Negozio Di Calzature Con Debiti: E Ora?

Hai un negozio di calzature e ti ritrovi con debiti che non riesci più a sostenere? Le vendite sono calate, i costi sono aumentati e ora ti trovi con cartelle esattoriali, affitti arretrati, bollette e fatture da pagare? Ti chiedi se puoi salvare l’attività o se è il momento di chiudere?

Molti negozianti oggi sono nella stessa situazione: margini sempre più bassi, clienti che comprano online, ritardi nei pagamenti e banche che non fanno più credito. Ma anche se la crisi è seria, non sei senza soluzioni. Esistono strumenti legali per bloccare i creditori, ristrutturare i debiti e salvare ciò che hai costruito.

Quali sono i debiti più frequenti nei negozi di calzature?
IVA non versata o rate non pagate all’Agenzia delle Entrate
Contributi INPS per te e per eventuali collaboratori o dipendenti
Affitto commerciale arretrato con rischio di sfratto
Bollette non pagate, fornitori di merce in attesa di saldo
Prestiti e finanziamenti con rate in ritardo o scoperti di conto corrente

Cosa puoi fare per non perdere tutto?
– Verificare quali debiti possono essere bloccati subito (es. cartelle, fermi, pignoramenti)
– Avviare una procedura di composizione negoziata della crisi, per congelare le azioni dei creditori
– Accedere al sovraindebitamento per imprenditore minore, anche se sei una ditta individuale
– Proporre un accordo con i creditori, pagando solo una parte del debito in modo sostenibile
– Se non puoi più andare avanti, puoi chiudere in modo ordinato, senza portarti dietro i debiti per anni

Quando devi intervenire?
– Se non riesci più a pagare regolarmente fornitori, imposte o affitto
– Se hai ricevuto un preavviso di iscrizione a ruolo o un atto di pignoramento
– Se non hai liquidità sufficiente nemmeno per la merce stagionale
– Se i clienti scarseggiano e le promozioni non bastano più a far girare l’attività
– Se senti di essere arrivato al limite, ma vuoi evitare di perdere tutto

Cosa NON devi fare mai?
– Aspettare troppo: i debiti crescono, gli interessi si accumulano e i margini si riducono
– Pensare che chiudere significhi fallire: può essere una scelta strategica, se fatta con ordine
– Firmare accordi con i creditori “in buona fede” ma senza copertura legale: potresti peggiorare la situazione
– Andare avanti da solo senza un piano: la pressione fiscale e bancaria va gestita con strumenti giusti

Anche un negozio in crisi può essere salvato o chiuso senza distruggere tutto. L’importante è agire in tempo e con le soluzioni giuste.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, debiti fiscali e soluzioni per piccole attività – ti spiega cosa puoi fare se hai un negozio di scarpe con i conti in rosso, quali strumenti legali usare e come uscire dalla crisi senza perdere la tua dignità.

Hai un negozio di calzature con i debiti che ti stanno soffocando?

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Introduzione

Un negozio di calzature che si trova sommerso dai debiti si confronta con una situazione delicata e complessa. Dal punto di vista giuridico, le possibilità di affrontare la crisi sono molteplici e sono state recentemente riformate dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), entrato pienamente in vigore nel 2022 (D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche). Aggiornato a luglio 2025, questo codice offre strumenti innovativi per prevenire e gestire l’insolvenza, oltre a prevedere procedure tradizionali come il concordato e la liquidazione (il “fallimento” in nuova veste).

In questa guida – scritta con taglio giuridico-divulgativo e con un livello di approfondimento avanzato rivolto a imprenditori, professionisti e avvocati – esamineremo tutte le tipologie di debiti che un’attività commerciale come un negozio di scarpe può aver accumulato, analizzandone le implicazioni legali e le responsabilità personali del titolare. Verranno illustrate le soluzioni disponibili per un debitore in crisi: dagli strumenti negoziali stragiudiziali (come la composizione negoziata della crisi e i piani di ristrutturazione) alle procedure concorsuali vere e proprie (concordato preventivo – anche nella versione “semplificata” – e liquidazione giudiziale), senza trascurare le procedure minori per i soggetti non fallibili (sovraindebitamento) e l’istituto dell’esdebitazione (liberazione dai debiti residui). Particolare attenzione sarà dedicata ai debiti fiscali e previdenziali – quali IVA non versata, ritenute e contributi INPS – che presentano regole e rischi specifici. Il tutto dal punto di vista del debitore, ponendoci cioè la domanda: “Cosa può fare concretamente il titolare del negozio indebitato per uscire dalla crisi, tutelare la propria posizione e, se possibile, salvare l’attività o quantomeno ripartire senza il peso dei debiti?”.

Troverete inoltre tabelle riepilogative per sintetizzare i punti chiave, una sezione di Domande & Risposte (FAQ) con quesiti frequenti e riferimenti a norme e sentenze aggiornate (fino al 2025) che aiutano a chiarire i concetti. In chiusura, alcuni casi pratici simulati illustreranno come le regole si applicano concretamente: ad esempio, come potrebbe procedere un negoziante sovraindebitato per chiudere l’attività e ottenere l’esdebitazione, oppure come un piccolo imprenditore potrebbe tentare di ristrutturare i debiti e continuare l’impresa.

Tipologie di debiti di un negozio e relative implicazioni

Un negozio di calzature può accumulare vari tipi di debiti, ciascuno con caratteristiche giuridiche e conseguenze diverse. Prima di scegliere la strategia per affrontarli, è fondamentale identificare la natura di ogni debito, perché da essa dipendono priorità di pagamento, eventuali garanzie, rischi penali e possibilità di stralcio nelle procedure. Di seguito riepiloghiamo le principali categorie di debiti che tipicamente gravano su un’attività commerciale, evidenziandone le implicazioni:

  • Debiti fiscali (Erario): comprendono imposte non versate (es. IVA, imposte sui redditi) e relativi interessi e sanzioni. Una parte di questi è assistita da privilegio generale sui beni mobili del debitore (ad esempio l’IVA non versata e le ritenute risultano privilegiate per gli ultimi anni, ai sensi degli artt. 2752 e 2777 c.c.). La riscossione è affidata all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia), che può emettere cartelle esattoriali ed attivare misure esecutive come fermi amministrativi su autoveicoli, ipoteche sugli immobili, pignoramenti ecc. Sul piano concorsuale, i debiti tributari sono trattabili mediante la cosiddetta transazione fiscale (vedi oltre) all’interno di concordati preventivi o accordi, ma con limiti: vanno garantiti pagamenti almeno pari a quanto il Fisco otterrebbe in caso di liquidazione. Dal punto di vista penale, l’omesso versamento di IVA oltre una certa soglia (oggi €250.000 annui) costituisce reato punito con la reclusione (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000). Similmente, l’omesso versamento di ritenute fiscali (es. le ritenute d’acconto sui compensi) oltre €150.000 è reato (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000). Questi reati sono di tipo omissivo e puniscono la mera mancata corresponsione: secondo la Cassazione, lo stato di crisi non esime da responsabilità salvo casi di vera forza maggiore. Tuttavia, novità 2024: il D.Lgs. 87/2024 ha modificato l’art. 10-ter prevedendo che se il debitore ha ottenuto e rispettato un piano di rateazione con il Fisco, il fatto non è punibile; se invece decade dalla rateazione, la soglia penale si abbassa a €75.000 sul residuo. Inoltre, è stata introdotta una causa di non punibilità se l’omesso pagamento dipende da fatti non imputabili al contribuente, ad esempio mancati incassi da clienti insolventi, grave crisi di liquidità per cause esterne, ecc., purché documentate. In sintesi, il titolare di un negozio con debiti IVA deve muoversi con prudenza: rateizzare subito il debito (se possibile) per evitare guai penali, oppure valutare gli strumenti concorsuali che sospendono le azioni esecutive e consentono di proporre un pagamento parziale ma “garantito” al Fisco (vedi sezioni successive).
  • Debiti previdenziali (INPS e INAIL): sono i contributi obbligatori non versati, sia quelli dovuti per i dipendenti (contributi previdenziali e premi assicurativi) sia quelli dovuti dal titolare stesso (es. contribuzione alla gestione commercianti INPS). Anche questi crediti hanno privilegio generale sui beni del debitore (art. 2753 c.c.) e seguono le stesse regole dei crediti erariali nelle procedure concorsuali. L’Agente della Riscossione riscuote pure tali importi tramite cartelle e può attivare esecuzioni similmente alle imposte. Esiste anche qui una soglia penale: l’omesso versamento delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti superiore a €10.000 annui è sanzionato penalmente (art. 2, co.1-bis D.L. 463/1983). In un eventuale concordato, i debiti contributivi possono essere oggetto di transazione contributiva, con trattamento analogo ai debiti fiscali. È bene ricordare che l’INPS interviene a tutela dei lavoratori dipendenti insoluti: in caso di fallimento o concordato liquidatorio, il Fondo di Garanzia INPS pagherà ai dipendenti TFR e ultime mensilità dovute, surrogandosi poi nelle procedure concorsuali. Dal lato del titolare, non versare contributi può quindi portare a sanzioni civili e (se rilevante) penali, oltre a far scattare segnalazioni d’allerta (l’INPS è tra i creditori pubblici qualificati che devono segnalare precocemente situazioni di insolvenza, vedi oltre).
  • Debiti verso fornitori (commerciali): consistono in fatture scadute per merci acquistate (ad esempio stock di scarpe, accessori) o servizi (utenze, pubblicità, ecc.). Questi creditori chirografari (cioè non garantiti) in caso d’insolvenza rischiano di essere pagati solo parzialmente e solo dopo i creditori privilegiati. Nella prassi, quando un negozio ritarda i pagamenti, i fornitori possono reagire con ingiunzioni di pagamento e decreti ingiuntivi, ottenendo poi pignoramenti se il debitore non adempie. Il rischio immediato quindi è di subire azioni esecutive (pignoramento di incassi, del conto corrente, del magazzino). In uno scenario di trattativa, spesso è opportuno negoziare piani di rientro o accordi stragiudiziali (saldo e stralcio) offrendo pagamenti parziali in tempi certi, per evitare che il fornitore perda la pazienza e agisca in via giudiziaria. Nelle procedure concorsuali, i fornitori rientrano tra i creditori chirografari e sono normalmente raggruppati in classi separate (ad esempio: fornitori strategici da trattare meglio rispetto ad altri fornitori meno essenziali). È frequente che nei concordati si offrano percentuali di soddisfacimento ai fornitori, a seconda della sostenibilità del piano: possono variare dal parziale pagamento integrale dei fornitori “piccoli” o essenziali, fino a percentuali ridotte per quelli non strategici. In ogni caso, prima di arrivare a un concorso formale, il debitore in difficoltà dovrebbe comunicare coi fornitori e cercare soluzioni condivise: la loro cooperazione può essere decisiva per continuare l’attività (ad esempio, dilazioni sulle forniture nuove, sconti per ridurre il debito pregresso, ecc.).
  • Debiti bancari e finanziari: includono esposizioni per prestiti, mutui, scoperti di conto (fidi di cassa), leasing su attrezzature o arredi del negozio, finanziamenti ottenuti magari per ristrutturare il locale o acquistare scorte. Spesso le banche vantano garanzie: ad esempio un mutuo ipotecario sul negozio o sull’immobile di proprietà del titolare, oppure fideiussioni personali fornite dall’imprenditore o dai suoi familiari. Se il negozio è gestito tramite società di capitali (es. una SRL) i soci possono aver garantito personalmente i debiti bancari; se è una ditta individuale, banca e impresa coincidono e tutti i beni personali sono già esposti. In caso di difficoltà conclamata, le banche tendono a tutelarsi: possono revocare gli affidamenti (ad esempio ridurre o azzerare il fido di cassa) e segnalare “sofferenza” in Centrale Rischi, peggiorando il rating del debitore. Va però segnalato che, se il debitore avvia una composizione negoziata della crisi e ottiene misure protettive dal tribunale, le banche non possono revocare o ridurre gli affidamenti solo per il fatto dell’apertura della procedura. Questa è una tutela prevista dal Codice della Crisi per evitare il cosiddetto “effetto annuncio” (la crisi dichiarata peggiora subito la situazione per l’azienda). Nel concordato preventivo, dal momento del deposito della domanda, scatta il blocco delle azioni esecutive e anche la banca non può escutere immediatamente eventuali pegni o garanzie, se non in casi particolari (ad esempio il diritto di compensazione su conti correnti per crediti liquidi e esigibili). Le banche vengono soddisfatte in base al loro grado di garanzia: un creditore ipotecario su immobile del negoziante avrà diritto di precedenza sul ricavato di vendita di quell’immobile fino a copertura del suo credito. Nel concordato, di solito le banche sono messe in classe separata, e se sono garantite ipotecariamente ricevono almeno il valore di realizzo del bene su cui hanno ipoteca (non possono essere falcidiate su quella parte). Crediti bancari chirografari, invece, concorrono con gli altri crediti di pari grado e possono subire decurtazioni. Nuova finanza: se durante la crisi l’azienda ottiene nuovi finanziamenti per risollevarsi, il Codice prevede che, se autorizzati, possano avere privilegio in prededuzione (cioè essere rimborsati prima degli altri debiti) per incentivare gli aiuti. In sintesi, con le banche il debitore deve agire strategicamente: comunicare tempestivamente la situazione, negoziare moratorie o rinegoziazioni se possibile, e se entra in procedura concorsuale, valutare la richiesta di misure protettive per congelare linee di credito e garantire continuità almeno temporanea.
  • Debiti verso dipendenti: riguardano stipendi non pagati, ratei di TFR (Trattamento di Fine Rapporto) e altre spettanze lavorative eventualmente maturate (ferie non godute, tredicesime). Questi debiti hanno privilegio di grado molto elevato, sia mobiliare generale che, per alcune voci, anche privilegi speciali immobiliari (ad esempio, il TFR gode di privilegio sul 50% del ricavato dell’abitazione del datore di lavoro, ex art. 2776 c.c.). In ogni caso, i crediti dei lavoratori dipendenti fino a un certo importo sono prioritari su quasi tutti gli altri crediti. In procedure concorsuali, la legge impone un trattamento di favore: ad esempio, nel concordato preventivo almeno il 90% dei crediti di lavoro deve essere pagato entro un anno dall’omologazione (di fatto una tutela quasi integrale). Inoltre interviene l’INPS come detto: in fallimento o liquidazione, il Fondo di Garanzia paga TFR e ultime tre mensilità ai dipendenti, surrogandosi poi nel concorso. Dal lato del negoziante, accumulare debiti verso dipendenti comporta non solo il rischio di vertenze sindacali e decreti ingiuntivi, ma anche un indicatore di allerta molto serio: il Codice della Crisi prevede che il superamento di una soglia di debiti verso il personale (ad es., stipendi arretrati oltre la metà dell’ammontare mensile totale, per più di 30 giorni) sia un segnale di crisi che obbliga a intervenire. I dipendenti insoluti potrebbero inoltre presentare istanza per dichiarare lo stato di insolvenza dell’impresa (ad esempio, domandando il fallimento o la liquidazione controllata). È quindi fondamentale, per motivi etici e giuridici, cercare di soddisfare questi crediti o di trovare un accordo (dilazioni, magari utilizzando la Cassa Integrazione se attivabile per crisi aziendale) prima che la situazione precipiti.
  • Finanziamenti dei soci o del titolare: spesso il titolare dell’attività ha immesso negli anni denaro proprio per coprire perdite o investimenti, senza aumentare il capitale sociale ma registrando il versamento come prestito infruttifero. Nelle società di capitali (SRL, SPA), la legge (art. 2467 c.c.) prevede la postergazione di questi crediti dei soci: in caso di procedura concorsuale, i finanziamenti dei soci effettuati in periodo di sottocapitalizzazione dell’impresa vengono rimborsati soltanto dopo aver soddisfatto tutti gli altri creditori chirografari. Ciò significa che, se un socio ha prestato ad es. €50.000 alla società, ma l’azienda fallisce, quel socio recupererà il suo prestito solo se rimane qualcosa dopo aver pagato tutti gli altri debiti – ipotesi normalmente remota. In contesti di ristrutturazione, spesso ai soci viene chiesto di convertire questi crediti in capitale (per rafforzare i mezzi propri) oppure di rinunciarvi del tutto, così da alleggerire il passivo. Dal punto di vista del titolare persona fisica (nelle imprese individuali), non c’è distinzione patrimoniale tra soldi propri e dell’impresa, quindi la questione dei “finanziamenti soci” non si pone (qualsiasi apporto è capitale di fatto). In un negozio di piccole dimensioni gestito in forma individuale o familiare, è frequente che il titolare abbia investito risparmi personali nell’attività: purtroppo, in caso di crisi, non esiste tutela specifica per recuperarli, se non una eventuale soddisfazione residua dopo tutti i creditori esterni.
  • Debiti da contenziosi, sanzioni o altre cause: tra i debiti possono figurare anche importi dovuti per cause legali perse (es. risarcimenti danni verso clienti o terzi), sanzioni amministrative (multe, ammende) o altre obbligazioni varie. Il trattamento di questi debiti dipende dalla loro natura giuridica: alcuni risarcimenti possono essere assistiti da privilegi (ad esempio, crediti per certain danni da reato hanno privilegio generale ex art. 2751-bis c.c.), mentre multe e ammende penali non sono falcidiabili e restano comunque a carico del debitore (le sanzioni penali pecuniarie non si estinguono nemmeno con l’esdebitazione). In un piano di concordato o di sovraindebitamento, bisognerà valutarli caso per caso: se sono chirografari, potranno essere trattati come tali; se privilegiati, vanno soddisfatti secondo il loro grado. È importante tenere conto di eventuali contenziosi pendenti: il debitore in crisi dovrebbe stimare l’esito e l’ammontare possibile di condanne (ad esempio, accantonando un “fondo rischi” in sede di piano), perché un’improvvisa sentenza sfavorevole potrebbe aggravare la sua situazione debitoria.

In sintesi, la natura dei debiti influisce direttamente sulle opzioni di soluzione. Ad esempio, i debiti con privilegio (fisco, dipendenti, banche garantite) dovranno tendenzialmente essere pagati in misura maggiore rispetto ai chirografari in qualsiasi procedura concorsuale. I debiti che comportano rischi penali (IVA, contributi) richiedono un approccio prudente e possibilmente l’adesione a strumenti (come la transazione fiscale o piani di rateazione) che evitino o sospendano conseguenze penali. L’imprenditore deve mappare i propri debiti e capire quali sono le priorità: ad esempio, potrebbe decidere di destinare risorse limitate prima a pagare stipendi e imposte correnti (per non aggravare la posizione), e negoziare invece con fornitori e banche per il pregresso. Nel prossimo paragrafo affronteremo il tema cruciale delle responsabilità personali del titolare a seconda della forma giuridica dell’attività, per comprendere fin dove i creditori possono spingersi nel rivalersi sul patrimonio personale.

Responsabilità personali del titolare e forme giuridiche

Dal punto di vista del debitore, uno snodo fondamentale è capire se – e in che misura – egli risponde personalmente dei debiti del negozio. La risposta varia enormemente a seconda della forma giuridica con cui è svolta l’attività commerciale di vendita calzature:

  • Se il negozio è gestito come ditta individuale (impresa individuale) o come società di persone (es. SNC o SAS con soci illimitatamente responsabili), c’è identità tra l’imprenditore e l’azienda. Ciò significa che tutti i debiti dell’attività sono anche debiti personali del titolare (o dei soci), i quali rispondono con tutto il proprio patrimonio, presente e futuro, dell’obbligazione contratta. Non c’è distinzione tra “beni personali” e “beni dell’impresa”: i creditori possono aggredire sia gli incassi del negozio sia, ad esempio, il conto corrente personale del titolare, la sua automobile, la casa (fatte salve le limitazioni di legge – es. la prima casa non ipotecata è impignorabile da creditori chirografari, ma ipotecabile dal Fisco). Dunque la responsabilità è illimitata. Questo implica che le scelte sulla gestione della crisi avranno un impatto diretto sul patrimonio personale del debitore: ad esempio, chiudere l’attività e liquidarla spontaneamente non libera automaticamente il titolare dai debiti residui (salvo ottenere un’esdebitazione in una procedura ad hoc). Per contro, anche i benefici di un eventuale esito positivo ricadono sul titolare: se il negozio riesce a risanarsi, il miglioramento patrimoniale è personale. – N.B.: Nel caso di S.a.s. (società in accomandita semplice) come quella dell’esempio pratico che vedremo, i soci accomandatari hanno responsabilità illimitata e solidale sui debiti sociali, mentre gli accomandanti rischiano solo il capitale conferito (salvo abbiano ingerito nella gestione, perdendo il beneficio di limitazione).
  • Se il negozio è gestito tramite una società di capitali a responsabilità limitata (es. S.r.l.), vige il principio dell’autonomia patrimoniale perfetta: la società è un soggetto giuridico distinto e risponde dei debiti con il proprio patrimonio; i soci non rispondono con il patrimonio personale dei debiti sociali. In linea generale, dunque, i creditori della società possono attaccare solo i beni della società (cassa, merci, attrezzature, immobili intestati alla società) e non i beni personali dei soci. Fanno eccezione alcuni casi: (i) se un socio ha prestato garanzia personale (fideiussione) a favore di un creditore della società, allora quel creditore (es. la banca) potrà escutere anche il socio garante – ma ciò avviene in base al contratto di garanzia, non per legge di per sé; (ii) in ipotesi di abuso della personalità giuridica o frodi, in casi estremi la giurisprudenza può applicare il “piercing the corporate veil”, cioè ritenere i soci responsabili come se la società fosse un mero schermo usato per fini illeciti – ipotesi molto rara e complessa da dimostrare; (iii) come spiegato di seguito, se la società viene liquidata e cancellata con debiti non pagati, i creditori sociali possono agire contro i soci entro certi limiti. Quest’ultima eccezione è spesso poco conosciuta: l’art. 2495 c.c. prevede che, una volta cancellata la società dal Registro Imprese, i creditori rimasti insoddisfatti possano far valere i loro crediti nei confronti dei soci, “fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione”. In altre parole, se in sede di liquidazione della SRL i soci si sono ripartiti dell’attivo (ad es. un saldo residuo), essi ne rispondono verso i creditori insoddisfatti fino a quel importo. La Cassazione a Sezioni Unite ha però chiarito che i soci possono essere chiamati in causa dai creditori anche se non hanno ricevuto nulla in liquidazione. Ciò sembra contraddire il dettato letterale dell’art. 2495 c.c., ma la Suprema Corte lo giustifica col fatto che la società estinta con debiti produce un fenomeno successorio: i rapporti attivi e passivi non liquidati si trasferiscono ai soci in regime di comunione indivisa. Dunque, il creditore ha comunque interesse ad agire contro i soci per ottenere un titolo esecutivo, anche se al momento non vi fosse stato riparto, perché potrebbe emergere ex post un’attività residua o una sopravvenienza attiva di cui i soci beneficeranno. In pratica, questo orientamento tutela i creditori da possibili furbizie (es. cancellare la società senza aver soddisfatto un debito, lasciando il creditore “appeso”). La responsabilità ex soci rimane comunque limitata: non oltre quanto eventualmente ricevuto o dovuto ricevere in base al bilancio finale di liquidazione. Per esempio, se i soci hanno incassato €10.000 cadauno di residuo, risponderanno per massimo €10.000 a testa dei debiti rimasti. Se non hanno incassato nulla, potranno vedersi rigettare le pretese in fase di merito, ma intanto il creditore può legittimamente agire e ottenere una pronuncia di condanna nei loro confronti, come confermato da Cass. Civ. 37932/2022. – Importante: in caso di società di capitali, i soci decorso il termine di 5 anni dalla cancellazione non sono più perseguibili per i debiti sociali (c’è un termine di legge per far valere quelle pretese). Inoltre, se la società non viene liquidata ma prosegue, i soci restano protetti dalla responsabilità limitata salvo i casi detti (garanzie personali o azioni per abuso/frode).
  • Responsabilità degli amministratori: anche se i soci di una SRL non rispondono normalmente dei debiti, gli amministratori (o il titolare stesso se è amministratore unico) possono incorrere in responsabilità personali di altro genere. In fase di crisi, la legge impone doveri stringenti agli amministratori: devono attivarsi tempestivamente per evitare l’aggravarsi del dissesto. Il Codice della Crisi ha modificato l’art. 2486 c.c. prevedendo che, se l’impresa insolvente non viene gestita preservando il patrimonio a beneficio dei creditori, gli amministratori possano rispondere verso i creditori sociali per l’aggravamento del buco patrimoniale. Ad esempio, continuare ad accumulare debiti quando la società era palesemente decotta può portare a un’azione di responsabilità da parte del curatore fallimentare, che chiederà agli amministratori di risarcire i creditori per aver eroso il patrimonio (c.d. deepening insolvency). Sul piano penale, poi, entrano in gioco i reati fallimentari: se l’attività finisce in liquidazione giudiziale (fallimento) e emergono irregolarità, l’amministratore rischia incriminazioni per bancarotta fraudolenta o semplice (es. per aver distratto beni dell’azienda, tenuto contabilità irregolare, favorito taluni creditori a scapito di altri prima del fallimento, etc.). Va segnalato che il CCII ha introdotto incentivi affinché l’imprenditore agisca prima che sia troppo tardi: tra le misure premiali vi è la non punibilità per il reato di bancarotta semplice da ritardata richiesta di fallimento se l’imprenditore ha tempestivamente avviato una procedura di composizione negoziata o altra soluzione concordata. Inoltre, in caso di composizione negoziata avviata, gli interessi e sanzioni su debiti fiscali sono ridotti in caso di successivo concordato (premialità fiscale), e l’imprenditore può mantenere l’eventuale abilitazione all’esercizio di attività in caso di esito positivo. In sostanza, per il titolare è fondamentale agire in buona fede, astenersi da atti di frode (ad esempio non occultare incassi “sotto il mattone”, non intestarli a terzi) e non procrastinare eccessivamente: l’inerzia aggravante è ciò che la legge punisce. Se invece il debitore collabora con l’esperto o con l’autorità giudiziaria, fornisce tutte le informazioni, e segue le regole, potrà beneficiare di esenzioni di responsabilità e di una esdebitazione finale (liberazione dai debiti) se ne ha diritto.

Ricapitolando: il titolare di un negozio organizzato in forma di ditta individuale risponde illimitatamente dei debiti: dovrà quindi considerare a rischio i propri beni personali e potrebbe aver necessità dell’esdebitazione personale dopo la liquidazione. Se invece opera tramite società di capitali, il rischio patrimoniale è in linea di principio confinato all’investimento fatto nella società (responsabilità limitata), ma con l’avvertenza delle eccezioni illustrate (garanzie personali prestate, responsabilità post-liquidazione pro quota, azioni risarcitorie per mala gestio, ecc.). Dal punto di vista strategico, questo incide sulla scelta della procedura: un imprenditore individuale insolvente potrà sfruttare le procedure di sovraindebitamento per ottenere l’esdebitazione; un socio di SRL insolvente che non abbia garanzie personali non avrà bisogno di esdebitazione (poiché i debiti sono della società, che si estinguerà), ma se ha garantito debiti o ha mescolato il proprio patrimonio, dovrà a sua volta valutare procedure personali. Esempio: se Tizio ha un negozio SRL ma ha firmato fideiussioni per affitti o prestiti, i creditori potranno colpirlo personalmente sulle fideiussioni – in tal caso Tizio se diventa incapiente potrebbe avvalersi come persona fisica di una procedura da sovraindebitamento per i debiti derivanti dalle garanzie escusse.

Strumenti per affrontare la crisi: negoziazione, ristrutturazione o liquidazione?

Passiamo ora alle soluzioni pratiche a disposizione di un imprenditore indebitato. Il nostro ordinamento prevede una gamma di strumenti che vanno dal completamente extragiudiziale (accordi privati con i creditori) al concorsuale giudiziale (procedure formali avanti al tribunale). La scelta dipende dal grado di insolvenza, dalla composizione dei debiti e dalla prospettiva di salvare l’azienda oppure di doverla chiudere. L’obiettivo di un negoziante potrebbe essere duplice: risanare e continuare l’attività, oppure liquidare l’attività limitando i danni e liberandosi dai debiti residui. Analizziamo i vari strumenti in ordine di “gravità” crescente, tenendo presente che possono anche combinarsi tra loro in sequenza (ad esempio: si può tentare prima una composizione negoziata stragiudiziale e, se fallisce, ripiegare su un concordato semplificato liquidatorio, ecc.).

Accordi stragiudiziali e piani di risanamento “attestati”

Trattativa privata con i creditori: Il primo livello di intervento, il più informale, è provare a raggiungere accordi diretti con i creditori. Questo è particolarmente indicato se il debito non è troppo diffuso tra molti soggetti, ma concentrato su alcuni creditori principali (ad es., una banca e due fornitori strategici). Un accordo stragiudiziale può assumere la forma di un piano di rientro (rateizzazione convenuta del debito), oppure di un saldo e stralcio (il creditore accetta di chiudere la posizione a fronte di un pagamento in unica soluzione, magari con uno sconto sul totale dovuto). Tali accordi privati non coinvolgono il tribunale e non hanno effetti vincolanti per chi non vi partecipa: ciò significa che se anche l’80% dei creditori aderisse a dilazioni o riduzioni, il 20% restante potrebbe comunque agire per intero. Inoltre, gli accordi stragiudiziali non sospendono le azioni esecutive: un creditore estraneo può pignorare durante le trattative. Per dare maggiore solidità a un accordo privato, l’impresa può farsi affiancare da un professionista che rediga un piano di risanamento attestato ai sensi dell’art. 56 CCII (già art. 67 l.f.). Il piano attestato di risanamento è un documento in cui un esperto indipendente certifica che, seguendo il piano proposto, l’impresa potrà risanarsi e pagare regolarmente i debiti ristrutturati. Il beneficio del piano attestato è di natura protettiva: gli atti, i pagamenti e le garanzie concessi in esecuzione di tale piano non potranno essere revocati in un eventuale fallimento successivo (sono esenti da azione revocatoria fallimentare). Questo incentiva i creditori ad aderire (perché ciò che ricevono non sarà messo in discussione successivamente). Tuttavia, il piano attestato non offre garanzie di esecuzione: se alcuni creditori non aderiscono, restano fuori dall’accordo e possono pretendere integralmente il loro credito. Perciò funziona bene in situazioni in cui pochi creditori chiave sono coinvolti, oppure come misura temporanea per evitare il fallimento mentre si cerca finanza o soluzioni più strutturali. – Esempio: il negoziante potrebbe chiedere alla banca di riscadenzare il fido su più anni, ai fornitori principali di abbattere il 30% del dovuto e dilazionare il resto, e impegnarsi a pagare puntualmente le nuove forniture. Con un business plan credibile e l’attestazione di un professionista che il piano è sostenibile, questo accordo potrebbe salvare l’azienda senza passare dal tribunale. Bisogna però considerare l’effetto sugli altri creditori: se ce ne sono molti e piccoli, tenerli tutti “buoni” potrebbe essere complesso senza una procedura collettiva.

Pro e contro degli accordi privati: Il vantaggio principale è la riservatezza (non si pubblicizza lo stato di crisi, evitando danni reputazionali) e la flessibilità (si può proporre qualsiasi struttura di pagamento che vada bene alle parti, senza formalismi). Inoltre, si evitano i costi e i tempi di una procedura giudiziale. Il rovescio della medaglia è che manca una moratoria legale: se un solo creditore “rompe le righe”, può mandare all’aria l’intero risanamento avviando pignoramenti o istando per il fallimento. In più, l’accordo vincola solo i consenzienti: i creditori estranei potranno esigere per intero il proprio credito. Non c’è esdebitazione automatica: se un accordo stragiudiziale lascia fuori qualcuno, quei debiti non si estinguono. Dunque, l’accordo privato funziona quando i creditori sono relativamente pochi e ragionevoli, e il debitore ha prospettive reali di onorare il nuovo piano (altrimenti è solo rimandare il problema). Se invece il negozio è insolvente verso molteplici creditori o occorre anche liberarsi di una parte del debito che non si potrà mai pagare, allora servono gli strumenti concorsuali veri e propri che offrono maggiori tutele collettive e la possibilità di “forzare” la mano ai dissenzienti.

Composizione negoziata della crisi d’impresa

Una delle novità più rilevanti introdotte di recente (D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021, integrato poi nel CCII agli artt. 23-25) è la composizione negoziata della crisi. Si tratta di una procedura volontaria e confidenziale pensata per aiutare l’imprenditore (anche piccolo) in situazione di difficoltà a risanare l’azienda attraverso la negoziazione assistita con i creditori, sotto la supervisione di un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio. Importante: non è una procedura concorsuale in senso stretto, bensì un percorso “protetto” ma stragiudiziale di trattativa. Ciò significa che l’imprenditore rimane alla guida della sua impresa (non c’è spossessamento) e non si attivano automaticamente quegli effetti tipici del fallimento o concordato (come il divieto di pagare debiti anteriori, ecc.), a meno che non siano chiesti specifici provvedimenti al tribunale. Vediamo gli elementi essenziali:

  • Chi può accedere: qualunque imprenditore commerciale o agricolo in situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tale da far prevedere la crisi o l’insolvenza, ma ancora potenzialmente risanabile. Non vi sono requisiti di dimensione: anche la micro-impresa o l’impresa “sotto soglia” (non fallibile) può accedere alla composizione negoziata. È richiesta l’iscrizione al Registro Imprese. Di fatto, dalla grande S.p.A. alla ditta individuale, tutti possono chiedere la nomina di un esperto negoziatore. L’obiettivo deve essere il risanamento dell’attività, in via diretta (proseguire la stessa azienda) o anche indiretta (ad esempio vendere l’azienda o rami di essa a terzi che la proseguano). Non è pensata per liquidare e chiudere, anche se in alcuni casi può sfociare in una liquidazione, ma sempre nell’ottica di valorizzare al meglio i beni.
  • Come si avvia: si presenta un’istanza tramite la piattaforma telematica apposita (gestita dalle Camere di Commercio). Bisogna allegare informazioni sull’azienda, sui debiti, sulle cause della crisi e nominare un esperto indipendente da un elenco nazionale. L’esperto esamina la situazione e convoca l’imprenditore per un primo incontro. Da quel momento inizia la fase di negoziazione, che dura inizialmente 3 mesi (prorogabili). L’esperto ha il compito di facilitare le trattative con i creditori, mantenendo riservate le informazioni e cercando soluzioni concordate.
  • Effetti: di base la procedura è riservata e non pubblica. Tuttavia, l’imprenditore può chiedere al tribunale delle misure protettive (art. 20 CCII) cioè una sorta di stay sui creditori: tipicamente chiede che per la durata delle trattative nessuno possa iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio dell’impresa. Se il tribunale concede le misure protettive, viene fatta un’annotazione nel Registro Imprese (quindi la procedura diventa conoscibile dai terzi, per trasparenza). Durante la composizione negoziata l’impresa continua ad operare; l’imprenditore conserva la gestione ordinaria e anche quella straordinaria, ma alcune operazioni rilevanti possono richiedere l’assenso dell’esperto o del tribunale. Ad esempio, l’imprenditore può ottenere dal giudice l’autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili (per avere nuova liquidità garantendo a chi la dà che sarà rimborsato prima di altri creditori, art. 22 CCII). Può anche chiedere al tribunale di autorizzare la cessione dell’azienda o di rami, o atti necessari a evitare pregiudizi ai creditori. Un incentivo rilevante per i creditori è che i pagamenti ricevuti e le garanzie concesse durante la composizione negoziata, se avallati dall’esperto, non sono soggetti a revocatoria fallimentare: dunque un fornitore che accetta un pagamento durante queste trattative non rischia di doverlo restituire se poi l’impresa fallisce. Questo rimuove un ostacolo tipico (la diffidenza a ricevere soldi da un quasi insolvente). Inoltre, i creditori coinvolti sanno che l’esperto sta vigilando sulla par condicio (l’esperto segnala se il debitore favorisce impropriamente qualcuno). Da notare: l’esperto non ha poteri decisionali, è un mediatore/consulente. L’imprenditore resta libero di accettare o meno le proposte, restando però responsabile delle sue scelte (l’esperto non si sostituisce al management).
  • Esito: La composizione negoziata può concludersi in vari modi. Nello scenario migliore, porta a un accordo stragiudiziale con i creditori: ad esempio, un accordo di ristrutturazione dei debiti (formalizzato) o più accordi bilaterali. Questi accordi, se coinvolgono la maggioranza dei crediti, possono essere depositati in tribunale per ottenere un’omologazione (vedi Accordi di ristrutturazione più avanti) oppure restare privati. In alternativa, l’esito può essere un concordato preventivo (l’imprenditore capisce che serve una procedura concorsuale e deposita un ricorso di concordato, magari prepackaged con i creditori già d’accordo). Oppure, se l’azienda non è salvabile, l’imprenditore può optare per la liquidazione: in tal caso, la normativa speciale ha introdotto il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII) come via d’uscita (ne parleremo tra poco). Se nessuna soluzione viene trovata, la procedura semplicemente termina e i creditori riacquistano piena libertà di azione: a quel punto è alto il rischio che qualcuno presenti istanza di fallimento/liquidazione giudiziale.
  • Novità recenti (2024-25): Originariamente, la composizione negoziata non consentiva di “impegnare” il Fisco in un accordo sul debito fiscale se non fuori dalle procedure concorsuali. Ciò era un limite, perché i debiti tributari spesso sono determinanti. Con il Terzo Correttivo 2024, è stato introdotto l’art. 23 co. 2-bis CCII che consente anche nell’ambito della composizione negoziata di concludere un accordo di transazione fiscale con l’Agenzia delle Entrate e gli enti di riscossione. In pratica, ora l’imprenditore in composizione negoziata può proporre al Fisco un accordo di ristrutturazione delle imposte analogo a quello del concordato, con il vantaggio di evitare la procedura concorsuale. Serve comunque l’assenso formale dell’Agenzia delle Entrate e dell’INPS (non c’è cram-down: il Fisco deve aderire volontariamente). Se l’accordo viene raggiunto e autorizzato dal tribunale, ha effetti vincolanti e consente di falcidiare e dilazionare imposte e contributi come in un concordato. Questa modifica è molto recente (D.Lgs. 136/2024) e rende la composizione negoziata più efficace per trattare i debiti pubblici. Inoltre, la composizione negoziata beneficia di alcuni incentivi fiscali e premiali: ad esempio, durante le trattative l’imprenditore può ottenere la sospensione o riduzione di interessi e sanzioni su debiti fiscali, purché rispetti certi impegni.

In breve, la composizione negoziata è uno strumento prezioso se il negozio ha ancora prospettive di salvataggio ma si trova in crisi di liquidità. Dal punto di vista del debitore, offre un ambiente controllato per ridiscutere i debiti senza subire immediatamente il peso del fallimento e senza dover cedere il controllo dell’impresa. Non c’è voto dei creditori, ma serve convincerli uno a uno, con l’aiuto dell’esperto. Se c’è collaborazione e la crisi è affrontabile (ad esempio tramite nuovi investimenti, taglio dei costi, conversione di debiti in capitale, vendita di asset non essenziali), la composizione negoziata può sfociare in un risanamento di successo, evitando il marchio del fallimento. Di contro, se la situazione è troppo compromessa e i creditori non hanno fiducia, questo strumento può solo rimandare la soluzione giudiziale. È comunque spesso raccomandabile tentarlo, perché anche in caso di esito negativo, l’imprenditore può accedere poi al concordato semplificato, e inoltre dimostra di aver agito in buona fede (il che aiuta per l’esdebitazione e per evitare responsabilità penali da ritardo).

Esempio pratico: Il proprietario di un negozio di scarpe con problemi di liquidità avvia la composizione negoziata. Ottiene misure protettive dal tribunale, così che i fornitori non possano nel frattempo pignorare la merce. L’esperto nominato aiuta a predisporre un piano: propone alla banca di non revocare il fido e anzi di concedere nuova finanza in prededuzione per comprare la collezione primavera (necessaria a tenere vivo il business), ai fornitori offre il pagamento del 50% del pregresso in 24 mesi, e all’Agenzia delle Entrate propone di pagare l’IVA arretrata al 60% in 5 anni (con stralcio totale di sanzioni e interessi). L’esperto assevera che ogni creditore riceverebbe col piano almeno quanto otterrebbe liquidando tutto subito. Banca e fornitori, vedendo che l’alternativa è perdere un cliente e forse nulla in caso di fallimento, accettano. L’Agenzia Entrate, sulla base dell’art. 23 co.2-bis CCII, aderisce all’accordo fiscale perché con il 60% recupera comunque più di quanto incasserebbe vendendo forzatamente il magazzino del negozio (stimato 30%). Il tribunale autorizza l’accordo fiscale. Si formalizza così un accordo di ristrutturazione nell’ambito della composizione negoziata che vincola tutti i creditori aderenti. Il negozio può proseguire l’attività, ripianando gradualmente i debiti secondo l’intesa. In caso di successo, l’impresa sarà risanata; in caso di difficoltà, i creditori potrebbero comunque far valere l’accordo o, se questo fallisce, rimane sempre la possibilità per l’imprenditore di accedere al concordato semplificato liquidatorio.

Accordo di ristrutturazione dei debiti (ARD)

L’accordo di ristrutturazione dei debiti è uno strumento intermedio tra l’accordo privato e il concordato preventivo. Previsto dagli artt. 57 e 60-64 CCII (già art. 182-bis L.F.), consiste in un accordo giudizialmente omologato che il debitore raggiunge con una parte significativa dei creditori, in modo da renderlo efficace anche verso eventuali creditori dissenzienti di minoranza. In sostanza, il debitore elabora un piano di ristrutturazione e ottiene l’adesione di almeno il 60% dei crediti (in valore). Dopodiché chiede al tribunale di omologare l’accordo: con l’omologa, l’accordo diventa vincolante per tutti i creditori indicati nel piano, anche quelli che non hanno firmato (purché abbiano avuto possibilità di aderire). Rispetto al concordato, l’ARD non prevede il voto di tutti i creditori né un commissario, ma solo la necessità di raggiungere quella soglia qualificata di consensi privatamente. È quindi più snello e riservato (il dibattito coinvolge solo i contraenti principali).

Caratteristiche principali:

  • Deve esserci un’attestazione di un professionista indipendente che il piano è fattibile e che i creditori estranei all’accordo non ricevano meno di quanto spetterebbe in una liquidazione (principio di convenienza).
  • Il Fisco e gli enti previdenziali possono partecipare all’accordo: una transazione fiscale/contributiva può far parte dell’ARD. Se il Fisco aderisce formalmente, è vincolato ai patti; se rifiuta, è possibile comunque chiedere al tribunale l’omologazione forzosa (cram-down fiscale) a certe condizioni. Il correttivo 2024 ha però ristretto questa possibilità: il giudice può bypassare il diniego del Fisco solo se la maggioranza del 60% sarebbe comunque raggiunta escludendo il Fisco (ossia il suo voto non dev’essere “decisivo” per la soglia). Se il debito fiscale è molto rilevante (oltre il 40% del totale crediti), il suo diniego purtroppo blocca l’ARD.
  • Una volta omologato, l’accordo produce effetti novativi: i crediti vengono “ristrutturati” secondo i termini pattuiti e i creditori, anche dissenzienti, non possono pretendere più di quanto previsto dall’accordo. Ad esempio, se su €100 di debito IVA l’accordo omologato prevede pagamento 50, il Fisco dovrà accontentarsi di 50 e non potrà chiedere il resto. Se poi l’imprenditore non rispetta le rate dell’accordo, i creditori potranno agire esecutivamente sui termini dell’accordo (non per gli importi originari, salvo risoluzione prevista).
  • Durante le trattative per l’ARD, il debitore può chiedere al tribunale misure protettive simili a quelle del concordato (sospensione delle azioni) per un breve periodo. E depositando la domanda di omologa, ottiene una protezione interinale. Questo rende l’ARD abbastanza sicuro dal punto di vista temporale: serve però depositare l’accordo concluso entro 120 giorni dalla domanda di misure protettive, altrimenti queste cessano.

Quando è utile: L’accordo di ristrutturazione è utile quando il debitore riesce a trovare un’intesa con la maggior parte dei creditori (quantitativamente) ma magari non con tutti. Anziché fare un concordato preventivo (che coinvolgerebbe anche piccoli creditori e richiederebbe il voto formale di tutti), l’ARD permette di vincolare anche i pochi dissenzienti purché si abbia un consenso molto ampio in valore. Tipico esempio: un’azienda negozia con le banche e i fornitori maggiori che rappresentano, diciamo, il 70% del debito totale e raggiunge un accordo di ristrutturazione. I piccoli creditori (30%) potrebbero non aderire, ma con l’omologazione essi saranno comunque soggetti all’accordo (a condizione che non prendano meno di quanto avrebbero preso in fallimento). Vantaggio: procedura relativamente rapida e meno costosa del concordato; niente voto generale, minor pubblicità negativa; si può “discriminare” un po’ tra creditori di pari grado (se il 60% accetta spontaneamente un certo trattamento, non occorre offrire lo stesso a tutti purché il dissenziente non stia peggio che in liquidazione). Svantaggio: occorre convincere un’alta percentuale di creditori su base consensuale – non sempre facile – e i creditori chiave di norma chiederanno di essere soddisfatti in misura superiore agli altri (per esempio, la banca può pretendere un pagamento percentualmente maggiore rispetto ai fornitori generici in cambio del suo sì). Inoltre, durante la fase pre-omologa, i creditori non legati da standstill potrebbero agire: quindi spesso si usa questo strumento quando già c’è un accordo di massima e si confida in tempi brevi per depositarlo in tribunale.

Debiti fiscali nell’ARD: come accennato, si può inserire una transazione fiscale anche nell’accordo. Ad esempio, l’accordo potrebbe prevedere che l’Agenzia delle Entrate, se aderisce, accetti il pagamento parziale dell’IVA e cancelli sanzioni e interessi (cosa consentita dall’art. 63 CCII). Le sanzioni fiscali e gli interessi possono essere abbattuti integralmente in un ARD con transazione. Il capitale delle imposte può essere dilazionato o falcidiato purché, anche qui, al Fisco vada almeno quanto otterrebbe altrimenti. Se il Fisco non aderisce e il suo credito non è determinante >40%, il tribunale può comunque omologare e l’accordo diviene efficace (cram-down). Se invece il Fisco è essenziale per raggiungere 60%, il suo dissenso impedisce l’omologa. Le riforme recenti hanno introdotto anche la figura dell’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61 CCII): se alcuni creditori finanziari non aderiscono, ma si supera il 75% di adesioni nella loro categoria, l’accordo può essere esteso anche ai dissenzienti di quella categoria con decreto del tribunale. Questo serve ad evitare che uno sparuto gruppo holdout blocchi tutto.

In sintesi, l’ARD è un’opzione per imprese con struttura del debito concentrata (es. poche banche, pochi fornitori principali) e che vogliono evitare la complessità del concordato. Per un piccolo negozio di calzature, l’ARD potrebbe non essere lo strumento ideale a meno che i debiti non siano principalmente verso 2-3 soggetti di peso, ad esempio una banca e un grossista, e questi siano d’accordo a un piano. Più spesso, nel contesto di un negozio al dettaglio, i creditori sono vari e di importi medio-piccoli; in tal caso si preferisce o la composizione negoziata (se importi contenuti) o direttamente un concordato se serve coinvolgerli tutti paritariamente.

Concordato preventivo (in continuità o liquidatorio)

Il concordato preventivo è la procedura concorsuale per eccellenza alternativa al fallimento. Regolato dagli artt. 84 e seguenti CCII, permette all’imprenditore in stato di insolvenza (o di crisi irreversibile) di proporre ai creditori un piano per il soddisfacimento parziale dei loro crediti, in cambio dell’esonero dal fallimento e della possibilità – se in continuità – di proseguire l’attività aziendale. Il concordato è un procedimento giudiziale: il tribunale ha un ruolo di controllo, viene nominato un Commissario Giudiziale che vigila, e i creditori votano sulla proposta. È quindi più complesso e “pubblico” rispetto agli strumenti finora visti. Per poter accedere al concordato occorre essere un imprenditore assoggettabile alla liquidazione giudiziale (cioè fallibile): quindi in genere un imprenditore commerciale non piccolo. Tuttavia, il CCII consente anche al debitore minore (non fallibile) di accedere a un concordato minore, di fatto analogo (ne parliamo dopo). Presumendo che il nostro negozio di calzature rientri nei casi fallibili (es. superate le soglie di attivo o debiti), esaminiamo i due tipi di concordato:

Concordato in continuità aziendale: è il concordato in cui l’obiettivo è mantenere in vita l’impresa, sia nella forma di continuità diretta (lo stesso debitore prosegue l’attività, eventualmente ristrutturata) sia di continuità indiretta (si prevede la cessione o conferimento dell’azienda a un terzo che la proseguirà). Il piano deve dimostrare che la prosecuzione dell’attività genera valore sufficiente a pagare i creditori meglio di quanto avverrebbe liquidando tutto subito. La legge incentiva la continuità: ad esempio, non richiede più una percentuale minima di pagamento dei chirografari (nel vecchio regime si chiedeva almeno 20% nei concordati liquidatori; in continuità quel vincolo non c’era già) e consente di soddisfare i creditori privilegiati “relativamente” sui flussi futuri. In concreto, nel concordato in continuità l’azienda continua operatività durante la procedura e dopo l’omologazione. I creditori vengono pagati gradualmente secondo il piano, in parte coi proventi generati dall’attività in bonis e in parte – se necessario – con la liquidazione di beni non essenziali. Si possono prevedere classi di creditori e trattamenti differenziati (purché giustificati da ragioni oggettive). Ad esempio: dipendenti in una classe che verranno pagati quasi per intero e subito; fornitori critici in un’altra con pagamento del 60% in 2 anni; fornitori residuali in un’altra con 20% in 5 anni; banca ipotecaria classe a sé con rientro integrale del valore di perizia dell’immobile in tot anni, ecc. I creditori votano il concordato: serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza semplice calcolata sul totale dei crediti votanti, escludendo eventuali astenuti). Se ci sono classi, serve che la maggioranza delle classi approvi (o almeno una e che le dissenzienti non siano pregiudicate). Dopo il voto, il tribunale omologa il concordato se ritiene rispettati i requisiti (fattibilità, convenienza rispetto alla liquidazione, correttezza della formazione delle classi, ecc.). Debiti fiscali in continuità: l’art. 88 CCII impone al debitore di trattare i crediti fiscali e contributivi tramite transazione fiscale all’interno del piano. In sostanza, il debitore può proporre di pagare solo una parte di IVA, imposte, contributi, dilazionando il resto, a condizione però di garantire all’Erario almeno l’equivalente di quanto prenderebbe liquidando beni con privilegio (valore di liquidazione). Ciò significa che se, ad esempio, l’IVA non pagata è €50.000, coperta da privilegio su beni per un valore di €20.000, nel concordato in continuità bisognerà garantire al Fisco almeno €20.000 (100% del “valore di realizzo” del privilegio) mentre la parte eccedente (€30.000) potrà essere falcidiata parzialmente, purché il Fisco non riceva meno di creditori di pari grado. Questa regola della “doppia soglia” (pieno rispetto del valore di liquidazione per la parte privilegiata, trattamento equo della parte chirografaria) consente di ridurre sensibilmente il carico fiscale in continuità, soprattutto se l’azienda genererà nuovo valore. Il tribunale può omologare il concordato anche senza l’adesione formale del Fisco, applicando il cram-down se il piano è conveniente e la maggioranza di creditori ha approvato. – Per un negozio, un concordato in continuità avrebbe senso se c’è un piano realistico di rilancio: ad es. trovare un socio investitore che immette capitale, chiudere uno dei punti vendita per ridurre costi e puntare sull’online, etc., in modo che l’attività rifiorisca e possa ripagare i debiti in parte. Questa procedura è però costosa e impegnativa, e richiede dimensioni minime (di solito riservata a imprese non microscopiche). Nel nostro contesto “negozio di calzature”, è più probabile che si ricorra al concordato liquidatorio, se l’attività non è più sostenibile, oppure ad un “concordato minore” se non fallibile.

Concordato preventivo liquidatorio: qui l’obiettivo è cessare l’attività e liquidare il patrimonio sotto controllo del tribunale, evitando però il fallimento “tradizionale”. In sostanza, il debitore propone ai creditori: “invece di fallire, vi propongo che io venda (o faccia vendere) tutti i miei beni e distribuisca il ricavato secondo le regole di legge; in cambio, dopo l’esecuzione del piano sarò liberato dai debiti residui (esdebitazione) e la procedura sarà più rapida ed efficiente del fallimento”. Il CCII all’art. 84 comma 3 richiede nel concordato liquidatorio un elemento aggiuntivo: un apporto esterno di risorse pari ad almeno il 10% dell’attivo liquidabile, destinato a incrementare il soddisfacimento dei creditori chirografari. Questo per evitare concordati liquidatori “pigri” e dare un vantaggio rispetto al fallimento. In pratica, un parente, socio o terzo deve mettere dei soldi (o il debitore deve individuare un acquirente che paga un premium price) in modo da aumentare di almeno il 10% l’attivo disponibile. I creditori votano come nel concordato in continuità. Una volta omologato, si procede a liquidare i beni (di solito sotto la guida di un liquidatore nominato dal tribunale) e a distribuire secondo l’ordine delle cause di prelazione (quindi privilegiati prima fino a capienza, poi eventuale resto ai chirografari pro quota). Nel concordato liquidatorio non è consentito falcidiare la parte privilegiata dei crediti fiscali/contributivi se l’attivo basta a pagarla. La transazione fiscale qui è “limitata”: si possono ridurre solo le parti chirografarie dei crediti pubblici (per capirci, l’IVA entro gli ultimi 3 anni è privilegiata – va pagata integralmente se l’attivo lo consente; l’IVA più vecchia o eccedente il valore di realizzo può essere falcidiata). Una regola specifica prevede inoltre che, a differenza del passato in cui si richiedeva il 20% minimo ai chirografari, sotto il CCII non c’è soglia di legge di pagamento ai chirografari purché ci sia quell’apporto del 10% attivo esterno. Se l’attivo è molto basso, i chirografari potrebbero anche ricevere percentuali simboliche o zero, ma almeno il 10% di quell’attivo viene da risorse esterne destinabili preferibilmente ai chirografari. In ogni caso il piano deve garantire ai creditori non meno di quanto avrebbero in fallimento (principio di convenienza sempre presente). Esdebitazione: dopo l’omologazione e l’esecuzione (liquidazione e riparti), il debitore persona fisica è ammesso all’esdebitazione automatica (art. 278 CCII) entro precisi limiti, liberandosi dai debiti non soddisfatti. Se il debitore è una società, questa viene cancellata e i debiti residui restano inesigibili (salvo verso soci garanti, come detto). – Il concordato liquidatorio è spesso usato come soluzione concordata di uscita: consente una liquidazione più rapida, sotto la regia del debitore (che magari può scegliere a chi vendere l’azienda o i beni, evitando la dispersione tipica delle aste fallimentari) e con la prospettiva di chiudere con i debiti. Ad esempio, un negoziante potrebbe presentare un concordato liquidatorio offrendo di vendere tutto il magazzino tramite una svendita controllata e cedere il contratto di affitto a un altro soggetto; il ricavato, più magari un contributo di un familiare, andrà ai creditori. Anche piccoli creditori potrebbero votare sì se vedono che in fallimento prenderebbero uguale o meno e ci vorrebbero anni, mentre col concordato incassano subito qualcosa. È cruciale predisporre una attestazione robusta che mostri che l’alternativa fallimentare non è migliore. Spesso, nei concordati liquidatori si allega già un’offerta vincolante di acquisto di beni o un piano di realizzo che rende il percorso chiaro.

Nota: Il CCII ha anche previsto la figura speciale del “concordato semplificato”, di cui parliamo a parte, che è un concordato liquidatorio senza voto dei creditori attivabile solo come esito di una composizione negoziata fallita. Prima però, spendiamo due parole sulle procedure per chi non può accedere al concordato preventivo ordinario.

Strumenti per i debitori “minori” (sovraindebitamento)

Non tutti gli imprenditori possono accedere alle procedure sopra descritte. Il negozio di calzature potrebbe rientrare tra i cosiddetti debitore minore, ovvero quell’imprenditore che per dimensioni non raggiunge le soglie di fallibilità (attivo annuo > €300.000, ricavi > €200.000, debiti > €500.000). In tal caso, non si applica la liquidazione giudiziale né il concordato preventivo standard, bensì le procedure semplificate di sovraindebitamento, mutuando quanto in precedenza previsto dalla L.3/2012. Il CCII ha riformato tali strumenti, denominandoli: concordato minore, ristrutturazione dei debiti del consumatore e liquidazione controllata (più una forma peculiare di esdebitazione per il debitore incapiente). Vediamoli brevemente, perché per un negozio di piccole dimensioni potrebbero essere la strada da percorrere (come nell’esempio pratico più avanti).

  • Concordato minore: (artt. 74-83 CCII) è analogo al concordato preventivo ma riservato ai debitori non fallibili, incluse le società sotto soglia e gli imprenditori agricoli. La logica è la stessa: il debitore propone un piano ai creditori chirografari e lo sottopone al voto (qui il quorum è calcolato sui votanti, non sugli ammessi, per adattarsi alle situazioni con pochi creditori). Non ci sono percentuali minime di legge da rispettare per i chirografari, solo la verifica che il piano sia conveniente rispetto alla liquidazione controllata alternativa e che sia fattibile e in buona fede. La transazione fiscale è ammessa anche qui: il piano può falcidiare IVA e contributi, rispettando sempre il solito criterio (Erario ≥ scenario liquidatorio). Il cram-down fiscale vale anche nel concordato minore: se la maggioranza complessiva dei crediti approva ma il Fisco dice no, il giudice può ugualmente omologare. In definitiva, il concordato minore è una versione semplificata (meno formalità, costi ridotti, commissario nominato solo se necessario) del concordato preventivo per microimprese.
  • Ristrutturazione dei debiti del consumatore: (artt. 67-73 CCII) è la nuova denominazione del “piano del consumatore”. Si applica alle persone fisiche non imprenditori o imprenditori che hanno cessato l’attività e i cui debiti sono prevalentemente personali. Nel caso del negozio, se il titolare ha chiuso la partita IVA e rimane con debiti personali (es. perché era impresa individuale, o perché socio illimitatamente responsabile di una società di persone), potrebbe accedere a questa procedura presentando un piano di ristrutturazione come privato. Non è richiesto il voto dei creditori: il tribunale valuta ed eventualmente omologa se il piano garantisce il miglior soddisfacimento dei creditori rispetto alla liquidazione e se il debitore è meritevole (non ha colpe gravi nell’indebitamento). È molto potente: consente di tagliare anche i debiti fiscali e contributivi senza consenso degli enti, purché il giudice sia convinto che la falcidia proposta al Fisco è almeno pari a quanto otterrebbe liquidando i beni del debitore. Il Fisco o l’INPS possono fare opposizione sostenendo che il debitore nasconde qualcosa o non è meritevole, ma se non provano ciò, il giudice può omologare comunque. Una volta omologato e poi eseguito il piano, il debitore è liberato dai debiti residui (salvo obblighi per mantenimento o debiti per sanzioni penali, che restano). Questa procedura è ideale per un ex imprenditore onesto che vuole ripagare quello che può in modo ordinato e poi avere un fresh start. Nell’esempio che seguirà, il titolare del negozio Beta S.a.s. utilizza proprio questo strumento.
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato: (artt. 268-277 CCII) corrisponde al vecchio “fallimento civile” o liquidazione del patrimonio ex L.3/2012. Si applica a qualsiasi sovraindebitato (imprenditore minore, consumatore, professionista) che sia insolvente. Può essere richiesta dal debitore stesso, ma anche dai creditori o dal Pubblico Ministero – e qui c’è una differenza importante: mentre prima i creditori non potevano “fare fallire” un non fallibile, ora possono chiederne la liquidazione controllata. La procedura è simile al fallimento: il tribunale nomina un liquidatore, si forma lo stato passivo, si liquidano i beni e si distribuisce il ricavato secondo le prelazioni. Il patrimonio del debitore viene spossessato e gestito dal liquidatore. La grande differenza è che, per la persona fisica, a fine procedura il debitore può ottenere l’esdebitazione (liberazione dai debiti residui) pressoché automatica se ha collaborato (art. 278 CCII). Infatti, se il patrimonio non basta a pagare tutti (cosa probabile), la quota non soddisfatta viene cancellata e i creditori chirografari non possono più pretenderla. Questo vale per il debitore persona fisica; se il debitore era una società minore, essa si estingue e i debiti insoddisfatti restano senza soggetto (ma occhio ai soci illimitatamente responsabili, che potrebbero poi richiedere a loro volta l’esdebitazione personale). Durante la liquidazione controllata non c’è una vera “transazione fiscale” perché si esegue la legge: i crediti pubblici partecipano al concorso con i loro privilegi e prendono la quota che viene dal realizzo. Ma l’aspetto chiave è che dopo, se il debitore è meritevole, il residuo di debiti erariali e contributivi viene anch’esso cancellato dall’esdebitazione. Dunque, la liquidazione controllata offre un “paracadute” al piccolo imprenditore onesto: chiude la vicenda in modo ordinato e poi riparte pulito. È spesso l’ultima risorsa se non è possibile alcun piano di accordo.
  • Esdebitazione del debitore incapiente: (art. 283 CCII) infine segnaliamo questa misura speciale. Se una persona sovraindebitata non ha alcun patrimonio liquidabile (o ha solo beni di valore trascurabile) e non è in grado di offrire nulla ai creditori, può richiedere ugualmente al tribunale la cancellazione dei suoi debiti, in via straordinaria e una tantum. È un istituto introdotto nel 2020 e ora nel CCII, che richiede però requisiti rigorosi: il debitore deve dimostrare di meritare l’esdebitazione pur non pagando nulla, cioè che la sua insolvibilità non dipende da dolo o colpa grave e che non può ragionevolmente migliorare la sua situazione. Se concessa, è una sorta di “grazia” che libera dai debiti (eccetto alimenti, risarcimenti danni da illecito e sanzioni penali). Per l’imprenditore di piccolissime dimensioni che abbia perso tutto e non abbia beni, questa può essere un’ancora di salvezza – va però utilizzata con cautela, perché la si può ottenere solo una volta nella vita e se entro 4 anni dal beneficio emergono nuovi beni (es. un’eredità), i creditori potrebbero rivalersi su quelli.

Abbiamo così completato la panoramica degli strumenti giuridici principali. Riepiloghiamo ora in due tabelle le caratteristiche salienti delle procedure di regolazione della crisi, distinguendo tra quelle per imprese fallibili e quelle per soggetti sovraindebitati minori.

Tabella 1 – Procedure concorsuali principali (imprese fallibili)

StrumentoChi può accedereCaratteristicheTrattamento dei debiti fiscali/contributivi
Composizione negoziata della crisi (artt. 23-25 CCII)Imprese di qualsiasi dimensione in squilibrio o crisi reversibile, che puntano al risanamento.Procedura volontaria e riservata di negoziazione assistita da un esperto. L’imprenditore resta in carica, l’esperto facilita accordi con creditori. Possibili misure protettive concesse dal tribunale (blocco delle azioni esecutive). Durata ~3-6 mesi (proroghe possibili). Esito: accordi stragiudiziali, contratti (es. aumento capitale, cessione azienda) o passaggio a concordato/ liquidazione se fallisce. Non è concorsuale, niente voto né spossessamento. Incentivi: atti autorizzati dall’esperto esenti da revocatoria; premialità (riduzione sanzioni, esenzione bancarotta semplice da ritardo).Transazione fiscale possibile (dal 2024): si può concludere accordo col Fisco su IVA, imposte, contributi. Richiede l’adesione delle Agenzie (Entrate, Riscossione, INPS); no cram-down (senza adesione niente accordo). Nel frattempo, l’impresa può sospendere pagamenti di tributi con misure protettive. Se accordo concluso e autorizzato, vincola le parti come transazione extra-giudiziale. Se composizione fallisce, debiti fiscali integri, ma imprenditore ha eventualmente diritto a concordato semplificato.
Accordo di ristrutturazione dei debiti (ARD, art. 57 e 60-64 CCII)Imprese (anche grandi) insolventi o in crisi, fallibili. Ammissibile estensione anche a imprenditori minori in certi casi (interpretazione).Accordo contrattuale con almeno il 60% dei crediti totali, omologato dal tribunale. No gestione commissariale, l’impresa continua come in bonis. Prevede attestazione di fattibilità e convenienza per creditori estranei. Possibile moratoria su richiesta durante le trattative (48-60 giorni). Omologazione = l’accordo diventa vincolante per tutti i creditori inseriti (dissenzienti inclusi). Flessibile: si possono trattare diversamente creditori di pari grado, purché rispettato il “best interest test” (nessuno sta peggio che in fallimento). Nessun voto generale, conta il consenso iniziale. Durata: negoziazioni variabili, una volta depositato l’accordo l’omologa avviene in pochi mesi se tutto regolare.Transazione Fiscale/Contributiva inclusa se concordata (art. 63 CCII): possibile falcidia di imposte (anche IVA) e contributi con consenso del 60% e adesione AE/INPS. Cram-down fiscale: se AE/INPS dissenzienti ma non decisivi (>40% crediti), il tribunale può omologare ugualmente e l’accordo vincola il Fisco. Se il Fisco è determinante e dice no, niente omologa. Vantaggio: sanzioni e interessi fiscali eliminabili interamente. Dopo omologa, i debiti pubblici sono “novati” secondo l’accordo: se il debitore esegue le rate, l’Erario rinuncia al resto.
Concordato preventivoContinuità (artt. 84-88 CCII)Imprenditori fallibili in stato di insolvenza (o crisi). Anche gruppi di imprese.Procedura concorsuale giudiziale. L’imprenditore propone un piano con continuazione dell’attività (diretta o via cessione a terzi). Nomina di Commissario Giudiziale, controllo del tribunale. Classi di creditori omogenee, voto dei creditori (maggioranza in valore dei votanti). Durante la procedura (dalla domanda) divieto di azioni esecutive, contratto d’affitto di azienda possibile, esercizio provvisorio se necessario. Se omologato, il debitore prosegue l’attività come da piano e paga i creditori secondo i termini proposti (può durare anni l’esecuzione). Richiede attestazione di fattibilità e convenienza. Nessuna percentuale minima obbligatoria per legge ai chirografari (in continuità), ma va garantito che ogni creditore riceva almeno il valore di liquidazione del suo credito.Transazione fiscale obbligatoria (art. 88): il piano può ridurre imposte e contributi, ma deve garantire pagamento ≥ valore di liquidazione dei beni su cui hanno privilegio. Esempio: IVA €50k privilegio su beni per €20k ⇒ pagare almeno €20k. L’eccedenza può essere falcidiata purché il Fisco non sia trattato peggio di altri chirografari di pari grado. Possibile dilazione fino a 6 anni (o più se AE consente). Cram-down: se il Fisco vota contro ma la maggioranza globale approva, il tribunale può omologare lo stesso (verificando convenienza). In continuità, ammessa deviazione dall’assoluta priorità: nuovi valori generati dall’attività possono distribuirsi anche ai chirografari prima di pagare integralmente i creditori pubblici su quella parte eccedente. Ciò per agevolare ristrutturazioni.
Concordato preventivoLiquidatorio (art. 84 co.3 CCII)Imprenditori fallibili insolventi che intendono cessare l’attività.Procedura concorsuale liquidativa. L’impresa propone di liquidare integralmente il patrimonio sotto vigilanza del tribunale, secondo un piano di realizzo (vendite in blocco o analitiche). Nomina di Commissario, voto creditori come sopra. Richiede apporto esterno ≥ 10% dell’attivo a beneficio creditori chirografari. Distribuzione del ricavato secondo prelazioni legali (priorità assoluta). Dopo omologa, un Liquidatore Giudiziale esegue le vendite e riparti. Esdebitazione: per persona fisica, possibile a fine procedura (automatica se requisiti); per società, estinzione (debiti residui inesigibili, salvo azioni verso soci garanti).Transazione fiscale limitata: la legge impone pagamento integrale dei crediti fiscali/contributivi privilegiati entro i limiti dell’attivo realizzato. Se l’attivo basta, IVA e contributi con privilegio vanno pagati al 100%; se attivo insufficiente, di fatto il Fisco prende tutto l’attivo disponibile (nessuna falcidia volontaria, è semplicemente ciò che c’è). La parte chirografaria dei tributi (es. sanzioni, interessi, imposte non privilegiate) può essere falcidiata liberamente. In ogni caso, deve risultare che il Fisco non sia pregiudicato rispetto al fallimento (ma se diamo tutto l’attivo, è soddisfatto al massimo possibile). Nota: In concordato liquidatorio ante-2022 era richiesta soddisfazione ≥20% ai chirografari, ora non più se c’è apporto 10%. Quindi anche il Fisco chirografo potrebbe prendere <20% se purtroppo l’attivo è esiguo, salvo rispetto convenienza.

Tabella 2 – Procedure per debitori minori (sovraindebitamento)

StrumentoSoggettiDescrizioneNote sul debito e esdebitazione
Concordato minore (artt. 74-83 CCII)Debitore “minore” (imprenditore sotto soglia o ente non commerciale) insolvente. Anche società di persone o piccole SRL non fallibili.Procedura concorsuale simile al concordato preventivo, ma semplificata. Piano con proposta ai creditori chirografari e suddivisione in classi facoltativa. Voto dei creditori (maggioranza calcolata sui votanti). Omologazione del tribunale con o senza adesione enti pubblici (possibile cram-down come nel concordato ord.). Niente percentuali minime prefissate per legge, solo valutazione di convenienza (creditori ottengono almeno quanto in liquidazione controllata) e meritevolezza del debitore. Commissario nominato di regola (spesso l’OCC – Organismo di Composizione della Crisi).Transazione fiscale ammessa: si può proporre falcidia e dilazione imposte e contributi alle stesse condizioni del concordato preventivo (Erario ≥ scenario liquidazione). Se il Fisco vota contro ma l’insieme dei creditori approva, il giudice può ugualmente omologare (cram-down fattuale). Esdebitazione: il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione dei debiti non soddisfatti a fine piano eseguito, analoga a quella post-liquidazione. (Per la società non rileva, poiché cessa).
Ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII)Persona fisica non imprenditore (o imprenditore cessato) sovraindebitato. Include imprenditore minore che chiude attività e tratta debiti personali.Procedura giudiziale unilaterale (senza voto creditori). Il debitore, coadiuvato dall’OCC, presenta al tribunale un piano di pagamento dei debiti, tenendo conto del proprio reddito e patrimonio. Il giudice convoca i creditori per eventuali osservazioni, verifica la meritevolezza (no frodi o colpa grave) e la fattibilità del piano, e controlla che i creditori ricevano più che in una liquidazione (miglior soddisfacimento). Se tutto ok, omologa il piano rendendolo vincolante per tutti. Il debitore poi esegue il piano (di solito versando rate ai creditori secondo le sue possibilità, magari con aiuto di parenti).Falcidia dei debiti: il piano può prevedere pagamenti parziali anche ai creditori pubblici senza necessità del loro consenso. Il giudice però verifica che la percentuale offerta al Fisco non sia inferiore a quanto il Fisco otterrebbe pignorando i beni del debitore (scenario liquidatorio). Se l’Agenzia Entrate o altro creditore contesta l’omologazione, il giudice valuta le opposizioni: ad esempio il Fisco potrebbe sostenere che il debitore non è meritevole o che ha omesso qualche cespite. In mancanza di prova contraria, il tribunale può omologare comunque il piano nonostante l’opposizione. Esdebitazione: con l’omologazione si fissa l’obbligo del debitore come da piano; una volta completati i pagamenti previsti, il debitore è liberato dal restante debito (tranne debiti per mantenimenti, sanzioni penali, e risarcimenti da illecito che restano comunque dovuti). Si tratta dunque di un effetto ex lege: i creditori anche pubblici devono rinunciare alla parte non pagata.
Liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII)Qualsiasi sovraindebitato insolvente: imprenditore minore, consumatore, professionista. Può essere richiesta dal debitore o dai creditori/PM (questo è nuovo).Procedura concorsuale di liquidazione giudiziaria semplificata. Il tribunale nomina un liquidatore (spesso un professionista da OCC) che amministra e vende tutti i beni del debitore. I creditori presentano domanda di ammissione (stato passivo). Si applicano regole simili al fallimento ma con meno formalità e organi (no comitato creditori salvo necessario). Si realizza l’attivo e si distribuisce secondo prelazioni legali. Durata: in base al patrimonio, di solito più rapida di un fallimento ordinario. A fine procedura, il liquidatore presenta conto ed elenco riparti effettuati.I debiti sono trattati come in fallimento: crediti privilegiati (inclusi tributi, contributi) soddisfatti per quanto possibile, chirografari pro quota se avanza. Transazione fiscale in senso tecnico non applicabile perché non c’è un piano da negoziare, è liquidazione pura. Tuttavia, il liquidatore e l’AdE possono concordare transazioni su liti fiscali pendenti se conviene ai creditori (es. definire un contenzioso). Cruciale: se il patrimonio è insufficiente a pagare tutti, il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione dei debiti residui. Ciò include i debiti fiscali e contributivi (lo dice espressamente l’art. 277 CCII, salvo sanzioni penali e debiti alimentari). Significa che, terminata la liquidazione controllata, l’ex negoziante è libero dai debiti rimasti. Per le società minori, invece, non c’è esdebitazione perché la persona giuridica si estingue e basta. Attenzione: garanzie personali di terzi rimangono (se un socio ha garantito, il creditore potrà agire sul garante non esdebitato).
Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII)Persona fisica sovraindebitata, meritevole, priva di beni e redditi con cui soddisfare i creditori in misura apprezzabile.Procedura extra ordinem: il debitore chiede al tribunale di essere esdebitato pur senza pagamento. Il giudice valuta la meritevolezza rigorosamente (insolvenza causata da eventi sfortunati, nessun arricchimento, impegno a cercare lavoro ecc.) e sente i creditori. Se concede l’esdebitazione, i debiti vengono cancellati all’istante. Se nei 4 anni successivi il debitore ottiene sopravvenienze attive significative (es. eredità, vincite), deve informare il tribunale e i creditori possono chiedere di soddisfarsi su di esse. Si può ottenere solo una volta nella vita.Tutti i debiti (anche fiscali) sono cancellati, eccetto: debiti da obblighi di mantenimento, da risarcimenti per fatto illecito e da sanzioni penali (questi non si estinguono neanche qui). Il Fisco, come gli altri creditori, non potrà più esigere i crediti erariali ordinari dall’esdebitato. Questa misura è definita “di clemenza” e viene applicata in rarissimi casi, ma rappresenta il riconoscimento legislativo del fresh start per chi davvero non ha nulla da dare.

(Fonti: elaborazione basata su D.Lgs. 14/2019 e mod., Artt. 56, 60, 63, 84, 88, 112, 121, 268, 277 CCII; L. 3/2012; D.L. 118/2021 conv. L.147/2021; see also linee guida Ministeriali. Si vedano riferimenti specifici nelle fonti).

Come si nota dalle tabelle, il panorama è articolato. Dal punto di vista del debitore, la scelta dello strumento dipende dallo stato di salute dell’impresa e dalla dimensione: se c’è ancora speranza di salvataggio, meglio tentare la via negoziale (composizione negoziata, accordi) o un concordato in continuità; se invece l’attività non è più sostenibile, occorre virare verso soluzioni liquidatorie (concordato liquidatorio, concordato semplificato, o liquidazione controllata per i piccoli). Un aspetto cruciale è il trattamento dei debiti fiscali e contributivi: essi hanno spesso il potere di veto o comunque un peso determinante. La normativa, come visto, cerca di bilanciare due esigenze: da un lato garantire un soddisfacimento minimo al creditore pubblico (non si possono azzerare imposte e contributi senza motivo), dall’altro favorire la continuità aziendale e il recupero parziale in caso di crisi (meglio incassare qualcosa in un concordato che niente dopo un fallimento). Il risultato sono strumenti come la transazione fiscale che consentono, a certe condizioni, di ridurre il debito fiscale all’interno di un piano.

Un aggiornamento importante al riguardo: con due interpelli del 7 luglio 2025 (Risp. Agenzia Entrate nn. 178 e 179/2025) è stato chiarito che alcune procedure “nuove” non godono dei benefici fiscali previsti dal TUIR. In particolare, la composizione negoziata e il concordato semplificato non rientrano tra le procedure concorsuali che permettono di esentare le sopravvenienze attive da esdebitazione o le plusvalenze da cessione di beni da imposizione. Significa che, se ad esempio nel concordato semplificato una parte di debiti viene stralciata, quella “sopravvenienza attiva” (cioè il guadagno del debitore derivante dall’aver avuto uno sconto sui debiti) sarà tassata come reddito imponibile, contrariamente a quanto avviene nel concordato preventivo ordinario dove la legge (art. 88, co.4-ter TUIR) la esenta. Ciò è un dettaglio tecnico-fiscale ma ha impatto pratico: in un piano, occorre considerare il costo fiscale di eventuali remissioni di debito, specie in composizione negoziata (dove l’eventuale plusvalenza per cessione di azienda, non essendo procedura concorsuale omologata, non beneficia dell’esenzione art. 86 co.5 TUIR secondo l’AdE). Quindi il negoziante dovrà coordinare anche col consulente fiscale le scelte, per non trovarsi con una “coda” di tasse su remitted debt.

Dopo aver passato in rassegna gli strumenti e le normative, possiamo ora rispondere ad alcuni quesiti ricorrenti che un titolare di negozio indebitato potrebbe porsi, riepilogando i concetti in forma di Domande & Risposte pratiche.

FAQ – Domande e Risposte frequenti

D: Il mio negozio ha troppi debiti e temo di non riuscire a pagarli tutti. Posso evitare il fallimento in qualche modo?
R: Sì, l’ordinamento mette a disposizione vari strumenti per regolare la crisi prima di arrivare al fallimento (oggi chiamato “liquidazione giudiziale”). Puoi ad esempio tentare un accordo con i creditori (anche utilizzando la composizione negoziata assistita da un esperto) oppure presentare un concordato preventivo al tribunale, proponendo tu come ripartire le risorse disponibili. Se la tua impresa è molto piccola (sotto certe soglie) potrai accedere alle procedure di sovraindebitamento (concordato minore o liquidazione controllata) invece del fallimento. In altre parole, il fallimento “classico” si può evitare se si adotta in tempo una soluzione concordata: ad esempio, raggiungendo un accordo omologato coi creditori oppure cedendo i beni in un concordato, invece di subire l’esecuzione forzata disordinata. È importante muoversi attivamente: se resti inerte e i creditori chiedono il fallimento, sarà poi il tribunale a decidere. Ma se presenti prima tu un piano (concordato preventivo o procedimento di composizione negoziata), blocchi le iniziative e prendi tu l’iniziativa.

D: Che cos’è la “transazione fiscale” di cui sento parlare?
R: È uno strumento che consente di ristrutturare i debiti fiscali (e contributivi) all’interno di una procedura concorsuale o di un accordo. In concreto, il debitore propone al Fisco di considerare estinti i propri crediti tributari se paga una certa percentuale (o in certe scadenze) invece del 100%. Questo è una deroga al principio per cui le imposte vanno pagate integralmente, ed è possibile solo per legge. Attualmente, la transazione fiscale è ammessa nel concordato preventivo (art. 88 CCII) e negli accordi di ristrutturazione (art. 63 CCII), e da ultimo è stata estesa anche alla composizione negoziata (nuovo art. 23 co.2-bis CCII). In tutti i casi, il presupposto è che la proposta al Fisco sia conveniente: devi offrire almeno l’equivalente di ciò che l’Erario otterrebbe in una liquidazione fallimentare del tuo patrimonio. Ad esempio, se vendendo i tuoi beni il Fisco recupererebbe 10.000€, la transazione fiscale deve garantirgli almeno 10.000 (magari gliene dai 12.000 in 5 anni) – non potresti offrirgli 5.000 perché sarebbe peggio del fallimento. La transazione fiscale va inserita nel tuo piano e necessita dell’omologazione del tribunale (nel concordato/accordo) o dell’adesione dell’Agenzia Entrate (nella composizione negoziata). In pratica, è un accordo col Fisco approvato dal giudice o dall’ente stesso, che ti consente di pagare meno imposte del dovuto legalmente, purché tu rispetti il piano. Spesso nella transazione fiscale vengono cancellate del tutto sanzioni e interessi e si paga solo una quota del tributo.

D: Ho debiti IVA piuttosto alti: rischio qualcosa sul piano penale?
R: Dipende dall’importo e dalla condotta. Il mancato versamento dell’IVA dichiarata oltre la soglia di €250.000 per anno è un reato (punito con reclusione 6 mesi – 2 anni). Quindi se, ad esempio, per l’anno 2024 risulti un’IVA dovuta di €300.000 che non hai versato entro il termine previsto (di solito entro il 16 marzo 2025 per il saldo annuale), si configura il reato di omesso versamento IVA. Analogamente, non versare le ritenute certificate (quelle trattenute ai dipendenti o ai collaboratori, risultanti dalle CU) oltre €150.000 annui è reato. Ci sono state però novità: dal 2024, se tu rateizzi il debito con l’Erario prima del processo, la legge esclude la punibilità finché il piano di rateazione è in corso. Inoltre, è stata introdotta una clausola che esclude il reato se cause di forza maggiore ti hanno impedito di pagare (ad es. non hai incassato crediti da clienti falliti, o la Pubblica Amministrazione ti deve soldi e tu per questo non avevi liquidità). In generale però, la crisi d’impresa di per sé non giustifica l’omesso pagamento secondo la Cassazione: devi dimostrare circostanze davvero indipendenti dalla tua volontà. Per gestire questo rischio, è consigliabile: 1) attivarsi subito per trovare una soluzione (rateizzazione, oppure inserire l’IVA in un concordato o accordo omologato); 2) evitare distrazioni di risorse verso altri usi quando sai di avere un debito IVA (sarebbe visto come doloso). Se presenti un concordato o un accordo con transazione fiscale, il procedimento penale di norma può essere sospeso in attesa dell’esito. Inoltre, l’art. 13 D.Lgs 74/2000 prevede che se paghi integralmente l’IVA dovuta (anche tardivamente, ma prima del dibattimento penale) non sei punibile. Quindi, includere il pagamento almeno parziale dell’IVA in un piano potrebbe salvarti dal penale. Ricapitolando: sì, il rischio penale c’è per IVA e contributi omessi oltre soglia, ma è gestibile se corri ai ripari – e la nuova normativa è un po’ più comprensiva con chi dimostra che non poteva proprio pagare.

D: Ho un piccolo negozio come ditta individuale. I debiti sono per lo più personali (fornitori, qualche cartella esattoriale). Se chiudo l’attività, i debiti restano per sempre?
R: Se non fai nulla, purtroppo sì, restano a tuo carico illimitatamente. Chiudere la partita IVA o l’esercizio commerciale non cancella magicamente i debiti: i creditori potranno continuare a perseguirti sui tuoi beni personali (stipendio se ti reimpieghi, conto corrente, etc.). Però hai la possibilità di utilizzare le procedure di sovraindebitamento (ora integrate nel CCII) per liberartene. Ad esempio, potresti presentare un piano di ristrutturazione del consumatore: tu cessi l’attività, vendi quel poco che ha ancora valore (magazzino, attrezzature) e offri ai creditori il ricavato in full & final settlement, dopodiché il tribunale omologa e sarai esdebitato per la parte che non riesci a pagare. In alternativa, se non hai proprio nulla da dare, puoi considerare la via della liquidazione controllata o perfino l’esdebitazione “incapiente” (ma quest’ultima è estrema e rara). Diciamo che il vantaggio dei piccoli debitori è che la legge permette di chiudere la vicenda senza strascichi: c’è l’idea del “fresh start”. Quindi, chiudere l’attività è solo il primo passo; contestualmente dovresti attivare una di queste procedure presso l’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) della tua provincia. Il risultato finale, se segui l’iter correttamente, sarà che dopo un certo periodo (qualche mese per l’omologa + se c’è un piano qualche anno di pagamenti sostenibili) i debiti saranno cancellati e tu potrai ripartire da zero senza quegli oneri. Se invece chiudi e basta senza legalizzare la posizione, ogni creditore potrà perseguitarti indefinitamente (fino a prescrizione dei singoli crediti, che per cartelle fiscali può essere lunga, e comunque possono rinnovare ipoteche, decreti ecc.). Inoltre rimarresti esposto a eventuali azioni esecutive sul patrimonio presente e futuro. Quindi, meglio una chiusura pilotata tramite sovraindebitamento che una chiusura “selvaggia”.

D: La mia è una SRL. Ho sempre pensato che i debiti della società non ricadano su di me personalmente (come socio). Confermate?
R: In linea generale , la SRL offre responsabilità limitata: i soci non rispondono con il proprio patrimonio dei debiti sociali. Ma attenzione alle eccezioni: 1) se hai firmato fideiussioni personali (molti fornitori o banche le chiedono ai soci di piccole SRL), per quei crediti garantiti diventi obbligato in solido e il creditore potrà escuterti direttamente sul tuo patrimonio; 2) se la società viene cancellata con debiti non pagati, i creditori potrebbero agire contro di te (entro 5 anni) fino a concorrenza di quanto hai riscosso in liquidazione. E la Cassazione ha detto che possono farlo anche se non hai riscosso nulla, solo per procurarsi un titolo, nel caso spunti fuori qualcosa in futuro. 3) Se sei anche amministratore della SRL, potresti essere ritenuto responsabile verso i creditori per mala gestione ex art. 2486 c.c. (ad esempio se hai aggravato il dissesto non attivandoti per tempo). In procedure concorsuali, il curatore può promuovere azioni di responsabilità e chiederti un risarcimento se hai violato i doveri. 4) In caso di reati fallimentari (es. bancarotta fraudolenta), oltre alle sanzioni penali potresti essere condannato a risarcire i danni ai creditori. Quindi, sebbene la regola generale ti protegga come socio, devi valutare la tua posizione a 360 gradi: hai firmato garanzie? eri amministratore? hai ritirato soldi in fase di liquidazione?. Se la risposta è sì a qualcuno di questi, il tuo patrimonio personale è a rischio. Ad esempio, supponiamo che la tua SRL chiuda con €100.000 debiti verso fornitori; tu da socio non li devi pagare, a meno che tu abbia ricevuto €20.000 di rimborso socio a fine liquidazione – in tal caso quei €20.000 puoi doverli restituire ai creditori insoddisfatti. Oppure, se hai garantito il fido bancario di €50.000, la banca verrà da te a escutere la fideiussione. Insomma, è corretto dire “i debiti della SRL restano in capo alla SRL”, ma nel contesto di una crisi, spesso i soci di piccole realtà sono coinvolti per via di garanzie personali o distribuzioni. Infine, se la società è insolvente e non è fallibile (sotto soglia), sarà soggetta a liquidazione controllata e come visto i creditori post-liquidazione potrebbero rivolgersi ai soci.

D: Ho ricevuto una “comunicazione di allerta” dall’INPS per contributi non pagati e dall’Agenzia delle Entrate per IVA arretrata. Cosa comporta?
R: Le comunicazioni di allerta da parte dei cosiddetti “creditori pubblici qualificati” (INPS, Agenzia Entrate, Agenzia Riscossione) sono un meccanismo introdotto di recente: quando i tuoi debiti scaduti verso questi enti superano certe soglie (es. debiti previdenziali > €50.000, o debiti IVA > €5.000 con cartella scaduta da 90 giorni, ecc.), essi devono inviarti una segnalazione formale invitandoti a reagire. La lettera in genere dice qualcosa tipo: “Risultano a suo carico debiti scaduti per €X superiori alle soglie di legge, La invitiamo a adottare le misure idonee a superare la crisi, ad esempio attivando la composizione negoziata entro 3 mesi”. Dal ricevimento, hai 90 giorni per rispondere e attivarti. Se entro quel termine presenti un’istanza di composizione negoziata o comunque trovi un accordo con l’ente (es. rateizzi i contributi), ottieni alcuni benefici premiali: ad esempio, le sanzioni e interessi su quei debiti potranno essere ridotti, e in caso di successivo fallimento non sarai sanzionabile per aver tardato. Se invece ignori l’allerta, trascorsi i 90 giorni l’ente pubblico potrà prendere iniziativa: l’INPS ad esempio può chiedere al tribunale di convocarti per valutare la situazione, o in casi estremi può presentare istanza di liquidazione giudiziale (fallimento) se ritiene che tu sia insolvente conclamato. Non ci sono sanzioni automatiche se non fai nulla (nessuno ti multa subito), ma la tua inerzia sarà “registrata” e in futuro, se fallirai, potrà essere considerata una tua colpa grave. In sintesi, quelle comunicazioni sono un serio campanello d’allarme: la legge ti dice “Ehi, hai superato il livello di guardia, o corri ai ripari o poi saranno guai maggiori”. Quindi ti conviene prenderle sul serio, rivolgerti immediatamente a un professionista o all’OCC, e predisporre un’azione (che sia attivare la composizione negoziata o presentare un piano di rientro). Spesso le Camere di Commercio offrono supporto in questi casi, sapendo che hai ricevuto un’allerta possono aiutarti a imbastire la procedura. Il succo: non sottovalutarle, perché il rischio concreto è che l’INPS o l’Agenzia Entrate possano poi portarti davanti al giudice loro, e a quel punto perdi l’iniziativa. Meglio anticiparli tu.

D: Cosa succede ai fornitori e alle banche quando attivo una procedura di crisi? Mi bloccheranno tutto?
R: Dipende dalla procedura. Se entri in composizione negoziata con misure protettive, le banche non possono revocare i fidi solo perché hai avviato la procedura (glielo vieta la legge). Però, per esperienza, molte banche diventano prudenti: possono ridurre l’esposizione non rinnovando fidi in scadenza o chiedendo più garanzie (nei limiti di ciò che è consentito). Non possono segnalarti “a sofferenza” solo perché sei in trattativa protetta, ma se avevi già rate scadute possono mantenere la segnalazione di incaglio. Se presenti un concordato, dal momento del deposito la banca deve congelare le linee: di norma, l’utilizzo del fido viene bloccato all’importo attuale e non puoi più aumentare l’esposizione, e ovviamente non puoi ottenere nuovo credito (a meno che qualcuno finanzi in prededuzione con magari garanzia statale). I fornitori, quando sanno che sei in procedura concorsuale, di solito chiedono pagamento anticipato per le nuove forniture. Nella composizione negoziata confidenziale (senza misure protettive) tutto dipende da come li coinvolgi: se li tieni informati e sanno che stai cercando una soluzione con l’aiuto di un esperto, magari continuano a rifornirti (specie se sono fornitori strategici interessati che tu sopravviva). Se invece fiutano che sei in crisi e non sanno di procedure, potrebbero sospendere le consegne per non rischiare di aumentare il credito. Ricordati che in composizione negoziata puoi chiedere al tribunale di sospendere o sciogliere determinati contratti onerosi se ti aiuterebbe (per dire, potresti chiedere di sospendere un contratto di fornitura troppo gravoso) – questo incide sui rapporti coi fornitori. In ogni caso, aspettati che fornitori e banche diventino guardinghi: dovrai ricostruire la fiducia magari offrendo pagamento per contanti alla consegna per un po’, o presentando il tuo piano per convincerli che se collaborano ci guadagniamo tutti. Una nota: se la banca aveva garanzie pubbliche (es. un finanziamento garantito dal Fondo PMI), c’è una giurisprudenza che dice che in composizione negoziata la banca non può escutere subito la garanzia statale durante le trattative, perché rovinerebbe la possibilità di risanamento (lo ha stabilito ad es. il Tribunale di Roma nel 2023). Questo per dire che l’obiettivo della legge è di congelare lo status quo mentre cerchi la soluzione. Quindi, all’attivazione di una procedura, da un lato avrai protezioni legali (nessuno può pignorarti, le banche non possono chiudere i rubinetti immediatamente senza giusta causa), dall’altro lato dovrai gestire i rapporti con partner commerciali con trasparenza e rassicurarli sul fatto che non stanno buttando soldi buoni dopo quelli cattivi.

D: In caso di concordato, chi decide come vengono pagati i creditori? Posso io trattare meglio alcuni (es. fornitori da cui voglio continuare a comprare) e dare meno ad altri?
R: Nel concordato hai una certa libertà di classificazione e trattamento, purché rispetti alcune regole di base. Puoi dividere i creditori in classi omogenee per posizione giuridica o interesse economico. Ad esempio, spesso si fa una classe per i “fornitori strategici” (quelli indispensabili per l’attività futura) e un’altra per i fornitori generici. Puoi offrire percentuali diverse a classi diverse, motivandolo: ai fornitori strategici magari prometti il 50% perché vuoi preservare i rapporti, ai non strategici il 20%. Questo è ammesso se c’è una giustificazione economica (es. senza i fornitori strategici l’azienda non riparte, quindi il loro miglior trattamento è nell’interesse anche degli altri creditori perché aumenta le chance di successo). Ovviamente i creditori voteranno anche in base a come li tratti: se penalizzi troppo una classe, rischi che voti contro e faccia fallire la proposta. La legge vieta disparità ingiustificate tra creditori di pari grado all’interno della stessa classe, ma tra classi differenti puoi modulare, sì. Ad esempio, puoi pagare il 100% ai lavoratori (per legge quasi obbligatorio) e molto meno agli altri; oppure i creditori bancari garantiti prendono il valore di realizzo delle garanzie (diciamo 80% del loro credito), mentre i chirografari solo 30%. Queste differenze sono fisiologiche. Quello che non puoi fare è, ad esempio, pagare un creditore chirografario al 100% “fuori piano” solo perché tuo amico: i pagamenti preferenziali anteriori all’omologa sarebbero revocabili e inoltre il commissario e i creditori lo contesterebbero. Se vuoi favorire un certo fornitore chiave, devi inserirlo in una classe con trattamento migliore e giustificare perché. Importante: i creditori privilegiati (es. Fisco con privilegio, banca ipotecaria) vanno soddisfatti almeno fino a concorrenza del valore dei beni su cui hanno prelazione – non puoi dare meno se no quelli hanno causa di prelazione e farebbero opposizione in omologa. Se li vuoi trattare diversamente dall’ordine delle prelazioni (es. pagare prima un fornitore chirografo e dopo il Fisco privilegiato) devi avere il consenso del creditore privilegiato (questo succede a volte negli accordi, se il Fisco acconsente a prendere dopo altri, ma di regola in concordato il rispetto delle prelazioni è stringente salvo eccezioni di legge sulla continuità). In sintesi: sì, hai margine per decidere chi prende cosa nel concordato, e sta a te cucire un piano che sia votabile. Un suggerimento pratico: se un piccolo fornitore ha un credito minuscolo, spesso conviene pagarlo integralmente fuori dalle classi (debiti di modesta entità si possono soddisfare per intero) in modo da eliminare opposizioni. La legge lo permette entro il 5% del debito chirografario totale di solito, per ragioni umanitarie o pratiche (es. lasciare fuori i creditori con crediti ≤€5000).

D: Se il concordato va in porto e io pago le percentuali stabilite, il resto del debito si annulla?
R: Sì. L’omologazione del concordato preventivo (o del concordato minore) ha l’effetto di vincolare tutti i creditori anteriori al rispetto del piano. Significa che quando poi tu esegui quel piano e paghi, poniamo, il 30% a tizio e il 30% a caio, quei creditori non possono più pretendere il restante 70%. Il debito si considera cancellato per la parte eccedente. Di fatto, è una forma di esdebitazione anticipata: già con l’omologa il credito originario viene novato (sostituito) dall’obbligo di pagare quella minor quota. Se poi tu non rispettassi il piano, il concordato potrebbe essere risolto, e a quel punto i creditori riavrebbero diritto all’intero importo (meno quanto incassato), ma finché esegui bene, sei a posto e a fine piano la tua posizione è regolare. Nel caso di un accordo di ristrutturazione è simile: l’omologa rende l’accordo “legge tra le parti”, quindi se tu esegui le rate e paghi quanto concordato, sei libero. Se non esegui, il creditore può agire per l’esecuzione forzata di quell’accordo (non per l’importo originario, a meno che l’accordo stesso preveda risoluzione). Nel sovraindebitamento pure: se fai un piano del consumatore e il giudice omologa, quando hai pagato quanto stabilito, il giudice dichiara l’esdebitazione sul resto. E in liquidazione controllata, come detto, l’esdebitazione finale copre i residui non pagati. Dunque sì, lo scopo di tutte queste procedure è proprio chiudere i conti con il passato. Attenzione però: restano escluse dall’esdebitazione (anche dopo concordato) alcune categorie di debiti: le sanzioni penali e i cosiddetti debiti di natura personale come alimenti e mantenimento, nonché i danni da fatto illecito doloso. Ad esempio, una multa penale o un risarcimento per truffa non si estinguono con la procedura concorsuale (dovrai comunque pagarli in futuro). Viceversa, i debiti verso fornitori, banche, Fisco, INPS ecc. si annullano per la parte non pagata una volta completato il percorso concorsuale.

D: Quanto dura e quanto costa, in termini di tempo e denaro, attivare queste soluzioni?
R: La durata varia molto. Una composizione negoziata dura di base 3 mesi + eventualmente altri 3, e potenzialmente proroghe fino a 12 mesi in totale in casi complessi, ma diciamo che in 6 mesi dovrebbe concludersi. Un accordo di ristrutturazione dipende dal tempo di negoziazione: se hai già consensi, in 4-6 mesi totali (inclusi tempi tribunale) puoi farcela; se le trattative vanno per le lunghe, magari 9-12 mesi. Un concordato preventivo tradizionale è più lungo: mediamente 6 mesi fino all’omologa (dipende dai tribunali, alcuni in 4 mesi omologano se tutto ok, altri 8), poi c’è la fase di esecuzione del piano che può durare anni (se prevede pagamenti rateali ad esempio 5 anni). Quindi la procedura in sé di concordato è qualche mese per arrivare a omologa, ma si chiude definitivamente quando hai eseguito il piano (salvo che sia liquidatorio, lì la chiusura coincide con la liquidazione dei beni, magari 1-2 anni). Le procedure di sovraindebitamento di solito sono un po’ più rapide perché c’è meno formalità: un piano del consumatore potrebbe essere omologato nel giro di 3-4 mesi dall’istanza se non ci sono intoppi e opposizioni, e poi l’esecuzione dipende dal piano (può essere immediata o su più anni). Una liquidazione controllata potrebbe durare 1-2 anni per vendere tutto e ripartire. I costi: hai costi fissi di contributo unificato (nei concordati qualche centinaio di euro), compensi del professionista attestatore/esperto (che variano in base a dimensione dell’azienda e complessità, qualche migliaio di euro almeno per un piccolo negozio, di più se grande debito), e compensi degli organi della procedura (commissario, liquidatore, OCC). Per le procedure di sovraindebitamento, i compensi dell’OCC sono parametrici ma spesso abbastanza contenuti, a volte qualche migliaio di euro. Nelle composizioni negoziate l’esperto prende un compenso secondo tariffe ministeriali (variabile con attivo e passivo). Diciamo che una composizione negoziata per una micro impresa potrebbe costare sui 4-6 mila euro di esperto (a spanne), un concordato piccolo magari 8-10 mila di commissario + 3-5 mila attestatore + 2-3 mila legali. Sono costi indicativi: molto dipende dai valori in gioco (ad es. i compensi di commissario e liquidatore sono percentuali sull’attivo/debiti). Alcune Camere di Commercio prevedono anticipazioni o riduzioni. In ogni caso, sì, ha un costo affrontare le procedure, ma spesso è l’unica via per risparmiare su debiti ben più grandi. Un vantaggio: le spese della procedura stessa in genere sono prededucibili, quindi vengono pagate prima di tutto e vanno previste nel piano (non escono dalla tua tasca in aggiunta, ma vengono considerate parte del passivo da soddisfare, se l’attivo lo consente). Concretamente, se in concordato hai 100 da distribuire e i costi procedura sono 10, quei 10 vanno ai costi e 90 ai creditori. Perciò il “peso” lo sopportano anche i creditori alla fine. Ovviamente devi comunque avere almeno le risorse per pagare gli acconti a professionisti vari in anticipo. Questo è uno dei nodi per i piccoli debitori: a volte non hanno liquidità nemmeno per pagare un attestatore. In tal caso, può aiutare trovare un parente o socio che finanzi la procedura, oppure optare per la liquidazione controllata dove i compensi del liquidatore sono posticipati e pagati col ricavato dalla vendita dei beni.

Passiamo ora a vedere due casi pratici simulati, per comprendere sul campo come potrebbe operare un negozio di calzature indebitato nelle due situazioni estreme: (1) tentare il risanamento e la continuazione, (2) procedere alla chiusura dell’attività con esdebitazione finale.

Casi pratici: simulazioni in Italia

Caso 1: Risanamento di un negozio di calzature tramite composizione negoziata e concordato in continuità

Profilo: Alfa S.r.l. è una società che gestisce 3 negozi di calzature in Toscana. Negli ultimi anni ha accumulato debiti per circa €400.000: fornitori di merce per €150.000, banca €100.000 (di cui €50k garantiti dal Fondo PMI), debiti tributari €80.000 (IVA e IRAP non versate) e contributivi €20.000 (INPS dipendenti). Ha 5 dipendenti tra i vari punti vendita. Il fatturato è calato per la concorrenza online, ma l’azienda ritiene di poter recuperare spostandosi anche sull’e-commerce e chiudendo il negozio meno redditizio. L’obiettivo è salvare almeno i due punti vendita principali e mantenere il marchio.

Procedura scelta: Alfa S.r.l. attiva la composizione negoziata della crisi rivolgendosi alla Camera di Commercio. Viene nominato un esperto indipendente. L’azienda richiede subito misure protettive, ottenendo dal tribunale una sospensione di 4 mesi delle azioni esecutive (questo impedisce a due fornitori che minacciavano decreti ingiuntivi di procedere). Durante la negoziazione, con l’assistenza dell’esperto, Alfa prepara un piano di risanamento: decide di chiudere uno dei negozi (liquidando le scorte in saldo) e di concentrare l’attività sugli altri due, lanciando parallelemente un sito di vendite online. Il piano prevede l’ingresso di un socio investitore (un familiare) che apporterà €50.000 freschi per finanziare l’e-commerce (questi soldi saranno in prededuzione, autorizzati dal tribunale).

Proposte ai creditori:

  • Ai fornitori: pagamento del 60% del loro credito, di cui 10% entro 6 mesi (grazie all’apporto esterno) e il restante 50% in 24 rate mensili. Propone inoltre di continuare il rapporto commerciale alle condizioni pre-crisi, così i fornitori recuperano un cliente.
  • Alla banca: propone di mantenere l’affidamento di €50.000 come linea di credito rotativa per liquidità e di rinunciare al 30% del credito residuo (quindi accettare €70.000 dilazionati in 5 anni). In cambio, Alfa offre di consolidare il debito in un mutuo assistito da privilegio generale sui mobili dei negozi (cioè la banca avrebbe prelazione). La banca, avendo metà del suo credito garantito dallo Stato, valuta positivamente perché se l’azienda non fallisce può evitare di escutere la garanzia statale – cosa che il Tribunale di Roma ha in passato frenato durante la negoziazione.
  • Per i debiti fiscali (€80k): Alfa sfrutta la nuova norma art. 23 co.2-bis CCII e presenta una proposta di transazione fiscale: pagare il 50% di IVA e imposte in 5 anni, stralciando sanzioni e interessi (quindi su €80k totali, supponiamo €60k imposte e €20k tra sanzioni/interessi, Alfa offrirebbe €30k). Allegano un’attestazione dell’esperto che se l’azienda fosse liquidata ora, il Fisco incasserebbe solo circa €20k, quindi l’offerta di €30k è conveniente. L’Agenzia delle Entrate aderisce condizionatamente, chiedendo però un rientro in 3 anni invece che 5 (trovano un accordo su 4 anni).
  • Debiti INPS (€20k): analoga proposta del 50%. INPS aderisce purché i contributi correnti siano pagati regolarmente (Alfa ha già provveduto a versare i contributi maturati dopo l’avvio della composizione, per mostrare buona fede).

Conclusione accordi: Grazie alla piattaforma negoziale, si mette tutto per iscritto in un accordo quadro sottoscritto da oltre l’80% dei creditori (tutti i principali). I pochi creditori minori (alcuni fornitori con piccoli importi) rimangono fuori ma irrilevanti. A questo punto, per dare forza legale erga omnes, Alfa decide di chiedere l’omologazione in tribunale come accordo di ristrutturazione dei debiti (avendo oltre il 60% di adesioni). Nel deposito dell’accordo, viene anche recepito l’assenso dell’Erario e dell’INPS (transazione fiscale e contributiva integrata nell’accordo). Il tribunale, verificati gli attestati e l’adesione delle percentuali richieste, omologa l’accordo. Da questo momento, l’accordo diventa vincolante anche per i piccoli fornitori non firmatari (che in ogni caso verranno pagati al 60% come gli altri, in ossequio al principio di parità di trattamento).

Esito: Alfa S.r.l. prosegue l’attività nei due negozi rimasti, lanciando l’e-commerce finanziato. Con i risparmi derivanti dalla chiusura del punto vendita in perdita e grazie all’apporto di capitale, riesce a rispettare le prime scadenze dell’accordo. I fornitori strategici continuano a rifornirla (hanno accettato lo stralcio 40% con la prospettiva di future vendite). La banca mantiene il fido in essere. Dopo 2 anni, il giro d’affari è tornato sostenibile e Alfa onora interamente il piano in 4 anni. Tutti i creditori hanno ricevuto quanto promesso. I debiti originari per oltre €400k sono stati ridotti a pagamenti per circa €250k spalmati negli anni – la differenza (€150k circa) è stata cancellata dall’accordo omologato (sopravvenienze attive tassate in parte: l’AdE nella risposta 179/2025 ha chiarito che l’accordo di ristrutturazione rientra tra le procedure agevolate del TUIR, quindi queste remissioni di debito non hanno generato imposte aggiuntive per Alfa – a differenza di comp.negoziata senza omologa). I posti di lavoro sono salvi e l’impresa ha evitato sia il fallimento sia la perdita totale di credibilità sul mercato.

(Questo caso mostra un’ipotesi in cui un negozio strutturato, tramite composizione negoziata e poi accordo/concordato, riesce a ristrutturare il debito e a continuare l’attività. Vediamo ora il caso opposto.)

Caso 2: Liquidazione di un negozio di scarpe individuale con procedura di sovraindebitamento ed esdebitazione

Profilo: Beta S.a.s. gestisce un singolo negozio di calzature al dettaglio. Il socio accomandatario B è di fatto il titolare che manda avanti l’attività; i soci accomandanti (familiari) hanno messo un po’ di capitale ma non partecipano alla gestione. A causa dell’e-commerce e di un calo di vendite generalizzato, Beta ha accumulato debiti totali per €190.000 così composti: fornitori €100.000, banca €50.000 (fido di cassa garantito dai soci personalmente), debiti fiscali €30.000 (IVA di due anni non versata) e contributi €10.000 (contributi INPS commercianti di B non pagati). L’azienda è molto piccola: fatturato sui €150k/anno, attivo modesto (scorte per €40k valore di costo, arredi vecchi). Beta S.a.s. è sotto soglia di fallibilità, dunque non può essere dichiarata fallita in tribunale. B, il titolare, non vede prospettive di recupero e decide di chiudere il negozio. Vorrebbe però evitare di rimanere con debiti personali a vita (ha in comproprietà la casa con la moglie e un’auto vecchia).

Procedura scelta: Si rivolge all’OCC locale (Organismo di Composizione della Crisi) e, con l’ausilio di un gestore, predispone un piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore). Questo perché, pur essendo un piccolo imprenditore, la gran parte dei debiti sono personali e Beta rientra nel sovraindebitamento; B infatti intende cessare la società e affrontare tutto come debitore individuale sovraindebitato.

Contenuto del piano: B propone di:

  • Cessare l’attività e liquidare tutte le rimanenze di magazzino e gli arredi del negozio. Stima di ricavare circa €40.000 (vendendo le scorte in saldo finale e l’arredo a un rigattiere).
  • Questa somma di €40k sarà l’unica risorsa per pagare i creditori (oltre a €5k ottenuti vendendo la sua auto usata). Quindi ~€45.000 disponibile in tutto.
  • Propone di distribuirla in percentuale ai creditori, all’incirca un rimborso del 40% del debito a ciascuno: in dettaglio, dopo aver pagato le spese della procedura e un piccolo debito verso una commessa part-time (credito di lavoro privilegiato, comunque basso), usare i restanti ~€40k così: Agenzia Entrate €12.000 su €30.000 (40%), INPS €4.000 su €10.000 (40%), e i rimanenti ~€24.000 ai fornitori (che riceverebbero anch’essi circa 40%). La banca invece, avendo le fideiussioni personali dei soci accomandanti, sarà soddisfatta fuori piano escutendo i garanti – quindi nel piano B dichiara che il debito verso la banca sarà onorato dai garanti, non chiede di ridurlo. Questo è lecito, perché i crediti garantiti da terzi possono essere esclusi dal piano purché il terzo si faccia carico (il che non pregiudica gli altri creditori). La casa di B non viene toccata perché ipotecata dalla banca per il mutuo e per di più cointestata con la moglie, quindi nessun valore liberabile lì (B continuerà a pagare quel mutuo separatamente).
  • L’OCC redige la relazione ex art. 68 CCII attestando che B è meritevole: la sua crisi è dovuta a cause esterne (calo vendite, pandemia, concorrenza online), non ha colpe gravi né ha aggravato la situazione volontariamente. Inoltre attesta la convenienza del piano: spiega che in una liquidazione forzata Beta farebbe incassare ai chirografari probabilmente zero, perché la casa è già della banca e le scorte vendute all’asta varrebbero molto meno (magari €20k). Invece con il piano i creditori ottengono un 40%. In particolare, nota che il Fisco in un’alternativa liquidatoria non vedrebbe nulla (perché l’unico attivo sarebbero le scorte, su cui i privilegi dei dipendenti e procedurali assorbirebbero tutto), mentre col piano prende €12k.

Iter giudiziale: Il piano viene depositato in tribunale. Non c’è votazione, ma i creditori vengono informati e possono presentare osservazioni/opposizioni. Nel nostro caso, l’Agenzia Entrate non si oppone (capisce che è prendere 40% o rischiare zero); l’INPS invece presenta un’osservazione sostenendo che “i contributi non dovrebbero essere falcidiati per equità verso i lavoratori”. L’OCC risponde rilevando che insistere per 100% dei contributi renderebbe impossibile il piano e comunque in liquidazione INPS non prenderebbe nulla (dato che B non ha altri beni). All’udienza, il giudice verifica: B non ha compiuto atti in frode (ha consegnato documentazione completa, non ha sottratto beni), i creditori sono trattati con parità proporzionale, e rispetto alla liquidazione c’è un chiaro vantaggio per tutti. Riguardo alla contestazione dell’INPS, il tribunale può comunque omologare se ritiene il piano valido. E così fa: omologa il piano nonostante il dissenso dell’INPS, sottolineando che nessun creditore viene pregiudicato e che la pretesa di pagamento integrale dei contributi sarebbe irrealistica e contraria all’interesse collettivo (perché farebbe fallire il piano).

Esecuzione e esdebitazione: Omologato il piano, B procede come promesso: chiude il negozio, fa una svendita totale che rende circa €30.000, vende l’auto a €5.000, trova un compratore per gli scaffali a €3.000. In totale ricava €38.000, leggermente meno del previsto €45k (purtroppo le scorte valevano un po’ meno). Comunica al tribunale tramite OCC l’esito: i creditori riceveranno circa il 38% anziché 40%. Con l’ok del giudice, ripartisce proporzionalmente: l’Agenzia Entrate riceve €11.400, l’INPS €3.800, i fornitori €22.800 (alcuni piccoli fornitori rinunciano formalmente alle loro microquote per semplificare). A questo punto B ha dato fondo a tutto ciò che poteva. Su istanza sua, il tribunale emette il decreto di esdebitazione: dichiara eseguito il piano e cancella tutti i debiti residui di B verso i creditori inclusi. Ciò significa: il Fisco non potrà più pretendere il restante 60% di IVA, l’INPS non potrà chiedere il resto dei contributi, i fornitori non potranno avanzare ulteriori azioni per il rimanente 60%. I soci accomandanti hanno pagato la banca (fideiussori, fuori dal piano), la banca quindi è soddisfatta integralmente da loro e esce di scena (i soci accomandanti, se a loro volta divenuti insolventi per aver pagato la banca, potrebbero intraprendere anche essi procedure personali, ma supponiamo abbiano avuto risorse proprie). La società Beta S.a.s. verrà cancellata dal registro imprese. B, ora ex imprenditore, può ricominciare senza quell’oppressione debitoria (magari troverà un impiego altrove, avendo conservato la casa familiare). I creditori, pur non avendo ricevuto tutto, hanno ottenuto in tempi brevi qualcosa di meglio di uno zero probabile.

Questo caso illustra la filosofia delle procedure di sovraindebitamento: permettere al debitore onesto ma sfortunato di uscire dal tunnel dei debiti insostenibili, liquidando il possibile ma poi voltando pagina.

Conclusione

Un negozio di calzature indebitato non è necessariamente destinato al fallimento rovinoso: la legge italiana, soprattutto dopo la riforma del Codice della Crisi d’Impresa, offre molteplici percorsi per affrontare la situazione in modo ordinato e – per quanto possibile – favorevole al risanamento o quantomeno alla chiusura dignitosa dell’attività. Dal punto di vista pratico, il debitore deve anzitutto prendere consapevolezza della propria condizione finanziaria (monitorare i segnali di allerta, come impone anche l’art. 3 CCII) e agire per tempo. Le soluzioni migliori (accordi, composizione negoziata, concordati in continuità) funzionano se attivate prima che la crisi diventi irreversibile. Se invece la situazione è già compromessa, esistono comunque vie d’uscita (concordati liquidatori, sovraindebitamento) che consentono di evitare le conseguenze più dolorose di procedure esecutive scoordinate e di liberarsi dai debiti residui tramite l’esdebitazione.

È importante sottolineare che ogni strumento ha i suoi requisiti legali e va utilizzato correttamente, spesso con l’assistenza di professionisti (commercialisti, avvocati specializzati in crisi d’impresa). Le sentenze recenti mostrano un orientamento sempre più attento a bilanciare l’interesse dei creditori (compreso il Fisco) con la necessità di dare una seconda chance agli imprenditori onesti. Ad esempio, la Cassazione ha confermato la possibilità di agire contro i soci di società estinte per evitare che i debiti spariscano nel nulla, ma al tempo stesso il legislatore ha introdotto cause di non punibilità penale per chi non paga l’IVA per cause di forza maggiore. L’Agenzia delle Entrate, dal canto suo, ha chiarito limiti e opportunità delle nuove procedure (negando benefici fiscali ad alcune perimetrazioni, ma accettando ad esempio il principio del cram-down in molte situazioni).

In definitiva, il titolare di un negozio indebitato deve studiare bene il da farsi, con l’aiuto di esperti, e scegliere la strada più adatta: negoziare dove possibile, ristrutturare se c’è margine di ripresa, oppure liquidare avvalendosi delle procedure che gli consentano di chiudere i conti col passato e ripartire senza debiti. Con un approccio informato e proattivo, anche una crisi grave può trovare una soluzione disciplinata – e “e ora?” potrà trasformarsi in “e adesso ricomincio da capo, imparando dall’esperienza”.


Fonti e Riferimenti (norme e giurisprudenza)

  • Codice Civile e Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, aggiornato con D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024): artt. 2086, 2476, 2482-bis, 2486 c.c.; artt. 3, 23-25, 25-sexies, 25-octies, 25-novies, 57-64, 67-73, 74-83, 84-88, 120-121, 268-277, 278, 283 CCII.
  • D.L. 118/2021 conv. in L. 147/2021: ha introdotto la composizione negoziata e (art. 18) il concordato semplificato.
  • Legge 3/2012 (abrogata e assorbita nel CCII): disciplina previgente del sovraindebitamento.
  • Legge 155/2017 (delega riforma insolvenza) e Legge 111/2023 (delega correttivi 2023): principi direttivi, tra cui estensione procedure a tributi locali (ancora in corso).
  • D.Lgs. 87/2024 (Riforma reati tributari): modifica art. 10-ter D.Lgs. 74/2000 sull’omesso versamento IVA, introd. art. 13 co.3-bis (forza maggiore).
  • D.Lgs. 136/2024 (Terzo Correttivo CCII): modifica art. 23 CCII (transazione fiscale in composizione negoziata), art. 25-octies (allerta sindaci), ecc.
  • Cassazione Civile, Sez. Unite 12 marzo 2013 nn. 6070-6072: effetti estinzione società, succedono i soci nei rapporti passivi.
  • Cass. Civ. Sez. VI, 28 dicembre 2022 n. 37932: interesse ad agire contro soci anche senza riparto, conferma successione pro quota entro 5 anni.
  • Cassazione Penale, Sez. III, 24/11/2022 n. 46237: reato omesso versamento IVA, dolo generico, crisi di liquidità non esclude punibilità salvo forza maggiore.
  • Cass. Pen. Sez. III, 15/01/2019 n. 1431: afferma che le generiche crisi d’impresa non esonerano da responsabilità penale per omessi versamenti (citata in StudioCataldi).
  • Tribunale di Lecce, decr. 18 febbraio 2025: omologa concordato semplificato con pagamento solo 5% al Fisco e 6% a INPS sulla parte chirografaria, ritenendolo ammissibile (cit. in avvocat… guida concord. sempl.).
  • Tribunale di Lecce, 4 maggio 2023 e Tribunale di Forlì, 28 marzo 2024: ammettono misure protettive nel concordato semplificato, sospendendo esecuzioni (cit. in avvocat… guida).
  • Tribunale di Bergamo, 6 dicembre 2023: dichiara inammissibile concordato semplificato che offriva zero a creditori aventi diritto a qualcosa in liquidazione (principio del “nulla pregiudizio”).
  • Tribunale di Napoli (data nel 2024): revoca ammissione a concordato semplificato per mancanza buona fede e contesta contestualmente il fallimento (cit. avvocat… concord sempl.).
  • Tribunale di Roma, 13 ottobre 2023 (menzionato in dottrina): nella composizione negoziata con garanzia pubblica PMI, ha vietato alla banca di escutere subito la garanzia statale durante le trattative.
  • Agenzia delle Entrate – Risposte a interpello n. 178/2025 e 179/2025 (7 luglio 2025): chiarimenti su trattamento fiscale di plusvalenze e sopravvenienze in composizione negoziata e concordato semplificato – esclusione agevolazioni TUIR (art. 86 co.5 e 88 co.4-ter TUIR non applicabili).

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Gestire un negozio di calzature oggi può essere un’impresa complessa: concorrenza online, affitti elevati, clienti che spendono meno.
Se ti ritrovi con debiti crescenti e incassi che non bastano a coprire le spese, non tutto è perduto. La legge ti offre strumenti per difenderti e ripartire.


Da dove arrivano i debiti di un negozio di calzature?

  • 🧾 Fornitori da pagare per la merce stagionale
  • 💸 Rate di finanziamenti o leasing per l’arredamento
  • 🧍‍♀️ Contributi INPS e dipendenti arretrati
  • 📉 Calo di vendite e aumento delle giacenze in magazzino
  • 🧾 Cartelle esattoriali per tasse non versate (IVA, IMU, TARI)

Tutto ciò può sfociare in pignoramenti, blocchi bancari, ingiunzioni e perdita di credibilità commerciale.


Cosa succede se non agisci in tempo?

Rischi:

  • 🔒 Chiusura forzata per impossibilità di sostenere i costi
  • 💼 Pignoramenti su conti, merci, incassi o beni personali
  • ⚖️ Perdita del DURC, revoca di licenze o crediti fiscali
  • 🏦 Segnalazione come cattivo pagatore, con blocco dei finanziamenti
  • ⛔ Responsabilità personale se sei ditta individuale o socio illimitatamente responsabile

Come difendersi se il negozio è indebitato?

  1. 📂 Fai una ricognizione di tutti i debiti (fiscali, bancari, fornitori)
  2. 🧮 Valuta la sostenibilità dell’attività e se esiste margine di ripresa
  3. ⚖️ Considera la composizione negoziata della crisi o l’accordo con i creditori
  4. ✍️ Se non riesci a pagare, puoi accedere al procedimento per sovraindebitamento
  5. 🔁 In caso estremo, puoi attivare una liquidazione controllata, protetto dalla legge

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📑 Analizza la tua situazione debitoria e il bilancio del negozio
📂 Valuta la forma giuridica e la tua esposizione personale
✍️ Predispone ricorsi contro pignoramenti, cartelle e atti esecutivi
⚖️ Ti segue nella procedura di composizione della crisi o di esdebitazione
🔁 Ti assiste nel rilancio dell’attività o in una chiusura ordinata e protetta


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in crisi d’impresa e sovraindebitamento commerciale
✔️ Consulente per procedimenti per pignoramenti e contenzioso esattoriale
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per negozianti, microimprese e piccoli imprenditori


Conclusione

Se hai un negozio di scarpe in crisi e i debiti ti stanno travolgendo, non aspettare di arrivare al punto di non ritorno. Esistono soluzioni concrete e legali per proteggerti.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi affrontare la situazione con lucidità, bloccare i creditori e costruire un piano per salvare o chiudere l’attività senza distruggere la tua vita.

📞 Richiedi ora una consulenza riservata se hai un’attività commerciale con debiti: la strategia giusta esiste.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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