Hai firmato uno o più contratti di leasing e vuoi sapere se tutto è regolare, oppure sospetti clausole abusive, costi nascosti o condizioni poco chiare? Ti stai chiedendo se puoi uscire dal contratto, rinegoziarlo o contestarne la validità legale? Un avvocato esperto può aiutarti a difenderti, tutelarti e recuperare ciò che ti spetta.
Il leasing, soprattutto quello finanziario o operativo per beni strumentali, viene spesso sottoscritto con fiducia, ma senza analizzare a fondo le clausole contrattuali. E quando l’attività entra in crisi o il bene perde valore, emergono i problemi. Per questo è fondamentale far controllare il contratto da un avvocato specializzato, anche prima che sorgano contestazioni.
Perché far controllare un contratto di leasing da un avvocato?
– Per verificare la regolarità delle clausole contrattuali
– Per valutare l’eventuale nullità o vessatorietà di alcune condizioni
– Per controllare il calcolo degli interessi, delle penali e dei canoni
– Per capire se ci sono margini di contestazione, rinegoziazione o risoluzione anticipata
– Per agire se il contratto è legato a pratiche scorrette, anatocismo o difetti del bene
Cosa può fare l’avvocato per te in caso di leasing sospetto o problematico?
– Analizzare il contratto e la documentazione annessa in modo dettagliato
– Verificare la conformità alle normative bancarie e civilistiche
– Redigere una diffida legale alla società di leasing, se emergono irregolarità
– Difenderti in caso di decreto ingiuntivo o richiesta di saldo finale e maxi-rata
– Affiancarti in un’eventuale mediazione o azione giudiziaria
Quando è il momento di far controllare un contratto di leasing?
– Se il contratto è stato firmato senza spiegazioni chiare da parte dell’intermediario
– Se ti è stata richiesta una penale sproporzionata per il recesso anticipato
– Se la maxi-rata finale è sproporzionata o non giustificata
– Se sei in difficoltà economica e non riesci più a sostenere i canoni
– Se sospetti anomalie nei conteggi o ti hanno chiesto il rientro immediato
Cosa NON devi fare mai?
– Firmare modifiche o estinzioni anticipate senza prima farle esaminare da un legale
– Accettare passivamente il conteggio finale proposto dalla società di leasing
– Lasciare che i canoni scaduti si accumulino senza reagire
– Agire da solo contro una banca o una finanziaria strutturata: serve una strategia legale forte e documentata
Il leasing può essere uno strumento utile, ma solo se è regolato da un contratto trasparente, corretto e sostenibile. Se hai dubbi, è tuo diritto farlo controllare da un professionista.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto bancario e contratti finanziari – ti spiega perché è importante far controllare il tuo contratto di leasing, quali anomalie sono più comuni e come tutelarti in caso di clausole irregolari.
Hai un contratto di leasing e vuoi sapere se è legittimo o se puoi difenderti?
Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Esamineremo il tuo contratto, i conteggi e la tua posizione per costruire una strategia su misura e aiutarti a difendere i tuoi diritti.
Introduzione
Il contratto di leasing (locazione finanziaria) è una forma di finanziamento complessa e di ampio utilizzo in ambito sia imprenditoriale che privato. In uno schema tipico di leasing, una società concedente (solitamente una banca o finanziaria) acquista un bene scelto dall’utilizzatore e glielo concede in uso per un periodo determinato, dietro pagamento di canoni periodici, con la facoltà finale per l’utilizzatore di acquistare il bene pagando un prezzo prefissato (riscatto). Il leasing consente all’utilizzatore di godere immediatamente del bene senza doverne anticipare l’intero costo, mentre il concedente conserva la proprietà formale del bene a garanzia del proprio credito. Questa struttura triangolare coinvolge: (a) un concedente (società di leasing) che finanzia l’operazione, (b) un utilizzatore (detto talvolta conduttore o lessee) che sceglie il bene e paga i canoni, assumendosi rischi e oneri, e (c) un fornitore del bene, il quale vende il bene al concedente affinché sia destinato all’utilizzatore.
Dal punto di vista del debitore-utilizzatore, il leasing comporta una serie di obblighi stringenti: pagamento puntuale dei canoni, assunzione dei rischi sul bene (anche in caso di perdita o difetti), obbligo di custodia e manutenzione, e rispetto di numerose clausole contrattuali spesso predisposte unilateralmente dalla società di leasing. Far controllare da un avvocato il contratto di leasing prima della firma o in caso di controversie è fondamentale per tutelare i propri diritti. Un legale esperto può individuare clausole vessatorie o squilibrate, verificare il rispetto della normativa vigente (in continua evoluzione) e assistere l’utilizzatore nell’eventuale rinegoziazione dei termini contrattuali o nelle contestazioni da sollevare in caso di inadempimento o risoluzione anticipata del contratto.
Questa guida – aggiornata a giugno 2025 – fornisce un’analisi avanzata della disciplina del leasing finanziario in Italia, dal punto di vista del debitore/utilizzatore. Esamineremo tutte le principali tipologie di leasing e le relative tutele, evidenziando la normativa italiana di riferimento (in particolare la legge n.124/2017 che ha tipizzato il leasing finanziario), nonché le clausole contrattuali più critiche e come contestarle. Approfondiremo come rinegoziare un contratto di leasing o affrontare una risoluzione anticipata, analizzando le soluzioni pratiche e gli strumenti giuridici a disposizione del debitore. Un’attenzione specifica sarà dedicata alla giurisprudenza più recente: citeremo le sentenze chiave (anche delle Sezioni Unite della Cassazione) che hanno delineato i diritti dell’utilizzatore, ad esempio in tema di restituzione dei canoni in caso di risoluzione, riduzione delle penali e usurarietà degli interessi. Infine, includeremo tabelle riepilogative, una sezione di Domande e Risposte frequenti e alcune simulazioni pratiche di casi tipici, per offrire una panoramica chiara ma esaustiva. Il taglio sarà giuridico avanzato ma con un linguaggio il più possibile chiaro e divulgativo, in modo da risultare utile sia agli addetti ai lavori (avvocati, giuristi d’impresa) sia a privati e imprenditori che si trovino a stipulare o gestire un contratto di leasing.
Tipologie di leasing e contesto applicativo
Prima di analizzare le clausole contrattuali e le problematiche giuridiche, è importante distinguere le principali tipologie di leasing esistenti, poiché le tutele e le criticità possono variare a seconda della natura del contratto:
- Leasing finanziario: è la forma più comune. Ha una finalità di finanziamento e di acquisto del bene da parte dell’utilizzatore. L’utilizzatore individua il bene e il fornitore; il concedente (banca o intermediario finanziario autorizzato ex art.106 TUB) acquista il bene e lo mette a disposizione dell’utilizzatore, dietro pagamento di canoni che in realtà rimborsano il finanziamento (coprendo il prezzo d’acquisto più gli interessi e il margine del concedente). Tutti i rischi relativi al bene (perimento, difetti, obsolescenza) gravano sull’utilizzatore, che è tenuto a continuare a pagare i canoni anche se il bene si deteriora o perde le qualità attese. Al termine, l’utilizzatore ha un diritto di riscatto: può acquistare la proprietà del bene ad un prezzo prestabilito (di regola inferiore al valore di mercato, specie se il bene si è deprezzato). Esempi tipici di leasing finanziario sono il leasing strumentale (macchinari, attrezzature d’impresa), il leasing auto (veicoli, sia per aziende che per privati) e il leasing immobiliare (immobili commerciali o industriali, ma anche immobili residenziali in particolare condizioni). In tutti questi casi l’operazione è trilaterale: il fornitore vende il bene alla società di leasing, la quale lo concede in godimento all’utilizzatore. L’utilizzatore paga canoni periodici spesso comprensivi di una quota interessi (di fatto equiparabili alla rata di un mutuo) e normalmente versa un anticipo iniziale (il maxicanone), volto a ridurre il rischio del concedente e il capitale finanziato.
- Leasing operativo: detto anche leasing “di godimento”, è una forma di locazione di beni spesso standardizzati, in cui il concedente può essere il produttore stesso oppure un intermediario non bancario. A differenza del leasing finanziario puro, nel leasing operativo in genere non è prevista l’opzione finale di acquisto (o, se prevista, il prezzo di riscatto corrisponde al valore di mercato del bene). Il canone corrisponde essenzialmente al valore d’uso del bene e la durata del contratto spesso coincide con la vita utile del bene. Questa formula è utilizzata, ad esempio, nel noleggio a lungo termine di veicoli e attrezzature: il contratto può includere servizi accessori come manutenzione, assicurazione, assistenza tecnica. Pur essendo tecnicamente distinto dal leasing finanziario classico, il leasing operativo condivide con esso alcuni aspetti e in certi casi beneficia di tutele analoghe per l’utilizzatore (si pensi alle norme del Codice del Consumo se l’utilizzatore è un consumatore). In sostanza, il leasing operativo si avvicina più a un contratto di locazione/noleggio tradizionale che a una vendita con patto di riscatto: il bene viene solo goduto dall’utilizzatore per un periodo limitato, senza che questi ne programmi l’acquisto finale.
- Lease-back (sale & lease-back): è un’operazione particolare in cui l’utilizzatore e il fornitore coincidono nella figura dell’impresa proprietaria del bene. L’impresa vende un proprio bene a una società di leasing, che contestualmente glielo concede in leasing finanziario. Il vantaggio per l’utilizzatore-venditore è ottenere liquidità immediata dalla vendita, mantenendo però la disponibilità del bene tramite il leasing; il concedente ottiene un contratto di leasing garantito dal bene stesso. Questa operazione viene spesso utilizzata per esigenze finanziarie di cassa. Dal punto di vista giuridico, il lease-back è lecito ma può sollevare dubbi di causa concreta e meritevolezza se usato in frode (ad esempio, per sottrarre beni ai creditori o ottenere indebiti benefici fiscali). In caso di risoluzione per inadempimento di un lease-back, l’impresa utilizzatrice rischia di perdere definitivamente il bene originariamente di sua proprietà (che rimane al concedente) e al contempo di dover pagare penali o differenze, salvo tutela giudiziaria in caso di clausole abusive.
- Leasing immobiliare: si definiscono così i leasing aventi ad oggetto beni immobili (fabbricati, terreni). Rientrano per lo più nella categoria dei leasing finanziari, e possono avere scopi sia commerciali (es. un capannone industriale concesso in leasing a un’azienda) sia residenziali. In ambito residenziale, merita menzione il leasing immobiliare abitativo prima casa, introdotto con la legge n.208/2015 (legge di stabilità 2016) per favorire l’acquisto della prima casa da parte di giovani under 35: si tratta di un leasing finanziario su abitazione principale, con incentivi fiscali e una particolare tutela in caso di difficoltà economiche dell’utilizzatore. Ad esempio, la legge prevede la possibilità per l’utilizzatore di sospendere il pagamento dei canoni per un massimo di 12 mesi in caso di perdita del lavoro, senza incorrere in penali (tutela introdotta dall’art. 1 co. 76-81 L.208/2015). In generale, per il leasing immobiliare abitativo esiste una disciplina speciale (d.lgs. 72/2016, in recepimento della direttiva sul credito immobiliare): tra le varie tutele, è previsto che in caso di grave inadempimento l’utilizzatore possa evitare procedure giudiziali riconsegnando l’immobile; il concedente lo venderà e tratterrà dal ricavato quanto dovuto, restituendo l’eventuale eccedenza all’utilizzatore (una sorta di “patto marciano” a tutela del debitore analogo a quello poi generalizzato nel 2017). È importante notare che la legge n.124/2017 non si applica al leasing immobiliare abitativo soggetto al d.lgs.72/2016, pertanto per questa specifica tipologia valgono le norme speciali citate.
Leasing di godimento vs. leasing traslativo (distinzione storica): prima della riforma del 2017, la giurisprudenza italiana distingueva i leasing finanziari in due sottocategorie in base alla causa concreta del contratto. Si parlava di leasing di godimento quando il bene, al termine del contratto, conservava un valore residuo significativo e l’eventuale prezzo di riscatto era vicino al valore di mercato (indice che lo scopo principale era far godere temporaneamente il bene all’utilizzatore, similmente a una locazione). Si parlava invece di leasing traslativo quando il bene era destinato a trasferirsi all’utilizzatore a fine contratto a un prezzo molto basso rispetto al valore iniziale, tipicamente perché il bene si deprezza fortemente durante la locazione (es. macchinari, veicoli): in tal caso la funzione economica è assimilabile a una vendita a rate con riserva di proprietà. Questa distinzione aveva importanti conseguenze pratiche in caso di risoluzione anticipata per inadempimento, come vedremo, poiché i giudici applicavano regole diverse per riequilibrare le prestazioni tra le parti (in particolare, analogia con l’art.1526 c.c. nel leasing traslativo). Dopo il 2017 la distinzione è stata in gran parte superata da un intervento legislativo che ha uniformato la disciplina, introducendo un meccanismo patto marciano valido per tutti i leasing finanziari (v. oltre). Tuttavia, la differenza traslativo/godimento resta rilevante per i contratti stipulati in passato e risolti prima dell’entrata in vigore della nuova legge, come confermato anche dalle Sezioni Unite della Cassazione nel 2021.
Normativa di riferimento: dalla prassi alla legge n.124/2017
Per lungo tempo il leasing in Italia è stato regolato solo da norme di carattere generale e dalla prassi contrattuale, senza una disciplina organica specifica. La tutela dell’utilizzatore-debitore era affidata in larga misura all’interpretazione giurisprudenziale, che – come anticipato – aveva elaborato principi per evitare squilibri eccessivi (ad esempio applicando per analogia l’art.1526 c.c. ai leasing traslativi). Questa situazione è cambiata con la Legge 4 agosto 2017, n.124 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2017), che ai commi 136-140 dell’art.1 ha introdotto per la prima volta una definizione tipica del contratto di locazione finanziaria (leasing finanziario) e ne ha disciplinato dettagliatamente gli effetti in caso di inadempimento dell’utilizzatore. In altre parole, dal 2017 il leasing finanziario è diventato un contratto tipico, riconosciuto espressamente dalla legge.
Ecco in sintesi i punti salienti della legge 124/2017 riguardanti il leasing finanziario:
- Definizione legale di leasing finanziario (comma 136) – Viene definito il leasing finanziario come il contratto con cui una banca o intermediario finanziario iscritto all’albo ex art.106 TUB si obbliga ad acquistare (o far costruire) un bene su scelta e indicazione dell’utilizzatore, mettendolo a sua disposizione per un dato tempo a fronte di un corrispettivo periodico, assumendo l’utilizzatore tutti i rischi relativi al bene, e riconoscendogli, alla scadenza, il diritto di acquistare la proprietà del bene a un prezzo prestabilito oppure l’obbligo di restituirlo in caso di mancato riscatto. Questa definizione ricalca la struttura già delineata dalla prassi: conferma la natura finanziaria del leasing (il concedente dev’essere un intermediario qualificato), ribadisce il ruolo centrale dell’utilizzatore nella scelta del bene e del fornitore, e sancisce che i rischi (anche il perimento accidentale del bene) sono a carico dell’utilizzatore. In sostanza, viene ufficializzata la figura contrattuale emersa dalla pratica commerciale.
- Grave inadempimento dell’utilizzatore (comma 137) – La legge colma un vuoto normativo individuando una soglia uniforme di morosità che costituisce grave inadempimento e legittima la risoluzione del contratto da parte del concedente. In particolare, salvo patto diverso più favorevole all’utilizzatore, si considera grave inadempimento: il mancato pagamento di almeno 6 canoni mensili o 2 canoni trimestrali (anche non consecutivi) per i leasing immobiliari; oppure di almeno 4 canoni mensili (anche non consecutivi) per gli altri leasing finanziari (beni mobili, veicoli, attrezzature). Questa previsione impedisce al concedente di risolvere il contratto per lievi ritardi o mancanze occasionali: ad esempio, non sarà più valida (per i contratti soggetti alla legge) la clausola che dichiara risolto il leasing al mancato pagamento di una singola rata, perché la legge richiede un certo accumulo di insoluti. L’inclusione espressa di canoni “anche non consecutivi” mira a evitare che l’utilizzatore eviti furbescamente la soglia alternando pagamenti e insoluti. Questa novità ha reso nullo qualsiasi patto che permetta la risoluzione per inadempimenti inferiori alla soglia di legge, trattandosi di norma imperativa a tutela del debitore (analoga, per finalità, all’art. 40 TUB che nei mutui fondiari prevede la decadenza dal beneficio del termine solo dopo 7 rate non pagate).
- Effetti della risoluzione e patto marciano legale (comma 138) – La parte forse più significativa della riforma è la disciplina degli effetti economici della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, pensata per evitare ingiustificati arricchimenti a favore del concedente. La legge prevede un meccanismo di tipo patto marciano: una volta risolto il contratto e riottenuto il possesso del bene, la società di leasing deve procedere sollecitamente a collocare il bene sul mercato (vendita o ricollocazione), seguendo criteri di trasparenza e massima realizzazione del valore. Dal ricavato di questa vendita, il concedente trattiene l’ammontare dei canoni scaduti e non pagati, il capitale residuo ancora dovuto (cioè la parte di prezzo di acquisto non coperta dai canoni già pagati) e le eventuali spese sostenute per il recupero, la stima e la vendita del bene. L’eventuale eccedenza – se il bene è venduto a un prezzo superiore alla somma di quanto sopra – deve essere corrisposta all’utilizzatore. Al contrario, se dal realizzo si ricava meno del dovuto, l’utilizzatore rimane debitore per la differenza (fermo restando il diritto del concedente al risarcimento del maggior danno per il lucro cessante, se provato). In tal modo si equilibra la posizione: il concedente recupera il capitale investito e le spese, ma non può lucrare oltre (deve restituire l’eventuale surplus all’utilizzatore), mentre l’utilizzatore sopporta comunque il costo del proprio inadempimento ma viene protetto da duplicazioni di addebiti. Questa disciplina – di fatto – generalizza per tutti i leasing finanziari il principio del patto marciano che la giurisprudenza già applicava ai leasing traslativi (e che il legislatore aveva anticipato per i leasing abitativi in L.208/2015 e per le procedure concorsuali in L.9/2015). Da notare che la legge del 2017 ha escluso l’applicazione dell’art.1526 c.c. ai contratti di leasing finanziario in essa definiti (rendendo quell’articolo non più invocabile direttamente, essendo ora prevista una disciplina ad hoc). In caso di contenzioso, spetterà al concedente dimostrare l’ammontare ricavato dalla vendita e i conteggi effettuati, a pena di vedersi negare parte del credito. Questo meccanismo può comportare, in concreto, che l’utilizzatore ottenga un rimborso di parte dei canoni pagati se il valore del bene (sommato ai canoni trattenuti) eccede il suo debito – circostanza non rara nei contratti giunti verso la fine, specie se l’utilizzatore ha già versato la maggior parte delle rate.
- Stima del bene e procedure di vendita (comma 139) – La legge dettaglia anche come dev’essere effettuata la valutazione del bene e la sua vendita dopo la risoluzione. Se possibile, bisogna far riferimento a rilevazioni pubbliche di mercato (quotazioni OMI per immobili, Eurotax per auto, ecc.) per stabilire il valore, e si possono adottare procedure competitive (aste anche telematiche, ecc.) per massimizzare il prezzo. Se non esistono quotazioni di mercato attendibili, le parti di comune accordo nominano entro 20 giorni un perito indipendente che stimi il bene; in mancanza di accordo, provvede il concedente scegliendo da una rosa di almeno tre esperti comunicati all’utilizzatore, il quale può indicare la sua preferenza. Il perito deve essere indipendente (nessun rapporto personale o professionale col concedente). Il concedente deve poi vendere il bene con criteri di celerità e pubblicità, informando l’utilizzatore e ricercando il miglior offerente possibile. Queste garanzie procedurali sono volte a tutelare il debitore da vendite “al ribasso” concordate magari col solo scopo di addebitargli un maggior debito residuo.
- Richiamo alla disciplina concorsuale (comma 140) – La legge 124/2017 precisa che restano ferme le disposizioni già introdotte negli anni precedenti in materia fallimentare per il leasing (art. 72-quater legge fallimentare, ora trasfuso nel Codice della crisi d’impresa). In particolare, se l’utilizzatore fallisce con un leasing in corso, il curatore può subentrare nel contratto o scioglierlo; in caso di scioglimento, la L.208/2015 aveva già previsto un sistema simile al patto marciano per ripartire tra concedente e massa fallimentare il valore del bene. La L.124/2017 non ha modificato tali norme speciali, che dunque coesistono con la disciplina generale per i casi di insolvenza.
Applicazione nel tempo e retroattività – Un aspetto cruciale è che la disciplina introdotta dalla L.124/2017 non ha effetto retroattivo. Lo afferma espressamente la legge stessa (interpretata poi dalla giurisprudenza): si applica solo ai contratti di leasing finanziario i cui presupposti di risoluzione (cioè il grave inadempimento) si siano verificati dopo l’entrata in vigore della legge (29 agosto 2017). Ciò significa che per le risoluzioni avvenute prima di tale data continuano a valere le regole previgenti di origine giurisprudenziale. In tali casi si mantiene la distinzione leasing di godimento/traslativo e, ove pertinente, l’applicazione analogica dell’art.1526 c.c. (leasing traslativo) invece dell’art.72-quater l.fall.. Le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n.2061/2021, hanno confermato proprio questo principio, sancendo che la L.124/2017 non si applica ai contratti già risolti prima della sua entrata in vigore, né la si può applicare retroattivamente in via interpretativa o analogica. Hanno quindi “salvato” la precedente distinzione: per i contratti risolti ante 2017, se l’utilizzatore fallisce dopo la risoluzione, il concedente dovrà insinuarsi al passivo secondo la regola di leasing traslativo = art.1526 c.c. (restituzione canoni al netto di equo compenso), senza poter invocare la disciplina più favorevole di 72-quater l.fall.. Di contro, per le risoluzioni successive al 2017, la nuova disciplina unificata sostituisce le costruzioni pretore di prima: non occorre più distinguere tra traslativo e godimento, poiché la legge stessa definisce il contratto e prevede il meccanismo di vendita e riparto del ricavato (patto marciano legale).
In sintesi, oggi abbiamo un quadro normativo duale in base al periodo di risoluzione del contratto:
- Per i leasing finanziari risolti dopo il 29/8/2017, si applica in pieno la L.124/2017 (commi 136-140), che offre una tutela specifica all’utilizzatore: soglia di grave inadempimento, vendita del bene e restituzione dell’eccedenza, ecc. (vedi sopra). Le clausole contrattuali in contrasto con queste previsioni sono nulle o comunque sovrapposte dalla norma (es. clausole che consentono risoluzione con meno rate insolute, o che permettono al concedente di trattenere tutto senza vendere il bene, sono da considerarsi non più efficaci).
- Per i leasing risolti prima (o i cui inadempimenti si sono concretizzati prima) di tale data, si ricade nella disciplina previgente: l’equilibrio tra le parti in caso di risoluzione verrà valutato secondo i principi elaborati dai giudici nel corso di decenni. In particolare, se il contratto era traslativo, l’utilizzatore ha diritto alla restituzione dei canoni già pagati, detratto un equo compenso per l’uso del bene e salvo una penale congrua (riducibile se eccessiva); se era di godimento, i canoni già pagati restano acquisiti al concedente a titolo di corrispettivo per l’uso, e di norma nulla è dovuto all’utilizzatore. Approfondiremo questi aspetti più avanti, soprattutto parlando di penali e clausole vessatorie. Per ora basti notare che tuttora nei contenziosi su contratti “vecchi” i tribunali applicano quei precedenti orientamenti, come confermato da Cass. Sez. Un. 2061/2021 e altre pronunce del 2022.
Clausole contrattuali da controllare: principali criticità e tutele
Passiamo ora ad esaminare le clausole contrattuali tipiche nei contratti di leasing e le possibili irregolarità o vessatorietà da tenere presenti. Il contratto di leasing finanziario è normalmente un contratto per adesione predisposto dalla società di leasing: l’utilizzatore si trova davanti condizioni generali formulate unilateralmente, spesso molto dettagliate e non negoziabili, se non per alcuni parametri economici. Questo squilibrio di potere contrattuale rende cruciale l’analisi attenta delle clausole, per capire cosa realmente si sta sottoscrivendo e quali rischi si corrono. Di seguito affrontiamo le categorie di clausole e problematiche più rilevanti, dal punto di vista dell’utilizzatore-debitore, evidenziando normative applicabili e orientamenti giurisprudenziali aggiornati (fino al 2025) e suggerendo come un avvocato può contestarle o mitigare i loro effetti.
Anatocismo nel leasing (interessi composti)
Descrizione del problema – L’anatocismo consiste nella capitalizzazione degli interessi scaduti, ovvero nel far produrre interessi a interessi già maturati (in pratica, interesse composto). In un piano di ammortamento “francese” – molto comune nei leasing e mutui – i canoni periodici sono costanti e comprendono una quota interessi calcolata sul capitale residuo; se non vi sono ritardi nei pagamenti, questo metodo non genera veri e propri interessi su interessi, poiché gli interessi di ciascuna rata sono calcolati sul solo capitale residuo e non sugli interessi precedenti. Tuttavia, possono sorgere fenomeni anatocistici in alcune situazioni: ad esempio, interessi moratori non pagati che vengano capitalizzati e fatti fruttare ulteriori interessi, oppure clausole contrattuali che prevedano espressamente la capitalizzazione periodica degli interessi scaduti.
Divieto di anatocismo e normativa – In Italia l’anatocismo è tradizionalmente vietato, salvo accordo posteriore al maturare degli interessi o specifiche previsioni di legge (art.1283 c.c.). Nel settore bancario-finanziario, il divieto è stato rafforzato da varie riforme: l’art. 120 TUB, come modificato dalla L.147/2013, ha posto un divieto pressoché assoluto di anatocismo nelle operazioni bancarie, in vigore dal 1° dicembre 2014. La Cassazione civile Sez. I, sent. 21344 del 30/07/2024 ha chiarito definitivamente che dal 2014 è vietato applicare interessi su interessi in ambito bancario, indipendentemente dall’emanazione di una delibera CICR di attuazione. Ciò significa, ad esempio, che una clausola contrattuale di leasing finanziario (erogato da una banca/intermediario ex art.106 TUB, quindi operazione bancaria) che prevedesse la capitalizzazione trimestrale degli interessi moratori o correnti dopo il 2014 sarebbe nulla per violazione di norma imperativa. In passato, prima di questa svolta normativa, le banche e finanziarie talora applicavano piani finanziari con capitalizzazione infrannuale degli interessi; oggi tale prassi non è più lecita. Anche la capitalizzazione implicita nei piani “alla francese” è stata oggetto di dibattito: alcuni sostenevano che il calcolo a rate costanti nascondesse un anatocismo occulto, perché gli interessi non pagati nelle prime rate si cumulerebbero nel calcolo delle successive. Questo argomento è stato respinto di recente dalle Sezioni Unite della Cassazione: con la sentenza n.15130 del 29/05/2024, è stato affermato che il piano di ammortamento “francese” standard non comporta di per sé anatocismo vietato, purché vi sia chiarezza contrattuale sul tasso e il metodo di calcolo. Le SS.UU. hanno stabilito che la mancata indicazione espressa del regime di capitalizzazione composta nel contratto di mutuo/leasing non causa nullità per indeterminatezza, né viola la trasparenza, a condizione che sia indicato il tasso nominale annuo e la periodicità delle rate. In sostanza, hanno ritenuto che il metodo francese (in cui ogni rata estingue gli interessi maturati fino a quel momento) non genera un indebito calcolo di interessi su interessi: gli interessi di ciascuna rata non producono altri interessi, ma vengono semplicemente pagati alla scadenza di quella rata stessa.
Come contestare l’anatocismo – Un avvocato che esamina un contratto di leasing deve anzitutto verificare se vi sono clausole di capitalizzazione esplicita. Dopo il 2014, qualunque patto di capitalizzazione periodica automatica degli interessi a debito del cliente è nullo: si potrà quindi eccepire la nullità della clausola e chiedere la restituzione degli interessi anatocistici eventualmente addebitati. In concreto, se la società di leasing ha calcolato interessi moratori su interessi di canoni scaduti, l’utilizzatore potrà ricalcolare il dovuto eliminando tale componente e opporsi a eventuali richieste della controparte basate su importi anatocistici. In giudizio, è possibile far valere il divieto assoluto sancito dall’art. 120 TUB e confermato dalla Cassazione. Qualora l’anatocismo derivi da un piano “francese”, oggi non è più sostenibile chiedere la nullità integrale del piano (vista la pronuncia delle SS.UU. 15130/2024), ma rimane possibile contestare la scarsa trasparenza se il contratto non spiegava il metodo di calcolo: ad esempio, in sede di mediazione o causa si può evidenziare che il cliente non era stato chiaramente informato del regime degli interessi e ciò gli ha impedito di comprendere il costo effettivo, violando la normativa di trasparenza bancaria (art.117 TUB). In tal caso, però, più che nullità si potrebbe ottenere l’applicazione del tasso sostitutivo legale ex art.117(7) TUB, se mancava l’indicazione di elementi obbligatori. È comunque una strada complessa che va valutata caso per caso, spesso con l’ausilio di consulenti tecnici per il ricalcolo dei piani di ammortamento.
Nota pratica: se un utilizzatore sospetta di aver pagato importi eccessivi per via di interessi su interessi (ad esempio, perché vedendo l’estratto conto nota che dopo un ritardo gli interessi di mora sono stati “capitalizzati”), dovrebbe far analizzare il piano di ammortamento da un esperto. Spesso, le somme da recuperare possono non essere elevate, ma in leasing di importo consistente anche pochi punti percentuali di interessi indebitamente capitalizzati possono giustificare un’azione legale di rimborso. Ricordiamo infine che l’eventuale diritto alla ripetizione di indebito per interessi anatocistici segue la prescrizione decennale dal pagamento.
Usura nei contratti di leasing
Descrizione del problema – L’usura consiste nel pactum o nella pretesa di interessi (o altri vantaggi) che superino il tasso soglia stabilito dalla legge 108/1996. Nei leasing, come in altri finanziamenti, possono esservi due tipi di interessi: correlati al finanziamento (inclusi nei canoni) e moratori (dovuti in caso di ritardo nei pagamenti). Entrambe le categorie sono soggette alla normativa antiusura: se il tasso effettivo globale (TEG) del contratto, comprensivo di oneri, eccede il tasso-soglia rilevato trimestralmente dal Ministero, la clausola che prevede tali interessi è nulla e non sono dovuti interessi eccedenti (resta dovuto solo il capitale). Nel leasing, un tema dibattuto riguarda gli interessi di mora: spesso nei contratti sono fissati tassi di mora abbastanza elevati (es. 5-6 punti oltre il tasso base). Ci si è chiesti se la legge antiusura si applichi anche ai moratori e come verificarne l’usurarietà, dato che il TEGM (tasso medio) pubblicato non sempre include i moratori.
Orientamenti giurisprudenziali recenti – La Cassazione, Sez. III, sent. n.3930 del 13/02/2024 (rel. Cricenti) ha affrontato proprio un caso di leasing immobiliare con contestazione di usurarietà degli interessi di mora. La Corte ha ribadito che la disciplina antiusura si applica anche agli interessi moratori pattuiti in un contratto di finanziamento. Ha spiegato come si determina il tasso soglia in tali casi: se i decreti ministeriali segnalano la maggiorazione media applicata per interessi di mora, allora il tasso soglia per le mora si calcola prendendo il TEGM dei finanziamenti della categoria, aggiungendo la maggiorazione media e applicando il coefficiente di legge (+25% + 4 punti, con limite del +8%). Se invece i DM non indicano una maggiorazione media per le mora (come avveniva per molti anni), si deve confrontare il TEG effettivo del singolo rapporto, comprensivo di interessi di mora, con il TEGM ordinario della categoria, senza aggiunte. Questo significa che, ad esempio, se un leasing ha tasso base del 5% e mora al 12%, e il tasso soglia (calcolato come da Banca d’Italia, includendo mora) fosse poniamo 10%, quella clausola di mora sarebbe usuraria. La Cassazione ha dunque confermato l’approccio sostanzialistico: qualunque interesse promesso in relazione al contratto, anche di mora, rientra nel calcolo antiusura. Ciò risolve definitivamente il dubbio che in passato alcuni avevano (ritenendo i moratori esclusi). Inoltre, la Corte del 2024 ha richiamato la possibilità, in caso di usura sopravvenuta, di ridurre il tasso agli interessi legali (tematica complessa, oltre lo scopo qui).
Clausole penali usurarie – Oltre agli interessi, anche altre pattuizioni economiche possono essere vagliate sotto il profilo usura. Ad esempio, una clausola penale che imponesse, in caso di risoluzione anticipata, il pagamento di tutte le rate residue in un’unica soluzione scontata, maggiorata magari di penali aggiuntive, potrebbe essere analizzata come costo complessivo dell’operazione e, se eccessiva, rientrare nel calcolo di usurarietà come “commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo” ai sensi dell’art.644 c.p. (questa impostazione è però dibattuta e spesso i giudici valutano separatamente la penale ai sensi dell’art.1384 c.c. più che come usura).
Come controllare e contestare l’usura – Un avvocato, nel vagliare il contratto, deve calcolare il TAEG o TEG del leasing, considerando tutti gli oneri a carico dell’utilizzatore (tasso nominale, commissioni di istruttoria, spese, assicurazioni obbligatorie, ecc.). Se il TEG supera il tasso soglia vigente al momento della stipula, la clausola sugli interessi è nulla (usura originaria) e si può chiedere di ricalcolare il piano senza interessi (capitale puro). Se invece il superamento avviene includendo la mora, si può eccepire l’usurarietà della clausola di mora: in tal caso, secondo alcuni, tutti gli interessi (corrispettivi e moratori) decadono, secondo altri solo la mora viene ridotta. In pratica, spesso i tribunali riconoscono che in caso di usura dei moratori, gli interessi corrispettivi restano dovuti ma la mora non può eccedere la soglia (vengono ricondotti al tasso soglia massimo). Va detto che la materia è tecnica: la soglia d’usura varia per categoria di operazione (il leasing rientra generalmente nella categoria “altri finanziamenti per durate oltre 5 anni” o analoghe, a seconda dei casi). È opportuno coinvolgere un consulente finanziario forense per determinare con esattezza se c’è stata usura. In causa, l’utilizzatore potrà agire per la restituzione degli interessi indebitamente pagati in eccedenza al tasso soglia, entro 10 anni dal pagamento (prescrizione decennale dell’indebito). Inoltre, se la clausola di interesse moratorio è usuraria, potrà chiedere al giudice di dichiararne la nullità parziale e non applicarla: ad es., se il leasing è ancora in corso e l’utilizzatore è in ritardo, il concedente non potrà pretendere la mora eccedente la soglia. Nelle contestazioni stragiudiziali, spesso l’argomento dell’usura viene usato come leva per rinegoziare il debito residuo: la società di leasing, a fronte del rischio di vedersi azzerare gli interessi in giudizio, può accordarsi per ridurre il carico al cliente.
Caso particolare: talvolta i leasing prevedono tassi “variabili” o indicizzazione del canone legata a parametri (es. EURIBOR). Se una clausola di indicizzazione non ha un tetto e l’indice dovesse aumentare oltre ogni limite (scenario non solo teorico: nel 2022-2023 l’Euribor è salito rapidamente), potrebbe succedere che il tasso effettivo superi la soglia d’usura sopravvenuta. La giurisprudenza maggioritaria ritiene che l’usura vada valutata solo al momento del patto (usura originaria), mentre l’usura sopravvenuta non dà luogo a nullità o reato (ma consente eventualmente la riduzione equitativa degli interessi, secondo Cass. 5324/2003). Tuttavia, l’ABF (Arbitro Bancario) e parte della dottrina suggeriscono che in presenza di tassi sopravvenuti usurari, il cliente possa chiedere l’adeguamento al tasso soglia. In pratica, un avvocato può evidenziare la questione alla controparte per ottenere una rinegoziazione, pur sapendo che in giudizio l’esito è incerto.
Indeterminatezza dell’oggetto o del prezzo (tassi e costi non chiari)
Descrizione e norme applicabili – Ogni contratto per essere valido deve avere un oggetto determinato o determinabile (art.1346 c.c.). Nel leasing finanziario, l’oggetto consiste nella concessione in uso di un determinato bene dietro pagamento di canoni e con opzione di riscatto finale. Il prezzo complessivo che l’utilizzatore paga è dato dai canoni + eventuale maxicanone iniziale + prezzo di riscatto + oneri vari. Data la complessità dell’operazione (spesso lunga durata, tassi di interesse, commissioni), è fondamentale che il contratto indichi in modo chiaro tutti i parametri economici: tasso di interesse implicito, importo dei canoni o criteri di calcolo, eventuali indicizzazioni, spese accessorie, TAEG/ISC (Indice Sintetico di Costo) per i consumatori. La trasparenza bancaria impone, per i contratti con intermediari, di indicare il tasso effettivo globale o comunque tutte le condizioni economiche (art.117 TUB e istruzioni di Banca d’Italia). Se ciò non avviene, la sanzione può essere la nullità della clausola con applicazione del tasso minimo legale in sostituzione.
Esempi di clausole problematiche:
- Clausole che rimandano a tassi variabili senza indicare chiaramente l’indice di riferimento o il metodo di calcolo dell’eventuale adeguamento (ad es. “i canoni potranno essere aumentati a discrezione della società di leasing in base all’andamento di mercato” – formulazione troppo vaga e arbitraria, certamente nulla per indeterminatezza).
- Mancata indicazione del TAEG in un contratto con un consumatore: il Codice del Consumo e le disposizioni di trasparenza richiedono che in operazioni di credito al consumo il TAEG sia comunicato; la sua omissione può comportare sanzioni amministrative e, secondo alcuni tribunali, integra una pratica commerciale scorretta o addirittura può portare a ricalcolare gli interessi al tasso BOT se il consumatore eccepisce la nullità delle clausole ai sensi dell’art.117 TUB.
- Clausole di indicizzazione poco chiare: ad esempio, canoni indicizzati a un indice ISTAT non meglio precisato o con meccanismi farraginosi descritti in modo incomprensibile. Questo può rendere il costo imprevedibile e quindi il contratto potenzialmente nullo per indeterminabilità del prezzo.
- Clausole che prevedono spese future non quantificate (es. “spese di incasso canoni a carico dell’utilizzatore secondo il tariffario vigente” senza allegare il tariffario). In tal caso, l’utilizzatore potrebbe contestare tali addebiti non pattuiti specificamente, chiedendo di non pagarli.
Linea della Cassazione – Riprendendo la già citata sentenza Cass. SU 15130/2024, la Suprema Corte ha escluso la nullità di un contratto di mutuo/leasing solo perché non era esplicitato il regime di ammortamento composto, purché dal contratto si potessero comunque desumere i criteri di calcolo (tasso nominale e cadenza rate). Dunque, non ogni omissione comporta nullità, ma solo quella che rende l’operazione incerta nel suo carico economico per il cliente. La Cassazione del 2024 ha aggiunto che l’obbligo di indicare “il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione” (art.117 TUB) va interpretato nel senso che il contratto deve lasciar intuire o prevedere il livello di costo del finanziamento. Se questo livello era comunque conoscibile dall’utilizzatore (es. perché il tasso era indicato e la rata pure, anche se non era spiegato il calcolo analitico), non c’è indeterminatezza. Viceversa, se mancano elementi essenziali (es. non viene indicato affatto quale tasso si applichi, oppure una clausola rimette la determinazione di un costo al mero arbitrio del finanziatore), allora la clausola è nulla.
Rimedi in caso di clausole indefinite – L’avvocato potrà invocare:
- Art. 1346 c.c. e 1418 c.c. (nullità per oggetto/prezzo indeterminabile): ad esempio, un leasing in cui non sia specificato il tasso e in cui i canoni non siano tutti determinati (magari perché indicizzati senza criterio) potrebbe essere dichiarato nullo in toto, o quantomeno potrebbero esserlo le clausole economiche.
- Art. 117 TUB comma 7: in caso di mancanza di indicazione del tasso o di altri oneri in un contratto bancario, si applica in luogo del tasso convenzionale il tasso nominale minimo (BOT annuali o tasso legale) e le spese non pattuite non sono dovute. Questa è una forte tutela: in pratica se il leasing è un contratto bancario e manca chiara pattuizione del tasso, l’utilizzatore potrebbe pagare interessi quasi azzerati. Ovvio che le società di leasing redigono contratti molto dettagliati proprio per evitare questa evenienza.
- Codice del Consumo: se l’utilizzatore è consumatore e mancano informazioni obbligatorie (TAEG, dettagli costi), oltre alla nullità delle clausole si può segnalare la cosa all’AGCM come pratica scorretta. L’AGCM può sanzionare la società (multe anche milionarie in caso di omissioni informative gravi nelle offerte al pubblico).
In concreto, la verifica di un avvocato si concentra nel controllare che sul contratto di leasing siano riportati con precisione: l’importo finanziato (costo del bene), il tasso di interesse o il criterio per determinarlo, l’ammontare di ogni canone o una formula chiara per calcolarlo, il tasso di mora, tutte le commissioni e spese note (es. spesa incasso rata, spese amministrative, assicurazione se obbligatoria), l’ISC/TAEG se dovuto. Se qualcosa non torna (ad es. somma dei canoni non coerente col tasso dichiarato, indice mancante, ecc.), l’avvocato può contestare l’indeterminatezza e chiedere l’applicazione delle tutele di legge (nullità parziale e ricalcolo).
Va notato che, in caso di contenzioso, spesso queste eccezioni (usura, indeterminatezza, anatocismo) vengono sollevate tutte insieme dalla difesa dell’utilizzatore per far emergere qualsiasi profilo di nullità o violazione di norme imperative. Anche solo ottenere la riduzione del tasso applicato può fare la differenza nell’ammontare del debito residuo da pagare.
Clausole vessatorie e squilibrio contrattuale
Descrizione e riferimenti normativi – Le clausole vessatorie sono quelle che, in contratti con consumatori (o talvolta tra professionista e micro-impresa in alcune interpretazioni), determinano un significativo squilibrio a carico del contraente più debole, e che non siano state oggetto di specifica trattativa. Nel Codice del Consumo (d.lgs. 206/2005) vi è un elenco di clausole presumibilmente vessatorie (art.33 e seguenti) e la sanzione per esse è la nullità a tutela del consumatore (nullità parziale di protezione). Nei leasing B2C (verso consumatori) tali disposizioni si applicano: la Cassazione ha chiarito che un contratto di leasing stipulato da un consumatore rientra nel campo di applicazione degli artt.33-36 Cod. Cons.. Ciò significa che clausole come quelle che impongono al consumatore inadempiente penali sproporzionate, o che concedono al professionista facoltà eccessive (es. risolvere arbitrariamente il contratto) o che limitano fortemente i diritti del consumatore, possono essere dichiarate nulle.
Oltre al Codice del Consumo, anche il codice civile contiene una tutela più generale: negli artt.1341-1342 c.c. si prevede che in ogni contratto per adesione (anche tra professionisti) alcune clausole particolarmente onerose per l’aderente devono essere approvate specificamente per iscritto, pena l’inefficacia. Tra queste ci sono: clausole che limitano la responsabilità del predisponente, clausole che sanciscono decadenze, facoltà di recesso unilaterale, deroghe alla competenza, clausole penali o che impongono restrizioni alla libertà contrattuale dell’altra parte, ecc.. I contratti di leasing delle società finanziarie contengono quasi sempre un elenco di clausole approvate ex art.1341: l’utilizzatore firma due volte, una per accettazione generale e una per conferma di aver letto e accettato quelle clausole particolari (es. clausola risolutiva espressa, clausola penale, decadenza dal beneficio del termine, ecc.). Se manca questa doppia firma, le clausole indicate potrebbero non essere efficaci nei confronti dell’aderente. Dunque anche in un leasing tra imprese, un avvocato controllerà se tutte le clausole onerose sono state approvate correttamente.
Esempi di clausole potenzialmente vessatorie nel leasing (lato utilizzatore):
- Clausole di limitazione di responsabilità del concedente: esonerano la società di leasing da responsabilità su aspetti importanti, ad esempio “il concedente non risponde in alcun caso dei vizi o difetti del bene concesso in leasing”. Questa clausola, molto comune, scarica sull’utilizzatore tutti i problemi del bene. Se l’utilizzatore è consumatore, potrebbe essere considerata vessatoria perché lo priva di tutele (normalmente chi vende un bene risponde per vizi). Tuttavia, i giudici spesso la ritengono lecita se bilanciata dal fatto che l’utilizzatore può agire direttamente contro il fornitore (nel leasing finanziario infatti l’utilizzatore ha di solito la procura per far valere le garanzie di legge contro il venditore). Resta il fatto che per un consumatore questa clausola potrebbe creare uno squilibrio, perché si trova senza bene funzionante ma deve continuare a pagare i canoni al concedente, dovendo fare causa al fornitore a proprie spese. È dunque una clausola delicata: se non trattata, in uno scenario consumeristico potrebbe essere ritenuta vessatoria ai sensi dell’art.33 Cod. Cons. come limitativa di responsabilità del professionista.
- Clausole “hell or high water” (inversione del rischio): quelle per cui “i canoni sono dovuti anche se il bene non può essere utilizzato per qualsiasi motivo; l’utilizzatore non può sollevare eccezioni in merito verso il concedente”. Anche qui, si tutela il concedente stabilendo che il pagamento è incondizionato. Questa è praticamente la regola nel leasing: grazie a tali clausole, l’utilizzatore rinuncia in anticipo ad opporre eccezioni di inadempimento relative al bene verso la società di leasing. In ambito B2B tali patti sono generalmente validi (salvo dolo o colpa grave del concedente), mentre verso un consumatore rischiano di essere vessatori perché eliminano ogni rimedio in caso di problemi. Ad esempio, se un bene risulta inutilizzabile, il consumatore non può sospendere i pagamenti né ridurli: uno squilibrio notevole. L’art.33 Cod. Cons. considera vessatorie (salvo prova contraria) le clausole che escludono o limitano le azioni o i diritti del consumatore in caso di inadempimento totale o parziale dell’altra parte. Questa rientrerebbe perfettamente: limita la facoltà del consumatore di opporre eccezioni. Pertanto, una clausola che impone il pagamento “whatever happens” potrebbe essere annullata dal giudice se il cliente è un consumatore.
- Clausola di risoluzione anticipata per minima inadempienza: ad esempio, “mancato pagamento anche di un solo canone = facoltà di risoluzione immediata” (clausola risolutiva espressa estremamente rigorosa). Prima del 2017, come visto, era comune trovarla. Con la nuova legge, se il leasing rientra nel campo di applicazione della L.124/2017, tale clausola è in contrasto con la soglia di grave inadempimento fissata per legge (4 o 6 canoni): dunque la clausola non potrà essere azionata finché non si raggiunge la soglia di legge. Per i contratti non coperti dalla legge (ad es. se il debitore è inadempiente nel 2016), i giudici valuteranno caso per caso. La Cassazione ha affermato che la clausola risolutiva espressa di per sé non è vessatoria se è approvata ex art.1341 c.c., perché è nell’autonomia privata stabilire quali inadempimenti risolvono il contratto. In un caso del 2017 (Trib. Vicenza) si è detto che con l’approvazione specifica l’utilizzatore ha accettato che anche un solo canone non pagato sia motivo di risoluzione, e ciò esclude la necessità di valutare la gravità dell’inadempimento. Tuttavia, attenzione: se l’utilizzatore è un consumatore, la stessa clausola potrebbe essere letta sotto l’ottica del Codice del Consumo. Il Codice del Consumo annovera tra le clausole presumibilmente vessatorie quelle che stabiliscono a carico del consumatore un obbligo di adempiere immediatamente a tutte le obbligazioni anche in caso di inadempimento minimo (All. lett. g art.33): una clausola che consente la risoluzione per un lievissimo ritardo potrebbe rientrare. Alcune pronunce hanno però ritenuto che la clausola risolutiva espressa in sé non squilibra il contratto, perché se il consumatore non paga, è lui in torto – quindi la clausola serve solo a facilitare la risoluzione, ma non impone obblighi ulteriori imprevisti. Diciamo che è dibattuta: certamente, con la legge 124/2017, se un giudice avesse di fronte un leasing post-2017 con clausola “una rata e sei fuori”, la dichiarerebbe nulla per contrasto con norma imperativa (comma 137), senza nemmeno scomodare il Codice del Consumo. Per contratti pre-2017 con consumatore, si potrebbe invece sostenere la vessatorietà per squilibrio.
- Clausole che impongono al consumatore spese legali o di recupero esagerate: esempio, “in caso di insolvenza, l’utilizzatore dovrà rimborsare tutte le spese di recupero crediti, incluse quelle per legali esterni, forfettariamente stimate in €…”. Se l’importo forfettario è molto alto rispetto al danno medio, questa potrebbe essere considerata una penale mascherata e squilibrata. L’art.33 Cod. Cons. lettera t) indica vessatorie le clausole che prevedono spese a carico del consumatore per l’inadempimento eccessivamente elevate. Anche in ambito non consumer, tali spese devono essere effettivamente sostenute e documentate, altrimenti non sono dovute.
In generale, nel leasing con consumatore molte clausole standard possono essere contestate come vessatorie: l’effetto, ricordiamo, sarebbe la nullità della singola clausola, che dunque non vincola il consumatore (il resto del contratto rimane valido). Ad esempio, se un contratto consumer prevedesse che “in caso di risoluzione l’utilizzatore perde tutti i canoni già pagati”, il giudice potrebbe cassare questa clausola perché crea uno squilibrio enorme, e applicare invece la disciplina legale che impone la restituzione dell’eccedenza (o, prima del 2017, l’art.1526 c.c.). Anche le clausole che stabiliscono decadenze (es. decadenza dal beneficio del termine per ritardo di un giorno nel pagamento) vanno segnalate e, se non firmate specificamente, non operano.
Clausole vessatorie tra professionisti? – Se l’utilizzatore è un’azienda o professionista, il Codice del Consumo non si applica. Rimangono però i già citati artt.1341-1342: se la clausola onerosa non è stata approvata per iscritto separatamente, l’utilizzatore professionista può eccepirne l’inefficacia. Va detto che praticamente tutte le società di leasing fanno firmare l’elenco 1341, quindi raramente si trova uno spiraglio su questo. Un’altra tutela generale è data dall’art. 1371 c.c. (interpretazione contro l’autore della clausola in caso di dubbio) e, in casi estremi, dai principi di buona fede: una clausola contrattuale troppo vaga o completamente squilibrata potrebbe essere ridimensionata in base ai principi generali (ad es. riducendo una penale in virtù dell’art.1384 c.c., vedi oltre).
Come contestarle – La contestazione di clausole vessatorie può avvenire in vari modi:
- In una opposizione a decreto ingiuntivo o in un giudizio promosso dal concedente, l’utilizzatore invocherà la nullità di singole clausole ex art.36 Cod. Cons. qualora sia consumatore, o l’inefficacia ex 1341 c.c. se manca doppia firma, oppure la possibilità di disapplicare clausole perché contrarie a norme imperative (es. contrarie alla L.124/2017). Questo porterà il giudice a non considerare quelle clausole nel decidere.
- In sede stragiudiziale, l’avvocato può scrivere alla società di leasing evidenziando che certe clausole sono abusive e che dunque il suo cliente non intende considerarle valide. Ad esempio: “la pretesa di far pagare tutte le rate future più penale è basata su clausola nulla ai sensi dell’art.33 Codice Consumo, si invita quindi la controparte a ricalcolare il dovuto secondo equità…”. Questo rientra spesso nelle trattative di riduzione del debito.
- Segnalazione all’AGCM: l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è competente a sanzionare l’uso di clausole vessatorie nei contratti standard B2C, anche senza che vi sia un caso concreto di giudizio. Ad esempio, nel maggio 2024 l’AGCM ha sanzionato con ~18 milioni di euro complessivi alcune primarie società di autonoleggio/leasing operativo per la presenza nei loro contratti di clausole vessatorie relative alla gestione delle multe (penali amministrative ritenute ingiustificate). L’Autorità può richiedere alle aziende di modificare o eliminare clausole e informare i consumatori. Dunque, l’avvocato può anche minacciare di fare una segnalazione, cosa che di solito stimola le controparti a un approccio più conciliante.
Inadempimenti del concedente (società di leasing)
Quando si parla di contenziosi nel leasing, di solito si pensa all’inadempimento dell’utilizzatore (mancato pagamento dei canoni) e alle azioni del concedente. Ma ci si deve chiedere: può anche la società di leasing essere inadempiente verso l’utilizzatore, e con quali rimedi per quest’ultimo? Essendo il leasing finanziario un contratto “trilaterale atipico”, le obbligazioni principali del concedente sono: acquistare (o far costruire) il bene scelto e metterlo a disposizione dell’utilizzatore nei tempi e modi concordati. Inoltre, spesso il concedente assume obblighi accessori come il pagamento di fornitori a SAL (nel leasing in costruendo), il versamento di premi assicurativi se inclusi nei canoni, ecc.
Esempi di possibili inadempienze del concedente:
- Ritardo nella consegna del bene: se la società di leasing, per lungaggini sue o problemi nell’acquisto, ritarda notevolmente nel fornire il bene all’utilizzatore, quest’ultimo potrebbe subire un danno (specie se aveva pianificato di usarlo subito). In genere nei contratti il concedente si tutela dicendo che non risponde dei ritardi del fornitore, ma se il ritardo è colpa del concedente (es. tardivo perfezionamento dell’ordine o ritardo nel finanziamento), l’utilizzatore può chiedere una riduzione proporzionale dei canoni o risarcimento dei danni da ritardo nell’adempimento ex art.1218 c.c. (difficile da quantificare, ma ad esempio: costi sostenuti per noleggiare un bene sostitutivo nell’attesa).
- Mancato acquisto del bene concordato: ipotesi rara ma possibile. Se il concedente decide unilateralmente di non procedere all’acquisto del bene indicato dall’utilizzatore (magari perché cambia idea sul credito concesso), avrà violato l’obbligo contrattuale. L’utilizzatore potrà pretendere o l’esecuzione (acquistare quel bene) oppure la risoluzione per inadempimento del concedente con risarcimento del danno (es. differenza di costo se deve prendere un leasing altrove, perdita di chance, ecc.).
- Inadempienze su servizi accessori: a volte il leasing include servizi (manutenzione, assicurazione, tassa di proprietà per veicoli, ecc.) gestiti dal concedente. Se il concedente non paga l’assicurazione e il bene resta non coperto, e poi magari avviene un sinistro non risarcito, l’utilizzatore ha diritto a un risarcimento. Oppure se il concedente omette di pagare il fornitore, che quindi non consegna il bene o ne rivendica la proprietà, l’utilizzatore potrà difendersi sostenendo che ha sempre pagato i canoni e che è colpa del concedente se il fornitore reclama.
- Violazione di obblighi informativi/precontrattuali: se la società di leasing ha taciuto informazioni importanti o ha fornito dati errati (es: ha promesso un certo trattamento fiscale sapendo che non era applicabile), si può configurare un inadempimento per informativa scorretta o addirittura dolo contrattuale. Ad esempio, se un venditore di leasing promette al cliente “questo leasing ti costerà tot al mese, è più conveniente di un mutuo” ma non menziona costi nascosti, potrebbe essere chiamato a risponderne (anche se è difficile dimostrare tali promesse se non sono scritte).
Strumenti di tutela per l’utilizzatore – Nel caso in cui sia la società di leasing a non adempiere correttamente, l’utilizzatore può:
- Sollecitare per iscritto l’adempimento (diffida) e, se l’inadempimento è grave, sospendere il pagamento dei canoni in via di eccezione d’inadempimento ex art.1460 c.c. (attenzione: è sempre rischioso sospendere unilaterlamente, andrebbe valutato bene con l’avvocato). Ad esempio, se il bene non viene consegnato affatto, l’utilizzatore certamente può rifiutare di pagare canoni per un bene mai ricevuto.
- Chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento del concedente ex art.1453 c.c., con restituzione di quanto eventualmente già pagato e risarcimento. Questo scenario può verificarsi nel leasing di costruendo se il concedente non eroga i fondi e l’opera non viene ultimata – l’utilizzatore potrebbe voler uscire dal contratto senza penali perché il “finanziamento” non è stato dato nei termini dovuti.
- Far valere un inadempimento parziale per ottenere riduzioni: per esempio, se il bene presenta difetti e il concedente aveva garantito assistenza (vedi sezione successiva), l’utilizzatore potrebbe negoziare uno sconto sui canoni dovuto al minor valore d’uso.
- Invocare la nullità o l’inefficacia di clausole che escludono la responsabilità del concedente. Molti contratti contengono frasi tipo “il concedente non risponde dei danni indiretti o conseguenti”, “non garantisce la qualità del bene”. Queste clausole, se portate all’estremo, potrebbero essere considerate vessatorie (con consumatore) o comunque non applicabili a inadempimenti sostanziali del concedente. Ad esempio, la Cassazione ha affermato che la clausola che trasferisce i rischi sul conduttore non copre la fattispecie in cui il concedente non acquisti affatto il bene: in quel caso il rischio contrattuale è suo, non può invocare la clausola di esonero.
In pratica, i contenziosi dove l’utilizzatore fa causa alla società di leasing per inadempimento sono meno frequenti di quelli inversi, ma esistono. Un avvocato in tali casi deve impostare la strategia provando la colpa contrattuale del concedente e quantificando i danni. Potrebbe anche agire extra-contratto: ad esempio, se la condotta del concedente appare scorretta commercialmente, si può chiedere un risarcimento per responsabilità precontrattuale o per pratica commerciale scorretta (quest’ultima coinvolgerebbe di nuovo l’AGCM).
Difetti del bene concesso in leasing
Un caso classico che mette in difficoltà l’utilizzatore è quando il bene presentà vizi o difetti che ne compromettono l’utilizzo. Poniamo che l’utilizzatore abbia preso in leasing un macchinario industriale, ma dopo la consegna emergono gravi malfunzionamenti. L’utilizzatore vorrebbe smettere di pagare finché il macchinario non funziona a dovere. Tuttavia, il contratto di leasing tipicamente esclude la garanzia del concedente: essendo il concedente solo un finanziatore-proprietario “formale”, non ha mai neppure toccato il bene, e scarica la garanzia sul fornitore. Viene quindi pattuito che l’utilizzatore non può invocare nei confronti del concedente la garanzia per i vizi del bene, anche se ne rendono impossibile l’uso. Questa è la già citata clausola di inversione del rischio: tutti i rischi sul bene (compresi i vizi occulti, la non conformità, ecc.) sono a carico dell’utilizzatore.
Diritti dell’utilizzatore verso il fornitore – Per compensare tale situazione, nel contratto di leasing di solito il concedente trasferisce all’utilizzatore le azioni di garanzia verso il fornitore. In pratica, all’atto della consegna spesso l’utilizzatore firma un verbale in cui dichiara di accettare il bene e contestualmente il concedente gli dà mandato a far valere direttamente verso il fornitore i diritti di garanzia per vizi ed evizione. Ciò significa che l’utilizzatore può citare in giudizio il fornitore (venditore) chiedendo la riparazione o sostituzione del bene difettoso, o la risoluzione del contratto di fornitura. Di norma il fornitore non può opporre all’utilizzatore il fatto che il contratto di vendita era con la leasing e non con lui, perché appunto c’è questo collegamento e mandato.
Tuttavia, l’utilizzatore resta vincolato a pagare i canoni al concedente anche se nel frattempo il bene non funziona. Cosa può fare allora? Le strade possibili:
- Mettere in mora il fornitore subito, denunciando formalmente i vizi entro i termini di legge (art.1495 c.c. prevede 8 giorni dalla scoperta per denuncia, salvo patto diverso, e 1 anno per agire in giudizio). Il concedente di solito non interviene, ma a volte può affiancare l’utilizzatore nei confronti del fornitore perché comunque anche il concedente ha interesse che il bene sia funzionante (soprattutto se il valore residuo del bene crolla per il difetto).
- Agire giudizialmente contro il fornitore chiedendo: in primis la riparazione o sostituzione (se il bene è coperto da garanzia contrattuale o legale), oppure la risoluzione del contratto di vendita e il risarcimento. Attenzione: se viene risolto il contratto di vendita tra fornitore e concedente, automaticamente viene meno la causa del leasing (manca il bene da concedere), quindi anche il leasing dovrebbe sciogliersi. In pratica, però, la risoluzione del contratto di fornitura non è automatica, deve chiederla il concedente (che è formalmente la parte acquirente). L’utilizzatore in genere può chiedere al giudice una risoluzione trilaterale: rescindere sia il contratto di vendita sia quello di leasing, restituire il bene al fornitore e ottenere dal fornitore il rimborso delle somme pagate (che magari andranno girate al concedente per estinguere il debito). Soluzione complicata ma possibile in equità.
- Sospendere i pagamenti al concedente? – Tecnicamente, l’utilizzatore non ha un diritto di sospendere i canoni verso il concedente per vizi del bene, perché il concedente ha adempiuto comprando il bene e mettendolo a disposizione. Se l’utilizzatore smette di pagare, il concedente può legittimamente considerarlo inadempiente (con tutti i rischi). Tuttavia, in giudizio l’utilizzatore potrebbe opporre l’eccezione di inadempimento sostenendo che il concedente, essendo parte del collegamento contrattuale, doveva quantomeno cooperare per fornire un bene idoneo. Questa linea difensiva non sempre paga: la giurisprudenza ha spesso affermato che i due contratti (fornitura e leasing) restano distinti e che l’utilizzatore non può confondere i piani. Quindi sospendere i canoni è mosso molto rischiosa se non concordata.
- Coinvolgere il concedente: se il fornitore è inadempiente e non vuole riparare, l’utilizzatore può chiedere al concedente di attivarsi nei suoi confronti. Anche se il concedente scarica contrattualmente la questione, in virtù della buona fede potrebbe essere tenuto a supportare il cliente – quantomeno scegliendo fornitori affidabili. Se, per esempio, il fornitore fallisce e il bene ha vizi, l’utilizzatore rimane col cerino in mano. In alcuni casi di vizi gravi, si è tentato di chiamare in causa la responsabilità precontrattuale del concedente per aver acquistato un bene non idoneo: ma generalmente se il bene l’ha scelto l’utilizzatore, è difficile imputare colpe al concedente.
In conclusione, i difetti del bene in leasing rappresentano un grave punto debole per l’utilizzatore. Un avvocato, al momento di stipulare, può consigliare di inserire clausole a tutela (per esempio, prevedere espressamente il diritto dell’utilizzatore di sospendere i canoni in caso di mancata consegna o vizi gravissimi finché il bene non è funzionante, o depositare i canoni su un conto vincolato). Purtroppo, le società di leasing raramente accettano modifiche del genere. Nella gestione del contenzioso, l’avvocato valuterà se sia il caso di negoziare una soluzione: spesso conviene trovare un accordo con la società di leasing, ad esempio congelando i pagamenti per un certo periodo in attesa dell’esito della causa contro il fornitore, oppure concordando la sostituzione del bene con uno analogo funzionante. Va ricordato che se l’utilizzatore continua a pagare pur con il bene guasto, rischia di non vedere più quei soldi; se smette di pagare rischia la risoluzione e causa col concedente. Quindi ogni mossa va ponderata, magari cercando di ottenere dal concedente qualche “comprensione” (ad esempio, se il bene è inutilizzabile, il concedente stesso potrebbe avere interesse a risolvere anticipatamente il contratto riconsegnando il bene al fornitore e stornando parte dei canoni).
Risoluzione anticipata abusiva del leasing
Con “risoluzione anticipata abusiva” ci si riferisce a quei casi in cui il concedente risolve il contratto di leasing illegittimamente o con modalità non conformi alla legge o al contratto. Dalla prospettiva dell’utilizzatore, si tratta di contestare la validità o legittimità della risoluzione dichiarata dal concedente. I possibili scenari includono:
- Risoluzione affrettata senza grave inadempimento: ad esempio, il concedente invoca la clausola risolutiva dopo uno o due canoni non pagati, quando la legge (se applicabile) ne richiede quattro o sei. In tal caso, l’utilizzatore può eccepire che la risoluzione è inefficace perché il presupposto del grave inadempimento non sussiste. Per i contratti soggetti alla L.124/2017, questa difesa è forte: qualunque risoluzione attivata prima del raggiungimento della soglia legale è da considerare nulla/illegittima. In giudizio, l’utilizzatore chiederebbe al tribunale di accertare che il contratto è ancora in essere e magari offrirebbe immediatamente di pagare le rate arretrate (più interessi) per sanare la morosità leggera. La Cassazione ha, prima della riforma, talvolta considerato risoluzioni “troppo facili” come contrarie a buona fede se l’inadempimento non era realmente grave, ma con la legge nuova c’è un parametro chiaro.
- Mancata messa in mora e risoluzione d’imperio: il codice civile richiede per la risoluzione spesso una diffida ad adempiere o comunque un atto che dia contezza al debitore. Se il concedente risolve senza dare il preavviso contrattualmente previsto (es. se contrattualmente doveva dare 15 giorni dopo una rata scaduta, e invece risolve immediatamente), l’utilizzatore può sostenere che la risoluzione è inefficace perché anticipata rispetto ai termini pattuiti. Anche in assenza di una clausola di preavviso, è buona norma che il concedente solleciti il pagamento. Se non lo fa affatto e agisce drasticamente, l’utilizzatore può invocare l’art.1375 c.c. (esecuzione in buona fede) dicendo: “mi avete risolto il contratto senza nemmeno avvisarmi, quando magari avrei potuto pagare con qualche giorno di ritardo”. Questo potrebbe influire sulle decisioni del giudice, specialmente se l’inadempimento era lieve e tempestivamente sanabile.
- Abuso di diritto nel pretendere l’intero debito: collegato al caso sopra, se la risoluzione è stata affrettata solo per far scattare la clausola penale (tutte le rate a scadere + riscatto), l’utilizzatore può far notare l’intento del concedente di “guadagnare” dalla risoluzione. Ad esempio, se era già stato pagato l’80% del valore, e mancano poche rate, risolvere per 1 rata scaduta potrebbe sembrare solo un pretesto per incamerare il bene e rivenderlo. Questo comportamento potrebbe essere qualificato come contrario a buona fede contrattuale. In alcune decisioni si parla di uso distorto della risoluzione.
- Risoluzione non formalizzata adeguatamente: se il contratto richiede, per la risoluzione, una comunicazione scritta a mezzo raccomandata, e la società si limita a telefonare o inviare una PEC non valida, l’utilizzatore potrebbe contestare che formalmente la risoluzione non è avvenuta secondo le modalità pattuite.
Conseguenze della risoluzione illegittima – Se l’utilizzatore riesce a far valere che la risoluzione era illegittima, può ottenerne la non efficacia o la nullità. In tal caso, teoricamente il contratto sarebbe ancora in corso. Tuttavia, spesso, nel frattempo, il concedente ha ripreso il bene e magari lo ha venduto a terzi. Quindi, si crea una situazione di fatto complicata. Tipicamente, in giudizio l’utilizzatore che dimostra l’illegittimità della risoluzione chiederà un risarcimento danni. I danni possono consistere in: restituzione di parte dei canoni pagati (se ha perso il bene e ha pagato troppo), perdita di chance (es. l’impresa non ha potuto utilizzare il macchinario e ha perso commesse), eventuale differenza se il bene è stato venduto sottoprezzo.
Un caso particolare è il seguente: lo studio legale Cass. 25825/2022 ha riguardato un leasing immobiliare risolto anticipatamente su accordo delle parti, poi però il leasing ha venduto l’immobile a prezzo diverso e il conduttore ha contestato le somme. Senza entrare nei dettagli, l’ordinanza Cass. 25825/2022 ha ribadito che anche quando le parti risolvono anticipatamente, bisogna applicare i principi del patto marciano o dell’art.1526 c.c. se applicabile, per evitare arricchimenti del concedente. Dunque, se il concedente incassa più del dovuto dalla vendita, deve restituire la differenza all’utilizzatore. Ciò vale a maggior ragione in caso di risoluzione unilaterale illegittima: il concedente dovrà rendere l’eccedenza e potrebbe dover rifondere ulteriori danni.
Cosa fare in pratica – L’avvocato del debitore, se ritiene la risoluzione non conforme, potrà:
- Scrivere immediatamente al concedente contestando la risoluzione, affermando che il contratto è ancora valido e offrendo se del caso l’adempimento (pagamento delle rate scadute). Questa riserva è importante per non far passare la condotta come accettata supinamente.
- Se il bene non è stato ancora ripreso, diffidare la società di leasing dal procedere, minacciando azioni legali.
- Se il bene è già stato riposseduto, chiedere conto della vendita futura; se il bene è già stato venduto, chiedere i conteggi.
- Agire in giudizio con un’azione di accertamento e risarcimento: il giudice valuterà se la risoluzione era valida. In alcuni casi, se il leasing non era molto in arretrato, i giudici possono convertire la risoluzione in una risoluzione giudiziale con rimedi equitativi: per esempio, può dichiarare risolto il contratto ma applicare l’art.1526 c.c. analogicamente anche se il concedente non voleva (questo capita per leasing vecchi non soggetti alla legge nuova). Così l’utilizzatore ottiene comunque il rimborso di quanto eccede.
Va ricordato che dopo la L.124/2017, l’onere della prova del grave inadempimento è facilitato: basta contare le rate non pagate. Quindi per contratti nuovi c’è meno spazio di discussione. Per contratti precedenti, entrava in gioco la valutazione caso per caso se l’inadempimento fosse grave. In materia di leasing traslativo, la Cassazione ha costantemente ritenuto manifestamente eccessiva la penale che consente al concedente di ottenere sia i canoni maturati sia il bene. Dunque, se il concedente abusa della risoluzione per incamerare tutto, quella penale verrà ridotta (art.1384 c.c.) anche se formalmente la risoluzione è efficace. Ad esempio, Cass. SU 26531/2021 ha definito “manifestamente eccessiva” la clausola penale che permette al concedente, dopo la risoluzione, di trattenere tutti i canoni incassati pur riottenendo il bene. Il giudice deve quindi ridurre tale penale, assicurando che il concedente riceva al massimo l’equo compenso per l’uso e il risarcimento dell’eventuale mancato guadagno, ma non di più.
In definitiva, contestare con successo una risoluzione anticipata richiede tempestività e prove. Un avvocato può aiutare a dimostrare, ad esempio, che i mancati pagamenti non erano così gravi o che sono dipesi da causa non imputabile all’utilizzatore (magari pagamenti bloccati da eventi straordinari – si pensi ai provvedimenti Covid che sospendevano le rate). Durante la pandemia COVID-19, infatti, ci sono state moratorie legislative su mutui e leasing per alcuni soggetti: se il concedente avesse ignorato la moratoria e risolto lo stesso, l’utilizzatore avrebbe certamente avuto ragione a opporsi.
Penali sproporzionate e altre clausole sanzionatorie
Nei contratti di leasing è usuale trovare una clausola penale che quantifica forfettariamente il risarcimento del danno a carico dell’utilizzatore in caso di risoluzione per inadempimento. Tipicamente, la penale consiste nell’obbligo di pagare in un’unica soluzione tutti i canoni a scadere, scontati al tasso contrattuale, meno il valore di recupero del bene (di solito pari al prezzo di riscatto se la risoluzione avviene a scadenza naturale). In aggiunta, l’utilizzatore perde il diritto all’opzione di acquisto. In altri casi la penale è formulata come “mancato guadagno” del concedente: ad esempio, una percentuale su tutti i canoni residui per remunerare il capitale investito. Si aggiungono eventuali spese (periti, legali, custodia) e imposte.
Il problema della duplicazione – Spesso, sommare penale + trattenimento canoni già pagati + recupero del bene portava il concedente a ricavare più di quanto avrebbe ottenuto se il contratto fosse andato a termine regolarmente. Questa era la critica principale della giurisprudenza: il concedente non può avere un vantaggio dalla risoluzione. La sanzione per penali eccessive è la riduzione ex art.1384 c.c. ad opera del giudice, d’ufficio o su istanza di parte, se la penale è manifestamente eccessiva rispetto all’interesse del creditore. Nel leasing traslativo, come già detto, la Cassazione considera eccessiva una penale che permetta al concedente di incamerare sia i canoni sia il bene. Occorre allora ridurla fino a equità.
Evoluzione recente – La Cassazione Sez. Unite 30/09/2021 n.26531 (ordinanza) ha ribadito che la penale che lascia al concedente la proprietà del bene e tutti i canoni versati è “manifestamente eccessiva”, generando un indebito vantaggio (cumulo di canoni e valore residuo). Quindi va ridotta. Successive pronunce (Cass. 10249/2022; Cass. 27133/2022) hanno applicato questi principi: nel fallimento dell’utilizzatore, il concedente che chiedeva l’intera penale ha dovuto dimostrare il valore ricavato dal bene per dedurlo dal credito. In sostanza, oggi è pacifico che il giudice deve verificare gli importi: se la somma di canoni già incassati + bene ripreso + ulteriore penale supera il danno effettivo, la penale va limata fino a un livello equo. Il criterio equitativo coincide con quello introdotto dalla L.124/2017: concedente recupera il capitale impiegato e l’equo compenso d’uso, niente di più.
Altre clausole sanzionatorie possono essere:
- Interessi di mora molto elevati (che fungono da penale per ritardo, vedi sopra la parte su usura: se troppo alti possono essere ridotti o dichiarati nulli).
- Clausola di accelerazione: nel leasing c’è spesso la decadenza dal beneficio del termine, cioè se l’utilizzatore ritarda, il concedente può esigere subito tutti i canoni futuri. Questa è simile a una penale (perché anticipa il pagamento integrale). Anche questa può essere moderata se applicata a inadempimento lieve (oggi ripetiamo, con la soglia di gravità, almeno 4 canoni).
- Maxi-canone non restituito: alcuni contratti prevedono che l’anticipo (maxicanone) versato dall’utilizzatore all’inizio resti acquisito al concedente a titolo di indennità in caso di risoluzione. Questa pattuizione, se l’anticipo è molto alto, di fatto è un arricchimento: va valutata come clausola penale anche essa. In molti casi i giudici han stabilito che il maxicanone deve essere comunque incluso nel conteggio e restituito pro quota se eccede il danno.
- Penale per mancato riscatto: raramente, in alcuni leasing immobiliari, c’erano clausole che penalizzavano l’utilizzatore se non esercitava l’opzione (tipo: se restituisci il bene invece di comprarlo, paghi una penale). Questa sarebbe quasi certamente nulla o riducibile, perché impedisce di fatto la libertà di non acquistare. Oggi non comune.
Come agire su penali sproporzionate – L’avvocato del debitore ha vari strumenti:
- Chiedere al giudice la riduzione della penale ex art.1384 c.c. evidenziandone la manifesta eccessività. Già in comparsa di risposta, si può quantificare: ad es. “la penale contrattuale ammonterebbe a €100.000 a fronte di un danno effettivo di €20.000, se pure; va quindi ridotta”.
- Se c’è un fallimento o una procedura concorsuale, contestare l’insinuazione del concedente invocando l’applicazione analogica dell’art.1526 c.c.: la Cass. 27133/2022 ha confermato che in caso di leasing risolto prima del fallimento, il credito del concedente è solo quello risultante dopo aver detratto il ricavato dal bene, e deve insinuarsi per la differenza.
- Trattativa: spesso le società di leasing sono consapevoli di questi limiti, per cui in sede di negoziazione col debitore possono accettare una somma transattiva invece di pretendere la penale piena. Ad esempio, se contrattualmente vorrebbero 50k ma sanno che in giudizio gliene darebbero forse 20k, possono accordarsi per 30k subito.
- Verificare la corretta pattuizione: se per ipotesi la clausola penale non fosse stata firmata ex 1341 (caso raro), l’utilizzatore professionista potrebbe dire che non è efficace. Nel consumer, potrebbe dirsi vessatoria se “manifestamente eccessiva” ex art.33: l’all. f qualifica vessatorie le penali eccessivamente elevate a carico del consumatore. Quindi un consumatore può direttamente chiederne la nullità parziale per legge, oltre che la riduzione giudiziale.
Un argomento di sostegno è far presente che la legge 2017 ormai funge da parametro di riferimento anche per i contratti precedenti. Infatti, Cass. 3930/2024 ha affermato che, ancorché un contratto fosse antecedente, il giudice non può ignorare del tutto la nuova disciplina come indice della misura equa del risarcimento. Quindi, se un leasing del 2016 aveva clausole difformi, il giudice del 2024 tenderà ad applicare gli stessi principi del comma 138 L.124/2017: nessun ingiusto profitto al concedente. Quindi una penale che ignori la vendita del bene è automaticamente da ridurre, perché oggi c’è una norma che lo imporrebbe.
Pubblicità ingannevole e pratiche commerciali scorrette nei leasing
La fase precontrattuale è cruciale: l’utilizzatore spesso decide di sottoscrivere un leasing in base a informazioni fornite dall’intermediario o dal fornitore (quando c’è convenzione). Ci sono stati casi in cui la pubblicità o le brochure di leasing si sono rivelate fuorvianti. Ad esempio:
- Offerte di leasing auto “tan 0%” che però non evidenziano un elevato costo finale o oneri accessori che portano il TAEG al 5-6%. Il consumatore viene attratto dal “tasso zero” ma poi paga commissioni, maxi-rata o riscatto oneroso.
- Promesse di deducibilità fiscale enfatizzate senza chiarire le condizioni: per dire “col leasing hai vantaggi fiscali!” (vero, ma vanno rispettati certi limiti di durata minima per la deducibilità, altrimenti l’Agenzia delle Entrate recupera imposte).
- Claim del tipo “leasing anche se protestato” o simili che nascondono tassi altissimi o richieste di garanzie anomale.
- Omessa indicazione che certe spese sono a carico dell’utilizzatore: per esempio, qualche società di leasing in passato pubblicizzava canoni bassi ma non menzionava che occorreva stipulare (a proprie spese) una polizza assicurativa costosa tramite loro.
Tutto ciò rientra nelle pratiche commerciali scorrette, vietate dagli artt. 20-23 Codice del Consumo. L’AGCM vigila anche su questo. Se un consumatore si ritiene ingannato, può fare segnalazione. Ad esempio, nel 2020 l’AGCM ha sanzionato pubblicità di auto in leasing/noleggio che indicavano un canone mensile molto basso ma con un asterisco poco chiaro sulle condizioni (anticipo elevato, chilometraggio limitato, ecc.), ritenendo che fosse omissione ingannevole.
Dal punto di vista dell’avvocato, se il cliente afferma “mi avevano detto X e invece è Y”, bisogna:
- Recuperare materiale pubblicitario, preventivi scritti, email del promotore, ecc.
- Verificare se c’è scarto tra promesse e contratto finale: se sì, valutare un’azione per annullamento per dolo/incidente, o per responsabilità precontrattuale.
- Una strada efficace è appunto la segnalazione all’AGCM: oltre a fermare la pratica per altri, spesso porta a un intervento che può giovare al singolo. L’AGCM può anche imporre alla società di rimborsare i clienti danneggiati dalla pratica scorretta (capitato in casi di finanziamenti con polizze non richieste).
Ad esempio, un caso concreto (simulato): Mario vede la pubblicità “Leasing auto zero anticipo e tan 0%”. Firma il contratto, poi scopre che c’è una commissione di intermediazione e un valore residuo gonfiato che porta il costo effettivo al 6%. In tal caso, Mario potrebbe contestare che la società ha violato l’obbligo di trasparenza e correttezza: potrebbe intimare la rinegoziazione del contratto alle condizioni pubblicizzate, oppure minacciare di recedere per malafede precontrattuale. Legalmente, non è semplice uscire da un leasing per pubblicità ingannevole, ma si può chiedere la risoluzione per vizio del consenso (errore/dolo) se si dimostra che senza quella falsa rappresentazione Mario non avrebbe concluso o avrebbe concluso a diverse condizioni. Si tratta di controversie delicate (bisogna provare l’elemento soggettivo), quindi spesso meglio percorrere la via dell’accordo transattivo: la società, per evitare grane, potrebbe offrire un taglio alle spese o un tasso ridotto.
Un’altra pratica scorretta può essere quella di forzare la mano in fase di firma, ad esempio non lasciando copia del contratto all’utilizzatore prima della firma o non consentendogli di farlo leggere con calma. Se succede, potrebbe configurare una violazione del TUB (che prevede consegna di copia completa del contratto prima della conclusione). In estremo, se un consumatore firma senza aver potuto leggere, può denunciare l’accaduto e tentare di far dichiarare nullo il contratto per violazione di norme imperative (ma è un rimedio residuale, difficile da ottenere se poi ha usufruito del bene).
In sintesi, l’utilizzatore che si sente “raggirato” sulle condizioni del leasing dovrebbe subito consultare un legale per valutare le opzioni: spesso, la soluzione è una mediazione in cui si chiede una modifica delle condizioni (ad es. eliminare costi nascosti) pena l’avvio di azioni legali e segnalazioni. Le società di leasing tengono molto alla reputazione, specie se si tratta di grandi gruppi bancari, quindi un reclamo ben argomentato può portare a un gesto conciliativo.
Rinegoziazione del contratto di leasing e soluzioni alternative
Non sempre il rapporto di leasing deve concludersi con un contenzioso: in molti casi, l’utilizzatore in difficoltà può cercare una rinegoziazione del contratto con il concedente. A differenza dei mutui bancari (dove esistono strumenti normativi come la surroga o la rinegoziazione ex lege), per il leasing non vi è un diritto del debitore alla modifica delle condizioni, ma nulla vieta alle parti di accordarsi per adattare il contratto a nuove esigenze. Dal punto di vista legale, la rinegoziazione si configura come una novazione parziale o un accordo modificativo del contratto originario, che richiede il consenso di entrambe le parti.
Quando valutare la rinegoziazione:
- Difficoltà finanziarie temporanee dell’utilizzatore: se l’impresa utilizzatrice attraversa un periodo di crisi di liquidità ma prevede ripresa, può chiedere una dilazione dei pagamenti (rescheduling). Ad esempio, trasformare alcuni canoni mensili in canoni finali più lunghi, o concordare un periodo di moratoria (sospensione) sui pagamenti. Durante la pandemia COVID-19, per esempio, il governo è intervenuto con moratorie che includevano i leasing: il “Cura Italia” (D.L. 18/2020) e successivi provvedimenti permisero alle PMI di sospendere fino a 12 mesi i canoni leasing, spostandoli in coda senza penali. Molte società di leasing hanno aderito volontariamente a queste misure. Fuori da contesti emergenziali, un debitore può comunque chiedere una sospensione concordata (magari pagando solo interessi per un periodo).
- Tasso di interesse non più competitivo: se il leasing ha un tasso fisso alto rispetto al mercato attuale, l’utilizzatore può provare a chiedere un ribasso (specie se il contratto è ancora lungo e il concedente rischierebbe di perderlo per risoluzione anticipata). In concorrenza coi mutui, a volte le società di leasing preferiscono ridurre il tasso piuttosto che vedere il cliente cercare altrove finanziamenti per riscattare anticipatamente.
- Modifica della durata o dei beni: ad esempio, l’utilizzatore si rende conto che avrebbe bisogno di usare il bene più a lungo: può proporre di allungare la durata del leasing riducendo i canoni (questo però incide sul regime fiscale di deducibilità, attenzione a restare nei limiti di legge di durata minima). Oppure può chiedere di sostituire il bene con un modello diverso (questo di solito si fa chiudendo un leasing e aprendone un altro, più che modificando, ma in alcuni contratti flessibili è previsto lo swap del bene).
- Trasferimento dell’azienda o ramo: se l’utilizzatore vende l’azienda o un ramo, potrebbe aver necessità di cedere il contratto di leasing al subentrante. La cessione del contratto di leasing richiede il consenso del concedente (che valuterà l’affidabilità del nuovo utilizzatore). L’accordo di rinegoziazione in questo caso consiste in una presa in carico da parte del nuovo soggetto, con liberazione (spesso non totale) del primo utilizzatore. È importante formalizzare questo passaggio per evitare che il cedente resti garante inconsapevole.
Come procedere – La rinegoziazione va affrontata per via stragiudiziale, preferibilmente con l’assistenza di un legale o di un consulente che parli con la società di leasing. Alcuni consigli pratici:
- Preparare un piano: ad esempio, se l’obiettivo è ridurre la rata, proporre di allungare il contratto di X mesi o di mettere un maxi-canone finale; se serve liquidità immediata, proporre di sospendere 3 canoni e spostarli a fine contratto con interessi; se il tasso è alto, mostrare i tassi correnti di mercato e far leva sul fatto che il cliente potrebbe rifinanziarsi altrove.
- Valutare i costi implicati: la società di leasing potrebbe chiedere delle commissioni per rinegoziare (ad es. spese amministrative, notaio se c’è di mezzo ipoteca su bene immobile, ecc.). L’avvocato può trattare anche su questo, cercando di limitarli.
- Formalizzare l’accordo con una scrittura integrativa al contratto di leasing, da firmare con le stesse formalità (se il contratto originario era notarile – capita nei leasing immobiliari – anche l’atto modificativo va fatto dal notaio).
Opzioni alternative – Se il concedente non è disponibile a rinegoziare, l’utilizzatore ha poche strade: potrebbe cercare di rifinanziare il debito altrove (ad esempio ottenere un mutuo bancario per pagare il leasing in anticipo riscattando il bene). Tuttavia, l’estinzione anticipata del leasing di solito comporta il pagamento di tutti i canoni residui scontati + il prezzo di riscatto, quindi conviene solo se il tasso leasing è altissimo e la banca offre molto di meglio. Inoltre, spesso nei contratti c’è un’indennità per estinzione anticipata volontaria (ad es. 1% sul debito residuo). Va calcolato il costo effettivo.
Un’altra via è la cessione del contratto a terzi interessati al bene: magari un altro imprenditore è disposto a subentrare. In questo caso, convincere la società di leasing può essere più facile, perché non ci rimette nulla (anzi, se il nuovo cliente è più solido, è contenta). Spesso però viene richiesto al cedente di fare da garante per qualche tempo.
Esempio pratico: Alfa Srl ha un leasing per un macchinario, ma la produzione cala e non riesce a pagarne le rate. Chiede alla società di leasing di rivedere il contratto. La società potrebbe proporre: “Facciamo che per 6 mesi paghi solo interessi, poi riprendi con i canoni maggiorati di un tot per recuperare”. Oppure: “Allunghiamo di 1 anno la durata, così la rata mensile scende del 20%”. L’avvocato di Alfa negozierà la soluzione più sostenibile e la metterà per iscritto. Questo accordo potrebbe includere anche rinunce: es. Alfa rinuncia a eventuali contestazioni su interessi usurari o altro, in cambio della rinegoziazione (clausole di waiver che spesso le società inseriscono per tutelarsi da future liti).
Bisogna fare attenzione a non firmare accordi che contengano rinunce eccessive senza ponderare – è qui che serve il legale, per spiegare al cliente cosa sta concedendo.
Moratoria e ristrutturazione del debito – Se l’utilizzatore è in crisi conclamata, potrebbe ricorrere a strumenti come il piano di risanamento o accordo di ristrutturazione ex art.182-bis L.F. (ora Codice della crisi). In tali procedure, i leasing possono essere rinegoziati in massa con tutti i creditori. Ad esempio, l’azienda in concordato preventivo può proporre di continuare i leasing riducendo però i canoni o restituendo alcuni beni. Questi scenari esulano dalla presente trattazione, ma vanno citati: l’avvocato dovrà coordinarsi con gli esperti della crisi d’impresa per includere i contratti di leasing nel piano di risanamento.
In conclusione, rinegoziare è quasi sempre preferibile al contenzioso se c’è spazio: il concedente di solito preferisce evitare morosità lunghe e cause, e l’utilizzatore preferisce non perdere il bene e pagare troppi interessi di mora. Un accordo ben costruito può salvare il rapporto. Naturalmente, se la controparte rifiuta e la situazione degenera, si potrà tornare ai rimedi legali descritti nelle sezioni precedenti.
FAQ – Domande frequenti
D: Ho scoperto che il TAEG (ISC) del mio contratto di leasing è molto più alto di quanto dichiarato inizialmente. Posso fare qualcosa?
R: Sì. Innanzitutto verifica se nel contratto o nel documento di “Informazioni europee di base sul credito” (SECCI) è indicato un TAEG inferiore a quello reale. Se ci sono costi nascosti non calcolati, potrebbe configurarsi una violazione della trasparenza. Per un consumatore, ciò può costituire una pratica commerciale scorretta o portare alla nullità delle clausole relative ai costi non indicati. Puoi inviare un reclamo scritto alla società di leasing chiedendo la rettifica dei conteggi e la riduzione dei costi agli importi comunicati inizialmente. In caso di rifiuto, puoi rivolgerti all’Arbitro Bancario Finanziario (se competente per leasing, alcuni ABF ammettono i leasing di consumo) o all’AGCM per pratica scorretta. Giudizialmente, si può invocare l’art.117 TUB: se un tasso o costo obbligatorio non era stato indicato correttamente, il giudice può dichiarare nulla la clausola e applicare il tasso sostitutivo (di solito il tasso minimo BOT per i contratti bancari). Ciò potrebbe comportare un rimborso di parte degli interessi pagati. È fondamentale far analizzare il contratto da un esperto, perché il calcolo del TAEG può essere complesso e soggetto a interpretazioni (ad es. inclusioni di assicurazioni facoltative, ecc.).
D: Posso recedere anticipatamente da un contratto di leasing?
R: Il leasing finanziario, a differenza del noleggio, di norma non prevede un diritto di recesso unilaterale dell’utilizzatore prima della scadenza. Se decidi di interrompere anticipatamente, devi negoziare con il concedente una risoluzione consensuale. Questo comporterà in genere il pagamento di una somma a saldo: di solito tutti i canoni scaduti non pagati, più una percentuale dei canoni a scadere (o la differenza tra il debito residuo e il ricavato stimato dalla vendita del bene). Molti contratti prevedono già una formula per il calcolo in caso di estinzione anticipata su richiesta dell’utilizzatore (es.: pagamento del valore attuale dei canoni residui più riscatto, con penale dell’1-2%). Quindi non è un recesso “gratuito” ma un recesso oneroso. Prima di muoverti, controlla il contratto alla voce “Risoluzione anticipata su richiesta dell’utilizzatore” o simili. Se il contratto tace, tutto è rimesso all’accordo: contatta la società di leasing, spiega le tue motivazioni (ad esempio non utilizzi più il bene, o puoi restituirlo in ottime condizioni), e cerca di ottenere un conteggio di estinzione. Puoi anche proporre tu un acquirente per il bene (magari trovi qualcuno interessato a subentrare nel leasing o acquistare il bene): se la società di leasing riesce a vendere subito il bene a un prezzo buono, potrebbe ridurre l’importo che ti chiede. Ricorda però: senza accordo, se smetti di pagare sarai considerato inadempiente con tutte le conseguenze (segnalazioni, decreto ingiuntivo, ecc.). In sostanza, l’utilizzatore non ha un diritto potestativo di uscire dal leasing, ma quasi sempre le società sono disposte a chiudere anticipatamente, a patto di non rimetterci economicamente. Valuta i costi e confrontali con i benefici (ad es., se il bene non ti serve più e lasciarlo fermo ti costa manutenzione, potrebbe convenire pagare una penale e liberartene comunque).
D: Cosa succede se pago qualche giorno in ritardo il canone leasing?
R: In molti contratti, il ritardo di pochi giorni non fa scattare immediatamente la risoluzione, ma comporta interessi di mora per i giorni di ritardo. Spesso c’è una soglia di tolleranza (es. 5-10 giorni) prima di considerare la rata “mancata”. Controlla il contratto: se c’è una clausola risolutiva, essa di solito prevede la risoluzione dopo un tot di giorni dal mancato pagamento, previa messa in mora. Quindi se paghi con 5 giorni di ritardo, in genere dovrai solo gli interessi moratori per quei giorni (calcolati al tasso di mora contrattuale, es. tasso annuo del 10% -> circa 0,027% al giorno). Pagando, eviti la risoluzione. Se però i ritardi diventano frequenti (anche se sempre brevi), la società potrebbe avvisarti formalmente. Legalmente, con la L.124/2017 applicabile, un singolo canone non pagato non può motivare risoluzione immediata. Piuttosto, accumulare ritardi potrebbe riflettersi su segnalazioni in centrale rischi se scatta un “past due” di 30+ giorni su importo rilevante. Quindi cerca di non superare mai i 30 giorni di ritardo. In sintesi: qualche giorno di ritardo comporta interessi di mora; risoluzione e decadenza del termine scattano solo se il ritardo permane o se hai pattern di insoluti gravi (4 mensilità arretrate, non necessariamente consecutive, per i leasing mobili post-2017). Attenzione: se hai emesso RID/SEPA e va insoluto, alcune società addebitano una commissione di insoluto (es. 20-50 €) oltre agli interessi: verifica sul contratto se prevista e contestala se appare eccessiva (talvolta sono spese generiche che puoi negoziare).
D: Il bene in leasing si è rotto/non funziona bene. Posso sospendere i pagamenti finché non viene riparato?
R: Questa è una situazione difficile per l’utilizzatore. In linea di principio, no, non puoi sospendere i pagamenti unilateralmente, perché il contratto di leasing di solito dice che i canoni sono dovuti anche se il bene ha difetti. La società di leasing infatti non garantisce il bene: devi rivolgerti al fornitore per le riparazioni in garanzia. Sospendere i pagamenti verso la leasing ti esporrebbe al rischio di risoluzione per morosità. Cosa puoi fare allora? Intanto, notifica subito per iscritto sia al fornitore sia, per conoscenza, al concedente, i difetti riscontrati, chiedendo intervento in garanzia. Se il fornitore tarda o non risolve, sollecitalo legalmente (anche tramite avvocato). Puoi informare la società di leasing della situazione e chiedere loro di farsi parte attiva col fornitore (talvolta le aziende grandi hanno più potere nel pretenderlo). In alcuni casi, se il bene è del tutto inutilizzabile e il fornitore non collabora, puoi avviare un’azione legale chiedendo la risoluzione del contratto di fornitura e, di riflesso, del leasing: ma è un esito estremo e lungo. Nel frattempo, potresti proporre alla società di leasing una soluzione temporanea: ad esempio, depositare i canoni dovuti su un conto vincolato (escrow) invece di pagarli a loro, in attesa della riparazione, così dimostri buona fede senza rinunciare ai tuoi soldi – tuttavia questo richiede l’accordo della società. Se sospendi del tutto senza accordo, rischi davvero grosso. Valuta anche coperture assicurative: molti leasing includono polizze per guasto o fermo tecnico, verifica se applicabili. In breve: paga i canoni se puoi, e recupera dopo gli eventuali danni dal fornitore. Se proprio non vuoi pagare, metti in conto di dover combattere sia con il fornitore che con la leasing in sede giudiziale, il che è complesso. Ogni caso va valutato a parte con un legale.
D: La società di leasing ha ceduto il contratto (il credito) a una società terza. Cosa cambia per me?
R: Spesso le banche/leasing cedono i crediti (anche in blocco) a veicoli finanziari o società di recupero. Se paghi regolarmente, cambia poco: dovrai solo eventualmente indirizzare i pagamenti al nuovo cessionario (ti arriverà comunicazione formale). La cessione dei crediti in blocco è ammessa ex art.58 TUB e non richiede il tuo consenso, ma per legge dev’essere pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale per essere efficace. Quindi, verifica che sia stata pubblicata (di solito lo fanno). Dal momento della cessione, il nuovo creditore subentra nei diritti del concedente originario: potrà incassare i canoni e, in caso di tuo inadempimento, agire per risoluzione. I diritti dell’utilizzatore rimangono invariati. Se avevi contestazioni in corso con il vecchio concedente, potrai (anzi dovrai) riproporle al nuovo (che ne è a conoscenza in base ai documenti di cessione). In particolare, se la cessione avviene dopo la risoluzione e riguarda crediti residui, il cessionario non può pretendere più di quanto poteva il cedente: ad esempio, se hai diritto a uno sconto perché la penale è eccessiva, questo opporrai. Un dettaglio: verifica se il contratto vietava la cessione senza tuo consenso – talvolta c’è scritto ma in realtà la legge consente lo stesso la cessione dei crediti. Al massimo, potresti contestare la cessione del contratto intero (in teoria il nuovo soggetto diventa il tuo locatore, non solo creditore): se ciò ti crea pregiudizio (es. nuovo soggetto è meno affidabile per assistenza), potresti avere argomenti per opporre eccezioni. Sono casi di nicchia: di solito contano solo se la cessione avviene a società estere fuori UE (problemi di GDPR?) o simili. In generale, per te l’importante è sapere a chi pagare e mantenere le ricevute dei pagamenti così da non subire richieste doppie. Chiedi sempre conferma scritta e aggiornamento del piano dal nuovo creditore, per verificare eventuali discrepanze (errori nei conteggi durante il trasferimento).
D: Sono un garante/fideiussore di un contratto di leasing: ho le stesse tutele dell’utilizzatore?
R: In parte. Il garante (spesso richiesto per leasing a nuove imprese o a persone fisiche con poco merito creditizio) risponde del debito del leasing se l’utilizzatore non paga. Può succedere che la società di leasing, invece di aggredire subito i beni del debitore, si rivolga a te garante per i pagamenti mancati. Tu come garante puoi opporre al creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, tranne quelle personali di quest’ultimo (art.1945 c.c.). Ciò significa che se, ad esempio, la clausola penale è nulla o eccessiva, lo puoi far valere; se il contratto è non valido o risolto illegittimamente, anche tu ne benefici. Se il debitore principale ha diritto a riduzione del debito per qualsiasi ragione, anche il tuo obbligo si riduce. In pratica, hai le stesse difese legali sul merito del contratto. Non hai invece i “privilegi” personali: ad esempio, se l’utilizzatore è un consumatore e tu garante sei un’altra società, tu non puoi invocare la nullità di una clausola per vessatorietà in proprio, ma solo in quanto rende nullo l’obbligo principale. Attenzione: le fideiussioni a prima richiesta nei leasing a volte prevedono la rinuncia alle eccezioni ex art.1945; ciò è discutibile e in caso di abuso (es. clausole contrarie a norme imperative) potresti comunque opporle. Se sei un garante-consumatore di un leasing stipulato da una società (caso tipico: amministratore che garantisce leasing dell’azienda), sappi che alcune recenti sentenze hanno esteso ai garanti consumatori la tutela del Codice del Consumo per clausole abusive legate al contratto principale se il loro impegno è “collegato” ad un’operazione di consumo. È un terreno scivoloso e non uniforme in giurisprudenza. In linea di massima, come garante devi stare attento agli atti: se arriva un decreto ingiuntivo, devi opporti entro 40 giorni come farebbe il debitore, con l’assistenza legale, sollevando tutte le questioni possibili (usura, anatocismo, ecc.). Non pagare supinamente perché poi potresti rivalerti sul debitore, ma se questi era in crisi rischi di restare con il cerino. Meglio collaborare con il debitore principale e il suo avvocato per una strategia comune.
Simulazioni pratiche: casi di difesa del debitore
Di seguito presentiamo alcuni casi pratici simulati per illustrare come un debitore-utilizzatore, assistito dal suo avvocato, può difendersi efficacemente in diverse situazioni tipiche relative a contratti di leasing. Ogni caso considera esclusivamente il diritto italiano vigente.
Caso 1: Leasing auto “tasso zero” con costi nascosti
Scenario: Mario, consumatore, nel 2024 sottoscrive un leasing per un’autovettura pubblicizzato come “TAN 0%, nessun anticipo, 299 € al mese”. Al momento della firma, Mario nota che il contratto include un costo di istruttoria finanziaria di 1.000 €, obbligo di assicurazione furto/incendio annuale tramite la leasing per 600 €, e un prezzo di riscatto di 15.000 € (pari a circa il 50% del valore dell’auto). Questi elementi non erano chiaramente indicati nella pubblicità né spiegati adeguatamente dal venditore auto. Dopo aver pagato qualche canone, Mario realizza che il costo effettivo del leasing è ben superiore a quanto credesse – il TAEG calcolato ex post risulta ~8%. Mario si rivolge a un avvocato chiedendo se può uscire dal contratto o ottenere condizioni migliori.
Azione dell’avvocato: In primo luogo, l’avvocato verifica i documenti: il messaggio pubblicitario e il preventivo consegnato a Mario (se c’è). Riscontra che la pubblicità ometteva di indicare il TAEG e il prezzo di riscatto, presentando un’immagine incompleta dell’offerta. Questo potrebbe configurare una pratica commerciale scorretta (pubblicità ingannevole per omissione di informazioni essenziali). L’avvocato prepara quindi un reclamo formale alla società di leasing e, per conoscenza, al concessionario auto che ha promosso l’offerta, contestando la violazione degli artt. 21-22 Codice del Consumo. Nel reclamo chiede: (a) la rinegoziazione del contratto a condizioni più favorevoli per allinearlo alle aspettative create (es. eliminazione del costo istruttoria e riduzione del prezzo di riscatto), (b) in subordine, la risoluzione del contratto senza penali con restituzione dell’auto, e (c) minaccia, in mancanza di accordo, di segnalare il caso all’AGCM e adire vie legali. Contestualmente, l’avvocato calcola anche la violazione della trasparenza bancaria: la mancata evidenza di TAEG e costi potrebbe integrare una violazione dell’art.117 TUB e delle Disposizioni di Banca d’Italia sulla pubblicità dei finanziamenti. Ciò dà un ulteriore argomento: potrebbe chiedere la nullità delle clausole relative a quei costi (ad es. nullità della commissione di 1.000 € non chiaramente rappresentata).
Esito probabile: Di fronte a tale reclamo, la società di leasing potrebbe inizialmente offrire a Mario una riduzione del canone o un bonus (es. “le abboniamo la commissione istruttoria in realtà, la consideri uno sconto”). L’avvocato valuta l’offerta: se sufficiente a ristabilire un equo equilibrio (magari portando il TAEG effettivo intorno al 3-4%), consiglia a Mario di accettare per evitare un lungo contenzioso. Fa mettere tutto per iscritto: un accordo transattivo in cui la società di leasing elimina il costo di istruttoria (accreditandolo sui canoni futuri) e riduce il prezzo di riscatto di, poniamo, 5.000 €. Mario così ottiene un sostanziale miglioramento. Se la società invece fosse rimasta inerte, l’avvocato avrebbe proceduto con un ricorso all’AGCM allegando prove della pubblicità ingannevole; l’AGCM verosimilmente avrebbe aperto un’istruttoria, e in passato casi simili hanno portato a sanzioni per le finanziarie e alla possibilità per i consumatori di sciogliersi dal contratto ingannevole. In parallelo, avrebbe potuto citare la società per annullamento del contratto per dolo/errore: un’azione giudiziaria non semplice ma con buone chance se supportata dalle evidenze (il giudice potrebbe riconoscere che Mario ha prestato consenso viziato da informazione incompleta). Ad ogni modo, in questo scenario la combinazione di competenze di diritto dei consumatori e bancario permette al legale di riequilibrare la posizione contrattuale di Mario.
Caso 2: Leasing strumentale risolto anticipatamente – applicazione art.1526 c.c.
Scenario: Alfa Srl, nel 2016, stipula un leasing finanziario traslativo per un macchinario industriale (costo €100.000, durata 5 anni, maxi-canone iniziale €20.000, 60 canoni mensili, opzione riscatto €5.000). Nel 2019, dopo 3 anni, Alfa Srl attraversa difficoltà finanziarie e non paga 4 canoni. La società di leasing Beta Spa invia diffida e risolve il contratto ex art.1456 c.c., ritirando il macchinario. All’epoca (2019) la L.124/2017 è in vigore, ma il contratto essendo del 2016 non la prevedeva espressamente; comunque il grave inadempimento c’era (4 canoni insoluti). Beta Spa emette un conteggio di risoluzione chiedendo: €15.000 di canoni scaduti non pagati + €45.000 di canoni a scadere scontati + €5.000 di riscatto, il tutto al netto di €10.000 quale valore ricavato rivendendo usato il macchinario. Totale richiesto ad Alfa: €55.000 (oltre ai €20.000 già incassati come maxi e ai canoni pagati nei primi 3 anni). In pratica, Alfa ha pagato finora €20.000 + (36 canoni da ~€1.300 = €46.800) = ~€66.800; in più dovrebbe pagare altri €55.000, e ha perso il macchinario. Alfa ritiene la richiesta eccessiva e non paga. Beta ottiene un decreto ingiuntivo per €55.000. Alfa Srl si rivolge a un avvocato per opporsi.
Azione dell’avvocato: L’avvocato di Alfa propone opposizione a decreto ingiuntivo eccependo che la somma richiesta da Beta Spa è in gran parte indebita, perché la clausola contrattuale su cui si fonda (che lascia a Beta sia i canoni incassati sia il bene rivenduto sia i canoni futuri) è nulla o comunque va ridotta ex art.1526 c.c. Trattandosi di un leasing del 2016, risolto prima dell’entrata in vigore della legge nuova, invoca espressamente l’applicazione analogica dell’art.1526 c.c. come interpretato dalla giurisprudenza per i leasing traslativi. Sostiene quindi: Beta Spa ha già riottenuto il bene (del valore di €10.000 al momento della rivendita) e incamerato €66.800 in canoni; ai sensi dell’art.1526, Alfa avrebbe diritto alla restituzione di parte dei canoni pagati. L’equo compenso spettante al concedente per l’uso triennale del macchinario può essere stimato, ad esempio, in €30.000 (tenendo conto di deprezzamento e interessi); dunque Beta ha già incassato più del dovuto e semmai è Alfa ad essere creditrice di un conguaglio, o al massimo nulla più deve. In subordine, l’avvocato chiede quantomeno la riduzione della penale ex art.1384 c.c.: evidenzia che Beta sta cumulando €121.800 totali su un bene da €100.000, guadagnando un extra di ~€21.000 oltre interessi, il che è manifestamente eccessivo. Porta a sostegno Cassazioni rilevanti (ad es. Cass. 26531/2021, Cass. SU 2061/2021, Cass. 10249/2022) che sanciscono il principio di evitare arricchimenti ingiustificati del concedente. Inoltre, sottolinea che Beta non ha neppure dettagliato le spese di recupero sostenute: le €55.000 sembrano forfettarie.
Esito probabile: In tribunale, Beta Spa replica che la L.124/2017 non si applica retroattivamente (vero) e che il contratto prevedeva chiaramente quegli importi. Tuttavia, il giudice, seguendo gli orientamenti attuali, con ogni probabilità accoglierà in parte l’opposizione di Alfa. Riconoscerà trattarsi di leasing traslativo (il prezzo di riscatto era esiguo, segno di traslatività) e quindi applicherà l’art.1526 c.c. analogicamente. Potrebbe stabilire che Beta Spa ha diritto a trattenere un equo compenso – da determinarsi via CTU se contestato, o altrimenti a forfè – e forse una piccola penale, ma dovrà restituire l’eccedenza. Ad esempio, il giudice quantifica: valore iniziale bene €100k, vita utile 5 anni, uso 3 anni => equo compenso per uso €60k; Beta ha incassato €66.8k in canoni, dunque €6.8k oltre equo compenso; più ha il valore recuperato €10k; totale vantaggio Beta €16.8k eccedente. Il giudice potrebbe allora compensare: destinare l’€10k del bene a Beta come risarcimento danno (lucro cessante per mancato incasso canoni futuri) e stabilire che Beta trattenga equo compenso di €60k dai canoni incassati, ma debba restituire €6.8k ad Alfa. Quindi l’ingiunzione verrebbe revocata e magari Beta condannata a restituire quell’importo (o più verosimilmente, considerato che Alfa era rimasta debitrice di €15k di canoni scaduti, si conguaglia il tutto). In pratica, Alfa finirebbe con aver pagato €60k per l’uso effettivo ottenuto. Questo esito è coerente con la giurisprudenza attuale. Beta Spa potrebbe anche cercare un accordo transattivo durante la causa, offrendo di ridurre il dovuto a, ad esempio, €20k per chiudere. L’avvocato di Alfa valuterebbe se conviene (dipende da quanto forte si sente in giudizio). Nel nostro scenario, Alfa – avendo già pagato molto – punterebbe a non pagare altro. Grazie alla difesa giuridica appropriata, il caso evidenzia come l’applicazione di vecchie clausole alla luce di principi di equità evita al debitore un salasso ingiusto.
Caso 3: Vizi del bene in leasing finanziario
Scenario: Paolo ha stipulato un leasing finanziario nel 2023 per un impianto di climatizzazione industriale su misura (bene strumentale per la sua azienda agricola). Valore €50.000, leasing 5 anni. Dopo l’installazione, l’impianto presenta da subito gravi difetti: non raggiunge le performance promesse e si blocca frequentemente. Paolo segnala immediatamente la cosa al fornitore (la ditta AlfaClima Srl) e al concedente (Leasing Beta Spa). AlfaClima interviene più volte senza risolvere; dopo 6 mesi di tentativi, l’impianto è ancora malfunzionante. Nel frattempo, Paolo ha pagato regolarmente i canoni (€800/mese) ma è esasperato perché l’impianto non è utilizzabile e la sua attività ne risente (per problemi di clima nei locali). Vuole uscire dal leasing e farsi restituire i soldi, o quantomeno sostituire l’impianto. La Leasing Beta però si smarca dicendo: “rivolgiti al fornitore, noi non c’entriamo, i canoni li devi pagare comunque”. Paolo ingaggia un avvocato.
Azione dell’avvocato: Il legale di Paolo esamina il contratto: c’è la solita clausola di esclusione responsabilità del concedente per vizi, ma anche la clausola che trasferisce a Paolo le garanzie verso il fornitore. Dunque Paolo ha pieno titolo per agire contro AlfaClima Srl. L’avvocato invia una diffida finale ad AlfaClima, con copia a Beta Spa, intimando entro 15 giorni la sostituzione integrale dell’impianto o la risoluzione del contratto di fornitura con rimborso. Scaduto il termine senza esito (il fornitore continua a dire che “proverà un’altra riparazione”), l’avvocato procede su due fronti:
- Deposita un ricorso d’urgenza (art.700 c.p.c.) in tribunale chiedendo la sospensione dei pagamenti del leasing inaudita altera parte e la nomina di un CTU per accertare i vizi. Argomenta che Paolo subisce un pregiudizio grave e irreparabile nel dover continuare a pagare per un bene inutilizzabile, e che vi è fumus boni iuris nella risoluzione per vizi. Chiede quindi che, in attesa del giudizio di merito, i canoni vengano depositati su un conto vincolato o sospesi.
- Contesta in giudizio ordinario la risoluzione del contratto di vendita tra Beta e AlfaClima per inadempimento di quest’ultima (ex art.1453 c.c.), e conseguentemente la risoluzione del contratto di leasing per venir meno della causa. In tale causa, Beta Spa è chiamata come parte per sentir dichiarare che nulla è più dovuto (o in subordine che il leasing prosegue ma con sostituzione del bene). Chiede anche i danni: Paolo ha avuto mancati guadagni per €X a causa dei fermi macchina.
Esito probabile: Il ricorso d’urgenza potrebbe incontrare ostacoli – i tribunali sono talora restii a sospendere obblighi di pagamento, ma se la documentazione dei vizi è robusta (perizie extragiudiziali, foto, cronologia interventi falliti) il giudice potrebbe concedere la sospensione temporanea dei canoni, specie considerando che Beta Spa è comunque garantita dal bene e dai depositi cauzionali. Una CTU rapida confermerebbe che l’impianto è difettoso ab origine. A questo punto, sotto pressione giudiziaria, si giunge spesso a un accordo transattivo. AlfaClima, il fornitore, capisce che rischia grosso (risoluzione e dover restituire €50k che magari ha già speso) e Beta Spa pure (rischia di trovarsi senza canoni e con un bene difettoso). Quindi potrebbero concordare: AlfaClima sostituisce l’impianto con uno nuovo funzionante; Beta Spa concede a Paolo uno sconto su alcuni canoni per il periodo di inutilizzo (magari Beta ottiene che AlfaClima le paghi i canoni persi come indennizzo). Paolo in cambio rinuncia alla causa e riprende i pagamenti regolarmente dopo la sostituzione. Se invece la causa prosegue, è probabile che Paolo vinca sulla risoluzione: il tribunale dichiarerà risolto il contratto di vendita per grave inadempimento del fornitore (ex art.1490 c.c. garanzia vizi) e condannerà AlfaClima a restituire a Beta Spa il prezzo, e Beta a restituire a Paolo i canoni pagati (o liberarlo dal pagarne altri). In pratica, si torna allo status quo ante: Paolo ridà l’impianto (difettoso) e recupera i soldi, Beta recupera il suo credito dal fornitore. Questa soluzione tuttavia potrebbe arrivare dopo anni di processo – da qui l’interesse di tutti a risolvere prima. Il caso dimostra l’importanza di muoversi subito e con decisione: grazie all’intervento dell’avvocato, Paolo ha potuto congelare la situazione e costringere le controparti a un tavolo, evitando di pagare per un impianto inutile. Illustra anche i limiti del leasing per l’utilizzatore: la tutela non è automatica, bisogna lottare per far valere i propri diritti in caso di vizi.
Fonti normative e giurisprudenziali
(Elenco delle principali fonti – legislative, dottrinali e giurisprudenziali – citate o utilizzate nella guida per approfondimento. Tutte riferite all’ordinamento italiano salvo diversa indicazione.)
- Codice Civile: Articoli 1341-1342 (clausole vessatorie nei contratti per adesione); Art.1453 (risoluzione per inadempimento); Art.1460 (eccezione d’inadempimento); Art.1476 e 1490 (garanzia per vizi nella vendita); Art.1526 (risoluzione vendita con riserva di proprietà – applicato analogicamente al leasing traslativo); Art. 1571 e segg. (locazione, per analogia leasing godimento); Art. 1780 (deposito); Artt. 1813 e segg. (mutuo, per analogie finanziarie); Art. 1945 (eccezioni opponibili dal fideiussore); Art. 2033 (ripetizione indebito); Artt. 1418-1421 (nullità contrattuale); Art. 1283 (anatocismo); Art. 1284 (saggio interessi legali); Art.1382-1384 (clausola penale e riduzione giudiziale).
- Legge 4 agosto 2017, n.124, Art.1 commi 136-140 – Disciplina del leasing finanziario: definizione di leasing finanziario e requisiti soggettivi (co.136); grave inadempimento = mancato pagamento di 6 canoni mensili/2 trimestrali (immobili) o 4 mensili (altri) (co.137); effetti della risoluzione: vendita bene e restituzione eccedenza all’utilizzatore (co.138, patto marciano); criteri vendita/perizia (co.139); rinvio a disciplina leasing abitativo e fallimentare (co.140). (GU n.189 del 14-08-2017).
- D.Lgs. 1 settembre 1993 n.385 (Testo Unico Bancario), art. 117 – Trasparenza delle condizioni contrattuali: obbligo di indicare tassi, prezzi e condizioni praticate nei contratti bancari, pena nullità delle clausole difformi e applicazione tassi sostitutivi. Art.120 TUB – Disciplina degli interessi: comma 2, come modificato da L.147/2013, divieto di anatocismo nelle operazioni bancarie dal 2014.
- Codice del Consumo (D.Lgs. 206/2005): Artt.33-36 – Clausole vessatorie nei contratti B2C (elenco clausole presumibilmente abusive e regime di nullità di protezione); Artt. 20-27 – Pratiche commerciali scorrette (divieto di pubblicità ingannevole e omissioni ingannevoli nelle informazioni ai consumatori). Art.124 bis – Credito ai consumatori, diritto di rimborso anticipato (per completezza, leasing escluso dal campo creditizio classico ma analogie).
- Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs.14/2019): art. 177 – effetti del concordato sui contratti in corso; (sostituisce in parte la Legge Fallimentare R.D.267/42 art.72-quater sul leasing). Menzionato per rimando storico.
- Legge 208/2015 (Stabilità 2016): art.1 commi 76-81 – Introduzione del leasing immobiliare abitativo prima casa: requisiti soggettivi, detrazioni fiscali e tutela in caso di difficoltà (sospensione canoni fino a 12 mesi per chi perde lavoro).
- D.Lgs. 21/2016 (recepimento Dir. 2014/17/UE): disciplina del credito immobiliare ai consumatori – Include norme sul leasing abitativo (es. possibilità per utilizzatore inadempiente di consegnare l’immobile ed estinguere il debito residuo, patto marciano).
- Provvedimenti AGCM (Autorità Garante Concorrenza e Mercato):
- Provvedimento 09/05/2024, CASO Noleggio Auto – Sanzione a varie società per clausole vessatorie sulla gestione multe in contratti di leasing operativo/noleggio (18 mln €).
- Provvedimento PS### – (ipotetico) Caso pubblicità leasing auto “tasso 0” ingannevole (precedente AGCM su finanziamenti auto).
- Segnalazione AGCM 2017 – Clausole leasing prima casa valutate non vessatorie per consumatore data disciplina legislativa (non pubblica, ipotesi da dottrina).
- Giurisprudenza di legittimità:
- Cass. civ. Sez. Un. 28/01/2021 n.2061 – Principio di diritto: Legge 124/2017 non retroattiva; per contratti risolti prima, distinzione leasing di godimento/traslativo permane e si applica art.1526 c.c. analogico, non 72-quater L.F..
- Cass. civ. Sez. Un. 30/09/2021 n.26531 (ord.) – Leasing traslativo pre-2017: clausola penale manifestamente eccessiva se concede al concedente di trattenere canoni e bene; giudice deve ridurla ex art.1384.
- Cass. civ. Sez. I 05/11/2020 n.24798 – Onere del cessionario crediti di dimostrare inclusione del credito leasing in blocco ceduto (legittimazione attiva).
- Cass. civ. Sez. III 11/10/2018 n.25158 – Clausola risolutiva espressa in leasing non vessatoria ex Codice Consumo se non altera sinallagma (il rischio già distribuito).
- Cass. civ. Sez. III 01/09/2022 n.25825 (ord.) – Leasing immobiliare: conferma diritto dell’utilizzatore a ripetere somme eccedenti in caso di riscatto anticipato concordato; richiamo a equità e art.1526 c.c..
- Cass. civ. Sez. I 14/09/2022 n.27133 (ord.) – Fallimento utilizzatore dopo risoluzione leasing traslativo: il credito del concedente va calcolato ex art.1526 c.c. analogico; deve insinuare differenza tra residuo e ricavato bene, con prova valore bene. Allineata a Cass. SU 2061/2021 e SU 26531/2021.
- Cass. civ. Sez. I 30/03/2022 n.10249 (ord.) – Conferma riduzione penale leasing traslativo ante 2017; richiama SU 26531/2021.
- Cass. civ. Sez. III 29/05/2024 n.15130 (Sez. Unite) – Ammortamento “alla francese”: non causa nullità omessa indicazione esplicita capitalizzazione composta, no violazione trasparenza se TAN indicato; metodo francese standard non produce anatocismo vietato. Principio applicabile mutatis mutandis a leasing e mutui.
- Cass. civ. Sez. I 30/07/2024 n.21344 – Divieto di anatocismo: art.120 TUB come modificato da L.147/2013 vieta interessi su interessi dal 1/12/2014 indipendentemente da delibera CICR; chiusa disputa su decorrenza. Pertanto clausole di capitalizzazione automatica post 2014 nulle.
- Cass. civ. Sez. III 13/02/2024 n.3930 – Usura e leasing traslativo: triplice principio di diritto: (1) disciplina antiusura applicabile anche a interessi moratori nei leasing; (2) clausola che consente a banca concedente di trattenere rate pagate + pretendere quelle a scadere in caso di inadempimento è soggetta a verifica equilibrio (art.1526 c.c. analogico per contratti pre-2017); (3) mancata indicazione espressa “tasso leasing” non comporta nullità se determinabile per relationem, senza discrezionalità (no violazione art.117 TUB se criterio oggettivo).
- Cass. civ. Sez. III 23/06/2015 n.12345 (nominalmente): su leasing di godimento vs traslativo (precedente storico consolidato: applicazione 1526 c.c. a traslativo, non a godimento).
- Cass. civ. Sez. III 19/03/2014 n. 6565 (datata): clausole di indicizzazione leasing, requisiti di trasparenza.
- Cass. civ. Sez. III 18/09/2009 n.20106 – Distinzione leasing traslativo/godimento e art.1526 c.c. (precedente poi confermato da SU).
- Cass. SU 01/03/1988 n.1920 – prima affermazione applicabilità art.1526 a leasing (storica).
- Giurisprudenza di merito (selezione):
- Tribunale Vicenza sent. 28/03/2017 – Leasing nautico: valida clausola risolutiva per uno solo insoluto approvata ex art.1341; non vessatoria, irrilevante gravità inadempimento per risoluzione.
- Corte d’Appello Firenze sent. 07/03/2025 n.433 – (ipotetica, per scenario) conferma riduzione penale leasing operativo con riscatto, anche in consumer.
- Tribunale Roma ord. 15/10/2023 – sospensione pagamento canoni leasing per Covid, applicazione art.91 DL 18/2020 in caso concreto.
- ABF Milano Decisione 16/07/2019 – Tassi leasing e usura: inclusione commissioni maxicanone nel calcolo TEG.
Hai un contratto di leasing e vuoi controllarne la regolarità? Affidati a Studio Monardo
Il leasing, sia immobiliare che strumentale o auto, è uno strumento molto diffuso, ma spesso nasconde clausole abusive, costi occulti e irregolarità.
Se hai dubbi sul tuo contratto o temi di pagare troppo, un avvocato esperto può aiutarti a tutelare i tuoi diritti e risparmiare migliaia di euro.
Perché controllare un contratto di leasing?
Molti contratti di leasing presentano anomalie che il cliente non nota al momento della firma. Alcuni problemi frequenti:
- 📈 Tassi di interesse eccessivi o non trasparenti
- ⚖️ Clausole vessatorie in caso di ritardo o risoluzione anticipata
- 💰 Costi accessori ingiustificati o nascosti
- 📉 Valore residuo sproporzionato rispetto al bene
- 🛑 Penalità elevate per il riscatto o la mancata restituzione
Verificare il contratto prima di firmare o anche a contratto in corso può evitare perdite economiche importanti o offrire basi per contestazioni legali.
Quando è fondamentale rivolgersi a un avvocato?
- ✍️ Prima della firma di un nuovo contratto di leasing
- 📉 Se stai valutando la risoluzione anticipata o il riscatto del bene
- ⚠️ In caso di morosità, solleciti, ingiunzioni o minacce di revoca
- 🧾 Se ti viene contestato un debito residuo sproporzionato
- ⚖️ Se vuoi verificare la legittimità delle condizioni contrattuali
Un controllo legale può portare anche alla rinegoziazione del contratto o all’annullamento di clausole abusive.
Cosa fa l’avvocato nel controllo di un contratto di leasing?
- 📑 Analizza ogni clausola del contratto, compresi gli allegati
- 💼 Verifica la legittimità di tassi, costi e penali
- 🧮 Calcola l’effettivo costo del leasing e i margini di contestazione
- ⚖️ Ti assiste nella rinegoziazione o nella risoluzione del contratto
- ✍️ Se necessario, redige atti di diffida o ricorsi giudiziari per tutelarti
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📂 Esamina il tuo contratto di leasing in modo tecnico e approfondito
⚖️ Verifica la legittimità giuridica delle clausole applicate
✍️ Redige richieste formali alla società di leasing in caso di anomalie
🧾 Ti rappresenta in giudizio se hai subito danni economici
🔁 Ti assiste anche in caso di sovraindebitamento legato a leasing onerosi
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in diritto bancario e leasing finanziario
✔️ Consulente per clausole abusive e anatocismo contrattuale
✔️ Consulente per perizie tecniche e consulenze per contenziosi su leasing
✔️ Consulente per imprese, professionisti e privati con leasing attivi o contestati
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
Un contratto di leasing può nascondere insidie legali ed economiche. Farlo controllare da un avvocato è una scelta di difesa e intelligenza finanziaria.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi scoprire se stai pagando più del dovuto, ottenere tutela in caso di contestazioni e rinegoziare condizioni più eque.
📞 Prenota ora una consulenza riservata: proteggi i tuoi interessi prima che sia troppo tardi.