Madre Divorziata Con Debiti: Cosa Fare

Hai affrontato un divorzio, ti ritrovi da sola a gestire spese, figli e responsabilità, e ora sei sommersa dai debiti? Ti chiedi come uscire da questa situazione senza perdere tutto e se esiste un modo legale per proteggere la casa, lo stipendio e la serenità dei tuoi figli?

Essere madre divorziata con debiti non significa essere senza via d’uscita. La legge ti tutela e ti offre strumenti concreti per bloccare i pignoramenti, rinegoziare i debiti e ripartire senza paura.

Quali sono i problemi più comuni in questi casi?
– Rate di finanziamenti e mutui non più sostenibili con un solo reddito
Spese legali e arretrati del periodo della separazione
– Pignoramenti su stipendio o conto corrente
– Cartelle esattoriali per tasse non pagate o multe
– Debiti accumulati per garantire i figli o l’ex coniuge

Cosa puoi fare per difenderti legalmente?
– Accedere alla procedura di sovraindebitamento, pensata proprio per persone fisiche in difficoltà
– Chiedere la sospensione delle azioni esecutive, come pignoramenti e fermi amministrativi
– Presentare un piano di ristrutturazione dei debiti su misura, compatibile con le tue reali possibilità economiche
Proteggere la casa, se è l’abitazione principale, attraverso strumenti specifici previsti dalla legge
– Valutare la possibilità di ottenere l’esdebitazione e cancellare i debiti residui

Chi può aiutarti concretamente?
– Un avvocato esperto in crisi da sovraindebitamento
– Un gestore della crisi nominato dall’OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
– Un professionista che sappia mettere in sicurezza il tuo patrimonio e offrirti un piano sostenibile

Cosa NON devi fare mai?
– Continuare a chiedere prestiti per pagare altri debiti: aumenti solo il problema
– Ignorare pignoramenti o notifiche: può essere troppo tardi per intervenire
– Firmare cambiali o fideiussioni sotto pressione
– Vergognarti della tua situazione: la legge esiste proprio per chi si trova in difficoltà

Essere madre, separata o divorziata, e avere debiti non significa dover crollare sotto il peso delle responsabilità. Esistono strumenti giuridici reali per difendere te e i tuoi figli.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto del sovraindebitamento – ti spiega cosa puoi fare se sei una madre divorziata piena di debiti, come proteggere ciò che hai e ricominciare senza ansie.

Hai ricevuto atti di pignoramento o non riesci più a far fronte alle spese?

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Introduzione

Essere una madre divorziata e trovarsi sommersa dai debiti è una condizione delicata e complessa. Dopo la fine di un matrimonio, spesso la donna si ritrova a dover provvedere ai figli con un unico reddito, fronteggiando spese quotidiane e obblighi familiari, talvolta aggravati da debiti contratti durante o dopo il matrimonio. Questa guida intende fornire un quadro aggiornato a luglio 2025 degli strumenti giuridici e delle tutele disponibili in Italia per una madre divorziata debitrice, con un taglio avanzato ma comprensibile sia per operatori del diritto (avvocati, consulenti) sia per privati cittadini e imprenditori. Adotteremo un linguaggio tecnico-giuridico ma divulgativo, ponendo il focus sul punto di vista del debitore: come proteggere i beni essenziali (in primis la casa familiare e il tenore di vita dei figli), quali soluzioni esistono per ristrutturare o cancellare i debiti, quali novità normative e giurisprudenziali recenti sono rilevanti.

La guida è organizzata in sezioni tematiche con domande e risposte frequenti, tabelle riepilogative e simulazioni pratiche basate su casi reali. Tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate sono raccolte in fondo al documento (sezione Fonti). Esamineremo tutti i tipi di debito che possono gravare su una madre divorziata – dai mutui bancari alle cartelle esattoriali, dai prestiti personali ai debiti verso privati o verso l’ex coniuge – illustrando per ciascuno rischi e possibili rimedi. Approfondiremo inoltre le procedure previste dalla normativa italiana sul sovraindebitamento e sulla ristrutturazione dei debiti, alla luce delle più recenti riforme (nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza) e sentenze aggiornate al 2024-2025. Infine, forniremo consigli pratici su come comportarsi con i creditori e mantenere un livello di vita dignitoso per sé e per i propri figli nonostante la pressione debitoria.

Nota: le informazioni fornite riguardano esclusivamente il quadro italiano (leggi nazionali e prassi dei tribunali italiani). Iniziamo quindi delineando le diverse categorie di debiti e le implicazioni specifiche per una madre divorziata indebitata.

Tipologie di debiti e relativi rischi per la madre divorziata

Non tutti i debiti sono uguali: a seconda della loro natura e del tipo di creditore, cambiano sia le modalità di riscossione sia le possibili tutele per il debitore. Di seguito passiamo in rassegna le principali tipologie di debiti che possono gravare su una madre divorziata, evidenziando per ciascuna i rischi (in termini di azioni esecutive subite) e i profili particolari da considerare.

Debiti bancari e finanziari (mutui, prestiti, carte di credito)

Molte madri divorziate hanno sulle spalle mutui contratti per la casa familiare, prestiti personali o scoperti di carte di credito. Questi debiti verso banche o finanziarie sono in genere regolati da contratti di diritto privato e, in caso di insolvenza, il creditore può agire tramite decreti ingiuntivi e pignoramenti. Ecco alcuni punti chiave:

  • Mutuo ipotecario: se la madre è cointestataria di un mutuo sulla casa coniugale (o intestataria unica dopo aver rilevato la quota dell’ex marito), il mancato pagamento delle rate espone al rischio di espropriazione immobiliare. La banca titolare dell’ipoteca può avviare il pignoramento e la vendita all’asta dell’immobile in caso di inadempimento, anche se si tratta della prima casa e anche se vi abitano figli minori. Purtroppo, per i creditori privati come le banche non esiste nel 2025 alcun divieto di pignorare la prima casa – tale protezione si applica solo per i crediti fiscali, come vedremo. Ciò significa che, in assenza di accordi o soluzioni alternative, la banca può procedere senza limiti sulla casa gravata da mutuo (salvo l’eventuale presenza di un provvedimento di assegnazione della casa familiare, di cui diremo a breve). In pratica, se non si pagano le rate del mutuo, l’istituto può far valere la garanzia ipotecaria e la casa può finire all’asta. Una volta venduto l’immobile, la madre e i figli dovranno lasciarlo, a meno che sia stato formalmente assegnato come casa familiare e la vendita avvenga a terzi: in tal caso, se l’assegnazione era trascritta prima del pignoramento, l’acquirente dovrà rispettare il diritto di abitazione per il periodo previsto (approfondimento più avanti).
  • Prestiti personali e debiti da carte di credito: questi sono crediti chirografari (senza garanzia reale) per banche/finanziarie. Il rischio primario in caso di insolvenza è il pignoramento dello stipendio o del conto corrente. Il creditore deve munirsi di un titolo (es. decreto ingiuntivo) e poi può pignorare una parte dello stipendio/pensione o delle somme sul conto. Per i lavoratori dipendenti, la legge fissa un limite generalmente pari a un quinto (20%) dello stipendio netto per i crediti ordinari. Quindi una madre lavoratrice con uno stipendio potrà subire una trattenuta mensile del 20% per ripagare prestiti non onorati. Attenzione però: se sullo stipendio gravano anche pignoramenti per alimenti (mantenimento ai figli o ex coniuge) o per debiti fiscali, ci sono criteri di cumulo ma in nessun caso si può superare il 50% dello stipendio totale pignorato. In ogni caso il giudice deve sempre garantire al debitore i mezzi indispensabili per vivere, ma non esiste una totale impignorabilità dei salari, solo il vincolo della percentuale. Se la madre non ha stipendio (disoccupata) ma possiede un conto in banca con qualche risparmio, un creditore chirografario potrà pignorare il conto corrente: in tale sede, le somme presenti vengono bloccate sino a capienza del credito. Importante: una volta che lo stipendio o altre somme vengono accreditate sul conto corrente, perdono la loro identificazione (stipendio, pensione, ecc.) e possono essere pignorate integralmente, ad eccezione dell’ultimo stipendio accreditato che, se il pignoramento è solo presso il datore di lavoro, rimane libero (ma se il creditore pignora anche il conto, tale tutela salta). Pertanto, può essere prudente mantenere separati i conti (ad esempio, evitare di far confluire l’assegno per i figli sul conto dove potrebbero agire i creditori, come discusso più avanti).
  • Garanzie e coobbligazioni: attenzione ai casi in cui la madre divorziata abbia fatto da fideiussore o coobbligata per debiti (ad esempio dell’ex marito o di società familiari). In tali scenari, se il debitore principale non paga (es. l’ex coniuge fallisce o è insolvente), la banca si rivarrà sulla garante. Molte donne si trovano indebitate proprio perché hanno garantito mutui o finanziamenti aziendali del marito poi fallito. È il caso, ad esempio, di Angela, che aveva prestato garanzie per l’impresa edile del marito: dopo il fallimento di quest’ultimo, si è vista reclamare dalle banche ben €938.000 di esposizioni garantite. In situazioni così gravi, la ex moglie/divorziata diventa debitrice a tutti gli effetti e i creditori potranno agire sul suo patrimonio (case, conti, stipendio) come per qualsiasi altro debito bancario. Più avanti vedremo come Angela sia riuscita a risolvere la situazione con un Piano del consumatore e a salvare la casa, ma va sottolineato che, all’origine, la banca aveva pieno diritto di agire su di lei in qualità di fideiussore.
  • Usura e interessi eccessivi: se un prestito o mutuo presenta tassi di interesse usurari o clausole abusive, la madre debitrice può opporre tali vizi per ridurre o annullare il debito. La Corte di Cassazione ha riconosciuto, ad esempio, la possibilità di contestare un decreto ingiuntivo della banca anche a distanza di tempo se emergono clausole vessatorie nel contratto. Si tratta di aspetti tecnici che richiedono assistenza legale, ma è utile sapere che anche la validità del credito può essere messa in discussione: un avvocato potrà verificare se i tassi superano la soglia d’usura o se vi sono irregolarità nei contratti di finanziamento.

Rischio riassunto: per i debiti bancari/finanziari il principale rischio è la perdita dei beni di proprietà (casa, auto) tramite pignoramento e vendita forzata, nonché la decurtazione forzata di redditi (stipendi, conti) tramite pignoramento presso terzi. Non esistono esenzioni “di legge” per la casa principale verso creditori privati, quindi l’unica difesa è prevenire tali azioni (ad esempio chiedendo una moratoria del mutuo, rinegoziando il debito o accedendo a procedure di composizione della crisi). Nel prosieguo vedremo quali strumenti specifici può usare il debitore per bloccare o sospendere queste azioni.

Debiti fiscali e verso enti pubblici (Agenzia Entrate Riscossione, INPS, Comuni)

Una madre divorziata può trovarsi anche con debiti verso il Fisco o enti pubblici: ad esempio cartelle esattoriali per tasse non pagate, contributi INPS arretrati (specie se era una lavoratrice autonoma), multe stradali o tributi locali. Questi debiti hanno regole in parte diverse, poiché il creditore è pubblico e il recupero forzato è spesso affidato all’Agenzia delle Entrate – Riscossione (AdER) (ex Equitalia). Punti salienti:

  • Cartelle esattoriali e importi dovuti: se la madre ha ricevuto cartelle per IRPEF, IVA, IMU, bollo auto, multe, ecc., il mancato pagamento porta l’AdER ad attivare procedure esecutive specifiche, disciplinate dal DPR 602/1973. L’agente della riscossione può pignorare stipendi, conti correnti, immobili e auto del debitore, ma con alcuni limiti fissati dalla legge.
  • Prima casa e debiti fiscali: la normativa italiana prevede una forma di tutela per l’unica abitazione di proprietà del debitore nei confronti di AdER. In particolare, l’art. 76 del DPR 602/1973 (come modificato dal 2013) stabilisce che l’AdER non può ipotecare né pignorare l’unica casa di residenza del debitore se sussistono tutte le seguenti condizioni: (1) il debitore possiede un solo immobile adibito a civile abitazione (non di lusso, quindi esclusi A/8 ville e A/9 castelli) e vi risiede anagraficamente; (2) il debito totale con AdER è inferiore a €120.000; (3) l’immobile non rientra nelle categorie di lusso sopra accennate. In presenza di questi requisiti, il Fisco non può procedere all’esproprio della “prima casa”. Se però anche uno solo di tali requisiti manca, la protezione cade. Ad esempio, se la contribuente possiede due immobili (anche solo una quota di altro immobile), la prima casa torna pignorabile; oppure se il debito fiscale supera €120.000, l’espropriazione è ammessa anche sulla casa di residenza. Va chiarito che questa tutela vale solo verso l’Agente della Riscossione: come detto, un creditore privato (banca, finanziaria) potrebbe comunque agire sulla casa indipendentemente da queste condizioni. Inoltre, la norma non protegge case diverse dalla residenza (se la madre possiede per esempio un altro immobile dato in locazione, questo è pignorabile senza limiti per debiti fiscali oltre che privati).
  • Ipoteca fiscale e soglie: con debiti fiscali tra €20.000 e €120.000, AdER non può pignorare la prima casa, ma è autorizzata per legge ad iscrivere ipoteca sull’immobile a garanzia del credito. L’ipoteca è una misura cautelare che non comporta immediata perdita della casa, ma resta a garanzia: se in futuro il debito supera €120.000 o intervengono altri immobili, potrà scattare il pignoramento. Sotto €20.000 di debito, invece, è preclusa anche l’iscrizione di ipoteca. Una Cassazione del 2014 ha chiarito che il divieto di pignorare la prima casa si applica anche ai procedimenti esecutivi già in corso al momento dell’entrata in vigore della legge 69/2013, confermato di recente dall’ordinanza Cass. n. 32759 del 16/12/2024. Ciò significa che se AdER aveva avviato un’asta sulla prima casa prima del 2013 e questa era ancora pendente nel 2013, l’asta va fermata in applicazione retroattiva della norma di favore. Questa protezione tuttavia non copre le misure di natura penale: ad esempio, Cass. n. 30342/2021 ha precisato che il divieto di esproprio sulla prima casa non impedisce il sequestro preventivo penale se il proprietario è indagato per reati tributari (in sostanza, la Guardia di Finanza potrebbe sequestrare l’immobile come corpo del reato, indipendentemente dall’art.76 DPR 602/73, perché in quel caso si applicano le norme penali).
  • Stipendi e conti per debiti tributari: AdER può pignorare stipendi e pensioni con regole leggermente diverse dai creditori privati. In generale, anche per il Fisco vale la regola del quinto massimo, ma modulata a scaglioni sul netto mensile: un decimo dello stipendio se questo è inferiore a circa €2.500, un settimo se tra €2.500 e €5.000, e un quinto oltre €5.000 (queste soglie sono riferite al minimo vitale e cambiano con gli adeguamenti, ma concettualmente il prelievo è progressivo). AdER non ha bisogno di autorizzazione del giudice per attivare il pignoramento presso terzi: notifica un atto di pignoramento al datore di lavoro e questo deve iniziare le trattenute. Per i conti correnti, dal 2021 la legge consente ad AdER un pignoramento “accelerato”: contestualmente alla notifica al debitore, invia ordine alla banca di vincolare le somme presenti sul conto fino a concorrenza del debito. Anche qui valgono alcune esenzioni: ad esempio, non sono pignorabili i sussidi di sostentamento (assegni sociali, assegni di inclusione) in quanto crediti impignorabili per legge. Tuttavia, come regola generale, il denaro su conto – salvo poter distinguere le provenienze – può essere prelevato da AdER se il conto viene pignorato, con la sola eccezione di eventuali accrediti stipendiali dell’ultimo mese non ancora spesi che dovrebbero restare liberi se il pignoramento è limitato al conto (tema controverso, e prudenzialmente conviene considerare tutto il saldo attaccabile).
  • Altri enti pubblici: Debiti verso i Comuni (es. contravvenzioni, mense scolastiche), verso le aziende municipalizzate (bollette acqua/rifiuti) o verso l’INPS (contributi non versati per colf, o per se stesse se autonome) vengono anch’essi riscossi tramite ruoli esattoriali e quindi con le regole AdER sopra descritte. Un caso particolare è il debito per omissione contributiva come datore di lavoro: se, ad esempio, la madre era un’imprenditrice con dipendenti e non ha versato i contributi o stipendi, quei debiti godono di tutela speciale (sono privilegiati e la loro esdebitazione – cioè la cancellazione – può essere esclusa, come vedremo). Fortunatamente, per molte madri divorziate questo caso non si pone, ma è importante se parliamo di madri imprenditrici con personale: i lavoratori vantano un diritto robusto a ricevere quanto dovuto.

Rischio riassunto: i debiti fiscali possono portare a pignoramenti automatici su stipendio/pensione e conto corrente e, in casi gravi, anche alla perdita di immobili. La prima casa è tendenzialmente protetta solo se il debito è sotto €120.000 e quella è l’unica abitazione del debitore; in caso contrario AdER può procedere come un qualunque creditore (anzi, con più facilità procedurale). Tuttavia, prima della vendita forzata di un immobile, l’Agente della Riscossione deve notificare un preavviso di almeno 30 giorni in cui il debitore può ancora chiedere una rateizzazione, e se questa viene accordata l’esecuzione si sospende. In seguito esamineremo le opzioni di rateizzazione e “rottamazione” offerte per alleggerire il carico fiscale, strumenti di cui una madre indebitata può avvalersi per evitare il peggio.

Debiti verso l’ex coniuge e obblighi di mantenimento

Dopo il divorzio, spesso è il padre a dover corrispondere un assegno di mantenimento per i figli (e talvolta per la ex moglie se economicamente più debole). Può capitare, però, che i ruoli siano invertiti o che vi siano accordi particolari: ad esempio, se i figli risiedono col padre oppure se la madre ha un reddito nettamente superiore, potrebbe essere lei l’obbligata al mantenimento verso l’ex marito o verso i figli affidati al padre. In altri casi, potrebbero esistere debiti pregressi tra ex coniugi (ad esempio, la moglie potrebbe essere stata condannata a rifondere somme al marito, come restituzione di prestiti personali o spese legali, ecc.). In qualunque scenario, questi debiti di natura familiare hanno regole proprie:

  • Assegni di mantenimento periodici: l’assegno di mantenimento per i figli ha natura alimentare, cioè serve al sostentamento primario della prole. Proprio per questo gode di una protezione speciale: non può essere pignorato dai creditori della madre. Se la madre percepisce sul proprio conto le somme che il padre versa per i figli, tali somme non dovrebbero essere attaccate da eventuali creditori della donna, perché giuridicamente appartengono ai figli (la madre ne è solo amministratrice). Tuttavia, è fondamentale tenere distinti questi importi, ad esempio utilizzando un conto dedicato: se i soldi confluissero in un conto promiscuo e venissero confusi con altri fondi, un creditore potrebbe pignorare l’intero saldo e la madre dovrebbe poi dimostrare quali somme erano destinate ai figli, con iter non scontati. Il concetto chiave è che il mantenimento per i figli non può essere oggetto di esecuzione forzata da parte di terzi diversi dal beneficiario (figlio stesso). Diverso è l’assegno di mantenimento per l’ex coniuge: secondo la Cassazione, esso non ha natura alimentare in senso tecnico, ma è volto a garantire il tenore di vita adeguato all’ex partner. Quindi, l’assegno divorzile a favore dell’ex coniuge è pignorabile da creditori terzi (nei limiti ordinari di legge). In altre parole, se una madre divorziata riceve un assegno mensile dall’ex marito per sé (ipotesi rara ma possibile in caso di ex marito obbligato al suo mantenimento), quei soldi possono essere considerati reddito pignorabile al pari di uno stipendio. All’opposto, se la madre è debitrice di un assegno periodico verso l’ex marito o i figli, e smette di pagare, potrà subire il pignoramento del suo stipendio/pensione esattamente come un qualunque debitore alimentare (in tal caso però il creditore procedente sarà il familiare stesso a cui spettano gli alimenti, con autorizzazione del giudice). Notiamo inoltre che l’omesso versamento dell’assegno divorzile o di quello per i figli può configurare un reato (violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570 c.p. o 570-bis c.p.), perseguibile penalmente. Questo profilo esula dalla tematica del sovraindebitamento, ma la madre debitrice deve esserne consapevole: i debiti per mantenimento familiare vanno soddisfatti con priorità assoluta, perché la legge li tutela sia civilmente (con privilegi e impignorabilità da terzi) sia penalmente.
  • Arretrati e debiti pregressi tra ex coniugi: se la madre ha accumulato un debito per arretrati di mantenimento (cioè non ha pagato per mesi l’assegno dovuto all’ex o ai figli) oppure deve versare somme all’ex per decisione del tribunale (ad esempio rimborso di metà mutuo pagato dall’ex, conguagli patrimoniali, o restituzione di prestiti), tali debiti possono essere fatti valere dall’ex con esecuzione forzata. L’ex coniuge può aggredire i beni e i redditi della debitrice al pari di un creditore qualsiasi, ma con qualche vantaggio: i crediti alimentari godono di un privilegio speciale sui beni del debitore (ad esempio hanno priorità su altri crediti in caso di pignoramento concorrente) e, come detto, permettono pignoramenti di stipendi anche oltre il quinto (su autorizzazione del tribunale) se servono a soddisfare il fabbisogno del beneficiario. Inoltre, questi debiti non possono essere cancellati da procedure concorsuali: la legge esclude espressamente i debiti per alimenti dal beneficio dell’esdebitazione. Ciò significa che, anche se la madre ricorre alla legge sul sovraindebitamento (di cui parleremo a breve) e ottiene la cancellazione degli altri debiti, dovrà comunque onorare integralmente gli arretrati verso l’ex coniuge o i figli. Su questo punto la normativa è chiara: i crediti legati al mantenimento familiare sono “indisponibili” e restano dovuti per intero.

Rischio riassunto: i debiti di natura familiare presentano una doppia faccia. Se la madre è creditrice (ossia deve ricevere somme dall’ex), quei crediti per i figli sono relativamente al sicuro da interferenze di altri creditori; se invece la madre è debitrice di obblighi familiari, tali debiti sono prioritari e non sacrificabili. Il mancato pagamento può condurre a pignoramenti rapidi (in genere trattandosi di alimenti il giudice autorizza misure urgenti) e addirittura a conseguenze penali. In sostanza, vanno pianificati come spese incomprimibili.

Vale la pena menzionare che esistono strumenti di sostegno nel caso in cui l’altro genitore non paghi il mantenimento dovuto: lo Stato italiano ha istituito un Fondo di solidarietà per garantire in parte l’assegno ai figli o all’ex coniuge in stato di bisogno. Ad esempio, se il padre obbligato si rende inadempiente e la madre versa in difficoltà economiche, può chiedere al tribunale l’intervento di questo Fondo (introdotto dalla L. 205/2017 e operativo dal 2019). Ciò ovviamente non riduce i debiti della madre, ma può alleviare la pressione finanziaria familiare assicurando entrate minime per i figli. È una strada da percorrere in caso di necessità, parallelamente alla gestione dei debiti propri.

Debiti verso fornitori, privati e altri creditori vari

In questa categoria rientrano tutte le passività non già coperte sopra, che possono gravare su una persona: ad esempio le bollette non pagate (luce, gas, telefono), le spese condominiali arretrate, debiti per acquisti di beni o servizi (dall’arredamento al dentista), finanziamenti ottenuti da parenti o amici, eventuali debiti d’impresa verso fornitori se la madre gestiva un’attività economica, e così via.

  • Bollette e utenze: i debiti verso aziende di servizi (energia elettrica, gas, telefonia) seguono la normale via civile. Tipicamente, se una bolletta rimane impagata, l’ente può sospendere il servizio (staccare luce/gas). Con figli minori in casa, le aziende tendono a evitare interruzioni improvvise, ma non esiste un divieto legale assoluto: tuttavia, in casi di comprovata morosità incolpevole e presenza di minori, si può tentare di negoziare piani di rientro con il gestore. Se il debito rimane e la fornitura è cessata, l’azienda può cedere il credito a società di recupero che procederanno come creditori ordinari (ingiunzione e pignoramenti). Importante: Le spese condominiali non pagate possono portare l’amministratore a ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo e a ipotecare o pignorare l’immobile di proprietà. Hanno anche privilegio sull’immobile: ciò significa che, in caso di vendita forzata, i crediti condominiali degli ultimi 2 anni sono soddisfatti con precedenza su altri crediti chirografari. Inoltre, i debiti condominiali “seguono” l’immobile: se la madre vende la casa, l’acquirente risponde in solido di quelli dell’anno in corso e precedente, il che può complicare la vendita. Pertanto, se la madre divorziata proprietaria di casa versa in difficoltà, dovrebbe mettere le spese condominiali tra le priorità (dopo alimenti e mutuo), per non rischiare azioni aggressive da parte del condominio.
  • Debiti commerciali o verso fornitori: se la madre gestiva un’attività (es. un negozio o era una ditta individuale) e ha debiti verso fornitori o banche per la sua attività, questi creditori possono agire sul suo patrimonio personale, specie se l’impresa non ha personalità giuridica separata. Anche un ex socio o un coobbligato potrebbero rivalersi su di lei. Tali debiti ricadono sostanzialmente nei debiti privati e i fornitori insoluti possono presentare ingiunzioni. Una madre lavoratrice autonoma o piccola imprenditrice dunque rischia su due fronti: da un lato i crediti professionali (dipendenti non pagati, fornitori, fisco per IVA/contributi) e dall’altro i crediti personali (familiari, mutui, ecc.). Torneremo più avanti sulla distinzione consumatore vs imprenditore, perché rileva nelle procedure di sovraindebitamento: qui basti notare che se il debito ha origine da attività professionale, il trattamento può differire (ad esempio, non può usufruire del “piano del consumatore” se è un debito professionale puro, ma dovrà eventualmente usare il concordato minore).
  • Debiti per risarcimenti danni: un caso particolare è se la madre ha causato un danno a terzi e deve risarcirlo (responsabilità civile, es. incidente stradale con colpa). Questo è un debito verso privati (il danneggiato, o la compagnia assicuratrice se ha pagato), ma è considerato dal legislatore un debito “sensibile”. In sede di esecuzione, il danneggiato può agire come un normale creditore. Tuttavia, nelle procedure di esdebitazione certi debiti da fatto illecito non vengono cancellati: se il debito deriva da un risarcimento per lesioni, morte o altri fatti illeciti extracontrattuali, resta escluso dall’esdebitazione per ragioni di giustizia sostanziale. In altre parole, la madre non potrà liberarsene neppure col sovraindebitamento (vedi oltre).

Rischio riassunto: i debiti verso privati sono eterogenei ma, in generale, comportano azioni di recupero ordinarie (ingiunzioni e pignoramenti). Alcuni, come i contributi condominiali, hanno efficacia più rapida; altri, come bollette e acquisti a rate, potrebbero essere ceduti a società specializzate. La madre debitrice deve essere consapevole che tutti questi creditori concorrono sui medesimi beni (casa, stipendio, conto). Se più pignoramenti arrivano insieme, il primo cronologicamente può bloccare i beni e poi gli altri concorreranno sulla distribuzione. Questo scenario può portare ad aste giudiziarie e perdita di beni se non si interviene in tempo. È cruciale quindi affrontare il problema in modo organico, valutando strumenti di composizione della crisi debitoria che coinvolgano tutti i creditori in una soluzione unica (come le procedure ex Legge 3/2012, di cui parliamo nella sezione successiva).

Prima di addentrarci nelle soluzioni legali (procedure di sovraindebitamento e ristrutturazione), facciamo un punto sulle tutele e limiti generali che l’ordinamento prevede a salvaguardia dei beni essenziali del debitore e dei suoi figli. Queste tutele (impignorabilità di certi beni, assegnazione della casa familiare, ecc.) costituiscono un paracadute minimo e vanno conosciute dal debitore per capire cosa i creditori non possono fare o fin dove possono spingersi.

Tutele del debitore: casa familiare, beni e redditi impignorabili, tenore di vita dei figli

Il nostro ordinamento, pur garantendo ai creditori il diritto di essere soddisfatti forzatamente, prevede anche dei limiti per proteggere la dignità e i bisogni primari della famiglia del debitore. In questa sezione vediamo quali beni e quali redditi non possono essere toccati o lo sono solo in parte, e come funziona la particolare situazione della casa coniugale assegnata alla madre affidataria dei figli. Comprendere queste tutele è fondamentale per sapere quali risorse sono al sicuro e quali invece vanno eventualmente difese con azioni specifiche.

Protezione dell’abitazione (prima casa e casa familiare assegnata)

La casa è spesso al centro delle preoccupazioni: perdere l’abitazione significa creare un grave disagio alla madre e ai figli. In Italia la legge distingue due concetti: la prima casa di proprietà del debitore e la casa familiare assegnata in sede di separazione/divorzio. Vediamoli separatamente:

  • Impignorabilità della prima casa (solo per debiti fiscali): come già accennato, se la madre divorziata è proprietaria dell’immobile in cui vive con i figli (prima casa) e ha debiti con il Fisco, la legge le offre una protezione a determinate condizioni. Riassumendo: Agenzia Entrate Riscossione non può pignorare l’unica casa di residenza del debitore se il debito totale verso l’erario è sotto 120.000 € e l’immobile non è di lusso. Questa norma è stata introdotta per evitare che crisi fiscali gettino intere famiglie per strada. La Cassazione ha confermato con più pronunce (es. Cass. 19270/2014 e ord. 32759/2024) la solidità di tale divieto. Tuttavia, ripetiamo, ciò non vale per i creditori privati (banche, finanziarie, privati): costoro possono pignorare e far vendere anche l’unica casa di abitazione senza limiti, perché la legge speciale tutela solo dai debiti fiscali. Quindi una madre indebitata con banche o altri, se teme di perdere la casa, deve valutare strumenti come il consolidamento del debito o il piano del consumatore che vedremo dopo, non potendo contare su una protezione automatica.
  • Assegnazione della casa coniugale e rapporti con i creditori: spesso, dopo la separazione, la casa familiare (di proprietà di uno o entrambi i coniugi) viene assegnata dal giudice alla madre affinché vi abiti con i figli minori o non autosufficienti. L’assegnazione dà un diritto di abitazione alla madre (anche se non proprietaria) finché i figli conviventi ne hanno bisogno. Questo diritto è opponibile ai terzi se il provvedimento di assegnazione è trascritto nei registri immobiliari tempestivamente. Cosa significa? Significa che se, ad esempio, la casa era intestata all’ex marito, e questi ha debiti, un creditore del marito potrebbe pignorarla e venderla. Però, se l’assegnazione in favore della madre era stata trascritta prima del pignoramento, l’acquirente all’asta dovrà rispettare il diritto di abitazione della madre e dei figli (analogamente a una locazione registrata). Se invece l’assegnazione non era trascritta o è successiva al pignoramento, sarà opponibile solo per 9 anni dall’assegnazione, dopodiché il terzo potrà liberare l’immobile. In ogni caso, va chiarito un aspetto cruciale: il diritto di abitazione opponibile non impedisce la vendita forzata. La Cassazione ha affermato che l’assegnazione non paralizza il diritto del creditore di pignorare e vendere il bene; semmai incide sul godimento post-vendita. In pratica, un creditore può comunque far espropriare la casa familiare assegnata; se l’assegnazione è opponibile, la casa verrà venduta occupata dall’assegnataria e ciò potrà ridurre il prezzo d’asta, ma non bloccare l’esecuzione. Solo la trascrizione tempestiva avrebbe potuto “bloccare” di fatto la procedura esecutiva, rendendo l’immobile poco appetibile. Dunque, se la madre vive in una casa di proprietà dell’ex coniuge assegnatale in sede di divorzio, è bene che verifichi se il provvedimento è stato trascritto. Se non lo fosse, conviene farlo immediatamente per tutelarsi il più possibile in caso di azioni dei creditori del proprietario.
  • Casa in comproprietà tra ex coniugi: altro scenario diffuso: la casa era in comproprietà (es. al 50% ciascuno in comunione legale). Dopo il divorzio, se uno dei due è indebitato, i suoi creditori possono pignorare la sua quota di casa. Questo tipicamente sfocia in una richiesta di divisione giudiziale: il tribunale, su istanza del creditore, può disporre la vendita dell’intero immobile e la ripartizione a metà (al netto dei debiti) tra ex moglie ed ex marito. La madre, in quanto comproprietaria non debitrice, riceverebbe la sua quota del ricavato ma perderebbe la casa in cui vive. L’assegnazione come casa familiare anche qui gioca un ruolo: se era assegnata a lei con figli e trascritta, la sua presenza potrebbe scoraggiare offerte all’asta, ma non impedire la procedura. L’unica soluzione in questi casi spesso è cercare di rilevare la quota dell’ex (se il creditore consente, pagando il dovuto) oppure trovare un accordo con i creditori prima che si arrivi all’asta. Da notare: se la comunione legale era ancora in piedi al momento di contrarre il debito, alcuni crediti potrebbero riguardare l’intero patrimonio comune e quindi l’intera casa, ma dopo la separazione personale la comunione si scioglie ex nunc (Cass. 12466/2013 ha ribadito che lo scioglimento della comunione avviene con la sentenza di separazione o omologa, non dalla mera autorizzazione presidenziale). Quindi i nuovi debiti dell’ex marito contratti post-separazione non toccano la quota della ex moglie, e viceversa.

In sintesi, per proteggere l’abitazione la madre divorziata ha pochi scudi automatici: contro i creditori fiscali la legge la tutela sulla prima casa (se unico immobile e debito modesto); contro i creditori privati l’unica “tutela” è l’assegnazione familiare trascritta (che però non impedisce l’esproprio ma solo garantisce il diritto di abitazione opponibile). Dunque è fondamentale, se ci sono debiti importanti, agire tempestivamente con strumenti di composizione o ristrutturazione del debito per evitare di arrivare al pignoramento della casa. Nel prosieguo vedremo come un Piano del consumatore ben congegnato possa consentire di mantenere la casa offrendo ai creditori un pagamento più conveniente rispetto all’asta.

Beni mobili indispensabili e altri limiti al pignoramento

Oltre alla casa, il codice di procedura civile elenca alcuni beni mobili e crediti che non possono essere pignorati o lo sono con forti limitazioni. Eccone alcuni di rilievo per una madre divorziata:

  • Beni mobili di uso quotidiano: mobilio di casa, letti, elettrodomestici essenziali, vestiti, effetti personali e in generale tutto ciò che serve alla vita della famiglia non è pignorabile (art. 514 c.p.c.). Quindi un ufficiale giudiziario non potrà portare via mobili, stoviglie, frigorifero, lavatrice, ecc., salvo che vi siano oggetti di lusso di valore rilevante (quadri d’autore, tappeti pregiati, collezioni) che eccedano l’uso comune. Anche i ricordi di famiglia e gli animali da compagnia sono impignorabili. Questo garantisce che la madre e i figli non restino privi del minimo arredo per vivere.
  • Automobile: l’auto, se di proprietà della debitrice, è pignorabile. Non ci sono esenzioni specifiche, a meno che non sia un veicolo adattato per disabilità (in tal caso è protetto). Tuttavia, se l’auto è strumento di lavoro (ad esempio la madre è una lavoratrice autonoma e usa l’auto per lavoro), può chiedere al giudice dell’esecuzione di sostituire il pignoramento con un altro bene o di dilazionare la vendita. In pratica però l’auto viene spesso pignorata e venduta all’asta o assegnata al creditore, con notevole deprezzamento, quindi a volte è preferibile cercare accordi per evitarlo. Vale notare che, se la madre necessita dell’auto per accompagnare i figli a scuola o per raggiungere il luogo di lavoro, ciò purtroppo non costituisce un’esenzione legale, sebbene possa invocarlo per chiedere al creditore una soluzione transattiva.
  • Stipendi, pensioni e indennità: abbiamo già accennato ai limiti sui pignoramenti di stipendi: in linea generale non si può pignorare più di 1/5 dello stipendio o pensione netti per ogni creditore chirografario (e cumulativamente non oltre metà). Inoltre esiste una soglia di impignorabilità assoluta pari all’assegno sociale aumentato della metà: questa soglia (poco più di 750 euro circa nel 2025) è la cifra minima che deve rimanere intoccata per pensioni e stipendi di importo modesto. Per le pensioni: la quota impignorabile è pari all’assegno sociale (circa €503 nel 2025) e solo l’eccedenza può essere pignorata nella misura di 1/5. Per gli stipendi percepiti su conto corrente, come visto, c’è la tutela dell’ultimo accredito non toccabile se il pignoramento è solo presso datore; ma se il creditore ha pignorato direttamente il conto, quella distinzione sfuma. Indennità e sussidi: alcuni redditi di natura assistenziale sono completamente impignorabili, ad esempio assegno sociale, assegno di invalidità civile, assegno di inclusione (ex reddito di cittadinanza). Se la madre divorziata percepisce queste forme di sostegno, i creditori non possono aggredirle. Anche le somme erogate a titolo di maternità o sussidi per figli non sono pignorabili (per legge). Dunque, in una situazione di disoccupazione, la madre che riceve un sussidio statale può contare sul fatto che quel minimo non le verrà sottratto dai creditori.
  • Polizze vita e assicurazioni: le indennità di assicurazione sulla vita o di indennizzo in caso di morte/infortunio non sono pignorabili (art. 1923 c.c.), né dai creditori dell’assicurato né da quelli del beneficiario, prima che siano liquidate. Questo significa che se, ad esempio, la madre aveva una polizza e la riscatta, la somma corrisposta dall’assicurazione è al riparo dai creditori (una volta nel suo patrimonio però può confondersi). Anche le somme dovute da assicurazione per danni a persone (es. risarcimento per un incidente subito) di solito non possono essere pignorate finché non entrano nel patrimonio del danneggiato.
  • Fondo patrimoniale: molte coppie costituiscono un fondo patrimoniale destinando beni (come la casa) ai bisogni della famiglia. Se un bene è in fondo patrimoniale, in teoria i creditori per debiti estranei ai bisogni familiari non potrebbero pignorarlo. Ad esempio, se la casa coniugale era stata conferita in fondo, un debito contratto per spese voluttuarie di uno dei coniugi non giustificato da necessità familiari non legittima il creditore ad aggredire quella casa. Tuttavia, quasi tutti i debiti ordinari (mutui, prestiti, bollette) sono considerati contratti per bisogni familiari, quindi il fondo raramente offre protezione effettiva. Inoltre, se la madre divorziata ha un fondo patrimoniale creato durante il matrimonio, con il divorzio cessa la destinazione per quanto riguarda i rapporti tra i coniugi, restando però per i figli finché minorenni. Un creditore potrebbe comunque contestare l’atto costitutivo con un’azione revocatoria se fatto in frode. Pertanto il fondo patrimoniale non è una panacea, e ne citiamo l’esistenza solo per completezza: non è una soluzione attivabile a posteriori per sfuggire ai debiti (anzi, costituirne uno mentre si è indebitati espone a accuse di frode ai creditori).

Riassumendo i limiti alle esecuzioni: la madre divorziata non rischia di vedersi portare via l’arredamento di casa, i vestiti dei bambini, i libri di scuola; nessuno può privarla di una parte minima del suo stipendio o pensione necessaria a sopravvivere; eventuali piccoli sussidi di welfare sono intoccabili. La casa rimane il bene più esposto (salvo i casi già discussi), così come l’automobile e gli eventuali risparmi sul conto corrente. Conoscere queste tutele serve anche a pianificare: ad esempio, se si teme il pignoramento del conto, la madre potrebbe decidere di mantenere sul conto solo l’indispensabile, prelevando subito lo stipendio per le spese correnti, in modo da non accumulare liquidità attaccabile (tenendo i contanti in casa o su carte prepagate non agganciate all’iban, sebbene anche queste ultime siano pignorabili se note). Sono strategie di sopravvivenza temporanee: la vera soluzione di lungo periodo sta nel gestire e ridurre il debito complessivo, come vedremo nelle prossime sezioni sulle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento.

Tenore di vita dei figli e diritto agli alimenti

Un aspetto fondamentale che orienta molte decisioni delle autorità (giudici civili ed eventualmente autorità penali) è la tutela del tenore di vita adeguato dei figli minori. Il diritto del minore a mantenere, per quanto possibile, un livello di vita decoroso è costituzionalmente e normativamente garantito. Cosa implica questo nel contesto dei debiti? Alcuni riflessi li abbiamo già visti: l’impignorabilità degli alimenti per i figli, i limiti alle esecuzioni che lascino in capo al genitore un minimo vitale, ecc. Aggiungiamo qui che:

  • Se la madre versa in grave difficoltà economica, i servizi sociali e il giudice potrebbero intervenire per tutelare i minori. Ciò potrebbe tradursi, ad esempio, in agevolazioni per le spese scolastiche, accesso a misure di sostegno comunali (borse di studio, esenzioni mensa) o, come ultima ratio, in una modifica delle condizioni di affidamento (in casi estremi in cui i minori rischiano privazioni gravi, potrebbe essere rivalutato l’affido condiviso o richiesto un maggiore contributo dell’altro genitore). Tuttavia, quest’ultimo scenario è raro e si cerca sempre di evitare di “punire” il genitore debitore sottraendogli i figli per motivi economici. Piuttosto, il sistema tende a supportare la famiglia in crisi finanziaria attraverso strumenti di welfare.
  • La presenza di figli a carico è uno degli elementi che i tribunali considerano nella procedura di sovraindebitamento. Ad esempio, nel valutare la “meritevolezza” del debitore (criterio spiegato in seguito), avere contratto debiti per far fronte alle necessità familiari, o comunque essersi indebitati senza spese voluttuarie ma per mantenere i figli, è visto con favore. Inoltre, nel Piano del consumatore il giudice valuta anche che l’importo da pagare sia sostenibile tenuto conto del mantenimento della famiglia. Il calcolo del minimo vitale che un debitore può trattenere comprende le spese per i figli: ad esempio, l’art. 283 del Codice della crisi (esdebitazione dell’incapiente) stabilisce che va dedotto dal reddito dell’istante “quanto occorrente al mantenimento suo e della sua famiglia” e fa riferimento ai parametri ISEE familiari. Ciò significa che, nelle procedure, il tribunale non chiederà mai a una madre di destinare ai creditori somme tali da lasciare i figli nella miseria: si terrà conto del numero di figli, delle loro esigenze di base (alimentazione, casa, scuola). Ovviamente questo non impedisce che, di fatto, una famiglia sovraindebitata debba ridurre il proprio tenore di vita; ma nessun piano legale imporrà ai figli di rinunciare al necessario. I creditori dovranno accettare un compromesso.
  • Un cenno va fatto anche al diritto agli alimenti in senso tecnico: oltre all’assegno di mantenimento, esiste l’istituto degli alimenti dovuti per legge tra parenti (es. dai nonni ai nipoti in difficoltà, dai figli ai genitori anziani). Se la madre divorziata, ad esempio, non riesce a far fronte ai debiti e a mantenere i figli, potrebbe cercare aiuto nella famiglia allargata (propri genitori, fratelli). La legge prevede un obbligo alimentare tra parenti entro il grado previsto, ma si tratta di un tema extra-giudiziale: è più una rete familiare da attivare. Tuttavia, sapere che legalmente i nonni potrebbero essere chiamati a contribuire (in casi limite, anche in tribunale) può offrire uno stimolo in più a trovare soluzioni intra-familiari per evitare di far precipitare la situazione (ad esempio, un nonno potrebbe pagare le rate di mutuo arretrate per evitare che la casa dove vivono i nipoti vada all’asta, regolandosi poi con la figlia).

In conclusione su questo punto, il benessere dei figli costituisce una linea rossa che il sistema giuridico cerca di non fare oltrepassare: se i debiti minacciano il soddisfacimento dei bisogni fondamentali dei minori, vi sono meccanismi per alleviare la pressione (dalle impignorabilità al possibile intervento di fondi di solidarietà o parenti obbligati agli alimenti). Ciò non toglie che la madre debitrice debba agire attivamente per risolvere la propria situazione finanziaria: la sezione seguente è dedicata proprio agli strumenti legali per uscire dai debiti, con particolare attenzione alle procedure di sovraindebitamento introdotte e aggiornate in questi anni.

Procedure di sovraindebitamento e ristrutturazione dei debiti

Dal 2012 in Italia esiste una legislazione specifica per consentire alle persone sovraindebitate (cittadini, piccoli imprenditori, professionisti) di superare la crisi debitoria in modo ordinato e legalmente protetto, spesso con la possibilità di pagare solo una parte dei debiti e farsi cancellare il resto (esdebitazione). Questa normativa, inizialmente nota come “Legge 3/2012” o “legge salva-suicidi”, è stata completamente riformata ed inglobata nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), entrato in vigore definitivamente nel luglio 2022. Oggi, pertanto, non parliamo più di “legge 3/2012” ma di procedure da sovraindebitamento disciplinate dal nuovo Codice. I principi di base però restano simili: offrire al debitore meritevole una seconda possibilità, conciliando il suo diritto a una vita dignitosa con quello dei creditori ad essere soddisfatti per quanto possibile.

In questa sezione illustreremo le varie procedure disponibili, i requisiti per accedervi e le novità più rilevanti introdotte fino al 2025 (come l’esdebitazione dell’incapiente, le procedure familiari e il “merito creditizio” dei finanziatori). Faremo riferimento sia ai termini correnti del Codice della Crisi sia, tra parentesi, ai vecchi termini della L.3/2012 per chiarezza. Ricordiamo la definizione giuridica di sovraindebitamento: essa indica lo stato di crisi (difficoltà finanziaria reversibile) o di insolvenza (incapacità strutturale di pagare) di un debitore non fallibile (cioè escluso dalle procedure fallimentari ordinarie), quale un consumatore, un professionista, una piccola impresa sotto soglia, un imprenditore agricolo, una start-up innovativa o un ente non profit. In breve, quasi tutti i soggetti che non rientrano nel fallimento possono accedere a queste procedure.

Di seguito presentiamo le quattro principali procedure ora previste dal Codice per il sovraindebitamento, dal punto di vista di una madre debitrice:

Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex “Piano del consumatore”)

Il Piano del consumatore è stato lo strumento di punta introdotto nel 2012 per le persone fisiche consumatrici, e continua ad esistere nel Codice col nome di “piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore”. Si tratta di una procedura giudiziale in cui il debitore elabora, con l’ausilio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o di un professionista, un piano di pagamento dei propri debiti sostenibile rispetto al suo reddito, e lo sottopone all’omologazione del tribunale. Le caratteristiche principali:

  • Chi può accedere: solo il consumatore, definito come persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei ad attività imprenditoriali/professionali. Dunque, una madre divorziata che abbia debiti per esigenze familiari, acquisto casa, mantenimento, spese varie, rientra sicuramente. Se però la madre ha debiti derivanti in parte da attività professionale (es. era una lavoratrice autonoma o socia d’impresa), bisogna valutare caso per caso: può comunque presentare un Piano come consumatore per la parte personale, a patto che i debiti d’impresa non siano prevalenti. Un nota bene: il consumatore non deve essere soggetto a liquidazione giudiziale (ex fallimento), ma la nostra madre quasi certamente non lo è essendo persona fisica o piccola impresa sotto soglia.
  • Meritevolezza: il Piano del consumatore non richiede il voto dei creditori, ma il giudice prima di omologarlo deve valutare la meritevolezza del debitore. Ciò implica verificare che il sovraindebitamento non sia dovuto a dolo o colpa grave del debitore, né a atti in frode ai creditori. Ad esempio, se la madre ha dilapidato il patrimonio in gioco d’azzardo o lusso, o ha nascosto beni, potrebbe vedersi negare il piano. In passato questa valutazione era stringente; oggi il Codice la mantiene ma con un occhio anche al merito creditizio dei finanziatori: si puniscono (non pagando interamente) le banche che hanno concesso prestiti sapendo che la persona era già insolvente. Quindi, se la madre è stata sommersa di prestiti dalle finanziarie oltre ogni ragionevole capacità di rimborso, il giudice terrà conto anche di questa irresponsabilità del creditore.
  • Contenuto del Piano: può prevedere qualsiasi forma di ristrutturazione: dilazioni, taglio degli importi (stralcio parziale del debito), anche la cessione di beni non essenziali. L’obiettivo è proporre al tribunale un pagamento commisurato alle effettive possibilità economiche del debitore, assicurando al contempo che la madre e la sua famiglia possano mantenere un tenore di vita dignitoso durante l’esecuzione. Per questo tipicamente il Piano può escludere il pignoramento della casa, se si dimostra che vendendola i creditori incasserebbero meno di quanto offerto con il Piano. Ad esempio, nella storia di Angela, la mamma fideiussora di cui sopra, il suo Piano omologato prevedeva di pagare €48.000 in 6 anni a fronte di €938.000 di debiti, evidenziando che €48.000 era più del ricavabile vendendo la casa all’asta. Il tribunale di Pavia ha accettato quel Piano, stralciando quindi circa il 95% del debito e lasciando Angela nella sua casa. Questo per mostrare la potenza dello strumento: se ben motivato, un Piano del consumatore può salvare la casa e ridurre drasticamente i debiti. Naturalmente il caso di Angela era particolarmente meritevole (debiti causati dal fallimento dell’ex marito, nessuna colpa sua).
  • Procedura e omologazione: il debitore deposita il ricorso al tribunale competente (di solito il tribunale del luogo di residenza) allegando il Piano e una relazione dell’OCC che attesta la veridicità dei dati, le cause dell’indebitamento e la fattibilità del piano. Non serve l’accordo dei creditori; questi vengono informati e possono eventualmente fare opposizione se il piano li danneggia oltre misura. Il giudice, valutata la documentazione e la meritevolezza, omologa il Piano rendendolo vincolante per tutti i creditori. Da quel momento, il debitore dovrà rispettare le scadenze e i pagamenti previsti. Viene nominato un gestore o OCC per vigilare sull’esecuzione. Durante la pendenza del procedimento e dopo l’omologazione, i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali: tutti devono attenersi al piano. Se la madre paga regolarmente quanto stabilito (es. versa una certa somma mensile per alcuni anni, oppure provvede a liquidare un bene previsto dal piano), alla fine ottiene l’esdebitazione: ossia, la parte di debito non pagata viene definitivamente cancellata e i creditori non possono più pretenderla. In caso di inadempimento grave del piano, invece, questo può essere revocato e i creditori tornano liberi di agire (e gli sforzi fatti rischiano di essere vanificati, quindi è essenziale proporre un piano realistico e sostenibile).

Quando conviene il Piano del consumatore? Nel caso di una madre divorziata, il Piano è indicato se: ha un reddito fisso o altre entrate regolari su cui poter contare per fare offerte ai creditori, non vuole/permettersi di liquidare la casa o i beni essenziali, ed è meritevole (cioè i debiti hanno cause “giustificabili”, come la perdita del lavoro, spese mediche, separazione, ecc., e non ci sono frodi). Ad esempio, una madre lavoratrice dipendente con uno stipendio medio, indebitata per prestiti e carte di credito contratti magari per crescere i figli dopo la separazione, potrebbe presentare un piano in cui versa, poniamo, 300 € al mese per 5 anni ai creditori e chiede lo stralcio del resto. Se quell’importo è il massimo compatibile col suo reddito (tolte le spese di mantenimento familiare), il giudice potrebbe approvarlo anche se i creditori recuperano solo una parte. Vantaggi per la madre: nessuna liquidazione forzata dei beni, stop immediato a pignoramenti e azioni (appena ammesso il piano si può chiedere la sospensione delle esecuzioni in corso), niente votazioni da parte dei creditori (quindi i creditori non possono bloccarlo se il giudice è d’accordo). Svantaggi: richiede un reddito sufficiente a offrire qualcosa di significativo; se la madre è totalmente incapiente, non può proporre un piano (dovrebbe semmai scegliere la liquidazione o l’esdebitazione incapiente, v. oltre). Inoltre comporta un impegno pluriennale: va seguita con disciplina, pena la decadenza dai benefici.

Concordato minore (ex “accordo di composizione” per imprenditori)

Il concordato minore è la nuova denominazione dell’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento destinato ai debitori diversi dal consumatore. In pratica è la procedura riservata a piccoli imprenditori, professionisti, start-up, imprenditori agricoli e in generale soggetti non fallibili che hanno debiti anche di natura professionale o aziendale. Potrebbe riguardare una madre divorziata se, ad esempio, era titolare di una ditta individuale o socio di una snc, o se i suoi debiti derivano in parte dalla sua attività lavorativa autonoma. Le caratteristiche principali del concordato minore:

  • Chi può accedere: tutti i soggetti non fallibili (concetto che vedremo subito) che non siano consumatori. I soggetti non fallibili sono definiti in negativo: sono quelli che, negli ultimi tre esercizi, non hanno superato certi limiti dimensionali (attivo patrimoniale annuo > €300.000, ricavi > €200.000, debiti > €500.000). Inoltre, per legge sono esclusi dal fallimento e quindi ammessi al sovraindebitamento: imprenditori agricoli, enti non profit, start-up innovative, ecc.. Di fatto, la stragrande maggioranza delle lavoratrici autonome, artigiane, commercianti di piccole dimensioni rientra in questi parametri. Dunque, se la nostra madre era una parrucchiera con partita IVA, una freelancer, o gestiva un negozio con pochi dipendenti, non verrà “portata in fallimento” ma può usare le procedure da sovraindebitamento. Nota: anche i fideiussori di debiti altrui e gli eredi di imprenditore defunto sono ammessi. Nel 2022 si è aggiunta la possibilità di fare procedure familiari congiunte: se più membri della stessa famiglia sono sovraindebitati per cause comuni, possono presentare un unico concordato minore o piano, risparmiando tempo e costi. Ad esempio, marito e moglie co-obbligati in debiti aziendali possono accedere insieme. Nel nostro caso, la madre divorziata potrebbe utilizzare questa opzione con, ad esempio, un figlio maggiorenne convivente anch’egli indebitato, presentando un unico piano familiare (purché le origini dell’indebitamento siano collegate).
  • Contenuto del concordato minore: analogamente al piano, il debitore formula una proposta di ristrutturazione dei debiti. La differenza è che qui è richiesta una forma di accordo con i creditori: la proposta viene sottoposta a voto dei creditori, e serve l’adesione di almeno il 50% dei crediti (maggioranza per teste e per somme). Quindi, contrariamente al piano del consumatore, i creditori hanno voce: se la metà (in valore) accetta, il tribunale può omologare l’accordo e renderlo efficace verso tutti i creditori, anche dissenzienti. È un meccanismo simile al concordato preventivo delle imprese maggiori, ma semplificato e con soglie di voto più basse (prima era 60% nella legge 3/2012, ora 50%). Nel concordato minore si può anche prevedere la continuazione dell’attività: ad esempio, una madre che gestiva un negozio e vuole evitare di chiudere può proporre di pagare i creditori in parte con i proventi futuri, mantenendo aperta l’attività. Ciò lo rende più flessibile in contesti imprenditoriali. Si può anche qui prevedere qualsiasi forma: dilazioni, stralci, conversione di crediti in partecipazioni, ecc.
  • Meritevolezza e fattibilità: anche il concordato minore richiede che il debitore sia in buona fede (assenza di frodi e colpe gravi), ma il giudizio è un po’ meno stringente rispetto al piano del consumatore, perché qui sono i creditori stessi a decidere se fidarsi del piano. Se si raggiunge la maggioranza di consensi, il tribunale tende a omologare salvo macroscopiche violazioni di legge. Naturalmente occorre presentare documentazione completa e la relazione dell’OCC che attesta cause dell’indebitamento, comportamento del debitore e fattibilità del piano.
  • Procedura: il ricorso con la proposta di concordato minore va in tribunale; il giudice nomina un gestore della crisi (di solito l’OCC) che supervisiona. Si indice una votazione dei creditori (anche telematica o mediante silenzio-assenso in certi casi). Se la soglia del 50% è raggiunta, il giudice omologa e il piano diventa vincolante per tutti i creditori (anche per i dissenzienti, che vengono “cramdownati”). Durante il procedimento, il debitore può chiedere misure protettive per sospendere le esecuzioni. Dopo l’omologa, si esegue il piano sotto controllo dell’OCC.

Quando conviene il concordato minore? Per una madre divorziata, raramente preferirà il concordato minore al piano del consumatore, a meno che sia costretta perché i suoi debiti non sono principalmente da consumatrice. Esempio tipico: madre ex imprenditrice che ha chiuso l’attività ma ha debiti verso fornitori e banche per fidi aziendali – questi non sono debiti “di consumo”. In tal caso deve per forza passare per il concordato minore (o la liquidazione). Uno scenario: la madre artigiana vuole evitare la liquidazione dei beni e magari mantenere l’auto e l’attrezzatura per continuare a lavorare; propone ai creditori un accordo: paga in 5 anni una percentuale, e loro accettano perché sperano di recuperare di più. Se i creditori sono frammentati (molti piccoli fornitori) spesso c’è convenienza: in genere queste composizioni ottengono l’ok soprattutto se la percentuale offerta non è irrisoria (altrimenti preferiranno la liquidazione). In definitiva, il concordato minore è utile dove c’è un’attività da salvaguardare o dove la presenza di crediti professionali esclude il piano del consumatore. Vantaggi: consente di includere tutti i debiti (anche fiscali e previdenziali, previo pagamento di almeno il 20% di quelli privilegiati, salvo deroghe), permette continuità aziendale, e con la nuova norma la soglia di consenso è più bassa (50%). Svantaggi: richiede convincere i creditori – se c’è uno di peso che si oppone e detiene più del 50% del credito totale, può far fallire l’accordo. Inoltre, è più complesso del piano consumatore e ha costi leggermente maggiori (per via della gestione del voto).

Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex “liquidazione del patrimonio”)

La liquidazione controllata è l’equivalente di una procedura fallimentare personale: il debitore mette a disposizione tutto il suo patrimonio (eccetto i beni impignorabili) e un liquidatore nominato dal tribunale li vende per distribuire il ricavato ai creditori. Al termine, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione dei debiti residui. Questa era la “via d’uscita” residuale nella legge 3/2012 (chiamata liquidazione del patrimonio); nel Codice della Crisi è confermata con alcuni miglioramenti per il debitore (ad esempio durata massima 3 anni). Le caratteristiche:

  • Accesso: può accedervi qualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o meno), anche privo di requisiti di meritevolezza. Infatti, la liquidazione spesso è l’unica via per chi non può proporre piani credibili o per chi ha compiuto atti che ostano a piano/accordo. Ad esempio, se la madre ha agito con colpa grave nell’indebitarsi (poniamo abbia fatto spese pazze), un piano potrebbe essere respinto; ma la legge le consente comunque di liquidare i suoi beni per liberarsi dai debiti. La liquidazione può essere volontaria (chiesta dal debitore) oppure richiesta dai creditori o dal Pubblico Ministero in casi specifici, se il debitore è in stato di insolvenza. Tuttavia, nella pratica del sovraindebitamento, quasi sempre è su istanza del debitore stesso.
  • Patrimonio liquidabile: comprende tutti i beni di proprietà del debitore al momento dell’apertura della procedura e quelli che acquisirà nei 4 anni successivi (con eccezioni: ad esempio, i beni futuri derivanti da successioni o donazioni ricevute entro 5 anni sono inclusi, mentre i redditi da lavoro post-apertura ne sono esclusi entro i limiti del necessario mantenimento). Restano esclusi i beni impignorabili per legge (abbiamo visto quali: abiti, mobili essenziali, ecc.). Se la madre possiede una casa, questa entrerà nella liquidazione e verrà verosimilmente venduta dal liquidatore, salvo che un accordo coi creditori consenta di evitarlo (ma nella liquidazione pura non c’è trattativa: si liquida e basta). Anche l’automobile, se di valore, verrà venduta, a meno che dimostri che è indispensabile per lavoro e ottenga di tenerla (ma dovrebbe offrire altro in cambio). Insomma, è una spoliazione controllata, tranne l’indispensabile per vivere. Inoltre, il tribunale può stabilire che una parte del reddito futuro della madre (stipendio) vada versato mensilmente ai creditori durante la procedura, nei limiti di 1/5 o altro importo equo. La durata della liquidazione è fissata in massimo 3 anni (36 mesi)– passato questo termine, se anche non si è venduto tutto, la procedura si chiude lo stesso e si procede alla ripartizione di quanto realizzato.
  • Procedura: il debitore presenta ricorso chiedendo l’apertura della liquidazione. Il tribunale nomina un liquidatore (spesso un professionista iscritto all’albo dei curatori fallimentari) e fissa i termini. Da quel momento si attiva la parità di trattamento dei creditori: tutti i crediti rimangono congelati e non fruttano interessi (salvo ipotecari entro il valore del bene) e ogni azione esecutiva individuale viene sospesa. Il liquidatore raccoglie le istanze di credito (i creditori presentano domanda di ammissione) e predispone un piano di liquidazione: cioè decide cosa vendere e come. La madre debitrice ha l’obbligo di collaborazione, ma non è spossessata dei beni fino alla vendita; semplicemente ogni atto di disposizione passa per il liquidatore. La procedura può durare appunto 2-3 anni (di solito viene impostata per concludersi entro 3). Venduti i beni e incassate eventuali rate di reddito concordate, il liquidatore redige un piano di riparto: paga prima i creditori privilegiati (ad esempio, ipoteche, crediti per stipendi dipendenti, ecc.), poi – se avanza qualcosa – distribuisce pro quota ai chirografari. Spesso i privilegiati assorbono tutto e i chirografari prendono zero, ma questo dal punto di vista del debitore non importa: lui punta all’esdebitazione finale. Dopo l’ultimo riparto, il liquidatore chiude la procedura.
  • Esdebitazione finale: nella vecchia legge occorreva fare una specifica istanza di esdebitazione dopo la chiusura; nel Codice della Crisi è tutto più semplice: l’esdebitazione è automatica per la persona fisica, salvo opposizione di qualche creditore se ritiene ci siano stati comportamenti scorretti. Quindi, a meno di frodi emerse, la madre otterrà un decreto che la libera da tutti i debiti non soddisfatti con la liquidazione. Questo è il vero beneficio: dopo aver sopportato la liquidazione e perso i beni, potrà ripartire da zero senza l’incubo di debiti a vita.

Per dare concretezza, vediamo l’esempio di Carla, una madre divorziata che aveva debiti per circa €197.000 tra mutuo, finanziarie e cartelle, senza riuscire a pagarli dopo aver perso il lavoro. Non avendo un reddito sufficiente per un piano, Carla ha optato per la liquidazione controllata: ha offerto ai creditori solo quello che aveva, ossia €100 al mese per 36 mesi (dalla futura pensione, presumibilmente) e la vendita della sua auto e di una quota di 1/6 di un immobile ereditato, stimata in €20.000. Il tribunale di Monza nel 2024 ha aperto la liquidazione e, una volta realizzati quei beni (in totale circa €23.600 di attivo), ha disposto l’esdebitazione integrale di Carla. Carla quindi ha azzerato €195.000 di debiti pur pagando una somma minimale, ma ha dovuto rinunciare ai pochi beni che possedeva (auto e quota eredità) e si è impegnata per 3 anni a versare €100 mensili. In compenso, ha potuto liberarsi anche delle cartelle esattoriali e di tutti i creditori rimasti insoddisfatti.

Quando conviene la Liquidazione controllata? È spesso la scelta obbligata quando il debitore non ha capacità di pagamento sufficiente per un piano/accordo. Se la madre divorziata è disoccupata, senza reddito, con debiti enormi e magari qualche bene intestato, la liquidazione consente di monetizzare quel poco e poi chiudere i conti col passato. Anche se possiede una casa ma il debito è così alto che comunque la perderebbe via pignoramento, potrebbe preferire la liquidazione volontaria per gestire la vendita in modo più decoroso (magari vendendo sul mercato con l’ausilio del liquidatore invece di subire un’asta giudiziaria). Inoltre, se la situazione è compromessa da atti in frode o colpa, la liquidazione è l’unica procedura accessibile, in quanto piani e concordati verrebbero dichiarati inammissibili. Vantaggi: non richiede consenso dei creditori né meritevolezza; assicura l’esdebitazione in tempi relativamente brevi (3 anni); sospende subito tutte le azioni esecutive e blocca gli interessi. Svantaggi: il debitore sacrifica tutto il patrimonio e perde la disponibilità dei beni; se ha una casa, la perde (a meno di concordare di riacquistarla tramite terzi, ma sono eccezioni). In pratica, è un “fallimento personale”, con la differenza che lo stigma è minore e c’è la certezza dell’esdebitazione finale (nel fallimento l’esdebitazione va chiesta e può essere negata in alcuni casi, mentre qui è più garantita).

Esdebitazione del debitore incapiente (c.d. “esdebitazione a zero”)

Novità assoluta introdotta dal Codice della Crisi (art. 283) è la possibilità, per il debitore persona fisica totalmente incapiente e meritevole, di ottenere la cancellazione dei debiti senza dover pagare nulla e senza aprire una procedura di liquidazione. È una sorta di “fresh start” immediato, pensato per chi non ha davvero alcuna prospettiva di soddisfare i creditori, nemmeno parzialmente. Per una madre divorziata in condizioni di estrema difficoltà (nessun reddito, nessun bene, magari solo figli a carico e spese quotidiane coperte da aiuti) questa procedura potrebbe essere la salvezza. Vediamo i requisiti chiave:

  • Incapienza assoluta: il debitore non deve essere in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, nemmeno futura. La legge specifica un parametro: il debitore è incapiente se il suo reddito disponibile annuo, al netto delle spese essenziali di sostentamento per sé e la famiglia, è inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale per il coefficiente familiare ISEE. In parole semplici, se dopo aver pagato affitto, cibo e necessità di base, non rimane nulla o quasi, la persona è incapiente. Anche il possesso di beni liquidabili è escluso: se ha un’auto di valore o altri asset, dovrebbe semmai tentare la liquidazione controllata standard. Questa procedura è pensata per chi non ha proprio niente da dare ai creditori se non qualche euro marginale.
  • Meritevolezza estrema: qui il concetto di meritevolezza è elevato all’ennesima potenza, perché si concede l’esdebitazione gratis. Il debitore non deve aver commesso frodi, non deve aver aggravato la propria insolvenza con dolo o colpa grave. Serve una condotta impeccabile: ad esempio, aver contratto debiti perché travolti dagli eventi (malattia, disoccupazione) e non aver nascosto o dissipato nulla. Va presentata una relazione OCC che evidenzi le cause dell’indebitamento e attesti l’assenza di atti in frode. Inoltre, la legge prevede che questa esdebitazione a zero sia concessa una sola volta nella vita, proprio perché rappresenta un’eccezione (non deve diventare un “liberi tutti” per i furbi).
  • Procedura semplificata: si deposita un ricorso allegando l’elenco dei debiti, dei beni (che saranno zero o quasi), i redditi, e la relazione dell’OCC. Il giudice, se ritiene i requisiti soddisfatti, emette decreto di esdebitazione. Non c’è votazione né liquidatore, perché non c’è nulla da liquidare. I creditori vengono informati e possono fare reclamo entro 30 giorni se non sono d’accordo. Ma se tutto è in regola, la procedura è rapida.
  • Obblighi successivi del debitore: se ottiene l’esdebitazione, per i successivi 4 anni il debitore ha un obbligo di condotta: deve comunicare all’OCC eventuali sopravvenienze attive rilevanti. Se entro 4 anni dalla cancellazione dei debiti la madre dovesse “tornare in possesso di utilità” – ad esempio, riceve un’eredità, vince alla lotteria, trova un ottimo lavoro – e queste nuove utilità permettono di pagare almeno il 10% di quanto doveva ai creditori, allora quei creditori riacquistano il diritto di essere pagati su quelle utilità. È come una condizione risolutiva: l’esdebitazione è definitiva, ma se entro 4 anni si scopre che il debitore ha ottenuto mezzi insperati, i creditori possono rivalersi su di essi (non su altri beni o redditi, solo su quelle sopravvenienze, e solo per il massimo del loro credito originario ridotto di quanto eventualmente già avuto). Il debitore è tenuto a fare annualmente una dichiarazione sulle proprie condizioni economiche all’OCC. In pratica, se la situazione rimane di povertà, tutto ok; se arriva un colpo di fortuna significativo, non può tenerselo tutto mentre i creditori hanno avuto zero – deve destinare almeno il 10% a loro se raggiunge quella soglia di capacità.

Quando conviene l’esdebitazione incapiente? Chiaramente quando la madre non ha nulla da perdere. Tipici casi: madre disoccupata, magari in affitto, con qualche piccolo reddito assistenziale, debiti accumulati per bollette, affitti pregressi, ecc., zero proprietà. Oppure pensionata sociale indebitata. Se il totale debiti non è enorme può tentare anche accordi informali, ma se parliamo di decine di migliaia di euro e nessuna risorsa, questa procedura può azzerarli di colpo. È una sorta di grazia legislativa motivata dalla constatazione che prolungare sine die l’inesigibilità non serve a nessuno e impedisce alla persona di emergere dal sommerso. Vantaggi: immediata, non richiede pagamenti né vendite, dà sollievo e possibilità di ripartire. Svantaggi: quel periodo di 4 anni in cui devi “rigare dritto” e, se hai colpi di fortuna, condividerli in parte coi vecchi creditori. Ma è un vincolo equo. Inoltre, non cancella eventuali debiti esclusi per legge (sempre alimenti, risarcimenti dolo, sanzioni penali) – ma spesso in questi scenari i debiti sono finanziari o bollette, dunque cancellabili.

Va detto che questa procedura è recentissima (in vigore dal 2022) e le prime applicazioni pratiche si sono viste nel 2023-2024. I tribunali hanno iniziato a delinearne la portata: ad esempio, si è discusso su cosa significhi “alcuna utilità nemmeno prospettica” e la soglia dell’assegno sociale. Ad oggi, è chiaro che non viene concessa con leggerezza: occorre convincere il giudice che realmente non vi è margine per una liquidazione (fosse anche minima). Se, ad esempio, la madre ha un piccolo lavoretto in nero o dei beni trascurati, l’istanza potrebbe essere respinta suggerendo la liquidazione standard.

Tabella di confronto delle procedure di sovraindebitamento:

ProceduraSoggetti ammessiNecessità di pagamentoIntervento dei creditoriEsiti e durata
Piano del consumatore (ristrutturazione debiti consumatore)Persona fisica consumatore (debiti personali/familiari). Richiede condotta meritevole.Debitore propone pagamenti parziali sostenibili (rate, stralci). Nessuna liquidazione forzata dei beni non prevista dal piano.No voto creditori. Decide il giudice su meritevolezza e convenienza del piano. Creditori informati, possono fare osservazioni ma non veto.Omologazione giudiziale vincolante. Il piano dura quanto previsto (es. 4-5 anni). Esdebitazione al termine per debiti non pagati. Durata procedura: ~6-12 mesi per omologa; esecuzione piano variabile.
Concordato minore (ex accordo composizione)Debitori non fallibili non consumatori (piccoli imprenditori, professionisti, partite IVA, anche consumatori non meritevoli per il Piano).Debitore propone un accordo: può prevedere continuità aziendale, pagamento parziale crediti (anche cessione beni). Possibile liquidazione parziale di asset.Voto creditori: serve ≥50% dei crediti favorevoli. Se raggiunto, giudice omologa anche per dissenzienti. Crediti fiscali votano se coinvolti (spesso bisogna garantire 20% su privilegiati).Omologazione rende esecutivo l’accordo. Debitore/gestore eseguono il piano sotto controllo OCC. Esdebitazione finale su crediti falcidiati dopo adempimento accordo. Durata procedura: 6-12 mesi per omologa; piano tipicamente 3-5 anni di esecuzione.
Liquidazione controllata (ex liquidazione patrimonio)Qualunque sovraindebitato (consumatore o imprenditore minore). Anche non meritevole o con atti in frode (alcuni casi di frode precludono l’esdebitazione poi).Debitore cede tutto il patrimonio disponibile. Liquidatore vende beni, incassa eventuali redditi oltre il minimo vitale. Debitore collabora ma di fatto subisce la liquidazione.Creditori presentano domande di ammissione. Nessun voto: i creditori sono soddisfatti secondo le cause di prelazione (privilegi, ipoteche). Le esecuzioni individuali sono sospese.Durata max 3 anni di realizzo attivo. Poi chiusura. Esdebitazione automatica del residuo per il debitore persona fisica (salvo eccezioni per atti dolosi). Se debitore persona giuridica, invece si estingue senza esdebitazione (ma tipicamente in sovraindebitamento parliamo di persone fisiche o ditte individuali).
Esdebitazione incapiente (a zero)Persona fisica meritevole e nullatenente/incapiente. Non accessibile a imprenditori con contabilità (salvo ditte individuali in pratica). Unica volta nella vita.Nessun pagamento ai creditori (0%). Debitore non deve disporre di alcun bene liquidabile né reddito utile oltre la mera sopravvivenza.Creditori informati ma non votano. Possono proporre reclamo se ritengono il debitore capiente o in frode. Se emergono atti in malafede, procedimento negato.Decreto immediato di esdebitazione. Debiti cancellati da subito. Condizione risolutiva: per 4 anni OCC vigila su eventuali sopravvenienze >10% debiti; se compaiono, creditori autorizzati a pignorare quelle utilità. Se nulla sopravviene, dopo 4 anni finisce ogni obbligo.

Come si vede dalla tabella, esistono soluzioni adatte a diverse situazioni. Per una madre divorziata, la scelta dipenderà dal mix di fattori: importo totale dei debiti, tipologia (consumo o impresa), presenza di beni da proteggere, reddito disponibile, grado di disperazione finanziaria.

Ad esempio:

  • Caso A: Debiti €50.000, stipendio mensile €1.500, due figli a carico, nessun immobile ma auto di proprietà –> Piano del consumatore potrebbe permetterle di pagare, ad es., €300 al mese per 5 anni (tot €18.000) stralciando il resto, mantenendo auto e reddito per la famiglia.
  • Caso B: Debiti €300.000 derivati in parte da fallimento dell’azienda familiare, casa di proprietà gravata da ipoteca, reddito modesto –> un Piano potrebbe puntare a salvare la casa offrendo ai creditori una somma equivalente al valore di realizzo (se può trovare fondi), oppure, se ciò non è fattibile, potrebbe scegliere la Liquidazione vendendo la casa ma ottenendo l’esdebitazione del cospicuo residuo di debito.
  • Caso C: Debiti €80.000 tra banche e AdER, nessun reddito fisso (disoccupata) e nessun bene intestato –> Esdebitazione incapiente se prova la sua totale mancanza di risorse, altrimenti Liquidazione (che però in assenza di beni sostanzialmente si tradurrà in una procedura breve con esdebitazione finale: a volte si apre ugualmente la liquidazione anche se non c’è nulla, giusto per regolarità formale).
  • Caso D: Debiti €120.000, la madre è una lavoratrice autonoma con piccola attività commerciale, vuole continuare a lavorare –> Concordato minore per ristrutturare i debiti d’impresa (es. offrire ai fornitori il 40% in 4 anni) mantenendo aperta l’attività e pagando il dovuto con i ricavi futuri.

Iter pratico: come avviare una procedura di sovraindebitamento

Indipendentemente dal tipo di procedura scelta, il percorso pratico inizia di solito con una consulenza presso un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o un professionista specializzato (avvocato, commercialista) accreditato. Gli OCC sono enti (spesso istituiti presso gli Ordini dei Commercialisti o degli Avvocati, o associazioni come Protezione Sociale Italiana citata negli esempi) deputati ad assistere il debitore nella procedura. Ecco i passi tipici:

  1. Raccolta documenti e analisi della situazione: la madre debitrice deve predisporre l’elenco completo di tutti i creditori e importi dovuti, gli eventuali atti di straordinaria amministrazione compiuti negli ultimi 5 anni (es. vendite di immobili, donazioni), le ultime dichiarazioni dei redditi, l’indicazione di redditi correnti e beni del nucleo familiare. Questi dati servono per redigere la relazione particolareggiata dell’OCC e per elaborare un piano fattibile. Bisogna essere onesti e completi: omissioni o falsità possono far perdere i benefici.
  2. Scelta dello strumento appropriato: con l’aiuto dell’esperto, la debitrice valuta se è percorribile un Piano, un Concordato o se occorre la Liquidazione o la Esdebitazione incapiente. Si considerano i pro e contro, e si esaminano eventuali cause di inammissibilità (ad esempio: ha già ottenuto un’esdebitazione in passato? Ha liquidato i beni in frode? Ha riportato condanne per bancarotta o ha già utilizzato queste procedure meno di 5 anni fa? Alcune di queste situazioni possono impedire temporaneamente l’accesso).
  3. Deposito del ricorso in tribunale: l’atto introduttivo viene depositato presso il tribunale competente (di regola, il tribunale del luogo di residenza per le persone fisiche). Nel ricorso si illustra la situazione debitoria, si indica la procedura cui si vuole accedere e si chiede la nomina di un OCC (se non già designato) o di un liquidatore. Si può chiedere subito al giudice di emanare provvedimenti urgenti per sospendere eventuali aste o pignoramenti in corso, in attesa della decisione.
  4. Fase giudiziale di ammissione: il tribunale verifica la completezza della documentazione e l’assenza di cause ostative. Se tutto è in regola, emette un decreto di apertura della procedura: nomina il gestore della crisi (spesso coincide con l’OCC che ha preparato il piano) e fissa, a seconda del caso, la data di udienza per l’omologa (nel Piano del consumatore), oppure i termini per il voto dei creditori (nel Concordato minore), oppure dichiara aperta la liquidazione nominando il liquidatore (nel caso di liquidazione). Da questo momento, scattano le misure protettive: i creditori non possono iniziare né proseguire azioni esecutive individuali né acquisire titoli di prelazione (come ipoteche) sui beni del debitore. Se c’è un’asta immobiliare imminente sulla casa, viene sospesa d’ufficio (va notificato il provvedimento al giudice dell’esecuzione).
  5. Comunicazione ai creditori: il gestore/liquidatore invia una comunicazione a tutti i creditori noti (anche a mezzo PEC) informandoli dell’avvio della procedura. Nel Piano del consumatore, i creditori ricevono il piano proposto ma non votano; possono solo opporsi all’omologa per iscritto se ritengono che il debitore non sia meritevole o che il piano li danneggi oltremisura. Nel Concordato minore, la comunicazione contiene la proposta e li invita ad esprimere il voto (generalmente entro 30 giorni con modulo di adesione). Nella Liquidazione, si pubblica un avviso e i creditori devono presentare la domanda di insinuazione allo stato passivo entro una certa data.
  6. Udienza di omologazione o di approvazione: nel Piano e Concordato, si tiene un’udienza davanti al giudice per esaminare eventuali opposizioni. Se piano e meritevolezza sono a posto, il giudice omologa. Nel Concordato, verifica anche il risultato delle votazioni (il gestore relaziona sulle percentuali di voto raggiunte). Se tutto ok, omologa l’accordo anche contro il parere dei creditori dissenzienti minoritari. In caso di contestazioni, può rinviare per integrazioni o, nei casi peggiori, dichiarare inammissibile il piano (ma succede di rado se ben preparato).
  7. Esecuzione della procedura: a questo punto, per il Piano del consumatore la palla passa al debitore: deve iniziare a pagare secondo le scadenze previste (ad esempio versare le somme al gestore che poi le distribuirà ai creditori secondo il piano). Il gestore monitora e riferisce periodicamente al giudice. Per il Concordato minore, analogamente, il debitore in collaborazione col gestore attua le misure previste (pagamenti, cessioni di beni, eventuale continuità aziendale sotto vigilanza). Nel frattempo, i creditori rimasti insoddisfatti non possono agire extra piano: devono attendere l’esito, e se il debitore adempie, non potranno più pretendere altro. Per la Liquidazione controllata, è il liquidatore che conduce le operazioni: invia eventualmente ai creditori lo stato passivo (elenco dei crediti ammessi), vende i beni (anche tramite procedure competitive o delegando a notai le aste), riscuote crediti del debitore, ecc. La madre in liquidazione potrebbe doversi trovare un nuovo alloggio se la casa è venduta, o cercare un’auto in prestito se la sua è liquidata – situazioni difficili ma che preludono poi alla liberazione dai debiti.
  8. Chiusura e esdebitazione: nel Piano/Concordato, una volta eseguiti integralmente gli obblighi (pagate tutte le rate dovute, ceduti eventuali beni indicati), il gestore fa un rapporto finale. Il giudice emette un decreto che dichiara eseguito il piano e conseguentemente esentati i debiti residui (in pratica un decreto di esdebitazione). Nel Codice attuale l’esdebitazione è intrinseca alla procedura: l’omologa stessa prevede che, salvo revoca per inadempimento, la parte di debito eccedente quanto pagato non è più dovuta. Nella Liquidazione controllata, trascorsi i 3 anni e venduto il possibile, il liquidatore presenta il rendiconto e il piano di riparto finale. Il giudice emette decreto di chiusura della liquidazione e contestaulmente decreto di esdebitazione per il debitore persona fisica. Da quel momento la madre è liberata da tutti i debiti antecedenti (tranne quelli esclusi ex lege come alimenti, danni da reati, etc., su cui torneremo). Nell’Esdebitazione incapiente la chiusura coincide con il decreto iniziale: in quel caso il provvedimento stesso sancisce la liberazione dai debiti, e la procedura si chiude subito, restando solo la fase di monitoraggio 4 anni dell’OCC (che però non coinvolge attivamente il tribunale salvo emergenze).

In tutto questo iter, la madre debitrice avrà sicuramente spese da affrontare: ci sono costi di procedura (contributo unificato ridotto, spese di pubblicità sui registri, compenso dell’OCC o liquidatore). Molte di queste spese però vengono pagate con le somme destinate ai creditori, o dilazionate. Ad esempio, l’OCC può concordare un pagamento a rate del proprio compenso durante l’esecuzione del piano. In casi di particolare indigenza, si può chiedere il gratuito patrocinio per le spese legali (alcuni tribunali lo ammettono per l’avvocato del debitore, equiparando la procedura ad un procedimento volontario). Inoltre, nel Codice è previsto che i compensi dell’OCC nella procedura incapienti siano ridotti della metà, proprio per agevolare i debitori poverissimi.

Debiti esclusi dall’esdebitazione

Prima di passare alle domande frequenti e ai consigli pratici, è fondamentale elencare chiaramente quali debiti non vengono comunque cancellati da queste procedure. La legge infatti tutela alcuni crediti considerati “indisponibili” o di particolare rilevanza sociale, escludendoli dalla possibilità di esdebitazione. Dunque, anche se la madre divorziata completa con successo un piano o ottiene un’esdebitazione, per i seguenti debiti rimarrà comunque obbligata (dovrà continuare a pagarli, o i creditori potranno agire separatamente):

  • Obblighi alimentari e di mantenimento: come già sottolineato, i debiti verso il coniuge, ex coniuge, figli o altri parenti per alimenti o mantenimento non si cancellano. L’arretrato dell’assegno di mantenimento, le somme dovute per il mantenimento dei figli o l’ex, restano integralmente dovute. Anche in una liquidazione, formalmente questi creditori non perdono i loro diritti (hanno anzi privilegio sui beni). Per cui, la madre dovrà comunque onorare questi debiti a parte, pena le azioni di recupero già viste (pignoramenti mirati, ecc.). I crediti alimentari non partecipano nemmeno alla procedura in molti casi: ad esempio nel piano del consumatore sono esclusi dal novero dei debiti ristrutturabili. È importante quindi che, quando si costruisce un piano di rientro generale, la madre tenga conto di eventuali obblighi alimentari fuori piano. Ad esempio, se deve €5.000 di arretrati al figlio, non li potrà includere nel taglio: dovrà pagarli a parte, magari rateizzandoli con l’altro genitore, ma comunque non spariranno.
  • Debiti per risarcimenti da fatto illecito extracontrattuale: se la madre è stata condannata a risarcire danni causati da un fatto illecito (es. incidente stradale con colpa grave, lesioni personali, danneggiamento intenzionale, ecc.), tali debiti non vengono esdebitati. La ratio è tutelare la vittima e affermare che chi ha causato un danno non può liberarsi del risarcimento a danno altrui. Quindi, ad esempio, un eventuale debito per omicidio stradale (capitato purtroppo a qualche genitore) resterebbe anche dopo la procedura. Nota: questo vale in particolare se c’è dolo o colpa grave; per fatti lievi colposi c’è dibattito, ma la norma parla in generale di responsabilità extracontrattuale per fatto illecito, senza distinguere il grado di colpa, quindi tende a includere tutti i risarcimenti da torto.
  • Sanzioni penali e amministrative pecuniarie punitive: multe e ammende penali, cioè le sanzioni dello Stato per reati (es. ammenda per reato contravvenzionale, multa comminata col patteggiamento, pene pecuniarie per reati tributari), non sono cancellabili. Similmente, sanzioni amministrative di carattere punitivo – ad esempio le sanzioni Antitrust, o sanzioni per abusi edilizi – non vengono esdebitate. Anche alcune multe stradali potrebbero rientrare in questa categoria (sebbene siano amministrative non “punitivo-discriminatorie” ma sanzionatorie: l’interpretazione prevalente le considera comunque non esdebitabili in L.3/2012, ma alcuni tribunali le hanno invece falcidiate: col Codice, la lettera parla di sanzioni amministrative di natura penale, quindi la multa stradale semplice, essendo amministrativa ma non “punitiva” in senso forte, potrebbe essere inclusa nei piani; tuttavia su questo c’è prudenza). In sintesi: se la madre ha debiti verso lo Stato per punizioni (es. un’ammenda da tribunale penale o una multa per aver abusato di un permesso), quelli rimangono. Non così, invece, le sanzioni tributarie: quelle, essendo di tipo punitivo ma legate a tributi, possono essere incluse nei piani purché se ne proponga il pagamento almeno parziale (lo Stato tende a chiederne almeno il 10% nei concordati, ma legalmente potrebbero teoricamente essere anche annullate; tuttavia l’AdER spesso non vota sì se non c’è un minimo su sanzioni).
  • Debiti fiscali derivanti da frodi fiscali accertate penalmente: il Codice prevede espressamente che se il debitore è stato condannato con sentenza definitiva per reati tributari gravi (dichiarazione fraudolenta, occultamento scritture, ecc.), i relativi debiti fiscali non possano essere esdebitati. Esemplificando: se la madre avesse un debito con l’erario perché ha evaso deliberatamente ed è stata condannata per questo, quel debito erariale non può essere perdonato col sovraindebitamento. (Non è un caso comune per profili come il nostro, ma rileva se la madre era imprenditrice e magari è incorsa in reati fiscali).
  • Debiti da malafede del debitore: se il giudice accerta che un particolare debito è stato contratto con dolo o frode (es. la madre ha ottenuto un prestito presentando documenti falsi, senza intenzione di restituirlo), può escludere anche quel debito dall’esdebitazione. Questo non è un elenco predefinito, è più un principio generale: la colpa grave e la malafede del debitore possono portare o all’inammissibilità della procedura o quantomeno all’esclusione di specifici crediti. Anche debiti sorti dopo l’apertura della procedura (ad es. la madre fa altro debito nel frattempo) non sono coperti.
  • Debiti verso dipendenti per retribuzioni e contributi: come accennato, se la madre era datore di lavoro e non ha pagato stipendi o contributi, questi debiti possono non essere esdebitati. In realtà la legge (art. 14 quaterdecies L.3/2012 e ora il Codice all’art.282) non li esclude automaticamente, ma prevede che l’esdebitazione non operi qualora siano stati omessi versamenti di ritenute previdenziali o fiscali senza che il debitore abbia provveduto al pagamento integrale. Insomma, su questo aspetto interviene anche la valutazione caso per caso: comunque, si tende a proteggere i diritti dei lavoratori, quindi la debitrice dovrebbe prevedere di soddisfare almeno in parte quei crediti privilegiati per ottenere l’esdebitazione sul resto.
  • Debiti verso alcuni fondi pubblici di garanzia: la prassi segnala che crediti come quelli del Fondo di garanzia vittime della strada (che paga risarcimenti in caso di pirati della strada non identificati) o il Fondo per le vittime dell’usura spesso vengono esclusi dall’esdebitazione per ragioni di ordine pubblico. Non c’è una norma precisa nel Codice, ma si argomenta che essendo fondi di solidarietà pubblica, chi ne ha beneficiato non può poi liberarsi dell’obbligo di restituzione. Anche qui scenario non comunissimo per il nostro target, ma da citare per completezza.

In definitiva, per la stragrande maggioranza delle madri sovraindebitate i debiti “cancellabili” includono: banche, finanziarie, fornitori, bollette, affitti, tasse (salvo frodi gravi), multe amministrative comuni, ecc. I debiti “non cancellabili” più rilevanti per loro saranno essenzialmente mantenimenti familiari e eventuali risarcimenti da reati. Quindi, un piano deve prevedere che tali posizioni vengano comunque onorate. Ad esempio, se la madre ha €10.000 di arretrati mantenimento figli e €20.000 di finanziarie, potrà fare un piano sul 20k stralciandoli magari a 5k, ma i 10k ai figli dovrà continuare a pagarli a parte (magari rateizzati via tribunale). Non confondere questi due ambiti è cruciale per evitare “sorprese, delusioni e per costruire un piano realistico”.

Consigli pratici per gestire la crisi debitoria (prima, durante e dopo le procedure)

Oltre agli strumenti legali formalizzati, esistono una serie di azioni pratiche e accorgimenti che una madre divorziata debitrice può adottare per cercare di migliorare la propria condizione o evitare errori che possano peggiorarla. Qui di seguito elenchiamo alcuni consigli utili, derivanti dall’esperienza e dal buon senso, nell’ottica sempre di tutelare il nucleo familiare e uscire dalla spirale debitoria.

  • Affrontare subito il problema, non negarlo: appena ci si rende conto di non riuscire a far fronte ai debiti con regolarità, è fondamentale non aspettare passivamente. Ignorare le lettere delle banche o le cartelle esattoriali porta solo ad aggravare la situazione (interessi di mora, sanzioni) e a perdere opportunità di soluzione bonaria. Meglio prendere contatto con i creditori prima che attivino il recupero forzoso, per spiegare la situazione e cercare soluzioni.
  • Rinegoziare e dilazionare i debiti extragiudizialmente: molte finanziarie e banche, di fronte a difficoltà temporanee, accettano di ridurre la rata, allungare il piano di ammortamento o concedere moratorie. Ad esempio, esiste il Fondo di solidarietà per i mutui “prima casa” (Fondo Gasparrini) che permette, in caso di disoccupazione, grave malattia o altri eventi, di sospendere fino a 18 mesi le rate del mutuo prima casa. Una madre che perde il lavoro può fare domanda e alleggerire la pressione momentaneamente. Anche le società di credito al consumo spesso preferiscono un accordo (ad esempio 12 mesi di sola quota interessi, o una riduzione tasso) piuttosto che un default completo. Consiglio: preparare un prospetto delle proprie entrate e spese, evidenziando quanto si potrebbe realisticamente pagare, e proporlo al creditore come nuovo piano di rientro. Se la madre ha il supporto di un consulente o di una associazione di consumatori, meglio ancora: i creditori tendono a prendere più sul serio le proposte formulate tramite legali.
  • Attenzione alle soluzioni “facili” (nuovi prestiti per pagare debiti): è umano pensare di risolvere un debito accendendone un altro (magari consolidandoli). Ma spesso questo meccanismo peggiora la situazione. Se la madre ha ancora un buon merito creditizio potrebbe essere bombardata da offerte di consolidamento: valuti attentamente il TAEG e le condizioni. A volte un consolidamento allunga solo la “agonia” aumentando il costo totale. In altri casi, però, può essere utile: ad esempio, unire 3-4 prestiti piccoli in uno solo a tasso più basso può semplificare la gestione. Mai però farsi convincere a ipotecare la casa per ottenere liquidità da usare per pagare debiti al consumo: si trasformerebbe un debito chirografo in uno garantito sull’abitazione, aumentando il rischio di perderla se poi non si riesce a sostenere anche quello. Quindi, prudenza: meglio una procedura di sovraindebitamento che ipotecare l’unico tetto per un prestito di consolidamento se non si è ragionevolmente certi di poterlo ripagare.
  • Verificare la prescrizione dei debiti: molti debiti si prescrivono con il tempo se il creditore non agisce. Ad esempio, bollette e forniture si prescrivono in 5 anni; gli assegni di mantenimento non pagati, dopo 5 anni non sono più esigibili (anche se ci sono interpretazioni), i tributi hanno termini di decadenza e prescrizione propri. Quindi, se arriva una richiesta di pagamento per un debito molto datato, far controllare a un legale se è ancora dovuto o se è prescritta l’azione. Spesso le società di recupero tentano di riscuotere vecchi crediti sperando che il debitore paghi spontaneamente. Opporsi con una semplice eccezione di prescrizione può annullare la pretesa. Ciò detto, attenti: una raccomandata o un sollecito di pagamento talvolta interrompono la prescrizione; quindi va valutato attentamente l’intero storico.
  • Utilizzare eventuali risparmi o beni per ridurre i debiti più onerosi: se la madre possiede piccoli risparmi accantonati, li destini strategicamente. Priorità: evitare che i debiti crescano per interessi e sanzioni. Ad esempio, se c’è una carta di credito revolving al 20% annuo, conviene estinguerla prima possibile, magari attingendo a un piccolo TFR o a un aiuto familiare, perché quegli interessi la soffocherebbero. Oppure, se ha un’auto di valore superiore alle sue necessità, valutare di venderla volontariamente: con il ricavato può pagare debiti e prenderne una più economica. È meglio vendere da sé i beni non essenziali per spuntare prezzi migliori, che farseli pignorare e vendere all’asta (dove valgono molto meno). Questa è una scelta dolorosa ma razionale: convertire un bene in liquidità per alleggerire i debiti può far la differenza tra affondare o restare a galla.
  • Evitare atti di frode o movimenti sospetti: quando si è disperati, può venire la tentazione di “intestare tutto a terzi” (parenti, nuovo compagno) per salvare qualcosa. Questa strada è altamente pericolosa: i creditori possono agire con l’azione revocatoria e annullare tali atti, se fatti dopo che i debiti già c’erano o allo scopo di sottrarre garanzie. Inoltre, se poi si ricorre alle procedure sovraindebitamento, atti del genere possono far dichiarare l’inammissibilità per frode. Meglio dunque non compiere vendite simulate, donazioni di beni o prelievi ingenti di denaro prima della procedura. Piuttosto, se qualche bene può essere protetto legalmente (ad esempio destinandolo ai figli in un trust o fondo patrimoniale anni prima della crisi), va fatto con molta anticipo e buona fede, altrimenti non reggerà. In generale la trasparenza paga: presentarsi al giudice con le mani pulite dà molte più chance di successo che non cercare scorciatoie illecite.
  • Valutare il gratuito patrocinio e gli aiuti legali: se la madre ha redditi bassi (sotto circa €11.700 annui, aggiornati) può accedere al gratuito patrocinio a spese dello Stato per farsi assistere da un avvocato gratuitamente. Molti non lo sanno o pensano valga solo per cause penali, ma si applica anche in materia civile, incluse procedure di sovraindebitamento in molti distretti. Inoltre ci sono associazioni onlus (come Avvocato di Strada se la persona è in condizioni di marginalità, o sportelli antiusura/anti indebitamento) che offrono consulenza gratuita. Non avere soldi non deve essere un ostacolo per ottenere tutela legale.
  • Mantenere una gestione oculata del budget familiare: parallelamente alle soluzioni giuridiche, la madre divorziata deve riorganizzare le finanze familiari: stilare un bilancio mensile, distinguendo spese essenziali (affitto, cibo, bollette base) da quelle comprimibili. Cercare di risparmiare dove possibile (ad es. ridiscutere il canone di affitto se di mercato alto, sfruttare bonus sociali per bollette, ridurre abbonamenti superflui). Coinvolgere i figli più grandi (se presenti) nel comprendere la situazione, in modo che capiscano perché magari si tagliano spese non necessarie. Ogni euro risparmiato è utile per ricostituire un piccolo fondo emergenze o pagare un debito prioritario.
  • Non trascurare il proprio sostentamento e quello dei figli: nella foga di pagare i debiti, a volte i debitori commettono l’errore di sacrificare eccessivamente il proprio tenore di vita, privandosi di cose essenziali. Ciò può portare a crolli di salute o a situazioni ancor più costose da gestire (es. alimentazione povera -> malattia). È importante trovare un equilibrio: destinare ai creditori solo ciò che realisticamente si può, senza compromettere la salute, la crescita dei figli, l’istruzione, ecc. Questo non è solo umano, ma è lo stesso principio su cui si basano i giudici quando approvano un piano: lasciano sempre al debitore le risorse per una vita dignitosa. Quindi, non bisogna sentirsi “in colpa” nel trattenere per sé e i bambini ciò che serve: è un diritto.
  • Se possibile, valutare un supporto psicologico o gruppi di aiuto: il sovraindebitamento è causa di forte stress, depressione, ansia (la L.3/2012 era detta salva-suicidi proprio perché rivolta a casi disperati). Una madre con figli deve tenere duro anche per loro, e può giovarsi di parlare con professionisti (psicologi) o con altre persone che hanno affrontato situazioni analoghe. Esistono gruppi di auto-aiuto per debitori, sia laici sia promossi da associazioni religiose, dove si condivide l’esperienza e si trovano consigli pratici e conforto morale. Non è debolezza chiedere aiuto; anzi, aiuta a mantenere lucidità nelle scelte.

Inoltre, la madre divorziata non è sola: oltre agli avvocati e OCC, ci sono istituzioni come la Fondazione antiusura o le Caritas diocesane che hanno fondi per aiutare famiglie indebitate a condizioni specifiche (ad esempio la legge 108/1996 prevede fondi di prevenzione usura che rilasciano garanzie a banche per far ottenere prestiti a tasso agevolato a soggetti sovraindebitati “meritevoli” – tipicamente chi ha debiti legati a necessità e rischio usura). Anche alcune banche aderenti all’ABI offrono prodotti di microcredito famigliare. Sono vie difficili ma da tentare se i debiti sono tali da rischiare di finire in circuiti illegali.

Infine, un consiglio ex post: dopo essere usciti dalla procedura di sovraindebitamento e cancellati i debiti, occorre impegnarsi per non ricadere negli errori. Purtroppo, ottenuta l’esdebitazione, alcune persone – sollevate dal peso – rischiano di tornare a spendere oltre il proprio tenore di vita. Ricordarsi la lezione appresa, creare un piccolo cuscinetto di risparmio per gli imprevisti futuri, e usare il credito (prestiti, finanziamenti) con estrema prudenza, solo se strettamente necessario e nella misura in cui si può restituire. La legge consente di esdebitarsi una volta, difficilmente perdonerà una seconda grave negligenza (la norma prevede almeno 5 anni prima di poter accedere di nuovo, e comunque il giudice guarderà al comportamento pregresso).

Passiamo ora a una serie di Domande frequenti, che riassumeranno molti concetti esposti finora in forma di Q&A, per fissare le idee pratiche.

Domande frequenti (FAQ)

D: La casa dove vivo con i miei figli può essere pignorata dai miei creditori?
R: Dipende dal tipo di creditori. Se i creditori sono privati (banche, finanziarie, fornitori), purtroppo : la legge italiana non prevede alcuna impignorabilità della prima casa verso creditori privati. Quindi, se ad esempio hai un debito con la banca e non paghi, questa può ipotecare e far vendere la casa, anche se è la tua abitazione principale e ci vivono minori. L’unica eccezione è se la casa è formalmente assegnata come casa familiare per i figli: in tal caso, la vendita rimane possibile, ma se hai trascritto l’assegnazione prima del pignoramento, chi compra all’asta dovrà rispettare il tuo diritto di abitarci (il che di fatto rende più difficile la vendita, ma non la impedisce). Se invece i creditori sono Agenzia Entrate Riscossione (Erario), allora forse no: c’è un divieto di pignoramento della prima casa se è l’unica di proprietà, non di lusso, con residenza tua, e il debito fiscale è < €120.000. Se rispetti tutte queste condizioni, l’AdER non può procedere sull’abitazione. Sopra €120.000 di cartelle, invece, anche AdER può ipotecare e, dopo aver iscritto ipoteca da almeno 6 mesi, pignorare la casa. Ricorda che in ogni caso, prima di arrivare all’asta, c’è la possibilità di fermare la procedura con una rateizzazione o avviando una procedura di sovraindebitamento. Quindi, non rassegnarti: se la casa è a rischio, valuta subito di agire legalmente (ad esempio un piano del consumatore) per bloccare l’esecuzione. Fai anche attenzione alla comproprietà: se possiedi solo una quota della casa (es. 50% dopo il divorzio), il creditore può pignorare la tua quota e chiedere la divisione; in pratica la casa va comunque all’asta intera con divisione del ricavato. In sintesi: sì, la casa è pignorabile in molti casi, ma esistono modi per proteggerla o per convincere i creditori a soluzioni alternative (ad esempio offrendo di venderla tu e dare loro il ricavato, che spesso è più di quanto prenderebbero da un’asta).

D: Cosa succede se non pago le rate del mutuo? Posso evitare che la banca venda la casa?
R: Se smetti di pagare il mutuo, dopo un certo numero di rate non pagate (di solito 7 non necessariamente consecutive, o anche meno se il contratto lo prevede) la banca può risolvere il contratto e agire esecutivamente sull’immobile ipotecato. In pratica incaricherà un legale per notificare precetto e pignoramento, e si arriverà all’asta. Per evitare la vendita forzata hai alcune opzioni: 1) Negoziare con la banca appena prevedi difficoltà: chiedi una rinegoziazione della rata (allungando il piano per abbassare la quota mensile) oppure una sospensione temporanea. Esiste come detto un Fondo pubblico che copre fino a 18 mesi di sospensione mutuo in casi specifici (disoccupazione, disabilità grave, ecc.). Informati se puoi accedervi. 2) Vendere tu stessa la casa prima che lo faccia la banca: se vedi che non ce la fai, può essere più conveniente mettere in vendita l’immobile sul mercato libero. Così potresti spuntare un prezzo migliore dell’asta. Col ricavato saldi il mutuo e, se avanza qualcosa, resta a te (o ai creditori chirografari). Attenzione però a farlo prima che la banca iscriva pignoramento; dopo, non puoi vendere senza estinguere il debito. 3) Piano del consumatore: se hai altre esposizioni oltre il mutuo e reddito sufficiente, potresti proporre un piano in tribunale in cui continui a pagare il mutuo (magari allungandolo) e intanto ristrutturi gli altri debiti. Il giudice può sospendere le azioni esecutive, e se dimostri che vendere la casa sarebbe svantaggioso per i creditori (perché la venderesti a prezzo di saldo) mentre tenendola e pagando piano piano rientrano di più, hai chance che il piano sia approvato. 4) Concordato o Liquidazione: se il debito mutuo è insostenibile, una liquidazione controllata porterebbe comunque a vendere la casa, però con l’esdebitazione del residuo. Alcuni tribunali hanno sperimentato il cosiddetto “saldo e stralcio immobiliare in sovraindebitamento”: in pratica, la casa viene venduta con l’accordo della banca a un prezzo un po’ più basso di mercato ma superiore al valore d’asta, così la banca viene soddisfatta e la procedura chiude stralciando l’eventuale scoperto. È una dinamica complessa da gestire (serve un acquirente disponibile e banca consenziente). In conclusione, per evitare la vendita forzata devi agire tempestivamente: non appena salta una rata, contatta la banca. Se sei disoccupata, presenta subito domanda di sospensione al Fondo di solidarietà. Se sai che non potrai più pagare stabilmente, valuta seriamente la vendita spontanea o rivolgiti a un OCC per trovare soluzioni creative dentro una procedura giudiziaria. Non attendere che arrivi l’atto di pignoramento, perché dopo i margini si riducono.

D: I debiti di mio marito (ex marito) possono ricadere su di me? E i miei debiti possono colpire lui o i miei figli?
R: In linea generale, no, i debiti sono personali, a meno che tu non ne sia in qualche modo condebitrice o garante. Mi spiego meglio: durante il matrimonio, se eravate in comunione legale dei beni, i creditori di uno potevano aggredire anche i beni comuni (cioè acquistati durante il matrimonio). Dopo la separazione (o divorzio) la comunione cessa, e quel patrimonio comune viene diviso o è divisibile. Quindi i nuovi debiti che il tuo ex contrae dopo la separazione non coinvolgono te, e viceversa i tuoi non coinvolgono lui. Fanno eccezione eventuali coobbligazioni deliberate: se avete firmato insieme un mutuo, entrambi rimanete obbligati (anche dopo il divorzio non si libera automaticamente la tua obbligazione verso la banca). Stessa cosa se tu hai fatto da garante per debiti di tuo marito o della sua azienda: quell’impegno resta, come nel caso di Angela garantendo l’impresa del marito. Quindi, i creditori in quei casi possono chiedere a te il pagamento. Quanto ai figli, i tuoi debiti non ricadono mai su di loro, a meno che un giorno accettino la tua eredità (e anche in quel caso possono accettare con beneficio d’inventario). I figli minorenni non ne rispondono assolutamente. Attenzione però: se tu avessi intestato a un figlio minore un immobile (per dire, una donazione), i tuoi creditori potrebbero impugnare l’atto (revocatoria) per far valere su quel bene le loro ragioni, sostenendo che li hai frodati. Invece il tuo ex marito non risponde dei tuoi debiti personali contratti dopo lo scioglimento dell’unione. Può però subirne conseguenze indirette: ad esempio, se la casa comune era sua e tu l’avevi assegnata, un tuo creditore non può pignorarla (perché non è tua), ma potrebbe pignorare eventualmente la quota di comproprietà se ne avevi una. Viceversa, i debiti del tuo ex non coinvolgono i tuoi beni, a meno che lui non abbia su di essi dei diritti (es: se vive nella tua casa per assegnazione e quell’assegnazione non è opponibile, il suo creditore potrebbe cercare di liberarli – caso raro). In sintesi: dal momento che siete divorziati, ciascuno risponde solo dei propri debiti. Fai solo attenzione a situazioni come firme congiunte e garanzie che avete dato: in quelle rimani obbligata. Un ultimo punto: se il tuo ex non paga l’assegno di mantenimento ai figli e tu ti indebiti per far fronte alle spese, quei debiti purtroppo sono tuoi (potrai rivalerti sul marito inadempiente legalmente, ma i creditori a cui ti sei rivolta per aiuto – es. carta di credito, prestito da parenti – verranno da te). Quindi, in uno scenario simile, agisci contro l’ex (ingiunzione, eventualmente fondo di solidarietà dello Stato) per evitare di caricarti troppi debiti.

D: Posso “fare fallimento” come persona privata? Esiste il fallimento personale in Italia?
R: Tecnicamente, no, non esiste il fallimento per le persone consumatrici. Il fallimento (oggi liquidazione giudiziale nel nuovo Codice) è riservato agli imprenditori commerciali sopra certe soglie. Quello che esiste – ed è l’equivalente funzionale – è la procedura di liquidazione controllata nell’ambito del sovraindebitamento. Di fatto, è molto simile a un fallimento personale: nomina di liquidatore, vendita beni, ecc., ma con alcune differenze positive per te: ad esempio non c’è la lunga durata di un fallimento (massimo 3 anni contro a volte 5-10 dei fallimenti) e soprattutto c’è sempre la liberazione dei debiti residui (nel fallimento imprenditore devi rispettare certe condizioni per avere l’esdebitazione). Quindi, se ti senti “fallita” economicamente, la strada è ricorrere a una procedura di sovraindebitamento, scegliendo quella adatta (piano, concordato minore, o liquidazione). A volte la stampa chiama queste procedure “fallimento personale”, ma è un modo improprio di riferirsi alla liquidazione del patrimonio ex L.3/2012. In conclusione: , puoi sottoporti a un procedimento concorsuale per liberarti dai debiti, però non si chiama fallimento e ha regole un po’ diverse, come spiegato nella sezione dedicata.

D: Cos’è l’esdebitazione? Come posso ottenerla e quali debiti include?
R: L’esdebitazione è il beneficio per cui i debiti residui di una persona vengono cancellati per legge al termine di una procedura concorsuale. In altre parole, tu non sei più debitrice di quelle somme e i creditori non possono più pretendere nulla. Si tratta del “fresh start”, il nuovo inizio pulito. Come ottenerla: devi completare con successo una delle procedure previste dal Codice della Crisi. Per una persona divorziata indebitata, i percorsi tipici sono due: o eseguire un piano/accordo di ristrutturazione (pagando la parte dovuta concordata) oppure sottoporsi a liquidazione controllata (dove magari paghi poco o nulla, ma sei comunque stata in procedura per 3 anni con i beni liquidati). In entrambi i casi, alla fine il giudice emette un provvedimento che ti esdebità. C’è anche la terza via della esdebitazione dell’incapiente dove l’ottenieni subito, come spiegato. Quali debiti include: l’esdebitazione riguarda tutti i debiti anteriori alla procedura, tranne quelli espressamente esclusi dalla legge (alimenti, risarcimenti illeciti, multe penali…). Attenzione: non cancella i debiti che hai contratto dopo la domanda di sovraindebitamento. Quindi, se durante il piano hai fatto nuovo debito (malauguratamente), quello resta. E non toglie i debiti nascosti: se avevi un creditore che non hai dichiarato, e questo non partecipa alla procedura, in teoria quel debito sarebbe esdebitato lo stesso (perché l’esdebitazione fa fede al momento iniziale, non all’elenco creditori). Però omettere volontariamente un creditore è un atto in frode che può farti revocare i benefici. In pratica, l’esdebitazione ti libera da tutte le pendenze verso banche, fisco, privati, ecc., comprese quelle derivanti da eventuali decreti ingiuntivi o cause che avevi perso (diventano inesigibili). Fa eccezione – sottolineo di nuovo – ciò che la legge tutela: se dovevi 5.000 € di mantenimento, continuerai a doverli; se avevi una multa del giudice per un reato, la devi comunque pagare; se avevi causato un incidente mortale e dovevi risarcire, quel debito resta (questi creditori particolari potranno riprendere le azioni dopo la procedura). L’esdebitazione di norma la ottieni una volta: la legge vieta di richiederla di nuovo nei 5 anni successivi e in generale tende a non far accedere chi ha già beneficiato. Quindi è veramente la carta da giocare con giudizio, in fasi della vita in cui ne hai bisogno e sei motivata a ripartire.

D: Ho solo un piccolo stipendio (o sono disoccupata). Possono comunque pignorarmi qualcosa?
R: Se hai un contratto di lavoro dipendente con stipendio, sì possono pignorare una parte, ma la legge ti lascia una soglia impignorabile. Attualmente la regola è: l’ammontare pari all’assegno sociale + metà (circa 750 €) è intoccabile; la parte eccedente può essere pignorata fino al 20% (1/5). Ad esempio, se prendi 1.000 € netti, i primi ~750 sono salvi, dei restanti 250 ti possono togliere 1/5 (50 €). Se prendi 1.500 €, tolti 750, su 750 restanti possono pignorare 150 € (sempre 1/5, perché 1500 > soglia). Quindi più è alto lo stipendio, più ti tolgono in valore assoluto ma sempre entro il quinto. Se sei disoccupata e percepisci magari la Naspi (indennità di disoccupazione): la Naspi è teoricamente pignorabile anch’essa entro 1/5, perché equiparata a un sostegno di reddito. Però se è bassa (es. 600 €) è sotto la soglia impignorabile, quindi di fatto nulla. E soprattutto se nessuno sa che la percepisci e non la versi in conto, è difficile che la intercettino. Se non hai alcun reddito e vivi di sussidi o aiuti familiari: non c’è nulla da pignorare. I sussidi come reddito di cittadinanza/assegno di inclusione non sono pignorabili per legge. I creditori potrebbero provare a pignorare il conto corrente sperando di trovare qualcosa. Se sul conto però ci sono solo quei sussidi o l’ultimo stipendio, puoi fare opposizione per svincolarli (l’ultimo stipendio accreditato prima del pignoramento si può liberare, come da interpretazione Corte Cost.). In pratica, se sei disoccupata senza reddito, i creditori possono al massimo portarti via beni materiali se ne hai (tv, pc? anche quelli a dire il vero se essenziali no) – raramente lo fanno perché la procedura costa. Quindi chi non ha reddito né beni vive una situazione paradossale: da un lato non subisce esecuzioni (perché sarebbe infruttuoso per i creditori), dall’altro rimane con debiti che crescono. Ed è appunto per costoro pensata l’esdebitazione incapiente. Se hai un piccolo stipendio (tipo part-time a 600 €) anche lì, tolta la soglia minima, rimane quasi nulla pignorabile. E i giudici non autorizzano pignoramenti che lascino il lavoratore sotto il minimo vitale. Quindi direi: con redditi minimi, sei praticamente non attaccabile. Però attenta: il giorno in cui trovassi un lavoro migliore, i creditori potrebbero rifarsi vivi e colpirti allora. Perciò, meglio risolvere i debiti in radice con una procedura, se c’è la possibilità, piuttosto che vivere “in nero” perennemente per sfuggire ai pignoramenti.

D: Ho debiti con finanziarie e carte: dopo quanti anni si prescrivono?
R: In generale, i debiti derivanti da un contratto (prestito personale, carta revolving, mutuo, fido bancario) si prescrivono in 10 anni dal momento in cui il creditore potrebbe esigerli (quindi di solito 10 anni dalla scadenza o dall’ultima rata non pagata). Se però il creditore ti invia solleciti scritti, raccomandate o ingiunzioni, la prescrizione si interrompe e ricomincia da capo. Molto spesso, le finanziarie cedono il credito a società di recupero che prima della scadenza dei 10 anni inviano almeno una lettera di messa in mora per interrompere i termini. Quindi non fare troppo affidamento su “mi ignorano per 10 anni e decade”: è raro. Alcune tipologie particolari hanno termini più brevi: le bollette di luce/gas ora si prescrivono in 2 anni; bollo auto 3 anni; multe stradali 5 anni (se non notificate cartelle nel frattempo). L’assegno di mantenimento mensile per i figli si prescrive ciascuna rata in 5 anni (ma ogni mese ne scatta una nuova). In pratica, 5 anni è un termine comune per molte obbligazioni periodiche o di “modesto importo” – 10 anni è quello generale per crediti contrattuali o sentenze. Nel tuo caso, per carte e finanziamenti, direi 10 anni dall’ultima azione significativa. Dopo un decreto ingiuntivo non opposto, quel credito diventa titolo giudiziale e la prescrizione passa a 10 anni dal passaggio in giudicato (quindi può protrarsi oltre). Comunque, se sono passati, poniamo, 6-7 anni senza che nessuno ti chieda nulla ufficialmente, fai controllare la situazione da un esperto prima di attivare magari procedure concorsuali: potresti scoprire che parte del debito è già morto e sepolto, e allora non serve includerlo (o puoi opporre prescrizione in tribunale e fartelo stralciare). Fai però attenzione: se hai anche solo risposto per iscritto a un sollecito ammettendo il debito o pagando 50 euro, hai interrotto tu stessa la prescrizione! Quindi a volte il miglior consiglio è: se intendi eccepire prescrizione, non rispondere a quelle lettere in cui magari ti propongono un saldo stralcio, perché anche solo dicendo “non posso pagare” riconosci il debito e dai altri 10 anni di tempo a loro. In quei casi, meglio farsi assistere per rispondere formalmente con “non riconosco il debito perché prescritto” e chiuderla lì.

D: Ho la possibilità di usare la legge sul sovraindebitamento se ho ancora un mutuo o altri debiti garantiti? Mi toglieranno tutto?
R: Sì, puoi certamente accedere alle procedure di composizione anche se hai debiti garantiti (mutui con ipoteca, leasing, ecc.). La presenza di garanzie cambia alcune regole di pagamento: i crediti ipotecari o pignoratizi (es. auto in leasing) hanno privilegio sui beni dati in garanzia. Se fai un Piano del consumatore, puoi anche prevedere di non pagare integralmente quei crediti, ma devi offrire al creditore garantito almeno l’equivalente del valore di mercato del bene su cui ha ipoteca. Esempio: casa vale 100, mutuo residuo 120, nel piano potresti trattare di pagare 100 e stralciare 20, perché tanto se la banca espropria la casa ne ricaverebbe forse 80 all’asta, quindi 100 subito è meglio. Il giudice valuta se la banca ci rimette o no e può imporlo anche senza consenso della banca. In un Concordato minore, i creditori garantiti votano separatamente e hanno diritto a ricevere almeno il valore di realizzo del bene; se il piano non glielo dà, possono opporsi. In Liquidazione, il creditore ipotecario ha prelazione: il liquidatore venderà il bene e prima pagherà lui, poi altri. Ti “toglieranno tutto” dipende dalla procedura scelta: col Piano potresti riuscire a tenere l’immobile se riesci a pagare quanto basta a soddisfare la banca (come Angela che ha tenuto la casa pagando una parte). Col Concordato anche, se la maggioranza creditori approva un piano che conserva il bene (magari perché conviene anche a loro). Con la Liquidazione, quasi sicuramente perdi il bene in questione perché il liquidatore lo deve monetizzare. In ogni caso, se perdi un bene per la procedura, ottieni in cambio la liberazione dal debito residuo: differenza enorme rispetto al pignoramento normale, dove perdi la casa ma se il ricavato non copre il debito, resti debitrice per la differenza. Invece con la liquidazione e l’esdebitazione, se la casa non copre il mutuo, la banca non può perseguirti per l’insufficienza dopo. Quindi alcuni preferiscono la procedura perché “chiudono il capitolo” del mutuo insostenibile. Bisogna valutare caso per caso. Un consiglio è: , se hai un mutuo e sei in difficoltà, valuta la legge sovraindebitamento; non è vero che non puoi accedervi perché hai un immobile ipotecato (anzi, moltissimi casi riguardano proprio case ipotecate salvate o vendute meglio). L’importante è affidarsi a un OCC/avvocato esperto, che sappia proporre al giudice la soluzione migliore, dimostrando cosa ottiene la banca in procedura rispetto all’esecuzione. Spesso il giudice sa che all’asta le banche recuperano poco e quindi è disposto ad avallare piani che concedono al debitore di conservare la casa pagando il giusto valore.

D: Quali debiti NON si cancellano nemmeno col sovraindebitamento?
R: Su questo abbiamo già parlato, ma riepilogo i principali “esclusi”:

  • Debiti per alimenti e mantenimento familiare: non li cancelli. Devi continuare a pagarli per intero.
  • Debiti da risarcimenti per fatti illeciti extra-contratto: non cancelli risarcimenti per lesioni, morte, danni intenzionali. Se erano rateizzati dal giudice civile, continuerai a doverli.
  • Multe, ammende e sanzioni penali (e amministrative punitive): non si cancellano. Una sanzione per reato fiscale, ad esempio, resta.
  • Debiti fiscali legati a condanne per frode fiscale: se sei stata condannata penalmente per evasione, quei debiti fiscali restano esclusi.
  • Debiti da condotte fraudolente verso i creditori: se hai creato debiti con dolo (tipo truffando), il giudice può escluderli o negarti l’esdebitazione per indegnità.
  • Stipendi e contributi non pagati ai dipendenti: tendenzialmente non si cancellano, perché tutelano i lavoratori (il giudice può imporre che li paghi fuori dal piano o escluderli dall’esdebitazione).
  • Debiti verso fondi di garanzia pubblici: di solito esclusi (non esdebitabili) per ragioni di politica pubblica.
  • Nuovi debiti sorti dopo l’apertura della procedura: ovviamente non sono coperti.

In pratica, per la maggior parte delle persone i casi tipici sono: alimenti e risarcimenti danni non si toccano. Il resto, come debiti bancari, prestiti, carte, mutui, leasing, bollette, cartelle esattoriali per tasse (a meno di frodi) – tutto questo si può cancellare. Anche le multe stradali prese per violazioni del CdS alcune procedure le includono e stralciano (c’è interpretazione diversificata, ma in diversi piani si è fatto). Ad esempio, multe per divieto di sosta o eccesso velocità molti tribunali le considerano debiti come altri (non “sanzioni di natura penale”) e le falcidiano. Quindi, dipenderà un po’ dal giudice, ma tendenzialmente quelle minori rientrano.
Ricorda che anche se un debito è esdebitabile, il creditore può opporsi all’omologa se ritiene che il piano lo tratti ingiustamente. Però se la legge è rispettata, la sua opposizione non verrà accolta. Perciò, se il tuo piano rispetta tutte le regole e tu sei meritevole, avrai la cancellazione di tutti i debiti “cancellabili” e dovrai continuare a pagare solo quelli “non cancellabili”. Fai bene i conti con l’avvocato per sapere dopo la procedura cosa ti rimarrà da pagare (es: “mi rimarrà solo il debito con mio figlio di 5k e la multa penale di 2k, tutto il resto sparito” – è importante per programmare il futuro).

D: Quanto tempo ci vuole per uscire dai debiti con queste soluzioni?
R: Dipende dal percorso:

  • Con un Piano del consumatore o Concordato minore, devi considerare il tempo di predisporre la pratica (qualche settimana o mese, a seconda di quanto sono complicati i documenti), poi il tempo in tribunale per omologa (spesso 2-4 mesi se tutto fila, ma può essere 6-8 mesi in tribunali intasati). Dopo l’omologa, c’è il tempo di esecuzione del piano che proponi: normalmente i piani durano da 3 a 5 anni. Quindi complessivamente potresti dire 4-6 anni per completare e avere esdebitazione (es: 6 mesi preparazione + 6 mesi omologa + 4 anni pagamenti). In qualche caso eccezionale il piano può essere più corto (se vendi un immobile subito e paghi in un colpo, potresti chiudere tutto in 1 anno).
  • Con la Liquidazione controllata, la legge fissa massimo 3 anni di liquidazione. Aggiungi circa 4-6 mesi per la fase iniziale (nomina liquidatore, ecc.). Diciamo ~3,5 anni totali. Alla fine di questo periodo, se tutto regolare, scatta l’esdebitazione immediata e sei libera. Quindi la liquidazione è più breve in termini di impegno temporale rispetto a un piano (che può durare 5 anni di pagamenti). Ma durante quei 3 anni potresti subire la vendita della casa e devi consegnare al liquidatore eventuali risparmi ecc.
  • Con l’Esdebitazione incapiente, è la più rapida: potresti cavartela in 4-6 mesi tra preparazione e decreto di accoglimento, dopodiché formalmente sei esdebitata. Poi devi attendere 4 anni in “osservazione”, ma se non cambia nulla nella tua situazione, di fatto in quei 4 anni non devi fare nulla se non comunicare ogni anno la tua condizione. Finito quel periodo, la procedura è chiusa definitivamente (già il debito era chiuso all’inizio, la condizione risolutiva scade).

Quindi si va da pochi mesi (incapiente) a diversi anni. È comunque sempre molto più veloce che restare a subire precetti e pignoramenti magari per 10-20 anni senza mai venire a capo. E soprattutto hai una fine certa: sai che dopo TOT tempo sarai libera dai debiti. Uno scenario tipico: se oggi (metà 2025) inizi un piano del consumatore su 4 anni di pagamenti, entro il 2029 potresti essere senza debiti (e intanto protetta dagli attacchi). Se oggi apri una liquidazione, entro il 2028 sarai fuori. È un orizzonte temporale affrontabile, specie quando si hanno figli: puoi dire “stringiamo la cinghia 3-4 anni, poi la mamma potrà anche mettere qualcosa da parte per voi, per l’università, ecc.”. Senza procedura, quei debiti magari li pagheresti in 20 anni (con interessi) o non li pagheresti mai rimanendo però segnalata a vita e sempre a rischio azioni.


In conclusione, trovarsi come “madre divorziata con debiti” è una situazione difficile ma non senza vie d’uscita. Il diritto italiano, negli ultimi anni, ha sviluppato strumenti efficaci per dare sollievo ai debitori onesti in difficoltà, tutelando nel contempo le esigenze dei figli minori e un livello di vita dignitoso. Il consiglio finale è di non vergognarsi e non isolarsi: cercare subito supporto legale qualificato, valutare tutte le opzioni (anche quelle radicali come la liquidazione personale), e prendere decisioni informate. Molte donne sono riuscite a superare completamente situazioni debitorie drammatiche grazie a queste soluzioni – come abbiamo visto nei casi di Angela, Carla e altre. La legge è dalla tua parte se agisci con trasparenza e buona fede.

Tieni a mente: l’obiettivo non è solo liberarti dai debiti, ma anche ricostruire la stabilità per te e i tuoi figli. Una volta risolto il peso finanziario, potrai concentrarti sul futuro con maggiore serenità, che si tratti di migliorare la tua posizione lavorativa, offrire ai tuoi figli opportunità o semplicemente vivere senza l’incubo costante dei creditori.

Fonti

  • Codice Civile (artt. 337-sexies c.c., 2740 c.c. e segg. sulla responsabilità patrimoniale; art. 545 c.p.c. su crediti impignorabili; art. 548 c.p.c. su limiti pignoramento; art. 2643 c.c. su trascrizioni).
  • Codice di Procedura Civile (artt. 514 c.p.c. beni mobili impignorabili; 515 e segg. su pignoramento mobiliare e immobiliare; art. 543 c.p.c. e segg. su pignoramento presso terzi).
  • D.P.R. 29/09/1973 n.602, art. 76 – Limiti alla espropriazione immobiliare da parte dell’Agente della Riscossione (impignorabilità prima casa per debiti fiscali).
  • L. 8/08/1995 n. 335, art. 1 c.7 – Impignorabilità minimi vitali pensioni; D.L. 83/2015 conv. L.132/2015 (ultimo stipendio non pignorabile su conto).
  • Legge 27/01/2012 n.3 (vecchia legge sul sovraindebitamento “salva suicidi”) – Disposizioni in materia di usura e sovraindebitamento. [Nota: molte previsioni sono state abrogate e confluite nel Codice della Crisi].
  • D.Lgs. 12/01/2019 n.14 Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, in vigore dal 15/07/2022: art. 2 (definizioni, incluso sovraindebitamento); artt. 65-83 (procedure di composizione da sovraindebitamento: piano di ristrutturazione del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata); art. 69 (meritevolezza debitore e merito creditizio del finanziatore); art. 74 (contenuto piano del consumatore); art. 78 (contenuto concordato minore, richiesto 50% consensi); art. 80 (liquidazione controllata); art. 282 (debiti esclusi da esdebitazione); art. 283 (esdebitazione del sovraindebitato incapiente); D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024 (decreti correttivi al Codice).
  • Sentenza Corte di Cassazione 12466/2013 – Assegnazione casa familiare e pignorabilità (confermato: assegnazione trascritta opponibile ma non impedisce esecuzione).
  • Cass. 19270/2014 – Impignorabilità prima casa erga omnes procedimenti pendenti (natura retroattiva processuale L.69/2013).
  • Cass. 32759/2024 (ord.) – Ribadisce applicabilità retroattiva protezione prima casa.
  • Cass. 30342/2021 – Limiti impignorabilità prima casa e misure cautelari penali (no protezione in caso di sequestro per reati tributari).
  • Cass. 9479/2023 – Opposizione tardiva a decreto ingiuntivo per clausole vessatorie bancarie (il debitore può far valere nullità anche dopo tempo).
  • Cass. 6541/2017 – (in tema di pignoramento stipendi su conto, Corte Cost. interpreta art. 545 cpc: ultimo stipendio su conto non pignorabile se pignoramento presso terzi su banca, ma soluzione mutata se pignorato anche conto).
  • Cass. 136/2020 (ordinanza) – Assegno divorzile ex coniuge non ha natura alimentare (confermando non impignorabilità).
  • Corte Costituzionale sent. 172/2016 – Pignoramento stipendi e minimo vitale: legittimità con interpretazione adeguatrice (ultimo stipendio accreditato impignorabile).
  • Tribunale di Pavia, Sentenza 28/06/2022 – Sovraindebitamento, Piano del consumatore di madre divorziata (caso Angela: €48k in 6 anni salva casa vs €938k debiti).
  • Tribunale di Monza, Sentenza 04/09/2024 – Sovraindebitamento, Liquidazione controllata di madre divorziata (caso Carla: €23,6k attivo vs €197k debiti, esdebitazione concessa).
  • Tribunale di Milano, Sentenza 30/11/2022 – Sovraindebitamento (Codice della Crisi), madre divorziata €135k debiti azzerati con piano.
  • Tribunale di Nola, decreto 2021 – Esempio di esdebitazione incapiente concessa (madre divorziata nulla tenente).
  • Linee guida OCC e prassi tribunali: es. Tribunale di Venezia e Tribunale di Bergamo – dati sulle procedure familiari congiunte introdotte dal Codice.

Sei una madre divorziata e hai accumulato debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Dopo una separazione o un divorzio, molte donne si trovano a dover gestire casa, figli e lavoro da sole. E se nel frattempo i debiti aumentano, la pressione diventa insostenibile.
Se ti ritrovi ogni mese a scegliere se pagare una bolletta o comprare da mangiare, è il momento di reagire.
La legge ti offre strumenti concreti per uscire dal sovraindebitamento in modo legale, protetto e dignitoso.


Perché le madri divorziate sono più esposte al rischio di debiti?

  • 👩‍👧‍👦 Hanno a carico i figli, spesso come unico sostegno economico
  • 💼 Lavorano part-time o hanno entrate discontinue
  • 🧾 Subiscono spese improvvise (affitto, scuola, sanità, auto)
  • 💳 Utilizzano carte di credito, prestiti o finanziamenti per far fronte alle necessità
  • 🔁 Possono essere eredi o coobbligate di debiti contratti durante il matrimonio

In poco tempo, le rate si moltiplicano e si entra in una spirale senza uscita.


Quali sono le soluzioni legali?

Oggi puoi accedere a strumenti di protezione pensati anche per chi non è un’imprenditrice:

✅ Procedura per il sovraindebitamento

Permette di:

  • 🧾 Ridurre o cancellare i debiti in base alla tua reale capacità di rimborso
  • 🔒 Bloccare pignoramenti, pressioni e segnalazioni negative
  • 💼 Proporre un piano sostenibile al giudice
  • ✂️ Ottenere, nei casi più gravi, la totale esdebitazione (cancellazione dei debiti)

✅ Piano del consumatore

Se hai un reddito stabile (stipendio o pensione), puoi proporre una ristrutturazione dei debiti senza passare dai creditori.

✅ Procedura per debitore incapiente

Se non hai nulla da offrire, puoi essere esdebitata lo stesso, senza perdere la dignità né la possibilità di ricominciare.


🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

👩‍⚖️ Ti ascolta e analizza la tua situazione familiare e patrimoniale
📂 Ricostruisce il quadro dei tuoi debiti e delle entrate
✍️ Presenta la domanda al tribunale per accedere alla procedura più adatta
⚖️ Ti difende da eventuali pignoramenti o decreti ingiuntivi in corso
🔁 Ti accompagna nel percorso fino all’ottenimento dell’esdebitazione


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in crisi da sovraindebitamento e diritto di famiglia
✔️ Gestore della crisi iscritto al Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per madri single, lavoratrici precarie e famiglie monoreddito


Conclusione

Se sei una madre divorziata piena di debiti, non devi vergognarti. Hai il diritto di proteggerti, chiedere aiuto e ricominciare.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi costruire una via d’uscita legale, umana e concreta per tutelare te stessa e i tuoi figli.

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Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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