Hai costituito un trust per tutelare il patrimonio familiare o aziendale e ora ti è arrivato un accertamento dall’Agenzia delle Entrate? Ti stai chiedendo se il Fisco può contestare il trust, considerarlo fittizio o usarlo contro di te?
La costituzione del trust, se non gestita correttamente e con un fine trasparente, può attirare l’attenzione dell’Agenzia delle Entrate, che può aprire un accertamento fiscale, anche pesante.
Cosa controlla l’Agenzia delle Entrate sul trust?
– Se il trust è effettivo o fittizio, cioè se è stato creato realmente per gestire i beni o solo per proteggerli dai creditori
– Chi detiene il controllo effettivo dei beni: se il disponente continua a gestirli come prima, il Fisco può ritenere il trust “inesistente”
– La residenza fiscale del trust: se anche uno solo dei soggetti coinvolti è residente in Italia, il trust può essere attratto a tassazione nel nostro Paese
– Le eventuali distribuzioni ai beneficiari: possono essere considerate redditi e tassate
– La compatibilità con la normativa su interposizione fittizia e abuso del diritto
Quando scatta l’accertamento sul trust?
– Se la costituzione del trust avviene in prossimità di accertamenti fiscali o crisi aziendali
– Se il trust è autodichiarato, cioè il disponente è anche il trustee
– Se il trust è opaco (i beneficiari non sono individuati o non ricevono nulla)
– Se non è stato registrato correttamente ai fini fiscali, o non sono stati compilati i quadri RW o i monitoraggi richiesti
– Se il trust è stato istituito all’estero, ma ha legami economici o gestionali con l’Italia
Cosa può fare l’Agenzia delle Entrate?
– Disconoscere il trust e riattribuire i beni al disponente, con effetti fiscali retroattivi
– Contestare elusione, abuso del diritto o interposizione fittizia
– Imputare i redditi prodotti dal trust direttamente al soggetto italiano
– Avviare un accertamento patrimoniale e reddituale, anche con sanzioni rilevanti
Come puoi difenderti?
– Dimostrando la reale autonomia del trust rispetto al disponente
– Mostrando la documentazione che ne attesta la finalità concreta (tutela familiare, successione, gestione patrimoniale)
– Verificando la regolarità fiscale: residenza, adempimenti, registrazioni, dichiarazioni
– Attivando, se necessario, una difesa legale contro l’accertamento o presentando istanza di accertamento con adesione
Cosa NON devi fare mai?
– Creare un trust con il solo scopo di evitare tasse o pignoramenti
– Continuare a gestire i beni come se il trust non esistesse
– Omettere la dichiarazione del trust nelle dichiarazioni personali
– Sottovalutare l’atto di accertamento: il Fisco può usare il trust contro di te
Il trust è uno strumento potente di pianificazione, ma deve essere trasparente, documentato e conforme alla normativa italiana. Altrimenti rischi che venga annullato e che i beni tornino sotto il tuo nome… con tutte le conseguenze fiscali del caso.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in trust e difesa tributaria – ti spiega quando e perché l’Agenzia delle Entrate può accertare un trust, cosa rischi e come difendere la legittimità dello strumento se usato correttamente.
Hai ricevuto un accertamento su un trust o vuoi prevenire un errore fiscale?
Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo insieme il trust, la documentazione e ti aiuteremo a difendere i tuoi beni, la tua pianificazione e i tuoi diritti fiscali.
Introduzione
Il trust è uno strumento giuridico, originario dei sistemi di common law, che ha trovato riconoscimento anche nell’ordinamento italiano. Esso permette a un soggetto (disponente o settlor) di trasferire beni a un altro soggetto (trustee), affinché li amministri nell’interesse di uno o più beneficiari (o per uno scopo determinato), segregando detti beni in un patrimonio separato. Questa guida, scritta dal punto di vista del debitore, analizza in modo approfondito la costituzione di un trust e le possibili reazioni del Fisco italiano, con particolare riferimento agli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate. Ci concentreremo sui trust interni (ossia quelli istituiti da soggetti italiani e sottoposti a una legge regolatrice straniera scelta, ma operanti in Italia) e disciplinati indirettamente dal diritto italiano tramite convenzioni internazionali.
L’obiettivo è fornire un quadro completo ed aggiornato (fino a luglio 2025) sotto il profilo normativo e giurisprudenziale, utile per professionisti legali, imprenditori e privati. Particolare attenzione verrà posta sui strumenti difensivi che un contribuente-debitore può adottare di fronte a un accertamento fiscale relativo a un trust, nonché sulle più recenti sentenze e posizioni ufficiali (fonti istituzionali) in materia.
Introduzione al trust nell’ordinamento italiano
Il trust, pur non avendo origini nel nostro sistema codicistico, è riconosciuto in Italia a seguito della ratifica della Convenzione de L’Aja del 1° luglio 1985 avvenuta con la Legge 16 ottobre 1989, n. 364. La Convenzione, entrata in vigore in Italia il 1° gennaio 1992, consente il riconoscimento dei trust istituiti secondo una legge straniera scelta dal disponente. In altre parole, in Italia è possibile istituire un trust designando come legge regolatrice quella di un ordinamento estero che preveda e disciplini l’istituto (es. legge di Jersey, diritto inglese, diritto del Delaware, ecc.). Il trust così creato – detto trust “interno” quando ha elementi sostanziali (beni, parti, finalità) localizzati in Italia – sarà valido e riconosciuto, pur rimanendo soggetto alle regole materiali della legge straniera prescelta. Non esiste, infatti, una legge interna organica sul trust: la struttura e gli effetti del rapporto di fiducia restano disciplinati dal “trust deed” (atto istitutivo) secondo la legge straniera eletta, mentre l’ordinamento italiano vi innesta le proprie regole per gli aspetti fiscali, pubblicitari e per l’eventuale contrarietà a norme imperative interne.
Caratteristiche generali del trust
Il trust si basa su un rapporto fiduciario: il disponente trasferisce determinati beni o diritti al trustee, il quale ne assume la titolarità legale ma con l’obbligo di amministrarli a vantaggio dei beneficiari finali o per il raggiungimento di uno scopo definito. I beni in trust costituiscono un patrimonio separato rispetto al patrimonio personale del trustee e del disponente: questa è la cosiddetta efficacia segregativa del trust. In virtù di essa, i beni conferiti nel fondo in trust non sono aggredibili dai creditori personali del trustee né (in linea di principio) da quelli del disponente, e non rientrano nel suo asse ereditario al momento della morte, salvo azioni revocatorie o simulazione di cui diremo oltre. Il trustee esercita i poteri di gestione secondo le istruzioni contenute nell’atto istitutivo e sotto l’eventuale controllo di un guardiano (protector), se previsto.
Un aspetto cruciale da comprendere è che il trasferimento di beni dal disponente al trustee non realizza un vero trasferimento definitivo di ricchezza a favore del trustee stesso. Il trustee è titolare formale (proprietà “legale”) ma non beneficia economicamente dei beni: deve conservarli e destinarli, al termine del trust, ai beneficiari indicati. Come ha chiarito la Corte di Cassazione, “il conferimento dei beni al trust produce soltanto efficacia segregante, sia perché di detti beni il trustee non è proprietario, bensì amministratore, sia perché gli stessi non possono che essere trasferiti ai beneficiari”. In altri termini, non vi è un arricchimento immediato né un passaggio stabile di ricchezza nel momento in cui si istituisce il trust o si conferiscono i beni: l’arricchimento patrimoniale reale si avrà solo quando tali beni verranno attribuiti ai beneficiari finali (se diversi dal disponente). Questa caratteristica influenza profondamente il trattamento fiscale dei trust, come vedremo dettagliatamente più avanti.
I soggetti del trust
Nel trust intervengono tipicamente i seguenti soggetti:
- Disponente (settlor): colui che istituisce il trust e vi apporta i beni iniziali (c.d. atto di dotazione). Può fissare regole e condizioni nell’atto istitutivo. Dopo il trasferimento perde la disponibilità dei beni conferiti, che entrano nella sfera di controllo del trustee (salvo che si riservi poteri particolari nell’atto istitutivo, col rischio però di inficiarne la genuinità, come vedremo).
- Trustee: è il soggetto che accetta l’incarico di gestire i beni in trust secondo le finalità stabilite. Può essere una persona fisica o giuridica. Assume la titolarità legale dei beni in trust, ma non ne risponde con il proprio patrimonio e non ne beneficia per sé (deve operarvi a vantaggio altrui). Ha poteri e doveri fiduciari, ed è soggetto a responsabilità per inadempimento verso beneficiari e disponente.
- Beneficiari: coloro che beneficeranno dei beni o dei redditi del trust secondo quanto previsto nell’atto. Possono essere beneficiari di reddito (hanno diritto ai frutti/income del trust durante la vita del trust) e/o beneficiari finali (riceveranno la distribuzione del patrimonio alla fine). Possono essere specificamente individuati nominativamente oppure determinabili in futuro secondo criteri (es. “i miei futuri nipoti”). In alcuni trust (c.d. trust di scopo) non vi sono beneficiari individuali ma uno scopo da perseguire (non lucrativo).
- Guardiano (protector): figura eventuale, nominata dal disponente per vigilare sull’operato del trustee e in alcuni casi con poteri di intervento o sostituzione del trustee. Spesso usato nei trust familiari o quando i beneficiari non hanno ancora capacità di agire.
Esistono diverse tipologie di trust a seconda della combinazione di ruoli e finalità. Ad esempio, un trust autodichiarato ricorre quando il disponente e il trustee coincidono nella stessa persona: il disponente trasferisce i beni a sé stesso quale trustee, dichiarando però di tenerli separati come patrimonio destinato ai beneficiari. In tal caso non vi è spostamento di proprietà ad un diverso soggetto, ma solo segregazione giuridica dei beni in un vincolo di destinazione autonomo. Come rileveremo in seguito, la giurisprudenza tende a considerare fiscalmente neutra l’istituzione di un trust autodichiarato (nessun effetto traslativo effettivo), e in caso di beneficiario coincidente col disponente si può arrivare a ritenere che non vi sia alcun trasferimento imponibile né immediato né futuro (poiché il bene potrebbe tornare al disponente stesso). Tuttavia, trust autodichiarati e con controlli limitati sono spesso scrutinati con sospetto dal Fisco e dai creditori, poiché possono celare intenti simulatori.
Un’altra distinzione importante è tra trust revocabile e irrevocabile: nel primo caso il disponente si riserva il potere di sciogliere anticipatamente il trust e rientrare in possesso dei beni; nel secondo caso il disponente perde stabilmente ogni potere sui beni conferiti. Un trust revocabile offre minori garanzie di segregazione effettiva (il disponente potrebbe riprendersi i beni) e può essere considerato meno efficace per proteggere il patrimonio dai creditori, oltre a poter essere considerato fiscalmente inesistente se il potere di revoca è ampio. Viceversa, un trust irrevocabile segna un distacco più netto tra disponente e beni. Analogamente, vi sono trust discrezionali (il trustee ha discrezionalità su se/quando/quanto distribuire ai beneficiari, che hanno solo una aspettativa e non un diritto certo) e trust fissi (beneficiari e quote di beneficio predefinite, con diritti esigibili). Queste differenze influenzano la tassazione dei redditi del trust e la posizione dei creditori dei vari soggetti.
In sintesi, il trust consente di separare giuridicamente un patrimonio dal resto dei beni del disponente e del trustee, vincolandolo allo scopo prefissato. Questa separazione patrimoniale è il fulcro dell’attrattiva del trust, ma anche la ragione per cui le autorità fiscali e i creditori vi prestano grande attenzione, onde evitare che venga usata in modo abusivo per sottrarre beni alle pretese fiscali o dei creditori in genere. Proprio su questo crinale si gioca la dialettica tra chi istituisce un trust e l’Agenzia delle Entrate in sede di accertamento: vediamo dunque perché un debitore potrebbe costituire un trust e quali sono i profili critici dal punto di vista del Fisco.
Perché costituire un trust? Finalità lecite e profili di abuso
Il trust è uno strumento estremamente flessibile, utilizzato in vari contesti leciti di pianificazione patrimoniale. Eccone alcune finalità tipiche:
- Tutela patrimoniale e protezione da rischi: un imprenditore o professionista, esposto a potenziali future richieste risarcitorie o debiti, può segregare parte del patrimonio in un trust destinato ai familiari, mettendolo al riparo da aggressioni estranee. Analogamente, il trust può proteggere patrimoni di soggetti fragili (minori, disabili) garantendone l’uso a loro beneficio (ad esempio il “Trust dopo di noi” ex L. 112/2016, destinato a tutela di disabili gravi, gode anche di incentivi fiscali).
- Passaggio generazionale e successione: il trust consente di trasferire ricchezza alle generazioni successive in modo graduale e controllato. Ad esempio, un genitore può conferire beni in trust a beneficio dei figli, stabilendo regole di gestione fino a che questi raggiungano una certa età o maturità. In ambito di aziende di famiglia, il trust può garantire continuità gestionale separando la proprietà dalla gestione (si pensi a un trust che trattenga le partecipazioni sociali finché gli eredi non siano pronti a subentrare).
- Gestione di patrimonio complesso: il trust è utilizzato anche per affidare beni a un gestore professionale (trustee esperto) affinché li amministri unitariamente (specie in presenza di eredi minori o incapaci, oppure quando vi siano beni in diverse giurisdizioni).
- Garanzie a tutela di terzi: talvolta un trust viene creato per vincolare beni a garanzia di creditori o investitori (es. trust in operazioni finanziarie, cartolarizzazioni, o a garanzia di obbligazioni – anche se in Italia si usano più spesso strumenti come il fondo patrimoniale o il pegno rotativo per scopi di garanzia).
- Finalità benefiche o non profit: trust caritatevoli (charitable trusts) per destinare rendite a enti benefici, o trust “di scopo” (senza beneficiario individuato) per perseguire interessi meritevoli (compatibilmente con il nostro ordine pubblico e con limiti sulla durata).
Dal punto di vista di un debitore (ossia di chi ha debiti, specie verso il Fisco, o teme di contrarne), la costituzione di un trust può apparire una soluzione per preservare i propri beni dall’azione di recupero dei creditori. In particolare, un contribuente che abbia ricevuto o tema di ricevere una cartella esattoriale o un avviso di accertamento con somme ingenti da pagare potrebbe essere tentato di trasferire immobili, partecipazioni societarie o liquidità in un trust, confidando che la segregazione li renda “inattaccabili” dall’Agenzia delle Entrate o da altri creditori. Questa motivazione rientra potenzialmente nell’utilizzo abusivo del trust, ed è fonte di numerosi contenziosi e anche di conseguenze penali, come vedremo.
È fondamentale distinguere tra un uso lecito del trust per finalità meritevoli e una costituzione del trust fatta in frode ai creditori o per sottrazione al Fisco. I confini giuridici sono chiari in teoria ma sfumati nella pratica:
- Se il trust è istituito quando non esistono debiti certi e liquidi (né vi sono procedure in corso) ed è giustificato da una logica familiare o di pianificazione successoria credibile, esso è lecito. Ad esempio, un trust familiare istituito molti anni prima di eventuali problemi fiscali, con finalità di mantenimento dei figli, è di norma opponibile ai creditori futuri del disponente (salvo l’ipotesi estrema che venga dichiarato simulato).
- Se invece il trust è creato in prossimità temporale di debiti o dopo che essi sono insorti (es. dopo la notifica di un processo verbale di constatazione fiscale o di una cartella esattoriale), e ha carattere gratuito, i creditori (Agenzia delle Entrate Riscossione inclusa) potranno facilmente contestarlo come atto in frode ed esperire azioni per ottenerne l’inefficacia nei propri confronti (es. azione revocatoria). Inoltre, se lo scopo prevalente era defraudare il Fisco, la condotta può integrare gli estremi di reato tributario (sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte).
- Anche quando non vi sono debiti attuali, ma il trust è strutturato in modo meramente fittizio (ad esempio il disponente continua a disporre a suo piacimento dei beni come se il trust non esistesse), l’Agenzia delle Entrate potrebbe ignorare la forma giuridica e guardare alla sostanza economica, tassando i redditi come se appartenessero ancora al disponente o includendo i beni nel suo patrimonio imponibile. Questo sulla base del principio generale anti-elusivo dell’abuso del diritto (art. 10-bis Statuto del Contribuente, D.Lgs. 128/2015) e di consolidata giurisprudenza tributaria che privilegia la realtà effettiva sulle costruzioni artificiose.
In sintesi, il trust è uno strumento a doppio taglio: offre vantaggi legittimi di separazione patrimoniale e pianificazione, ma se utilizzato con intenti elusivi o fraudolenti può essere “disconosciuto” dal Fisco e attaccato dai creditori. Nei paragrafi seguenti analizzeremo dapprima come il nostro ordinamento tutela (entro certi limiti) la segregazione del trust dai creditori, e poi come l’Agenzia delle Entrate inquadra i trust ai fini fiscali (imposte indirette e dirette) e quali poteri ha in sede di accertamento per contrastarne eventuali abusi.
Trust e protezione del patrimonio: limiti e azioni dei creditori
Uno dei motivi principali per cui si istituisce un trust è la protezione del patrimonio: grazie alla segregazione, i beni conferiti nel trust sono destinati esclusivamente al fine stabilito e non rispondono dei debiti contratti dal disponente dopo la costituzione del trust. Ciò significa che un creditore del disponente non può pignorare direttamente un bene che ormai è intestato al trustee nell’ambito di un trust, poiché quel bene non è più di titolarità giuridica del debitore. Tuttavia, è fondamentale evidenziare che questa protezione non è assoluta: l’ordinamento prevede strumenti per evitare che il trust diventi un schermo impenetrabile dietro cui il debitore possa sottrarsi ingiustamente alle proprie obbligazioni.
Azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.)
Il primo e più tipico rimedio è l’azione revocatoria ordinaria, prevista dall’art. 2901 del Codice Civile, che consente ai creditori di far dichiarare inefficace nei propri confronti un atto di disposizione del patrimonio compiuto dal debitore in loro pregiudizio. La costituzione di un trust conferendo beni al trustee è a tutti gli effetti un atto di disposizione patrimoniale potenzialmente pregiudizievole per i creditori (in quanto sottrae quei beni alla garanzia generica ex art. 2740 c.c.). Dunque, se sussistono le condizioni previste dalla legge, i creditori (compresa l’Amministrazione finanziaria per i crediti tributari) possono esercitare la revocatoria.
I requisiti sono, in sintesi:
- Eventus damni: l’atto deve arrecare un pregiudizio alle ragioni del creditore (rendendo più difficile il soddisfacimento del suo credito). Il conferimento di beni in trust di solito soddisfa questo requisito, perché priva il debitore di beni aggredibili.
- Consilium fraudis: ossia l’intento fraudolento, la conoscenza del pregiudizio da parte del debitore e, se l’atto è a titolo oneroso, la partecipazione del terzo alla frode. Nel caso del trust, di solito si tratta di atto a titolo gratuito (il trustee non paga un corrispettivo al disponente per i beni ricevuti in trust). Per gli atti a titolo gratuito la legge richiede una condizione soggettiva attenuata: basta che il debitore (disponente) conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava ai creditori; non occorre provare la malafede del trustee. In pratica, se al momento in cui Tizio istituisce un trust a beneficio dei familiari egli aveva già dei debiti verso il Fisco (o altri creditori) scaduti o quantomeno conosceva l’eventualità concreta di futuri accertamenti, sarà presumibile il consilium fraudis.
Va notato che per i debiti già esistenti prima dell’atto, la conoscenza del debito e del potenziale danno è generalmente implicita. Per debiti futuri, la giurisprudenza richiede che vi fosse “dolo” anticipato (cioè l’atto è compiuto ad hoc in previsione di farsi maleabile al pagamento di quei debiti). Nel caso di crediti fiscali, ad esempio, se il trust è istituito dopo la notifica di un avviso di accertamento o durante una verifica fiscale già in corso, è quasi certo che l’Agenzia delle Entrate Riscossione potrà far valere la revocatoria provando che il debitore sapeva del debito (o del rischio concreto) e ha agito per pregiudicare il fisco.
L’effetto della revocatoria, se accolta dal tribunale civile, è che l’atto di costituzione del trust viene dichiarato inefficace verso il creditore agente. Ciò consente al creditore di pignorare i beni oggetto dell’atto come se fossero ancora intestati al debitore. In pratica, nel nostro contesto, l’Agenzia delle Entrate (o Agenzia Entrate Riscossione) potrà aggredire il bene nel patrimonio del trustee, recuperando il suo credito sul ricavato, come se il trust non ci fosse mai stato (solo nei suoi confronti, non erga omnes). Il trust continua a esistere per gli altri rapporti, ma cede il passo di fronte al creditore vittorioso in revocatoria.
È importante ricordare che la revocatoria va esercitata entro certi termini di decadenza: 5 anni dalla data dell’atto dispositivo. Inoltre, se il trust prosegue e i beni non sono ancora stati assegnati ai beneficiari, un creditore potrebbe agire anche oltre i 5 anni sull’atto di eventuale attribuzione finale (considerandolo un secondo atto dispositivo). Comunque, nella prassi l’Agenzia delle Entrate attiva le revocatorie il prima possibile quando fiuta situazioni del genere.
Azione revocatoria fallimentare (art. 64 e 66 L.F.)
Se il debitore viene dichiarato fallito (oggi si parla di liquidazione giudiziale nel Codice della Crisi), entrano in gioco le norme fallimentari. L’art. 64 R.D. 267/1942 (vecchia legge fallimentare, applicabile alle procedure aperte prima del 2022) e ora l’art. 166 D.Lgs. 14/2019 prevedono la inefficacia di diritto (automatica) degli atti a titolo gratuito compiuti nei due anni anteriori al fallimento. La costituzione di un trust con conferimento gratuito di beni rientra in questa previsione: se il disponente fallisce entro due anni dall’istituzione del trust, i beni possono essere acquisiti dalla massa fallimentare senza bisogno di dimostrare la frode. Il curatore fallimentare ha comunque l’onere di far dichiarare l’inefficacia al giudice delegato, ma non deve provare la malafede. Pertanto, per un imprenditore che avesse portato via beni in un trust e poi fallisse, la protezione del trust sarebbe nulla: i beni tornerebbero ai creditori concorsuali (questo per inciso vale per tutti gli atti gratuiti prefallimentari, trust compreso).
Inoltre, il curatore può usare l’art. 66 L.F. per esercitare l’azione revocatoria ordinaria in sede fallimentare, con termini e presunzioni più favorevoli, al fine di colpire trust costituiti anche oltre i due anni ma comunque lesivi per la massa.
Sequestro e confisca penale
Quando si profila l’ipotesi di reato tributario, come accade nel caso di trust usati per frodare il Fisco (si veda oltre la discussione sul reato di cui all’art. 11 D.Lgs. 74/2000), l’Autorità Giudiziaria può disporre misure cautelari reali. Ad esempio, qualora venga contestato al disponente il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, il pubblico ministero può chiedere e ottenere dal GIP il sequestro preventivo dei beni oggetto del trust, in vista di una possibile confisca. Il sequestro preventivo può colpire i beni nel patrimonio del trustee, considerandoli profitto o prezzo del reato (se si dimostra che il trust era lo strumento per commettere l’illecito). Nell’estratto di una recente sentenza si legge che nel caso di un imprenditore accusato ex art. 11 D.Lgs. 74/2000, è stato disposto il sequestro preventivo sia di somme che “dei beni costituenti il patrimonio destinato al trust Alfa” riconducibile al debitore. Questo mostra che, in sede penale, l’autorità non si fa scrupolo di “entrare” nel trust e bloccarne i beni se vi sono indizi di frode.
Un aspetto tecnico: essendo il trust privo di personalità giuridica propria, il pignoramento o sequestro di beni in trust va trascritto nei registri immobiliari a nome del trustee. La Cassazione ha ribadito che un pignoramento eseguito contro il “trust” anziché contro il trustee nominativo è giuridicamente inesistente. Quindi il creditore procedente deve indicare nell’atto esecutivo il trustee in carica come soggetto passivo, specificando che i beni sono quelli del trust. In una pronuncia del 2024, la Suprema Corte ha confermato la nullità di un pignoramento immobiliare trascritto con parte esecutata il “Trust X” invece del nome del trustee. Ciò non significa che i beni siano impignorabili, ma occorre seguire la corretta procedura formale: agire contro il trustee in quanto titolare del bene, eventualmente nominando in atti sia la sua qualità di trustee del trust designato.
Questa precisazione tecnica è particolarmente rilevante anche per l’Agenzia delle Entrate Riscossione: se intende iscrivere ipoteca o pignorare un immobile conferito in trust, dovrà notificare atti al trustee. Sul piano sostanziale, come detto, se il trust è opponibile (cioè non revocato o dichiarato simulato) il creditore in sede esecutiva individuale non può soddisfarsi, a meno che abbia vittoriosamente esperito la revocatoria: in tal caso l’atto dispositivo essendo inefficace, si considera quel bene come ancora del debitore ai fini dell’esecuzione del solo creditore attore.
Azione di simulazione o nullità del trust
Oltre alla revocatoria, un creditore (o il fisco) potrebbe tentare di far dichiarare il trust nullo o simulato per ragioni civilistiche, così da travolgerlo completamente. Ad esempio, si potrebbe sostenere che il trust sia “sham” (fittizio), cioè che dietro la parvenza del trust le parti in realtà non volevano creare un vero vincolo, ma volevano solo fingere un trasferimento dei beni mantenendone la disponibilità. La simulazione assoluta (se provata) renderebbe nullo il trust fin dall’origine, con l’effetto che i beni resterebbero considerati in capo al disponente. Tuttavia, la prova della simulazione non è semplice, specie per un terzo estraneo: servirebbero elementi evidenti che il trustee fosse un mero prestanome e che l’atto istitutivo del trust fosse solo una “sceneggiata”. In alcuni casi la giurisprudenza ha individuato indicatori di sham trust, ad esempio quando il disponente mantiene di fatto il controllo totale sul patrimonio come beneficiario unico e trustee allo stesso tempo, o quando può revocare arbitrariamente il trust, o ancora quando continua a utilizzare i beni come propri (es. riscuote i frutti, risiede nell’immobile conferito, ecc.) senza alcuna autonoma gestione del trustee. La Cassazione penale, ad esempio, ha definito come negozio giuridico simulato il “trust autodestinato” in cui “il disponente mantiene il controllo del fondo oppure ne può disporre come cosa propria”, affermando che tale trust configura un mezzo fraudolento verso i creditori. Sebbene questa affermazione fosse resa in ambito penale, riflette un principio applicabile anche civilmente: un trust dove il disponente rimane dominus indisturbato è di fatto nullo o inesistente agli effetti giuridici.
Per un creditore, far dichiarare nullo un trust potrebbe essere preferibile alla revocatoria (perché eliminerebbe il trust erga omnes, liberando i beni per tutti i creditori). Tuttavia, la strada della nullità è percorribile solo in casi circoscritti: ad esempio, se l’atto istitutivo manca di elementi essenziali, o persegue scopi illeciti, o vìola norme imperative (in dottrina si discute, ad esempio, se un trust interno totalmente gratuito e privo di scopo possa essere nullo per difetto di causa concreta). La Convenzione dell’Aja all’art. 15 lascia impregiudicate le norme imperative interne come quelle successorie: un trust che di fatto eluda i diritti dei legittimari potrebbe essere nullo in parte, ad esempio. Ma nel contesto “protezione dal Fisco”, tipicamente non si invocano profili di nullità quanto piuttosto l’abuso del diritto in ambito fiscale o, come visto, la revocatoria.
In conclusione, la costituzione di un trust può ostacolare i creditori solo fino a un certo punto. Il debitore deve essere consapevole che:
- Se il trust è fatto quando vi sono già debiti esigibili o in vista di imminenti accertamenti, le probabilità che venga attaccato con successo (revocatoria o sequestro) sono alte.
- Un trust istituito in tempi non sospetti offre maggiore tutela preventiva, ma se in seguito sopraggiungono debiti tributari molto ingenti, il fisco potrebbe comunque tentare la via penale (sostenendo che quell’atto, pur lontano nel tempo, era finalizzato a frodare lo Stato se le obbligazioni tributarie hanno natura continuativa, ad esempio).
- La buona fede e la finalità reale del trust saranno sempre scrutinati. Un trust con logica plausibile (es. tutela di un figlio disabile, passaggio generazionale di azienda) avrà più chances di resistere rispetto a un trust “anomalo” dove il disponente è allo stesso tempo unico beneficiario e magari anche trustee: quest’ultimo scenario suona come un mero tentativo di auto-protezione di beni senza cederne davvero il controllo, scenario fortemente a rischio di essere qualificato come mero schermo.
Nei prossimi capitoli affronteremo specificamente la prospettiva fiscale: come l’Agenzia delle Entrate tratta la creazione di un trust (sotto il profilo delle imposte indirette, cioè tasse di registro, successione e donazione) e come tassa i redditi prodotti dal trust o distribuiti ai beneficiari. Successivamente, analizzeremo come avviene un accertamento fiscale su un trust e quali strategie difensive il contribuente può adottare.
Il trust dal punto di vista fiscale: imposte indirette (donazioni e successioni)
La costituzione di un trust e i successivi trasferimenti di beni in esecuzione del trust sollevano delicati problemi di imposizione indiretta, in particolare riguardo all’Imposta sulle Successioni e Donazioni e alle imposte ipotecarie-catastali (in caso di immobili). L’evoluzione normativa e giurisprudenziale su questo tema è stata notevole negli ultimi anni, raggiungendo un punto di svolta con una recente riforma del 2024.
Evoluzione: dal D.L. 262/2006 ai principi giurisprudenziali
Per contestualizzare, ricordiamo che in Italia l’imposta sulle successioni e donazioni era stata abolita nel 2001 e poi reintrodotta nel 2006 (D.L. 262/2006 convertito con L. 286/2006). Nel reintrodurre l’imposta, il legislatore del 2006 inserì una previsione che ha dato origine a molte controversie: veniva tassata con aliquota fissa dell’8% la costituzione di “vincoli di destinazione” sui beni, concetto in cui vennero fatti rientrare anche i trust. L’interpretazione che ne diede l’Amministrazione finanziaria fu che l’atto di dotazione di un trust (cioè il conferimento dei beni dal disponente al trustee) fosse di per sé un presupposto d’imposta, distinto dalla successiva attribuzione ai beneficiari, applicando appunto l’aliquota dell’8% come fosse un atto “donativo” immediato verso un vincolo. Ciò significava, ad esempio, che Tizio disponente che mette un immobile in trust per i figli avrebbe dovuto pagare subito l’imposta di donazione come se avesse donato ai figli (o all’8% se beneficiari non parenti), calcolata sul valore del bene, anche se i figli ne avrebbero beneficiato solo magari anni dopo e in via non definitiva.
Questa impostazione è stata oggetto di contestazione sia dottrinale che giurisprudenziale: tassare un trasferimento al trustee (che non si arricchisce) appariva in contrasto col principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), mancando un reale arricchimento. Diversi contenziosi sono giunti in Cassazione e, con il tempo, la Suprema Corte ha cambiato orientamento, arrivando a stabilire un principio opposto a quello iniziale. Già con la Cass. 21614/2016 (citatissima) e molte pronunce del 2018-2021, si è affermato che il conferimento di beni in trust ha natura transitoria e strumentale, non comporta un arricchimento patrimoniale effettivo né un trasferimento definitivo di beni, e quindi non integra di per sé un presupposto per l’imposta di donazione. L’arricchimento si concretizzerà solo quando i beni usciranno dal trust verso i beneficiari finali. La Cassazione ha evidenziato che col trust manca l’“attribuzione patrimoniale stabile” richiesta perché si possa parlare di donazione tassabile. Conseguentemente, l’imposta sulle successioni e donazioni deve essere applicata solo al momento del trasferimento dei beni ai beneficiari finali e non al momento del conferimento iniziale al trustee.
Questa visione è stata consolidata da numerose sentenze, tra cui le recenti Cass. n. 2334/2024 e Cass. n. 5800/2023, 6080/2023 (entrambe di Febbraio 2023) e altre, che hanno tutte ribadito la neutralità fiscale dell’atto istitutivo e di dotazione del trust: sono atti “fiscalmente neutri” perché non realizzano un effettivo indice di ricchezza in capo ad un soggetto, e quindi vanno assoggettati solo ad imposta fissa (registro, ipotecaria e catastale in misura fissa) e non a imposta proporzionale. Solo l’atto finale di attribuzione dal trustee al beneficiario (quando il beneficiario acquista il bene e si arricchisce) sconta l’imposta proporzionale sulle donazioni, secondo il rapporto di parentela con il disponente originario e sulle franchigie previste.
Esempio: Se Tizio conferisce un immobile in un trust a favore del figlio Caio, pagando al conferimento solo imposte fisse, e dieci anni dopo il trustee trasferisce l’immobile a Caio, sarà in quel momento che Caio dovrà pagare l’imposta di donazione del 4% sul valore, con franchigia di 1.000.000 € (essendo figlio). Se fosse andato al nipote Sempronio, 4% con franchigia 100.000€, ecc. Se invece il trust termina e attribuisce i beni di nuovo al disponente (caso di trust auto-dichiarato senza beneficiari terzi), non c’è mai stata alcuna donazione e quindi nessuna imposta proporzionale sarà dovuta.
Va ricordato che se i beneficiari finali non sono determinati al momento del conferimento (trust discrezionale), non si poteva nemmeno sapere quale aliquota applicare: ulteriore argomento a favore della tassazione differita solo a beneficiari individuati.
Per qualche tempo l’Agenzia delle Entrate non ha condiviso tale impostazione e ha continuato a emettere avvisi di liquidazione richiedendo l’imposta al momento della dotazione, soprattutto seguendo il tenore letterale del D.L. 262/2006. Tuttavia, preso atto delle numerose sconfitte in Cassazione e per uniformare la prassi, l’Amministrazione ha finalmente cambiato rotta con la Circolare n. 34/E del 20 ottobre 2022. In essa l’Agenzia ha recepito la giurisprudenza consolidata, chiarendo che:
- Istituzione del trust e dotazione iniziale: atto neutro, imponibile solo in misura fissa (registro 200€, ipotecaria-catastale 200€ ciascuna per immobili, come per atti privi di trasferimento effettivo).
- Atto di attribuzione ai beneficiari: atto imponibile ai fini donazione/successione, con applicazione di aliquote e franchigie secondo il rapporto col disponente originario. In pratica, il disponente è equiparato al de cuis/donante; il beneficiario al donatario; il trustee funge da “tramite”.
- Trust “interposti” o nulli: se il trust è ritenuto inesistente sul piano fiscale (perché interposto: v. oltre), allora i beni formalmente del trustee sono considerati ancora del disponente. Ne deriva che, se il disponente muore, tali beni vanno inclusi nell’attivo ereditario ai fini dell’imposta di successione, come se il trust non esistesse. (Questo punto è cruciale: lo approfondiremo a breve separatamente.)
Questo allineamento di prassi ha anticipato una vera modifica normativa avvenuta nel 2024. Infatti, nell’ambito della delega per la riforma fiscale 2023, il Governo è intervenuto proprio sul Testo Unico Successioni e Donazioni per disciplinare espressamente la tassazione dei trust. Vediamo dunque il quadro attuale (luglio 2025) risultante da tale intervento.
La riforma del 2024: D.Lgs. 18 settembre 2024, n. 139
Con decorrenza 2025, è entrato in vigore il D.Lgs. 139/2024 (attuativo della Delega Fiscale 2023) che ha modificato il D.Lgs. 346/1990 (TUS, Testo Unico Successioni e Donazioni) introducendo l’art. 4-bis dedicato proprio a “Trust e altri vincoli di destinazione”. Questa norma conferma sostanzialmente l’orientamento della Cassazione: i trust rilevano ai fini dell’imposta solo se e quando determinano un arricchimento dei beneficiari. In particolare, dispone che:
- Presupposto d’imposta: “I trust e gli altri vincoli di destinazione rilevano ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni ove determinino arricchimenti gratuiti dei beneficiari.” L’imposta si applica al momento del trasferimento dei beni o diritti a favore dei beneficiari. Ciò sancisce nella legge che l’atto di dotazione iniziale non è di per sé tassato, ma solo l’atto finale di attribuzione.
- Aliquote e franchigie: sono quelle ordinarie previste dagli artt. 7 e 56 TUS, applicate in base al rapporto di parentela tra disponente e beneficiario (come se fosse una donazione diretta dal disponente al beneficiario). Quindi: 4% con franchigia 1.000.000€ a favore di coniuge e figli; 6% con franchigia 100.000€ per fratelli; 6% senza franchigia per parenti fino a IV grado e affini stretti; 8% altri soggetti. Per disabili gravi, franchigia 1.500.000€. Importante: se il trust attribuisce ai beneficiari cose diverse in tempi diversi, l’imposta si calcola sull’insieme come fosse una donazione unica? Il TUS fa cumulo per donazioni successive tra stesso donante e donatario. Occorrerà attenzione alla prassi attuativa (che potrebbe esigere il cumulo con altre eventuali donazioni del disponente a favore di quel beneficiario).
- Opzione per tassazione anticipata (“tassazione in entrata”): la vera novità è che il disponente (o il trustee nel caso di trust testamentario) può optare per pagare l’imposta subito, in occasione di ogni conferimento di beni nel trust (o all’apertura della successione, se trust istituito per testamento). In tal caso, si calcola la base imponibile e l’aliquota come se il trasferimento ai beneficiari avvenisse in quel momento. Se non si conosce esattamente chi saranno i beneficiari (es. trust discrezionale o beneficiari nascituri), si applica l’aliquota più alta (8%) e niente franchigie. Una volta pagata l’imposta anticipata, i successivi trasferimenti ai beneficiari della medesima categoria non scontano ulteriore imposta. Quindi, di fatto, si “pre-paga” la donazione. Non è però ammesso rimborso se poi i beneficiari effettivi fossero di categoria inferiore (è un rischio del pagare prima).
- Trust già esistenti: l’opzione per la tassazione anticipata è concessa anche ai trust istituiti prima dell’entrata in vigore (3 ottobre 2024). Sarà un provvedimento dell’Agenzia Entrate a stabilire le modalità pratiche (ad esempio, come comunicare l’opzione e calcolare l’imposta per i trust già pendenti).
- Conservazione di discipline speciali: viene esplicitato che resta ferma la disciplina speciale prevista dalla L. 112/2016 (“Dopo di Noi”) per i trust e vincoli destinati a persone con disabilità grave. Ricordiamo che quella legge esenta tali atti dall’imposta di donazione (oltre a dare esenzioni su imposte di registro) purché il trust soddisfi requisiti di beneficio esclusivo per il disabile e altri vincoli.
Questa riforma è molto significativa: in pratica codifica i principi elaborati dalla giurisprudenza, togliendo terreno alle dispute passate. Ora è chiaro che il trust “si tassa all’uscita” (salvo opzione per tassazione immediata). Ciò offre certezza sia ai contribuenti sia all’amministrazione. Il vantaggio dell’opzione anticipata è che magari si preferisce pagare un 4% subito su valori attuali, soprattutto se si prevede un forte aumento di valore dei beni in futuro o un irrigidimento delle aliquote (ad esempio, in molti ipotizzano che un futuro governo potrebbe aumentare le aliquote di successione; pagando ora, ci si mette al riparo da aumenti). Di contro, pagando subito e poi magari i beni tornassero al disponente o andassero a beneficiari esenti, l’imposta versata non si recupera.
Parallelamente, il D.Lgs. 139/2024 ha apportato modifiche coordinate: ad esempio ha chiarito che nella dichiarazione di successione devono essere inclusi anche i beni formalmente intestati a trust interposto in caso di morte del disponente. Questo, come accennato, recepisce la posizione già espressa in Circolare 34/E 2022 e in risposta ad interpello n. 176/2023: se il trust è considerato inesistente fiscalmente (perché il disponente lo controllava totalmente), quando muore il disponente i beni “in trust” non sfuggono all’imposta di successione ma vanno tassati come parte dell’eredità. L’Agenzia delle Entrate con la risposta 176/2023 ha rettificato una precedente risposta, affermando che la interposizione del trust rileva anche ai fini successori: se il trust era interposto, i beni segregati vanno inclusi nell’attivo ereditario del disponente defunto. Questo ha suscitato qualche critica in dottrina, poiché civilisticamente il trust esiste finché un giudice non lo dichiara nullo; ma ai soli fini fiscali l’Amministrazione si sente legittimata a ignorarlo se c’è stata interposizione accertata per i redditi. In altre parole, per il Fisco “finto per i redditi, finto per tutto”.
Ricapitolando la tassazione indiretta di un trust con una tabella:
Fase/Atto | Tassazione fino al 2022 (vecchia prassi AE) | Tassazione attuale (2025) |
---|---|---|
Costituzione del trust / conferimento beni al trustee | Imposta successioni/donazioni 8% (interpretazione su “vincolo di destinazione”), salvo aliquote diverse se beneficiari determinati+ Imposte ipotecarie/catastali proporzionali (2%+1% per immobili) | Nessuna imposta donazione (atto neutro) – solo imposte fisse registro (€200) e ipo-catastali (€200+200 per immobili). Opzione facoltativa per tassazione anticipata con aliquote ordinarie se si vuole pagare subito. |
Attribuzione dei beni ai beneficiari finali | (Secondo AE ante 2022, già tassato prima… ma Cassazione diceva tassare qui) | Imposta successioni/donazioni dovuta su valore dei beni attribuiti, con aliquote e franchigie in base a grado di parentela tra disponente originario e beneficiario. Se imposta già pagata anticipatamente (opzione), l’uscita è esente. Imposte ipo-catastali: se trasferimento a beneficiario è considerato attuazione di trust già tassato, potrebbero essere dovute in misura fissa o proporzionale a seconda dei casi (da verificare con prassi attuativa). |
Trust autodichiarato con disponente = beneficiario unico | (AE tendeva comunque a tassare 8%; Cass: non tassabile perché nessun arricchimento) | Nessuna imposta di donazione, né all’entrata né all’uscita (non c’è uscita verso terzi). Atto considerato privo di effetto traslativo reale, salvo imposte fisse. |
Trust “Dopo di Noi” (disabile grave) | Esenzione imposta donazione (se rispetta L.112/2016) | Confermato: esente sia conferimento che attribuzione ai sensi art. 6 L.112/2016 (solo imposte fisse). |
Nota: La tassazione anticipata (opzionale) introdotta nel 2024 prevede che al conferimento si paghi come se si stesse donando ai beneficiari finali noti o presunti. Esempio: Tizio pone 2 mln € in trust irrevocabile discrezionale per familiari. Se opta per tassazione ingresso, pagherà 4% su 2mln= €80k (aliquota coniuge/figli, supponendo i beneficiari siano i figli, franchigia 1mln per figlio: se 2 figli, ogni figlio si considera beneficiario di 1mln, franchigia esaurita, 4% su 0 eccedente? Da chiarire se si può spartire la base fra beneficiari noti per sfruttare franchigie. Il decreto dice “valore complessivo” e franchigie in base a rapporto col disponente al momento del conferimento, il che parrebbe escludere di poter applicare franchigia per ciascun figlio perché forse non individuati ancora. Si attendono istruzioni su questo dettaglio tecnico). Se non opta, nulla ora e imposta a uscita quando trustee darà ai figli, con valutazione allora.
Altre imposte indirette: registro, bollo, ipo-catastali
Oltre alla tassa di donazione, la costituzione di trust può comportare obblighi di registro e altri tributi. L’atto istitutivo di trust scritto e registrato sconta l’imposta di registro in misura fissa (attualmente €200) perché è atto privo di contenuto patrimoniale immediato. Se però contestualmente c’è un conferimento di immobili o titoli, tale conferimento può essere soggetto a registrazione come atto traslativo: qui è stato dibattuto se applicare imposta fissa o proporzionale. La Cassazione ha detto che, essendo atto strumentale, va in registro fisso. Stessa cosa per ipotecaria e catastale: in passato l’AdE le pretendeva al 2%+1%, ma ora, coerentemente col fatto che non c’è trasferimento definitivo ma solo segregazione, anche ipotecaria e catastale sono dovute in misura fissa per l’atto di dotazione (salvo il trust sconti prima casa? In realtà, se l’immobile conferito aveva goduto di agevolazione prima casa, trasferendolo in trust quell’agevolazione decade perché è come alienarlo, e la Cassazione ha detto che non consente al disponente di comprarne un altro con agevolazione, come vedremo più avanti). Dunque, per immobili conferiti in trust: €200 registro (se atto notarile, in genere lo è), €200 ipotecaria, €200 catastale. Quando poi l’immobile esce al beneficiario: nuovamente atto traslativo da tassare. La legge 139/2024 non l’ha specificato, ma in teoria quell’uscita dovrebbe essere registrata con imposta esente (perché soggetta a imposta successioni) o con registrazione gratuita ex art. 55 TUS. Il D.Lgs. 139 ha infatti modificato anche l’art. 55 TUS prevedendo l’esenzione da registro per atti soggetti a imposta successioni/donazioni, mantenendo ciò anche per trust (che ora lo sono al momento uscita).
Agevolazioni “prima casa”: un cenno particolare meritano le implicazioni del trust sulle agevolazioni prima casa. Se un immobile acquistato con i benefici prima casa viene trasferito in trust prima che siano passati 5 anni, ci si è chiesti se scattasse la decadenza con recupero imposte. La Cassazione, nella sentenza n. 24387 dell’11/09/2024, ha chiarito che conferire un immobile in trust equivale ad alienarlo, ai fini della decadenza dall’agevolazione prima casa. Inoltre, quella pronuncia ha escluso che il conferimento in trust renda l’ex proprietario “privo di altra abitazione” per poter acquistare una nuova casa con agevolazioni: la Corte ha detto che la proprietà “formale, strumentale e temporanea” in capo al trustee non toglie che il disponente risulti ancora titolare di un diritto economico, quindi non è un caso di impossidenza rilevante. In breve: non si può aggirare il vincolo che impedisce di avere due prime case agevolate trasferendo la prima in un trust – si perderebbe l’agevolazione sul primo immobile. Questo per dire che il trust, pur neutro come donazione, viene considerato come un trasferimento “provvisorio” ma pur sempre una forma di alienazione per questi aspetti.
Conclusione sulla fiscalità indiretta
Dal punto di vista di un debitore che istituisce un trust, la fiscalità indiretta presenta quindi oggi meno incognite di un tempo: non c’è più il rischio di un immediato accertamento dell’Agenzia delle Entrate per imposta di donazione sul conferimento in trust (come poteva avvenire in passato). Tuttavia, bisogna tenere presente che:
- Se il trust è genuino e i beneficiari riceveranno i beni in futuro, il conto fiscale arriverà a quel momento: bisogna prevedere la liquidità per farvi fronte.
- Se il trust è fittizio (interposto), l’Agenzia delle Entrate potrebbe invece anticipare la tassazione trattando i beni come ancora del disponente (ad esempio includendoli in successione come visto, o contestando una donazione indiretta immediata ai beneficiari se li considera titolari sostanziali già ora, anche se in genere preferisce la strada dell’interposizione e tassazione in capo al disponente stesso).
- L’opzione di tassazione in entrata può essere valutata: un debitore molto lungimirante potrebbe decidere di pagare subito l’imposta per evitare che in futuro i beneficiari si trovino un grosso esborso. Ma in contesti di protezione patrimoniale, spesso la liquidità è problema, quindi si tende a rimandare.
- Atti esenti: nel caso di trust in favore di disabile grave, come detto, non c’è imposta di donazione né all’inizio né alla fine purché rispetti L.112/2016 (che pone vincoli di destinazione molto stringenti – es. beneficiario disabile unico beneficiario effettivo vita natural durante, eventuale residuo a ente non profit, ecc.). Dunque questo è un uso del trust espressamente incoraggiato dal legislatore.
Dopo le imposte indirette, ora affrontiamo l’altro grande capitolo: la fiscalità diretta del trust, ovvero come vengono tassati i redditi prodotti dal trust e quali sono i criteri utilizzati dall’Agenzia delle Entrate in sede di accertamento per attribuire tali redditi eventualmente al disponente o ai beneficiari.
Il trust e la fiscalità diretta: redditi e accertamenti dell’Agenzia delle Entrate
Ai fini delle imposte sui redditi, i trust possono assumere configurazioni differenti con trattamenti fiscali peculiari. La materia è complessa, ma possiamo sintetizzare i principi base e poi esaminare come l’Agenzia delle Entrate gestisce gli accertamenti in casi critici (trust esteri, trust interposti, ecc.).
Il trust come soggetto passivo IRES
La normativa fiscale italiana (TUIR, D.P.R. 917/1986) include espressamente i trust tra i soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società (IRES). In particolare l’art. 73, comma 1, considera soggetti all’IRES:
- alla lett. b) i trust residenti commerciali;
- alla lett. c) i trust residenti non commerciali (quelli che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale);
- alla lett. d) i trust non residenti che producono redditi in Italia.
Questo implica che un trust fiscalmente residente in Italia (criteri: sede amministrazione o oggetto principale in Italia, o eventualmente trust istituito in paradiso fiscale con disponente e beneficiario italiani -> presunzione di residenza ai sensi DL 78/2009) deve dichiarare e pagare IRES sui redditi ovunque prodotti. Per contro, un trust non residente è tassato in Italia solo sui redditi di fonte italiana (salvo particolari previsioni anti-elusive per trust in paradisi fiscali, vedi oltre).
Tuttavia, la legge distingue ulteriormente due categorie di trust ai fini della trasparenza fiscale (art. 73 comma 2 TUIR):
- Trust “trasparenti”: sono i trust in cui i beneficiari di reddito sono individuati nell’atto istitutivo o da successiva determinazione. In questi casi, i redditi del trust non vengono tassati in capo al trust, ma direttamente in capo ai beneficiari per trasparenza, come redditi di capitale percepiti (anche se non effettivamente distribuiti).
- Trust “opachi”: sono trust senza beneficiari di reddito individuati, ad esempio trust discrezionali in cui il trustee decide se e a chi erogare i redditi, oppure trust con beneficiari solo finali ma non dei redditi correnti. In tal caso il trust stesso è soggetto passivo IRES e paga le imposte sui redditi che genera, accumulandoli. Eventuali successivi distribuzioni di utili ai beneficiari saranno tassate come redditi di capitale per questi ultimi (similmente a dividendi provenienti da enti soggetti a IRES).
In pratica, un trust trasparente “passa” i redditi ai beneficiari: se un trust trasparente residente genera 10 di reddito, non paga IRES ma attribuisce 10 ai beneficiari, i quali li dichiarano nei loro redditi (categoria redditi di capitale ex art. 44 comma 1 lett. g-sexies TUIR). Se i beneficiari sono più d’uno, il reddito si imputa secondo le percentuali previste nell’atto istitutivo, o in mancanza, in parti uguali. Se invece è un trust opaco, quel reddito 10 viene tassato con IRES (attualmente 24%) dal trust. Se in un secondo momento il trust opaco distribuisce ai beneficiari, per questi sarà un dividendo (se già tassato, di norma esente al 95% se beneficiario società, o soggetto a imposta sostitutiva 26% se persona fisica a seconda dei casi, ma dettagli oltre scopo; tuttavia, il TUIR prevede una norma ad hoc: art. 44 lett. e) che considera reddito di capitale gli utili distribuiti da enti soggetti IRES, trust inclusi, ai beneficiari non individuati in origine).
Trust esteri: se un trust è non residente ma ha beneficiari residenti in Italia, occorre considerare possibili norme anti-elusive. In particolare, la Circolare 34/E 2022 e la risposta AE 267/2023 hanno chiarito che:
- Un trust estero trasparente (beneficiari individuati residenti) –> i beneficiari residenti devono dichiarare per trasparenza il reddito prodotto dal trust, anche se non distribuito, proporzionalmente alla loro quota. Questo in base all’art. 73 comma 2 TUIR richiamato per trust non residenti trasparenti.
- Un trust estero opaco –> se è localizzato in un Paese a fiscalità privilegiata (black list), scatta l’art. 44 comma 1 lett. g-sexies TUIR: qualsiasi attribuzione di redditi dal trust opaco estero paradisiaco a beneficiari residenti è tassata in capo a questi ultimi, indipendentemente dal requisito di territorialità. Anzi, la norma è interpretata nel senso che i beneficiari residenti di trust opaco paradisiaco devono dichiarare ogni anno come reddito di capitale il reddito complessivo prodotto dal trust proporzionalmente, anche se non distribuito. È una forma di penalizzazione per i trust in tax havens: i redditi si considerano automaticamente attribuiti ai beneficiari (questa è un’estensione anti-abuso).
- Se il trust estero opaco non è in Paese black list, i beneficiari residenti dichiareranno eventuali somme solo quando distribuite, come dividendi ex art. 44 lett. e) TUIR.
A ciò si aggiunge l’obbligo di monitoraggio fiscale (Quadro RW): i beneficiari di trust esteri (anche solo potenziali, se discrezionali? su questo c’è dibattito) e i disponendi di trust esteri possono avere obbligo di dichiarare nel proprio Quadro RW del modello Redditi gli investimenti esteri di cui sono titolari effettivi. La Circolare 34/E ha fornito chiarimenti: un trust opaco con beneficiari meramente eventuali –> il titolare effettivo secondo norme antiriciclaggio di solito include il disponente fintanto che può influenzare, altrimenti i beneficiari se determinati. Se un beneficiario è certo (ha diritto acquisito al patrimonio o redditi), questi deve dichiarare pro quota il valore delle attività estere in trust ai fini IVAFE/IVIE. Se beneficiari solo eventuali, appare non richiesto RW (ma il trustee estero dovrebbe comunicare etc.). Ad ogni modo, il monitoraggio esula dal nostro focus ma va menzionato che trust esteri non correttamente dichiarati possono portare a sanzioni severe.
Interposizione fiscale del trust: trust come “schermo” trasparente
Il concetto chiave che l’Agenzia delle Entrate utilizza quando ritiene un trust abusivo è quello di interposizione. Un trust interposto significa che, pur esistendo formalmente, viene considerato inesistente agli occhi del Fisco: i beni e i redditi del trust sono imputati direttamente al soggetto interponente (di solito il disponente), bypassando il trust.
La circolare 34/E (2022) e la prassi connessa hanno elencato situazioni tipiche in cui un trust è da considerare inesistente perché interposto:
- Quando il disponente mantiene poteri tali da vanificare l’effettiva autonomia del trustee. Ad esempio: se il disponente può revocare il trustee liberamente, o modificare i beneficiari a piacimento, o se ha poteri di indirizzo vincolanti su investimenti e disinvestimenti.
- Quando un beneficiario ha diritti di controllo equiparabili (ma di solito il beneficiario finché non riceve non ha poteri, a meno che sia anche guardiano con ampi poteri).
- Trustee “testa di legno”: se il trustee ha poteri solo di facciata e di fatto esegue sempre le istruzioni occulte del disponente.
- Trust autodichiarato con beneficiari il disponente stesso o suoi aventi causa e nessun effettivo trasferimento di poteri.
- In generale, quando “il potere gestionale e dispositivo del trustee risulti limitato o condizionato dalla volontà del disponente e/o dei beneficiari”.
In tali casi, l’Agenzia considera i redditi prodotti dal trust come direttamente conseguiti dal disponente (se è lui l’interponente) e li tassarà in capo a lui (di solito come redditi diversi o di capitale a seconda della natura). Parimenti, i beni in trust sono considerati nella disponibilità del disponente.
Un esempio pratico di approccio AE: Risposta a interpello 796/2021 (richiamata nella Risposta 176/2023) – l’Agenzia esaminò un trust familiare e concluse che era “non validamente operante sotto il profilo fiscale” perché il trustee non aveva reale autonomia, essendo i beneficiari (tramite un guardiano) in grado di controllarlo strettamente. Conseguenza: i redditi del trust furono imputati al disponente (che in quel caso era vivo). Quando poi il disponente morì, originariamente AE (Risposta 359/2022) aveva detto: ai fini successione il trust va ignorato solo per i redditi, quindi i beni erano fuori dall’asse ereditario. Ma poi con la Circolare 34/2022 e la successiva Risposta 176/2023 ha cambiato idea, dicendo: se un trust è interposto, lo è a tutti gli effetti fiscali, quindi i beni vanno considerati nell’attivo ereditario.
Questo aspetto è molto rilevante: un disponente-debitore che pensa di usare un trust ma continua a gestire tutto come prima, si troverà con un trust fiscalmente ignorato. Dunque:
- Redditi: l’Agenzia può emettere un avviso di accertamento imputando al disponente eventuali redditi non dichiarati originati dal trust. Ad esempio, se il trust percepisce affitti o realizza plusvalenze vendendo un immobile, e il trust non ha pagato IRES (magari pensando di essere un soggetto distinto), l’Agenzia può contestare al disponente l’omessa dichiarazione di quei redditi come suoi personali. Ciò comporta imposte, sanzioni e interessi a suo carico.
- Imposte patrimoniali: se il trust possiede immobili, l’Agenzia potrebbe ritenere dovuta l’IMU dal disponente (anche se in verità l’IMU la paga comunque il possessore, che è il trustee, secondo le regole IMU; su questo punto l’interposizione non cambia molto la sostanza).
- Successione: come visto, se il disponente muore, l’Agenzia pretenderà l’imposta di successione sui beni come se fossero eredità (cosa che magari sorprende gli eredi se pensavano di non doverla perché c’era un trust).
Trust esteri e residenza fittizia: il caso dell’esterovestizione del trust
Un capitolo peculiare è quello dei trust esteri usati per schermare redditi italiani. Un imprenditore italiano potrebbe essere tentato di costituire un trust in una giurisdizione a bassa fiscalità (ad esempio nei Caraibi o anche semplicemente UK, Malta, ecc.) e trasferirvi partecipazioni di società italiane, pensando di far “atterrare” i dividendi in un soggetto estero non tassato in Italia. Questa operazione però è da anni nel mirino del Fisco, che contesta spesso la esterovestizione del trust, ovvero l’asserita residenza estera viene smentita riconoscendo che la gestione effettiva è in Italia (art. 73 TUIR criteri di prevalenza della sede amministrativa). Inoltre, come già accennato, se il trust ha disponente e beneficiari italiani ed è situato in un Paese non cooperativo, la legge presume addirittura che sia residente in Italia (salvo prova contraria).
Una recentissima Sentenza della Cassazione, n. 9096 del 7 aprile 2025, ha affrontato un caso emblematico di trust estero usato per elusione fiscale. In quel caso un imprenditore aveva trasferito le azioni di una società italiana in un trust costituito nel Regno Unito (con holding svizzera interposta), con l’intento di far risultare i cospicui dividendi come percepiti all’estero e non tassarli in Italia. La Corte ha evidenziato che di fatto l’imprenditore continuava a controllare sostanzialmente il patrimonio, impartendo istruzioni al trustee da dietro le quinte. Pertanto, ha dichiarato la natura fittizia del trust estero e l’ha disconosciuto, confermando la legittimità degli accertamenti dell’Agenzia che avevano recuperato a tassazione in Italia quei redditi. Il principio è: la residenza fiscale effettiva e la titolarità sostanziale dei redditi prevalgono sulla forma giuridica. Se il trust estero è un guscio vuoto e il controllo rimane in capo al contribuente italiano, il Fisco considererà quei redditi come prodotti da un soggetto residente (il contribuente stesso o un trust esterovestito). Il contribuente in questione non è riuscito a convincere la Corte della genuinità della struttura, anche perché le sue difese erano generiche e non supportate da evidenze solide.
Questo caso, assai istruttivo, mostra che oggi i controlli sono molto efficaci nell’individuare schemi di elusione internazionale. L’Agenzia delle Entrate utilizza scambi di informazioni, data analysis e normative anti-abuso per vedere oltre lo schermo. Il rischio per il contribuente è di trovarsi non solo a pagare le imposte dovute in Italia, ma anche pesanti sanzioni e possibili implicazioni penali (se, ad esempio, non ha dichiarato investimenti esteri o ha omesso di dichiarare redditi per importi rilevanti, integrando reati di omessa dichiarazione o infedele dichiarazione in caso di superamento soglie penali).
Accertamento fiscale su un trust: tipologie e difesa
Quando l’Agenzia delle Entrate “accende un faro” su un trust, può farlo sotto vari profili. Ecco i principali tipi di accertamento che possono riguardare un trust e alcuni strumenti difensivi possibili:
- Accertamento in materia di imposta di donazione/successione: dopo la riforma del 2024, è meno probabile un accertamento contestante imposta non pagata al conferimento, salvo casistiche pregresse. Può accadere però che per trust creati prima del 2022, l’Agenzia abbia liquidato l’8% e il contribuente non abbia pagato: se il contenzioso è pendente, oggi la difesa si fonda sulle pronunce Cassazione e sull’art. 4-bis TUS nuovo. Quindi il contribuente potrà far valere che la pretesa è illegittima perché l’atto non era imponibile. Difesa: citare Cass. 2334/2024 e simili, nonché lo stesso D.Lgs. 139/2024 che ha confermato quell’impianto, sostenendo magari che lo spirito della norma va applicato anche retroattivamente in quanto interpretazione autentica (anche se formalmente no). Se invece l’accertamento riguarda l’omessa inclusione di beni di un trust interposto nella dichiarazione di successione del disponente (scenario risposta 176/2023), la difesa del contribuente potrebbe sostenere che il trust era valido e opponibile e che la tesi AE è forzata. Tuttavia, essendo ora scritta in normativa (modifiche all’art. 8 TUS), sarà difficile contestare: o si dimostra che il trust non era interposto (e quindi i beni non andavano dichiarati perché realmente fuori patrimonio del defunto) – ma se AE già lo considera tale, vuol dire che in vita c’era già stata contestazione sui redditi – oppure occorrerà pagare.
- Strumento difensivo procedurale: in campo di imposte indirette, di solito l’Agenzia emette avvisi di liquidazione. Ci si può opporre con ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (nuova denominazione delle Commissioni Tributarie) entro 60 giorni. È bene allegare tutta la documentazione del trust, le eventuali sentenze di legittimità a favore, e sostenere l’assenza di presupposto.
- Se la pretesa fiscale è molto risalente e ormai i termini di decadenza sono trascorsi, verificare se l’avviso è stato tempestivo o no (i termini per donazione sono 5 anni dalla registrazione dell’atto, prorogabili in caso di sospensione Covid ecc.).
- Conciliazione o mediazione: per valori fino a €50.000 è obbligatorio il tentativo di mediazione tributaria; l’Agenzia in questi casi potrebbe oggi essere propensa a riconoscere la fondatezza del contribuente se l’avviso era su base vecchia prassi, e magari annullare in autotutela.
- Accertamento su redditi del trust imputati al disponente (trust interposto): qui lo scenario tipico è un avviso di accertamento IRPEF a carico del disponente, in cui l’Agenzia ridetermina il reddito imponibile sommando redditi che in realtà erano stati dichiarati (o non dichiarati) dal trust separatamente. Ad esempio, il trust aveva venduto un immobile nel 2022 con plusvalenza €100k e non ha pagato IRES (magari perché trust opaco in perdita o residente estero), l’Agenzia può contestare a Tizio disponente il non aver dichiarato €100k di “redditi diversi” da cessione immobile (o redditi di capitale) nel 2022. La difesa del contribuente consiste nel contestare l’assenza di interposizione: ovvero nel dimostrare che il trust era vero, che il trustee operava indipendentemente, che il disponente non poteva disporre come proprietario dei beni. Prove: esibire l’atto istitutivo che mostra l’irrevocabilità, le lettere con cui il disponente chiedeva al trustee decisioni (se esistono e mostrano indipendenza), eventuali report del trustee. Se il trust era amministrato da un trust company indipendente con scelte di investimento autonome, evidenziare questo. Spesso l’Agenzia basa l’interposizione su elementi come la coincidenza disponente-trustee, la mancata autonomia gestionale ecc. Se, ad esempio, il disponente e il trustee coincidono (trust autodichiarato) ed egli ha anche beneficiari i figli ma lui gestiva tutto, è arduo far credere che non fosse interposto. Se il trust ha un trustee professionale e decisioni documentate, la difesa è più forte.
- Strumento difensivo procedurale: anche qui ricorso alla Corte Tributaria. Si può inoltre chiedere il contraddittorio endoprocedimentale (se non è stato attuato): per accertamenti basati su abuso del diritto, è obbligatorio un contraddittorio anticipato (invito a comparire). Se l’Agenzia non lo ha fatto, potrebbe essere vizio procedurale (in base a giurisprudenza, la mancata attivazione del contraddittorio su temi in cui è obbligatorio comporta nullità dell’atto).
- Nella difesa di merito, citare magari la Risoluzione 425/E/2008 la quale elenca i criteri per trust trasparenti (beneficiari con diritto certo ai redditi = non c’è discrezionalità trustee né condizione sospensiva). Se il vostro trust era invece discrezionale, l’Agenzia non può dire che i beneficiari avessero diritto immediato ai redditi salvo propenda per interposizione totale in capo a disponente.
- Fare leva sul fatto che l’Agenzia stessa, in molti casi, riconosce i trust come validi e ha fornito linee guida (Circ. 34/E) per tassarli correttamente: se il vostro trust rientra nello schema di quelle regole, sottolinearlo. L’interposizione va provata dall’amministrazione: evidenziare se le prove sono deboli.
- Accertamento per omessa dichiarazione investimenti esteri (monitoraggio): se il trust è estero e il contribuente era tenuto al RW ma non l’ha compilato, l’Agenzia può contestare violazioni (sanzioni dal 3% al 15% del valore non dichiarato, raddoppiate in black list). Difesa: dimostrare che il contribuente non era titolare effettivo o aveva interpretazione ragionevole di non dover dichiarare. Spesso conviene avvalersi di definizioni agevolate (lo Stato ha talvolta fatto “voluntary disclosure” ecc.). Questo è un campo tecnico: vale la pena consultare esperti di fiscalità internazionale.
- Accertamento IVA o imposte indirette su atti del trust: raramente un trust genera questioni IVA se non fa attività d’impresa. Però, ad esempio, se un trust cede un immobile, potrebbe esserci imposta di registro (gestita già citata) o IVA se era bene merce in una ditta conferita? In linea di massima, un trust che non svolge impresa non è soggetto IVA.
- Rettifica di residenza fiscale: in casi come l’esempio di trust estero, l’Agenzia può emettere un accertamento dichiarando il trust residente in Italia e dunque imponibile su tutti i redditi esteri non dichiarati. Difesa: provare che l’amministrazione effettiva era davvero all’estero (riunioni trustee all’estero, trustee indipendente, decisioni prese fuori dal territorio, etc.). Sono casi complicati e spesso il confronto finisce in Cassazione se ci sono molti soldi in ballo (come nel caso Ferraris sopra menzionato).
- Accertamento sintetico ai beneficiari: ipotizziamo che un beneficiario persona fisica riceva 200.000 € da un trust opaco estero e non li dichiari credendo non imponibili (magari erano utili già tassati dal trust estero). L’Agenzia potrebbe fare accertamento come reddito di capitale non dichiarato (o anche redditometro se spesi in consumi). Difesa: vedere convenzioni contro doppie imposizioni se c’è un credito d’imposta, oppure sostenere che quell’importo era capitale (restituzione apporto?), ma se appare come distribuzione di utili la legge lo considera reddito di capitale. Occorre in tal caso una pianificazione: se il trust è estero non black list e ha pagato tasse, bisognerebbe vedere se l’utile distribuito può godere di qualche esenzione. Spesso no per persone fisiche: distribuzioni da trust opachi esteri sono soggette a imposta sostitutiva 26% in Italia (come utili da soggetto estero). Quindi il beneficiario rischia quell’imposta, oltre sanzioni per omessa dichiarazione.
Strumenti generali di difesa negli accertamenti fiscali:
- Autotutela: prima di fare ricorso, se l’accertamento è palesemente errato (es: Agenzia non applica nuova legge o ignora una sentenza di Cassazione su caso identico), si può presentare istanza di autotutela chiedendo l’annullamento. L’ufficio raramente annulla se non in casi eclatanti, ma tentar non nuoce e interrompe i termini? (Attenzione: l’istanza di autotutela non sospende i termini per ricorrere, quindi va fatta contestualmente al predisporre ricorso).
- Accertamento con adesione: è possibile nel caso di avvisi di accertamento (specie IRPEF). Consente di discutere col fisco e magari ottenere una riduzione di sanzioni o imponibile. Nel trust interposto, difficile che AE “ceda” sulla questione di principio, ma potrebbe transare su importi (es. ridurre imponibili contestati accettando prova di spese deducibili del trust). Presentare istanza di adesione entro 60 giorni proroga termini di ricorso di 90 giorni, utile per guadagnare tempo e dialogare.
- Sospensione della riscossione: se l’accertamento comporta importi da pagare e si impugna, si può chiedere al giudice tributario la sospensione dell’esecuzione (dimostrando rischio di danno grave e fondati motivi).
- Consulenza tecnica: in casi complessi (es. determinazione di redditi trust estero) si può chiedere CTU, ma raramente accolta in tributario, essendo questioni legali più che di fatto.
Profili penali: il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte
Dal punto di vista del debitore fiscale, è imprescindibile toccare l’aspetto penale. L’art. 11 D.Lgs. 74/2000 punisce con la reclusione chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte dovute o di sanzioni, alieni simulatamente o compia atti fraudolenti sui propri o altrui beni idonei a rendere inefficace la riscossione coattiva. Ebbene, la costituzione di un trust può integrarsi in questa fattispecie quando avviene con intento fraudolento. La Cassazione ha chiarito che anche un atto formalmente lecito come un trust può costituire atto fraudolento se fatto in presenza del debito fiscale e allo scopo di ostacolarne il recupero.
Una sentenza recente, Cass. pen. n. 13844/2024, riguardava proprio un trust istituito dopo l’accumulo di un ingente debito IVA/Irpef. Il trust era autodestinato (disponente-trustee coincidenti, beneficiari schermo) e accompagnato da altre interposizioni (società prestanome). La Corte ha affermato il principio secondo cui “la costituzione di un trust auto-destinato finalizzato a sottrarre beni all’Erario integra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”, sottolineando che l’effetto segregativo del trust richiede un’azione giudiziale per essere rimosso (es. revocatoria), complicando il recupero coattivo e dunque rientra tra gli “atti fraudolenti” volti a ostacolare il Fisco. In tale caso, oltre al sequestro dei beni nel trust come visto, è arrivata la condanna penale.
Per un debitore ciò significa che abusare del trust in presenza di debiti fiscali può portare non solo a perdere i beni (via revocatoria o sequestro), ma anche a finire sotto processo penale. I presupposti del reato sono: un debito fiscale esigibile (anche non definitivo, basta un avviso di accertamento, e se superiore a una soglia modesta, attualmente €50.000 di imposte) e un atto idoneo a ostacolare la riscossione. La “simulazione” di cui parla la norma ricomprende anche l’intestazione a terzi fiduciari, quindi il trust fasullo vi rientra. La punibilità prescinde dal fallimento dell’ente (non è bancarotta, è reato a sé stante).
Difesa in ambito penale: chi si trovasse indagato per questo potrebbe difendersi cercando di dimostrare che:
- Il trust era istituito per motivi genuini, non con intento fraudolento (ad es. fu istituito prima che emergesse il debito, o per altra causa).
- Oppure che comunque il creditore erariale non è stato pregiudicato (ad esempio perché i beni erano già gravati da ipoteca a favore dell’Erario quindi il trust non ha peggiorato la posizione del Fisco, argomento tentato nel caso sopra ma respinto).
- O ancora, attaccare la qualificazione di “simulazione”: se il trust era reale e opponibile, sostenere che non c’è simulazione, anche se questo può aggravare sul lato civile ma scagionare penalmente (difficile linea, in quanto la norma parla anche di “altri atti fraudolenti”, non serve la simulazione classica, basta l’idoneità ingannatoria).
In ogni caso, la prevenzione è la miglior difesa: è altamente sconsigliabile istituire trust quando si hanno pendenze fiscali significative non risolte. Se lo si fa, occorre essere pronti a fronteggiare un possibile scenario penale oltre che fiscale. Dal punto di vista del consulente, va avvertito il cliente di questi rischi.
Casi pratici e simulazioni
In questa sezione presentiamo alcuni scenari pratici per illustrare come funzionano i meccanismi discussi in situazioni concrete tipiche, assumendo sempre il contesto normativo italiano.
Caso 1: Trust familiare istituito in bonis e successivo problema fiscale
Tizio, benestante imprenditore, nel 2018 (quando la sua situazione fiscale è regolare) istituisce un trust irrevocabile conferendo alcuni immobili e titoli, a beneficio futuro dei figli. Nel 2025 Tizio riceve un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate per un’imposta IRPEF evasa su redditi 2020, del valore di €300.000, che non è in grado di pagare integralmente. Tizio teme che l’Agenzia Entrate Riscossione voglia escutere il suo patrimonio. Si chiede se i beni nel trust sono al sicuro.
- Analisi: Poiché il trust è stato istituito quando non c’era ancora il debito fiscale, non può configurarsi reato né revocatoria (il debito è successivo, e l’atto è anteriore di più di 5 anni per giunta). I beni in trust non sono intestati a Tizio, quindi non sono pignorabili direttamente per quel debito di Tizio. L’Agenzia Entrate Riscossione potrà aggredire altri beni rimasti a Tizio, ma non gli immobili nel trust (salvo tentare approcci creativi). Potrebbe tuttavia iscrivere ipoteca legale sugli immobili del trust? No, perché il debitore iscritto non è proprietario. Potrebbe iscrivere ipoteca giudiziale se ottiene titolo contro il trustee come interposto? Dovrebbe prima far dichiarare il trust interposto, cosa non immediata.
- Possibili azioni del Fisco: Potrebbe ipotizzare che il trust in realtà è interposto e che Tizio ne abbia disponibilità. Ma se Tizio ha rispettato la forma e non ne ha più goduto, la posizione del Fisco è debole. Più realisticamente, il Fisco aspetterà eventuali distribuzioni dal trust ai figli: se accadranno quando Tizio avrà ancora debiti, potrebbe aggredirle come atti di liberalità compiuti “a danno del creditore Erario” e fare revocatoria su quell’atto di dotazione ai figli.
- Conclusione: I beni conferiti nel trust familiare genuino di Tizio sono temporaneamente protetti dalle pretese fiscali. Tizio dovrà comunque far fronte con altri mezzi al debito fiscale, ma almeno il patrimonio destinato ai figli è segregato. Consapevole di ciò, Tizio decide di non intervenire sul trust (revocarlo non potrebbe comunque perché irrevocabile). I figli un domani riceveranno i beni (magari pagando l’imposta di donazione all’uscita), ma i creditori di Tizio nel frattempo non hanno potuto toccarli.
Caso 2: Trust autodichiarato e pignoramento
Caio, professionista, nel 2023 istituisce un trust autodichiarato: egli stesso è trustee e beneficiario a vita dei redditi, beneficiari finali i nipoti. Nel 2024, Caio subisce un pesante controllo fiscale che porta a un avviso di accertamento per €500.000, divenuto definitivo. L’Agente della Riscossione notifica il pignoramento immobiliare di un appartamento che Caio aveva conferito nel trust (e risulta ora intestato a “Caio trustee del Trust XYZ”). Per errore, nell’atto di pignoramento il debitore esecutato è indicato come “Trust XYZ, in persona di Caio trustee”. Caio si oppone esecutivamente contestando la regolarità formale.
- Analisi: Come evidenziato, il pignoramento contro un soggetto giuridicamente inesistente (il trust) è viziato. Andava indicato Caio come esecutato. Il giudice dell’esecuzione potrebbe dichiarare nullo il pignoramento. Tuttavia, l’errore è emendabile e l’Agente potrà riproporre correttamente l’azione.
- Sostanza: Siccome Caio è trustee e anche beneficiario, l’Erario avrà buon gioco a sostenere che il trust è fittizio (in effetti Caio non si è spogliato dei beni in sostanza). Quindi, anche se Caio blocca il primo pignoramento per vizio formale, il creditore potrebbe rifarlo subito indicando Caio come soggetto e l’immobile (citando che è in trust). Oppure promuovere un’azione di simulazione sostenendo che Caio non ha mai voluto privarsi del bene (il trust autodichiarato con beneficiario se stesso appare come auto-destinazione revocabile).
- Esito probabile: Caio perderà l’immobile: o per via di una dichiarazione di inefficacia (revocatoria? qui è atto gratuito post debito… se trust 2023 e debito sorto dopo, strano… però se controllo iniziato prima?), oppure per una confisca penale se scatta art.11. In ogni caso, un trust autodichiarato non protegge efficacemente i beni dal Fisco, specie se Caio ne resta fruitore. Caio avrebbe dovuto nominare un trustee terzo e non riservarsi utilità.
Caso 3: Trust estero e redditi non dichiarati
Sempronio, residente italiano, nel 2019 trasferisce 1 milione di euro a un trust alle Bahamas, con trustee una fiducia locale. Beneficiario indicato: Sempronio stesso discrezionalmente e poi i suoi eredi. Nel 2025 l’Agenzia delle Entrate gli contesta di non aver dichiarato nel 2020-2021 i redditi finanziari generati dal trust (circa €50.000 di interessi e dividendi), che risultano da info scambiate con l’estero. Inoltre, di non aver indicato in RW l’attività estera.
- Profilo redditi: Trattandosi di trust opaco in paradiso fiscale, l’art. 44 co.1 lett. g-sexies TUIR impone di imputare a Sempronio i redditi del trust indipendentemente dalla distribuzione. L’Agenzia chiede IRPEF su €50.000 (aliquota max 43%), più sanzioni del 90% per omessa dichiarazione di redditi esteri. Sempronio potrebbe difendersi dicendo che non sapeva, ma la norma c’è. Se Sempronio sostiene che il trust è entità separata, l’Agenzia replicherà che essendo in paese black list, la legge presume l’interposizione. L’unica sarebbe dimostrare che il trust è invece residente altrove o che i beneficiari non erano identificabili (ma lui stesso era di fatto beneficiario).
- Profilo RW: Sanzione 15% non scudabile se paese black list. Parliamo di 150k su 1 milione. Può provare a dire che col trust perde proprietà quindi non era tenuto, ma l’Ade considera il disponente come titolare effettivo se può revocare/controllare. E di sicuro i 1M li ha esportati lui.
- Esito: Sempronio valuterà di ades aderire parzialmente per ridurre sanzioni, magari portando prove di aver pagato qualche tassa locale per avere credito (se esistente). Ma è in posizione difficile.
Questi casi mostrano varie lezioni pratiche: (1) un trust genuino e tempestivo protegge, (2) un trust fatto male o fittizio è inutile e perfino dannoso, (3) i trust esteri opachi attraggono l’attenzione e ricadono in normative punitive.
Domande frequenti (FAQ) su trust e accertamenti fiscali
D: Il trust è legale in Italia?
R: Sì, il trust è riconosciuto come istituto legale in Italia grazie alla Convenzione dell’Aja recepita con la L. 364/1989. Non esiste una legge italiana “ad hoc” che disciplini i trust, ma si applica la legge straniera scelta nell’atto istitutivo. Dunque costituire un trust (interno) con atto notarile che richiama, ad esempio, la legge di Jersey è assolutamente legale. Occorre però rispettare i limiti di ordine pubblico e le norme fiscali italiane. I trust possono essere soggetti a tassazione e a controllo, ma non sono di per sé illegali o vietati.
D: Qual è la differenza tra un trust e un fondo patrimoniale?
R: Il fondo patrimoniale è un istituto del codice civile (artt. 167 ss. c.c.) riservato ai coniugi (o uniti civilmente) per destinare beni al soddisfacimento dei bisogni della famiglia. È uno strumento meno flessibile: vincola beni immobili, mobili registrati o titoli di credito, richiede il vincolo annotato a margine dell’atto di matrimonio, e i beneficiari sono genericamente la famiglia. I creditori possono aggredire i beni in fondo patrimoniale solo per debiti contratti per bisogni familiari. Un trust invece può avere qualsiasi finalità lecita, beneficiari anche non familiari, e consente segregazione patrimoniale più ampia (anche per singole persone, scopi non familiari, ecc.). Il trust inoltre prevede un trasferimento ad un trustee, mentre nel fondo i coniugi restano titolari (ma con vincolo d’uso). Dal punto di vista fiscale, il fondo patrimoniale non comporta tassazione (è solo un regime di beni in comunione), mentre il trust può attivare le imposte di donazione/successione se devolutivo ai beneficiari. In un’ottica di protezione da creditori, il fondo patrimoniale ha efficacia limitata (i creditori extra-familiari possono comunque aggredire se provano che il debito non era per scopi familiari e agire in revocatoria se costituito in frode). Il trust è più versatile ma anche più attenzionato dal Fisco se usato male.
D: Trasferire i miei beni in un trust li rende davvero “intangibili” dal Fisco?
R: Non in senso assoluto. È vero che un bene intestato a un trustee formalmente non è più di tua proprietà, quindi un pignoramento verso di te non lo colpisce direttamente. Tuttavia, il Fisco ha strumenti legali per intervenire: può impugnare l’atto di costituzione del trust (azione revocatoria) se fatto in danno dei suoi crediti, oppure, se ravvisa un reato, ottenere un sequestro preventivo dei beni nel trust. Inoltre, se il trust è solo un “paravento” e tu continui a gestire e beneficiare dei beni, l’Agenzia delle Entrate potrà ignorare il trust e considerare quei beni come tuoi ai fini fiscali (trust interposto). Quindi, un trust efficace contro il Fisco è solo quello istituito in tempi non sospetti e gestito correttamente, dove tu disponente esci di scena e lasci reale autonomia al trustee. Anche in tal caso, rimane la possibilità teorica di revocatoria se il debito era preesistente. Quindi, la risposta è: il trust può proteggere dai creditori, ma non garantisce impunità fiscale se è costituito con intento elusivo o in frode.
D: Quali tasse devo pagare quando istituisco un trust?
R: All’atto istitutivo e di dotazione: si pagano le imposte di registro/ipotecarie/catastali in misura fissa (200 euro cadauna, se dovute). Non si paga l’imposta di donazione immediatamente, a meno che non si opti per la tassazione anticipata (introdotta nel 2024). Quindi nella stragrande maggioranza dei casi oggi l’atto di conferimento è fiscalmente neutro. Durante la vita del trust: se il trust produce redditi, dovrà pagarci le imposte (IRES per trust opaco, oppure dichiararli ai beneficiari per trust trasparente). Alla fine, quando i beni escono verso i beneficiari: si applica l’imposta di successione/donazione proporzionale in base al grado di parentela beneficiario-disponente (salvo fosse stata già pagata anticipatamente, o si tratti di trust esente come quelli per disabili gravi). Esempio: nonno dispone in trust per i nipoti: al conferimento nulla (fisso), quando il trustee darà ai nipoti: 6% oltre franchigia 100k ciascuno. Se però il nonno aveva pagato anticipato all’entrata 4% come per i figli (aliquota più alta richiesta in mancanza di determinazione), allora all’uscita nulla più.
D: I redditi prodotti dal trust come vengono tassati?
R: Dipende dal tipo di trust:
- Se è trasparente (beneficiari di reddito certi), i redditi del trust vengono imputati e tassati direttamente in capo ai beneficiari, come redditi di capitale, anche se non distribuiti.
- Se è opaco (nessun beneficiario di reddito individuato), il trust è tassato come un soggetto IRES sui suoi redditi. In caso poi di distribuzione di utili ai beneficiari, questi subiscono una tassazione come dividendi (se persone fisiche, imposta del 26% di regola).
- Se il trust è interposto (fittizio), i redditi saranno considerati del disponente e tassati nel suo IRPEF personale.
- Se il trust è estero: se in paradiso fiscale, i beneficiari italiani devono dichiarare i redditi come loro (legge anti tax haven); se non paradiso, i redditi esteri vengono tassati a seconda che arrivino in Italia (distribuiti) o meno.
D: Ho un trust all’estero e l’Agenzia mi contesta che è residente in Italia: cosa significa?
R: Significa che il Fisco ritiene che il tuo trust, sebbene formalmente istituito all’estero, abbia in realtà collegamenti tali da essere considerato fiscalmente italiano. Questo può accadere se ad esempio il trust è amministrato di fatto dall’Italia (riunioni trustee in Italia, trustee italiano, scopo realizzato in Italia) oppure automaticamente se il trust è in un Paese non white list e disponente/beneficiari sono italiani (c’è una presunzione di legge di residenza in Italia, salvo prova contraria, introdotta con DL 78/2009). La conseguenza è che il trust verrebbe tassato in Italia su tutti i redditi ovunque prodotti, e se non ha presentato dichiarazioni potrebbe subire accertamenti per omessa dichiarazione con tasse e sanzioni. In sostanza, l’Agenzia ignora la veste estera e tratta il trust come se fosse “italiano travestito da estero”. Per contestare ciò, dovresti fornire evidenze che la gestione è avvenuta effettivamente fuori (cosa spesso difficile se il trust era di comodo).
D: Posso proteggere la mia casa mettendola in un trust se ho già una cartella esattoriale?
R: Tecnicamente puoi ancora conferire la casa in trust, ma sappi che:
- Se la cartella (debito) è anteriore, è molto probabile che l’Agenzia delle Entrate attivi un’azione revocatoria per far dichiarare inefficace l’atto e pignorare comunque la casa.
- Potresti incorrere nel reato di sottrazione fraudolenta ex art. 11 D.lgs. 74/2000 se il debito fiscale supera certe soglie (circa 50mila euro) e l’atto è considerato fraudolento. Un trust subito dopo una cartella è spesso visto come atto fraudolento.
- Nel frattempo, Equitalia (AdE Riscossione) potrebbe notificare ugualmente pignoramento al trustee (se cambi intestazione) o ipoteca. Quindi il beneficio sarebbe temporaneo e potenzialmente nullo. In sintesi, farlo dopo che il debito è emerso è sconsigliato: rischi grosso e probabilmente non otterrai l’effetto desiderato.
D: L’Agenzia delle Entrate può considerare nullo un trust valido civilmente?
R: L’Agenzia, in sede fiscale, non dichiara la nullità civilistica (non ne ha il potere), ma può disconoscerne gli effetti ai fini tributari, parlando appunto di trust “inesistente” o interposto. Questo non fa “sparire” il trust per il diritto civile, ma fa sì che per il fisco sia trasparente. Ad esempio, un tribunale civile potrebbe reputare valido un trust e non annullarlo, ma il fisco può ugualmente tassare i redditi come se fosse inesistente. Ciò può portare a situazioni paradossali: legalmente il trustee è proprietario, ma fiscalmente attribuiscono i redditi al disponente. Non è una vera nullità, ma un’inopponibilità al Fisco. Per quanto riguarda la nullità/invalidità vera e propria, quella può pronunciarla solo un giudice civile se adito (es. da creditori o parti interessate).
D: Come posso difendermi se ricevo un avviso di accertamento relativo al trust?
R: Occorre innanzitutto capire la natura dell’accertamento:
- Se riguarda imposte sui redditi imputati a te disponente, dovrai dimostrare che il trust non era interposto: raccogli documenti, prova che il trustee aveva autonomia, che tu non avevi controllo assoluto. Potresti coinvolgere il trustee come testimone (se in contenzioso) per confermare la sua gestione indipendente.
- Se riguarda l’imposta di donazione/successione, dovrai far leva sulla normativa vigente (art. 4-bis TUS) e giurisprudenza, e verificare eventuali errori procedurali dell’Agenzia.
- In ogni caso, è consigliabile farsi assistere da un tributarista esperto di trust. Le memorie difensive dovranno essere dettagliate, con richiami a circolari (ad esempio citare Circolare 34/E/2022 che, essendo atto interno AE, li vincola ad un certo comportamento: se l’hanno disatteso potresti evidenziare la contraddizione).
- Sul piano processuale, occhio alle tempistiche: 60 giorni per ricorrere, eventualmente chiedere mediazione se importo sotto soglia, o adesione per discutere.
- Documentazione: presentare l’atto di trust integrale, eventuali rendiconti fiduciari, corrispondenza con trustee, per far capire al giudice tributario la sostanza.
- Sottolineare la buona fede: se il trust era istituito per scopi non fiscali, farlo emergere (es. fu fatto per tutelare figlio disabile, e solo incidentalmente ora c’è un debito – questo muove anche l’equità del giudice).
- Utilizzare eventuali precedenti favorevoli: ormai ci sono molte sentenze di Commissioni Tributarie su trust, magari con esiti pro-contribuente in situazioni analoghe. Allegare copia e farle conoscere.
D: Quali sono le sentenze più importanti recentemente in materia di trust e fisco?
R: Sul fronte civile/fiscale:
- Cass. civ. Sez. V n. 24387/2024: ha ribadito che il conferimento in trust è segregativo e non traslativo definitivo, con riflessi su agevolazioni prima casa.
- Cass. civ. Sez. Trib. n. 2334/2024: ha sancito che l’atto istitutivo e di dotazione del trust sono fiscalmente neutri, confermando tassazione solo sui beneficiari finali.
- Cass. civ. Sez. III n. 34075/2024: in materia di esecuzione, ha confermato che il pignoramento va fatto contro il trustee e non contro il trust stesso.
- Cass. pen. n. 13844/2024: sul piano penale, trust auto-destinato post-debiti = reato di sottrazione fraudolenta.
- Cass. civ. Sez. Trib. n. 9096/2025: trust estero elusivo, riconosciuta interposizione e tassazione in Italia.
- Cass. civ. nn. 5746/5747/5748 del 2022: una serie di decisioni del 2022 che già anticipavano il cambio rotta sulla tassazione indiretta, poi formalizzato dalla circolare AE.
- CTR Lombardia n. 107/2023: ha affermato che un trust autodichiarato puro (disponente=trustee=beneficiario) non genera imposta donazione perché manca trasferimento (richiamata anche dalla Cassazione in pronunce successive).
Inoltre, vanno segnalati atti della prassi importanti:
- Circolare 34/E (20-10-2022): “Disciplina fiscale dei trust ai fini delle imposte dirette e indirette”, che è una summa delle posizioni AE aggiornate, spesso citata come riferimento.
- Risposta a interpello AE n. 176/2023: su trust interposto post-mortem, con cambio indirizzo AE allineato alla circ. 34/E.
- Risposta AE n. 267/2023: chiarimenti su trust come soggetto passivo e tassazione redditi (trasparenza, opacità, interposizione).
Conoscere queste fonti aiuta a orientarsi nella difesa e nella gestione.
D: Ho sentito parlare di “trust nel diritto italiano” e “vincoli di destinazione 2645-ter c.c.”: sono la stessa cosa?
R: No, non sono la stessa cosa anche se c’è una parentela concettuale. L’art. 2645-ter c.c., introdotto nel 2006, consente di trascrivere un vincolo di destinazione su beni immobili o mobili registrati, destinandoli per un certo periodo (max 90 anni o vita del beneficiario) a realizzare interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, pubbliche amministrazioni, altre finalità. È una figura che ricorda il trust perché crea un vincolo di destinazione e segregazione patrimoniale, però non comporta il trasferimento del bene a un trustee: il proprietario rimane tale ma il bene è vincolato. Viene usato ad esempio per tutelare un soggetto debole senza doverlo intestare a terzi. Fiscalmente, il vincolo 2645-ter non è soggetto a imposta di donazione se è a scopo gratuito? Dubbio: in dottrina si dice che è neutro anche quello, ma non c’è giurisprudenza consolidata come sul trust. In pratica comunque il trust e il 2645-ter sono diversi: il trust è più completo (coinvolge un trustee, può gestire patrimoni complessi, multibene; il 2645-ter è puntuale su un bene specifico). L’ordinamento italiano ha introdotto 2645-ter per dare un’alternativa “domestica” al trust, ma ciò non ha eliminato l’uso dei trust.
D: Un trust può gestire l’azienda o quote societarie? E in caso di controllo fiscale in azienda, che succede?
R: Sì, è abbastanza comune usare trust per detenere partecipazioni societarie o un’intera azienda (ad es. in passaggi generazionali, le quote della società sono intestate al trustee che le amministra per i figli). In caso di verifica fiscale sulla società, il fatto che le quote siano in trust non incide: la società è soggetto a sé, risponderà delle sue imposte. Se però l’imprenditore cercava col trust di evitare di essere coinvolto da utili o accertamenti su utili extra-societari (tipico caso di soci di SRL ristretta base, dove utili non distribuiti vengono imputati pro quota ai soci come presunzione fiscale), non funzionerà: la Cassazione ha affermato che in una SRL a base familiare, se il socio è un trust estero ma di fatto riferibile alla famiglia, la presunzione di distribuzione utili può colpire i beneficiari reali (casi di interposizione). Insomma, il trust non ferma un accertamento sui soci occulti: se credono che dietro il trust ci sei tu, ti attribuiranno il reddito (ci sono state sentenze in tal senso). Quindi attenzione a non pensare che mettendo le quote in trust ci si immunizza dall’essere tassati su utili nascosti: l’Agenzia andrà a cercare chi c’è dietro.
D: Cosa comporta la nuova denominazione “Corte di Giustizia Tributaria” per i ricorsi?
R: Nulla di sostanziale, se non il nome. Dal 2023, con la riforma della giustizia tributaria (L. 130/2022), le Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali sono state rinominate rispettivamente “Corti di Giustizia Tributaria di I grado” e “di II grado”. Le regole di ricorso, termini e procedura restano molto simili (qualche innesto come il giudice monocratico per cause piccole, ecc.). Quindi se devi fare ricorso contro un atto su trust, ti rivolgerai alla Corte Tributaria di primo grado competente (in genere quella della provincia dove risiedi o ha sede il contribuente). Assicurati di indicare il nuovo nome nella ricorso (non è errore dire Commissione, ma meglio adeguarsi).
D: Conviene costituire un trust o ci sono alternative migliori per proteggersi dal Fisco?
R: Se l’unico scopo è “proteggersi dal Fisco”, qualsiasi strumento può essere considerato elusivo o fraudolento se fatto in prossimità di debiti fiscali. Il trust offre una segregazione forte, ma come abbiamo visto, è penetrabile in vari modi se abusivo. Alternative:
- Vendere a terzi i beni: ma se è simulata (finta vendita a parente) è anch’essa revocabile e penalmente rilevante. Se è vera vendita a valore di mercato a terzo ignaro, proteggi quei beni, ma trasformi il patrimonio in liquidità (che il Fisco può pignorare sui conti). Inoltre vendere sotto debiti noti può essere revocato se il terzo era consapevole.
- Intestazione fiduciaria: far intestare i beni a una fiduciaria non salva dal Fisco, perché la fiduciaria tiene per te (non c’è segregazione, sei sempre tu il titolare effettivo).
- Fondi pensione / assicurazioni: sono talvolta usati perché impignorabili entro certi limiti, ma se versati in massa all’ultimo per sfuggire a Fisco, è contestabile come frode pure quella (anche art.11 punisce qualsiasi atto fraudolento).
- Fondo patrimoniale: utile per debiti privati, ma per debiti fiscali il più delle volte i giudici lo considerano aggredibile (le imposte non sono debiti per bisogni familiari, salvo forse l’IRPEF se genera beni per la famiglia? Giurisprudenza sfavorevole comunque).
- Vincolo 2645-ter: potrebbe proteggere un immobile destinandolo a figlio disabile, ad esempio. Anche questo vincolo è soggetto a revocatoria se fatto dopo che c’è un debito. Però essendo atto di destinazione meritevole, qualche giudice potrebbe essere più cauto nel revocarlo se c’è un interesse protetto forte (speculazione).
- Uscire dall’Italia: l’extrema ratio di alcuni è cambiare residenza fiscale portando via sé e i beni. Ma i debiti pregressi restano e l’Agenzia può inseguire certi beni all’estero (con assistenza internazionale) o dichiarare l’atto di espatrio fraudolento se vendi immobili per portar soldi fuori (anche quello rientra potenzialmente in atti fraudolenti). Inoltre cambiare residenza e spostare trust all’estero se resti con legami può far scattare esterovestizione.
In definitiva, non esiste una “bacchetta magica” per rendersi insolvibile verso il Fisco senza conseguenze. Il trust è un ottimo strumento se usato per tempo e per scopi leciti; se usato come scudo dell’ultimo minuto presenta troppi rischi.
D: Un trust può evitare il pignoramento della casa da parte di Equitalia?
R: Se il trust è stato creato prima che Equitalia (oggi AdER) iscrivesse ipoteca o iniziasse l’esecuzione, allora al momento del pignoramento la casa non è intestata al debitore e formalmente non può essere pignorata. Tuttavia, Equitalia potrebbe:
- Avviare un’azione revocatoria nel tribunale civile per far dichiarare inefficace il trust su quell’immobile e poi pignorarla.
- Oppure, se ritiene il trust fasullo, tentare di pignorare direttamente nominando il trustee come soggetto esecutato (ci sono stati tentativi).
- Inoltre, va ricordato che dal 2015 esiste l’art. 2929-bis c.c. che consente ai creditori muniti di titolo di pignorare beni oggetto di atti di destinazione o trust senza passare dal giudice, entro 1 anno dalla trascrizione dell’atto, se l’atto era a titolo gratuito e il credito è anteriore. Dunque, se tu hai un debito con cartella definitiva nel 2022 e nel 2023 metti casa in trust, l’AdER con titolo esecutivo può, entro un anno dalla trascrizione del trust, pignorare direttamente l’immobile (trascritto contro il trustee) senza bisogno di revocatoria, grazie all’art. 2929-bis c.c. Questo strumento è micidiale perché salta i tempi lunghi del giudizio.
- Quindi se l’ipoteca e il titolo c’erano prima, trust tardivo non aiuta.
In conclusione: se la casa era già in trust prima dei guai, hai un buon scudo (salvo revocatoria classica). Se la metti dopo, Equitalia ha armi per arrivarci comunque.
Tabelle riepilogative
Di seguito, proponiamo alcune tabelle che riassumono concetti chiave affrontati nella guida, per una consultazione rapida.
Tabella 1: Tipologie di trust e trattamento fiscale dei redditi
Tipologia di Trust (ai fini fiscali) | Descrizione | Tassazione dei Redditi | Esempio |
---|---|---|---|
Trust trasparente (art. 73 co.2 TUIR) | Beneficiari di reddito individuati con diritto a pretenderlo (no discrezionalità del trustee sulla distribuzione) | Non paga IRES il trust; reddito imputato per trasparenza ai beneficiari come reddito di capitale (aliquota IRPEF marginale, salvo crediti d’imposta). Beneficiari dichiarano pro-quota anche se non ricevono materialmente. | Trust “Alfa” con beneficiari di reddito i figli A e B in parti uguali. Se maturano 10 di reddito da investimenti, A e B dichiarano +5 ciascuno nei loro redditi (e il trust non paga tasse). |
Trust opaco (art. 73 co.2 TUIR) | Beneficiari di reddito non individuati (es. discrezionali o solo beneficiari finali ma non dei redditi correnti) | Il trust è soggetto passivo IRES (24%) sui redditi prodotti.Se successivamente distribuisce utili ai beneficiari, per questi è reddito di capitale (di regola tassato al 26% se PF). Se beneficiario società, regime PEX (95% esente). | Trust “Beta” discrezionale, trustee decide se e quanto distribuire. Nel 2025 reddito 100 (da affitti), trust paga 24 di IRES. Nel 2026 il trustee distribuisce 50 a Tizio beneficiario: Tizio paga 26% su 50 (13€). |
Trust interposto (fiscalmente inesistente) | Trust in cui il disponente o beneficiario mantiene poteri tali da non essere autonomo. | Non riconosciuto come autonomo dall’AE: redditi tassati direttamente in capo al disponente (o al beneficiario controllante). Il trust non dichiara (o se dichiara, AE ridetermina imputandoli alla persona). Inoltre, se disponente muore, beni considerati nel suo asse ereditario. | Trust “Gamma”: disponente è anche trustee e beneficiario unico. AE: “Trust fittizio”. I redditi da capitale 2025 del trust 10 → aggiunti nel quadro RL del disponente; se questi muore, l’immobile in trust tassato come eredità. |
Trust estero non paradiso, con beneficiari italiani | Trust può essere trasparente o opaco. Beneficiari italiani. | Se trasparente: redditi imputati ai beneficiari come se trust fosse ita (nessun vantaggio a tenerlo estero).Se opaco: trust paga tasse estere sui redditi (se previste). I beneficiari italiani tassano solo quando ricevono distribuzioni di reddito (26% PF). Ma attenzione norme CFC se trust controllato da italiani con bassissima tassazione. | Trust UK con beneficiari fissi italiani, redditi da dividendi UK. Se trasparente -> beneficiari dichiarano l’utile annuo (ed evitano doppia imposizione via credito). Se opaco -> trust paga 0 (se esente in UK per settlor interested trust), quando distribuisce a beneficiari, questi pagano 26%. |
Trust estero paradisiaco (Black list) con beneficiari italiani | Trust spesso opaco (paradisi fiscali non tassano redditi). Beneficiari italiani anche non specificati. | Norma anti-elusione: i beneficiari residenti devono dichiarare anno per anno il reddito prodotto complessivo del trust proporzionale alla loro quota di partecipazione economica, indipendentemente da distribuzioni. Di fatto viene trattato come trasparente forzatamente (anche se opaco). Inoltre, trust potrebbe essere considerato residente in Italia per presunzione (disponente e benef italiani). | Trust isole Cayman, beneficiari eventuali i figli di Caio. Il trust 2025 ha reddito 100 da interessi. Figli di Caio residenti dichiarano ognuno 50 come reddito di capitale (se considerati titolari effettivi pro quota). Se AE presume residenza trust in Italia, allora doveva dichiarare come soggetto IRES (con sanzioni). |
Tabella 2: Azioni dei creditori (in particolare il Fisco) vs. protezione del trust
Strumento del creditore/Fisco | Quando si applica | Effetti sul trust | Difese del trust/debitore |
---|---|---|---|
Azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.) | Atto di dotazione in trust compiuto in pregiudizio di un creditore (es. l’Erario), entro 5 anni dall’atto. Necessario debito antecedente o futuro previsto e scientia damni. | Sentenza dichiara l’atto inefficace verso quel creditore. Il creditore potrà pignorare i beni come se fossero ancora del debitore (il trust resta valido per il resto). | – Atto non pregiudizievole (bene di modesto valore rispetto patrimonio residuo). – Insussistenza della scientia fraudis (trust costituito all’insaputa del debito, prima che debito sorgesse). – Opposizione se azione proposta oltre 5 anni (decaduto termine). |
Azione ai sensi art. 2929-bis c.c. (esecuzione diretta) | Credito già esistente (titolo esecutivo) e atto di trust gratuito trascritto dopo. Il creditore entro 1 anno dalla trascrizione può pignorare senza passare dal giudice. | Pignoramento immediato del bene vincolato come se il trust non esistesse (trascrivono contro il trustee e debitore disponente). No giudizio, salvo opposizione dopo. | – Dimostrare che l’atto non era a titolo gratuito (es. trust costituito a garanzia di un debito, quindi oneroso). – Opporre eventuale incompetenza o vizi formali del pignoramento. – Se 1 anno trascorso, il 2929-bis non è più utilizzabile (ma resta 2901). |
Sottrazione fraudolenta al Fisco (art. 11 D.lgs.74/2000) – sede penale | Debito fiscale > soglia (€50k) e atto dispositivo con natura fraudolenta (es. trust simulato o altri artifici) posto in essere per sfuggire al pagamento. | Se indagato, il disponente rischia: sequestro preventivo dei beni conferiti in trust (anche per equivalente) e poi confisca in caso di condanna. Il trust non tutela da sequestro penale, anzi il creare un trust può costituire elemento del reato. | – Provare assenza di dolo specifico (trust con scopo lecito, non mirato a evasione). – Sequestro: richiedere riesame evidenziando che i beni erano già gravati da garanzie a favore Fisco (tesi respinta in Cass. 13844/24 però). – In giudizio: sostenere l’insussistenza del reato per mancanza di artificio (trust palese, non atto simulato), oppure importo sotto soglia, ecc. |
Pignoramento presso il trustee (procedura esecutiva civile) | Il creditore (Fisco o altri) munito di titolo verso il debitore, se non ha revocato il trust, può tentare di pignorare il bene intestato al trustee sostenendo che è comunque del debitore (specie se trust autodichiarato). | Se il giudice dell’esecuzione ammette, il bene viene espropriato. Tuttavia, se il trust è valido, in teoria il bene non è proprietà del debitore, quindi il pignoramento dovrebbe essere rigettato. (Creditore dovrebbe prima revocare il trust in sede giudiziale). | – Opposizione all’esecuzione sostenendo che il bene non appartiene al debitore esecutato ma a terzo (trustee) e manca titolo contro quest’ultimo. – In caso di trust fittizio, questa difesa regge solo se il creditore non ha ancora sentenza di simulazione/revocatoria. (Spesso i tribunali non ammettono esecuzione diretta su bene di trust senza revoca; in Cass. 2043/2017 e 34075/2024 si ribadisce illegittimità pignoramento contro trust invece che trustee). |
Accertamento fiscale (profilo elusione) | L’Agenzia Entrate contesta che il trust è utilizzato per non pagare tasse (es. trust estero per occultare redditi; trust interposto per dedurre costi o simili). | Emissione di avviso di accertamento: può essere su imposte dirette (IRPEF/IRES) o indirette (donazione). Può riprendere a tassazione redditi occultati o disconoscere vantaggi fiscali.Non incide direttamente sulla struttura del trust, ma se si consolida costringe il disponente/beneficiari a pagare come se il trust non esistesse ai fini fiscali. | – In sede di contraddittorio: fornire documentazione e ragioni non elusive (trust aveva sostanza economica valida, es. finalità familiare, non fatto per abbattere imposte). – In ricorso: contestare violazione art. 10-bis L.212/2000 (onere prova abuso su AE non assolto), rivendicare cause economiche genuine dell’operazione. – Eventualmente transigere con adesione su importi minori (se c’erano davvero basi imponibili non dichiarate). |
Tabella 3: Cronologia semplificata – Trust e Fisco (2006-2025)
Anno | Evento/Norma/Sentenza | Impatto |
---|---|---|
2006 | D.L. 262/2006 reintroduce imposta successioni e include vincoli di destinazione. | AE inizia a tassare conferimenti in trust all’8% come atti di donazione. |
2008 | Risoluzione AE 425/E chiarisce criteri trust trasparente/opaco. | Beneficiari individuati = trasparenza; beneficiari non individuati = opacità. |
2010 | Cass. 16605/2010, 4482/2010 (primi casi trust) | Alcune pronunce tassavano subito il trust (orient. poi superato). |
2015 | Cass. 25478/2015 e altre: nuovo orientamento | Il trust non sconta imposta donazione al conferimento se finalità devolutiva futura (inizia inversione di tendenza). |
2016 | Cass. 21614/2016 (Sez. V) | Afferma chiaramente natura segregativa e non donativa del conferimento. Imposta solo all’attribuzione finale. |
2016 | Legge 112/2016 (“Dopo di Noi”) | Trust per disabili gravi esentati imposta donazione e bollo. |
2017 | Cass. SS.UU. 2043/2017 (civile) | Pignoramento vs trust: deve essere contro trustee, trust non ha soggettività. Precedente confermato poi nel 2024. |
2018-19 | Cass. numerosissime (es. 13626/2018, 19167/2019, 15453/2019) | Consolidano orientamento: trust neutro, imposta a carico beneficiario al momento arricchimento. |
2019 | Cass. pen. 15802/2019 | Conferma condanna per sottrazione fraudolenta: trust istituito dopo cartelle Equitalia configurato come reato (precedente a 13844/24). |
2022 | Circolare AE 34/E/2022 | L’Agenzia fa proprie le tesi Cassazione: niente imposta immediata sui trust, attenzione a interposizione, trust esteri etc. |
2023 | Risposta AE 176/2023 (“trust interposto post-mortem”) | AE corregge prassi: se trust interposto, beni in successione. |
2024 | D.Lgs. 139/2024 (Riforma fiscalità trust) | Introduce art. 4-bis TUS: tassazione finale o opz. iniziale. Conferma aliquote per beneficiari, ecc. Norme attuative attese 2025. |
2024 | Cass. 2334/2024 (trib.), 5800/2023 etc. | Sentenze di legittimità in linea con circolare: trust = atti neutri. |
2024 | Cass. pen. 13844/2024 | Trust autodestinato post-debito = reato sottrazione fraudolenta. |
2024 | Cass. 34075/2024 (civ. sez. III) | Ribadito: trust non ha personalità, trascrizioni e pignoramenti vanno fatti vs trustee. |
2025 | Cass. 9096/2025 (trib.) | Trust estero elusivo: inutile, Cassazione ne conferma disconoscimento. |
Conclusioni
La costituzione di un trust, soprattutto dal punto di vista del debitore, è un’operazione che dev’essere valutata con estrema attenzione, bilanciando i possibili benefici con i rischi legali e fiscali. Il trust non è una “via di fuga” garantita dalle pretese dell’Erario: se usato in modo improprio o tempisticamente sospetto, può essere efficacemente attaccato dall’Agenzia delle Entrate sia sul piano civilistico (con gli strumenti del diritto civile quali revocatoria e simulazione) sia sul piano fiscale (disconoscendone gli effetti, tassando direttamente disponente o beneficiari) e persino penale (configurando reati di sottrazione fraudolenta).
D’altro canto, il trust rimane un istituto legittimo e utile, riconosciuto ormai stabilmente nel panorama giuridico italiano. Quando è istituito per ragioni pianificatorie genuine – ad esempio per proteggere familiari fragili, garantire continuità aziendale, o gestire il patrimonio in modo organizzato – e non in funzione meramente evasiva, esso può svolgere il suo ruolo senza essere smantellato. Le ultime evoluzioni normative (D.Lgs. 139/2024) e giurisprudenziali offrono anche maggior certezza fiscale, eliminando la doppia tassazione che un tempo si temeva e chiarendo come comportarsi (es. opzione di tassazione anticipata).
Dal punto di vista di un debitore, il consiglio è: giocare d’anticipo. Se si intende utilizzare un trust a fini protettivi, farlo quando ancora non si è sotto la scure di debiti esigibili e assicurarsi di strutturarlo in modo da non poter essere considerato fittizio (quindi scegliere trustee indipendenti, rinunciare a controlli troppo stringenti, evitare di esserne beneficiario unico, ecc.). Una volta che il debito fiscale è già maturato, soluzioni come il trust diventano pericolose e di dubbia efficacia: meglio in quei casi affrontare il problema con gli strumenti ordinari (rateizzazioni, accordi col Fisco) piuttosto che tentare manovre elusive che spesso aggravano la posizione.
In definitiva, trust e accertamento dell’Agenzia delle Entrate possono convivere pacificamente quando c’è trasparenza e correttezza; ma se il trust è utilizzato come schermo, l’Agenzia ha mostrato e continuerà a mostrare di avere sia gli strumenti normativi che le capacità investigative per andare oltre lo schermo e perseguire il recupero delle imposte dovute.
Come in molti campi del diritto tributario, la sostanza economica prevale sulla forma: chi crea trust solidi, con vera separazione patrimoniale e finalità lecite, troverà nella legge e nella giurisprudenza (ormai evolutesi) un sostegno; chi invece utilizza il trust come semplice espediente per sfuggire ai propri obblighi troverà nella controparte pubblica un avversario agguerrito, con il rischio di subire sconfitte sul piano economico e legale.
Fonti e riferimenti normativi
- Convenzione de L’Aja 1 luglio 1985 sul riconoscimento dei trust, ratificata in Italia con Legge 16 ottobre 1989 n. 364, in vigore dal 1/1/1992.
- Codice Civile: art. 2645-ter c.c. (vincoli di destinazione); art. 2901 c.c. (azione revocatoria ordinaria); art. 2929-bis c.c. (espropriazione beni oggetto di vincolo).
- D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 642 – Disciplina imposta di bollo (rilevante per atti trust esenti per disabili gravi ex L.112/2016).
- D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (TUIR): art. 73 (soggetti IRES includenti trust e criteri residenza), art. 44 comma 1 lett. g-sexies ed e) (redditi di capitale da trust), art. 23 e 24 (territorialità).
- D.L. 3 ottobre 2006 n. 262 (conv. L. 286/2006): reintroduzione imposta successioni e concetto di vincolo di destinazione (abrogato poi da orientamento giurisprudenziale).
- D.Lgs. 31 ottobre 1990 n. 346 (TUS): Testo Unico Successioni e Donazioni. Particolarmente art. 2 (presupposti), art. 8 (attivo ereditario – ora comprende trust interposti), art. 4-bis introdotto da D.Lgs. 139/2024 (disciplina trust ai fini imposta donazione), art. 56 (aliquote, mod. da D.Lgs. 139/24).
- D.Lgs. 18 settembre 2024 n. 139: riforma delle imposte indirette, ha introdotto regime trust (tassazione all’uscita, opzione in entrata).
- Statuto del Contribuente (L. 212/2000): art. 10-bis (divieto di abuso del diritto, onere prova a carico AE in schemi elusivi, applicabile a trust fittizi in ambito tributario).
- D.Lgs. 74/2000: art. 11 (Reato di sottrazione fraudolenta al pagamento imposte, rilevante per trust utilizzati per frode fiscale).
- Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019): art. 166 (revocatoria fallimentare atti gratuiti 2 anni, applicabile a trust pre-fallimento).
- Circolare Agenzia Entrate 20 ottobre 2022 n. 34/E: “Disciplina fiscale dei trust ai fini imposizione diretta e indiretta”. Riconosce neutralità atti di dotazione, criterio beneficiario individuato vs no, trust interposti, trust esteri (richiamati art. 73 e 44 TUIR).
- Risposta a interpello Agenzia Entrate n. 359/2022 e n. 176/2023: caso di trust interposto; la n.176/23 rettifica la precedente e afferma beni in trust interposto soggetti a successione.
- Risposta interpello AE n. 267/2023: chiarimenti su qualificazione trust e tassazione redditi. Spiega trust soggetti IRES, differenza trust opaco/trasparente e casistica trust interposto.
- Cassazione Civile Sez. V, sent. 11 settembre 2024 n. 24387: Trust e agevolazioni prima casa. Conferimento in trust non azzera il requisito di “impossidenza” – trust è segregazione, non trasferimento definitivo.
- Cassazione Civile Sez. Trib., sent. 8 febbraio 2024 n. 2334: Trust = atti neutri fiscalmente. Imposte indirette solo su attribuzioni finali.
- Cassazione Civile Sez. III, 23 dicembre 2024 n. 34075: Trascrizione pignoramento di immobile in trust va fatta contro il trustee, non contro il trust. Conferma principi su trust interno valido ma non snaturabile alle regole interne.
- Cassazione Civile Sez. Trib., 7 aprile 2025 n. 9096: Trust estero elusivo con controllo italiano – confermata tassazione in Italia, trust considerato fittizio.
- Cassazione Penale Sez. III, 5 aprile 2024 n. 13844: Costituzione di trust auto-destinato post-debiti fiscali integra reato art.11 D.lgs 74/2000. Sequestro beni in trust confermato.
- Cassazione Penale Sez. III, 27 marzo 2019 n. 15802 (non citata sopra, precedente): Trust come atto fraudolento punibile, simile a Cass. 13844/24.
- Corte di Giustizia Tributaria di I grado di Venezia, sent. 13/03/2023 n. 107: (fonte def.finanze) trust autodichiarato senza trasferimento = niente imposta donazione
Hai costituito un trust e ora l’Agenzia delle Entrate lo contesta? Fatti Aiutare da Studio Monardo
La costituzione di un trust è uno strumento legale utile per proteggere il patrimonio, pianificare una successione o separare gli interessi personali da quelli professionali.
Ma sempre più spesso l’Agenzia delle Entrate avvia accertamenti fiscali sui trust, sospettandone un uso elusivo o simulato.
Se ti trovi in questa situazione, è fondamentale conoscere i tuoi diritti e difenderti con precisione tecnica e strategica.
Perché l’Agenzia delle Entrate può contestare un trust?
Le contestazioni più frequenti si basano su:
- ⚠️ Presunta interposizione fittizia: il disponente gestisce ancora i beni, come se non li avesse mai trasferiti
- 💰 Elusione fiscale: il trust viene visto come uno strumento per sottrarsi al Fisco
- 🧾 Omissione di dichiarazioni o omessa indicazione di redditi da parte del trustee o del beneficiario
- 📂 Mancata trasparenza nei flussi finanziari tra trust e soggetti coinvolti
- ❌ Simulazione del negozio giuridico: il trust esiste solo formalmente ma è privo di effettiva segregazione patrimoniale
Cosa può accertare il Fisco?
L’Agenzia può:
- Ricondurre i beni del trust nel patrimonio del disponente
- Contestare imposte di donazione o successione mai versate
- Applicare sanzioni e interessi per redditi non dichiarati
- Qualificare il trust come opaco o trasparente a seconda della gestione
- Procedere con accertamenti sintetici o induttivi su base reddituale
In alcuni casi, il trust viene trattato come inesistente ai fini fiscali, con conseguenze gravi.
Come difendersi da un accertamento sul trust?
La difesa richiede un approccio mirato:
- 📑 Dimostrare la reale segregazione dei beni e l’autonomia del trustee
- ⚖️ Provare la legittimità della finalità del trust (es. protezione familiare, passaggio generazionale)
- 🔍 Documentare ogni passaggio con atti, bilanci, rendiconti
- 🛡️ Contestare vizi formali e sostanziali dell’avviso di accertamento
- 🧾 Correggere eventuali omissioni dichiarative attraverso ravvedimento operoso, se possibile
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📋 Analizza il trust e il rapporto tra disponente, trustee e beneficiari
📂 Esamina la documentazione e la posizione fiscale contestata
⚖️ Redige il ricorso contro l’accertamento e ti rappresenta nel contenzioso
✍️ Attiva, se opportuno, un accertamento con adesione o mediazione tributaria
🔁 Ti assiste anche nella pianificazione fiscale corretta di trust legittimi
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in trust, fiscalità patrimoniale e contenzioso tributario
✔️ Consulente per procedimenti per interposizione fittizia e accertamenti su trust
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per famiglie, imprenditori e professionisti nella pianificazione del patrimonio
Conclusione
Il trust è uno strumento lecito e utile, ma va gestito con attenzione. Se sei sotto accertamento, la tua difesa inizia dalla dimostrazione della sua legittimità e funzionalità.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi affrontare l’Agenzia delle Entrate con competenza tecnica, rigore legale e strategie difensive efficaci.
📞 Richiedi ora una consulenza riservata: se hai un trust sotto attacco fiscale, agisci subito per tutelare i tuoi diritti.