Il Concordato Minore Del Libero Professionista

Hai accumulato debiti come libero professionista e non riesci più a sostenere il carico fiscale, contributivo o finanziario? Ti chiedi se esiste uno strumento legale per bloccare i creditori, evitare il fallimento e continuare a lavorare? La risposta potrebbe essere il concordato minore.

Il concordato minore è una delle procedure previste dal Codice della Crisi, pensata appositamente per soggetti come te: professionisti, artigiani, commercianti e lavoratori autonomi che non hanno accesso al fallimento ma che si trovano in stato di crisi o insolvenza.

Cos’è il concordato minore?
È una procedura di ristrutturazione dei debiti destinata a persone fisiche che esercitano un’attività economica, ma che non sono fallibili. Serve per proporre ai creditori un piano di pagamento sostenibile, ottenere la sospensione delle azioni esecutive e salvare l’attività professionale.

Chi può accedervi?
– Liberi professionisti (avvocati, medici, architetti, commercialisti, consulenti)
– Artigiani, commercianti e piccoli imprenditori individuali
– Persone che svolgono attività economica ma non superano le soglie di fallibilità

A cosa serve concretamente il concordato minore?
– A ristrutturare i debiti fiscali, bancari e previdenziali, compresi quelli verso l’Agenzia delle Entrate e INPS
– A sospendere pignoramenti, fermi amministrativi e procedure esecutive
– A continuare la tua attività senza dover chiudere lo studio o cessare la partita IVA
– A proteggere i beni essenziali, come l’auto o l’attrezzatura da lavoro

Come funziona il procedimento?
– Si presenta un’istanza tramite l’OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
– Viene nominato un gestore della crisi che valuta la fattibilità del piano
– Il piano viene sottoposto al voto dei creditori e, se approvato, omologato dal tribunale
– Al termine, se hai rispettato il piano, i debiti residui vengono cancellati

Cosa NON devi fare mai?
– Attendere che la situazione precipiti: il concordato minore è efficace se attivato in tempo
– Cercare soluzioni “fai da te” con i singoli creditori
– Firmare cambiali, garanzie personali o nuovi prestiti per “tamponare”
– Pensare che non esista alternativa al fallimento: oggi la legge offre strumenti reali anche ai professionisti

Il concordato minore è una delle soluzioni più efficaci per salvare il lavoro di un libero professionista in crisi, proteggere la propria dignità e costruire una via d’uscita legalmente riconosciuta.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto della crisi e concordato minore – ti spiega come funziona la procedura, chi può richiederla e quali vantaggi offre per chi vuole rimettersi in regola senza perdere tutto.

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Introduzione

Il concordato minore è una procedura concorsuale di composizione della crisi da sovraindebitamento, introdotta nel nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, di seguito CCII) entrato in vigore il 15 luglio 2022. Si tratta di uno strumento rivolto ai debitori non fallibili – in particolare piccoli imprenditori, ditte individuali, professionisti e altre categorie non assoggettabili alle ordinarie procedure concorsuali – che consente di ristrutturare i debiti e superare lo stato di sovraindebitamento in modo volontario e giudiziale, evitando soluzioni più drastiche come la liquidazione totale del patrimonio.

Questa guida, aggiornata a luglio 2025, analizza in dettaglio il concordato minore dal punto di vista del debitore, con un taglio giuridico avanzato ma divulgativo. Verranno illustrate la normativa italiana vigente, le condizioni di accesso e gli aspetti procedurali, incluse le novità normative più recenti e la giurisprudenza aggiornata (sentenze di merito e di legittimità). Saranno fornite risposte a domande frequenti, esempi pratici e tabelle riepilogative per facilitare la comprensione. L’obiettivo è offrire uno strumento utile sia a professionisti legali (avvocati, commercialisti) sia a debitori privati e piccoli imprenditori interessati a capire come funziona e quali vantaggi offra il concordato minore per chi si trova in difficoltà economica.

In sintesi, il concordato minore rappresenta il “fratello minore” del concordato preventivo tradizionale, da cui mutua la struttura di base, ma con procedure più snelle e adattate a realtà dimensionali ridotte. Permette al debitore sovraindebitato di proporre ai creditori un piano di rientro sostenibile – eventualmente con prosecuzione dell’attività professionale – assicurando ai creditori una soddisfazione non inferiore a quella ottenibile in una liquidazione dei beni (la c.d. “alternativa liquidatoria”). In caso di buon esito, il debitore ottiene la liberazione dai debiti residui (esdebitazione). Nelle sezioni che seguono analizzeremo i presupposti, le fasi della procedura, i diritti e obblighi del debitore, nonché i profili fiscali e le più importanti pronunce giurisprudenziali in materia.

Finalità e quadro normativo

Il concordato minore è disciplinato dagli artt. 74–83 CCII (Titolo IV, Capo II, Sezione III del Codice). Esso costituisce una delle tre procedure di regolazione della crisi da sovraindebitamento previste dal Codice, assieme alla ristrutturazione dei debiti del consumatore (riservata ai debitori consumatori) e alla liquidazione controllata del patrimonio. Questa nuova disciplina ha superato la precedente Legge 3/2012, incorporando e riformando gli strumenti ivi previsti: in particolare, il concordato minore ha preso il posto del vecchio accordo di composizione dei debiti della legge del 2012.

La finalità del concordato minore è di consentire al debitore sovraindebitato di trovare un accordo con i creditori per il risanamento del proprio debito, evitando la liquidazione giudiziale dei beni e permettendo, se possibile, la continuità dell’attività imprenditoriale o professionale. In altre parole, attraverso la proposta concordataria il debitore può prevenire azioni esecutive individuali e scongiurare il fallimento o altre procedure liquidatorie, offrendo ai creditori una soluzione collettiva, legalmente vincolante, potenzialmente più vantaggiosa rispetto alla semplice esecuzione forzata sui beni.

Questo equilibrio di interessi – tutela del debitore da un lato, e garanzia di non pregiudicare i creditori dall’altro – è al centro della disciplina del concordato minore. Infatti, il piano proposto deve assicurare ai creditori un soddisfacimento non inferiore a quello ricavabile dalla liquidazione (il c.d. best interest test), come previsto espressamente dall’art. 80 CCII per l’omologazione in caso di contestazioni. Il concordato minore, pur essendo volontario (iniziativa esclusiva del debitore) e basato su un accordo, ha natura di procedura concorsuale giudiziale: richiede l’intervento del tribunale sia nella fase di ammissione sia in quella di omologazione definitiva. La sua struttura riprende molti aspetti del concordato preventivo fallimentare (ad es. suddivisione in classi di creditori, voto a maggioranza, controllo di fattibilità, etc.), ma con regole semplificate e adattamenti resi necessari dalla diversa tipologia di debitori coinvolti e dall’assenza di un’attività d’impresa di rilevanti dimensioni.

Di seguito passeremo in rassegna i soggetti che possono accedere al concordato minore e i relativi requisiti, per poi descrivere passo passo l’iter procedurale (dalla domanda fino all’omologazione e all’esecuzione del piano). Saranno evidenziate le differenze tra concordato in continuità e concordato liquidatorio, nonché gli effetti della procedura per il debitore (in termini di protezione del patrimonio, obblighi e benefici come l’esdebitazione). Un’attenzione particolare verrà riservata al trattamento dei debiti fiscali e contributivi, data la loro rilevanza pratica, e agli aspetti tributari (come la tassazione delle eventuali sopravvenienze attive da riduzione dei debiti). Il tutto arricchito da riferimenti a pronunce giurisprudenziali recenti, necessarie per comprendere l’interpretazione applicativa delle norme a pochi anni dall’entrata in vigore della riforma.

Soggetti ammessi e requisiti di accesso

Chi può accedere al concordato minore? Possono proporre questa procedura tutti i debitori che rientrano nella categoria definita dall’art. 2, comma 1, lett. c) CCII, ossia i soggetti non fallibili che versano in uno stato di sovraindebitamento, esclusi i consumatori. In altre parole, il concordato minore è destinato ai debitori diversi dalle grandi imprese commerciali. Vi rientrano in particolare:

  • Liberi professionisti (es. avvocati, medici, architetti, consulenti, ecc.) e lavoratori autonomi con partita IVA, i quali per legge non sono considerati “imprenditori commerciali” fallibili ma possono comunque accumulare debiti professionali;
  • Imprenditori “minori” ovvero piccoli imprenditori commerciali sotto le soglie dimensionali di fallibilità (art. 1 L.Fall., ora sostituito dall’art. 2 CCII): tipicamente ditte individuali o imprese familiari di modeste dimensioni;
  • Imprenditori agricoli, da sempre esclusi dal fallimento, ma che in caso di insolvenza possono accedere alle procedure da sovraindebitamento;
  • Start-up innovative, anch’esse escluse da procedure maggiori durante il periodo di iscrizione nella sezione speciale (ex art. 31 DL 179/2012), ora contemplate tra i soggetti del sovraindebitamento;
  • Enti non commerciali e altri debitori non soggetti a liquidazione giudiziale o ad altre procedure concorsuali previste per crisi o insolvenza (ad esempio, piccole associazioni, fondazioni non imprenditoriali, ecc., se indebitate).

È invece precluso l’accesso al concordato minore ai debitori consumatori, ossia alle persone fisiche che hanno contratto esclusivamente debiti di natura personale o familiare estranei ad attività d’impresa o professionale. I consumatori dispongono di una procedura ad hoc, la ristrutturazione dei debiti del consumatore (disciplinata dagli artt. 67–73 CCII), che presenta regole in parte diverse – ad esempio non prevede il voto dei creditori ma un controllo di meritevolezza più stringente. Dunque, un soggetto persona fisica verrà qualificato consumatore o non consumatore in base alla natura dei suoi debiti: se essi originano in prevalenza dall’esercizio di un’attività economica (professionale o imprenditoriale), il debitore dovrà utilizzare il concordato minore; se invece i debiti sono soprattutto di natura personale (es. finanziamenti per esigenze familiari, acquisto di beni di consumo, ecc.) senza relazione con attività d’impresa o lavoro autonomo, allora l’accesso sarà consentito solo alla procedura del consumatore. In presenza di debiti misti, la qualificazione va fatta caso per caso, considerando la causa prevalente dell’indebitamento.

Va sottolineato che il concordato minore, al pari delle altre procedure di sovraindebitamento, richiede lo stato di crisi o insolvenza del debitore (sovraindebitamento definito come “persistente squilibrio tra obbligazioni assunte e patrimonio liquidabile per farvi fronte, con incapacità di adempiere regolarmente” – cfr. art. 2, co.1, lett. c CCII). Non è necessario trovarsi in vero e proprio stato d’insolvenza irreversibile come nel fallimento, essendo sufficiente una situazione di difficoltà che renda non sostenibile l’esposizione debitoria. Tuttavia, è implicito che il debitore debba trovarsi in bona fide: la legge (art. 69 CCII per il consumatore, e art. 80 CCII per le altre procedure) richiede una condotta diligente e impone al giudice di valutare l’affidabilità del debitore e le cause dell’indebitamento ai fini dell’ammissione e dell’omologazione. In sostanza, pur non essendo formalmente prevista una “meritevolezza” in senso stretto per il concordato minore (concetto invece centrale per il consumatore), la giurisprudenza sta attribuendo grande rilevanza al comportamento pregresso del debitore: piani fondati su gestioni passate gravemente negligenti o su dati poco credibili possono essere dichiarati inammissibili o non omologati per difetto di fattibilità e serietà. Ad esempio, la Corte di Cassazione ha chiarito (sent. 2963/2024) che un concordato minore in continuità è inammissibile se il debitore non fornisce un’analisi realistica e dettagliata dei flussi economici prospettici, specialmente quando il dissesto è stato aggravato da grave carenza di diligenza nella gestione dell’impresa debitrice. Il Tribunale di Ferrara (decr. 27 dicembre 2024) ha applicato tale principio, rigettando un piano privo di credibili prospettive di risanamento a fronte di ingenti debiti tributari accumulati per gestione colpevolmente negligente.

Esclusioni specifiche: il CCII prevede inoltre alcune esclusioni mirate. In particolare, l’art. 33, co. 4 CCII (introdotto dal correttivo D.Lgs. 83/2022) stabilisce l’inammissibilità del concordato minore per l’imprenditore individuale che abbia cessato l’attività e sia stato cancellato dal Registro delle Imprese da oltre un anno. Ciò in coerenza con un principio già affermato dalla giurisprudenza pre-riforma: chi ha volontariamente cessato la propria attività commerciale non può accedere a procedure concordatarie finalizzate alla continuazione o risanamento dell’impresa, mancando il presupposto stesso di un’attività da ristrutturare. La Cassazione (sent. 22699/2023) ha confermato che questa preclusione – già valida per il concordato preventivo in base alla legge fallimentare – si estende ora espressamente al concordato minore. In pratica, un ex-imprenditore che abbia chiuso bottega non può più proporre un concordato minore dopo un significativo lasso di tempo, ma dovrà semmai ricorrere alla liquidazione controllata (in cui comunque potrà ambire all’esdebitazione dopo 3 anni, come vedremo più avanti). Si segnala però che su questo tema non mancano interpretazioni meno rigide: ad esempio il Tribunale di Modena, con provvedimento del 1 maggio 2025, ha sostenuto un’interpretazione più favorevole al debitore, ritenendo ammissibile il concordato minore per un imprenditore individuale cessato, in deroga al dettato letterale, in presenza di determinate circostanze meritevoli (si tratta tuttavia di orientamenti minoritari, suscettibili di impugnazione in sede di legittimità).

Inoltre, restano esclusi coloro che hanno già beneficiato di un’esdebitazione in passato: il CCII prevede che l’esdebitazione (la liberazione dai debiti residui) non può essere concessa se il debitore ne ha già usufruito nei 5 anni precedenti (art. 280, co.2 CCII), né in caso di condanna per alcuni reati concorsuali. Questa limitazione impedisce di abusare reiteratamente delle procedure di sovraindebitamento.

Tabella 1 – Soggetti ammessi al concordato minore e condizioni principali

Categoria di debitore (art. 2 CCII)Chi rientra e requisiti di accesso
Libero professionista (non consumatore)Persona fisica con partita IVA, titolare di uno studio professionale o attività autonoma. Ammissibile se sovraindebitato e non soggetto a liquidazione giudiziale. Deve aver tenuto una condotta non frodatoria. Debiti di natura personale eventuali non prevalenti.
Imprenditore minore (ditta individuale, piccola impresa)Imprenditore commerciale sotto le soglie di fallibilità (ricavi ≤ €200k, attivo ≤ €300k, debiti ≤ €500k, valori indicativi ex art. 2 CCII). Ammissibile se in stato di sovraindebitamento. Escluso se ha cessato l’attività e cancellato da >1 anno (salvo interpretazioni diverse di alcuni Tribunali).
Imprenditore agricoloColtivatore diretto o imprenditore del settore agricolo, non soggetto a fallimento. Può accedere se sovraindebitato. Non richiesto il rispetto di soglie dimensionali specifiche.
Start-up innovativaSocietà start-up iscritta nel registro speciale (non fallibile per legge durante tale status). Può utilizzare il concordato minore in caso di insolvenza, in alternativa alla liquidazione.
Ente non profit o soggetto non fallibileEnti e debitori non assoggettabili a fallimento né a liquidazione coatta (es. associazioni non riconosciute indebitate, eredi di imprenditore deceduto con debiti, ecc.). Devono trovarsi in sovraindebitamento.
Consumatori (persone fisiche per debiti di natura personale)Non ammessi al concordato minore. Devono ricorrere alla distinta procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore.

Nota: tutti i debitori devono trovarsi in stato di sovraindebitamento (squilibrio finanziario persistente) e non avere procedure concorsuali maggiori pendenti. È inoltre richiesta l’assenza di atti in frode ai creditori e, in caso di precedente accesso a procedure di insolvenza, il decorso dei termini di legge (ad es. non si può ottenere una nuova esdebitazione prima di 5 anni dalla precedente). Il debitore resta in possesso dei beni durante il concordato minore (non c’è spossessamento come nel fallimento) e continua a gestire l’attività sotto supervisione dell’OCC, salvo limitazioni imposte dal tribunale.

Procedura: fasi e funzionamento del concordato minore

Vediamo ora come si svolge concretamente un concordato minore, articolando il percorso nelle sue principali fasi procedurali, dalla presentazione della domanda sino all’omologazione e all’esecuzione del piano. Si tratta di una procedura concorsuale semplificata che coinvolge tre attori fondamentali: il debitore (proponente del piano), i creditori (chiamati ad esprimere voto sulla proposta) e il Tribunale (che controlla la regolarità e omologa l’accordo). Un ruolo chiave è svolto inoltre dall’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) o dal gestore della crisi, ossia il professionista indipendente incaricato di assistere il debitore e attestare la fattibilità del piano.

Riassumiamo le fasi salienti:

  1. Presentazione della domanda (ricorso introduttivo): Il debitore sovraindebitato predispone, con l’ausilio di un OCC, un ricorso al Tribunale competente volto ad accedere alla procedura di concordato minore. La legge richiede che il ricorso sia presentato “tramite un OCC costituito nel circondario del tribunale competente”, a pena di inammissibilità: ciò significa che il debitore deve rivolgersi ad un Organismo di Composizione della Crisi (di norma istituito presso gli Ordini professionali o gli enti pubblici accreditati) oppure a un professionista gestore nominato dal giudice, il quale lo assiste nella fase preparatoria. Alla domanda devono essere allegati, obbligatoriamente, una serie di documenti indicati dall’art. 75 CCII. In particolare: il piano di concordato contenente la proposta dettagliata (tempi e modalità di adempimento), l’elenco di tutti i creditori con l’indicazione dei crediti (distinguendo privilegi, eventuali garanzie, ecc.), l’inventario dettagliato del patrimonio del debitore, le dichiarazioni dei redditi/bilanci degli ultimi 3 anni, l’elenco degli atti di disposizione compiuti negli ultimi anni, lo stato di famiglia certificato (per verificare eventuali coobbligati o per accedere a procedure familiari) e un’attestazione di fattibilità del piano redatta dall’OCC. La completezza e veridicità di questa documentazione è fondamentale: omissioni o inesattezze rilevanti possono causare l’inammissibilità del ricorso. L’art. 75 impone infatti precisi oneri di allegazione al debitore, che deve fornire al tribunale un quadro trasparente della propria situazione economica, pena il rigetto immediato della domanda. Una volta depositato il ricorso, il tribunale effettua una prima verifica di ammissibilità. In questa fase, non viene ancora valutato il merito del piano (convenienza per i creditori), ma si controlla la presenza dei requisiti soggettivi (che il debitore rientri tra i soggetti ammessi e sia sovraindebitato) e oggettivi (completezza documentale e conformità formale della proposta). Se tutto è in regola, il tribunale emette un decreto di apertura della procedura.
  2. Decreto di apertura e nomina degli organi: Con il decreto che dichiara aperta la procedura di concordato minore, il tribunale tipicamente nomina un Giudice Delegato e conferma o designa il professionista dell’OCC come gestore della crisi/commissario incaricato di sovrintendere alla procedura. Nel decreto vengono fissati i termini e le modalità per lo svolgimento del voto da parte dei creditori. Una differenza rispetto al concordato preventivo è che non si tiene un’assemblea fisica dei creditori: la votazione avviene con modalità semplificate, spesso in forma scritta o telematica. Il giudice assegna ai creditori un termine (ad esempio 20 o 30 giorni) entro il quale far pervenire all’OCC la propria dichiarazione di adesione o mancata adesione alla proposta concordataria, nonché eventuali contestazioni sul piano. Contestualmente, è disposto che venga data idonea pubblicità alla proposta (es. comunicazione ai creditori a cura dell’OCC e iscrizione nel registro delle procedure). Dal momento dell’apertura, scattano gli effetti protettivi: tutte le azioni esecutive individuali e i pignoramenti in corso sono automaticamente sospesi, come previsto dall’art. 54 CCII richiamato (che estende le misure protettive anche alle procedure di sovraindebitamento). Ciò significa che i creditori non possono iniziare né proseguire esecuzioni sul patrimonio del debitore una volta aperto il concordato minore: i beni sono “congelati” in attesa dell’esito della procedura. Eventuali ipoteche giudiziali iscritte nei 90 giorni precedenti la domanda non hanno effetto rispetto ai creditori concorsuali (analogamente a quanto avviene nel fallimento). Il debitore rimane tuttavia nel possesso e nella gestione dei suoi beni, potendo compiere atti di ordinaria amministrazione; per gli atti straordinari (vendite di rilievo, ecc.) può essere richiesta l’autorizzazione del giudice. L’OCC funge da ausilio e controllo: ad esempio, verifica le comunicazioni ai creditori, raccoglie i voti e predispone una relazione finale per il tribunale. Nota: A differenza del concordato preventivo, nel concordato minore non è prevista una moratoria obbligatoria massima di un anno per i creditori privilegiati (nel preventivo ex art. 86 CCII c’è un limite di dilazione per i privilegiati). Nel concordato minore il pagamento anche dilazionato di crediti privilegiati può superare l’anno, purché il piano rispetti il requisito della convenienza e i creditori speciali non siano pregiudicati. Un punto delicato riguarda la fase antecedente all’apertura: può il debitore ottenere misure protettive provvisorie già con la presentazione del ricorso, prima del decreto di apertura? La legge non prevede espressamente una sospensione automatica ante causam, ma il debitore può contestualmente al deposito del ricorso chiedere al tribunale misure cautelari urgenti (ex art. 54, co. 3 CCII) per sospendere procedure esecutive imminenti, se necessario. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha chiarito che, in assenza di un espresso provvedimento, il giudice del sovraindebitamento non può autonomamente disporre la sospensione o l’invalidazione delle azioni esecutive pendenti prima dell’ammissione. In pratica, fino al decreto di apertura il debitore rischia ancora pignoramenti; è dunque essenziale depositare un ricorso ben documentato che il tribunale possa ammettere con celerità, così da far scattare il automatic stay. Dopo l’apertura, come detto, vige il blocco delle azioni esecutive individuali e nessun creditore può sottrarsi alla disciplina concorsuale.
  3. Adesione dei creditori (votazione): Nella fase successiva, i creditori esaminano la proposta e votano esprimendo la propria adesione o dissenso. Il concordato minore, essendo volontario, richiede infatti una approvazione a maggioranza dei crediti. La maggioranza richiesta è quella indicata dall’art. 79 CCII: è sufficiente che i creditori che rappresentano oltre il 50% dei crediti ammessi al voto approvino la proposta. A differenza del concordato preventivo, non si fa distinzione tra maggioranza di teste e di somme: conta solo il valore dei crediti. Inoltre, se il piano prevede una suddivisione dei creditori in classi (opzione consentita e in alcuni casi obbligatoria, ad es. per separare i creditori garanti da terzi), allora il calcolo seguirà le regole delle classi come da art. 109 CCII (serve il voto favorevole delle classi, o almeno di una in caso di cram down interclassario, ecc., per analogia con il concordato preventivo). Tuttavia, nel concordato minore l’utilizzo delle classi è facoltativo salvo il caso di crediti con garanzie prestate da terzi, che vanno in classe separata. Spesso, data la dimensione ridotta, il debitore propone un’unica classe oppure poche classi omogenee (es. privilegiati degradati al chirografo in una classe e chirografari puri in un’altra). I creditori privilegiati, ipotecari o pignoratizi partecipano al voto solo se il piano prevede per essi un pagamento non integrale o dilazionato oltre i termini di legge. Se un creditore privilegiato è soddisfatto integralmente nei limiti del privilegio entro i valori di realizzo di quel bene (come attestato dall’OCC), allora non è ammesso al voto (si considera tacitamente soddisfatto). Al contrario, se il piano offre a un privilegiato meno di quanto otterrebbe dalla vendita del bene su cui insiste la prelazione (la cosiddetta “falcidia” del credito privilegiato), il creditore ha diritto di votare. In tal caso, il piano deve comunque garantire a quel creditore un pagamento non inferiore al valore di liquidazione del bene oggetto di garanzia. Ad esempio, se c’è un’ipoteca su un immobile dal cui valore di mercato (stimato dall’OCC) il creditore ipotecario ricaverebbe 100 in caso di vendita, il concordato potrà proporgli anche meno di 100 (es. 70) purché almeno pari al ricavato effettivo stimabile in liquidazione per quel bene, e dilazionare il resto a chirografo. Questa regola di tutela minima è controllata in sede di omologazione. Terminata la raccolta delle adesioni, l’OCC redige un verbale di votazione attestando il risultato: se è stata raggiunta la maggioranza di legge, la proposta si intende approvata dai creditori; in caso contrario, il concordato non viene approvato e la procedura si arresta. È importante notare che, a differenza delle procedure maggiori, non esiste un cram-down “sostitutivo” del voto: se manca la maggioranza, il tribunale non può omologare il concordato contro la volontà della maggioranza (l’unico cram-down previsto, come vedremo, riguarda specifici creditori dissenzienti o classi dissenzienti, non l’intera platea). Dunque, l’esito del voto è normalmente decisivo. Qualora il piano non passi, il procedimento viene chiuso e i creditori riacquistano libertà di azione esecutiva; il debitore potrà valutare eventualmente di ripiegare sulla liquidazione controllata (in alcuni casi il tribunale, chiudendo il concordato, su istanza del debitore o di un creditore può contestualmente aprire la liquidazione).
  4. Omologazione da parte del Tribunale: Se la maggioranza dei crediti ha votato a favore, si passa alla fase di omologazione. Il tribunale – tipicamente in persona del giudice delegato designato – verifica innanzitutto il rispetto di tutte le condizioni di legge: regolarità della procedura, corretto raggiungimento delle majoranze richieste, assenza di cause di inammissibilità sopravvenute (es. atti in frode scoperti successivamente, mancanza del requisito di convenienza per i creditori dissenzienti, etc.). Se non vi sono opposizioni da parte di creditori, e tutti gli adempimenti risultano in ordine, il giudice omologa il concordato minore con sentenza, dichiarando chiusa la procedura. L’omologazione rende il piano vincolante per tutti i creditori concorsuali, compresi quelli che non hanno votato o che hanno votato contro: il concordato omologato acquista efficacia di accordo giudiziale, sostitutivo delle originarie obbligazioni del debitore, e impedisce ai creditori di agire al di fuori di esso (essi potranno solo pretendere quanto previsto dal piano). In caso di opposizioni o contestazioni sollevate da creditori dissenzienti (ad esempio un creditore che eccepisce che dal piano ricaverebbe meno che in liquidazione, o lamenta irregolarità), il tribunale deve valutare tali contestazioni nell’udienza fissata per l’omologa. L’art. 80 CCII dispone che, anche in presenza di contestazioni, il giudice omologa ugualmente il concordato quando ritiene che il creditore opponente sia soddisfatto dal piano in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria. Si tratta, sostanzialmente, di applicare il best interest test: se il creditore che protesta non subisce un pregiudizio economico rispetto a quello che otterrebbe nella liquidazione del patrimonio del debitore, la sua opposizione viene superata e l’omologazione viene concessa comunque (cram-down individuale). Questa norma è importante soprattutto nel caso in cui a opporsi siano creditori pubblici come l’Erario o gli enti previdenziali, magari dissenzienti nella votazione: il comma 3 dell’art. 80 CCII prevede espressamente il cram-down fiscale, ossia la possibilità di omologa forzosa anche in mancanza di adesione da parte dell’Amministrazione finanziaria o dell’INPS, purché la loro adesione sarebbe determinante per raggiungere la maggioranza. In pratica, se nel computo dei voti il Fisco (che ha ad esempio il 30% dei crediti) vota contro e senza il suo voto non si raggiunge il 50%, il giudice può ugualmente omologare se ritiene che il trattamento offerto al Fisco nel piano rispetti i parametri di legge (trattamento non deteriore rispetto ad altri crediti di pari grado e comunque non inferiore a quanto otterrebbe in liquidazione). Questo meccanismo evita che un singolo grande creditore pubblico possa veto-power la procedura, a patto che il piano sia equo. Viceversa, se emerge che il creditore opponente avrebbe un miglior soddisfacimento in caso di liquidazione rispetto a quanto propostogli nel concordato, il tribunale rigetta l’omologa (non omologa il concordato). In tal caso la procedura viene chiusa senza omologa, lasciando spazio alla liquidazione controllata su richiesta, come detto. L’esito finale dell’omologazione è formalizzato con una sentenza (o decreto) del tribunale. Da notare che, per velocizzare l’iter, il CCII ha eliminato la necessità di un’udienza pubblica camerale per l’omologa in mancanza di opposizioni: la valutazione avviene “in base ai soli documenti” depositati. Ciò rende il concordato minore tendenzialmente più rapido rispetto al concordato preventivo. La sentenza di omologa viene poi comunicata e, di solito, pubblicata nel registro delle imprese (se il debitore è iscritto) o notificata ai creditori.
  5. Esecuzione del piano omologato: Dopo l’omologazione, il concordato minore entra nella fase attuativa. Il debitore rimane incaricato di eseguire il piano secondo le modalità e i tempi concordati (trattandosi di procedura “in proprio”, non c’è un liquidatore giudiziale come nel fallimento). L’OCC continua a svolgere la funzione di vigilanza sull’esatto adempimento del piano, redigendo eventualmente relazioni periodiche per il giudice. Ad esempio, se il piano prevede pagamenti rateali semestrali ai creditori, l’OCC controllerà che il debitore li effettui puntualmente. Il debitore deve rispettare integralmente gli impegni presi: eventuali atti in frode o inadempimenti gravi possono portare alla revoca dell’omologazione. Infatti, l’art. 81 CCII stabilisce che, in caso di mancata esecuzione del concordato, su istanza di qualunque interessato il tribunale revoca l’omologazione. La revoca è pronunciata anche se si scopre che il debitore ha dolosamente o con colpa grave alterato le passività o attivo (ad esempio simulando crediti, occultando beni, ecc.). La revoca dell’omologa riapre la posizione del debitore: su richiesta (del debitore stesso o di un creditore) e verificatane l’insolvenza, il tribunale può dichiarare aperta la liquidazione controllata dei beni. Questo è il rimedio in caso di risoluzione del concordato per inadempimento: non essendo il debitore un soggetto fallibile, non si dichiara fallito ma si liquida il patrimonio residuo nell’ambito della procedura dedicata ai sovraindebitati. Si tratta comunque di evenienze patologiche. Se invece il debitore esegue correttamente il piano, la procedura si conclude fisiologicamente con il pagamento di quanto concordato e – decorsi i termini del piano – con la sua completa liberazione dai debiti residui (esdebitazione). È importante evidenziare che l’esdebitazione nel concordato minore è anticipata rispetto alla liquidazione: il debitore ottiene l’esdebitazione ipso iure al termine dell’esecuzione del piano, senza dover attendere ulteriormente. Mentre nella liquidazione controllata la legge richiede di attendere almeno tre anni dall’apertura per avere il beneficio della liberazione dai debiti (art. 282 CCII), il concordato minore consente di chiudere la vicenda debitoria più rapidamente. In altri termini, portare a buon fine un concordato minore significa cancellare i propri debiti residui non pagati appena il piano è completato, riconquistando in tempi relativamente brevi un pieno fresh start finanziario. Questo è un forte incentivo per il debitore ad adempiere puntualmente.
  6. Chiusura della procedura ed effetti finali: A esecuzione ultimata, il concordato si considera formalmente chiuso. Il tribunale può emanare un decreto di attestazione dell’avvenuto adempimento (su istanza del debitore o relazione finale OCC) per certificare la conclusione. L’effetto principale è, come detto, l’esdebitazione: il debitore persona fisica viene liberato da tutti i debiti concorsuali rimasti eventualmente insoddisfatti (ossia la parte di debito che non è stata pagata secondo il piano diviene inesigibile). Fanno eccezione solo alcune tipologie di debiti che per legge non possono essere cancellati neppure con l’esdebitazione: ad esempio, gli obblighi di mantenimento e alimentari (come assegni di mantenimento al coniuge o ai figli), i debiti per risarcimento da fatti illeciti extracontrattuali (danni aquiliani da reato o dolo grave) e le sanzioni penali o amministrative di natura pecuniaria eventualmente a carico del debitore, che restano sempre dovuti. Tali esclusioni, elencate all’art. 278 CCII, rispecchiano quelle già previste in ambito fallimentare (art. 142 L.Fall.): lo Stato ha voluto evitare che, ad esempio, un debitore possa “disfarsi” di obblighi derivanti da responsabilità civile per reati o sottrarsi ai doveri di mantenimento familiare tramite la procedura. Al netto di questi casi particolari, tutti gli altri crediti chirografari o eventualmente privilegiati degradati che non siano stati integralmente soddisfatti nel concordato non potranno più essere fatti valere contro il debitore esdebitato (diventano giuridicamente inesigibili). Il debitore ritrova così la piena capacità patrimoniale, pur naturalmente dovendo scontare le eventuali perdite di beni ceduti ai creditori secondo il piano.

Riassumendo, il concordato minore è un percorso articolato ma relativamente rapido e flessibile. Spesso la durata complessiva della procedura (dalla presentazione del ricorso all’omologazione) può essere di pochi mesi (6-9 mesi in media, variabile in base alla complessità del piano e al numero di creditori). La durata del piano in sé, invece, può variare sensibilmente: il CCII non fissa una durata massima per il piano di concordato minore. In teoria, le rate di pagamento ai creditori potrebbero estendersi anche per molti anni (in alcuni casi, piani decennali), purché ciò sia ritenuto “fattibile” e accettabile dai creditori. Nella prassi, tuttavia, i piani di concordato minore tendono a prevedere una durata tra 3 e 7 anni, periodo ritenuto congruo per dare respiro al debitore senza procrastinare eccessivamente la soddisfazione dei creditori. Naturalmente, un piano più lungo comporta più rischi di inadempimento e minore appetibilità per i creditori, quindi di solito si cerca di contenerne la durata se possibile.

Da notare infine che il CCII ha introdotto la possibilità di gestire in modo unitario il sovraindebitamento di un nucleo familiare: l’art. 66 CCII consente la presentazione di un’unica procedura (anche di concordato minore) da parte di più membri della stessa famiglia, quando sussistono legami familiari e un comune centro di interessi. In tal caso si parla di procedure familiari, utili ad esempio per marito e moglie coobbligati che vogliano proporre un concordato unico. Queste procedure congiunte seguono regole particolari (ad es. necessità del consenso di tutti i membri e un unico OCC nominato), che esulano da questa trattazione ma che rappresentano un elemento di flessibilità ulteriore introdotto dalla riforma.

Concordato “in continuità” e “liquidatorio”: tipologie a confronto

Il concordato minore può assumere due forme principali, analoghe a quelle del concordato preventivo, delineate dall’art. 74 CCII:

  • Concordato minore in continuità – disciplinato dal comma 1 dell’art. 74 – in cui è prevista la prosecuzione dell’attività del debitore, sia essa d’impresa o professionale. La continuità può essere diretta, se il debitore continua personalmente la gestione aziendale o professionale durante e dopo la procedura, oppure indiretta, se il piano prevede che l’attività venga trasferita a un terzo (mediante cessione o affitto d’azienda, conferimento, usufrutto, etc.) che la prosegua al posto del debitore. In entrambe le ipotesi, lo scopo è utilizzare i flussi di cassa futuri generati dall’attività per pagare almeno in parte i creditori concorsuali. Il legislatore favorisce questa modalità, ritenendola preferibile quando vi sia ancora capacità produttiva nel debitore: infatti la continuità preserva il valore economico e occupazionale, e può consentire un recupero maggiore per i creditori rispetto a una liquidazione distruttiva. È chiaro però che la continuità deve essere sostenibile: il piano in continuità non deve generare nuove perdite né aggravare il dissesto. L’art. 84 CCII (sul concordato preventivo) richiamato prevede ad esempio che l’attività in continuità non debba creare ulteriori debiti prededucibili che restino impagati. La Cassazione ha sottolineato che occorre un’analisi dettagliata e rigorosa dei costi e ricavi prospettici dell’attività in continuità: un piano vago, non corroborato da un’attestazione professionale di sostenibilità economica, non è ammissibile. In sostanza, serve dimostrare che la causa del sovraindebitamento è stata rimossa o è sotto controllo, e che il debitore ora può realisticamente adempiere al piano grazie ai proventi futuri (ad esempio riducendo spese, dismettendo asset non produttivi, ottenendo nuovi contratti, ecc.).
  • Concordato minore liquidatorio – disciplinato dal comma 2 dell’art. 74 – nel quale non è prevista la prosecuzione dell’attività, bensì la mera liquidazione del patrimonio del debitore a beneficio dei creditori. In questa forma, il debitore mette a disposizione l’insieme dei propri beni (e dei crediti futuri eventualmente) per soddisfare i creditori, senza proseguire l’azienda. Tuttavia, proprio perché un concordato liquidatorio rischierebbe di essere solo un doppione costoso della liquidazione controllata, la legge lo ammette solo a certe condizioni: in particolare è richiesto l’apporto di risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori. Ciò significa che il piano liquidatorio deve offrire ai creditori qualcosa in più di quanto otterrebbero limitandosi a liquidare i beni esistenti. Questo “qualcosa in più” può consistere, ad esempio, in una somme di denaro apportata da un terzo (un familiare, un nuovo investitore) da destinare interamente ai creditori, oppure nella rinuncia del debitore a beni impignorabili, o ancora nell’utilizzo di redditi futuri del debitore. L’importante è che tali risorse aggiuntive siano oggettivamente significative per i creditori – il Codice lascia al prudente apprezzamento del tribunale la valutazione su cosa costituisca “apporto apprezzabile”. La ratio è evitare concordati liquidatori “fittizi” in cui i creditori ricaverebbero né più né meno di quanto avrebbero con la liquidazione giudiziale (ma con più spese e ritardi). Se invece c’è un beneficio tangibile in termini di percentuale di recupero grazie all’apporto esterno, allora ha senso consentire il concordato minore liquidatorio. Ad esempio: un piccolo imprenditore senza attività continuabile ma con qualche bene da liquidare potrebbe proporre ai creditori di vendere tutto e inoltre far intervenire un parente disposto a versare liquidità fresca, in modo da garantire un dividendo del, poniamo, 20% rispetto al 10% che si sarebbe ottenuto liquidando i soli beni. In tal caso la condizione è soddisfatta. Il tribunale all’ammissione verificherà la concretezza di tali risorse esterne (es. presenza di un vincolo o cauzione da parte del terzo) e la loro idoneità ad aumentare il soddisfacimento. Va notato che per risorse esterne non si intende solo denaro in senso stretto: il concetto include ogni elemento che aumenti l’attivo o diminuia il passivo del debitore in confronto alla liquidazione ordinaria. Quindi rientrano anche, ad esempio, la rinuncia del coniuge del debitore alla propria quota su un bene in comunione, l’impiego di competenze lavorative future del debitore per creare valore nella liquidazione, ecc.

È possibile che la proposta di concordato minore presenti elementi misti, cioè una parte in continuità e una parte liquidatoria. Ad esempio, il debitore potrebbe prevedere di continuare l’attività per alcuni anni per pagare i creditori con gli utili (continuità diretta su una parte del business), e contestualmente liquidare alcuni beni non essenziali (come immobili non strumentali) per ricavare ulteriore attivo. In tal caso, il concordato si qualifica comunque in continuità, purché la parte prevalente (o comunque non trascurabile) del soddisfacimento dei creditori derivi dalla continuazione dell’attività. Anche se la maggior parte del ricavato venisse dalla liquidazione di asset, se almeno una componente significativa è data dalla generazione di reddito in continuità, la legge tende a considerarlo concordato in continuità (per incoraggiare l’utilizzo di tale forma più virtuosa). La distinzione è rilevante perché alcune agevolazioni (come certe protezioni sui finanziamenti in continuità, es art. 99 CCII) e obblighi (come la relazione attestatrice più puntuale sui piani quinquennali) si applicano solo ai concordati in continuità.

Vantaggi e svantaggi per il debitore in continuità vs liquidatorio: Dal punto di vista del debitore, la soluzione in continuità è chiaramente preferibile se si vuole salvare l’azienda o la professione, poiché consente di mantenere la fonte di reddito e ripartire dopo la crisi. Inoltre, l’esdebitazione è collegata al buon esito del piano, per cui portando a termine un concordato in continuità il debitore può proseguire l’attività praticamente senza debiti pregressi. Il rovescio della medaglia è che il piano in continuità richiede notevole disciplina e credibilità: il debitore deve dimostrare di aver invertito la rotta rispetto al passato (ad esempio mettendo in atto riforme, tagli di costi, nuova finanza) e deve poi rispettare puntualmente le scadenze di pagamento, spesso per anni, sotto supervisione. Una sfida non da poco, specialmente se la crisi è stata causata da errori gestionali. Il concordato liquidatorio, viceversa, implica che il debitore sacrifichi tutto il patrimonio disponibile immediatamente: può essere indicato quando l’attività non è più sostenibile o non redditizia (o il debitore è prossimo alla pensione e preferisce chiudere). In questo caso, dopo la liquidazione, il debitore persona fisica otterrà comunque l’esdebitazione dei debiti residui, ma avrà perso i beni ceduti e dovrà ricominciare da zero la propria attività eventualmente su basi nuove. Un vantaggio del liquidatorio è che la procedura di pagamento ai creditori può chiudersi più rapidamente (venduti i beni e distribuiti i riparti, la vicenda si esaurisce), mentre in continuità i creditori aspettano i pagamenti dilazionati. D’altro canto, il liquidatorio è ammesso solo se qualche terzo contribuisce: quindi il debitore deve in genere convincere un familiare o finanziatore ad aiutarlo, oppure possedere egli stesso risorse “esterne” non dovute ai creditori (il che è raro, per definizione di sovraindebitamento).

In conclusione, la scelta tra continuità e liquidazione dipende dalle caratteristiche del caso concreto: il CCII privilegia la continuità ove possibile, come strumento di vero risanamento, ma consente anche soluzioni liquidatorie controllate e migliorative rispetto alla liquidazione tout court, per dare chance di accordo anche a chi non può più proseguire l’attività.

Effetti del concordato minore per il debitore (protezione, obblighi e benefici)

Analizziamo ora in dettaglio gli effetti della procedura dal punto di vista del debitore sovraindebitato, ossia cosa cambia per lui dal momento in cui avvia un concordato minore e quali vantaggi e vincoli ne derivano.

  • Sospensione delle azioni esecutive: come già accennato, uno degli effetti più immediati e preziosi per il debitore è la sospensione di pignoramenti e procedure esecutive individuali non appena il tribunale apre la procedura. Questo significa che, durante il concordato minore, i creditori non possono procedere con il recupero forzoso dei propri crediti singolarmente (salvo ottenere eventualmente dal giudice della procedura un’autorizzazione, cosa molto rara e possibile solo per crediti estranei al concorso). Ad esempio, se il professionista aveva in corso un pignoramento immobiliare sulla casa o sullo studio, tale pignoramento viene arrestato con la presentazione del ricorso e la concessione delle misure protettive, e definitivamente precluso se il concordato sarà omologato (perché i creditori dovranno adeguarsi al piano). Questo “respiro” consente al debitore di riorganizzare le proprie finanze senza l’incubo di vedersi sottratti i beni da un momento all’altro. È tuttavia fondamentale ricordare che la protezione scatta con il provvedimento del giudice: il debitore deve quindi attivarsi tempestivamente, perché i creditori possono legittimamente agire fino a che la procedura non è aperta (salvo eventuale sospensione cautelare anticipata, come visto).
  • Amministrazione del patrimonio: a differenza del fallimento, nel concordato minore il debitore rimane nel possesso e nella gestione dei suoi beni. Non c’è uno spossessamento né viene nominato un curatore. Il debitore continua la propria attività (se in continuità) o comunque conserva la proprietà dei beni fino all’eventuale liquidazione prevista dal piano. Egli opera però sotto la supervisione dell’OCC e del giudice: ad esempio, l’OCC dovrà autorizzare o essere informato di atti di straordinaria amministrazione che potrebbero incidere sul patrimonio destinato ai creditori. Durante la procedura, il debitore assume il ruolo di custode dei beni e deve evitare ogni atto che possa pregiudicare i creditori (vendite occulte, donazioni, aggravamento del passivo). In un concordato in continuità, egli rimane l’“gestore” dell’impresa a tutti gli effetti, il che è un notevole vantaggio rispetto ad altre procedure dove la gestione passa a terzi. Ad esempio, un avvocato in concordato minore continua a esercitare la professione e a incassare parcelle, impegnandosi però a destinare ai creditori la quota concordata nel piano.
  • Soddisfazione parziale e stralcio dei debiti: il concordato minore consente al debitore di ridurre l’ammontare complessivo del debito da pagare. Egli può proporre ai creditori un pagamento parziale (una falcidia del debito) o una dilazione nel tempo, o una combinazione di entrambe le cose, purché i creditori ottengano almeno quanto otterrebbero liquidando i beni del debitore. In pratica, gran parte dei debiti chirografari (non garantiti) può essere tagliata: spesso i piani prevedono percentuali di soddisfo anche modeste (20-30%) per i creditori chirografari, soprattutto se il patrimonio disponibile è limitato. Anche i crediti privilegiati possono essere ristrutturati: la legge consente di non pagarli integralmente, degradandoli in parte a chirografo, a condizione che la parte privilegiata sia pagata almeno in misura pari al valore di realizzo del bene (come attestato dall’OCC). Ad esempio, un debito ipotecario di 100 su un immobile che ne vale 80 potrà essere trattato così: il creditore ipotecario viene soddisfatto per 80 (valore di stima) in via privilegiata, e i restanti 20 diventano chirografari che potrebbero prendere un dividendo ridotto come gli altri. Ciò è possibile nel concordato minore, mentre in altre situazioni il creditore ipotecario avrebbe diritto a tutta la somma (magari escutendo anche fideiussioni o altri beni). Inoltre, i creditori dissentienti rimangono comunque vincolati dall’esito: una volta omologato, il piano si impone a tutti i creditori anteriori, anche a quelli che non hanno accettato o non hanno partecipato. Non potranno più agire per somme ulteriori rispetto a quelle previste.
  • Evitare la liquidazione totale del patrimonio: soprattutto nel caso di concordato in continuità, il debitore ha il beneficio di non dover smembrare il proprio patrimonio. Può continuare ad usare i beni strumentali (macchinari, autoveicoli, uffici) per produrre reddito e non perde la disponibilità dei propri beni personali salvo quanto eventualmente destinato a realizzo nel piano. Anche nel concordato liquidatorio, il vantaggio rispetto a una liquidazione giudiziale sta nella maggior contrattualità: il debitore, di concerto con l’OCC, può ad esempio vendere un immobile concordando un prezzo con un acquirente di mercato (magari più alto di quello d’asta) e concludere l’operazione nell’ambito del piano, invece di subire un’asta pubblica con tempi lunghi e incerti. Insomma, c’è più flessibilità nella gestione della crisi rispetto a una procedura esecutiva o fallimentare, e il debitore può attivamente contribuire a massimizzare il valore per i creditori (il che torna anche a suo beneficio, perché facilita l’omologazione e riduce l’importo da pagare).
  • Obblighi di correttezza e trasparenza: di contro, il debitore assume precisi obblighi di informazione e diligenza. Durante tutta la procedura, deve collaborare lealmente con l’OCC e con il tribunale, fornendo i dati e documenti richiesti, e segnalando ogni variazione patrimoniale. Come visto, eventuali atti in frode o reticenze possono portare a sanzioni severe (inammissibilità se scoperte prima dell’omologa, o revoca dell’omologa se emerse dopo). Il debitore deve anche astenersi dal favorire alcuni creditori a discapito di altri: dalla domanda in poi vige la par condicio tra i crediti anteriori. Ad esempio, pagare di nascosto un creditore durante la procedura sarebbe un grave illecito. Egli può pagare solo ciò che è autorizzato (ad es. la continuazione del pagamento di fornitori strategici se previsto in piano, oppure il pagamento delle spese di procedura in prededuzione). In sintesi, il debitore beneficia della protezione, ma in cambio sottostà a un regime di controllo e deve rispettare rigorosamente il piano una volta omologato. Si noti che l’art. 80, co.1 CCII impone espressamente al debitore un “obbligo di diligente attuazione della proposta”: tale concetto è stato interpretato come necessità di fornire fin dall’inizio garanzie di affidabilità e serietà, pena la mancata omologa.
  • Esdebitazione (cancellazione dei debiti residui): il beneficio ultimo per il debitore è la liberazione dai debiti non pagati a fine procedura. Ciò merita di essere ribadito: se il concordato minore si conclude positivamente, il debitore persona fisica si vede cancellare ogni residuo debito concorsuale pregresso (salvo le eccezioni di legge già menzionate: alimenti, danni da dolo, etc.). Questo consente una vera ripartenza. Ad esempio, un professionista che avesse 500 mila euro di debiti e tramite il concordato ne paga 200 mila, al termine non dovrà più nulla sui restanti 300 mila, e potrà continuare la sua attività senza quel fardello. Si parla di “fresh start” o “seconda opportunità” per l’imprenditore onesto ma sfortunato. Da notare che nel nuovo Codice l’esdebitazione nel sovraindebitamento è diventata ancor più accessibile: come già accennato, anche chi finisce in liquidazione controllata ha diritto all’esdebitazione decorsi 3 anni dall’apertura (senza neppure dover attendere la chiusura della liquidazione). Inoltre esiste uno strumento speciale di “esdebitazione del debitore incapiente” (art. 283 CCII) per il debitore persona fisica assolutamente privo di mezzi, che può ottenere la cancellazione dei debiti immediatamente a certe condizioni di meritevolezza. Tuttavia, queste ipotesi esulano dal concordato minore propriamente detto. Nel contesto del concordato, l’esdebitazione è conseguenza automatica dell’omologa e dell’integrale adempimento del piano (non occorre un provvedimento ad hoc, sebbene talvolta il tribunale ne dia atto con decreto su istanza). Per il debitore significa togliersi definitivamente il peso dei debiti pregressi e poter destinare le risorse future esclusivamente alla propria nuova attività o vita personale, una volta finita la procedura.
  • Trattamento dei rapporti pendenti e contratti durante la procedura: un altro aspetto rilevante è la gestione dei contratti in corso. Il CCII prevede che l’apertura del concordato minore non comporta di per sé la cessazione dei contratti in corso di esecuzione (come affitti, forniture, leasing). Il debitore può chiedere al giudice di autorizzarlo a sciogliersi da determinati contratti onerosi o di sospenderli temporaneamente (norme analoghe a quelle del concordato preventivo ex art. 97 CCII, richiamate in quanto compatibili). Questo è utile, ad esempio, per liberarsi di un contratto di locazione troppo costoso per l’ufficio, o per interrompere forniture non più necessarie in caso di cessazione attività. Il giudice valuta caso per caso l’autorizzazione, sentito il contraente controparte, considerando l’utilità per il ceto creditorio. I contratti essenziali per la continuità invece proseguono; i crediti derivanti da prestazioni eseguite in costanza di concordato sono prededucibili (vengono cioè pagati in via prioritaria rispetto ai crediti anteriori, perché funzionali al buon esito del piano). Ad esempio, se un’utenza di energia serve per mandare avanti lo studio professionale durante il concordato, la bolletta maturata durante la procedura sarà un costo prededotto da pagare regolarmente, non soggetto a falcidia.

In definitiva, il concordato minore offre al debitore un quadro di protezione e supporto: blocca le aggressioni dei creditori, permette di ristrutturare l’indebitamento alle proprie possibilità, e se tutto va bene gli dà la chance di ripartire senza debiti. Di contro, richiede serietà, trasparenza e il rispetto di regole ferree durante il percorso. Per un libero professionista o piccolo imprenditore onesto ma travolto dai debiti, può essere lo strumento ideale per evitare la rovina completa (es. la vendita all’asta della casa o la chiusura definitiva dell’attività) e cercare invece di risollevarsi, pagando quanto possibile ai creditori in modo ordinato.

Di seguito, approfondiamo un aspetto cruciale spesso al centro delle preoccupazioni del debitore: il trattamento dei debiti fiscali e contributivi nel concordato minore, inclusi i rapporti con il fisco (Agenzia Entrate, Agenzia Riscossione) e gli enti previdenziali (INPS), e gli aspetti tributari (fiscalità del debitore in procedura).

Trattamento dei debiti fiscali e contributivi nel concordato minore

Gli enti pubblici creditori (Erario per imposte, Agente della Riscossione per cartelle esattoriali, INPS per contributi, etc.) rivestono spesso un ruolo significativo nelle procedure da sovraindebitamento. Un libero professionista in crisi, ad esempio, potrebbe avere ingenti debiti fiscali (IVA non versata, imposte sui redditi, ritenute, ecc.) o contributivi (contributi previdenziali all’ordine professionale, gestione separata INPS, etc.). È quindi fondamentale capire come questi debiti “qualificati” vengono trattati in un concordato minore.

In linea generale, anche i crediti fiscali e previdenziali rientrano nel concorso e possono essere oggetto di ristrutturazione nel concordato minore. Il Codice della crisi ha voluto includere tutti i debiti nel perimetro della procedura, superando alcune limitazioni previgenti. Ad esempio, nelle vecchie procedure di sovraindebitamento (L.3/2012) era dibattuto se l’IVA potesse essere falcidiata: ora è chiaro che nessun credito è intangibile per definizione nel concordato minore, nemmeno l’IVA o le ritenute, fermo restando il rispetto di certe condizioni di legge.

Regola del “trattamento non deteriore” (art. 88 CCII): La principale tutela per i crediti pubblici privilegiati è data dal principio di parità di trattamento con gli altri crediti del medesimo grado. L’art. 88 CCII, dettato per il concordato preventivo ma applicabile al concordato minore in virtù del rinvio di cui all’art. 74 co.4 CCII, stabilisce che i crediti tributari e contributivi privilegiati o chirografari non possono ricevere un trattamento deteriore rispetto agli altri crediti di pari grado. In concreto, significa ad esempio che se nel piano i creditori chirografari normali ricevono il 30%, i debiti fiscali chirografari (cioè la parte non coperta da privilegio) devono ricevere anch’essi almeno il 30%. Oppure, se si prevede di pagare in 5 rate annuali i chirografari, anche al Fisco non si può offrire un pagamento in 10 anni (che sarebbe deteriore temporalmente) senza estendere lo stesso beneficio agli altri o senza giustificazione. Questa regola di equo trattamento evita discriminazioni penalizzanti per l’Erario. Va sottolineato che la legge, nel concordato minore, non richiede di pagare integralmente neanche l’IVA o le ritenute: è definitivamente tramontato l’antico divieto (che vigeva nel fallimento pre-2017) di falcidiare l’IVA. Oggi il Fisco può vedersi ridurre anche l’IVA, purché appunto in misura non inferiore alle percentuali offerte ad altri chirografari.

Assenza di una “transazione fiscale” formale: A differenza del concordato preventivo, dove l’art. 88 CCII prevede un vero e proprio sub-procedimento di transazione fiscale (il debitore deve presentare una proposta all’Erario per la parte che intende falcidiare/dilazionare, e attendere la risposta dell’Agenzia delle Entrate prima dell’adunanza dei creditori), nel concordato minore il legislatore non ha previsto una procedura separata di transazione. Ci si è chiesti, in dottrina e giurisprudenza, se ciò implichi che la transazione fiscale non sia applicabile affatto al concordato minore, o se comunque il debitore debba trasmettere all’Erario una proposta. L’orientamento prevalente, confortato da pronunce come Trib. Rimini 7/1/2025, è che non occorra avviare alcuna transazione fiscale distinta: i debiti fiscali vengono trattati direttamente nella proposta di concordato, e l’Erario partecipa al voto come qualsiasi altro creditore. In caso di voto contrario, come abbiamo visto, è possibile l’omologa forzosa (cram-down) se il piano comunque rispetta la regola del non deteriore. Questa impostazione si basa sul fatto che l’art. 74, ultimo comma, CCII richiama al concordato minore solo le norme del concordato preventivo “in quanto compatibili”; ritenendo che la procedura formale di transazione fiscale (richiesta di parere preventivo all’Agenzia) non sia compatibile con il carattere semplificato e veloce del concordato minore, la si considera non applicabile. In altre parole, nel concordato minore l’Agenzia delle Entrate non deve dare un assenso formale preventivo: esprime semplicemente il suo voto durante la procedura. Dunque il debitore non ha l’onere di presentare una specifica proposta separata ex art. 88; deve però inserire nel piano la proposta di trattamento dei crediti fiscali (ad esempio: pagamento al 50% in 4 anni) e tale proposta soggiace ai criteri di legge (non deteriore rispetto ad altri, etc.).

Esempio: se Tizio ha un debito IVA di 50.000€ (privilegiato) e altri debiti chirografari per 100.000€, potrebbe proporre di pagare 20.000€ sull’IVA (40%) e 40.000€ sui chirografari (40%), assicurando così parità di trattamento. Non deve fare una transazione fiscale separata, ma quell’offerta sarà valutata dall’Agenzia Entrate, che voterà. Se l’AdE vota no, il giudice potrà comunque omologare se è soddisfatta la condizione del cram-down (ovvero se senza quel voto c’è il 50% di sì e l’AdE col suo 33% bloccherebbe, e se il 40% offerto è almeno pari a quanto l’AdE otterrebbe liquidando i beni di Tizio).

Si segnala tuttavia che un orientamento minoritario (Tribunale di Como 2023, ecc.) aveva suggerito che, in mancanza di norme ad hoc, i debiti fiscali nel concordato minore dovessero essere trattati allo stesso modo dei chirografari comuni senza vincoli, quasi a sottintendere che il legislatore volesse equipararli del tutto. In almeno un caso, un Tribunale ha omologato un concordato minore in cui un credito privilegiato dell’Agenzia delle Entrate, interamente degradato a chirografo (perché il bene sottostante era insufficiente), veniva pagato con una percentuale inferiore a quella offerta ad un altro chirografario ordinario. Ciò appare in contrasto col principio di non deteriore e infatti è un’interpretazione isolata, probabilmente destinata a non prevalere. La giurisprudenza più autorevole (v. Trib. Rimini 2025 cit.) sostiene l’opposto e ribadisce l’applicabilità anche al concordato minore delle regole sostanziali dell’art. 88 CCII. In assenza di una disciplina speciale nel Capo sul concordato minore, si applicano dunque quelle regole generali in virtù del rinvio di art. 74 co.4.

  • Cram-down fiscale in omologazione: come già evidenziato, l’art. 80 co.3 CCII introduce una forma di omologazione forzata specifica per i casi di dissenso del Fisco o degli enti previdenziali, quando il loro voto è determinante per la maggioranza. Questa norma risolve un problema pratico: se il Fisco ha un peso rilevante e vota contro, pur magari ricevendo un trattamento equo, senza cram-down non si potrebbe omologare. Ora invece il giudice può supplire al mancato consenso dell’erario, a patto che:
    1. il quorum complessivo sarebbe raggiunto contando anche il voto virtuale del Fisco (cioè il Fisco era decisivo per arrivare al 50% e ha detto no);
    2. il trattamento offerto all’Erario (o all’INPS) rispetta la regola del “non deteriore” ed è almeno pari a quello ottenibile in liquidazione.
    Se queste condizioni sono verificate, l’omologa viene concessa. L’amministrazione finanziaria non ha potere di blocco, quindi, se non nelle ipotesi in cui effettivamente il piano la pregiudicasse in violazione di legge. Questo è coerente con l’idea che l’esdebitazione è un valore protetto e non può essere negata al debitore meritevole per un voto ostile del Fisco quando comunque l’alternativa (liquidazione) non darebbe di più ai creditori pubblici.
  • Ruolo dell’OCC e attestazioni sui crediti pubblici: l’OCC ha un ruolo cruciale nell’assicurare la correttezza del trattamento dei crediti fiscali. Deve infatti attestare:
    • il valore di mercato attribuibile ai beni gravati da prelazioni (per calcolare quanto spetterebbe ai crediti privilegiati in caso di liquidazione);
    • la convenienza del piano per il Fisco rispetto alla liquidazione. In particolare, nelle procedure di composizione negoziata (strumento extragiudiziale) il correttivo ter ha previsto che per transare col Fisco occorre una relazione di un professionista che attesti la convenienza per l’Erario rispetto alla liquidazione. Nel concordato minore giudiziale, tale relazione specifica non è formalmente richiesta, ma di fatto l’OCC nel suo parere e nell’attestazione finale dovrà evidenziare se la proposta al Fisco è vantaggiosa o meno rispetto all’alternativa liquidatoria, anche per orientare il giudice in sede di omologa. Inoltre, come richiesto dal nuovo art. 80 co.2 CCII (introdotto nel 2023), l’OCC deve attestare che il piano è fattibile e che il debitore può attendibilmente pagare quanto promesso: ciò include la valutazione che l’Erario non sia leso e che l’eventuale mantenimento di pagamenti ipotecari (vedi mutuo prima casa infra) non pregiudichi gli altri creditori.
  • Novità: mantenimento del mutuo sulla prima casa (comma 2-bis art. 75): Una rilevante novità, di grande impatto pratico per molti debitori, è stata introdotta dal Decreto correttivo “ter” (D.Lgs. 136/2024 in vigore da marzo 2025) riguardo ai debiti ipotecari su beni essenziali. In particolare, è ora possibile nel concordato minore prevedere la continuazione del pagamento del mutuo sulla prima casa del debitore persona fisica, mantenendo l’immobile e il relativo finanziamento fuori dalla liquidazione. Il nuovo comma 2-bis aggiunto all’art. 75 CCII dispone infatti che: “Se il debitore persona fisica, alla data della presentazione della domanda di concordato, ha adempiuto le proprie obbligazioni [relative al mutuo ipotecario] o se il giudice lo autorizza al pagamento del debito scaduto, è possibile prevedere il rimborso, alla scadenza convenuta, delle rate a scadere del contratto di mutuo con garanzia reale gravante sull’abitazione principale”, a condizione che l’OCC attesti che il creditore ipotecario sarebbe soddisfatto integralmente vendendo la casa al valore di mercato e che il mantenimento del mutuo non lede gli altri creditori. In pratica, se il debitore è in regola con il mutuo prima casa (o paga le rate arretrate prima/durante la procedura sotto controllo del giudice), può tenersi l’abitazione e continuare a pagare le rate future secondo il piano originario, senza dover liquidare l’immobile nel concordato. Questa facoltà era già prevista per la procedura del consumatore, e ora è stata estesa anche al concordato minore. Si tratta di una innovazione importante: prima, un professionista con debito mutuo casa spesso era costretto a includere l’immobile nel piano (magari vendendolo o liquidandolo ai creditori); ora invece può salvare la propria abitazione se dimostra che il mutuo è coperto dal valore della casa e che continuare a pagarlo non toglie nulla ai creditori. La logica è: se la casa vale almeno quanto il mutuo residuo, i creditori chirografari comunque non ne ricaverebbero nulla in caso di vendita (il ricavato andrebbe tutto alla banca ipotecaria); tanto vale allora permettere al debitore di tenerla e proseguire i pagamenti, così non si disgrega un bene essenziale (la casa di abitazione) e non si pregiudica nessuno. Questa norma viene incontro a molte situazioni socialmente delicate, dove la perdita della casa sarebbe un dramma aggiuntivo. Ovviamente, il debitore deve essere in grado di sostenere le rate in corso: se anche dopo l’omologa smettesse di pagare, la banca potrà sempre agire sull’ipoteca (ma a quel punto l’esdebitazione non varrebbe per quel debito, perché post omologa se il debitore volontariamente sceglie di mantenerlo). Dunque è un impegno che si assume di continuare a onorare quel mutuo fuori dal concordato. Gli altri creditori concorsuali, però, non possono opporsi se c’è la garanzia che tanto dalla casa non avrebbero ricavato di più. Esempio pratico: Caio, professionista, ha una casa di abitazione con valore di mercato €200.000, gravata da un mutuo residuo di €150.000. Ha sempre pagato le rate finora. Ha altri debiti chirografari per €100.000. Nel concordato minore Caio, grazie alla nuova norma, può proporre: “continuerò a pagare regolarmente le rate del mutuo casa al mio istituto di credito alle scadenze previste, e offro ai restanti creditori chirografari un pagamento del 30% (30.000€) in 4 anni con le mie risorse”. L’OCC attesta che vendendo la casa si sarebbero soddisfatti solo i €150.000 della banca (nulla per i chirografari) e che il 30% offerto ai chirografari è comunque maggiore di zero, quindi gli altri creditori non perdono nulla dal fatto che Caio mantenga il mutuo (anzi, risparmiano le spese di procedura che una vendita avrebbe comportato). I creditori quindi non subiscono pregiudizio e la proposta è ammissibile. Caio salva la sua casa e una volta eseguiti i pagamenti concordati sarà esdebitato degli €70.000 residui verso i chirografari.
  • Transazioni con il Fisco fuori dal concordato: Va ricordato che parallelamente alle procedure concorsuali esistono strumenti di definizione agevolata dei debiti fiscali (come la rottamazione delle cartelle o le transazioni fiscali in accordi di ristrutturazione ex art. 63 CCII). Il debitore sovraindebitato può certamente valutare di utilizzare queste opportunità in alternativa o in aggiunta al concordato. Ad esempio, se è in corso una “rottamazione” delle cartelle esattoriali (sanatoria con stralcio sanzioni e interessi), il debitore potrà tenerla in piedi e magari inserirla nel piano come modalità di pagamento delle pretese erariali scontate. L’importante è che ciò avvenga in modo trasparente e nel rispetto della par condicio: tutti i creditori similari dovrebbero avere trattamento analogo. Se la rottamazione consente un risparmio sulle sanzioni fiscali, tale vantaggio di norma non costituisce disparità rispetto ai chirografari (poiché le sanzioni in sé sono di natura diversa). Comunque, sono dettagli tecnici da valutare caso per caso con l’ausilio dell’OCC.

In definitiva, il concordato minore offre strumenti efficaci per gestire anche i debiti verso il Fisco e gli enti previdenziali, purché il piano sia strutturato con attenzione. Il debitore deve mettere in conto che l’Agenzia delle Entrate e gli enti pubblici saranno creditori spesso rigorosi: valuteranno la proposta e, se riterranno di poter ottenere di più altrove, potrebbero opporsi. Però, grazie alle norme di cram-down, se il piano è equo e il debitore ha valorizzato al massimo il patrimonio, il loro dissenso non impedirà l’omologazione. È quindi fondamentale che il trattamento dei crediti pubblici sia commisurato alle possibilità effettive: offrire quote troppo basse senza motivo potrebbe far scattare contestazioni fondate. A tal fine, può essere utile prevedere l’uso di finanza esterna nel piano proprio per migliorare la percentuale ai creditori pubblici e incentivarne il voto favorevole. Ad esempio, l’apporto di un familiare potrebbe essere destinato in misura prevalente a colmare in parte l’IVA o i contributi, di modo che l’Erario veda un discreto soddisfacimento e magari voti sì. L’OCC, dal canto suo, segnalerà al giudice eventuali trattamenti iniqui: “se l’OCC ritiene che il trattamento offerto [ai creditori pubblici] sia iniquo, segnalerebbe il problema al giudice”. Ciò spinge il debitore a formulare proposte bilanciate. In generale, è consigliabile che il debitore tratti con rispetto e prudenza il Fisco nella propria proposta, ricordando che:

  • i debiti per IVA e ritenute possono essere falcidiati, ma spesso l’Erario pretende almeno una certa percentuale significativa (dipende dai casi e dalle policy dell’ente);
  • le sanzioni tributarie sono normalmente chirografarie e di solito possono essere stralciate anche integralmente (sovente l’Agenzia è disposta a rinunciare a sanzioni pur di incassare l’imposta base);
  • il debito previdenziale (INPS) tendenzialmente segue le stesse regole: l’INPS vota e può essere crammed down. In passato l’INPS era restio a falcidie, ma con il CCII e la giurisprudenza attuale anche per l’INPS vale il non deteriore e la possibilità di riduzione in concorso;
  • la presenza di una finanza esterna vincolata ai crediti pubblici è vista di buon occhio (es: un parente versa 10.000 € appositamente per pagare di più il Fisco, aumentando la percentuale per l’Erario rispetto a quella ordinaria: ciò è permesso e non viola la par condicio, in quanto considerato apporto aggiuntivo destinato a un creditore strategico, e potrebbe giustificare un miglior trattamento del Fisco rispetto ad altri, se serve a ottenere l’accordo).

Infine, spendiamo qualche parola sugli aspetti fiscali soggettivi del debitore in concordato minore: ossia la tassazione delle eventuali sopravvenienze attive da riduzione dei debiti e il regime fiscale degli atti compiuti in procedura.

Profili tributari del concordato minore e “bonus fiscale” sulle sopravvenienze

Quando un debitore ottiene uno stralcio dei debiti attraverso un concordato, tecnicamente si realizza una sopravvenienza attiva nel suo patrimonio: ad esempio, se doveva 100 e ne paga 30, contabilmente avrebbe un beneficio di 70. La domanda è: tale beneficio è tassabile come reddito? Nel regime fiscale italiano, le sopravvenienze attive (ossia insussistenze di passività) di norma costituiscono componenti positive di reddito imponibili (art. 88, co.1 TUIR). Tuttavia, da tempo esistono norme di esenzione per le sopravvenienze derivanti da procedure concorsuali, al fine di non vanificare gli effetti della ristrutturazione con un carico fiscale.

Il cosiddetto “bonus concordatario” fu introdotto già con l’art. 88, comma 4, TUIR (derivato dall’art. 55 co.4 TUIR previgente): esso escludeva espressamente da imposizione le riduzioni dei debiti conseguenti all’omologazione di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti. La ratio era che, se l’imprenditore in concordato beneficia di uno stralcio, ciò non rappresenta un reale “arricchimento” tassabile, in quanto ottenuto in situazione di crisi e volto a risanare l’impresa. Con la riforma del 2020-2021 (D.L. 118/2021 conv. L.147/2021 e L.111/2023) la normativa fiscale è stata riordinata: attualmente l’art. 88 TUIR, al comma 4-ter, elenca in modo dettagliato tutte le procedure da cui derivano sopravvenienze attive escluse da tassazione. Vi rientrano: il concordato preventivo omologato, l’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, i piani di ristrutturazione soggetti ad omologa (PRO), nonché gli accordi conclusi nella composizione negoziata della crisi (ex art. 23 CCII).

Ma per quanto qui interessa, il concordato minore è incluso? Il dettato dell’art. 88 comma 4-ter TUIR, a seguito delle ultime modifiche, menziona espressamente anche “il procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento” in generale. Inoltre, la L. 111/2023 (legge delega di aggiustamento) all’art. 9 ha precisato che la detassazione deve considerarsi applicabile a tutti gli strumenti di regolazione della crisi disciplinati dal CCII, anche se non nominati espressamente. Dunque, si può sostenere che le sopravvenienze da concordato minore dovrebbero beneficiare dell’esenzione fiscale, analogamente a quelle del concordato preventivo. In altri termini, il professionista che vede cancellarsi un debito di 50.000 € tramite il concordato minore non dovrà pagare IRPEF su quei 50.000 come se fossero un reddito, sempre che si tratti di debiti dell’attività d’impresa o di lavoro autonomo. Infatti, va chiarito: la tassazione delle sopravvenienze riguarda soprattutto i soggetti in contabilità (imprese o professionisti); per una persona fisica consumatore non vi sarebbe comunque tassazione, dato che le insussistenze di debiti personali non generano reddito tassabile. Un professionista invece, se utilizzasse il regime di competenza, potrebbe in teoria dover dichiarare come provento la riduzione dei debiti. Ma grazie alle norme agevolative, ciò è escluso.

Tuttavia, occorre segnalare un recente interpello dell’Agenzia delle Entrate (Risposta n. 179/2025) che ha creato qualche incertezza. In tale interpello, riguardante un caso di concordato semplificato ex art. 25-sexies CCII (procedura speciale introdotta nel 2021 per liquidazione post-composizione negoziata), l’Agenzia ha risposto che le sopravvenienze attive da esdebitazione nel concordato semplificato sono imponibili. Ciò perché il concordato semplificato non è menzionato tra le procedure di cui all’art. 88(4-ter) TUIR (essendo una figura nuova e peculiare). Questo ha portato a chiedersi se anche il concordato minore, non espressamente citato, possa subire lo stesso trattamento. In realtà, molti ritengono che il concordato minore rientri nella locuzione “procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento” già contemplate (essendo di fatto l’erede dell’accordo L.3/2012, che godeva del bonus fiscale). Ad ogni modo, in via prudenziale, il professionista debitore valuterà con il suo consulente fiscale l’interpretazione più aggiornata. L’auspicio è che il legislatore o l’Agenzia chiariscano ufficialmente che anche il concordato minore è fiscalmente neutro in termini di sopravvenienze, per coerenza con la finalità di favorire i risanamenti.

Per completezza: la normativa attuale limita comunque la detassazione al netto dell’utilizzo di eventuali perdite fiscali pregresse. Significa che, ad esempio, una società che chiude un concordato con 100k di debiti stralciati deve prima compensare quell’importo con eventuali perdite fiscali riportate a nuovo, e solo l’eccedenza è esente. Per un professionista persona fisica, questo è meno rilevante, ma se tenesse una contabilità semplificata con perdite, potrebbe analogamente scomputarle. Inoltre, la registrazione degli atti del concordato (es. omologazione) e dei trasferimenti eventualmente previsti nel piano è esente da imposta di registro, come avviene per i concordati preventivi (art. 120 CCII), o comunque gode di imposta fissa agevolata: ciò per non appesantire con costi tributari le operazioni compiute in esecuzione del piano.

In sintesi, sotto il profilo fiscale il debitore in concordato minore:

  • Non viene colpito da tassazione sulle somme condonate dai creditori, in applicazione del “bonus” fiscale salvo eccezioni interpretative in via di chiarimento. Questo evita che, paradossalmente, l’esdebitazione generi un nuovo debito col Fisco. (Si pensi: Tizio ottiene uno stralcio di €50k, se fosse tassato IRPEF su 50k al 43% dovrebbe pagarne 21.5k di tasse, vanificando in parte il beneficio. Ecco perché il legislatore esclude queste sopravvenienze dal reddito imponibile).
  • Può detrarre fiscalmente eventuali perdite su crediti subite dai suoi creditori? Questo aspetto riguarda più i creditori (ad esempio un creditore che incassa il 40% in concordato deduce a perdita il 60% non avuto). Il debitore non ha oneri particolari qui, se non eventualmente rilasciare una certificazione ai creditori dell’importo pagato per permettere loro la deduzione (questo avviene soprattutto in ambito IVA per note di credito).
  • Non paga imposte indirette elevate sugli atti esecutivi del piano: gli atti di trasferimento previsti (vendite di beni nel concordato, atti dispositivi funzionali) sono esenti da imposta di registro e bollo, o comunque soggetti a regime di favore, equiparati agli atti in sede fallimentare (cfr. art. 153 CCII).
  • Continuità aziendale fiscale: se il debitore è un’impresa, la procedura concorsuale non interrompe il periodo d’imposta (nel concordato preventivo è così, e per analogia vale qui): il debitore continua a presentare dichiarazioni fiscali, magari indicando che è in procedura di sovraindebitamento. Gli adempimenti IVA, ritenute, etc., proseguono regolarmente per le attività post domanda.

Tutti questi dettagli mostrano come il concordato minore sia pensato per essere uno strumento il più possibile “friendly” anche dal punto di vista tributario, evitando aggravi che potrebbero comprometterne la riuscita.


A questo punto, dopo aver analizzato la struttura e i punti chiave del concordato minore, proponiamo una sessione di Domande e Risposte (FAQ) che riassume in forma colloquiale le questioni più frequenti che debitori e operatori si pongono. Successivamente verrà presentato un esempio pratico riassuntivo sotto forma di caso simulato.

Domande frequenti (FAQ)

D: Un libero professionista con troppi debiti può davvero accedere a una procedura concorsuale?
R: Sì. Il concordato minore è stato pensato proprio per figure come i professionisti (avvocati, medici, ingegneri, consulenti, ecc.) che, non essendo imprenditori commerciali fallibili, prima della riforma avevano solo gli strumenti della L.3/2012. Oggi il professionista sovraindebitato può rivolgersi al tribunale e proporre un piano di rientro ai sensi degli artt. 74 e ss. CCII. Deve essere non consumatore (cioè i debiti riguardano la sua attività, non solo spese familiari) e deve trovarsi in difficoltà finanziaria grave (incapace di pagare regolarmente i debiti). Se ha questi requisiti, può utilizzare il concordato minore per evitare che i creditori agiscano individualmente e per cercare un risanamento complessivo.

D: Qual è la differenza tra concordato minore e concordato preventivo?
R: Il concordato preventivo è la procedura riservata alle imprese di maggiori dimensioni (soggette a fallimento o liquidazione giudiziale), regolata dagli artt. 84 e ss. CCII (ex legge fallimentare). Il concordato minore è invece la versione semplificata per i debitori “sotto soglia” e i non fallibili. Le differenze principali sono: (i) il concordato preventivo richiede per l’approvazione un’assemblea dei creditori in tribunale, con eventuale suddivisione in classi e maggioranze sia di numero che di valore; il concordato minore invece non ha assemblea fisica – il voto è raccolto per iscritto – e richiede solo la maggioranza in valore; (ii) nel preventivo spesso viene nominato un commissario giudiziale e, in caso di concordato liquidatorio, c’è un curatore che liquida l’azienda, mentre nel minore il debitore mantiene la gestione e l’OCC ha funzioni meno invasive; (iii) il preventivo tipicamente segue regole più complesse (ad es. limitazioni sulle percentuali minime ai chirografari – 20% salvo esenzione in continuità – e divieto di superare l’anno di dilazione per privilegiati, ecc.), molte delle quali non si applicano al minore o sono rese più flessibili; (iv) entrambi portano all’esdebitazione, ma il concordato minore è pensato per situazioni meno complesse e di minore portata economica, con costi inferiori. In sintesi, si può dire che il concordato minore è “il fratello piccolo” del concordato preventivo, con procedure più snelle e accessibili al singolo debitore non grande imprenditore.

D: Il concordato minore è diverso dal “piano del consumatore”?
R: Sì. Il piano del consumatore era la procedura L.3/2012 per i debitori privati; oggi si chiama ristrutturazione dei debiti del consumatore e rimane separata. La differenza principale è che nel piano del consumatore non c’è il voto dei creditori: decide tutto il giudice omologando o meno in base alla meritevolezza e convenienza (il consumatore può imporre un piano ai creditori se il giudice lo reputa meritevole). Nel concordato minore, invece, i creditori votano e serve la loro maggioranza, quindi il debitore deve cercare il loro consenso. Inoltre, nel piano del consumatore il debitore deve dimostrare di non aver colpa grave o dolo nell’indebitamento (criterio di meritevolezza rigoroso), mentre nel concordato minore questo aspetto è attenuato, pur restando la valutazione di affidabilità. Infine, la procedura consumatore è riservata a chi non ha debiti d’impresa o professionali significativi, mentre il concordato minore è proprio per imprenditori e professionisti.

D: Cosa significa che serve la “maggioranza dei crediti” per l’approvazione? Devo avere tutti d’accordo?
R: Non serve l’unanimità. È sufficiente che i creditori che rappresentano più del 50% dell’ammontare totale dei crediti ammessi al voto esprimano voto favorevole. Quindi, semplificando, se hai 10 creditori per un totale di 100.000 € debito, ti basta ottenere il sì da abbastanza creditori che coprano almeno 50.001 € di crediti. Non importa se alcuni creditori (magari numerosi) dicono no: contano le somme. Ad esempio, se la banca (credito 60%) vota sì e tutti i piccoli fornitori (40%) votano no, la proposta è comunque approvata perché hai il 60% di sì. Questo può aiutare debitori che hanno pochi creditori chiave (banche, fisco) da convincere. Tuttavia, attento: se i creditori privilegiati non vengono pagati integralmente, partecipano anche loro al voto per la parte non soddisfatta. E in alcuni casi servirà anche la maggioranza delle eventuali classi. Ma, in generale, è più facile mettere d’accordo il 50% del debito che non la totalità. Una volta che ottieni la maggioranza e il tribunale omologa, anche i creditori dissenzienti saranno obbligati dal piano. Quindi non devi preoccuparti di cause individuali di chi non è d’accordo: dopo l’omologa, l’accordo vale per tutti erga omnes.

D: Posso includere tutti i tipi di debito nel concordato? Anche le tasse e i contributi, le multe, ecc.?
R: Sì, tutti i debiti antecedenti alla procedura vanno inclusi, nessuno escluso, salvo pochissime eccezioni (come le sanzioni penali non pecuniarie, che però non sono “debiti” esigibili in senso stretto). Debiti fiscali, cartelle esattoriali, contributi previdenziali, debiti verso fornitori, banche, canoni, bollette arretrate – tutto confluisce nel concordato e verrà trattato secondo le regole concorsuali. Come spiegato, i debiti con privilegio speciale (es. mutuo con ipoteca sulla casa, finanziamento auto con privilegio sul veicolo) possono essere ristrutturati ma con il vincolo di pagare almeno il valore di realizzo del bene dato in garanzia. I debiti tributari e previdenziali possono essere falcidiati e/o dilazionati, purché non trattati peggio degli altri di pari grado e rispettando certe condizioni. Ad esempio, l’IVA può essere ridotta (non più intoccabile come un tempo), le sanzioni tributarie quasi sempre vengono stralciate, gli interessi di mora pure. Le multe amministrative (es. contravvenzioni stradali) sono anch’esse crediti chirografari e possono subire riduzioni; attenzione però: se sono sanzioni penali/amm.ve per reati o illeciti, la quota capitale (ammenda per reato, multa per illecito amministrativo) rientra nelle categorie non esdebitabili, quindi andrebbe comunque pagata nel piano, mentre eventuali sovrattasse o interessi potrebbero essere falcidiati. In sintesi, sì – nel concordato minore “metti dentro” tutti i tuoi debiti pregressi. Dovrai pagarli secondo la percentuale e le modalità concordate e alla fine, con l’esdebitazione, non te ne rimarrà pendente nessuno (eccetto, di nuovo, obblighi come mantenimento, debiti per danni da illecito e simili che per legge non si cancellano).

D: Cosa succede ai miei beni durante il concordato? Rischio di perderne il controllo?
R: Durante la procedura tu rimani proprietario e, se in continuità, gestore dei tuoi beni. Nessuno te li porta via automaticamente. Non puoi però venderli o ipotecarli liberamente senza coinvolgere la procedura. In pratica, se devi fare un atto di straordinaria amministrazione (es. vendere un immobile durante il concordato per pagare i creditori secondo piano) dovrai farlo secondo le modalità previste nel piano e con l’autorizzazione del giudice. Se il piano è liquidatorio, presumibilmente prevederà già quali beni verranno venduti e come (spesso con l’assistenza dell’OCC). Se è in continuità, terrai i beni strumentali e continuerai ad usarli. L’importante è che tu non dissi¬p¬i il patrimonio: dalla domanda in poi sei in una “conservazione controllata” dei beni. Ad esempio, non puoi regalare un tuo macchinario a qualcuno: sarebbe un atto in frode ai creditori e causerebbe sanzioni (revoca, magari anche conseguenze penali). Ma per le normali spese personali o aziendali correnti hai libertà, compatibilmente col piano. In generale, rispetto a un fallimento dove si viene spossessati, qui c’è molta più autonomia per il debitore.

D: Devo cessare la mia attività professionale mentre sono in concordato?
R: Assolutamente no, anzi: il concordato minore in continuità è concepito per proseguire l’attività. Potrai continuare ad esercitare la professione o impresa, e i ricavi che genererai andranno in parte a te per mantenerti e in parte, secondo il piano, ai creditori. Naturalmente dovrai mantenere una condotta di gestione sana e senza nuovi indebiti. Se invece non vuoi o non puoi continuare l’attività, puoi fare un concordato liquidatorio: in tal caso probabilmente liquiderai l’avviamento, cederai eventualmente lo studio o dismetterai i beni professionali. Ma questa è una tua scelta strategica. La legge incentiva a mantenere in vita l’attività quando possibile, perché è da lì che potresti attingere risorse per pagare i creditori meglio. Tieni presente che se decidi di cessare, devi farlo prima dell’omologazione (il piano deve delineare ciò che succede). Non puoi, ad esempio, proporre continuità e poi subito dopo omologa chiudere baracca: sarebbe un inadempimento. Quindi valuta bene con i consulenti se c’è prospettiva di continuare a lavorare proficuamente nonostante i debiti: se sì, il concordato in continuità è la strada giusta; se no, meglio puntare su una liquidazione ordinata con qualche supporto esterno.

D: Posso mantenere la mia casa di abitazione o dovrò venderla?
R: La casa di abitazione è spesso un tema sensibile. Buone notizie: con le ultime modifiche di legge, è possibile mantenere la casa ed il relativo mutuo in essere nel concordato minore, a certe condizioni. Se sulla tua prima casa c’è un mutuo ipotecario e sei in regola (o rimetti in regola le rate scadute), il piano può prevedere che continui a pagare le rate come da contratto e quindi non vendi la casa. L’OCC dovrà certificare che la casa, se venduta, servirebbe solo a pagare la banca e non darebbe surplus per gli altri creditori, e che lasciare la casa fuori dal piano non danneggia gli altri creditori. Se queste condizioni tengono, il giudice autorizza e tu puoi tenerti l’abitazione pagando il mutuo normalmente. Questa è una grande tutela per la famiglia del debitore. Se invece la tua casa non ha ipoteche e rappresenta un attivo libero, la dovrai destinare ai creditori in qualche modo (non sei obbligato a venderla se i creditori accettano diversamente, ma di norma se c’è un bene di valore libero o lo vendi o lo usi come garanzia nel piano). In alcuni casi, se la casa è bene indispensabile e i creditori comunque non ne ricaverebbero molto, potresti proporre di tenerla offrendo però qualcos’altro in cambio (es: tieni la casa ma un parente versa ai creditori una somma ragionevole). Non c’è una regola fissa come per il mutuo; va negoziato col ceto creditorio. Nella maggior parte dei concordati minori pre-correttivo, purtroppo, i debitori finivano per perdere la casa (salvo i consumatori che avevano già la norma di tutela). Ora questa norma del correttivo-ter colma la lacuna per i non consumatori. Quindi se hai un mutuo casa, cerca di mantenerti in regola con le rate, così da poterne chiedere la continuazione nel piano.

D: Cosa succede se, dopo l’omologazione, non riesco a rispettare il piano di pagamenti?
R: In caso di inadempimento significativo del piano, i creditori o l’OCC possono rivolgersi al tribunale per chiedere la revoca dell’omologa. Se ad esempio il piano prevedeva pagamenti semestrali e tu salti le scadenze reiteratamente senza giustificazione, oppure paghi solo una minima parte, il giudice può dichiarare risolto il concordato. A quel punto, su istanza, potrebbe aprire una liquidazione controllata dei tuoi beni residui. Questo significa che i creditori torneranno a potersi soddisfare sui tuoi asset sotto la guida di un liquidatore nominato dal tribunale. Insomma, se il concordato fallisce, la conseguenza tipica è la conversione in liquidazione. Ciò detto, la legge ti dà qualche strumento di flessibilità: ad esempio, puoi chiedere al giudice di posticipare le scadenze o modificare il piano se sopravvengono giustificati motivi (art. 89 CCII per analogia col concordato preventivo, e art. 13 CCII principi generali). Puoi anche, in caso di difficoltà temporanea, chiedere una sospensione dei pagamenti fino a sei mesi (art. 90 CCII). L’importante è farlo prima che la situazione degeneri e che i creditori perdano la pazienza. Un consiglio: formula un piano prudente, con margini di sicurezza, così è più difficile che tu fallisca nell’esecuzione. E se qualcosa va storto (una malattia, un imprevisto economico), avvisa subito l’OCC e valuta le opzioni di aggiustamento tramite il tribunale. Finché sei nella procedura, hai la protezione; una volta revocata, torni in balia dei creditori. In casi estremi, se proprio non sei più in grado di far nulla, potrai confidare nella liquidazione controllata e poi chiedere l’esdebitazione dopo 3 anni da quella via.

D: Quali debiti rimangono comunque dopo la procedura?
R: Come spiegato, la maggior parte dei debiti viene cancellata con l’esdebitazione finale. Rimangono esclusi solo:

  • gli obblighi di mantenimento verso coniuge, figli o altri familiari, e le obbligazioni alimentari (queste non cessano mai per legge e devi continuarle a onorare in ogni caso);
  • i debiti per risarcimento danni da fatto illecito extracontrattuale (ad esempio se sei condannato a risarcire una persona per un danno derivante da un tuo illecito, quella obbligazione non viene meno con l’esdebitazione);
  • le sanzioni penali e amministrative di natura pecuniaria (ad esempio un’ammenda comminata in sede penale o una sanzione amministrativa dovuta per un illecito): queste tecnicamente rimangono esigibili, anche se bisogna distinguere tra quelle pecuniarie e non; la legge parla di sanzioni amministrative non pecuniarie escluse, ma l’interpretazione corrente include anche quelle pecuniarie tra i debiti non esdebitabili, per equiparazione all’art. 142 L.Fall. (ad esempio le multe per violazioni gravi non vengono cancellate).
    Tolti questi, tutti gli altri debiti verso banche, fornitori, fisco, ecc., se non pagati integralmente secondo il piano, saranno legalmente inesigibili nei tuoi confronti una volta ottenuta l’esdebitazione. Attenzione: l’esdebitazione non copre gli eventuali coobbligati o garanti. Ciò significa che se, ad esempio, tuo fratello aveva garantito un tuo debito e tu ottieni lo stralcio di quel debito nel concordato, tuo fratello garante potrebbe essere chiamato a pagare il residuo (perché la liberazione opera solo verso di te debitore). Allo stesso modo, se c’è un fideiussore per un debito bancario, la banca può rivalersi su di lui per la parte non pagata dal tuo concordato. Quindi valuta anche questi effetti sui terzi.

D: Quanto costa avviare un concordato minore?
R: Ci sono dei costi professionali e procedurali da considerare:

  • devi farti assistere da un professionista (avvocato, commercialista) o da un Organismo di Composizione della Crisi: questi soggetti percepiranno un compenso, di solito in parte iniziale e in parte come prededuzione nel piano;
  • c’è il compenso dell’OCC nominato: spesso coincide con il professionista che ti assiste se ti rivolgi a un OCC, oppure se il giudice nomina un gestore esterno dovrai pagarne il compenso stabilito dal tribunale (di solito tarato in base a parametri ministeriali, proporzionali all’attivo e al passivo);
  • le spese di giustizia sono minime (contributo unificato per il ricorso di alcune decine di euro e marche da bollo, nulla di paragonabile alle spese di un fallimento);
  • se si devono fare perizie (es. stima di un immobile) o pubblicazioni (registro imprese), sono altri costi.
    In generale, rispetto a un fallimento, i costi di procedura del concordato minore sono molto più bassi. Spesso vengono stimati nell’ordine di qualche punto percentuale sul monte debiti. Ovviamente dipende dalla complessità: se hai tanti creditori e beni da liquidare, il lavoro dell’OCC sarà maggiore e il compenso sale. Ma considera che questi costi possono essere messi a carico del “fondo spese” prededucibile nel piano, cioè li paghi con le risorse del piano prima di soddisfare i creditori (i creditori lo accettano perché sanno che vanno pagati per realizzare la procedura stessa). È quindi importante prevedere nel piano una voce per coprire i costi della procedura e i compensi degli organi. Parlando con il tuo consulente OCC all’inizio, fatti dare un’idea dei costi, così lo inserisci nel budget: es. “pagherò 5.000€ di compenso OCC e 5.000€ legale, rateizzati durante la procedura, in prededuzione”. I creditori di solito non obiettano su compensi ragionevoli perché la legge li tutela come spese prededotte obbligatorie.

D: Quanto tempo ci vuole per ottenere l’omologa?
R: Se la documentazione è pronta e non ci sono intoppi, in alcuni tribunali l’omologazione di un concordato minore può arrivare in 6 mesi circa dal deposito del ricorso. In altri casi più complessi può volerci un anno o poco più. Tieni conto delle varie fasi: 1-2 mesi per l’ammissione (dipende da quanto il tribunale è veloce nel fissare udienza o verificare i documenti), poi magari 1-2 mesi di tempo ai creditori per votare, poi eventuali contestazioni e l’omologa. Se tutti i creditori dicono sì e non c’è opposizione, l’omologa può essere abbastanza rapida e anche senza udienza formale. Se qualcuno fa reclamo, può volerci un po’ di più per decidere. Ad ogni modo, rispetto a un fallimento che dura anni, qui parliamo di una procedura molto più breve. Dopo l’omologa, poi, c’è la fase di esecuzione del piano che può durare invece vari anni (a seconda delle dilazioni concordate). Ma quella è una fase “privata” per certi versi: il tribunale non interviene più se non per vigilare su eventuali problemi. L’importante per il debitore è ottenere l’omologa, perché da lì parte la protezione definitiva e la via verso l’esdebitazione.

D: Posso presentare un’altra domanda di concordato minore se la prima non viene approvata?
R: In teoria, se la proposta viene bocciata dai creditori o non omologata, nulla ti vieta di presentare una nuova domanda, eventualmente con un piano diverso, sempre che la situazione lo consenta. Ovviamente, dovresti evitare abusi: il tribunale potrebbe non ammettere una nuova procedura se appare come stratagemma dilatorio o se non c’è un effettivo cambiamento. Ma ad esempio, se la prima proposta non passava per il 5% di voto mancante, potresti rinegoziare qualche condizione e riprovarci. Tieni però conto che, intanto, se la prima procedura viene chiusa, i creditori possono riattivare le azioni esecutive nel frattempo. Non esiste un divieto espresso di reiterare la domanda (salvo forse il buon senso e la valutazione di meritevolezza), a differenza dell’esdebitazione post-liquidazione dove c’è il limite di 5 anni per ripresentarla. Quindi sì, potresti riprovare un concordato minore se il primo tentativo fallisce, ma è consigliabile farlo solo apportando modifiche sostanziali (ad es. trovando quell’apporto esterno che mancava la prima volta, o riducendo certe spese) altrimenti i creditori e il giudice saranno poco propensi.

D: Dopo il concordato minore, potrò accedere nuovamente al credito? La mia reputazione da debitore come viene impattata?
R: Uscire da un concordato minore omologato e adempiuto è certamente molto meglio che avere insolvenze non regolate. Ottenuta l’esdebitazione, risulterai libero da debiti. Sul lato reputazionale, è comunque una procedura concorsuale, quindi per un certo periodo rimarrà tracciata nelle banche dati (ad es. potrebbe risultare nelle informazioni della Centrale Rischi che sei passato da una procedura di sovraindebitamento). Tuttavia, superato l’impasse, potrai progressivamente ricostruirti una storia creditizia. Non c’è una normativa che ti impedisca di chiedere prestiti in futuro, però è realistico aspettarsi che almeno nell’immediato dopo-esdebitazione le banche siano caute nel finanziarti, sapendo che hai ristrutturato debiti. Con il tempo e dando prova di affidabilità (pagando regolarmente eventuali nuove obbligazioni, mostrando redditi stabili, etc.), la stigmate concorsuale tenderà ad attenuarsi. In ogni caso, dal punto di vista legale, dopo l’esdebitazione tu sei come “riabilitato”: i creditori vecchi non possono più nulla contro di te, e tu riparti con un profilo pulito dal punto di vista dell’indebitamento pregresso. A differenza del fallimento, qui non c’è nemmeno un istituto tipo la riabilitazione civile: l’esdebitazione è ope legis. Quindi formalmente sei a posto. Sta poi al sistema creditizio valutarti. Ma tieni presente che oggi c’è molta più comprensione per le procedure di composizione: il concordato minore, essendo rivolto anche a imprenditori che ripartono, è concepito proprio per dare una seconda chance. Non per nulla la normativa UE e nazionale parla di fresh start. Quindi non scoraggiarti: se usi bene questa opportunità, potrai tornare bancabile col giusto piano d’affari.

D: In tutto questo, qual è il ruolo del mio avvocato o commercialista? Posso fare da solo?
R: Per legge, il ricorso dev’essere “formulato tramite un OCC”. Significa che devi necessariamente coinvolgere un Organismo di Composizione della Crisi o un gestore nominato dal giudice. Non puoi presentare da solo l’istanza senza il loro tramite, sarebbe inammissibile. L’OCC è di solito formato da professionisti (avvocati, dottori commercialisti, notai) con specifica esperienza, iscritti in un registro ministeriale. Il tuo compito sarà fornire tutte le informazioni e collaborare con questi esperti. Il ruolo del tuo avvocato di fiducia è comunque fondamentale: ti assisterà nelle scelte strategiche, nella negoziazione coi creditori chiave eventualmente prima del voto, nella redazione tecnica del piano e del ricorso. Molti OCC lavorano in squadra con il legale del debitore per confezionare la proposta migliore. Considera l’iter come un lavoro di team: tu come debitore sei la fonte dei dati e colui che dovrà eseguire il piano; l’avvocato e/o commercialista prepara gli atti e cura gli aspetti giuridici ed economici; l’OCC verifica e assevera la fattibilità e funge da “garante” terzo della serietà del piano per il tribunale e i creditori. Non sei solo in questo percorso: è anzi consigliato coinvolgere prima possibile professionisti esperti di crisi da sovraindebitamento, per evitare passi falsi. Un bravo consulente saprà dirti subito se hai i numeri per un concordato minore, come strutturarlo e quali documenti ti servono. Inoltre, ti aiuterà a redigere un piano realistico: né troppo ottimista (che poi crolla) né troppo pessimistico (che magari non passa il voto). Dato che qui parliamo spesso della salvezza dell’attività e della famiglia, vale la pena investire in un’assistenza qualificata per massimizzare le chance di successo.

Esempio pratico di concordato minore (caso simulato)

Per concretizzare i concetti esposti, consideriamo un caso pratico ipotetico dal punto di vista del debitore:

  • Profilo del debitore: Mario Rossi, architetto libero professionista (ditta individuale, non fallibile). Sovraindebitamento causato da incassi ridotti e spese fisse elevate negli ultimi anni.
  • Debiti totali: €300.000, di cui:
    • €120.000 verso il Fisco (Agenzia Entrate-Riscossione) per IVA non versata e IRPEF di anni precedenti – questi sono in parte privilegiati (IVA, ritenute) e in parte chirografari (sanzioni, interessi);
    • €50.000 verso la Cassa di previdenza architetti (contributi previdenziali arretrati);
    • €130.000 verso banche e fornitori (chirografari, ad es. €80k banca per scoperto di conto non garantito, €50k fornitori vari).
  • Patrimonio e situazione: Mario possiede un immobile adibito a studio professionale del valore stimato €150.000 su cui grava un’ipoteca per un mutuo residuo di €90.000 (banca Alfa). Inoltre ha un appartamento di residenza del valore €180.000 su cui c’è un’ipoteca per mutuo residuo €170.000 (banca Beta). È in regola con le rate di entrambi i mutui al momento. Ha un’auto professionale valutata €10.000 (leasing quasi finito). Ha attrezzature e arredi stimabili in €5.000. Il suo reddito netto mensile attuale è di circa €2.500 (ipotizzando ripresa di qualche commessa).
  • Obiettivo: evitare la liquidazione forzata dello studio e dell’abitazione, ristrutturare i debiti mantenendo l’attività e ottenere esdebitazione.

Soluzione tramite concordato minore in continuità: Mario si rivolge a un OCC e predispone un piano di concordato minore con queste linee:

  • Continuità dell’attività: Mario prosegue la professione di architetto. Prevede di generare un reddito annuo netto di €30.000, di cui €20.000 destinabili ai creditori (il resto per vivere e spese correnti).
  • Mantenimento dei mutui ipotecari su casa e studio: grazie al nuovo art. 75 co.2-bis, Mario propone di continuare a pagare le rate del mutuo sullo studio (€90k residuo) e sull’abitazione (€170k residuo) regolarmente alle scadenze convenute. È in pari con le rate, quindi chiede al giudice di autorizzare e i creditori l’accettazione di ciò. L’OCC attesta che vendendo studio e casa se ne ricaverebbe circa €150k + €180k = €330k, di cui andrebbero €90k + €170k = €260k alle banche ipotecarie Alfa e Beta integralmente (quindi le banche sono già protette dal valore) e rimarrebbero €70k forse per chirografari. Però nota che vendere lo studio significherebbe chiudere l’attività e non generare più reddito: quindi sarebbe controproducente per tutti. Mantenendo i mutui invece, le banche otterranno comunque €260k in futuro da Mario (secondo i contratti originali) e Mario potrà usare l’immobile studio per lavorare.
  • Pagamento ai creditori chirografari e privilegiati non ipotecari: Mario calcola di poter destinare €100.000 in 5 anni (circa €20k l’anno come detto) al soddisfacimento dei restanti creditori: Fisco, Cassa previdenza, banca chirografa e fornitori. Offre quindi un pagamento pari a circa il 40% dei loro crediti in 5 rate annuali. In particolare: i €120k del Fisco (che include IVA privilegiata per €50k, sanzioni €20k, IRPEF €50k di cui una parte privilegiata) verrebbero pagati per €48k totali (40%); i €50k Cassa verrebbero pagati €20k (40%); i €130k chirografari vari €52k (40%). Totale pagamenti concordato = €48+20+52 = €120k. Nota: abbiamo detto 100k, supponiamo poi Mario integri con qualcosina extra guadagnata.
  • Apporto esterno: il padre pensionato di Mario si offre di contribuire con €20.000 una tantum, da versare subito ai creditori privilegiati per aumentare la percentuale al Fisco e Cassa. Questo aiuta a rispettare la regola del non deteriore: ad esempio, l’IVA privilegiata (€50k) riceve €20k (40%) che è almeno pari a quello che avrebbe preso su liquidazione considerando che in liquidazione la casa e lo studio coprivano solo i mutui e restava poco per i chirografari, quindi l’IVA avrebbe avuto molto meno del 40%. L’apporto esterno di 20k sarà destinato in gran parte a pagare in anticipo una quota dell’IVA e dei contributi.
  • Trattamento dei crediti privilegiati: oltre ai mutui ipotecari pagati interamente a scadenza (Alfa e Beta fuori piano come prededucibili autorizzati), rimangono crediti privilegiati per contributi (Cassa) e parte delle imposte (IVA, ritenute). Mario li degrada per la parte eccedente il valore di eventuali beni: in pratica, l’IVA €50k è privilegiata ma senza beni su cui collocarsi perché i beni immobili sono saturati dalle ipoteche; la tratta quindi come chirografa al 40%. Il Cassa €50k forse ha privilegio generale sui mobili, su cui c’è poco attivo (l’auto, attrezzature €15k totali), diciamo che su €15k quell’importo sarebbe privilegiato, e gliene paga comunque €20k (quindi più del 40% sul totale, adeguato). L’OCC certifica che nessun privilegiato riceve meno di quanto avrebbe ricavato vendendo i beni: i beni mobili €15k venduti sarebbero andati in parte alla Cassa, qui diamo 20k, ok.
  • Par condicio e convenienza: Tutti i chirografari (Fisco per la parte sanzioni/interessi, banca non garantita, fornitori) ricevono la medesima percentuale 40%, quindi nessuna disparità. L’OCC verifica che in uno scenario di liquidazione controllata, se Mario fosse costretto a cessare e liquidare tutto: vendendo lo studio 150k, la casa 180k, auto 10k, attrezzature 5k, incassando zero reddito, e dopo pagate Alfa e Beta €260k, rimarrebbero circa €85k da distribuire su €300k di debiti (circa 28%). Invece col piano i creditori ricevono il 40%. Dunque il piano è più conveniente per i creditori rispetto alla liquidazione (40% vs 28%), e mantiene in piedi l’attività di Mario.
  • Voto dei creditori: I creditori di Mario sono: Agenzia Entrate Riscossione (che rappresenterà Fisco e forse anche contributi se sono in cartella), Banca Alfa (ipotecaria sullo studio), Banca Beta (ipotecaria su casa), Banca Gamma (chirografa €30k), Fornitori vari (€50k magari frammentati in 5 fornitori da 10k ciascuno), Cassa Architetti (€50k). Di questi, Alfa e Beta sono soddisfatte integralmente fuori piano (mutui proseguiti) e quindi non votano sulla parte privilegiata (possono votare semmai come chirografarie se avessero residui, ma ipotizziamo di no). Il Fisco, la Cassa, Gamma e i fornitori votano. Per ottenere la maggioranza, Mario punta soprattutto sull’Agenzia Entrate (che da sola magari ha 120+ contributi 50 = €170k su 300k, ~56%). Se l’Agenzia dice sì, è fatta. Per indurla al sì, offre quel 40% con apporto che forse è accettabile e comunque può essere crammed-down se dice no ma gli altri sì. Dato che anche la Cassa vota (50k, ~17%) e le banche ipotecarie non votano per la parte protetta (Beta e Alfa), il voto dei fornitori (50k) e Banca Gamma (30k) conta. Mario ne parla informalmente: spiega che in liquidazione loro prenderebbero 0 (perché ipoteche e privilegi saturerebbero tutto), mentre nel piano prendono il 40%. Sono quindi incentivati a votare sì.
  • Omologazione e adempimento: I creditori approvano con larga maggioranza (ipotesi: AER dice sì, fornitori pure perché ottengono qualcosa, Cassa architetti magari dice sì vedendo 40% meglio che pignoramenti incerti). Il tribunale omologa, magari con il Fisco dissenziente ma facendo cram-down perché ha visto la convenienza rispettata. Mario quindi procede a eseguire il piano: il padre versa i €20k che vanno subito a abbattere parte di IVA e contributi; Mario ogni anno per 5 anni versa €20k raccolti coi suoi incassi, ripartiti pro quota ai creditori secondo il piano. Nel frattempo continua a pagare regolarmente le rate dei due mutui (che lui aveva calcolato dentro i €2.500 di reddito mensile).
  • Esdebitazione finale: Dopo 5 anni, Mario ha pagato €120k ai creditori concorsuali, che corrisponde al 40% medio promesso (qualcuno magari un filo di più o meno a seconda delle classi). Ha anche continuato a pagare le banche per conto suo. A questo punto, il tribunale su attestazione OCC dichiara eseguito il concordato. Tutti i debiti di Mario verso Fisco, fornitori, ecc. si considerano estin¬ti per la parte residua: Mario è esdebitato da circa €180k che non ha pagato. Mantiene la sua casa e il suo studio (ha ancora i mutui da finire di pagare ma quelli non erano decurtati). Soprattutto, ha potuto proseguire l’attività di architetto durante questi anni, conservando la clientela e il reddito.

Questo esempio evidenzia i vantaggi concreti: con il concordato minore Mario è riuscito a evitare il fallimento economico e patrimoniale, ha soddisfatto parzialmente i creditori in modo ordinato (dando loro più di quanto avrebbero ottenuto altrimenti), ha salvato i beni fondamentali e ora può guardare al futuro senza il macigno dei debiti passati. Tutto ciò grazie a un piano ben congegnato e all’utilizzo sapiente degli strumenti di legge (continuità, apporto esterno, cram-down fiscale, mantenimento del mutuo casa).

Conclusioni

Il concordato minore si configura come uno strumento di regolazione della crisi estremamente utile per il debitore sovraindebitato non fallibile, quale il libero professionista o il piccolo imprenditore. Dal punto di vista del debitore, questa procedura offre un equilibrio tra protezione (blocco delle azioni esecutive, sospensione degli interessi, mantenimento della gestione dei beni) e responsabilità (necessità di presentare un piano realistico, ottenere il consenso dei creditori e rispettare gli impegni presi). In caso di successo, il premio finale è la liberazione dai debiti e la possibilità di ripartire con la propria attività o vita economica riabilitata.

Abbiamo visto che il concordato minore consente una personalizzazione del piano molto ampia: continuità aziendale o liquidazione, pagamento integrale o parziale dei creditori, uso di risorse esterne, suddivisione in classi, mantenimento di beni essenziali come la casa, ecc. Questa flessibilità è accompagnata però da una disciplina rigorosa: esistono paletti normativi (es. parità di trattamento, necessità di apporto esterno se liquidatorio, soglia di maggioranza, controlli di fattibilità, divieti di frode) e la giurisprudenza ne ha delineato altri (ad esempio l’attenzione all’affidabilità del debitore, la preclusione per l’imprenditore cessato, etc., come discusso). Dunque, il debitore deve pianificare con cura la procedura, preferibilmente con l’aiuto di professionisti esperti, al fine di presentare un progetto che sia insieme sostenibile per sé e accettabile per i creditori.

Dal punto di vista fiscale e tributario, il concordato minore integra ormai gli strumenti per gestire efficacemente i debiti verso l’Erario e gli enti previdenziali: è possibile includerli nel piano riducendo importi e allungando le scadenze, e la legge offre meccanismi per bypassare un loro eventuale voto contrario purché il piano sia equo. Sul fronte delle agevolazioni tributarie, il debitore può confidare nel fatto che il “bonus fiscale” sulle sopravvenienze attive trovi applicazione, in modo da non trovarsi tassato sui debiti annullati. Inoltre, con le ultime novità normative (decreto correttivo ter 2024), il concordato minore è stato ulteriormente affinato per tutelare esigenze fondamentali come l’abitazione principale del debitore e per chiarire aspetti di coordinamento procedurale.

In conclusione, il concordato minore rappresenta oggi – a regime di riforma pienamente attuato – un pilastro centrale del sistema di insolvenza italiano, destinato a tutti quei soggetti (professionisti, piccoli operatori economici, start-up, agricoltori, enti non commerciali) che in passato rischiavano di rimanere schiacciati dai debiti senza alcuno strumento adatto. Dal punto di vista sociale ed economico, favorire queste composizioni consente di recuperare attività produttive che altrimenti andrebbero disperse e di restituire alla collettività soggetti riabilitati e nuovamente in grado di contribuire. Il tutto senza sacrificare i diritti dei creditori, che anzi trovano in queste procedure spesso una soluzione più efficiente e vantaggiosa rispetto alla frammentazione delle azioni esecutive individuali o alla mera insolvenza incolpevole.

Per gli avvocati e consulenti che assistono un debitore sovraindebitato, la sfida è coniugare l’obiettivo di massimizzare la protezione e il fresh start del cliente con il rispetto delle (numerose) condizioni di legge e la necessità di convincere una maggioranza di creditori. La presente guida ha cercato di fornire un quadro approfondito, aggiornato alle ultime evoluzioni normative e giurisprudenziali, evidenziando i punti critici e le opportunità offerte dal concordato minore. In definitiva, con un’adeguata preparazione e l’assistenza di un OCC qualificato, il debitore potrà vedere nel concordato minore non più una minaccia o un’onta, ma un percorso di soluzione – rigoroso ma equo – per uscire dal tunnel dei debiti e ritrovare l’equilibrio finanziario.


Fonti e riferimenti

Tribunale di Torino – Linee guida “Condizioni per ottenere l’esdebitazione”, 2023 (sito uff. tribunale) – Promemoria sulle condizioni soggettive e oggettive per l’esdebitazione nel sovraindebitamento e conferma delle esclusioni ex art. 278 CCII.

Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), artt. 2, 66-83, 88, 89, 90, 278-283, e successive modifiche (in particolare D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 e D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136).

Relazione illustrativa al D.Lgs. 136/2024 (c.d. “correttivo ter”), in tema di mantenimento dell’abitazione principale nel concordato minore.

Corte di Cassazione, Sez. I civ., 26 luglio 2023, n. 22699 – Divieto di concordato per l’imprenditore cancellato dal registro imprese da oltre un anno (principio esteso al concordato minore).

Corte di Cassazione, Sez. I civ., 27 novembre 2024, n. 2963 – Requisito dell’affidabilità del debitore e necessità di analisi dettagliata per ammettere un concordato minore in continuità (debiti fiscali e condotta negligente rilevano per la fattibilità).

Corte di Cassazione, Sez. III civ., 26 luglio 2023, n. 22715 – In tema di sovraindebitamento, limiti ai poteri del giudice: non può disporre d’ufficio la sospensione o l’improseguibilità delle esecuzioni prima dell’apertura della procedura.

Tribunale di Firenze (decr. 20 giugno 2023, ord. rimessione), Corte di Cassazione, Prima Pres., 26 luglio 2023, n. 22699 – conferma il principio di inammissibilità del concordato per l’ex imprenditore cessato (cfr. art. 33 co.4 CCII).

Tribunale di Ferrara, 27 dicembre 2024 – Decreto di rigetto di un concordato minore: pianificazione inadeguata in continuità per debiti tributari accumulati con colpa (richiama Cass. 2963/2024 sul requisito di affidabilità).

Tribunale di Modena, 1 maggio 2025 – Pronuncia (est. Palmiero) in tema di accesso al concordato minore di imprenditore individuale cessato: interpretazione estensiva (non applicazione rigida di art. 33 co.4 CCII), posizione favorevole al debitore in contrasto con Cass. 22699/2023.

Tribunale di Rimini, 7 gennaio 2025 – Decreto (est. Miconi) sul trattamento dei crediti erariali nel concordato minore: applicabilità della regola del “trattamento non deteriore” ex art. 88 CCII, comma 1, anche ai concordati minori, in forza del rinvio di cui all’art. 74 co.4 CCII.

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🔁 Gestisce i rapporti con creditori, OCC e tribunale
✍️ Ti accompagna fino all’omologazione e oltre


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in crisi d’impresa, sovraindebitamento e concordati
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
✔️ Difensore in procedimenti per opposizione a cartelle, pignoramenti e avvisi di accertamento
✔️ Consulente legale per autonomi, freelance, tecnici e consulenti con debiti


Conclusione

Se sei un libero professionista in crisi economica, non aspettare l’insolvenza totale. Il Concordato Minore è la tua occasione per trattare, proteggerti e ripartire con dignità.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo al tuo fianco, puoi costruire un piano di rientro credibile, difenderti da azioni aggressive e salvare la tua attività professionale.

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Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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