato (es. € X al mese) tenendo conto delle sue condizioni economiche. L’INPS ha anche il (discutibile) potere, in casi estremi, di sospendere in tutto o in parte la pensione per recuperare l’indebito – ad esempio quando l’intera pensione risultava non spettante – ma deve comunque garantire al pensionato mezzi di sostentamento e normalmente ciò non avviene senza un periodo di preavviso e la possibilità di ricorrere. Ricordiamo infine che per indebiti pensionistici di modesta entità o dovuti ad errore esclusivo dell’INPS vi sono norme che prevedono la non ripetibilità dopo un certo tempo, quindi è sempre bene consultare un patronato o legale se l’INPS richiede somme arretrate, per verificare se l’indebito è effettivamente dovuto.

Come si vede, nonostante le differenze, c’è un filo conduttore: nessun creditore può prendere più di una certa percentuale e in ogni caso nulla può essere tolto al pensionato sotto la soglia vitale. Anche l’INPS creditore “si modera” nei limiti del quinto e del minimo.

Concorso di più pignoramenti e cessione del quinto

Finora abbiamo considerato un pignoramento isolato. Ma un pensionato può avere più debiti con creditori diversi (es. banca e Fisco, oppure due banche, ecc.) che agiscono contemporaneamente o in tempi vicini. In tal caso entrano in gioco le norme sul concorso dei crediti (art. 545, comma 5 c.p.c.) e bisogna considerare anche l’eventuale presenza di una cessione volontaria del quinto sulla pensione.

Limite generale del 50%: la legge dispone che, anche in caso di pluralità di pignoramenti, la somma complessivamente prelevata ogni mese non può superare la metà (50%) della pensione netta. Questo significa che almeno il 50% della pensione deve restare libero. Il vincolo del 50% è un tetto invalicabile per la somma delle trattenute da pignoramento. Ad esempio, se un pensionato ha già un pignoramento del 20% in corso e arriva un secondo creditore, il giudice dovrà orchestrare le trattenute in modo che la somma non ecceda il 50%. Se teoricamente sommando quote diverse si arrivasse oltre metà, qualcosa va ridotto.

Crediti di diversa natura (eterogenei): se i creditori appartengono a categorie diverse (es. uno per debito bancario e uno per debito fiscale, oppure uno per alimenti e uno per banca), possono coesistere più pignoramenti perché la legge consente che si cumuli un quinto per il primo tipo e un altro quinto (o altra frazione) per l’altro. Ad esempio, è possibile avere contemporaneamente un pignoramento del 20% per un prestito non pagato e uno del 10% per cartelle esattoriali: totale 30%, che rientra nel cap del 50%. Oppure un 20% ordinario + 1/3 (33%) per alimenti: ciò fa 53%, quindi eccessivo; in tal caso non si dà corso pieno ad entrambi, ma il giudice ridurrà le percentuali per rientrare nel 50% (di solito gli alimenti hanno priorità, quindi si lascerebbe 33% all’ex coniuge e si ridurrebbe l’altro al 17% circa, ad esempio). In pratica, tra crediti eterogenei il cumulo è possibile ma limitato dal 50% complessivo, con priorità ai crediti alimentari e poi a quelli erariali (che godono di privilegi legali). Va sottolineato che questi casi multipli sono complessi e gestiti dal giudice dell’esecuzione: spesso, se arriva un secondo pignoramento, viene aperta una procedura di “intervento” in cui il giudice ridetermina la quota per ciascuno tenendo conto del primo.

Crediti della stessa natura (omogenei): se invece i creditori sono della stessa categoria (es. due finanziarie diverse, quindi entrambi chirografari ordinari), non possono pignorare due quinti separati. In base all’art. 545, se il quinto è già impegnato da un creditore, un secondo creditore chirografario può solo intervenire sulla stessa procedura e dividersi quel quinto (proporzionalmente ai crediti) oppure attendere che il primo sia soddisfatto. In sostanza: non si sommano due pignoramenti ordinari oltre il 20%. Lo stesso vale per due crediti fiscali (non è che AER può fare due decimi e farne 2/10, il totale resta nei limiti di 72-ter). Dunque il concorso pieno fino al 50% si ha solo se le cause sono diverse (es. alimentare + fiscale + ordinario insieme potrebbe teoricamente arrivare a 20+20+33=73%, ma verrà ridotto a 50%; più realisticamente, alimentare 30% + fiscale 14% + ordinario 6% = 50%). In ogni caso, il debitore conserverà almeno metà pensione.

Cessione del quinto già in corso: molti pensionati hanno in essere una cessione volontaria del quinto della pensione (contratto di prestito con rimborso mediante trattenuta diretta INPS del 20%). La cessione del quinto non è un pignoramento giudiziario, ma nella sostanza riduce la pensione netta che il debitore riceve. Che succede se arriva un pignoramento mentre c’è già una cessione? In base alla legge, la cessione è un atto volontario e non conta nel calcolo del quinto pignorabile, nel senso che il creditore procedente ha comunque diritto al suo quinto dell’eccedenza come se la cessione non ci fosse. Di fatto quindi cessione e pignoramento si cumulano e il pensionato subisce due decurtazioni distinte ogni mese. L’unico limite è che, se sommando cessione + pignoramento si supera il 50% dell’assegno, il giudice può intervenire leggermente. Esempio: pensione €1.800 netti, cessione quinto €360 già attiva (20%), rimangono €1.440 pagati; arriva pignoramento per debito ordinario: su €1.800, minimo €1.077 → eccedenza €723, quinto = €144 pignorato. Ora il pensionato riceve €1.800–360–144 = €1.296 (il 28% trattenuto, sotto il 50%). Tutto regolare. Se invece la pensione fosse più bassa, la combinazione cessione+pignoramento potrebbe avvicinarsi alla soglia vitale: ma poiché la cessione è volontaria, la giurisprudenza tende a dire che il minimo vitale legale si riferisce solo alle esecuzioni forzate, quindi non può essere invocato per ridurre il pignoramento a causa della cessione. Tuttavia, Cassazione 33838/2022 ha affermato un principio importante: quando la coesistenza di cessione e pignoramento di fatto fa scendere il residuo sotto il minimo vitale, occorre porvi rimedio, e ha ritenuto illegittimo (nullo) il pignoramento per la parte che eccede i limiti vitali in tale situazione. In pratica, la Cassazione ha annullato un pignoramento perché con una cessione già in essere la pensione del debitore scendeva sotto il minimo garantito. Ciò fa capire che, pur non essendoci una norma chiara, non si può mai lasciare il pensionato senza minimo vitale, cessione o meno. Quindi se cessione+forzato > 50% o intaccano il minimo, il giudice dovrà adeguare qualcosa (in genere contenere il pignoramento). Fortunatamente, la cessione del quinto ha durata limitata (max 10 anni): una volta terminata la cessione, il pignoramento prosegue da solo ma a quel punto il debitore recupera il quinto ceduto e quindi avrà più margine per vivere.

Ricapitolando sul cumulo: è possibile avere più trattenute, ma mai oltre metà pensione in totale. Se per errore si superasse il 50%, la parte eccedente è illegale e va restituita. Nel concorso tra crediti diversi, alimenti e fisco hanno una sorta di “precedenza” sull’ordinario. La presenza di una cessione volontaria aggiunge complessità, ma tendenzialmente il debitore può arrivare a sopportare fino a circa il 40-50% (20% cessione + 20% pignoramento, oppure 20%+14%+ ecc.). Oltre questi livelli, interviene la tutela giudiziaria del minimo vitale. In ogni caso l’INPS e il giudice vigilano sul rispetto della capienza massima, per cui situazioni di trattenute abnormi non dovrebbero verificarsi o durare a lungo.

Cosa fare: difese e soluzioni per il pensionato indebitato

Dopo aver esaminato cosa può fare il creditore (pignorare la pensione entro certi limiti), vediamo ora cosa può fare il debitore pensionato per difendersi o risolvere la situazione debitoria. Trovarsi con la pensione pignorata non è piacevole, ma esistono vari strumenti legali per reagire, ridurre la trattenuta o liberarsene. I principali sono:

  • Opposizione legale al pignoramento, se vi sono irregolarità o motivi per contestarlo.
  • Rateizzazione del debito (in particolare per i debiti fiscali), per sospendere il pignoramento.
  • Accordo transattivo o saldo e stralcio col creditore, per chiudere il debito a condizioni agevolate.
  • Procedure da sovraindebitamento (piano del consumatore, ecc.), per ristrutturare o azzerare i debiti con intervento del tribunale.
  • Ulteriori rimedi come la conversione del pignoramento pagando il dovuto residuo, o strategie temporanee come quelle accennate (spostare fondi, ecc., che però non risolvono in via definitiva).

Analizziamoli uno ad uno.

Opposizione al pignoramento

Il fatto che un creditore abbia avviato il pignoramento non significa che il debitore debba passivamente subirlo fino in fondo. Ci sono casi in cui è possibile (e consigliabile) fare opposizione nelle opportune sedi giudiziarie per far valere diritti o vizi della procedura. Le principali forme sono:

  • Opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.: si contesta il diritto del creditore di procedere. Ad esempio se il debitore ritiene che il credito non sia dovuto (perché ha già pagato, o perché manca un titolo esecutivo valido, o perché la pensione pignorata era esente). Un caso tipico: pignoramento di pensione impignorabile – se ad esempio tentano di pignorare un assegno sociale o una pensione sotto soglia, o oltre i limiti di legge – il debitore può ricorrere urgentemente al giudice dell’esecuzione per far dichiarare improcedibile il pignoramento. Ancora: se manca la notifica del titolo esecutivo o del precetto a monte, il pignoramento è viziato; oppure se il creditore è decaduto (es. cartella oltre termini) lo si può eccepire. Queste opposizioni vanno proposte tempestivamente, spesso con ricorso al tribunale che può anche sospendere l’esecuzione in attesa di decidere.
  • Opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.: si contestano vizi formali dell’atto di pignoramento o del procedimento (es. notifiche irregolari, errori di forma). Meno frequente, ma da valutare con un legale se ci sono stati errori procedurali.
  • Istanza di riduzione o sospensione al G.E.: anche senza fare un’opposizione vera e propria, in alcuni casi il debitore può sollecitare il giudice dell’esecuzione affinché intervenga a tutela dei limiti. Ad esempio, se l’INPS sta pignorando oltre il dovuto (magari per un errore di calcolo del minimo vitale), si può segnalare al giudice che le trattenute violano la legge e chiedere un provvedimento correttivo. Oppure se c’è una causa pendente sul credito (es. un ricorso contro la cartella) si può chiedere la sospensione del pignoramento in attesa dell’esito.

Fare opposizione richiede l’assistenza di un avvocato (tranne casi semplici in cui ci si rivolge al giudice del lavoro per questioni INPS, dove è ammesso anche il ricorso amministrativo inizialmente). È importante agire rapidamente: le opposizioni hanno termini stringenti (spesso 20 giorni dalla notifica dell’atto). Se si lasciano scadere, diventa più difficile rimediare.

Quando è utile opporsi? Quando si riscontrano irregolarità sostanziali. Ad esempio:

  • Il creditore non aveva un titolo esecutivo valido o l’azione è prematura.
  • La somma richiesta è errata o già pagata in parte.
  • La pensione rientra nelle prestazioni non pignorabili (es. invalidità civile).
  • Il pignoramento viola i limiti di legge (es. supera il quinto o ignora il minimo vitale). In tal caso, come detto, è nullo nella parte eccedente, perché contrario a norme imperative. La Cassazione ha affermato che il pignoramento eseguito oltre i limiti di pignorabilità è radicalmente nullo e può essere fatto valere dal debitore. Quindi il giudice dell’esecuzione, appena rileva che è stato pignorato troppo, deve dichiararlo inefficace e ordinare la restituzione.
  • Nel caso di Agenzia Entrate-Riscossione, esiste un rimedio particolare: l’impugnazione dell’estratto di ruolo. Se il pensionato viene a conoscenza di cartelle esattoriali solo quando ormai sono iscritte a ruolo (magari mai notificate correttamente), può impugnare l’estratto di ruolo eccependo, ad esempio, la prescrizione del credito o la mancata notifica, e ottenere lo stop delle azioni esecutive. Cassazione ha ammesso questa via, tant’è che il caso 33838/2022 citato prima riguardava proprio un’azione di questo tipo con esito favorevole al debitore.

In sintesi, non bisogna ignorare un atto di pignoramento: conviene farlo esaminare subito da un legale per vedere se vi sono margini di opposizione. Spesso l’opposizione può almeno far guadagnare tempo (il giudice può sospendere l’esecuzione) e mettere pressione al creditore per trattare una soluzione.

Rateizzazione del debito (e sospensione del pignoramento)

Una soluzione meno conflittuale rispetto all’opposizione è cercare di rateizzare il debito che ha originato il pignoramento. Questo strumento è soprattutto rilevante per i debiti con Agenzia Entrate-Riscossione (cartelle), ma può in teoria applicarsi anche a crediti bancari (negoziando un piano di rientro). Vediamo i due casi:

  • Debiti fiscali con AER: la legge consente al debitore iscritto a ruolo di chiedere un piano di rateazione fino a 120 rate mensili (10 anni) in caso di comprovata difficoltà economica, oppure 72 rate (6 anni) in via ordinaria. Se un pensionato ottiene dall’ADER la dilazione del suo debito fiscale, l’ente non può proseguire con azioni esecutive sullo stesso debito, anzi deve sospendere quelle in corso. Dunque, se è in atto un pignoramento della pensione per cartelle e si riesce a concordare una rateizzazione, l’ADER farà pervenire all’INPS l’ordine di sospendere le trattenute finché il debitore paga regolarmente le rate. Ciò offre respiro al pensionato: al posto del quinto, pagherà le rate concordate (che potrebbero anche essere più basse del pignorato se il piano è lungo). Attenzione: basta saltare il pagamento di 5 rate (anche non consecutive) perché la rateazione decada, e in tal caso l’ADER riprenderà il pignoramento da dove era rimasto. Quindi la rateizzazione va rispettata con rigore. Nel 2023, ad esempio, molti pensionati con cartelle hanno presentato domanda di rottamazione-quater: anche questa, pur non essendo una rateazione ordinaria, ha comportato la sospensione dei pignoramenti fino al termine per il pagamento della prima (o unica) rata della definizione agevolata. Perciò è sempre consigliabile verificare con l’ADER se si può ottenere un piano di dilazione: spesso, con debiti fino a €100.000, viene concessa automaticamente se si rispettano i requisiti, e nel frattempo si ottiene lo sblocco della pensione.
  • Debiti con banche/finanziarie: qui non c’è un meccanismo automatico di legge come con l’ADER, ma nulla vieta di proporre al creditore un accordo di rateizzo anche dopo iniziato il pignoramento. In pratica, tramite il proprio avvocato si può contattare la banca o finanziaria e offrire un pagamento dilazionato (magari garantito) in cambio della rinuncia al pignoramento. Se il creditore accetta, si formalizza la cosa in tribunale con un’istanza di cessazione della procedura. Bisogna però convincere il creditore che la trattenuta minima non è conveniente per lui: ad esempio, se col pignoramento recupererebbe €50 al mese, offrirgliene €100 al mese volontariamente potrebbe spingerlo ad accettare la rinuncia. Oppure proporre una cambiale o altro strumento. Molte finanziarie sono disponibili a rinegoziare pur di evitare lunghi recuperi giudiziali. Certo, serve avere un po’ di margine economico da offrire in più rispetto al pignoramento. Talvolta i familiari aiutano in questo, preferendo pagare una rata concordata piuttosto che vedere il congiunto con pensione decurtata per anni.

In entrambi gli scenari, rateizzare conviene se l’importo delle rate è sostenibile. Dal lato del pensionato, pagare una rata più alta di quanto sarebbe pignorato ha senso solo se serve a ridurre durata o importo complessivo del debito. Ad esempio, se con €100/mese pago tutto in 3 anni invece che 10 anni di pignoramento a €50, allora è un vantaggio (meno interessi accumulati, più presto libero dal debito). Se invece la rata proposta è simile alla trattenuta, forse meglio lasciar correre l’esecuzione che almeno è garantita dal giudice di non eccedere il quinto.

Saldo e stralcio e accordi transattivi

Una soluzione drastica ma efficace può essere cercare un accordo a saldo e stralcio col creditore. Significa offrire il pagamento di una somma inferiore al debito totale in via transattiva, ottenendo in cambio la liberazione dal debito residuo. Questa strategia è spesso praticabile con banche, finanziarie e anche con il Fisco in certe condizioni (o tramite intervento del giudice nella crisi da sovraindebitamento).

Con creditori privati: se un pensionato ha ad esempio un debito originario di €10.000 con una finanziaria, ma tramite pignoramento questa recupererebbe €50 al mese (cioè 600 l’anno, impiegandoci forse 20 anni con interessi), può proporre di versare, poniamo, €5.000 in un’unica soluzione avvalendosi magari dell’aiuto di un parente, in cambio dell’estinzione totale del debito. Molte finanziarie accettano, perché preferiscono incassare subito metà piuttosto che rischiare di rincorrere l’intero per decenni (con rischio morte debitore, ecc.). Lo stesso vale per banche con mutui insoluti: spesso dopo un pignoramento infruttuoso mettono all’asta il credito o trattano ribassi. È chiaro che serve disporre di liquidità immediata per fare saldo e stralcio: se il pensionato stesso non ce l’ha, deve vedere se figli o altri sono disposti a contribuire per chiudere la posizione (magari anche nell’ottica di non far lievitare il debito con interessi o evitare guai peggiori). Importante: ogni saldo e stralcio va formalizzato per iscritto e possibilmente condizionato alla rinuncia/estinzione del pignoramento in corso. Una volta pagata la somma concordata, il creditore dovrà dichiarare in tribunale di aver soddisfatto il credito così da cessare le trattenute.

Con l’Agenzia Entrate-Riscossione: il Fisco per legge non fa vere “transazioni” col singolo contribuente, se non nelle procedure di sovraindebitamento. Tuttavia, esistono le definizioni agevolate (“rottamazioni” e “stralci”) introdotte dalla legge, di cui abbiamo detto. Ad esempio la rottamazione-quater è in sostanza un saldo e stralcio legale: condona interessi e sanzioni, facendo pagare solo imposte e aggio. In passato (2019) c’è stato anche un Saldo e Stralcio per contribuenti in difficoltà (L. 145/2018) che permetteva a persone con ISEE basso di chiudere debiti fiscali con percentuali ridotte del tipo 16%, 20% etc. Quindi se il pensionato rientra in qualche misura agevolativa prevista per legge, è sicuramente opportuno aderirvi. Al di fuori di ciò, l’unico modo per ridurre l’importo dovuto al Fisco è attraverso un concordato nell’ambito del Piano del consumatore o Concordato minore (di competenza del tribunale). In quel contesto l’ADER spesso accetta un pagamento parziale se vede che il debitore non ha altro da dare. Ma bilateralmente, fuori da procedure, AER non può stralciare autonomamente (a differenza di un creditore privato).

Con lo stesso INPS (indebiti): se l’INPS chiede indietro somme indebitamente erogate, in alcuni casi si può presentare istanza di sgravio per non ripetibilità (quando l’errore è dipeso solo dall’INPS e il pensionato non poteva accorgersene) oppure chiedere una remissione parziale del debito per ragioni di equità. Non è semplice, ma la legge 88/1989 ad es. prevede che indebitamente percepiti di pensione di cui non vi sia dolo possono essere non richiesti trascorsi certi termini. Vale la pena consultare un patronato. Se invece il debito è certo, si può negoziare con l’INPS la rateizzazione interna e talvolta un piccolo stralcio di interessi o sanzioni (che comunque per legge su pensioni indebite non si applicano salvo dolo). In linea di massima, l’INPS non “taglia” il capitale dovuto, ma può appunto modulare le trattenute per non incidere troppo sul tenore di vita del pensionato.

Procedure da sovraindebitamento (piano del consumatore, liquidazione, esdebitazione)

Quando i debiti complessivi sono elevati e il pensionato non riesce a farvi fronte con le normali soluzioni (e magari ha già pignoramenti multipli in atto), è il caso di considerare le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, oggi disciplinate dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, artt. 65-91 per consumatori e piccoli debitori). Si tratta di procedure giudiziali pensate proprio per i debitori civili non fallibili (come i pensionati, che ovviamente non sono imprenditori attivi) in situazione di perdurante squilibrio economico.

Le opzioni principali sono:

  • Piano del consumatore: riservato ai debitori persone fisiche consumatori, consente di proporre al tribunale un piano di ristrutturazione dei debiti senza necessità di accordo preventivo con i creditori. Occorre elaborare, con l’ausilio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o professionista esperto, un progetto di pagamento parziale dei debiti, sostenibile con il proprio reddito/patrimonio, da attuarsi tipicamente in un periodo di 4–5 anni. Esempio: un pensionato con €50.000 di debiti totali potrebbe proporre di pagarne €20.000 in 5 anni (circa €333 al mese, magari reperibili affittando una stanza, o con l’aiuto dei figli, o offrendo il ricavato di vendita di un piccolo bene), e chiedere l’esdebitazione dei restanti €30.000. Il giudice valuta se il piano è fattibile e se il debitore è meritevole (cioè i debiti non derivano da sua frode o colpa grave) e, sentiti i creditori, può omologarlo anche se qualcuno dissente. Una volta omologato, il piano obbliga tutti i creditori. I vantaggi: tutela immediata – già all’ammissione il giudice sospende le esecuzioni in corso (stop ai pignoramenti sulla pensione); riduzione debiti – spesso si paga solo una percentuale; nessuna liquidazione forzata – il debitore conserva i beni se il piano prevede che non servano venderli (a differenza della procedura di liquidazione). Svantaggi: percorso tecnico che richiede tempi (qualche mese per l’omologa) e costi (il compenso dell’OCC, seppur spesso calmierato).
  • Concordato minore: simile al Piano ma utilizzabile da piccoli imprenditori, ditte individuali, professionisti o consumatori non meritevoli. Richiede normalmente il voto favorevole dei creditori (maggioranza per teste e crediti). Per un pensionato che non sia consumatore puro (es. aveva una ditta poi cessata con debiti) può essere l’alternativa.
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato: è l’equivalente del “fallimento” per il debitore civile. Viene nominato un liquidatore che vende i beni del debitore e distribuisce il ricavato ai creditori. Il pensionato può avviarla spontaneamente se vuole liberarsi dei debiti dando tutto il possibile: in tal caso la sua pensione verrebbe in parte decurtata (sempre nei limiti vitali) per un periodo di 4 anni a beneficio della massa dei creditori. Al termine, anche se i crediti non sono stati soddisfatti integralmente, il debitore persona fisica ottiene comunque l’esdebitazione di quanto resta (a meno che sia stato sleale o ci siano cause di diniego).
  • Esdebitazione del debitore incapiente: l’abbiamo citata prima, è la misura per chi proprio non ha nulla da offrire. Il pensionato che, detratto il minimo vitale, non ha eccedenze significative, può chiedere al giudice di cancellare i suoi debiti senza pagamento, subito. Il giudice verifica che il debitore non abbia beneficiato di altri esdebitamenti, che non abbia colpe gravi (es. debiti derivati da spese voluttuarie sproporzionate) e che non possieda beni liquidabili. Se tutto è in regola, emette un decreto che cancella i debiti immediatamente. Per i successivi 4 anni il debitore ha l’obbligo morale di comunicare se sopravvengono miglioramenti (es. un’eredità) affinché magari soddisfi i creditori, ma in assenza di ciò i crediti restano estinti definitivamente. Questa procedura, introdotta di recente, è un po’ l’ultima spiaggia, da usarsi con cautela perché ammissibile una sola volta nella vita.

Entrare in una procedura di sovraindebitamento richiede la consulenza di esperti (OCC, avvocati) e non va preso alla leggera. Però offre tutele che le vie ordinarie non danno. Ad esempio, come già detto, appena il tribunale apre la procedura dispone la sospensione di tutti i pignoramenti in corso, così che il debitore sia protetto mentre si struttura il piano. E se poi la procedura si conclude positivamente (omologa del piano o decreto di esdebitazione), i debiti vengono in buona parte cancellati e i pignoramenti cessano definitivamente. In altre parole, è un percorso più “traumatico” in quanto bisogna passare dal giudice con l’ausilio di professionisti, ma garantisce un vero fresh start.

Un pensionato schiacciato dai debiti dovrebbe almeno informarsi su questa possibilità, soprattutto se l’alternativa è subire decurtazioni per il resto della vita. Va detto che non tutti i casi sono ammissibili: serve un minimo di meritevolezza (non bisogna aver colposamente aggravato la propria posizione o frodato i creditori) e c’è un costo iniziale (sebbene molti OCC istituiti presso gli Ordini professionali pratichino tariffe accessibili, dilazionabili). Lo Stato non vuole incentivare l’insolvenza facile, ma riconosce che in alcune situazioni onorevoli è giusto dare al debitore una seconda chance.

Conversione del pignoramento pagando il dovuto

Un altro strumento previsto dal codice di procedura (art. 495 c.p.c.) è la conversione del pignoramento: il debitore può chiedere al giudice di sostituire i beni/pensioni pignorati con una somma di denaro pari al debito e alle spese. In pratica è il diritto di liberare il pignoramento pagando. Nel caso del pignoramento della pensione, questa conversione può servire se, dopo un po’ di trattenute, si riesce a raccogliere il saldo residuo del debito (magari vendendo un bene o con aiuto familiare) e si vuole estinguere subito la procedura. Ad esempio, debito iniziale €10.000, dopo un anno di pignoramento ne restano €8.000: il pensionato presenta istanza di conversione offrendo €8.000 (anche rateizzabili dal giudice fino a 18 mesi), una volta versati la procedura si chiude e la pensione torna libera. È una soluzione di buon senso se si è vicini a liberarsi dal debito e si vuole evitare di protrarre le trattenute.

Evitare mosse azzardate (evasione del pignoramento)

Di fronte alla prospettiva del pignoramento, alcuni pensano di poterlo evitare “scappando”: ad esempio cambiando banca ogni volta, incassando sempre in contanti la pensione, intestando i soldi a terzi, ecc. Come già spiegato, ritirare la pensione in contanti prima che arrivi il pignoramento sul conto può salvare le somme presenti, ma non impedisce affatto un successivo pignoramento presso l’INPS. Trasferire la pensione su un altro conto non serve, perché l’INPS trattiene a monte. Intestare la pensione ad un’altra persona è impossibile (la pensione è personale). Spostare denaro su conti di familiari o sotto il materasso espone ad altri rischi (furti, impossibilità di tracciare pagamenti, ecc.) e comunque può essere inutile se i creditori puntano direttamente alla fonte. Inoltre, i trasferimenti in frode possono essere revocati o considerati nulli: se ad esempio vendo la casa a mio figlio per nulla per sfuggire ai creditori, il tribunale può revocare l’atto. Nel caso della pensione, prelevare contanti di per sé non è illecito (sono soldi propri), ma farlo sistematicamente con l’unico scopo di sottrarli ai creditori potrebbe essere mal visto. Detto ciò, non c’è nulla di male nel tenere sul conto un saldo basso, sufficiente alle spese correnti, e depositare eventuali risparmi eccedenti in strumenti sicuri non facilmente aggredibili (ad es. un’assicurazione sulla vita impignorabile entro certi limiti, oppure investimenti intestati al coniuge se questo non ha debiti). Tuttavia, la raccomandazione generale è: affrontare legalmente il problema invece di nascondere temporaneamente il denaro. Anche perché vivere in perenne ansia, senza poter tenere soldi in banca per paura dei pignoramenti, non è una soluzione dignitosa a lungo termine. Meglio usare gli strumenti di legge per negoziare o ristrutturare il debito, così da risolvere definitivamente.

Protezione della prima casa e altri beni

Finora ci siamo concentrati sulla pensione, ma molti pensionati possiedono anche una casa di abitazione o altri beni (conto risparmi, automobili). La domanda frequente è: “Possono portarmi via la casa se ho debiti?”. Dipende dal creditore:

  • L’Agenzia Entrate-Riscossione (per debiti fiscali) ha dei limiti stringenti nel pignoramento immobiliare della prima casa: per legge (DL 69/2013, art. 52) non può pignorare l’unico immobile di proprietà del debitore che sia destinato a sua abitazione principale, a meno che sia di lusso (cat. A/8 o A/9). Inoltre, anche per altri immobili, l’ADER può iscrivere ipoteca solo se il debito supera €20.000 e può procedere alla vendita all’asta solo per debiti sopra €120.000. Quindi, se un pensionato ha debiti col Fisco ma possiede solo la casa in cui vive, Equitalia/AER non gliela potrà mai far vendere coattivamente – al massimo potrà metterci un’ipoteca (che di fatto vincola l’immobile per eventuale rivalsa futura, ma non porta allo sfratto). Questa norma è stata una grande conquista per i contribuenti, proprio per evitare drammi sociali (espropriare la casa a un anziano per tasse non pagate).
  • I creditori privati (banche, finanziarie, privati): non hanno il divieto sulla prima casa. Se ottengono un titolo e il debito è importante, possono iscrivere ipoteca giudiziale e avviare l’esecuzione immobiliare anche sulla casa di abitazione. Nella pratica, però, le banche ragionano in termini economici: se l’immobile ha valore e il debito è grande, agiscono; se la casa ha basso valore o è gravata da ipoteche prioritarie, spesso lasciano perdere (specie se il debitore è anziano, perché sanno che alla sua morte i creditori verranno soddisfatti dagli eredi o dall’eventuale vendita, essendoci l’ipoteca). Va detto che negli ultimi anni sono state introdotte alcune tutele anche qui: ad esempio il giudice può sospendere l’esecuzione sulla casa se il debitore dimostra di poter pagare in un certo tempo (c.d. conversione del pignoramento immobiliare). E poi c’è la già citata procedura di sovraindebitamento: se il pensionato accede a un piano del consumatore, anche l’asta sulla casa viene sospesa, e magari nel piano si prevede di vendere la casa con più calma o di pagar qualcosa ai creditori per evitare la vendita. Quindi, per chi possiede una casa e ha debiti grossi, la strada della composizione della crisi è spesso l’unica per salvarla o venderla alle proprie condizioni.
  • Fondo patrimoniale: alcuni pensionati costituiscono un fondo patrimoniale per proteggere la casa dai creditori. Attenzione però: il fondo patrimoniale protegge solo dai debiti non contratti per scopi familiari e sorti dopo la costituzione del fondo. Molti debiti (mutui, finanziarie, persino bollette) sono considerati per bisogni familiari, quindi il fondo non li copre. Inoltre, se il fondo è costituito in frode ai creditori (quando c’erano già debiti rilevanti), può essere annullato. Dunque, non è una panacea e andrebbe valutato prima, non a debiti già fatti.

Eredi e debiti: infine, il timore per molti pensionati debitori è lasciare un peso ai figli. È bene chiarire che i debiti NON si trasmettono automaticamente agli eredi. Alla morte, i creditori possono rivalersi sull’eredità del defunto, ma i figli possono scegliere se accettare l’eredità (e pagare i debiti con il patrimonio ereditario) oppure rinunciare all’eredità (o accettarla con beneficio d’inventario per limitare la responsabilità). Quindi un pensionato indebitato può rassicurarsi: i suoi figli non saranno obbligati a pagare di tasca propria i suoi debiti, basterà che rinuncino all’eredità se questa è solo passiva. Naturalmente ciò significa perdere anche eventuali beni di famiglia. Per questo, a volte può convenire cercare di risolvere i debiti in vita (con saldo e stralcio o sovraindebitamento), così da non costringere gli eredi a rinunciare magari alla casa di famiglia perché gravata di ipoteche. In ogni caso, il pignoramento muore con il debitore: se un pensionato muore con un pignoramento in corso, la pensione cessa e con essa le trattenute; il creditore potrà solo insinuarsi verso l’asse ereditario per il residuo debito. La pensione di reversibilità eventualmente spettante ai superstiti è considerata un nuovo diritto autonomo degli eredi, non un bene del defunto, quindi i creditori del defunto non possono pignorare la reversibilità (a meno che quegli stessi creditori abbiano titolo anche contro l’erede, ad es. se l’erede ha accettato il debito).


Abbiamo coperto i principali strumenti di tutela. In breve, il consiglio per un pensionato con debiti è: non rassegnarsi al pignoramento passivo, ma informarsi e attivarsi subito per utilizzare i rimedi previsti dalla legge. Che sia un’opposizione, un accordo col creditore, una rateazione o una procedura concorsuale, c’è quasi sempre un percorso per migliorare la propria situazione debitoria. Nella sezione seguente presentiamo alcune simulazioni pratiche e poi una raccolta di Domande frequenti (FAQ) che riassumono i dubbi più comuni con risposte concise.

Simulazioni pratiche

Per illustrare concretamente quanto può durare e incidere un pignoramento della pensione, riportiamo alcuni casi di studio con numeri semplificati. Si ipotizzano diversi scenari di pensionati con debiti differenti e si calcolano le relative trattenute mensili e la durata stimata del pignoramento. (Nota: gli esempi non considerano gli interessi legali e le spese, che allungano i tempi, e assumono che nel periodo non intervengano variazioni di pensione o accordi transattivi).

Caso 1: Pensione modesta e creditore unico (debito ordinario)

  • Scenario: Mario percepisce una pensione netta mensile di €1.200. Ha un debito di €5.000 con una finanziaria (credito ordinario non pagato). La finanziaria ottiene decreto ingiuntivo e pignora la pensione di Mario.
  • Calcolo quota pignorabile: Minimo vitale ~€1.077 (2025), eccedenza = 1.200–1.077 = €123. Trattandosi di creditore ordinario, quota massima pignorabile = 1/5 di €123 = €24,60 al mese. L’INPS quindi tratterrà circa €25 mensili dalla pensione di Mario (lui riceverà €1.175).
  • Durata: Per recuperare €5.000 a €25 al mese ci vorranno circa 200 mesi, ossia 16-17 anni (200×25 = 5.000). Dunque il pignoramento durerebbe quasi diciassette anni! È evidente che un recupero così lungo è oneroso per entrambe le parti: Mario subirebbe la decurtazione per molto tempo, la finanziaria aspetterebbe quasi una generazione per rivedere il suo denaro. Considerazioni: In realtà, casi simili spesso sfociano in un accordo saldo e stralcio: probabilmente la finanziaria, vedendo la lentezza, proporrà a Mario uno sconto se paga prima (es: “ci dia 3.000 in unica soluzione e chiudiamo”). Oppure cederà il credito a una società di recupero che a sua volta transigerà per meno. Se invece Mario non ha proprio risorse, continuerà a pagare €25 in meno per tanti anni, a meno che non intervengano mutamenti. Da notare: se l’assegno sociale aumenta negli anni e Mario non riceve altri incrementi, paradossalmente la sua eccedenza potrebbe ridursi. Se un domani 2×assegno sociale fosse €1.250, la sua pensione diventerebbe impignorabile e il pignoramento cesserebbe (la finanziaria non potrebbe più prendere nulla). Questo è un altro elemento che spinge i creditori ad accordarsi in tali situazioni.

Caso 2: Pensione elevata con pignoramenti multipli (ordinario + fiscale)

  • Scenario: Lucia ha una pensione netta di €3.500 al mese. Ha due debiti: (a) un mutuo impagato con la banca, residuo €30.000; (b) cartelle esattoriali per €20.000 di imposte non versate. La banca avvia pignoramento e anche l’ADER notifica il pignoramento. Si instaurano quindi due trattenute contemporanee sulla pensione di Lucia (una ordinaria e una fiscale).
  • Calcolo quota pignorabile: Pensione €3.500, minimo vitale €1.077 → eccedenza = €2.423.
    • Per il debito bancario (credito ordinario): quota = 1/5 di 2.423 = €484,60 mensili.
    • Per il debito fiscale (€3.500 rientra tra 2.500 e 5.000): quota = 1/7 di 2.423 ≈ €346,14 mensili.
    • Totale trattenute: circa €830,74 al mese, che su €3.500 equivalgono al 23,7% della pensione. Questo totale è entro il limite del 50%, quindi teoricamente sostenibile. L’INPS darà precedenza al prelievo fiscale (essendo su atto dell’ADER) e poi al quinto bancario, monitorando che il totale (23,7%) resti sotto la metà. Lucia riceverà ogni mese €3.500–830 = €2.670 netti.
  • Durata:
    • Il debito fiscale di 20.000€, con rata €346, si estinguerà in circa 58 mesi (poco meno di 5 anni).
    • Il debito bancario di 30.000€, con rata €484, richiederà circa 62 mesi (~5 anni e 2 mesi).
      Entrambi quindi verrebbero saldati in poco più di 5 anni. In realtà, poiché decorrono simultaneamente, dopo 5 anni Lucia avrà finito di pagare tutto (il fiscale finirà qualche mese prima; in quei mesi finali la banca potrebbe chiedere di aumentare la trattenuta al 20% pieno dell’eccedenza – cioè 1/5 di 2423 = 484 – ma la stava già prendendo, quindi non cambia nulla).
  • Considerazioni: Qui Lucia subisce una decurtazione di quasi un quarto della pensione, il che è significativo ma, dati i suoi €3.500 mensili, le restano quasi €2.700 per vivere, quindi non in povertà. In situazioni di pensioni elevate è possibile che si arrivi al cap del 50% se concorrono crediti diversi: ad esempio, se Lucia avesse avuto anche un credito alimentare (mettiamo un figlio con diritto a mantenimento che ottiene pignoramento 1/3 di 3.500 = ~€1.167), allora la somma di 1.167 (alimentare) + 830 (fisc+ordin) = ~1.997, ossia il 57%. Questo non sarebbe permesso: il giudice avrebbe dovuto ridurre qualcosa (probabilmente dare priorità al figlio con 33% e ridurre gli altri al 17% totali, o trovare altro equilibrio) per rientrare nel 50%. Fortunatamente non è il caso di Lucia. Questo esempio comunque dimostra come, con pensioni alte e più creditori, si possa arrivare a saturare il limite del 50% in scenari estremi.

Caso 3: Pignoramento della pensione accreditata in conto corrente

  • Scenario: Antonio percepisce una pensione di €1.600 al mese, accreditata sul suo conto corrente postale. Ha un unico debito di €10.000 con un creditore privato. Il creditore, non conoscendo la situazione di Antonio, decide di pignorare direttamente il conto corrente invece di agire presso l’INPS. Al momento sul conto di Antonio ci sono €5.000 (risparmi accumulati da qualche mese di pensione non interamente spesa).
  • Effetti immediati: Alla data del pignoramento, la posta blocca €5.000 sul conto. In base alla legge, di questi è impignorabile l’importo pari a tre volte l’assegno sociale (~€1.616). Quindi €1.616 restano liberi, e solo il resto – €5.000–1.616 = €3.384 – è congelato e potenzialmente pignorabile. Tuttavia, il giudice non assegnerà l’intera eccedenza al creditore, ma solo la quota pignorabile di una mensilità: Antonio ha pensione 1.600, eccedenza oltre minimo vitale 1.600–1.077 = €523, quinto = €104,6. Quindi il giudice disporrà il trasferimento di €104,60 al creditore (come se avesse pignorato una mensilità), e libererà il resto dei €3.384 a favore di Antonio. In definitiva, dal “blitz” sul conto il creditore ricava soltanto circa €104 e il conto di Antonio viene sbloccato (con ancora ~€4.895 disponibili per lui).
  • Successivi accrediti: Dopo questo pignoramento, Antonio continua a ricevere la pensione sul conto ogni mese. Poiché l’atto di pignoramento sul conto si esaurisce con quanto trovato quel giorno, per le mensilità successive Antonio potrebbe semplicemente prelevare subito la pensione appena arriva, per evitare accumuli pignorabili. In pratica, però, è quasi certo che il creditore, visto l’esito scarso, cambierà strategia: notificherà un nuovo atto di pignoramento, stavolta direttamente all’INPS, per ottenere le trattenute mensili alla fonte. Una volta attivato il pignoramento presso INPS, Antonio subirebbe la solita decurtazione di €104 al mese (1/5 di 523).
  • Durata: Ipotizzando che dopo il primo tentativo sul conto (che ha fruttato €104) il creditore passi al pignoramento INPS per il residuo €9.896, la durata sarà di circa 95 mesi, ovvero quasi 8 anni di trattenute (€104×95 ≈ 9.880). Se invece il creditore fosse ostinato e volesse insistere solo col conto (ipotesi poco efficiente), ogni volta dovrebbe notificare un nuovo atto e potrebbe ottenere solo ciò che trova sul momento sopra la soglia – scenario improbabile perché più costoso per lui.
  • Morale: il pignoramento sul conto corrente protegge parzialmente il debitore per le somme pregresse (lasciandogli 3×assegno sociale liberi) e rende macchinoso il recupero per il creditore, ma non offre una protezione definitiva. Il creditore può facilmente dirottare l’azione sull’INPS e aggirare il problema. Quindi conviene non fare troppo affidamento sul tenere i soldi sul conto sperando nell’impignorabilità: meglio usare la protezione del triplo sociale solo come rete di sicurezza per non rimanere completamente senza liquidi in caso di pignoramento improvviso. Una volta notificato il primo atto, conviene poi passare a una strategia attiva (accordo, rateazione o altro) perché è solo questione di tempo prima che il creditore prenda la via più efficace.

Caso 4: Pignoramento da parte dell’INPS per indebito

  • Scenario: Carla percepisce una pensione di vecchiaia di €800 mensili (sotto il minimo vitale). L’INPS scopre di averle erroneamente corrisposto per 3 anni una maggiorazione sociale non spettante, accumulando un indebito di €5.000. Le invia quindi una comunicazione chiedendo la restituzione di €5.000 entro 30 giorni (bollettino PagoPA allegato). Carla non ha ovviamente tale cifra disponibile.
  • Azione INPS: Trascorso inutilmente il termine, l’INPS avvierà il recupero diretto sull’assegno pensionistico futuro. Considerato che €800 è già sotto il minimo vitale (€1.000), l’INPS non può teoricamente toccare nulla secondo i limiti del pignoramento ordinario. Tuttavia, essendo l’INPS stesso creditore, qualcosa tratterrà comunque: in genere applica criteri analoghi al pignoramento, ma con una certa flessibilità. Data la difficoltà economica di Carla, verosimilmente le proporrà una rateizzazione lunga sulla pensione stessa. Potrebbe ad esempio trattenere €80 al mese (il 10% della pensione) per 62 mesi, finché i €5.000 sono recuperati. Notiamo che €80 su €800 significa che Carla riceverà €720, rimanendo sotto la soglia vitale – non è l’ideale, ma l’INPS tende a non spingersi oltre tali percentuali. In casi come questo, l’INPS preferisce ridurre poco per volta piuttosto che sospendere del tutto la pensione (cosa che la lascerebbe senza mezzi e potrebbe essere impugnata).
  • Tutele di Carla: Carla può presentare ricorso amministrativo interno all’INPS entro 90 giorni, sostenendo magari che l’indebito non è dovuto (se ha elementi) o chiedendo almeno una dilazione più lieve. Può anche controllare se l’indebito rientra tra quelli non ripetibili per legge (ad es. se derivasse da un errore INPS non rilevabile da lei, potrebbe invocare l’art. 13 L. 412/91 che condona importi indebitamente percepiti oltre un certo termine). In parallelo, Carla potrebbe provare a far valere il principio del minimo vitale anche contro l’INPS: potrebbe cioè, tramite un avvocato, ricorrere al giudice del lavoro sostenendo che €800 è già il minimo per vivere e chiedere di bloccare le trattenute. La giurisprudenza su questo è oscillante: formalmente la legge non prevedeva (finora) una soglia impignorabile per le trattenute INPS su indebiti, ma come abbiamo visto la questione è oggetto di dibattito di legittimità costituzionale. In attesa di sviluppi, probabilmente un giudice del lavoro potrebbe riconoscere che trattenere qualsiasi importo a Carla le crea pregiudizio grave, e magari limitare l’importo a un simbolico €50 o giù di lì. In generale, Carla dovrebbe attivarsi (via patronato o legale) per ottenere le soluzioni più favorevoli: l’INPS spesso è disposta a concordare piani molto lunghi e sostenibili se il pensionato è cooperativo. L’importante è non ignorare la lettera: se Carla non fa nulla, l’INPS andrà avanti a trattenere come crede. Meglio negoziare e far presente le proprie spese (affitto, farmaci, ecc.) per convincere l’ente a “tagliare” meno possibile ogni mese.

Caso 5: Pensione con cessione del quinto già in corso e nuovo pignoramento

  • Scenario: Giovanni percepisce una pensione di €1.800 netti. Ha da tempo una cessione del quinto volontaria attiva, con rata di €360 (cioè 1/5 di 1.800) per rimborsare un prestito. Successivamente, subisce un pignoramento da parte di un altro creditore per un debito residuo di €15.000.
  • Situazione di partenza: Prima del pignoramento, Giovanni riceveva in banca €1.440 al mese (perché €360 li tratteneva già l’INPS per la cessione). Ai fini del nuovo pignoramento, però, la pensione considerata è l’intero importo €1.800 (nonostante la cessione), perché il calcolo di minimo vitale ed eccedenza si fa sull’assegno pensionistico lordo delle cessioni. Dunque: minimo €1.077, eccedenza = 1.800–1.077 = €723; quinto pignorabile = €144,6 al mese. Il giudice dispone quindi la trattenuta di €144 mensili per il creditore procedente.
  • Interazione con la cessione: Ora, l’INPS ogni mese tratterrà prima €360 per la cessione, poi €144 per il pignoramento, versando a Giovanni il resto. In totale Giovanni vedrà decurtati €504, ricevendo €1.296 (ossia il 28% trattenuto). Questo è formalmente regolare: cessione 20% + pignoramento 8% (della pensione intera) = 28%, sotto il cap 50%. Non c’è modo di opporsi sostenendo “ho già la cessione, riducete il pignoramento”, perché la cessione è un atto volontario. A meno che, come detto, la somma non lasciasse il minimo vitale: ma qui Giovanni dopo le trattenute ha 1.296, che è sopra 1.000, quindi non può lamentare violazione del minimo legale (anche se lui potrebbe dire “prima avevo 1.440, ora 1.296”). Il giudice normalmente risponde che il minimo vitale di legge riguarda solo i pignoramenti, e Giovanni comunque sta subendo solo 144 di pignoramento forzato (8% della pensione intera, rispettoso dei limiti). Quindi Giovanni dovrà sopportare entrambe le trattenute finché…
  • Sviluppo nel tempo:finché la cessione non termina. La cessione del quinto in genere ha una durata prestabilita (max 120 mesi). Supponiamo che a Giovanni restino 2 anni da pagare sulla cessione (24 mesi). In questi 2 anni egli pagherà €360 + €144 = €504 al mese. Trascorsi i 24 mesi, la cessione si estingue: a quel punto la sua pensione torna piena €1.800 netti, e rimarrà solo il pignoramento di €144. Giovanni quindi dal mese 25 in poi riceverà €1.656 (perché 1.800–144). Durata del pignoramento: €15.000 a €144/mese richiedono circa 104 mesi (8 anni e 8 mesi). Nei primi 24 mesi però Giovanni non riduce il debito più velocemente nonostante la cessione pagata a parte (la cessione va al suo creditore originario, non influisce sull’altro debito). Dunque, i primi 2 anni paga €144 (contemporaneamente ai €360 della cessione), poi continua altri ~6 anni e 8 mesi a €144 per estinguere il debito di €15.000.
  • Considerazioni: Questo caso mostra che avere una cessione in corso non impedisce affatto nuovi pignoramenti. Anzi, il debitore rischia di trovarsi con quasi la metà della pensione impegnata (in questo esempio 28%, ma sarebbe potuto arrivare anche a ~40% se il pignoramento fosse stato 20% pieno: es. senza minimo vitale, su pensione molto alta, cessione+forzato = 20+20=40%). L’unica consolazione è che la cessione ha un termine, poi il reddito disponibile risale. Dal lato del creditore pignorante, la presenza di una cessione non lo frena: ottiene comunque la sua quota. Solo se, come ipotizzato, la somma avesse superato il 50%, allora sarebbe intervenuto un aggiustamento. In alcune pronunce, i giudici hanno detto che se cessione+pignoramento superano il 50% occorre ridurre il pignoramento per rientrare nel limite, considerandolo un caso assimilabile a concorso di cause (anche se formalmente la cessione non è causa di pignoramento). Cass. 33838/2022 appunto ha sancito che il pignoramento non può “vanificare il minimo” già ridotto da cessione. Dunque è sempre bene segnalare al giudice dell’esecuzione l’esistenza di una cessione in corso, per verificare la sostenibilità complessiva.

Queste simulazioni evidenziano che il pignoramento della pensione è spesso un percorso lungo e rateale. Dal lato del pensionato, il fatto che sia lungo diluisce l’impatto mensile (meglio pagare poco al mese e conservare la maggior parte dell’assegno); dal lato del creditore, il recupero è sicuro ma estremamente lento, con rischio che intervengano eventi impeditivi (condoni, prescrizioni, decesso del debitore) prima del saldo completo. Per questo molti creditori, soprattutto se l’importo recuperabile mensilmente è basso, sono ben disposti a trattare accordi transattivi pur di chiudere anticipatamente. In ogni caso, il sistema normativo impone queste misure proprio per garantire che il pensionato non resti mai privo dei mezzi sufficienti per vivere, anche a costo di allungare i tempi di soddisfacimento dei creditori.

Domande frequenti (FAQ) sul pignoramento della pensione

D: Una pensione minima può essere pignorata?
R: No, le pensioni di importo pari o inferiore al minimo vitale sono totalmente impignorabili. Attualmente (2025) la soglia minima è di circa €1.077 mensili (corrispondenti al doppio dell’assegno sociale), con un minimo assoluto di €1.000 previsto per legge. Ciò significa che una pensione fino a ~€1.077 al mese non può subire alcun pignoramento. Ad esempio, una pensione di €800 non è pignorabile da nessun creditore (fatta salva l’eccezione dei crediti alimentari, che però potrebbero intaccarla fino a 1/3 solo su autorizzazione del giudice, ipotesi remota per importi così bassi). Se la pensione supera la soglia, solo la parte eccedente può essere attaccata, e comunque entro i limiti di percentuale stabiliti.

D: Quanto possono togliermi al massimo dalla pensione?
R: Dipende dal tipo di debito, ma in generale mai oltre il 50% della pensione (somma di tutte le trattenute). Per un singolo debito ordinario il limite è il 20% dell’importo oltre il minimo vitale. Per debiti fiscali: 10% se pensione fino €2.500, 14% circa se fino €5.000, 20% se oltre. Per mantenimento familiare: può arrivare fino a 1/3 (33%) su decisione del giudice. Se ci sono più pignoramenti diversi, possono coesistere ma il totale non supera mai la metà della pensione netta. Ad esempio, se ho un pignoramento 1/5 e poi ne arriva un altro fiscale 1/10, in totale sarà il 30% circa. Se ne arriva uno per alimenti 1/3 (33%), e uno ordinario 1/5 (20%), insieme farebbero 53% ma dovranno ridurre qualcosa per rientrare nel 50%. In sostanza, almeno metà pensione ti resterà sempre. Inoltre, per legge mai possono pignorarti i primi ~€1.077 (minimo vitale): quindi se hai una pensione di €1.200, al massimo tolgono il 20% di 123 euro (che è l’eccedenza), cioè circa €25.

D: Quanto dura un pignoramento sulla pensione? C’è un termine massimo?
R: Il pignoramento dura fino al pagamento integrale del debito per cui si procede. Non c’è un termine massimo prefissato in anni: può durare pochi mesi o molti anni, a seconda dell’importo del debito e della somma mensile che viene pignorata. Ogni mese l’INPS trattiene la quota stabilita e la versa al creditore; ciò prosegue finché il credito (capitale, interessi e spese) non è soddisfatto. Ad esempio, per un debito di €5.000 e una trattenuta di €100 al mese, occorreranno circa 50 mesi (oltre 4 anni). Se il debito è molto più grande e la quota pignorata piccola, può durare anche 10-15 anni o più. Il pignoramento si estingue prima del saldo solo se interviene una causa di chiusura anticipata: ad esempio pagamento anticipato del residuo (magari grazie a un accordo), accordo transattivo tra le parti, conversione del pignoramento depositando in tribunale la somma dovuta, sospensione legale (come la rottamazione cartelle) o la morte del debitore. In quest’ultimo caso, la pensione cessa e il pignoramento si interrompe definitivamente; il creditore potrà far valere il debito solo sugli eventuali beni ereditari, ma non può più toccare la pensione (che non esiste più).

D: Cosa succede se il pensionato muore durante il pignoramento?
R: Come detto, con la morte del debitore pensionato la pensione si estingue, quindi il pignoramento sulla pensione si interrompe in via definitiva. Il creditore per recuperare la parte di credito ancora non pagata dovrà rivolgersi agli eredi, se esistono: il debito diventa infatti un debito ereditario. Gli eredi però hanno la facoltà di rinunciare all’eredità se questa è gravata dai debiti, oppure accettarla con beneficio d’inventario (limitando la responsabilità ai beni ereditati). Se uno o più eredi accettano l’eredità (e quindi anche il debito), il creditore potrà agire contro di loro sul patrimonio ereditario. Ma non c’è un automatico proseguimento del pignoramento sulla pensione di reversibilità o altro: la pensione di reversibilità eventualmente spettante al coniuge superstite o ai figli è un nuovo diritto autonomo di quelle persone, non del debitore defunto, quindi non è aggredibile dai creditori del defunto (a meno che il creditore abbia titolo anche contro quell’erede, ad es. se l’erede ha formalmente accettato il debito). In sostanza, il pignoramento muore con il pensionato: il creditore dovrà aprire una nuova pratica verso gli eredi attraverso la procedura di successione (es. atto di precetto agli eredi) e gli eredi potranno decidere se pagare, transare, o rinunciare all’eredità lasciando il creditore insoddisfatto.

D: Quali pensioni sono completamente impignorabili?
R: Sono impignorabili tutte le pensioni e assegni di natura assistenziale, cioè concessi per sostegno al reddito o invalidità civile e non derivanti da contributi previdenziali. Esempi: l’assegno sociale, le pensioni di invalidità civile, le indennità di accompagnamento per invalidi, le pensioni e assegni a ciechi civili e sordomuti, le pensioni di guerra o analoghe prestazioni di assistenza. Queste provvidenze non possono essere pignorate da alcun creditore, né privato né il Fisco, in quanto destinate per legge al sostentamento primario del beneficiario. Attenzione: se però l’INPS deve recuperare un indebito proprio su una prestazione assistenziale (es. ha erogato assegno sociale non dovuto per tot mesi), può compensare riducendo quella stessa prestazione negli importi futuri (trattenuta amministrativa). Ciò non avviene tramite il tribunale ma per via interna: è un caso particolare in cui di fatto l’INPS recupera, ma non si chiama tecnicamente pignoramento. Fuori da questo scenario ristretto, nessun creditore esterno può toccare assegni sociali, accompagnamenti ecc. Le pensioni di reversibilità (che derivano da contributi del dante causa) sono pignorabili come le normali pensioni previdenziali. Naturalmente, tutte le pensioni sotto il minimo vitale – anche quelle previdenziali – di fatto sono impignorabili (perché non superano la soglia protetta). Ad esempio una pensione IVS di €600 non si può pignorare (essendo < €1.000).

D: L’INPS può “pignorare” la sua stessa pensione al debitore?
R: Tecnicamente l’INPS non effettua un pignoramento giudiziario verso se stesso, ma può trattenere in via amministrativa parte della pensione per soddisfare un proprio credito verso il pensionato. Questo accade per casi di debito verso l’INPS: tipicamente, contributi dovuti all’INPS (se il pensionato era un lavoratore autonomo con cartelle INPS) o indebiti pensionistici (pensioni pagate in eccesso). In tali situazioni, l’INPS – che è sia creditore che ente erogatore – può procedere senza passare dal giudice: trattiene ogni mese una porzione della pensione finché il suo credito è soddisfatto. Deve comunque rispettare delle soglie di tutela: come visto la legge equipara questi crediti al regime del quinto (art. 69 L.153/69) e vieta di intaccare il trattamento minimo. Quindi in pratica , l’INPS può decurtare la tua pensione se hai debiti verso di lui, ma di solito lo fa entro il limite del 20% dell’eccedenza oltre il minimo (e spesso ancora meno, a seconda di accordi e circostanze). Ad esempio, se hai €800 di pensione e devi restituire €5.000, l’INPS potrebbe trattenerti €80 al mese (10%) per diversi anni. Se ritieni che l’INPS stia trattenendo troppo – ad esempio ti lascia sotto il minimo vitale – puoi fare ricorso interno all’INPS o al giudice del lavoro, per far verificare il rispetto dei limiti di legge e magari ridurre la trattenuta.

D: L’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) può pignorare la pensione?
R: , l’ADER può pignorare la pensione per cartelle esattoriali non pagate, con una procedura semplificata (art. 72-bis DPR 602/73) senza passare dal tribunale. Tuttavia, la legge prevede limiti specifici più favorevoli al pensionato: come detto, l’ADER può trattenere al massimo 1/10, 1/7 o 1/5 dell’eccedenza a seconda dell’importo mensile della pensione. E vale sempre il minimo vitale intoccabile di circa €1.000. La procedura è questa: l’ADER notifica un atto di pignoramento diretto all’INPS (e per conoscenza al debitore); l’INPS, in base a quell’atto, inizia a operare le trattenute dovute ogni mese. Non c’è udienza in tribunale: è tutto amministrativo. Se però il debitore nel frattempo ha chiesto e ottenuto una rateizzazione oppure ha presentato ricorso e ottenuto una sospensione, l’atto esecutivo viene congelato. È importante sapere che l’ADER non può mai prendere più delle percentuali previste: ad esempio, se la pensione è €1.500, l’ADER applicherà 1/10 sull’eccedenza oltre €1.077 (minimo), cioè 1/10 di €423 = ~€42 al mese. Non può decidere arbitrariamente di prendere di più. Queste percentuali agevolate sono in vigore dal 2013 e riconoscono che, pur essendo il Fisco un creditore “privilegiato”, anche il contribuente ha diritto a fasce di reddito protette. Quindi in sintesi: sì l’ADER può pignorare la pensione, ma in misura limitata e rispettando il minimo di legge; se hai cartelle, puoi anche evitare il pignoramento chiedendo la dilazione (che sospende l’esecuzione finché paghi le rate).

D: Posso evitare il pignoramento spostando la pensione su un altro conto o ritirandola in contanti?
R: Purtroppo no, non in modo definitivo. Se il pignoramento è già attivo presso l’INPS, spostare il conto non serve a nulla: l’INPS trattiene alla fonte e paga il creditore prima ancora di accreditare l’eventuale resto sul tuo conto. Quindi cambiare banca o farsi inviare l’assegno di pensione a casa non evita la trattenuta, perché questa avviene “a monte”. Se invece ancora non c’è un pignoramento ma temi che arrivi, ritirare in contanti la pensione appena viene versata può proteggere quelle somme sul conto nel caso il creditore pignori il conto stesso (banca o posta). Come spiegato, se il creditore colpisce il conto, solo il saldo eccedente 3×assegno sociale può essere bloccato. Quindi se hai già prelevato e tieni il saldo basso (es. sotto ~€1.600), un eventuale pignoramento del conto non troverà nulla da prelevare. Questo può salvare temporaneamente i tuoi fondi. Tuttavia è una soluzione precaria e scomoda: devi vivere senza lasciare soldi sul conto, il che complica pagamenti di bollette, domiciliazioni ecc. Inoltre, come detto, il creditore di fronte al conto vuoto probabilmente farà un pignoramento all’INPS, e lì non puoi sfuggire. Trasferire la pensione su un conto intestato a un familiare non funziona: sarebbe comunque pignorabile perché i tuoi soldi su un conto altrui possono essere visti come una forma di trust revocabile (senza contare i rischi di fiducia). Va anche segnalato che trasferimenti anomali di denaro prima o dopo un pignoramento potrebbero essere revocati se fatti con intento di frode, anche se nel caso di utilizzo della pensione per sopravvivenza non c’è in genere malafede dimostrabile. In sintesi: incassare subito in contanti la pensione può mettere al sicuro i soldi di quel mese da un eventuale blocco sul conto, ma non ferma un pignoramento verso l’INPS. L’unico effetto è che costringe il creditore a fare il pignoramento “giusto” (presso INPS) invece che accontentarsi del conto. La via migliore, invece di tentare di nascondere la pensione, è affrontare legalmente il problema (opposizione se illegittimo, accordo col creditore, rateazione, ecc.).

D: Ho già una cessione del quinto sulla pensione; cosa succede se arriva un pignoramento?
R: Possono coesistere entrambi. La cessione volontaria (fino al 20%) e il pignoramento giudiziario (ulteriore max 20% su eccedenza) si sommano, tenendo però presente che la somma delle trattenute non deve superare circa il 50% della pensione. Quindi il pensionato subirà due decurtazioni distinte: continuerà a pagare la rata di cessione al finanziatore e in aggiunta l’INPS tratterrà la quota per il pignoramento. Esempio: pensione €1.500, c’è una cessione di €300 (1/5). Arriva pignoramento per altro debito: su €1.500 minimo vitale ~1.077, eccedenza 423, quinto pignorabile ~€84. Totale trattenute €300+84 = €384, pari al 25,6% della pensione (ok). Il pensionato riceverà €1.116. Importante: la legge consente questo cumulo perché considera la cessione come scelta volontaria che non influisce sui limiti dell’esecuzione forzata. Quindi il creditore pignorante ottiene il suo quinto a prescindere dalla cessione in corso. Solo se insieme cessione + pignoramento superassero la metà (es. c’è già cessione 1/5 e arriva un pignoramento per alimenti 1/3: 20%+33%=53%), il giudice dovrà correggere qualcosa per rientrare nel 50%. Nella pratica, l’INPS calcola prima le trattenute per cessioni volontarie e poi aggiunge quelle per pignoramenti, monitorando il totale. Il pensionato quindi deve purtroppo sopportare entrambe fino a quando la cessione (che ha durata fissa) termina. Ad esempio, se la cessione finisce dopo tot anni, da quel momento in poi resta solo il pignoramento (che però non aumenta per “compensare” la fine della cessione: resta la quota sul netto). Non c’è un modo di opporsi al pignoramento invocando l’esistenza di una cessione, a meno che appunto la somma superi il limite e quindi si chieda al giudice di ridurre la parte eccedente per rispettare la metà (ci sono stati alcuni ricorsi in tal senso, con esito positivo quando il residuo al debitore scendeva sotto il minimo vitale).

D: Cosa posso fare se ricevo un atto di pignoramento della pensione?
R: Prima di tutto, non restare inerte. Occorre verificare attentamente l’atto e la situazione e valutare i rimedi. Ecco i passi consigliati:

  1. Controllare la legittimità dell’atto: assicurarsi che il creditore abbia un titolo esecutivo valido (es. sentenza, decreto ingiuntivo definitivo, cartella esattoriale regolare) e che sia stato regolarmente notificato insieme al precetto. Verificare inoltre che le somme richieste siano corrette nei calcoli e che la pensione rientri tra quelle pignorabili. Se noti irregolarità – ad esempio il titolo manca o è prescritto, oppure stanno pignorando una pensione non pignorabile (assegno sociale) – hai motivi per un’opposizione in tribunale. Un avvocato può proporre un’opposizione all’esecuzione per far dichiarare nullo o improcedibile il pignoramento e chiedere eventualmente la sospensione immediata (es: se ti pignorano una pensione che è in realtà un’indennità impignorabile, il giudice sospenderà subito).
  2. Se tutto è regolare ma l’importo ti sembra sbagliato: ad esempio se non hanno applicato il minimo vitale e ti stanno trattenendo troppo, puoi farlo presente all’udienza di assegnazione o con istanza al giudice perché adegui la trattenuta ai limiti di legge. L’INPS stessa in genere segnala al giudice se qualcosa non quadra, ma è bene vigilare.
  3. Considera soluzioni alternative: se la procedura è formalmente in ordine (il creditore ha ragione e può pignorare), valuta la possibilità di trattare un accordo col creditore per chiudere la partita. Spesso, tramite il tuo avvocato, puoi contattare il creditore (o il suo legale) e proporre un pagamento parziale migliore di quello che otterrebbe con il pignoramento. Ad esempio, offrire una somma una tantum (se ne hai la possibilità, magari chiedendo aiuto ai familiari) o rate più alte volontarie, in cambio della rinuncia al pignoramento. Molti creditori accettano, perché come visto il pignoramento dà esiti lenti.
  4. Debiti fiscali – rateizzazione: se il pignoramento è dell’ADER, hai ancora la chance di chiedere una rateizzazione all’ADER. Una volta concessa, l’ADER deve bloccare il pignoramento (lo sospende finché paghi le rate). Quindi anche a pignoramento iniziato, puoi presentare l’istanza di dilazione (se rientri nei requisiti) e appena accettata comunicalo all’INPS.
  5. Far valere il diritto al minimo vitale: questo è fondamentale. Se per errore o altra ragione le trattenute ti portano sotto il minimo vitale, fai immediatamente rilevare la cosa al giudice. Il tuo diritto di mantenere il minimo vitale è indisponibile, quindi qualsiasi trattenuta che lo intacca va eliminata.
  6. Tenere informato l’INPS di sviluppi: ad esempio, se trovi un accordo col creditore o ottieni una sospensione dal giudice, comunica subito con documenti all’INPS queste novità, perché l’INPS è l’attore che materialmente deve adeguarsi (se il giudice sospende, l’INPS deve sapere di fermarsi).

In breve: non ignorare l’atto di pignoramento. Analizzalo e usa i rimedi previsti:

  • Opposizione se vi sono vizi o abusi (congelando magari il pignoramento in attesa di decisione).
  • Accordo se puoi offrire qualcosa per chiudere.
  • Rateazione se è il Fisco e preferisci pagare a rate evitando il blocco pensione.
  • Sempre salvaguardare i mezzi di sussistenza: pretendi il rispetto del minimo vitale.

Muovendoti tempestivamente, spesso puoi ridurre l’impatto o addirittura liberarti del pignoramento con strumenti di legge.

D: È possibile bloccare o ridurre un pignoramento della pensione in corso?
R: , esistono alcuni modi per sospendere, ridurre o estinguere anticipatamente un pignoramento in essere:

  • Presentando un’opposizione in tribunale (esecuzione o atti) se emergono motivi validi anche dopo l’avvio: il giudice può sospendere il pignoramento in attesa della decisione. Ad esempio, scopri che il creditore ti pignora una pensione in realtà impignorabile: fai opposizione e ottieni subito la sospensione.
  • In caso di peggioramento delle tue condizioni economiche, puoi provare a chiedere al creditore (o al giudice) di ridurre la percentuale. Questo non è previsto esplicitamente, ma, ad esempio, se riesci a convincere il creditore ad accettare un saldo e stralcio minore (perché magari ti ammali e non puoi sopportare la trattenuta), il giudice può omologare l’accordo e ridurre/cessare il pignoramento di conseguenza.
  • Se sei in grave sovraindebitamento, come detto, puoi accedere alle procedure di composizione della crisi: quando il giudice ammette un piano del consumatore o altro, sospende tutte le azioni esecutive (quindi anche il pignoramento). E poi, se il piano viene omologato, il pignoramento viene revocato e sostituito dalle nuove modalità di pagamento concordate. In pratica, attraverso la procedura concorsuale il pignoramento viene assorbito in un accordo globale.
  • Un’altra via è pagare il debito residuo in un’unica soluzione e poi presentare istanza di conversione del pignoramento: se hai la fortuna di racimolare i soldi (vendendo un bene o con aiuti), puoi depositare in tribunale la somma dovuta (capitale, interessi, spese) e chiedere di sostituirla al pignoramento. Il giudice, ricevuto il saldo, dichiara estinto il pignoramento.
  • Nel caso dei pignoramenti esattoriali (ADER), lo abbiamo detto: ottenere la rateizzazione dall’ADER sospende immediatamente il pignoramento finché si pagano le rate. Quindi presentare la domanda di dilazione può “bloccare” il pignoramento in corso già dal mese successivo all’accoglimento.

Va però chiarito: senza un motivo giuridico o un intervento attivo, il pignoramento non si riduce da solo. Non è che col tempo scende la percentuale (a parte eventuali futuri aumenti dell’assegno sociale che potrebbero alzare un po’ la soglia impignorabile). L’INPS continuerà a trattenere quella quota finché il debito X è finito. L’unica riduzione spontanea può avvenire se uno dei creditori nel concorso viene soddisfatto e cessa la sua trattenuta: ad esempio avevi due pignoramenti, ne finisce uno, allora rimane solo l’altro e quindi la somma trattenuta scende. Ma a parte ciò, serve un’azione. Quindi, per bloccare o ridurre un pignoramento bisogna attivarsi: con un’opposizione fondata, con un accordo transattivo, o con una procedura concorsuale, come esposto. Solo aspettare e sperare non cambia nulla (anzi, potrebbero arrivarne altri di pignoramenti).

D: Se ho più creditori, possono pignorarmi la pensione contemporaneamente?
R: Possono provarci, ma come visto c’è un limite cumulativo: in nessun caso puoi subire trattenute oltre il 50% della pensione. E i vari creditori devono rispettare le regole del concorso. In pratica succede questo:

  • Se i creditori sono tutti della stessa natura (tutti ordinari), il primo che arriva occupa il quinto e gli altri possono solo intervenire su quello (dividendoselo) oppure aspettare il loro turno. Quindi non ti tolgono due quinti contemporaneamente per crediti ordinari multipli.
  • Se i crediti sono di tipo diverso (uno banca, uno Fisco, uno ex coniuge), possono sovrapporsi ma con il tetto del 50%. Ad esempio: ex coniuge ottiene 1/3 (33%), resta spazio per un altro pignoramento 17% (per arrivare a 50%) per il Fisco o altro. Oppure hai già un 20% ordinario e arriva il Fisco: se la pensione è alta, il Fisco può prendere fino al 14% e tu subisci 34% in totale, ok. Se ne arriva un terzo, difficilmente si attiverà subito perché la “capienza” sarebbe esaurita (aspetterà che uno finisca).
  • In pratica, l’INPS e il giudice monitorano questa capienza complessiva. Quindi sì, ci possono essere più pignoramenti sulla stessa pensione, ma il loro effetto combinato è limitato e almeno metà pensione deve restare intoccabile. Se erroneamente venisse oltrepassato il 50%, quella parte in eccesso è illegittima e il debitore può farsela restituire.

In conclusione: il primo creditore spesso “blocca” la quota pignorabile e gli altri si accodano. Se di diverso tipo, possono compartecipare ciascuno con la propria percentuale speciale, ma appunto fin dove c’è capienza sotto metà pensione. È anche vero che se un creditore vede che già la pensione è pignorata al massimo, potrebbe lasciar perdere di pignorare a sua volta (perché dovrebbe intervenire sul medesimo importo e magari aspettare). Molti preferiranno tentare altre vie (ipoteca su immobili, ecc.) se la pensione è già satura.

D: La pensione può essere pignorata per intero se il debito è verso l’ex coniuge o i figli?
R: No, per intero mai. La legge prevede che i crediti alimentari (mantenimenti dovuti per legge) possano giustificare pignoramenti superiori al quinto, ma comunque entro limiti. In genere il tetto applicato dai tribunali è 1/3 della pensione. Solo in casi particolari come l’assegno divorzile non pagato, la legge di divorzio (L. 898/1970) consente di arrivare fino al 50% di quanto dovuto all’obbligato sulla pensione. Ciò significa che il coniuge divorziato può ottenere direttamente dall’INPS al massimo metà della pensione spettante all’ex coniuge, se quest’ultimo non paga spontaneamente. Ma nemmeno in questi casi estremi la pensione viene azzerata: il debitore conserverà almeno l’altra metà. Inoltre il giudice valuta le circostanze: se il debitore ha reddito basso, difficilmente toglierà 1/3 lasciandolo sotto il minimo. Anche l’ex famiglia ha diritto a un sostegno, ma deve essere bilanciato con il diritto del pensionato a sopravvivere. Quindi, sebbene i crediti di mantenimento abbiano trattamento di favore, mai si pignora oltre metà pensione. In sintesi: no, nemmeno per alimenti ti possono prendere tutta la pensione. Il massimo caso: metà, e solo se la tua pensione è sufficientemente alta da consentirlo senza mandarti in indigenza.

D: Cosa succede se la mia pensione aumenta o diminuisce durante il pignoramento?
R: La quota pignorata si adegua proporzionalmente. L’INPS, ogni mese, ricalcola l’importo pignorabile in base alle regole percentuali applicate sull’importo corrente della pensione netta eccedente il minimo vitale. Quindi, se la pensione subisce variazioni per rivalutazione annuale, per integrazioni (es. prende la 14ma a luglio), per variazioni di detrazioni fiscali, ecc., anche la trattenuta cambia di conseguenza:

  • Se la pensione aumenta (ad es. arriva la tredicesima o c’è un conguaglio favorevole): quell’importo extra è pignorabile anch’esso nei limiti soliti. La tredicesima, essendo reddito da pensione a tutti gli effetti, viene calcolata come un importo aggiuntivo pignorabile quell’anno. Dunque nel mese in cui percepisci la tredicesima, la trattenuta sarà maggiore, perché l’eccedenza oltre il minimo è maggiore. Analogamente, se ti aumenta la pensione mensile per rivalutazione o altro, sale anche la quota (sempre il 20% o 10% ecc. dell’eccedenza nuova).
  • Se la pensione diminuisce (es. finiscono delle maggiorazioni temporanee, oppure aumentano le ritenute fiscali per nuovi redditi), la quota pignorata può ridursi poiché è calcolata su un’eccedenza minore. Naturalmente non può mai scendere sotto zero: il minimo vitale resta intoccabile comunque.
  • Esempio: poniamo che la tua pensione includa un supplemento che cessa dopo due anni: quando quel supplemento finisce, la pensione netta si abbassa, di conseguenza la base pignorabile (eccedenza oltre minimo) diminuisce e quindi il 20% su essa sarà minore. Oppure se prima eri sopra €5.000 (pagavi 1/5 per il Fisco) ma poi scendi sotto i 5.000, l’ADER dovrà ridurre la trattenuta da 1/5 a 1/7 su quell’eccedenza. Viceversa, se la pensione supera nuove soglie (es. da 2.400 passa a 2.600 netti, superando €2.500: allora per il Fisco si passa dal decimo al settimo), l’INPS applicherà la nuova percentuale da quel momento.

Insomma, è un meccanismo dinamico e flessibile. L’INPS fa i calcoli mese per mese in base alle regole vigenti. Questo garantisce che il creditore riceva sempre la percentuale giusta sull’importo effettivamente percepito dal pensionato, e che il pensionato mantenga sempre il minimo vitale aggiornato.

D: Il pignoramento incide sulla pensione lorda o netta?
R: Come già spiegato, incide sul netto (pensione al netto delle ritenute fiscali). L’art. 545 c.p.c. parla di somme dovute a titolo di stipendio/pensione, e la prassi giurisprudenziale – confermata dalla Cassazione – è di riferirsi all’importo netto mensile percepito. Ciò perché sarebbe illogico pignorare anche la parte che comunque verrebbe versata al Fisco come tasse. Dunque: si calcola prima la pensione mensile netta dopo IRPEF; su quella si individua la parte oltre il minimo impignorabile e se ne preleva la frazione di quinto o quel che è. Ad esempio, pensione lorda €2.000, netta €1.600: minimo ~€1.077, eccedenza €523, quinto €104. Se calcolassimo sul lordo, avremmo eccedenza €923 e quinto €184, che toglierebbe al pensionato anche soldi che poi sarebbero andati in tasse – non corretto. Infatti, come conferma, l’assegno sociale usato come parametro è una cifra netta e non tassabile. Quindi il pignoramento colpisce solo il reddito effettivamente disponibile al pensionato.

D: Posso scegliere io la percentuale da farmi pignorare (magari più bassa del quinto)?
R: No, il debitore non ha purtroppo questa facoltà unilaterale. La percentuale è stabilita dalla legge (o dal giudice nel caso degli alimenti) e applicata automaticamente. Non puoi dire al giudice o all’INPS “trattenetemi solo il 10% perché faccio fatica”: non è previsto. Per ottenere una riduzione sotto i limiti standard, serve un accordo col creditore o un provvedimento del giudice per circostanze eccezionali (ad esempio quell’ordinanza innovativa di Napoli che dimezzava la quota per ragioni umanitarie, ma è un caso isolato). Quello che puoi fare, volontariamente, è pagare di più per velocizzare la fine del pignoramento (nessuno vieta di versare extra). Ma pagare di meno no, a meno di trovare un’intesa col creditore fuori dall’esecuzione. Ad esempio, potresti dire al creditore: “le pago una somma unica di 5.000 (che è meno del debito di 8.000) se rinuncia al pignoramento futuro”; se lui accetta, si formalizza e il giudice chiude la procedura. Ma se il creditore non vuole sconti, non puoi imporre di ridurre il quinto. In sintesi: la legge non consente al debitore di autolimitare il pignoramento. L’unica via per ridurre è tramite un accordo col creditore o una misura giudiziale particolare (insolvenza, opposizione equitativa ecc.).

D: Il datore di lavoro può pignorarmi la pensione di ex dipendente per recuperare un danno?
R: Se sei un pensionato ex dipendente pubblico (o privato) e l’ex datore vanta un credito verso di te – ad esempio per un danno erariale imputato quando eri in servizio, o sanzioni disciplinari, o importi pagati in più – non può autonomamente decurtarti la pensione (a differenza dell’INPS nei suoi crediti). Deve agire come un qualsiasi creditore: ottenere un titolo (es. sentenza di Corte dei Conti per danno erariale, o decreto per indebito) e notificare un pignoramento presso terzi all’INPS. A quel punto valgono le solite regole: 1/5 per crediti comuni, 1/3 per crediti alimentari o da risarcimento allo Stato (se classificati come tali). Esiste un DPR 5/1/1950 n. 180 che disciplina proprio i limiti di pignorabilità per dipendenti e pensionati pubblici, richiamando il quinto e il terzo. Quindi l’ente pubblico tuo ex datore può sì farsi valere sulla pensione (ad esempio Ministero chiede risarcimento danno e pignora pensione ex funzionario), ma deve passare dal giudice come tutti. Non può decidersi da solo di trattenere (diverso dall’INPS che trattiene i propri crediti per legge). Da notare: alcuni crediti di enti pubblici potrebbero essere impignorabili per legge – casi rari, ad esempio tributi non pagati dall’ente al dipendente (situazione poco comune). Comunque, in sintesi, un datore di lavoro pubblico agisce come creditore normale con pignoramento del quinto. Non c’è un privilegio particolare salvo eventuali normative settoriali. Quindi se, ad esempio, il Comune ti ha pagato uno stipendio non dovuto e te lo richiede quando sei in pensione, dovrà attivare un procedimento e notificare all’INPS, che applicherà il solito limite del quinto.

D: Un creditore può pignorare la pensione complementare (fondo pensione privato) o la buonuscita (TFR/TFS)?
R: La pensione complementare (cioè quella derivante da un fondo pensione integrativo privato, tipo rendita di un fondo aperto o chiuso) quando è in erogazione viene considerata un reddito da pensione a tutti gli effetti, quindi secondo molti tribunali è pignorabile con gli stessi limiti della pensione INPS. Non c’è unanimità: alcuni sostengono che essendo destinata a previdenza integrativa dovrebbe essere impignorabile, ma la giurisprudenza prevalente tende ad equipararla a reddito disponibile del debitore e dunque aggredibile parzialmente. Dunque, se percepisci una rendita mensile da un fondo pensione privato, aspettati che un creditore possa pignorarla come fosse una seconda pensione (applicando i limiti di quinto e minimo vitale su quella rendita). Invece, il TFR/TFS (trattamento di fine rapporto o di fine servizio), cioè la liquidazione, segue altre regole:

  • Prima che sia erogato, il creditore può pignorarlo presso l’ente datore di lavoro fino a 1/5 (o 1/3 se il credito è alimentare o di risarcimento). Questo significa che se sei in procinto di ricevere la liquidazione, un creditore può notificare pignoramento all’INPS (se TFS pubblico) o al Fondo Tesoro, e ottenere che gli vengano assegnati fino a un quinto del TFR dovuto prima che ti venga pagato.
  • Dopo che il TFR è stato accreditato sul tuo conto, se non c’è stato pignoramento prima, quelle somme diventano normale saldo di conto corrente. Quindi, una volta incassata la liquidazione, se rimane sul conto, un creditore potrebbe pignorarla lì come qualunque somma: ovvero, troverebbe magari un saldo elevato e ne pignorerebbe la parte eccedente 3×assegno sociale sul conto. Se invece la liquidi in altro modo (es. la investi subito o la usi per togliere debiti), il creditore potrebbe non far in tempo a intercettarla. Ma diciamo che non c’è un divieto specifico di pignorare il TFR, se non il limite del quinto se colto prima dell’erogazione.
  • In sintesi: la rendita pensionistica integrativa è tendenzialmente pignorabile come un reddito da pensione (seguendo i medesimi limiti del minimo vitale e quinto), mentre il TFR è pignorabile fino al quinto se bloccato prima che venga pagato, o senza limiti particolari se già accreditato sul tuo conto e pignorato lì (salvo la regola dei 3×assegno sociale sul conto corrente).

D: L’INPS mi ha trattenuto tutta la pensione di una mensilità per un indebito: è legale?
R: In linea di principio no, non è legale lasciare il pensionato senza pensione per intero, nemmeno se si tratta dell’INPS che recupera un indebito. Anche l’INPS deve rispettare un minimo vitale, per quanto la legge specifica non lo avesse inizialmente codificato per le sue trattenute interne. Se l’INPS ti trattiene l’intero rateo mensile o importi eccessivi, conviene ricorrere subito (patronato/legale) perché probabilmente c’è un errore o un abuso. Ci sono stati casi segnalati in cui, a fronte di un indebito, l’INPS ha sospeso l’assegno per uno o più mesi interi per recuperare – magari promettendo una restituzione successiva a conguaglio. Ciò può avvenire per motivi tecnici (es. pensione da ricalcolare da zero), ma non dovrebbe mai accadere di lasciare il pensionato con zero entrate. Se succede, agire immediatamente: spesso è frutto di qualche procedura interna mal gestita. L’INPS a volte si giustifica dicendo che quell’importo era “non dovuto affatto”, quindi sospendendolo non sta pignorando ma solo bloccando un pagamento indebito. Però se la persona contava su quei soldi per vivere, si può far valere che finché non c’è certezza definitiva sull’indebito non si può togliere tutto. Il suggerimento in questi casi: presentare subito ricorso amministrativo e se serve ricorso d’urgenza al giudice del lavoro per sbloccare almeno il minimo per campare. In parallelo, magari chiedere una rateizzazione minima del dovuto per evitare misure drastiche. Insomma, non accettare passivamente una trattenuta totale: far valere il principio che almeno il minimo vitale va lasciato. La dignità della persona e i suoi mezzi di sostentamento, anche per la Corte Costituzionale, sono valori da garantire sempre.

Fonti normative e giurisprudenziali (aggiornate a luglio 2025)

  • Codice di Procedura Civile, art. 543 – Pignoramento presso terzi: disciplina forma e notificazione dell’atto di pignoramento al terzo (es. INPS) e al debitore.
  • Codice di Procedura Civile, art. 545 – Crediti impignorabili e limiti di pignoramento: elenca i crediti assolutamente impignorabili e fissa le quote massime pignorabili di stipendi e pensioni. Include: 1/5 per tributi e altri crediti; fino 1/3 per alimenti; soglia minima impignorabile per pensioni (2×assegno sociale, min €1.000) introdotta dal 2022. (Comma 7 aggiunto dal D.L. 115/2022 conv. L. 142/2022 – Decreto Aiuti-bis).
  • Codice di Procedura Civile, art. 546 – Obblighi del terzo pignorato: obbliga l’INPS (o il terzo) a destinare le somme pignorate nei limiti di legge. Pignoramenti in violazione dei limiti sono inefficaci (non producono effetti obbligatori per il terzo).
  • R.D. 5 gennaio 1950 n. 180, artt. 1-5: norme su cessione e pignoramento di stipendi e pensioni pubbliche. Riprendono i limiti generali (1/5 ordinario, 1/3 alimenti) e sanciscono nullità di cessioni oltre il quinto.
  • D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 72-bis: disciplina il pignoramento esattoriale presso terzi da parte dell’Agente della Riscossione (ADER), permettendo il pignoramento diretto di stipendi/pensioni senza passare dal tribunale. L’atto di pignoramento notificato all’INPS è esecutivo di per sé.
  • D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 72-ter: fissa i limiti di pignorabilità esattoriale di stipendi e pensioni da parte di ADER – aliquote 1/10, 1/7, 1/5 a seconda dell’importo mensile. (N.B.: Questo articolo è stato formalmente abrogato dal D.Lgs. 24/03/2025 n. 33 con effetto dal 1/1/2026, nell’ambito di un Testo Unico sulla Riscossione, ma le sue disposizioni sostanziali sulle percentuali sono confermate altrove. Per il 2025 è ancora vigente).
  • Legge 30 aprile 1969 n. 153, art. 69: norma storica su cessione e sequestro delle pensioni INPS per debiti verso l’INPS stesso. Consente la ritenuta fino a 1/5 per contributi omessi e indebiti pensionistici, escludendo interessi e sanzioni, e salvaguardando l’importo del trattamento minimo. È la base del potere di recupero amministrativo dell’INPS. Su questa norma pende la questione di costituzionalità (Ordinanza Tribunale Ravenna 3/4/2025) perché non prevede esplicitamente una soglia analoga al doppio assegno sociale.
  • Legge 21 settembre 2022 n. 142, art. 21-bis: legge di conversione del D.L. 115/2022 (Aiuti-bis) che ha modificato l’art. 545 c.p.c. innalzando il minimo vitale pensioni a 2×assegno sociale, con minimo €1.000. In vigore dal 22/09/2022.
  • INPS – Circolare 3 aprile 2023 n. 38: istruzioni applicative sul nuovo limite di impignorabilità pensioni (minimo €1.000 e adeguamento automatico a doppio assegno sociale). Conferma l’efficacia dal 22/09/2022 e orienta le sedi INPS nel ricalcolo delle quote impignorabili.
  • Decreto-legge 8 giugno 2021 n. 79, art. 1 c.3 (convertito L. 112/2021): ha introdotto temporaneamente il riconoscimento di una somma aggiuntiva per alcuni pensionati nel 2021 (assegno “c.d. 154 euro”), ma rileva qui perché quell’importo aggiuntivo era impignorabile in analogia con l’assegno sociale. Norme analoghe compaiono in manovre 2022-2023 per bonus una tantum (es. bonus 150€) che sono dichiarati impignorabili ope legis (come contributi assistenziali).
  • Legge 30 dicembre 2022 n. 197 (Legge di Bilancio 2023), commi 227-231: ha previsto lo Stralcio automatico dei debiti fino €1.000 affidati al ruolo 2000-2015 e la Definizione agevolata 2023 (“Rottamazione-quater”) dei carichi 2000-2022. Tali misure comportano la sospensione delle procedure esecutive pendenti e, in caso di perfezionamento, l’estinzione dei relativi pignoramenti (perché il debito è annullato o saldato).
  • D.Lgs. 14/2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) e D.L. 28 ottobre 2020 n. 137, art. 4 (conv. L. 176/2020): hanno riformato la disciplina del sovraindebitamento (Legge 3/2012) introducendo procedure come il Piano del consumatore, il Concordato minore e la Liquidazione controllata. In particolare, art. 68 CCII consente al giudice, nei casi urgenti, di ridurre le trattenute in essere per garantire la sopravvivenza del debitore (come applicato nel caso Trib. Napoli 2023), e art. 283-284 CCII introducono la esdebitazione del debitore incapiente. Tali procedure prevedono la sospensione delle esecuzioni pendenti all’ammissione (art. 54 CCII) e la liberazione dai debiti residui a esito positivo.
  • Legge 8 agosto 1995 n. 335, art. 13: prevede il divieto di cessione e pignoramento di specifiche prestazioni assistenziali, tra cui le pensioni e assegni di invalidità civile e l’assegno sociale. È la norma che ribadisce l’assoluta impignorabilità di tali trattamenti.
  • Cassazione Civile, Sez. III, sentenza n. 1044/2011: ha chiarito che il minimo vitale va calcolato sull’importo netto della pensione e che l’ultimo rateo accreditato prima del pignoramento su conto corrente non è aggredibile (va lasciato al debitore), a tutela delle sue esigenze immediate.
  • Cassazione Civile, Sez. Unite, sentenza n. 198/2021 (indicativa, in materia di crediti alimentari): ha precisato che la deroga del terzo per crediti alimentari non elimina il dovere del giudice di tutelare condizioni di estrema vulnerabilità del debitore, suggerendo che anche nell’autorizzare pignoramenti alimentari si deve tener conto del principio di proporzionalità rispetto ai bisogni del debitore. (Sentenza citata spesso per bilanciare alimenti e dignità del debitore).
  • Corte Costituzionale, sentenza n. 506/2002: ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale che mirava a rendere totalmente impignorabili le pensioni. La Corte confermò la pignorabilità nei limiti di 1/5 allora vigenti, ritenendo tale limite un adeguato bilanciamento tra il diritto del creditore e la tutela del minimo vitale del pensionato.
  • Corte Costituzionale, sentenza n. 70/2016: ha ribadito la differenza di regime tra stipendi e pensioni, rilevando (rispetto a un ricorso sull’assegno sociale) la legittimità di prevedere un minimo vitale impignorabile per le pensioni (all’epoca 1,5×assegno sociale) senza estenderlo ad altri redditi, in quanto risponde alla particolare tutela costituzionale che l’art. 38 riserva ai trattamenti pensionistici. In sostanza, ha confermato la costituzionalità del minimo vitale pensionistico come allora configurato.
  • Cassazione Civile, Sez. III, sentenza n. 33838/2022: caso in cui una pensione risultava pignorata oltre il minimo vitale a causa della coesistenza di una cessione del quinto e di un pignoramento, portando il residuo per il pensionato sotto la soglia. La Cassazione ha ritenuto illegittimo tale esito, affermando che il pignoramento non può comprimere il minimo vitale garantito, nemmeno indirettamente per via di concorrenti cessioni. Ha quindi accolto il ricorso (impugnazione di estratto di ruolo) e indicato che il giudice dell’esecuzione deve ridurre il pignoramento per ripristinare il rispetto del minimo. Sentenza importante perché tutela il debitore anche in presenza di cessioni volontarie.
  • Cassazione Penale, Sez. II, sentenza n. 1655/2023: (in ambito penale, ma con principi generali) ha stabilito che anche nel sequestro/confisca penale di somme su conto, se queste provengono da pensione, va garantito il minimo vitale al soggetto indagato. Ciò conferma trasversalmente la intangibilità di una porzione minima per chiunque, anche oltre l’esecuzione civile.
  • Tribunale di Napoli, decreto 14/4/2023 (non massimato): ha ridotto in via d’urgenza la percentuale di un pignoramento pensionistico da 20% a 10%, considerata la situazione di estrema difficoltà economica del pensionato, richiamando l’art. 68 CCII sul principio di trattamento equo del debitore meritevole. Provvedimento innovativo che potrebbe fare scuola nell’applicare maggiore flessibilità nell’esecuzione in casi limite.
  • Ordinanza Tribunale di Ravenna 3/4/2025 (pubbl. in G.U. Corte Cost n.22/2025): ha sollevato questione di legittimità costituzionale sull’art. 69 L.153/1969 (recupero indebiti INPS) nella parte in cui non prevede una soglia analoga al doppio assegno sociale per le trattenute dirette dell’INPS. Il Tribunale dubita che sia costituzionale non garantire almeno il doppio assegno (minimo vitale) anche quando è l’INPS a compensare. Questione pendente innanzi alla Corte Cost., segno di possibile futura estensione di tutela anche in quest’ambito.

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