Hai un fondo patrimoniale e ti trovi in una situazione di sovraindebitamento? Ti stai chiedendo se i tuoi beni inseriti nel fondo sono protetti dai creditori, oppure se possono essere aggrediti comunque? Ti chiedi se puoi accedere alla legge sul sovraindebitamento anche se possiedi un immobile vincolato?
Molti pensano che il fondo patrimoniale basti a mettere in salvo casa e beni familiari, ma la realtà è più complessa. E nei casi di crisi economica personale o familiare, è fondamentale sapere come funziona davvero la protezione del fondo e quali strumenti offre la legge per gestire o cancellare i debiti.
Cos’è il fondo patrimoniale e cosa protegge davvero?
– È un vincolo giuridico che può essere costituito su immobili, titoli o altri beni a favore della famiglia
– Serve a tutelare quei beni da debiti contratti per esigenze estranee ai bisogni familiari
– Non protegge da tutti i creditori: se il debito è legato ai bisogni della famiglia, i beni possono essere pignorati
– La protezione non vale in caso di frode, simulazione o uso scorretto dello strumento
Posso accedere alla legge sul sovraindebitamento se ho un fondo patrimoniale?
– Sì, puoi avviare la procedura di sovraindebitamento anche se sei proprietario di beni vincolati
– Il giudice valuterà se quei beni sono realmente “inutilizzabili” o se possono essere destinati, almeno in parte, a soddisfare i creditori
– In alcuni casi, è possibile mantenere il fondo intatto, se il piano di rientro prevede altre forme di soddisfazione
– Se invece il fondo è stato costituito in prossimità dei debiti, può essere revocato o aggredito
Quali sono i rischi principali?
– Creditori fiscali o bancari possono contestare la validità del fondo
– Il fondo può essere aggredito se il debito riguarda mutui familiari, bollette, spese mediche, istruzione dei figli
– Se il giudice ritiene che la costituzione del fondo sia stata fatta per sottrarre beni ai creditori, può autorizzare l’esecuzione forzata
Come proteggere il fondo e risolvere i debiti?
– Con una procedura di sovraindebitamento trasparente e ben documentata, puoi dimostrare la buona fede
– Puoi proporre un piano di pagamento parziale, che rispetti la tua situazione economica reale
– In presenza di figli minori o persone a carico, è possibile difendere la casa anche se inclusa nel fondo
– Se sei privo di redditi e beni aggredibili, puoi chiedere l’esdebitazione come debitore incapiente
Cosa NON devi fare mai?
– Costituire un fondo patrimoniale “last minute” per evitare i creditori: potrebbe essere dichiarato nullo o revocato
– Nascondere al giudice la presenza del fondo: la trasparenza è fondamentale per ottenere la procedura
– Pensare che il fondo sia una garanzia assoluta: i creditori possono agire se ci sono motivi validi
– Tentare accordi informali senza copertura legale: servono soluzioni strutturate e omologate
Il fondo patrimoniale può offrire una protezione importante, ma non è un salvagente automatico contro i debiti. La legge sul sovraindebitamento è lo strumento che ti permette di affrontare tutto con regole chiare e con la tutela del tribunale.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in tutela patrimoniale e crisi da sovraindebitamento – ti spiega come funziona il fondo patrimoniale, quando è davvero opponibile ai creditori, e come usare la legge per difendere casa e famiglia dai debiti.
Hai un fondo patrimoniale e vuoi sapere se puoi salvare i tuoi beni e uscire dal sovraindebitamento?
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Introduzione
Il fondo patrimoniale è uno strumento previsto dal codice civile italiano (artt. 167-171 c.c.) che consente a una famiglia di destinare determinati beni – tipicamente immobili, mobili registrati o titoli di credito – a far fronte ai bisogni del nucleo familiare. I beni conferiti nel fondo formano un patrimonio separato, vincolato esclusivamente alle necessità della famiglia, con la conseguenza che i creditori non possono sottoporli a esecuzione forzata per debiti estranei ai bisogni familiari, purché ricorrano specifiche condizioni. Parallelamente, la legge sul sovraindebitamento (inizialmente L. 3/2012, oggi integrata nel D.Lgs. 14/2019, Codice della Crisi) offre a debitori civili e piccoli imprenditori non fallibili una serie di procedure per ristrutturare o estinguere i debiti non più sostenibili, ottenendo una possibile esdebitazione (cancellazione delle passività residue) al termine del percorso.
Questi due ambiti, apparentemente distinti, spesso si intrecciano nella pratica: chi si trova in gravi difficoltà economiche può aver costituito un fondo patrimoniale per proteggere la casa di famiglia, oppure potrebbe valutare di farlo, chiedendosi come ciò influirà sulle procedure per la composizione della crisi da sovraindebitamento. È fondamentale comprendere cosa prevede la legge in entrambi i casi: da un lato i limiti e le garanzie reali offerte dal fondo patrimoniale (e come la giurisprudenza ne ha delineato l’efficacia negli ultimi anni), dall’altro gli strumenti di composizione della crisi oggi disponibili (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata, esdebitazione), con le condizioni di accesso, i benefici per il debitore e l’interazione con eventuali atti dispositivi come il fondo stesso.
Struttura della guida: Seguiremo un percorso organico. Inizieremo definendo il fondo patrimoniale, le sue finalità, i requisiti di costituzione e opponibilità, nonché i vincoli all’esecuzione forzata su tali beni. Esamineremo poi le eccezioni e i limiti: quali debiti possono comunque colpire i beni del fondo, l’onere della prova a carico del debitore e le azioni revocatorie o altri rimedi disponibili ai creditori (ad esempio l’art. 2929-bis c.c. per atti in frode). In seguito, illustreremo la legislazione sul sovraindebitamento, dall’evoluzione della L. 3/2012 al Codice della Crisi in vigore da luglio 2022, descrivendo in dettaglio i vari istituti di composizione della crisi: il piano di ristrutturazione per il consumatore (ex piano del consumatore), il concordato minore (ex accordo di composizione), la liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio) e la particolare procedura di esdebitazione del debitore incapiente introdotta di recente. Per ciascuno esporremo finalità, condizioni, funzionamento, durata e effetti sull’estinzione dei debiti.
Successivamente, approfondiremo le interazioni tra fondo patrimoniale e procedure di sovraindebitamento: ad esempio, cosa accade ai beni in fondo patrimoniale se il debitore accede a una liquidazione controllata o propone un piano di ristrutturazione, oppure come la costituzione di un fondo possa essere valutata in termini di meritevolezza e buona fede nell’ambito di tali procedure. Verranno forniti esempi pratici e simulazioni basate su casi tipici (es. famiglia con casa in fondo patrimoniale e debiti da attività d’impresa; consumatore privo di beni che cerca l’esdebitazione; piccolo imprenditore indebitato che ricorre al concordato minore, ecc.), per tradurre gli astratti concetti giuridici in scenari concreti.
Chiuderà la guida una sezione di Domande e Risposte frequenti, che affronta in modo sintetico i quesiti pratici più comuni: dalla costituzione e cessazione del fondo patrimoniale, alla pignorabilità dei beni in varie situazioni, fino ai dubbi operativi sulle procedure di sovraindebitamento (tempi, costi, requisiti, conseguenze per il debitore e per eventuali coobbligati, ecc.). Infine, tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate saranno riportate in fondo per un rapido riferimento.
Procediamo ora con l’analisi dettagliata, iniziando dal fondo patrimoniale.
Il fondo patrimoniale: definizione, scopo e costituzione
Cos’è il fondo patrimoniale? Il fondo patrimoniale è un vincolo di destinazione previsto dal codice civile (artt. 167 e segg. c.c.), mediante il quale uno o entrambi i coniugi (o, dopo la riforma, anche una terza persona per loro) destinano determinati beni a far fronte ai bisogni della famiglia. Si tratta quindi di una forma di patrimonio separato all’interno del patrimonio dei coniugi: i beni conferiti nel fondo (insieme ai frutti che ne derivano) possono essere utilizzati e amministrati dai coniugi, ma solo nell’interesse della famiglia. L’istituto mira a garantire un nucleo minimo di sicurezza economica per la famiglia, proteggendo quei beni da pretese creditorie estranee ai bisogni familiari.
I beni che possono essere conferiti nel fondo sono indicati tassativamente dalla legge: immobili, mobili registrati (es. autoveicoli, imbarcazioni) e titoli di credito (come obbligazioni, titoli al portatore). Si tratta di beni per i quali è possibile garantire pubblicità e opponibilità ai terzi del vincolo di destinazione. Infatti, per costituire validamente un fondo patrimoniale è necessario un atto pubblico notarile (o una disposizione testamentaria) e soprattutto occorre annotare l’atto di costituzione a margine dell’atto di matrimonio nei registri dello stato civile. Quest’ultima formalità è fondamentale: senza l’annotazione, il fondo non è opponibile ai creditori e ai terzi in generale, nemmeno se essi erano a conoscenza della sua esistenza per altre vie. Inoltre, se il fondo comprende beni immobili, l’atto deve anche essere trascritto nei registri immobiliari (ex art. 2647 c.c.), sebbene tale trascrizione abbia valore di mera pubblicità-notizia e non sostituisca l’annotazione nei registri di stato civile.
Soggetti coinvolti: Possono costituire un fondo patrimoniale i coniugi, congiuntamente o anche disgiuntamente (uno solo dei coniugi può conferire propri beni). La dottrina prevalente ritiene che dopo la legge sulle unioni civili (L. 76/2016) l’istituto sia applicabile anche alle unioni civili tra persone dello stesso sesso, per analogia con il regime patrimoniale dei coniugi, sebbene il codice parli espressamente di “coniugi” (la giurisprudenza di merito si è mostrata favorevole ad estendere l’istituto alle unioni civili, equiparate al matrimonio in molti ambiti). È ammesso inoltre che un terzo (ad esempio un genitore di uno dei coniugi) costituisca un fondo patrimoniale conferendo un bene di sua proprietà a favore della famiglia di un’altra persona: in tal caso l’effetto è subordinato all’accettazione dei coniugi beneficiari.
Durata del vincolo: La destinazione del fondo patrimoniale dura finché è in vita il vincolo familiare cui è collegata. L’art. 171 c.c. prevede che il fondo si estingue con l’annullamento, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio (tipicamente, divorzio). Tuttavia, se al momento del divorzio vi sono figli minori, il fondo patrimoniale permane fino al raggiungimento della maggiore età dell’ultimo figlio: ciò per continuare a proteggere i bisogni della prole anche dopo lo scioglimento dell’unione coniugale. In mancanza di figli, o una volta che questi siano divenuti maggiorenni (e salvo che l’atto costitutivo preveda un diverso destino dei beni), il fondo cessa e i beni tornano nella piena disponibilità dei proprietari originari (o dei loro aventi causa). Da notare che la morte di uno dei coniugi non estingue automaticamente il fondo: se ci sono figli minori, il vincolo permane fino alla loro maggiore età; se non vi sono figli minori, dottrina e giurisprudenza ritengono che il fondo cessi poiché viene meno uno dei soggetti su cui gravava l’obbligo di mantenimento familiare (salvo specifiche previsioni nell’atto costitutivo).
Amministrazione dei beni in fondo: Durante la sua vigenza, l’amministrazione dei beni del fondo spetta ad entrambi i coniugi, congiuntamente. Gli atti di disposizione sui beni vincolati (ad esempio vendita, ipoteca, ecc.) richiedono il consenso di entrambi i coniugi; se vi sono figli minori, occorre anche l’autorizzazione del giudice (art. 169 c.c.) per atti che eccedono l’ordinaria amministrazione, a tutela dell’interesse familiare. I redditi (frutti) prodotti dai beni del fondo devono essere impiegati anch’essi per i bisogni della famiglia.
Riassumendo in tabella, ecco le caratteristiche essenziali del fondo patrimoniale:
Aspetto | Descrizione |
---|---|
Beni conferibili | Immobili, mobili registrati, titoli di credito (art. 167 c.c.), di proprietà di uno o entrambi i coniugi (o di un terzo disponente). |
Finalità | Destinare i beni e i loro frutti al soddisfacimento dei bisogni della famiglia (art. 167 c.c.), creando un patrimonio separato e vincolato. |
Costituzione | Atto pubblico notarile o testamento; annotazione a margine dell’atto di matrimonio (necessaria per opponibilità ai terzi); trascrizione immobiliare (se necessario). |
Soggetti coinvolti | Coniugi (anche uniti civilmente); eventualmente un terzo conferente. Amministrazione congiunta dei coniugi. |
Durata | Fino allo scioglimento del matrimonio (divorzio/annullamento) o cessazione effetti civili; persiste fino a maggiore età dei figli minori eventualmente presenti (art. 171 c.c.). |
Vincoli su disposizione | Atti eccedenti l’ordinaria amministrazione necessitano consenso di entrambi i coniugi e, se figli minori, autorizzazione giudiziale (art. 169 c.c.). |
Destino dei beni | Alla cessazione del fondo, i beni tornano nella disponibilità libera dei titolari (salvo diverse disposizioni nell’atto costitutivo o accordi fra le parti). |
Nei paragrafi successivi analizzeremo in particolare la tutela offerta dal fondo patrimoniale contro i creditori (art. 170 c.c.) e i limiti di tale tutela, alla luce delle più recenti sentenze.
Protezione dei beni del fondo patrimoniale dai creditori (art. 170 c.c.)
Il principio cardine del fondo patrimoniale è enunciato dall’art. 170 c.c.: “L’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”. In altre parole, i creditori possono aggredire (pignorare, ipotecare, espropriare) i beni vincolati nel fondo solo se il debito è stato contratto per soddisfare i bisogni familiari oppure se essi (i creditori) non erano a conoscenza del fatto che il debito avesse finalità estranee a tali bisogni. Viceversa, se un’obbligazione è stata assunta per scopi estranei ai bisogni della famiglia e il creditore ne era consapevole, allora i beni del fondo sono impignorabili rispetto a quell’obbligazione. Si tratta dunque di una forma di inespropriabilità “relativa” o condizionata: non un’esenzione assoluta da ogni azione esecutiva, ma un limite all’escussione, basato sulla natura del debito e sulla buona o mala fede del creditore.
Per comprendere appieno questo meccanismo è necessario chiarire alcuni concetti chiave:
- Bisogni della famiglia: la nozione di “bisogni” della famiglia è stata interpretata molto ampiamente dalla giurisprudenza. Non si limita alle esigenze essenziali di mantenimento (vitto, alloggio, vestiario, cure mediche, istruzione dei figli etc.), ma abbraccia “ogni tipo di esigenza volta al pieno mantenimento e all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa”, escluse solo quelle spese voluttuarie o con intenti meramente speculativi. In pratica, rientrano nei bisogni familiari anche esigenze di tipo abitativo (es. acquisto e ristrutturazione della casa familiare), di tutela della salute, di educazione e formazione, di svago proporzionato al tenore di vita, e perfino quelle volte a migliorare la situazione economica del nucleo (come gli investimenti per accrescere la capacità professionale o produttiva dei membri della famiglia). La Cassazione ha affermato ad esempio che “non sono circoscritti all’obbligo alimentare […] ma includono varie esigenze morali e materiali in relazione alla condizione economico-sociale di ciascuna famiglia”, anche personali purché perseguano interessi comuni o l’indirizzo di vita concordato dai coniugi. Restano invece esclusi i bisogni di carattere voluttuario (spese futili, di lusso fine a sé stesso) e quelli meramente speculativi (ad es. investimenti finanziari rischiosi fatti senza connessione con necessità familiari).
- Debiti “per scopi estranei” ai bisogni familiari: Sono quelle obbligazioni contratte al di fuori di tale sfera ampia di esigenze familiari. Classici esempi: debiti contratti esclusivamente per attività imprenditoriali o professionali di uno dei coniugi (non finalizzate, nemmeno indirettamente, al mantenimento della famiglia), oppure debiti di natura personale che nulla hanno a che vedere col ménage domestico (ad es. spese per hobby costosi, speculazioni finanziarie azzardate, spese per interessi estranei alla famiglia). Anche sanzioni amministrative o penali a carico di un coniuge, o debiti risarcitori derivanti da responsabilità civile per fatti non legati alla vita familiare, sarebbero tipicamente estranei ai bisogni della famiglia. La linea di confine talora è sottile, considerando la citata interpretazione estensiva dei bisogni familiari: ad esempio, un finanziamento contratto per l’acquisto di un’automobile usata dal padre per recarsi al lavoro è considerato bisogno della famiglia (mobilità per garantire reddito), mentre un prestito per acquistare un’opera d’arte da collezione potrebbe non esserlo (trattandosi di bene voluttuario). Molti casi dubbi si sono posti in relazione a debiti legati all’impresa o professione di un coniuge, che potrebbero in astratto giovare al nucleo (incrementando i redditi) ma non sono destinati direttamente al mantenimento familiare. Su questo la giurisprudenza ha subito un’evoluzione, come vedremo tra poco.
- Conoscenza del creditore: Condizione altrettanto importante prevista dall’art. 170 c.c. è che il creditore, al momento in cui il debito è sorto, fosse consapevole della natura estranea di tale obbligazione rispetto ai bisogni familiari. Se il creditore era ignaro (in buona fede) e poteva ritenere – sulla base delle informazioni disponibili – che quel debito servisse a uno scopo familiare, allora il vincolo di fondo patrimoniale non potrà essere opposto all’azione esecutiva di quel creditore. La norma tutela così l’affidamento del creditore in buona fede. In pratica, il debitore (o i coniugi) che voglia eccepire l’impignorabilità dovrà dimostrare non solo che il debito era estraneo ai bisogni di famiglia, ma anche che il creditore ne era a conoscenza (o che avrebbe dovuto rendersene conto data la natura palese dell’operazione). Ad esempio, se un coniuge chiede un prestito dichiarando formalmente che servirà per ristrutturare la casa familiare, la banca è legittimata ad agire sul fondo anche se poi il denaro fu usato per scopi diversi, perché la banca non ne era consapevole. Viceversa, se un coniuge stipula una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale di cui è socio, la banca che accetta quella fideiussione sa che sta garantendo obbligazioni dell’attività d’impresa (quindi non direttamente un debito familiare) – come rilevato dalla Cassazione – e pertanto, in linea di principio, la banca non potrà aggredire la casa familiare in caso di escussione, salvo provare che quell’operazione imprenditoriale era invece funzionale ai bisogni familiari diretti.
Alla luce di quanto sopra, l’impignorabilità dei beni del fondo patrimoniale sussiste se – e solo se – si verificano entrambe queste condizioni: (1) la causa del debito è estranea ai bisogni della famiglia (elemento oggettivo), e (2) il creditore all’epoca in cui ha concesso credito o è sorto l’obbligo era a conoscenza di tale estraneità (elemento soggettivo). In mancanza anche di uno solo di tali presupposti (ad es. debito invece contratto per bisogno familiare, oppure debito estraneo ma creditore in buona fede ignaro), il bene in fondo potrà essere pignorato dal creditore procedente.
Dal punto di vista processuale, la protezione del fondo patrimoniale si fa valere tipicamente attraverso l’opposizione all’esecuzione: se un creditore notifica un pignoramento su un bene del fondo, il debitore (esecutato) può opporsi ex art. 615 c.p.c. sostenendo che l’esecuzione è illegittima perché il debito era estraneo ai bisogni familiari e il creditore lo sapeva. La giurisprudenza ha chiarito che l’onere della prova in tal caso grava sul debitore (o sui coniugi) che invocano il regime di impignorabilità del fondo. Spetta dunque a loro dimostrare concretamente la ricorrenza delle due condizioni sopradescritte (natura estranea del debito e scientia creditoris). È una prova non sempre agevole: occorre magari esibire la documentazione da cui risulti lo scopo effettivo del finanziamento o la destinazione della somma ottenuta, dimostrare che il creditore era a conoscenza dello scopo (ad esempio perché indicato nel contratto, o per la tipologia stessa dell’obbligazione). Non basta – avverte la Cassazione – limitarsi a richiamare il “tipo” di obbligazione (ad es. dire: era un debito d’impresa, quindi estraneo) per ritenere automaticamente assolto l’onere probatorio. Serve comunque una valutazione caso per caso, con prudente apprezzamento dei fatti concreti.
In passato, i tribunali avevano spesso una visione restrittiva per i debitori: tendenzialmente molti debiti venivano considerati “familiari” in senso lato, inclusi quelli aziendali, per non ampliare troppo l’area di impunità del fondo. Negli ultimi anni, tuttavia, la Cassazione ha affinato i criteri in senso più equilibrato, se non più favorevole al debitore. Vediamo l’evoluzione:
Orientamento giurisprudenziale: Tradizionalmente, la Suprema Corte ha interpretato in modo estensivo i “bisogni della famiglia”, arrivando a includervi anche obbligazioni derivanti dall’attività professionale o d’impresa di un coniuge, sul presupposto che il potenziamento della capacità lavorativa ed economica di uno dei membri della famiglia indirettamente giova al nucleo familiare. In alcune decisioni si legge che anche un debito contratto per esigenze dell’azienda potrebbe considerarsi volto al mantenimento della famiglia, poiché finalizzato a produrre reddito per essa. Ad esempio, Cass. 4011/2013 arrivò a ritenere che un finanziamento bancario ottenuto da un imprenditore potesse ricadere nei bisogni familiari in quanto l’espansione dell’impresa avrebbe portato beneficio al nucleo. Questo orientamento “permissivo” riduceva la portata protettiva del fondo: quasi ogni debito, a meno che palesemente voluttuario, poteva essere collegato alla famiglia in senso ampio, permettendo ai creditori di aggredire comunque i beni del fondo.
Tuttavia, a partire da una serie di pronunce più recenti, si è fatta strada una linea più rigorosa nel valutare il nesso tra debiti d’impresa e bisogni familiari. Cassazione 8 febbraio 2021 n. 2904 ha segnato una svolta, affermando che non vi è alcun automatismo per cui ogni debito derivante dall’attività imprenditoriale debba considerarsi contratto per il mantenimento della famiglia. In quell’occasione la Corte ha sottolineato che l’ampia interpretazione dei bisogni familiari non può spingersi fino a ricomprendere qualunque obbligazione assunta dai coniugi, specie se riferita all’attività d’impresa, altrimenti il fondo risulterebbe sempre inopponibile ai creditori. Nello stesso solco si è posta Cass. Sez. I, 27 aprile 2020 n. 8201, evidenziando che è errato far rientrare automaticamente nei bisogni familiari i debiti legati all’impresa, dovendo invece valutarsi caso per caso la destinazione effettiva di quelle obbligazioni.
Il dibattito non era però sopito: Cass. Sez. I, 25 ottobre 2021 n. 29983 sembrò tornare a un’impostazione più favorevole ai creditori (forse in obiter dicta), ma il filone “garantista” verso il debitore ha trovato conferma in ulteriori pronunce. Cass. Sez. III, 28 settembre 2023 n. 27562 (decisione definita “recentissima” e molto significativa) ha chiarito con forza che “non è corretta l’affermazione secondo la quale i debiti assunti nell’esercizio dell’attività d’impresa o professionale sono di regola contratti per soddisfare i bisogni della famiglia in maniera immediata e diretta”. Anzi, secondo la Corte, normalmente “nell’esercizio dell’attività di impresa o professionale le obbligazioni sono assunte, di regola, non già per l’immediato e diretto soddisfacimento dei bisogni della famiglia, bensì ai fini dello svolgimento dell’attività stessa. Solo mediatamente ed indirettamente le relative ricadute economiche si ripercuotono sul tenore di vita familiare”. In altri termini, la presunzione viene rovesciata: un debito d’impresa non si presume per la famiglia (casomai il contrario), a meno che il creditore riesca a dimostrare specificamente che, nel caso concreto, quella obbligazione era finalizzata a soddisfare bisogni familiari diretti. Ad esempio, se i coniugi soci di una società hanno prestato fideiussione per un debito sociale, quella garanzia ha come scopo immediato la solvibilità della società (soggetto terzo rispetto alla famiglia); il fatto che il buon andamento dell’azienda possa riflettersi sul benessere familiare è un effetto indiretto e futuro, non un bisogno immediato della famiglia. Pertanto, in tali casi i coniugi potranno opporre il fondo patrimoniale ai creditori d’impresa dimostrando l’assenza di nesso diretto con necessità familiari, senza più subire l’automatismo sfavorevole del passato.
Questa posizione è stata confermata anche da Cass. Sez. III, 13 novembre 2023 n. 31575, la quale in massima ufficiale ha ribadito che l’azione esecutiva sui beni del fondo è legittima solo se l’obbligazione è strumentale ai bisogni familiari e il creditore ignorava l’estraneità a tali bisogni; in ogni caso, “il solo fatto dell’insorgenza del debito nell’esercizio dell’impresa non è di per sé sufficiente a dimostrare né ad escludere” la destinazione familiare, essendo necessaria una valutazione specifica in concreto. Anche qui si rimarca che la natura imprenditoriale del debito non costituisce prova automatica della sua estraneità (che dev’essere comunque provata dal debitore) ma parimenti non consente di presumere che esso fosse per la famiglia senza ulteriori elementi.
In sintesi, oggi possiamo affermare che:
- Il debitore che intende tutelare i beni del fondo deve fornire prova che il debito in questione non ha soddisfatto bisogni familiari e che il creditore ne era conscio. Per farlo può avvalersi anche di presunzioni e indizi (es. la natura stessa del debito, come una fideiussione per obbligazioni sociali, la mancanza di qualsiasi beneficio familiare derivatone, ecc.), ma in caso di contestazione il giudice valuterà caso per caso.
- Non esiste più (o comunque è superato) l’assunto che ogni debito d’impresa sia “automaticamente” per la famiglia: è richiesta una verifica concreta dello scopo. Il semplice richiamo al tipo negoziale (es. definire l’obbligazione come debito d’impresa) non basta di per sé a sottrarre il bene del fondo all’azione dei creditori, ma allo stesso tempo il creditore non può limitarsi ad invocare una generica teoria di beneficio familiare indiretto: dovrà anch’egli, se vuole contrastare l’eccezione del debitore, offrire prova che in quel caso specifico il debito serviva (anche) ai bisogni della famiglia.
- Questo orientamento riequilibra le tutele: da un lato protegge maggiormente la famiglia quando i debiti sono chiaramente estranei (richiedendo al creditore una prova positiva che invece servivano alla famiglia se vuole aggredire il fondo), dall’altro impedisce ai debitori di abusare del fondo con la semplice etichetta di “debito d’impresa”, imponendo comunque di dimostrare l’estraneità nel concreto.
Come vedremo meglio più avanti, tale interpretazione rinnovata ha riflessi importanti anche nel contesto delle procedure da sovraindebitamento. Ad esempio, un debitore con beni in fondo patrimoniale e debiti misti (familiari e non) potrebbe in sede di piano del consumatore sostenere che certi creditori (es. banche per fideiussioni aziendali) non hanno diritto di soddisfarsi su quei beni perché i relativi debiti erano estranei ai bisogni familiari e da essi conosciuti; questo può incidere sul modo in cui il piano viene concepito, sul fabbisogno da destinare a ciascun creditore, ecc. Ma su ciò torneremo. Prima, completiamo l’analisi del fondo patrimoniale trattando i limiti e le possibili azioni dei creditori per aggirarne o annullarne la protezione.
Limiti e vulnerabilità del fondo patrimoniale: revocatoria, 2929-bis, debiti particolari
Sebbene il fondo patrimoniale offra ai coniugi-debitori una significativa protezione in presenza di obbligazioni estranee alla famiglia, non si tratta affatto di uno schermo assoluto e inattaccabile. La legge e la giurisprudenza prevedono diversi istituti che limitano o possono neutralizzare l’efficacia del fondo in determinate circostanze, specialmente se il vincolo è stato costituito in frode ai creditori. Dal punto di vista del debitore è cruciale conoscere questi limiti, sia per non farsi illusioni sulla invulnerabilità del fondo, sia per evitare comportamenti che possano risultare controproducenti (es. costituire un fondo all’ultimo momento quando si è già indebitati può rivelarsi inutile o addirittura dannoso). Ecco i principali punti deboli o eccezioni:
1. Debiti per bisogni familiari e debiti assistiti da garanzie sul fondo
Come già spiegato, l’art. 170 c.c. permette ai creditori di escutere i beni del fondo se il debito è stato contratto per i bisogni della famiglia (in tal caso il vincolo non opera come difesa). Di conseguenza, se i coniugi hanno contratto obbligazioni legate a necessità familiari – ad esempio mutui per la casa coniugale, prestiti per spese mediche, rette scolastiche, contratti per forniture domestiche, tasse sulla casa, ecc. – i relativi creditori potranno iscrivere ipoteca sul bene (nel caso di mutuo, di solito l’ipoteca viene concessa contestualmente) e procedere a pignorarlo se il debito non viene pagato. Esempio tipico: un mutuo ipotecario destinato all’acquisto o ristrutturazione dell’abitazione familiare: chiaramente è un debito per bisogni familiari (la casa per la famiglia) e il creditore (banca) è legittimato a soddisfarsi sull’immobile anche se vincolato in fondo patrimoniale, anzi spesso l’immobile viene conferito al fondo dopo aver acceso il mutuo e iscritto ipoteca. In tal caso l’ipoteca (garanzia reale) resta valida e prevale sul vincolo di destinazione. Allo stesso modo, i debiti tributari relativi alla proprietà di beni del fondo (come l’IMU sulla casa familiare, tasse rifiuti, oppure imposte sul reddito se i redditi servono al mantenimento familiare) sono considerati bisogni della famiglia o comunque non rientrano nella tutela di impignorabilità in base all’art. 170. La Cassazione, ad esempio, ha affermato che tasse e imposte sulla casa coniugale o spese condominiali sono obblighi direttamente connessi alle esigenze abitative della famiglia e quindi eseguibili sui beni in fondo. Dunque, i coniugi devono comunque far fronte ai debiti “di famiglia”, perché il fondo non li protegge da questi.
Inoltre, se un bene del fondo è stato specificamente dato in garanzia di un debito (ad esempio, oltre all’ipoteca mutuataria già menzionata, pensiamo a un’auto in fondo data in pegno per un finanziamento), quella garanzia è opponibile: l’art. 170 c.c. si riferisce all’esecuzione forzata in generale, ma se il creditore è garantito da pegno o ipoteca iscritti regolarmente, potrà escutere il bene sulla base di quel titolo, a prescindere dal vincolo di fondo, purché ovviamente il debito garantito non sia estraneo ai bisogni familiari all’insaputa del creditore. Nella prassi, comunque, le banche o finanziatori prudenti quando concedono un prestito garantito da un bene, si fanno dichiarare che l’impiego del denaro è per scopi familiari, neutralizzando così possibili eccezioni.
2. Azione revocatoria ordinaria e fallimentare del fondo patrimoniale
Il fondo patrimoniale è un atto dispositivo a titolo gratuito (salvo rari casi in cui vi sia un corrispettivo, ma di solito no). Ciò significa che la costituzione del fondo, trasferendo beni dal patrimonio “generale” dei coniugi a un patrimonio separato indisponibile ai creditori, potenzialmente lede i diritti dei creditori stessi. Come ogni atto che diminuisce la garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.) in pregiudizio dei creditori, anche il fondo può essere soggetto ad azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c.. La giurisprudenza è consolidata nel ritenere revocabile il fondo patrimoniale secondo le regole degli atti a titolo gratuito. In pratica:
- Se un creditore esistente (o addirittura futuro, se prevedibile) prova che i coniugi hanno costituito il fondo in frode alle sue ragioni, potrà chiederne la revoca ex art. 2901 c.c. entro i termini di prescrizione (5 anni dall’atto). Non occorre che il debitore fosse già insolvente; basta dimostrare il eventus damni (ossia che il fondo rende più difficile il soddisfacimento del credito, cosa evidente perché sottrae beni alla responsabilità generale) e il consilium fraudis (la consapevolezza del debitore che l’atto reca pregiudizio ai creditori). Nel caso del fondo, trattandosi di atto gratuito, non è nemmeno necessario provare la malafede del terzo (non c’è un terzo onerato, la costituzione del fondo tipicamente non vede un “beneficiario” diverso dal disponente stesso). È sufficiente che il debitore sapesse del potenziale danno ai creditori – e spesso è implicito, visto che il fondo per definizione limita la garanzia ex 2740 c.c.. La Cassazione ha infatti chiarito che “costituendo il fondo a titolo gratuito, è sufficiente il dolo generico, inteso come mera consapevolezza del pregiudizio che l’atto può arrecare ai creditori”. Addirittura, non si può invocare l’eccezione dell’art. 2901 co.3 c.c. (che esclude la revoca per atti di adempimento di un debito scaduto) perché la costituzione del fondo non è adempimento di un dovere legale ma una scelta discrezionale.
- Una volta accolta l’azione revocatoria, l’atto costitutivo del fondo viene dichiarato inefficace nei confronti del creditore istante (revocatoria ordinaria comporta inefficacia relativa). Ciò significa che, pur rimanendo in vita il fondo tra le parti, il creditore che ha agito potrà pignorare i beni come se il fondo non ci fosse (ma la revoca vale solo per lui, non per gli altri creditori in generale, salvo questi agiscano a loro volta). Da notare che, se il debitore fallisce (per un imprenditore fallibile) o viene assoggettato a liquidazione concorsuale, ci sono norme speciali: ne parliamo a breve.
- Revocatoria fallimentare o concorsuale: Se il soggetto che ha costituito il fondo viene poi dichiarato fallito (nel caso di imprenditore fallibile) o sottoposto a liquidazione giudiziale ai sensi del nuovo Codice della Crisi, il curatore può a sua volta far valere l’azione revocatoria nell’interesse di tutti i creditori. In ambito fallimentare si applicano le norme della legge fallimentare (ora art. 166 del Codice della Crisi, già art. 66 L. Fall.) in combinato disposto con l’art. 2901 c.c.. Inoltre, gli atti a titolo gratuito compiuti nei due anni anteriori al fallimento sono automaticamente revocabili ex art. 64 L.F. (ora art. 166 CCII), senza necessità di provare la frode. La Cassazione ha espressamente affermato che la costituzione del fondo patrimoniale “non integra l’adempimento di un dovere legale” e configura un atto a titolo gratuito, dunque è soggetta a revocatoria fallimentare ex art. 64 se compiuta nel biennio antecedente (e per l’ordinaria anche oltre, entro 5 anni, con prova di scientia fraudis del debitore e – trattandosi di atto gratuito – non occorre la consapevolezza del pregiudizio da parte di eventuali terzi beneficiari). In sostanza, in una procedura concorsuale, il fondo patrimoniale è spesso visto come un indice di possibile frode e il curatore diligente ne verificherà subito la data di costituzione e le circostanze. Se appare fatto in periodo di dissesto o con lo scopo di segregare beni a danno dei creditori, verrà revocato con beneficio per la massa creditoria.
Da ciò deriva un importante consiglio per i debitori: costituire un fondo patrimoniale “dell’ultimo minuto”, quando già si è in grave difficoltà finanziaria o con crediti scaduti, è un’operazione praticamente inefficace e rischiosa. I creditori potranno agilmente far valere la revocatoria ordinaria (entro 5 anni) o, se si finisce in insolvenza conclamata, il fondo verrà travolto dalle revocatorie concorsuali o dall’inefficacia ex lege se costituito nei due anni antecedenti la procedura. Inoltre, un tale comportamento potrebbe essere letto come atto in frode e incidere negativamente sulla valutazione di meritevolezza nell’eventuale procedura di sovraindebitamento (come vedremo, uno dei requisiti di accesso alle procedure di composizione è non aver compiuto atti in frode ai creditori). In parole semplici: il fondo funziona come protezione se è stato pianificato in tempi non sospetti e per genuine esigenze familiari, non se usato come scudo all’ultimo per sottrarre beni ai creditori.
3. Aggressione semplificata ex art. 2929-bis c.c.
Dal 2015 l’ordinamento prevede uno strumento aggiuntivo a favore dei creditori, introdotto con il D.L. 83/2015 convertito in L. 132/2015: l’art. 2929-bis c.c. Esso consente, in presenza di atti di destinazione o vincoli di indisponibilità a titolo gratuito, di aggredire direttamente i beni oggetto di tali atti entro un anno dalla loro trascrizione, senza dover prima ottenere una sentenza dichiarativa di inefficacia. L’istituto è stato pensato proprio per contrastare atti come costituzioni di fondi patrimoniali o trust usati per frodare i creditori. In pratica, se il debitore costituisce un fondo patrimoniale e un creditore ritiene che ciò leda le sue ragioni, anziché promuovere una lunga causa di revocatoria, può direttamente procedere a pignorare il bene vincolato, iscrivendo il pignoramento entro un anno dalla data in cui l’atto di costituzione del fondo è stato trascritto nei registri immobiliari. Contestualmente all’esecuzione, il creditore chiederà al giudice dell’esecuzione di dichiarare l’inefficacia dell’atto dispositivo ex art. 2929-bis. Se i presupposti legali ci sono (atto a titolo gratuito – e il fondo lo è – e pregiudizio ai creditori), il giudice potrà accertare l’inefficacia verso quel creditore, consentendo la vendita forzata del bene.
Questa norma di fatto bypassa la necessità per il creditore di provare la scientia fraudis del debitore o il consilium fraus: è sufficiente rispettare il termine annuale e dimostrare che c’è un credito anteriore o immediatamente successivo e che l’atto era gratuito e lesivo. Dunque per i debitori è ancor più sconsigliabile creare fondi “in extremis”: i creditori vigilanti possono reagire entro 12 mesi con 2929-bis e mettere all’asta il bene senza tanti complimenti, salvo poi conguagliare in caso di esito favorevole o sfavorevole del giudizio di merito eventuale. Si noti che il termine di un anno rende di fatto inutili i fondi costituiti poco prima del precipitare della crisi debitoria: se i creditori se ne accorgono (grazie alla pubblicità immobiliare), agiranno tempestivamente.
4. Debiti esclusi per legge dalla esdebitazione
Infine, è opportuno menzionare che alcuni debiti, per loro natura, non possono essere eliminati nemmeno dopo le procedure di sovraindebitamento (esdebitazione). Tra questi vi sono gli obblighi di mantenimento e alimentari, i debiti da risarcimento danni per fatto illecito e le sanzioni penali o amministrative pecuniarie non accessorie a debiti estinti. Queste categorie di debito – anche se per ipotesi legate alla famiglia (mantenimento) oppure estranee – restano comunque dovute e sopravvivono anche dopo un eventuale piano o liquidazione con esdebitazione. Il fondo patrimoniale di per sé non incide su questo aspetto (l’impignorabilità ex art. 170 non copre i debiti di mantenimento verso i figli o il coniuge separato, ad esempio, perché questi sono bisogni stessi della famiglia; e in ogni caso l’esdebitazione li esclude).
Vale la pena riflettere su un caso particolare: se il debitore ha contratto debiti di natura personale illecita (ad es. multe stradali, sanzioni, o ha causato un danno extra-contrattuale), il fondo patrimoniale non offre alcuna protezione – tali debiti non attengono a bisogni familiari (a meno che il fatto illecito sia connesso alla famiglia, situazione rara) e spesso il creditore (Stato o privato danneggiato) ne è consapevole, quindi potrebbe pignorare i beni del fondo. Inoltre, essendo debiti non esdebitabili per legge, resteranno a carico del debitore anche dopo la procedura, quindi i creditori avranno più tempo e modi per soddisfarsi (anche dopo eventuale revoca dell’omologa o in attesa di miglior fortuna del debitore).
In conclusione su questa parte: il fondo patrimoniale è uno strumento potente di protezione patrimoniale in situazioni fisiologiche, ma non è un talismano contro tutti i rischi. I debiti coerenti con le esigenze familiari non godono di alcuna protezione: i creditori come banche per mutui casa, fisco per tasse sulla famiglia o alimenti per i figli potranno comunque colpire i beni. I debiti estranei ai bisogni familiari possono essere eccepiti dal debitore, ma con onere della prova a suo carico e con margini che la giurisprudenza valuta caso per caso – oggi in modo più favorevole rispetto al passato per i debiti d’impresa, come visto, ma pur sempre da dimostrare. In ogni caso, se il fondo appare istituito in frode, esistono robusti strumenti per neutralizzarlo (revocatoria ordinaria, fallimentare, 2929-bis) che i creditori possono efficacemente impiegare soprattutto quando il fondo è di recente costituzione o se esistono elementi di malafede.
Dal punto di vista del debitore, quindi, è bene costituire il fondo (se se ne ravvede l’utilità) in tempi tranquilli, con finalità lecite e documentabili (ad esempio proteggere la casa per la famiglia, non occultare capitali), e capire che esso garantisce un patrimonio “di base” per la famiglia solo contro taluni debiti (quelli estranei e noti al creditore come tali). Quando il soggetto versa già in sovraindebitamento, la sola costituzione del fondo non risolverà i problemi economici e anzi potrebbe precludere l’accesso alle soluzioni di legge (ad esempio configurando frode, con possibile inammissibilità delle procedure ex art. 69 CCII che vedremo). È qui che entra in gioco la legislazione sul sovraindebitamento, ossia quell’insieme di procedure che consentono al debitore civile di gestire e ridurre la propria esposizione debitoria in modo legale e ordinato, con l’intervento del tribunale. Nel prossimo capitolo, esploreremo tali strumenti (piano del consumatore, concordato minore, ecc.), tenendo poi a mente come essi possano interfacciarsi con l’eventuale esistenza di un fondo patrimoniale.
La legge sul sovraindebitamento: evoluzione normativa e principi generali
Con sovraindebitamento si intende una situazione di squilibrio economico in cui un debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (pagare i debiti alle scadenze), pur non essendo soggetto o assoggettabile alle tradizionali procedure fallimentari. In Italia, fino al 2012 mancava una disciplina organica per la crisi da sovraindebitamento dei soggetti non fallibili (cittadini privati, consumatori, piccoli imprenditori sotto soglia, professionisti, enti non commerciali). Ciò significava che persone e famiglie sovraindebitate non avevano strumenti giuridici per uscire dalla spirale debitoria se non pagando integralmente i debiti o restando esposte a pignoramenti a vita; analogamente, piccoli imprenditori esclusi dal fallimento (per dimensioni ridotte o natura particolare) rimanevano in un limbo giuridico.
Per colmare questo vuoto, è stata emanata la Legge 3/2012 (nota come legge “salva-suicidi”), la quale ha introdotto per la prima volta in Italia tre procedure concorsuali semplificate per la composizione delle crisi da sovraindebitamento: (1) l’accordo di composizione della crisi (una sorta di concordato per debitori civili), (2) il piano del consumatore (riservato ai consumatori, senza necessità di accordo coi creditori) e (3) la liquidazione del patrimonio (simile al fallimento ma su base volontaria e con successiva esdebitazione). La L. 3/2012 ha rappresentato una svolta, sebbene inizialmente abbia avuto applicazione limitata e qualche rigidità (ad es. un concetto stretto di “meritevolezza” del consumatore).
Successivamente, con la riforma organica delle procedure concorsuali avviata dal D.Lgs. 14/2019 (il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – CCII), si è prevista l’abrogazione della L. 3/2012 e l’integrazione delle norme sul sovraindebitamento all’interno di un unico codice. Dopo vari rinvii, il Codice della Crisi è entrato in vigore il 15 luglio 2022 e da quella data le “nuove” procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento hanno sostituito le precedenti. In particolare, oggi si parla di “procedure di regolazione della crisi da sovraindebitamento” o “procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento” all’interno del CCII (artt. 65 e segg. CCII). I principali strumenti (rinominati rispetto alla L. 3/2012) sono:
- La ristrutturazione dei debiti del consumatore (il “nuovo” piano del consumatore).
- Il concordato minore (che sostituisce il vecchio accordo di composizione).
- La liquidazione controllata del sovraindebitato (che rimpiazza la liquidazione del patrimonio).
- L’esdebitazione del debitore incapiente (novità introdotta prima nel 2020 nella L.3 e ora confermata nel CCII, per chi non ha nulla da offrire ai creditori).
Accenniamo ora ai principi generali e ai soggetti ammessi a queste procedure, prima di analizzarne nel dettaglio il funzionamento. Secondo l’art. 2, comma 1, lett. c) CCII e segg., possono accedere alle procedure di sovraindebitamento tutti i debitori che non rientrano nelle categorie soggette a fallimento o altre procedure concorsuali maggiori (come il concordato preventivo ordinario). In pratica, l’ambito soggettivo comprende:
- Persone fisiche consumatori, ossia privati che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività d’impresa o professionale (debiti da spese familiari, personali, credito al consumo, ecc.).
- Imprenditori minori, ovvero imprenditori commerciali sotto le soglie di fallibilità (oggi individuate nell’art. 2 CCII: patrimonio attivo annuo ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000, debiti ≤ €500.000). Questi soggetti, che non potrebbero essere dichiarati falliti per insufficiente dimensione, possono invece utilizzare le procedure da sovraindebitamento.
- Imprenditori agricoli, tradizionalmente esclusi dal fallimento ma ammessi qui.
- Start-up innovative (anche se società di capitali, hanno un regime particolare).
- Professionisti, artigiani e altri lavoratori autonomi (che non hanno una procedura concorsuale propria in caso d’insolvenza).
- Enti non profit e fondazioni non commerciali.
- Soci illimitatamente responsabili di società di persone (per i debiti personali non coperti dalla procedura eventualmente riguardante la società).
- Imprenditori cessati (che hanno chiuso l’attività da oltre un anno e quindi non fallibili).
- In generale, ogni debitore “civile” o “piccolo imprenditore” sovraindebitato.
Sono invece esclusi i soggetti che possono accedere ad altre procedure concorsuali, cioè principalmente le società e imprenditori di maggiori dimensioni soggetti a fallimento o concordato preventivo ordinario. Inoltre, la legge stabilisce alcune preclusioni per chi ha abusato delle procedure: non può accedere chi è già stato esdebitato nei 5 anni precedenti, o chi ha già beneficiato di esdebitazione per due volte (in tutta la vita). È escluso anche chi ha agito con dolo o colpa grave nel determinare il proprio sovraindebitamento o ha compiuto atti in frode ai creditori (ad esempio, ha nascosto beni, simulato crediti, o – ricordando la sezione precedente – magari ha costituito un fondo patrimoniale fraudolento): infatti la legge richiede un comportamento sufficientemente corretto del debitore per poter accedere ai benefici.
Un ruolo centrale in queste procedure è svolto dall’OCC (Organismo di Composizione della Crisi). Si tratta di appositi organismi (spesso istituiti presso gli Ordini professionali o le Camere di Commercio, come l’OCC della CCIAA di Pistoia-Prato citato in questa guida) cui il debitore deve rivolgersi per avviare la procedura. L’OCC nomina un professionista gestore della crisi (detto Gestore o Occ), tipicamente un commercialista o avvocato esperto, che assiste il debitore nella redazione della proposta di piano o accordo e nel contatto coi creditori. In sostanza, il debitore presenta domanda all’OCC competente territoriale, allegando documenti sul proprio stato economico e l’elenco di creditori, e l’OCC verifica la completezza e ammissibilità della richiesta. Quindi l’OCC collabora con il debitore per predisporre la proposta di soluzione (piano, concordato o scelta di liquidazione) e la relativa relazione particolareggiata, richiesta dalla legge, in cui attesta attendibilità dei dati e cause dell’indebitamento. Infine il fascicolo viene presentato al Tribunale, il quale apre la procedura e omologa l’accordo/piano o dichiara aperta la liquidazione, a seconda dei casi.
Le procedure hanno quindi natura giudiziale, con l’intervento del tribunale, ma sono attivate su istanza del debitore (o, dal 2022, anche su istanza dei creditori per la liquidazione controllata in certi casi) e gestite operativamente dall’OCC. Sono pensate per realizzare un bilanciamento: da un lato offrire al debitore onesto ma sfortunato una via d’uscita dai debiti (fresh start), dall’altro garantire ai creditori una soddisfazione sia pure parziale ma ordinata, evitando l’aggressione disordinata del patrimonio (che spesso non porta a soluzioni efficienti). In particolare, al termine di queste procedure il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione, cioè la cancellazione di tutti i debiti residui non pagati (salvo quelli esclusi per legge), potendo così ripartire senza l’oppressione dei vecchi debiti. L’esdebitazione, come vedremo, è concessa di diritto dopo la chiusura della liquidazione controllata (a meno di comportamenti scorretti del debitore), oppure a seguito dell’esecuzione integrale del piano omologato, o infine con la procedura speciale per il debitore incapiente (che ottiene il beneficio subito, soggetto però a revoca se entro 4 anni compaiono utilità rilevanti).
Fatta questa panoramica, passiamo ora a descrivere nel dettaglio le singole procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento previste a partire dal 2022, evidenziandone le caratteristiche salienti e le differenze (sarà utile più avanti anche una tabella comparativa). Successivamente, affronteremo come queste possano interagire con un fondo patrimoniale eventualmente in essere.
Strumenti di composizione della crisi da sovraindebitamento (post-riforma 2022)
Come anticipato, le procedure oggi disponibili nel quadro del sovraindebitamento (CCII) sono principalmente tre, più un istituto specifico di esdebitazione per i nullatenenti. Vediamoli uno per uno.
Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex “piano del consumatore”)
Il piano del consumatore era la novità forse più originale introdotta dalla L. 3/2012. Nel Codice della Crisi è confermato (artt. 67-73 CCII) come procedura riservata al debitore consumatore – definito come persona fisica che ha contratto obbligazioni per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. In pratica, un privato cittadino, o anche un imprenditore cessato purché i debiti siano personali/familiari, può accedere al piano del consumatore.
Caratteristica principale: il piano del consumatore non richiede il consenso dei creditori per essere omologato. È una procedura unilaterale dove il debitore propone ai creditori un pagamento parziale o dilazionato dei debiti e il tribunale può omologare il piano, rendendolo vincolante per tutti i creditori, anche se questi sono contrari. Questo aspetto è fondamentale: a differenza delle altre procedure (dove un accordo con la maggioranza dei creditori è necessario), qui l’approvazione dipende solo dalla valutazione del giudice, nell’interesse del debitore meritevole e dei creditori considerati nel loro insieme. Ciò riflette l’idea che il consumatore sovraindebitato spesso ha molti piccoli creditori (banche, finanziarie, utilities) con cui sarebbe troppo complesso trattare individualmente; lo Stato allora offre una soluzione dall’alto se il caso lo merita.
Contenuto del piano: Il debitore consumatore, con l’ausilio dell’OCC, predispone un piano di ristrutturazione dei debiti. Nel piano egli indica come intende soddisfare, in tutto o in parte, le varie obbligazioni: ad esempio potrebbe prevedere di pagare una percentuale (es. 30%) a tutti i creditori chirografari, magari in rate mensili per 5 anni, offrendo il ricavato della vendita di un bene non essenziale, e riservando un trattamento diverso ai creditori privilegiati (che magari vengono pagati integralmente o comunque fino al valore del bene su cui hanno garanzia). Il piano deve assicurare che i creditori ottengano non meno di quanto otterrebbero da una liquidazione di tutti i beni del debitore (principio del best interest test: nessun creditore può essere danneggiato dal piano rispetto all’alternativa liquidatoria). Inoltre, il piano può prevedere la liquidazione di alcuni beni del debitore oppure no, a seconda della strategia: ad esempio un consumatore potrebbe proporre di non vendere la casa di abitazione (se ritiene di poter sostenere un pagamento parziale dei debiti con altre risorse), oppure potrebbe decidere di venderla per soddisfare i creditori in misura maggiore e più rapida. È possibile includere nel piano anche la ristrutturazione di debiti garantiti (mutui ipotecari, ecc.) ad esempio con una moratoria o dilazione di pagamento anche superiore a 1 anno dall’omologazione – cosa prima dibattuta, ma che la Cassazione ha ritenuto ammissibile a patto di dare al creditore ipotecario la possibilità di esprimere osservazioni sulla convenienza.
Procedimento: Il consumatore deposita la proposta di piano e la documentazione (elenco beni, creditori, redditi, ecc.) presso il tribunale competente, tramite l’OCC. Il tribunale valuta in prima battuta l’ammissibilità e può concedere misure protettive (cioè bloccare temporaneamente le azioni esecutive dei creditori) su richiesta del debitore. Dopo di che, viene fissata un’udienza in cui i creditori possono fare osservazioni. Ricordiamo che, rispetto alla vecchia legge, ora anche i creditori che hanno avuto un comportamento scorretto (ad es. hanno concesso credito violando le norme sul merito creditizio ex art. 124-bis TUB) possono contestare l’ammissibilità – nella L. 3/2012 erano esclusi dai reclami di ammissibilità, oggi sono esclusi solo dal contestare la convenienza del piano. In sostanza, se un finanziatore ha contribuito al sovraindebitamento con credito irresponsabile, non potrà lamentare che il piano gli paga poco (convenienza), ma potrà segnalare eventuali cause di inammissibilità formale. Il giudice verifica i requisiti tra cui soprattutto la meritevolezza del consumatore (come spiegheremo fra poco), la fattibilità del piano e l’assenza di atti in frode. Se tutto è in regola e ritiene il piano conveniente per i creditori rispetto alle alternative, omologa il piano con sentenza (sotto il CCII l’omologa avviene con sentenza, non più con decreto come prima). Da quel momento il piano diventa obbligatorio per tutti i creditori anteriori.
Esecuzione e esdebitazione: Una volta omologato, il piano del consumatore è attuato sotto la sorveglianza dell’OCC. A differenza di prima (dove veniva nominato un liquidatore per eseguire il piano), ora è direttamente il debitore che deve adempiere quanto previsto (pagare le rate, vendere i beni indicati, ecc.), mentre l’OCC vigila sull’esecuzione e riferisce al giudice ogni sei mesi. Questo snellisce la procedura e responsabilizza il debitore. A fine esecuzione, l’OCC presenta una relazione finale di avvenuto adempimento. Il giudice quindi dichiara chiuso il procedimento con soddisfazione del piano e a quel punto il debitore ha diritto all’esdebitazione (cioè alla liberazione dai debiti residui concorsuali non pagati). In realtà il CCII ha reso l’esdebitazione più automatica: non occorre domanda ad hoc. Se il piano è completato, l’esdebitazione segue naturalmente. Se invece il debitore inadempie al piano in modo rilevante o commette frodi, il giudice (anche su istanza creditori o d’ufficio via OCC) revoca l’omologazione e dichiara risolto il piano. In tal caso, su istanza del debitore si può aprire una liquidazione controllata in via di “conversione”. Da notare che il termine per chiedere la revoca per inadempimento o frode è stato ridotto a 6 mesi dalla chiusura (prima era 2 anni), per dare certezza più rapida al debitore regolare. Decorso tale termine, se nessuno ha eccepito, l’esdebitazione diviene definitiva.
Meritevolezza e buona fede: Un aspetto critico nei piani del consumatore è sempre stato il requisito soggettivo di ammissibilità legato al comportamento del debitore. La L. 3/2012 (nella versione originaria) prevedeva che il giudice potesse omologare il piano solo se il consumatore era “meritevole”, cioè non aveva colposamente causato il proprio sovraindebitamento né assunto debiti senza ragionevole prospettiva di adempimento. Tale “triplice test di meritevolezza” (come veniva chiamato) era piuttosto stringente. Molti piani venivano bocciati perché, ad esempio, il giudice riteneva che il consumatore avesse fatto ricorso al credito in modo sproporzionato rispetto al reddito, segno di imprudenza o colpa grave. Nel 2020, però, c’è stata una svolta normativa: la legge 176/2020 (di conversione del D.L. 137/2020, “Ristori”) ha modificato la L.3/2012 eliminando il vecchio art. 12-bis comma 3 (che conteneva il test in tre punti) e introducendo un criterio unico: la proposta è inammissibile se il debitore ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode. In pratica: non più tre parametri generici, ma un solo concetto, centrato su dolo o colpa grave nel causare l’indebitamento. Questo principio è ora recepito nell’art. 69, co. 1, CCII (per il piano del consumatore) e nell’art. 65 CCII (requisiti generali). La differenza è sottile ma importante: non si richiede più la “ragionevole prospettiva” ex ante né la proporzionalità del credito al reddito, ma solo si esclude chi ha agito con intenzionale malafede o grave leggerezza nel creare il debito o ha compiuto atti in frode. Per esempio, oggi non è necessario negare l’accesso a chi ha contratto molti prestiti pur con reddito basso (se lo ha fatto magari per necessità e non con frode), mentre resta escluso chi ha dissipato patrimonio scientemente o chi ha mentito ai creditori. Cassazione 27 luglio 2023 n. 22890 ha espressamente affermato che la valutazione di meritevolezza del consumatore va aggiornata al nuovo criterio di cui all’art. 69 CCII, diverso dai precedenti parametri abrogati. Dunque, oggi un consumatore potrà accedere al piano salvo che emergano elementi di colpa grave, malafede o frode (es: ha contratto i debiti sapendo già di non poterli onorare, oppure ha falsificato documenti per ottenere credito, oppure ha volutamente dilapidato denaro in spese voluttuarie contando di non pagare i creditori). Non costituisce più, di per sé, causa di inammissibilità il semplice eccesso di indebitamento rispetto al reddito, se non accompagnato da colpa grave.
Vantaggi per il debitore: Il piano del consumatore è spesso la via preferibile se percorribile, perché consente di ristrutturare i debiti senza dover avere il consenso dei creditori e magari conservando i beni essenziali (come l’abitazione). Durante la procedura il debitore può ottenere la sospensione delle azioni esecutive in corso e il divieto di iniziarne di nuove, così da avere respiro. Se completato, dà accesso all’esdebitazione totale dei debiti residui. Inoltre, la durata del piano può essere concordata su misura (tipicamente 4–5 anni, ma può essere anche più breve o leggermente più lunga in base alla fattibilità e all’accordo con eventuali terzi che finanziano il piano). Un altro vantaggio è che i creditori che abbiano tenuto comportamenti scorretti (ad es. banca che abbia concesso credito violando norme antiusura, o finanziaria che non ha valutato credit score) non possono contestare la convenienza del piano, quindi si riduce la loro capacità di opporsi.
Svantaggi e limiti: Non tutti possono accedere – solo i consumatori, quindi se uno ha debiti in parte correlati a un’attività d’impresa in corso (es. è piccolo imprenditore) non può fare il piano, dovrà fare il concordato minore. Inoltre, il piano deve comunque essere sostenibile con i mezzi del debitore: se la persona non dispone di entrate sufficienti nemmeno per una minima proposta, il piano non è fattibile e si dovrà optare per la liquidazione o per l’esdebitazione da incapiente. Il giudice inoltre può rigettare il piano se ritiene che i creditori ricevano meno di quanto potrebbero ragionevolmente avere (ad es. se il debitore ha beni di valore che potrebbe liquidare e nel piano invece offre troppo poco). E naturalmente, una volta omologato, il piano va rispettato scrupolosamente dal debitore, altrimenti si rischia la revoca e la perdita del beneficio.
Concordato minore (ex accordo di composizione dei debiti)
Il concordato minore (disciplinato dagli artt. 74-83 CCII) è la nuova denominazione dell’“accordo di composizione della crisi” previsto dalla legge del 2012. È la procedura destinata ai debitori sovraindebitati non qualificabili come consumatori. In pratica riguarda i piccoli imprenditori, professionisti, start-up, ditte individuali, imprenditori agricoli, enti non profit e in genere chiunque abbia debiti in ambito economico-professionale, o misti, tali da escludere la qualifica pura di consumatore. Anche un consumatore in teoria potrebbe optare per il concordato minore, ma tendenzialmente se è consumatore conviene usare il piano a lui dedicato. In realtà il CCII esclude espressamente la procedura di concordato minore per il consumatore: quest’ultimo deve usare il piano. Quindi le due platee sono separate.
Caratteristiche: A differenza del piano del consumatore, qui la volontà dei creditori conta. Il debitore propone un accordo ai creditori che deve essere approvato da una maggioranza per poter essere omologato. È un meccanismo simile a un concordato preventivo ma semplificato e tarato per chi non può accedere a quello maggiore. Vediamo come funziona:
- Proposta di concordato minore: Il debitore (coadiuvato dall’OCC) formula una proposta che può avere due forme: “in continuità” se prevede la prosecuzione dell’attività imprenditoriale/professionale, oppure “liquidatoria” se invece il debitore cesserà l’attività e mette a disposizione beni per il pagamento dei creditori. Nel secondo caso (liquidatorio) la legge richiede espressamente un “apporto di risorse esterne” che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori. Questo per evitare che il concordato minore liquidatorio sia troppo svantaggioso rispetto a una liquidazione controllata: il debitore deve metterci qualcosa in più (es. far intervenire un familiare con una somma, o rinunciare a qualche esenzione, ecc.). Il contenuto della proposta può consistere in percentuali di pagamento dei vari crediti, dilazioni, stralci, cessione di beni, ecc., in maniera molto flessibile, purché siano rispettate le cause legittime di prelazione (non si può alterare l’ordine dei privilegi senza consenso dei creditori interessati) e il best interest test (nessun creditore dissenziente può ricevere meno di quanto avrebbe ottenuto in una liquidazione alternativa).
- Adesione dei creditori: La proposta viene comunicata ai creditori e questi sono chiamati ad esprimere il voto. Si ha accordo se aderisce un numero di creditori che rappresenta la maggioranza dei crediti (oltre il 60% dei crediti ammessi al voto, secondo la L. 3/2012, ma nel CCII sembrerebbe bastare la maggioranza semplice >50%; occorre fare attenzione se il 60% sia stato mantenuto o ridotto – dal testo OCC Pistoia sembra maggioranza >50%). In ogni caso, serve un quorum di consensi. I creditori privilegiati che non subiscono alterazioni di diritti non votano (si considerano comunque soddisfatti integralmente se il concordato prevede ciò). Se il concordato prevede invece per loro una moratoria oltre 1 anno o un pagamento non integrale, allora devono poter votare o comunque esprimere approvazione (cosa resa possibile anche dalla Cass. 34150/2024 citata sopra, che in ambito accordo ha ammesso dilazioni pluriannuali con il voto dei privilegiati). Importante: nel concordato minore, diversamente dal piano, i creditori possono attivarsi: se non sono soddisfatti della proposta, voteranno contro e l’accordo non passerà, costringendo eventualmente il debitore alla liquidazione.
- Omologazione: Se la maggioranza necessaria di crediti approva, il tribunale fissa udienza per omologare l’accordo. I creditori dissenzienti possono solo fare opposizione contestando la convenienza della proposta (sostenendo che in liquidazione avrebbero ottenuto di più). Il giudice decide se comunque omologare l’accordo (se ritiene che per i dissenzienti il trattamento sia equo e non inferiore alla liquidazione). Se non vi è opposizione o se viene rigettata, il concordato minore viene omologato e diventa vincolante per tutti i creditori anteriori, anche quelli che non hanno aderito.
- Esecuzione ed esdebitazione: Una volta omologato, l’esecuzione del concordato minore segue regole simili al piano: il debitore esegue con la supervisione dell’OCC (oppure può essere nominato un liquidatore se è prevista la vendita di beni complessa). Al termine, se tutto va a buon fine, si dichiara l’esecuzione conclusa e il debitore è esentato dai debiti residui concorsuali. Nel CCII, anche qui, l’esdebitazione segue automaticamente la corretta esecuzione. Se invece il debitore non rispetta il concordato, i creditori o il PM possono chiederne la risoluzione e il giudice, accertato l’inadempimento rilevante, lo dichiara risolto, aprendo su richiesta la liquidazione controllata (conversione).
- Requisiti soggettivi: Il concordato minore richiede che il debitore non abbia fatto atti in frode, non abbia già avuto esdebitazioni recenti, ecc., analoghi a quelli generali detti sopra. Inoltre il debitore non deve essere consumatore (altrimenti l’altra procedura).
Concordato minore vs Piano del consumatore: Possiamo confrontare i due strumenti:
- Chi decide: Piano – decide il giudice (i creditori non votano, possono solo fare osservazioni); Concordato minore – decidono i creditori con la maggioranza, il giudice ratifica.
- Destinatari: Piano – solo consumatore; Concordato – tutti gli altri (imprenditori minori, professionisti, ecc.).
- Continuità aziendale: Il concordato minore può prevedere la continuazione dell’attività imprenditoriale (ad esempio un piccolo imprenditore può tenere aperta la sua ditta e pagare i debiti con i flussi futuri, simile a un chapter 11 semplificato); il piano del consumatore di solito riguarda situazioni senza impresa, o se il consumatore ha un’attività è marginale.
- Consenso creditori: Nessuno richiesto nel piano; necessario (50% o 60%) nel concordato.
- Meritevolezza: Il concordato minore non parla di “meritevolezza” espressamente come il piano, ma comunque non possono accedervi i debitori che hanno frodato i creditori o con dolo grave (requisiti ex art. 65 CCII simili a art. 69 per consumatore).
- Apporto esterno: Non richiesto nel piano; necessario nel concordato minore liquidatorio (apporti di terzi per migliorare soddisfacimento).
- Forma del provvedimento: Per entrambi ora è la sentenza di omologa (nel vecchio regime il piano era omologato con decreto, l’accordo con decreto reso esecutivo).
- Revoca/risoluzione: Entrambi soggetti a revoca se frode o inadempimento. Nel concordato minore i creditori possono chiederne la risoluzione se il debitore manca a obblighi (come nel concordato preventivo).
Vantaggi del concordato minore: Permette soluzioni flessibili anche per imprenditori non fallibili, con l’accordo dei creditori. Può evitare la cessazione dell’attività, salvare l’azienda (nel caso di continuità) perché consente di gestire i debiti vecchi mentre si continua a operare. Se c’è fiducia dei creditori (ad es. fornitore che vuole mantenere rapporti), il concordato minore dà una chance di rimettere in carreggiata la piccola impresa. Per il debitore, una volta eseguito, c’è l’esdebitazione e la possibilità di proseguire l’attività liberato dai debiti pregressi eccedenti.
Svantaggi: Dal lato del debitore, l’ostacolo principale è convincere i creditori. Se il debitore non è in grado di offrire un piano convincente, difficilmente otterrà i voti necessari. Ad esempio, se la proposta è di pagare solo il 20% e i creditori pensano di poter ottenere di più pignorando beni, voteranno contro. Inoltre, la necessità di contributi esterni se liquidatorio impone al debitore di trovare risorse aggiuntive (il che non sempre è possibile). Non ultimo, se un creditore ipotecario o privilegiato è pesante e non vuole accettare dilazioni o decurtazioni, può bloccare l’accordo negando il voto o facendo opposizione in omologa. Insomma, il concordato minore è più fragile in mano al debitore rispetto al piano del consumatore, perché richiede negoziazione.
Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio)
La liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII) è la procedura concorsuale “liquidatoria” per antonomasia nel sovraindebitamento, equivalente al fallimento (oggi liquidazione giudiziale) ma destinata ai debitori civili. Sostituisce la vecchia liquidazione del patrimonio della L. 3/2012, incorporando alcune modifiche.
Chi può accedere: Tutti i debitori sovraindebitati possono chiedere di essere ammessi alla liquidazione controllata. Quindi sia consumatori che piccoli imprenditori, e anche chi ha tentato un piano o concordato e non ce l’ha fatta (in tal caso spesso la liquidazione è aperta d’ufficio o su richiesta successiva). La liquidazione può essere volontaria (il debitore stesso decide di liquidare tutto il suo patrimonio per chiudere la partita debitoria) oppure, novità, può essere richiesta anche dai creditori o dal Pubblico Ministero in certe circostanze, ad esempio se un debitore insolvente non prende iniziative e i creditori vogliono evitare che continui a sfuggire (il CCII ha introdotto la possibilità per i creditori di depositare istanza di liquidazione per i debitori non fallibili). Questo è un elemento importante: oggi un debitore sovraindebitato può essere forzatamente portato in liquidazione dai suoi creditori, cosa che prima non era consentita (la legge 3/2012 prevedeva solo iniziativa del debitore).
Effetti e funzionamento: La liquidazione controllata comporta che tutti i beni del debitore (fatta eccezione per quelli assolutamente impignorabili per legge, es. beni di uso strettamente personale, stipendio in parte ecc.) vengano conferiti in una “massa attiva” da liquidare sotto controllo del tribunale. Viene nominato un Liquidatore (di solito un professionista indipendente) che ha il compito di raccogliere, amministrare e vendere i beni, e distribuire il ricavato ai creditori secondo le regole delle prelazioni. Il debitore perde l’amministrazione e disponibilità dei beni (similmente al fallito) e deve collaborare con gli organi della procedura. Si forma lo stato passivo (l’elenco dei crediti ammessi) con un procedimento semplificato ma analogo al fallimento, davanti al liquidatore e con eventuale intervento del giudice in caso di contestazioni (le recenti Cassazioni 2025 citate in fonti riguardano proprio dettagli sulla formazione dello stato passivo in liquidazione ex L.3/2012). Una volta venduti i beni e ripartito il ricavato, il giudice dichiara chiusa la liquidazione.
Durata massima e obblighi del debitore: Il Codice della Crisi ha introdotto un limite temporale: la procedura di liquidazione controllata non può durare oltre 3 anni per la parte relativa alla liquidazione dell’attivo (almeno per quanto riguarda l’obbligo di destinare i flussi futuri). In particolare, se il debitore ha dei redditi da lavoro eccedenti il minimo vitale, l’eventuale quota che deve essere versata ai creditori (pignorabile ex art. 545 c.p.c., tipicamente 1/5 dello stipendio) è limitata a un periodo di 4 anni durante il piano del consumatore, e nel CCII pare ridotta a 3 anni in caso di liquidazione (questo recepisce un indirizzo volto a non tenere il debitore vincolato troppo a lungo). Alcune fonti indicano che il Codice prevede la esdebitazione di diritto dopo 3 anni dall’apertura della liquidazione anche se questa non è terminata. In pratica: se dopo 3 anni qualche attivo residuo non è stato venduto o c’è ancora da recuperare crediti, il debitore persona fisica può comunque ottenere la liberazione dai debiti, chiudendo di fatto la procedura.
Durante la procedura, il debitore deve mantenere un comportamento collaborativo e trasparente: ha l’obbligo di consegnare i beni, i libri contabili se imprenditore, indicare ogni informazione, e non può occultare o dissipare attivi. Se vengono scoperti atti in frode (es. aver sottratto beni prima della liquidazione), il beneficio dell’esdebitazione può essere negato.
Esdebitazione nella liquidazione: Uno dei miglioramenti portati dal Codice è che l’esdebitazione opera di diritto a seguito della chiusura della liquidazione (prima bisognava farne apposita istanza in tribunale). L’art. 282 CCII stabilisce che il debitore persona fisica è automaticamente esdebitato una volta chiusa la liquidazione o decorsi 3 anni dall’apertura, salve le cause ostative. Il debitore non deve quindi fare domanda, a meno che ci siano opposizioni di creditori. Ovviamente restano esclusi dall’esdebitazione quei debiti non liberabili (alimentari, malattia, multe, ecc.). Anche in liquidazione, se il debitore ha tenuto comportamenti dolosi (ad esempio non ha collaborato o ha nascosto attivi), il tribunale può escludere o revocare l’esdebitazione.
In sintesi, la liquidazione controllata è la soluzione “di ultima istanza” quando non è possibile o non conviene fare un piano/concordato, oppure quando falliscono questi tentativi. Dal punto di vista del debitore, scegliere volontariamente la liquidazione può avere senso se:
- Non si è in grado di offrire un piano sostenibile (redditi insufficienti a pagare qualcosa di significativo, creditori non collaborativi).
- Si vuole “tagliare” radicalmente con il passato, vendendo tutto il possibile e ripartendo da zero, confidando nell’esdebitazione dopo pochi anni.
- Il debitore non ha in realtà beni di rilievo: in tal caso la liquidazione finirà quasi a zero, ma permetterà comunque di azzerare i debiti (questo scenario si sovrappone con l’ipotesi dell’esdebitazione incapiente).
Va notato che la liquidazione può coesistere con il fondo patrimoniale in senso particolare: se il debitore aveva un fondo patrimoniale costituito, il liquidatore concorsuale, come visto, potrà agire per revocarlo o comunque considerare inefficace il vincolo (specie se recente) per portare quei beni in massa attiva. Tuttavia, se il vincolo del fondo permane e ci sono debiti estranei ai bisogni, quei beni potrebbero rimanere fuori dalla liquidazione per certi creditori: ma nella prassi, in liquidazione, tutti i creditori concorsuali vengono considerati insieme, e se almeno uno ha titolo per colpire il bene (es. un creditore familiare), il liquidatore potrebbe venderlo in ogni caso per soddisfare quel creditore. È una questione complessa su cui potremmo tornare nel prossimo capitolo dedicato all’interazione col fondo.
Esdebitazione del debitore incapiente (fresh start per nullatenenti)
L’esdebitazione del sovraindebitato incapiente è un istituto introdotto in Italia con la L. 176/2020 (che inserì l’art. 14-quaterdecies nella L. 3/2012) e ora confermato nell’art. 283 CCII. Consente, in casi eccezionali, al debitore persona fisica che non ha alcuna capacità di offrire utilità ai creditori di ottenere ugualmente la cancellazione dei propri debiti, senza pagare nulla o quasi, come misura di clemenza per dargli un’opportunità di ripartenza.
Requisiti principali:
- Si applica solo a persone fisiche (no aziende) “meritevoli” in senso ampio: il debitore non deve aver tenuto comportamenti fraudolenti, non deve aver causato l’indebitamento con dolo o colpa grave, e non deve aver compiuto atti in frode (in pratica criteri simili al piano del consumatore).
- Il debitore non deve essere in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, né immediata né futura. Significa che non possiede beni liquidabili di valore, né ha redditi disponibili pignorabili, né prospettive di riuscire a pagarli in futuro. Nemmeno parzialmente. Insomma, è completamente incapiente.
- L’accesso a questa esdebitazione è consentito una sola volta nella vita, proprio perché è un perdono eccezionale.
- Il debitore deve comunque allegare tutta la documentazione e passare al vaglio dell’OCC e del tribunale, come per le altre procedure. L’OCC redige una relazione attestando la situazione e l’assenza di atti in frode.
Procedimento ed effetti: Il debitore presenta la domanda di esdebitazione incapiente in tribunale tramite OCC. Il giudice, verificati i presupposti, emette decreto di esdebitazione, che viene comunicato ai creditori. Essi hanno 30 giorni per fare opposizione se ritengono che i requisiti non c’erano (ad esempio scoprono che il debitore qualche bene ce l’ha nascosto, o che non era tanto meritevole). Se nessuno si oppone o le opposizioni vengono respinte, il decreto diventa definitivo e tutti i debiti antecedenti sono cancellati, tranne le solite eccezioni di legge (alimentari, risarcimenti danni, multe penali restano comunque).
Obbligo di pagamento sopravvenienze: La norma, però, impone un vincolo: se nei 4 anni successivi alla concessione dell’esdebitazione emergono “utilità rilevanti” in capo al debitore (ad esempio vince alla lotteria, riceve un’eredità consistente, o comunque la sua capacità reddituale migliora significativamente), allora egli ha l’obbligo di pagare ai vecchi creditori soddisfatti almeno il 10% complessivo del loro credito, entro i limiti delle utilità sopravvenute. In pratica, se nei 4 anni successivi l’ex debitore incapiente trova fortuna, deve dare un contentino ai creditori originari (almeno il 10% dei debiti, se le sopravvenienze lo consentono). Per calcolare la soglia, la legge definisce che vanno considerate utilità “rilevanti” quelle eccedenti ciò che serve al mantenimento proprio e della famiglia (calcolato come 1,5 volte l’assegno sociale moltiplicato per i componenti del nucleo). L’OCC vigila sul debitore in questi 4 anni chiedendogli di depositare ogni anno una dichiarazione su eventuali miglioramenti economici. Se risulta che il debitore ha avuto miglioramenti e non adempie all’obbligo di pagamento, il beneficio dell’esdebitazione può essere revocato dal giudice.
Questa procedura realizza ciò che in altri ordinamenti è chiamato fresh start o “zero-asset bankruptcy”. Serve a dare pace a quelle persone soffocate dai debiti ma senza alcuna risorsa, per evitare che rimangano eternamente escluse dalla vita economica a causa di obbligazioni che mai potrebbero pagare. L’ordinamento italiano l’ha adottata con prudenza (richiede meritevolezza e pone la condizione dei 4 anni di sorveglianza). È comunque un istituto poco applicato finora, ma destinato a casi limite come il disoccupato pieno di debiti, il piccolo imprenditore fallito con nulla in mano, ecc.
Implicazioni per il debitore con fondo patrimoniale: se il debitore incapiente aveva un fondo patrimoniale con dentro un bene (es. una casa), automaticamente non sarebbe “incapiente”: avrebbe un asset, quindi piuttosto di ottenere l’esdebitazione gratis, gli converrebbe (o sarebbe costretto) usare quella casa per soddisfare i creditori con un piano o una liquidazione. Dunque, solo chi veramente non ha né beni né redditi può aspirare a questo percorso. Se uno avesse un fondo patrimoniale e cercasse di dichiararsi incapiente, i creditori sicuramente obietterebbero: “venditi la casa in fondo prima di chiedere lo sconto totale!”. E il giudice non concederebbe l’esdebitazione gratuita perché avere un immobile in fondo, anche se formalmente segregato, indica che il debitore aveva un patrimonio che poteva essere liquidato (salvo il caso in cui quell’immobile non sia proprio aggredibile perché i creditori sono tutti estranei ai bisogni e sapevano: scenario raro e complesso, ma in tal caso probabilmente il debitore non avrebbe debiti esdebitabili riguardo quel bene, oppure l’atto costitutivo verrebbe revocato se recente).
Dopo questa disamina dei singoli istituti, proponiamo una tabella riepilogativa delle differenze principali:
Procedura | Destinatari | Necessità consenso creditori | Durata tipica | Esdebitazione | Note |
---|---|---|---|---|---|
Piano del consumatore (artt. 67-73 CCII) | Persona fisica consumatore (debiti per scopi personali/familiari). | No, omologazione giudiziale anche senza accordo creditori. | 4–5 anni circa (variabile secondo piano). | Al termine dell’esecuzione completa del piano (automatica, verificata da OCC). | Richiede “meritevolezza” (no frode o colpa grave). Conserva beni non essenziali se piano lo prevede. |
Concordato minore (artt. 74-83 CCII) | Debitori non consumatori (imprenditori minori, professionisti, ecc.). | Sì, accordo con maggioranza crediti >50% necessario + omologa giudice. | Di solito 5 anni circa (piano di pagamento), può variare. | Dopo esecuzione integrale dell’accordo omologato (automatica). | Può essere in continuità (azienda prosegue) o liquidatorio (con apporto esterno). Richiede assenza atti in frode. |
Liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII) | Qualunque debitore sovraindebitato (persona fisica o giuridica non fallibile). | Non applicabile (è procedura concorsuale d’ufficio o su istanza, non c’è voto creditori). | Variabile; liquidazione beni. Il contributo redditi è max 3 anni. | Al termine, o dopo 3 anni dall’apertura se prima, esdebitazione di diritto per persona fisica (salvo eccezioni). | I creditori possono chiederla (anche contro volontà debitore). Debitore perde beni (vendita) ma ottiene liberazione debiti residui. |
Esdebitazione “incapiente” (art. 283 CCII) | Persona fisica meritevole senza beni né redditi aggredibili. | Non prevista (è un’istanza individuale del debitore, creditori possono opporsi solo se requisiti mancano). | N/A (istanza e concessione immediata; periodo di controllo 4 anni dopo). | Concessa subito dal decreto di esdebitazione (debiti cancellati), salvo revoca se migliorano condizioni in 4 anni. | One-shot nella vita. Obbligo pagare 10% ai creditori se entro 4 anni il debitore riceve utilità rilevanti. |
(Legenda: CCII = Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, D.Lgs. 14/2019. Le fonti normative sono aggiornate a luglio 2025.)
Passiamo adesso ad esaminare come le procedure di sovraindebitamento sopra descritte interagiscono con l’esistenza di un fondo patrimoniale, ovvero quali attenzioni particolari deve avere un debitore che abbia (o stia considerando di costituire) un fondo mentre attraversa queste procedure.
Interazione tra fondo patrimoniale e procedure da sovraindebitamento (prospettiva del debitore)
Dopo aver compreso i meccanismi di fondo patrimoniale e delle procedure di composizione della crisi, affrontiamo ora il nodo cruciale: che rapporto c’è tra i due? In altri termini, cosa accade se un debitore sovraindebitato che intende usufruire di piano del consumatore, concordato minore o liquidazione controllata, ha dei beni costituiti in fondo patrimoniale? Quali sono le opportunità e le insidie dal punto di vista del debitore?
Ci sono diversi profili da considerare:
- Accesso alle procedure e meritevolezza: Come accennato, sia per il piano del consumatore che per le altre procedure, uno dei requisiti soggettivi è non aver compiuto atti in frode ai creditori. La costituzione di un fondo patrimoniale potrebbe essere vista come un atto in frode se effettuata quando già il debitore era insolvente o vicino all’insolvenza, con lo scopo di sottrarre garanzie ai creditori. In tal caso, il giudice potrebbe dichiarare inammissibile la domanda di piano/concordato (ad esempio, più tribunali hanno negato l’omologa di piani quando emergeva un fondo costituito di recente per proteggere la casa, considerandolo indice di malafede). Tuttavia, se il fondo era stato costituito in passato per legittime ragioni familiari e non con intenti fraudolenti, di per sé non preclude l’accesso. Sarà importante che il debitore lo dichiari apertamente nella domanda e spieghi le circostanze della costituzione. L’OCC nella sua relazione evidenzierà se ravvisa profili di frode; se ad esempio il fondo fu istituito anni prima quando la situazione era equilibrata, e i debiti attuali sono successivi e di altra natura, non c’è frode (il fondo patrimoniale di per sé è lecito). Quindi, il debitore dovrebbe cooperare, magari anche offrendo rassicurazioni (es: impegnandosi a mettere a disposizione certi beni comunque se necessario, il che equivarrebbe a rinunciare in parte alla segregazione per facilitare l’accordo).
- Determinazione del patrimonio disponibile per i creditori: Nelle procedure concorsuali da sovraindebitamento, bisogna definire quali attività del debitore sono considerate per soddisfare i creditori. Se un bene è in fondo patrimoniale, dobbiamo domandarci: va incluso oppure escluso? Dipende dalla natura dei debiti:
- Nel piano del consumatore o concordato minore: Il debitore elenca tutti i suoi beni e deve indicare come li vuole trattare. Un immobile in fondo patrimoniale tecnicamente è ancora di proprietà dei coniugi, ma vincolato. Se i debiti da ristrutturare nel piano includono creditori che non possono aggredire quel bene (perché estranei ai bisogni), il debitore potrebbe proporre un piano che esclude la liquidazione di quel bene. Ad esempio: Tizio ha una casa in fondo; i suoi debiti sono per lo più bancari derivati da finanziamenti non legati alla famiglia (es. per una vecchia attività d’impresa fallita) – tali creditori, in base all’art. 170 c.c. e alla giurisprudenza attuale, non potrebbero pignorare la casa poiché il debito è estraneo ai bisogni familiari e la banca era consapevole dello scopo (attività). In un piano del consumatore, Tizio può dire: “La casa resta alla famiglia, io offro ai creditori i miei stipendi futuri per 5 anni e chiudo”. Il giudice dovrà valutare se ciò è fattibile e equo: visto che quei creditori comunque non avrebbero potuto soddisfarsi sulla casa per via del vincolo, il confronto da fare è tra ciò che offre Tizio e ciò che i creditori avrebbero avuto altrimenti – che nel caso limite sarebbe nulla (se nessun altro bene disponibile). Se il piano offre qualcosa (anche il 10-20% di soddisfo con rate), può essere considerato conveniente rispetto alla prospettiva degli stessi creditori di non poter aggredire la casa (dovendo prima vincere un’opposizione all’esecuzione incerta). Quindi, paradossalmente, avere la casa in fondo potrebbe mettere il debitore in una posizione di negoziazione: i creditori chirografari estranei sanno che legalmente la casa è off-limits, quindi saranno più propensi ad accettare una proposta sui futuri redditi.
- Tuttavia, va ricordato: il giudice nell’omologare il piano del consumatore verifica anche che il piano sia l’optimum per i creditori. Se esiste un modo per rendere quella casa aggredibile – ad esempio facendo revocatoria – e i creditori lo segnalano, il giudice potrebbe dire: “No, se il fondo è revocabile, allora in liquidazione i creditori potrebbero soddisfarsi con la casa; il piano proposto che esclude la casa non li soddisfa quanto la liquidazione che includerebbe la casa dopo revocatoria. Quindi non omologo a meno che non includiate anche parte del valore casa”. In effetti, specialmente se il fondo è stato costituito in tempi recenti, un creditore potrebbe argomentare in sede di opposizione al piano che esso non conviene perché lui potrebbe agire ex 2929-bis o con revocatoria e prendersi la casa. Il giudice dovrà ponderare: se vede che la revocatoria è praticamente certa (ad es. fondo fatto 1 anno fa in piena esposizione), potrebbe rigettare il piano perché i creditori sarebbero meglio tutelati da una liquidazione dove la casa rientra. Viceversa, se il fondo è solido (fatto tanti anni fa, quando non c’erano crediti, per bisogni genuini), allora la chance per i creditori di farlo saltare è bassa, e dunque il piano senza la casa può essere comunque ritenuto conveniente (perché realisticamente i creditori non l’avrebbero avuta).
- Nel concordato minore: qui la presenza della casa in fondo è ancora più delicata. I creditori votanti difficilmente approveranno un concordato se vedono che il debitore tiene fuori un bene rilevante. Immaginiamo un piccolo imprenditore con debiti verso fornitori e banca, e l’unico immobile (la casa) è in fondo patrimoniale. Anche se giuridicamente magari i fornitori non avrebbero potuto ipotecare la casa (perché i debiti erano d’impresa?), in sede di trattativa essi diranno: “Noi votiamo sì all’accordo solo se vendi la casa o comunque ce ne fai partecipare al valore, altrimenti preferiamo tentare la revocatoria e liquidarti tutto”. Pertanto, il debitore potrebbe doversi piegare a includere la casa nel pacchetto (es. proponendo di venderla e pagare i creditori col ricavato), altrimenti non raggiunge le maggioranze. Dunque, da debitore con fondo, si deve valutare: vale la pena offrire la casa spontaneamente nel concordato per ottenere l’accordo? Dipende dai casi: se la casa è modesta e la famiglia magari può mantenersi anche in affitto, spesso conviene monetizzarla e ridurre i debiti in modo da salvare l’azienda o liberarsi prima. Se invece la casa è un bene indispensabile che la famiglia assolutamente vuole conservare, allora il debitore potrebbe preferire tentare la via del piano del consumatore (se applicabile) o addirittura la liquidazione, sperando che il fondo regga – ma nella liquidazione controllata, come vedremo, probabilmente reggerà poco.
- Nella liquidazione controllata: qui tutti i creditori concorsuali concorrono sul patrimonio. Il liquidatore nominato ha il dovere di massimizzare l’attivo da distribuire. Quindi quasi certamente, se c’è una casa in fondo patrimoniale e ci sono alcuni creditori ammissibili che possono lecitamente soddisfarsi su di essa (ad esempio crediti per IMU, spese familiari, o eventualmente crediti sorti prima dell’annotazione del fondo e senza conoscenza), il liquidatore tenderà a includere la casa nella liquidazione. Probabilmente promuoverà un’azione revocatoria del fondo (o userà l’art. 2929-bis entro i termini, benché tecnicamente l’art. 2929-bis sia uno strumento del singolo creditore, il curatore può comunque agire in via di revocatoria ordinaria/fallimentare ex art. 165 CCII, come discusso). Se la costituzione del fondo è revocabile (perché recente e pregiudizievole), la casa entra nell’attivo fallimentare e sarà venduta. Se la costituzione del fondo risale a molto tempo addietro, non revocabile per decorrenza termini, il liquidatore potrebbe comunque sostenere che per taluni crediti (quelli di natura familiare) la casa risponde; in quel caso la venderebbe per soddisfare quelli. E per i crediti estranei? Quelli, come sappiamo, giuridicamente non potrebbero prendere dalla casa se non attraverso la revoca del fondo. Ma una volta che la casa è venduta in sede concorsuale, il ricavato viene ripartito secondo i gradi di privilegio: i creditori estranei – a rigore – dovrebbero restarne esclusi se il vincolo reggesse. Ci potrebbero essere contenziosi su questo in sede di formazione dello stato passivo o di riparto (il creditore extrafamiliare potrebbe eccepire che il vincolo è inefficace verso di lui? Il debitore direbbe: no, è efficace perché tu sapevi che il prestito era per l’azienda…). Sono questioni complesse e specialistiche. Ma dal punto di vista pratico del debitore: se va in liquidazione e spera di tenersi la casa per via del fondo, deve sapere che:
- Se il fondo fu istituito in periodo sospetto, glielo tolgono (revoca).
- Se anche regge, la casa potrebbe non essere venduta se effettivamente nessun creditore della massa può avvalersene. Ma è raro non ce ne sia nemmeno uno (es. basterebbe un creditore con un debito di natura familiare: e.g. il fisco per tasse su redditi familiari, o un condominio).
- Poniamo il caso eccezionale: tutti i debiti erano estranei ai bisogni e i creditori erano consapevoli. Allora formalmente nessuno potrebbe toccare la casa. La liquidazione riguarderebbe zero beni (a parte la casa intoccabile), e finirebbe con esdebitazione dei debiti? Attenzione: l’art. 69 CCII dice che non può accedere chi ha atti in frode o con colpa grave. Se uno ha fatto debiti estranei e li ha lasciati insoluti proteggendo la casa col fondo, rischia che il tribunale veda ciò come malafede e magari non conceda l’esdebitazione post-liquidazione. Ma se la colpa non c’è (es. l’impresa andata male, casa messa a riparo anni prima per i figli), potrebbe pure succedere che sì, la casa resta e i debiti vengono cancellati. Un simile esito è però insolito e certamente i creditori proverebbero a opporsi e a insinuarsi sulla casa con qualche teoria.
- In ogni caso, trascorsi i 3 anni di liquidazione, se la casa non è stata toccata e la procedura si chiude, il debitore persona fisica otterrà l’esdebitazione per legge. I creditori resterebbero insoddisfatti ma senza più titoli. Potrebbero però forse ancora aggredire la casa? Se i debiti sono esdebitati, il credito è estinto, quindi no. Quindi il debitore salverebbe casa e toglierebbe debiti. Questo scenario può sembrare ideale per il debitore furbo, ma va ricordato: ha senso solo se davvero il creditore non poteva aggredire la casa nemmeno fuori dalle procedure (se invece poteva, la esdebitazione non vale per i crediti ipotecari per esempio? In generale l’esdebitazione libera anche dai chirografari e privilegiati insoddisfatti, tranne alimenti, danni e sanzioni come detto). Se un creditore avesse ipoteca, rimane comunque nei limiti della garanzia reale (nell’esdebitazione fallimentare classica, i creditori privilegiati che non vengono soddisfatti per intero conservano azione sui beni esclusi, ma nel caso del fondo è complicato). In somma, prima di credere a questa scappatoia, considerare che è rischiosa e dipende da circostanze specifiche.
- Trattamento dei crediti coniugali/familiari: C’è un’altra intersezione notevole. Se il debitore è coniugato in regime di comunione o se i debiti sono anche a carico dell’altro coniuge, e c’è un fondo patrimoniale, bisogna capire come la procedura li coinvolge. Ad esempio, in piani del consumatore presentati congiuntamente dai coniugi (cosa possibile se entrambi sono obbligati, magari per mutui cointestati), la casa in fondo è protetta per i debiti estranei di entrambi. Potrebbero fare un piano familiare mantenendo la casa. Oppure se uno solo dei coniugi ha debiti e fa la procedura, l’altro coniuge proprietario in comunione potrebbe rivendicare la metà della casa. Le procedure da sovraindebitamento di solito considerano il patrimonio del debitore, se la casa è in comunione dei beni solo metà è del debitore e metà dell’altro. Il fondo patrimoniale qui non cambia la titolarità (i beni del fondo restano di chi li ha conferiti, anche se destinati all’uso familiare). Quindi il liquidatore non potrebbe vendere più di quanto è del debitore.
- Coordinamento con misure protettive: Quando il debitore chiede l’ammissione al piano/concordato, può ottenere misure protettive che bloccano i pignoramenti. Se un creditore stava tentando di eseguire sulla casa (magari sostenendo che era debito familiare), quella esecuzione viene sospesa dal tribunale su istanza del debitore. Questo consente di respirare e far decidere al giudice in sede concorsuale cosa fare della casa. Durante la procedura, il debitore non può disporre liberamente dei beni (non può venderli se non autorizzato), dunque il fondo rimane ma “congelato” anch’esso. Atti di disposizione come la vendita della casa, se previsti nel piano, devono essere approvati dal giudice.
- Esdebitazione e residui vincoli: Una domanda particolare: se il debitore viene esdebitato (per esempio dopo una liquidazione) e ha tenuto la casa in fondo, i creditori non soddisfatti perdono i loro crediti definitivamente. Dunque, la casa resta nel fondo senza più quei pesi potenziali. Il fondo continua a esistere per il futuro. Potrebbe essere un happy ending per la famiglia. Ma come detto, realizzabile in situazioni limitate.
Vediamo qualche simulazione pratica per chiarire:
- Caso 1: Fondo patrimoniale e piano del consumatore senza vendita della casa. Mario è un privato indebitato con banche e finanziarie per €100.000 (prestiti personali usati in passato per finanziare una sua ex attività commerciale fallita, quindi debiti estranei ai bisogni familiari). Mario e sua moglie avevano costituito 5 anni fa un fondo patrimoniale mettendovi la casa di abitazione. I prestiti bancari di Mario erano stati erogati come credito aziendale, quindi le banche sapevano che servivano all’impresa (non alla famiglia). Ora Mario, chiusa l’impresa, ha solo reddito da lavoro dipendente (€1.500/mese). Propone un piano del consumatore offrendo €500 al mese per 5 anni, quindi €30.000 in totale, pari al 30% di ogni credito. La casa non viene toccata; Mario spiega nel piano che, essendo i debiti d’impresa, i creditori non potrebbero aggredire la casa vincolata ex art. 170 c.c., e che comunque il fondo fu costituito prima dell’insorgere di questi debiti e non in frode (anzi per tutelare i figli). Il Tribunale valuta: in un’alternativa liquidatoria, i creditori potrebbero tentare revocatoria del fondo (essendo di 5 anni fa, per un credito sorto dopo, la revoca ordinaria potrebbe anche non riuscire se non c’è malafede; inoltre servirebbe tempo e risorse). Non ci sono creditori per bisogni familiari che possano di per sé colpire la casa. Quindi, probabilmente, la casa resterebbe fuori comunque. Quindi ottenere €30.000 da Mario in 5 anni è sicuramente meglio per i creditori che non ottenere nulla (o dover iniziare controversie incerte sulla revoca). Inoltre Mario appare meritevole (non ha frodato, i debiti derivano da impresa sfortunata). Il giudice quindi omologa il piano. Le banche vengono obbligate ad accettare il 30% in 5 anni e poi i crediti saranno cancellati. Mario paga regolarmente; mantiene la casa in cui la famiglia vive. Dopo 5 anni, ottiene l’attestazione di adempimento e l’esdebitazione. I crediti verso banche sono estinti, la casa rimane nel fondo libera da ipoteche (che non c’erano, essendo prestiti personali). Questo scenario è plausibile e mostra come un fondo patrimoniale può convivere con un piano, se i creditori erano estranei. Mario di fatto ha beneficiato del fondo per non dover vendere la casa, e ha sfruttato il piano per pagare una parte e chiudere i conti. Dal punto di vista del debitore, un successo.
- Caso 2: Fondo patrimoniale e concordato minore con vendita della casa. Luigi è un piccolo imprenditore edile, non fallibile, con debiti verso fornitori per €200.000 e verso banca per €50.000 (apertura di credito). La sua casa di abitazione è in fondo patrimoniale da 3 anni; i debiti verso fornitori riguardano materiali per cantieri (ditta individuale) quindi contratti d’impresa, i fornitori erano consapevoli che il credito era per attività, la banca idem. Luigi vuole evitare la liquidazione per poter continuare l’attività (ha commesse future). Si rende conto però che i creditori non accetteranno un accordo se non viene coinvolta la casa, perché il suo business attuale è poco redditizio e non basterebbe a pagare molto. La casa vale €150.000. Luigi propone un concordato minore liquidatorio offrendo di vendere la casa e destinare il ricavato (150k) ai creditori, più un apporto di liquidità di €20.000 che un parente gli darà, quindi totale €170.000 (pari al 68% dei debiti). I creditori votano e approvano a larga maggioranza, perché hanno convenienza: in una liquidazione coatta, il fondo essendo recente probabilmente sarebbe revocato e si venderebbe la casa comunque, ma ci sarebbero più spese e forse tempi lunghi; qui Luigi offre subito il 68%, che a loro sta bene. Il tribunale omologa. Luigi vende la casa, paga i creditori 170k su 250k (68%). Dopo l’esecuzione, ottiene l’esdebitazione per i €80.000 restanti non pagati. Ha perso la casa, ma ha salvato la sua reputazione ed evitato pignoramenti; soprattutto, i creditori hanno accettato di non aggredire i suoi attrezzi e mezzi da lavoro (che ha potuto tenere per proseguire l’attività). Dal punto di vista di Luigi, ha sacrificato il bene in fondo – che in teoria sperava di proteggere – ma pragmaticamente ciò gli ha permesso di risolvere la crisi restituendo comunque ai creditori gran parte del dovuto e ripartire senza debiti. Se si ostinava a non cedere la casa, i fornitori non avrebbero approvato e sarebbe finito in liquidazione forzata, dove comunque la casa sarebbe andata persa e forse anche i suoi mezzi di lavoro.
- Caso 3: Fondo patrimoniale e liquidazione controllata “forzata”. Anna è una casalinga con qualche entrata saltuaria, ha debiti per €80.000 di carte di credito e prestiti personali (contratti dal marito a suo nome, poi il marito è decaduto economicamente), più un debito fiscale di €5.000 per IMU arretrata sulla casa di proprietà. La casa è stata messa in fondo patrimoniale 8 anni fa. I creditori (società finanziarie) tentano pignoramento della casa: Anna si oppone ex art. 615 c.p.c. sostenendo che il debito era estraneo ai bisogni (il marito fece quei debiti per sua attività speculativa, non per la famiglia) e che i creditori lo sapevano. La causa di opposizione va per le lunghe. Nel frattempo uno dei creditori chiede al tribunale di aprire una liquidazione controllata di Anna, sostenendo che è sovraindebitata e non paga nessuno. Il tribunale verifica che Anna è sovraindebitata, non ha presentato alcun piano, e accoglie l’istanza dei creditori aprendo la procedura liquidatoria. Nomina un liquidatore. Questi vede la casa in fondo. Nota che c’è un debito fiscale (IMU) di €5.000: quello è certamente per bisogni familiari (tassa casa), quindi il Comune potrebbe pignorare la casa legittimamente. Inoltre, le finanziarie sono chirografarie su debiti probabilmente estranei, ma lui considera di poter fare revocatoria del fondo, perché 8 anni fa c’erano già alcune esposizioni? Supponiamo che 8 anni fa in realtà non c’erano debiti, quindi la revocatoria ordinaria non riesce per mancanza di credito pregresso e scientia fraudis (era un atto lecito). Allora il liquidatore comunque ritiene di vendere la casa per soddisfare almeno il Comune. Procede a mettere all’asta l’immobile: il ricavato è €100.000. Come va ripartito? Il Comune (creditore per IMU) ha un privilegio sull’immobile (credito tributario + ipoteca legale per IMU forse, comunque è creditore di bisogni familiari per cui il fondo non oppone). Quindi il Comune prende i suoi €5.000 + interessi. Restano €95.000. Le finanziarie dicono: “Noi sapevamo che i soldi erano per investimenti, non per la famiglia, quindi il fondo era opponibile a noi, non possiamo prendere quei soldi”. Il liquidatore potrebbe depositare quello scoperto in attesa. Forse i giudici risolverebbero dicendo: in mancanza di opposizioni, la differenza va comunque ai creditori chirografari perché la casa è stata venduta; oppure potrebbero dire: siccome per quei creditori l’esecuzione non era ammessa, il ricavato residuo andrebbe restituito al debitore. La legge su questo punto non è chiarissima. Probabilmente però, essendo la liquidazione una procedura concorsuale generale, una volta venduto il bene, tutti i creditori concorsuali concorrono sul ricavato, salvo quelli esclusi per legge (ma qui non c’è esclusione legale, era un limite di impignorabilità che il liquidatore di fatto ha bypassato vendendo per un creditore ammesso). Dunque, è verosimile che i €95.000 vengano comunque distribuiti tra le finanziarie (anche perché una volta venduto, il vincolo di destinazione decade sul bene trasformato in denaro). Anna alla fine perde la casa e i creditori ottengono soddisfazione quasi piena. Le resta forse un piccolo debito se non coperto interamente. Anna poi viene esdebitata per l’eventuale saldo. Questo caso mostra che in liquidazione, il fondo alla fine non salva i beni, a meno che proprio tutti i crediti fossero estranei. Qui il Comune con 5k è bastato per far vendere tutto.
- Caso 4: Esdebitazione incapiente con fondo antecedente: Marco è nullatenente a parte una vecchia casa che però ha vincolato in fondo ai figli molti anni fa. Ha debiti di gioco per €50.000 (contratti con finanziarie all’oscuro di tutto). Non lavora. Vorrebbe lo “fresh start” da incapiente, ma il giudice nota che comunque possiede un bene (anche se in fondo). Gli dice: vendi la casa e paga i creditori almeno in parte. Marco prova a obiettare che il debito era estraneo e la casa è protetta. Il giudice però non concede l’esdebitazione perché ritiene non soddisfatto il criterio di incapienza totale (un bene c’è). Quindi a Marco conviene piuttosto avviare una liquidazione: il liquidatore venderà la casa e i crediti saranno parzialmente pagati, poi residuo esdebitato. Non esiste insomma la possibilità di tenere l’immobile e cancellare debiti senza offrire nulla: o uno dei due deve cedere. Solo in situazioni di povertà assoluta (nessun immobile, reddito basso) l’esdebitazione incapiente viene data.
Vantaggi strategici e consigli pratici per il debitore
Dal punto di vista del debitore che possiede un fondo patrimoniale, quali strategie emergono?
- Valutare realisticamente la situazione del fondo: Se il fondo patrimoniale è stato costituito da tempo, per motivi validi e riguarda magari la casa di famiglia, il debitore farà bene a evidenziarlo e a difenderne la funzione familiare in sede di procedura. Tuttavia, deve essere consapevole che se la maggior parte dei debiti riguarda creditori estranei, il fondo può effettivamente proteggerlo nelle giuste condizioni (come nel Caso 1 sopra), permettendogli di non perdere la casa. Invece, se il fondo fu creato in prossimità della crisi ed è chiaramente finalizzato a sottrarre garanzie (es. atto fatto quando già fioccavano decreti ingiuntivi), è probabile che non reggerà: in un piano del consumatore potrebbe portare a diniego di omologa (per mancanza di meritevolezza), in un concordato i creditori non si faranno ingannare, in liquidazione verrà revocato. Quindi, in tal caso, il debitore dovrebbe considerare di rinunciare proattivamente al fondo (è possibile scioglierlo volontariamente con atto pubblico se entrambi i coniugi sono d’accordo) e includere il bene nell’attivo da destinare ai creditori, magari ottenendo condizioni migliori o più fiducia dal tribunale. Mostrarsi trasparenti e cooperativi aumenta le chance di ottenere l’omologa e l’esdebitazione.
- Scegliere la procedura appropriata: Un consumatore con fondo probabilmente opterà per il piano del consumatore, confidando nel giudice più che nei creditori (che potrebbero essere emotivamente ostili a lasciargli la casa). Un imprenditore con fondo potrebbe dover scegliere tra vendere la casa in concordato (salvando l’azienda) o rischiare la liquidazione. Se la salvaguardia della casa è prioritaria a ogni costo, paradossalmente potrebbe perfino preferire la liquidazione sperando in esdebitazione e tenersi la casa se possibile; ma come visto, è un azzardo con scarse probabilità se ci sono creditori aggirabili. In genere è meglio, per il debitore che vuole conservare la casa, puntare al piano del consumatore se ne ha titolo, perché lì i creditori non votano e il giudice potrebbe essere sensibile alla finalità abitativa (specie se in presenza di minori, ecc.). Infatti, i tribunali in diversi casi hanno mostrato di voler salvaguardare l’abitazione principale del debitore meritevole, come ratio legis della procedura (ad esempio ammettendo moratorie sui mutui, ecc., per evitare che la famiglia perda casa). Nel concordato minore ciò dipende dal negoziato coi creditori che di solito pensano al loro portafoglio e meno alle esigenze familiari del debitore.
- Organizzare la documentazione e la narrativa: Un debitore con fondo dovrà spiegare nella sua istanza: quando e perché fu costituito il fondo, quali beni comprende, quali debiti sono correlati al nucleo familiare e quali no, e come intende comportarsi. Questa trasparenza aiuta l’OCC a redigere una relazione completa e al giudice di inquadrare la situazione. Se il fondo è vecchio e i creditori sono successivi, l’OCC potrà attestare che non ci sono profili di frode (come Cass. 9192/2021 citava, il fondo non adempie un dovere, ma se era lecito allora non c’è scientia fraudis). Se invece c’è il dubbio che sia frode, l’OCC deve segnalarlo e allora il debitore difficilmente otterrà l’omologa di un piano: a quel punto meglio convertire direttamente in liquidazione e amen, sperando in esdebitazione.
- Ricordare i debiti non esdebitabili: Fondo o non fondo, se i debiti includono mantenimenti, debiti per lesioni personali, multe, quelli rimangono anche dopo la procedura. E soprattutto, l’art. 2740 c.c. dice che il debitore risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri salvo diverse disposizioni di legge. Il fondo è una di queste disposizioni, ma per i debiti non esdebitabili, i creditori potranno attendere la fine della procedura e poi ancora agire? In teoria no, se il debito non è esdebitabile (tipo alimenti), neanche la procedura li toglie: quel creditore non partecipava alla procedura (o partecipava ma il credito resta anche dopo). Se c’è un creditore alimentare (es. ex moglie per mantenimento) e il debitore chiude la procedura, quell’ex moglie può sempre pignorare i beni del fondo (perché manutenzione figli è bisogno familiare) anche post esdebitazione, perché quel debito non si è mai estinto. Quindi attenzione: il fondo non ferma quei crediti. L’unica è soddisfarli integralmente; ad esempio un piano dovrà prevedere pagamento integrale di alimenti arretrati per essere ammissibile.
- Procedure familiari coordinate: Se entrambi i coniugi sono indebitati (magari per firme congiunte) e hanno un fondo, potrebbero presentare una procedura unica con piano congiunto, oppure due procedure separate. La prassi consente il piano familiare se i debiti hanno origine comune e le masse patrimoniali sono intrecciate. Questo può semplificare la gestione del fondo (che coinvolge due proprietari). Un esempio: coniugi coobbligati su mutui e prestiti, con casa in fondo: si fa un piano per entrambi, si offre magari la ristrutturazione del mutuo e la conservazione della casa. Il tribunale valuterà unitariamente la famiglia. Questo è un aspetto delicato ma possibile.
In conclusione di questa parte, l’interazione tra fondo patrimoniale e legge sul sovraindebitamento è complessa ma non necessariamente svantaggiosa per il debitore: se usato correttamente e in buona fede, il fondo può costituire un elemento di tenuta del patrimonio minimo familiare anche durante la crisi, permettendo al debitore di risolvere l’eccesso di debito senza perdere tutto. Tuttavia, occorre onorare lo spirito dell’istituto: il fondo serve a proteggere i bisogni della famiglia, non a nascondere capitali per speculazioni. La legge e i giudici sanno distinguere tra il debitore meritevole che cerca di non far finire in strada la famiglia, e chi invece ha dissanguato creditori e poi pretende impunità su beni di lusso intestati al fondo. Le procedure di sovraindebitamento, dal canto loro, offrono strumenti flessibili per adattarsi a queste situazioni: il giudice può modulare le decisioni (ad esempio condizionare l’omologa al pagamento almeno parziale da un bene in fondo, oppure revocare l’omologa se scopre inganni).
Passiamo ora alle Domande frequenti, che in modo più diretto e discorsivo chiariranno alcuni dei punti salienti e dubbi operativi che possono sorgere su fondo patrimoniale e sovraindebitamento.
Domande frequenti (FAQ)
- D: Cos’è esattamente un fondo patrimoniale e chi può istituirlo?
R: Il fondo patrimoniale è un vincolo previsto dal codice civile (artt. 167 ss. c.c.) con cui i coniugi destinano alcuni beni (immobili, mobili registrati, titoli) al soddisfacimento dei bisogni della famiglia. I beni diventano un patrimonio separato, utilizzabile solo per le esigenze familiari. Possono costituirlo i coniugi stessi (di comune accordo, tramite atto notarile) oppure un terzo che conferisca beni nell’interesse della famiglia dei coniugi. È riservato a persone sposate (o unite civilmente, per estensione analogica) e dura quanto il vincolo matrimoniale (cessa con divorzio/annullamento, salvo proroga fino alla maggiore età dei figli). Deve essere annotato sull’atto di matrimonio per essere opponibile ai terzi. - D: Quali vantaggi offre il fondo patrimoniale? I creditori non possono più toccare i beni conferiti?
R: Il vantaggio principale è la limitazione alla pignorabilità di quei beni: i creditori non potranno eseguirvi se il debito per cui agiscono è estraneo ai bisogni della famiglia e al momento in cui sorse sapevano tale estraneità. Ciò protegge tipicamente la casa familiare da debiti personali dei coniugi non legati alla famiglia (es. debiti d’azzardo, investimenti imprudenti, debiti di un’attività d’impresa). Tuttavia, attenzione: i beni del fondo restano aggredibili per i debiti contratti per bisogni familiari (es. mutui per la casa, spese per figli, tasse di famiglia). Inoltre, la protezione opera solo se il creditore era consapevole che il debito fosse per scopi estranei: se era in buona fede, il fondo non vale come scudo. Dunque non è una garanzia assoluta, ma una tutela condizionata. In pratica: sì, i beni non possono essere pignorati per debiti “estranei” e noti come tali al creditore (es. una banca che finanzia l’azienda non può rifarsi sulla casa di famiglia, salvo provi che serviva alla famiglia stessa); no, se il debito riguarda la famiglia o il creditore ignorava l’estraneità, i beni restano pignorabili. - D: Come si fa a sapere se un debito è considerato “per i bisogni della famiglia” oppure no?
R: Dipende dalla finalità con cui è stato contratto. La giurisprudenza adotta un criterio ampio: bisogni della famiglia includono tutto ciò che serve al mantenimento e allo sviluppo della famiglia, anche migliorare il tenore di vita o la capacità lavorativa dei membri. Ad esempio, l’acquisto di un’auto per la famiglia, spese mediche, istruzione, l’avvio di una piccola impresa familiare – sono considerati bisogni familiari. Restano estranei invece le spese voluttuarie o speculative (es. giocare in Borsa, collezionare beni di lusso personali) e in linea generale i debiti contratti esclusivamente per un’attività imprenditoriale/professionale che non abbia ricaduta diretta sulla famiglia. Ad esempio un prestito per aprire un ristorante è in astratto estraneo (serve all’impresa, non a comprare beni per la famiglia); un finanziamento per ristrutturare la casa familiare è certamente familiare. Molti casi però sono di confine: fino a qualche anno fa si tendeva a dire “quasi tutto giova alla famiglia, anche l’impresa” – ora la Cassazione richiede di valutare caso per caso. Perciò, se c’è controversia, deciderà il giudice: spetterà al debitore mostrare elementi che il debito non aveva scopo familiare immediato (es. fideiussione per società – serve all’azienda, non alla famiglia), e al creditore eventualmente provare il contrario (es. quel finanziamento aziendale serviva in realtà a pagare spese di casa). - D: In caso di debiti bancari per attività d’impresa di un coniuge, la banca può pignorare la casa in fondo patrimoniale?
R: Non automaticamente. Per anni le banche sostenevano che i debiti d’impresa rientravano comunque nei bisogni familiari (perché l’impresa genera reddito per la famiglia), e spesso ottenevano pignoramenti. Ma la nuova giurisprudenza dice che bisogna valutare il caso concreto: se quel debito d’impresa non aveva uno scopo familiare diretto, di regola è estraneo. Ad esempio, se i coniugi hanno fatto da garanti per un prestito alla loro società, tale obbligazione è finalizzata alla società stessa, non ai consumi familiari – quindi si presume estranea. In tal caso i coniugi possono opporre il fondo alla banca, dimostrando che il debito aziendale non aveva nesso immediato col mantenimento familiare. La banca, per poter pignorare, dovrebbe provare che invece quel finanziamento imprenditoriale serviva direttamente ai bisogni familiari (ipotesi difficile salvo casi particolari). Quindi oggi come oggi, se la casa è in fondo e il debito è puramente aziendale, i coniugi hanno buone chance di difenderla in giudizio. Va comunque fatta opposizione al pignoramento, altrimenti la banca procede. E attenzione: se la banca ha ipotecato la casa (es. mutuo aziendale con ipoteca su casa), l’ipoteca prevale e può espropriare indipendentemente dal fondo. - D: Si può usare il fondo patrimoniale per proteggere i beni dai creditori all’ultimo momento?
R: Tecnicamente uno può costituire un fondo in qualunque momento, ma farlo “all’ultimo momento” (cioè quando si è già insolventi o con debiti scaduti) è altamente sconsigliato e generalmente inutile. Il motivo è che l’atto sarebbe facilmente attaccabile come fraudolento. I creditori possono agire con azione revocatoria entro 5 anni e far dichiarare inefficace il fondo rispetto a loro. Anzi, se poi il debitore finisce in fallimento o liquidazione concorsuale, il curatore può revocarlo d’ufficio (se fatto entro 2 anni prima della procedura, essendo atto a titolo gratuito), o anche oltre via art. 2901 c.c. D’altronde, dal 2015 esiste l’art. 2929-bis c.c.: un creditore, entro 1 anno dalla costituzione del fondo, può pignorare direttamente il bene senza aspettare l’esito di una causa. Basta che il credito esistesse prima dell’atto e il fondo sia gratuito. Quindi se uno fa il fondo “quando i buoi sono scappati dalla stalla”, il creditore attento in pochi mesi può già eseguire, bypassando la lungaggine della revocatoria. In sintesi: costituire un fondo con finalità elusive all’ultimo è perlopiù inefficace e potrebbe peggiorare la posizione del debitore (p.es. venendo considerato atto in frode, precludendo soluzioni concordate del debito). Il fondo va pensato preventivamente e onestamente, non come trucco d’urgenza. - D: Cosa succede al fondo patrimoniale se i coniugi divorziano o uno muore?
R: Il divorzio o l’annullamento del matrimonio fanno cessare il fondo patrimoniale (art. 171 c.c.). Se non ci sono figli minori, la cessazione è immediata con il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio; i beni tornano “liberi” in titolarità ai rispettivi proprietari (o in comproprietà secondo l’atto). Se invece ci sono figli ancora minorenni, la legge stabilisce che il fondo continua fino a che il più giovane dei figli diventa maggiorenne. Ciò per tutelare i figli nonostante lo scioglimento dell’unione. Alla morte di un coniuge, il fondo di regola prosegue se vi sono figli minori (sempre fino alla loro maggior età). Se non vi sono figli minori, la dottrina ritiene che il fondo si estingua (poiché è venuto meno uno dei soggetti beneficiari, e il superstite resta unico proprietario). Da notare: se cessa il fondo, i creditori tornano a poter aggredire i beni senza le limitazioni dell’art. 170 (per debiti sia futuri che pregressi, salvo quelli già pendenti forse). Va anche segnalato che durante la separazione legale il fondo rimane in vita; solo col divorzio (scioglimento definitivo) cessa. - D: Che differenza c’è tra il fondo patrimoniale e altri strumenti di protezione, come il trust o il vincolo ex art. 2645-ter c.c.?
R: Sono tutti strumenti di destinazione di beni a uno scopo, ma con differenze:- Il fondo patrimoniale è circoscritto a bisogni familiari di coniugi e figli, nasce dalla legge italiana, opera automaticamente sui debiti come visto e si annota sull’atto di matrimonio.
- Il trust è un istituto di origine anglosassone, in Italia riconosciuto via convenzione internazionale: permette di destinare beni a un “trustee” per uno scopo specifico (anche la tutela di familiari). Può essere più flessibile (ad es. includere altri beneficiari, durare oltre il matrimonio, ecc.), ma è anche più complesso e costoso da istituire. Sul piano della protezione, un trust ben fatto può segregare beni dal patrimonio del disponente, ma anch’esso è soggetto a revocatoria se in frode. Inoltre il trust non ha un limite equivalente all’art. 170: di base i creditori del disponente non possono toccare i beni in trust perché non sono più suoi, ma se il trust è auto-dichiarato o con beneficiario lo stesso disponente, i creditori possono contestarne la simulazione.
- L’atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c. è un vincolo su beni immobili o mobili registrati per soddisfare interessi meritevoli di tutela (ad esempio destinare un immobile al sostentamento di una persona disabile). È simile a un trust “interno” limitato a 90 anni o alla vita del beneficiario. Può proteggere da aggressioni per debiti estranei allo scopo, come il fondo. Anch’esso, se usato per frode, è revocabile e soggetto a 2929-bis c.c.
- In breve, il fondo patrimoniale è lo strumento tipico per coniugi e ha un regime specifico di opposabilità e limiti ai creditori familiari. Un trust o un 2645-ter possono essere utilizzati anche da non coniugati o per scopi diversi (es. protezione di un figlio disabile a vita), con efficacia simile ma non identica. Dal punto di vista di un creditore, attaccare un trust può essere più complicato (perché i beni non sono più legalmente del debitore), mentre un fondo lascia giuridicamente la titolarità ai coniugi e si “limita” a offrire un’eccezione in esecuzione forzata. Questo rende il fondo più facilmente revocabile (atto gratuito in frode) e soggetto all’azione diretta 2929-bis, come abbiamo visto.
- D: Chi è in sovraindebitamento (non fallibile) cosa può fare per uscire dai debiti?
R: Può ricorrere alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento previste dalla legge (oggi inserite nel Codice della Crisi, D.Lgs. 14/2019). In sintesi:- Se è un consumatore, può presentare un piano di ristrutturazione dei debiti (ex piano del consumatore) in tribunale, proponendo di pagare in parte i debiti secondo le sue possibilità, anche senza accordo dei creditori.
- Se è un piccolo imprenditore/professionista (non fallibile), può proporre un concordato minore, cioè un accordo con i creditori su una ristrutturazione, che necessita dell’approvazione della maggioranza di essi.
- In alternativa, qualsiasi debitore sovraindebitato può chiedere la liquidazione controllata del patrimonio: si mettono a disposizione tutti i beni (esclusi quelli essenziali) e un liquidatore li vende per pagare in proporzione i creditori. Al termine, il debitore persona fisica ottiene la cancellazione dei debiti residui (esdebitazione).
- Infine, se il debitore non possiede nulla e non ha prospettive di pagare, può domandare l’esdebitazione del debitore incapiente: il tribunale, verificata la buona fede, può cancellare i debiti subito, con la condizione che se nei 4 anni seguenti il debitore trova disponibilità economiche, deve destinarne una parte (10%) ai vecchi creditori.
Tutte queste procedure richiedono di passare attraverso un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) che aiuta a preparare il piano/domanda. Sono strumenti legali per liberarsi dai debiti in modo ordinato, anziché subire pignoramenti infiniti.
- D: Quali debiti possono essere inclusi in queste procedure di sovraindebitamento? Anche mutui e debiti fiscali?
R: In generale tutti i debiti del debitore possono essere inclusi, siano essi verso banche, finanziarie, privati, fornitori, fisco o previdenza. Mutui ipotecari, finanziamenti, cartelle esattoriali – tutto può rientrare nella ristrutturazione o liquidazione. Ci sono però regole specifiche:- I crediti privilegiati (come mutui con ipoteca, o tributi con privilegio) se il debitore vuole pagarli meno del 100% o dilazionarli oltre certi limiti, richiedono il consenso del creditore o comunque sono soggetti a contestazione di convenienza. Ad esempio, in un piano del consumatore puoi prevedere di pagare il mutuo in 20 anni invece che 10, ma se allarghi oltre 1 anno di moratoria, devi dare modo alla banca di dire la sua (e la Cassazione ha detto che è lecito farlo, a patto che la banca possa opporsi sulla convenienza).
- I debiti fiscali e contributivi possono subire falcidia (taglio) e dilazione come gli altri chirografari, ma per legge nell’accordo/concordato occorre pagare almeno il 5% di ogni credito fiscale e previdenziale per poterli stralciare (questa regola era nella L.3/2012). Nel piano del consumatore invece il giudice può omologare anche con tagli forti alle cartelle esattoriali, se necessario, purché siano trattate come gli altri chirografari. Bisogna però rispettare eventuali privilegio: es. IVA e ritenute non pagate hanno privilegio generale, almeno in parte vanno soddisfatte sopra i chirografari.
- I debiti da multa, sanzione penale/amministrativa non possono essere falcidiati (possono essere rateizzati forse) e comunque non vengono cancellati dall’esdebitazione, quindi vanno pagati per intero prima o poi.
- Gli obblighi di mantenimento e alimentari pure non si cancellano, quindi se includi arretrati nel piano devi prevederne pagamento integrale, sennò il creditore può agire dopo.
In pratica il debitore deve elencare tutto e l’OCC lo aiuterà a capire come trattare ciascun tipo in modo conforme alla legge.
- D: Quanto dura una procedura di sovraindebitamento?
R: Dipende dalla procedura scelta e dalla complessità:- Un piano del consumatore generalmente dura quanto il piano di pagamenti proposto – spesso 4 o 5 anni di adempimento. La fase iniziale di approvazione può richiedere qualche mese (da 3 a 6 mesi tipicamente) per predisporre il ricorso, nominare OCC, andare in udienza e ottenere l’omologa. Dall’omologa, il debitore esegue: se sono rate mensili per 4 anni, alla fine di quei 4 anni (o subito se paga prima) viene esdebitato.
- Un concordato minore similmente: tempi di preparazione e omologa 4-6 mesi, poi l’esecuzione può essere immediata (es. vendita beni) o dilazionata, ma comunque di solito non oltre 5 anni. Ad esempio potrebbe prevedere pagamenti percentuali in 2 anni e allora finisce prima.
- Una liquidazione controllata può essere più breve se il patrimonio è semplice (es. vendere 1 casa e chiudere), ma c’è il vincolo dei contributi futuri per al max 3 anni. Quindi diciamo che una liquidazione ben gestita dovrebbe chiudersi entro 3-4 anni massimo. Se entro 3 anni non è finita la liquidazione, comunque il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione e la chiusura (il CCII incentiva a non prolungare oltre).
- L’esdebitazione del debitore incapiente è la più veloce: giusto il tempo che il tribunale esamini la domanda (pochi mesi), poi emette il decreto che cancella i debiti. C’è però il “periodo di prova” di 4 anni durante il quale se il debitore torna abbiente deve pagare qualcosa.
Quindi, orientativamente, si va da pochi mesi (caso di incapiente) a qualche anno (4-5 anni per piani/concordati usuali) fino a un massimo di 3-4 anni per liquidazioni. Rispetto al passato è un tempo ragionevole, ricordando che senza queste procedure un debitore insolvente potrebbe restare inseguito dai creditori per decenni!
- D: Dopo queste procedure, i debiti sono cancellati per sempre?
R: Sì, salvo alcune eccezioni. L’obiettivo è proprio dare al debitore una “fresh start” liberandolo dai debiti pregressi. Se la procedura va a buon fine (piano eseguito, concordato eseguito, liquidazione chiusa con collaborazione del debitore, o decreto incapiente non revocato):- Tutti i debiti concorsuali anteriori si considerano soddisfatti o estinti e il debitore non è più tenuto a pagarli. Eventuali ipoteche decadono (se il bene ipotecato è stato venduto; se per caso il bene ipotecato non è stato liquidato, quel creditore potrebbe far valere ipoteca su quel bene anche dopo, ma scenario raro perché in teoria avrebbe partecipato).
- Restano però, come detto, gli debiti non esdebitabili: alimenti, mantenimento, danni da illecito e sanzioni. Quelli il debitore deve ancora pagarli, la legge li esclude dalla discharge.
- Inoltre, se il debitore ha coobbligati o garanti, l’esdebitazione vale solo per lui: i fideiussori o condebitori rimangono obbligati. Ad esempio se due coniugi sono cointestatari di un debito e solo uno fa la procedura ed è esdebitato, l’altro ne resta responsabile per intero. Oppure se un amico aveva fatto da garante per un prestito, il creditore può rivalersi sul garante per la parte non pagata nel piano. La liberazione dei debiti è solo personale del debitore sovraindebitato.
- Dopo l’esdebitazione, il debitore ritorna ad essere solvibile, può anche eventualmente accedere al credito (anche se presumibilmente avrà segnalazioni negative in centrale rischi per qualche tempo, ma legalmente il debito è estinto).
- Occhio: se l’esdebitazione è stata ottenuta con dolo (omettendo beni o redditi, ad esempio) e il creditore lo scopre troppo tardi, potrebbe cercare di far revocare l’esdebitazione. La legge consente revoca entro 6 mesi se emergono comportamenti fraudolenti non noti prima. Dopo, diventa definitiva. Quindi conviene sempre essere trasparenti sin dall’inizio.
- D: Avere un fondo patrimoniale impedisce di chiedere la procedura di sovraindebitamento?
R: No, non la impedisce affatto. Il debitore con fondo può presentare domanda come qualsiasi altro. Non c’è una preclusione espressa in legge. Tuttavia il debitore dovrà dichiararlo e, come spiegato, la presenza del fondo verrà valutata. Se il giudice o l’OCC la considera un atto in frode (fatto per danneggiare i creditori), allora potrebbe emergere un problema di ammissibilità: la legge esclude chi ha compiuto atti in frode ai creditori. Ma non è automatico che un fondo = frode. Dipende da quando e perché è stato fatto. Se risulta che il fondo fu costituito tanti anni prima, magari quando non c’erano insolvenze, e che i beni servono alla famiglia, non verrà considerato ostativo. Semmai si terrà conto di come influirà sul soddisfacimento dei creditori. Quindi, si può accedere alle procedure avendo un fondo patrimoniale; solo, bisogna gestire quella condizione all’interno del piano/concordato/liquidazione. In pratica, come debitore devi convincere che non stai usando la procedura per avvalorare una frode (tipo “mi tengo la casa col fondo e voglio pure l’esdebitazione”), bensì per risolvere equamente la crisi rispettando anche le esigenze della famiglia (che potrebbero giustificare lasciare la casa fuori, se la legge lo consente). Molti piani del consumatore presentati da soggetti con casa in fondo sono stati ammessi e omologati con successo. - D: Quali sono i costi e chi mi può assistere in queste procedure?
R: Bisogna rivolgersi a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) nella propria provincia. Presso le Camere di Commercio, gli Ordini degli Avvocati o dei Commercialisti spesso ci sono OCC attivi. Il costo tipico include:- Una marca da bollo per la domanda (€16).
- Un compenso all’OCC: di solito c’è una quota fissa iniziale (es. €200-400) più un compenso finale che dipende dall’attivo e dall’esito (stabilito per legge o da parametri ministeriali). Ad esempio, l’OCC di Pistoia indica €366 iniziali (300+IVA) come acconto.
- Eventuali spese notarili se servono atti (non spesso).
- Se ci si avvale di un avvocato di fiducia, quello è a parte (non obbligatorio averne uno, ma spesso consigliato per interfacciarsi col tribunale).
- In molti casi, comunque, i costi dell’OCC e di procedura possono essere pagati all’interno del piano stesso, rateizzati.
Insomma, non è gratis ma è affrontabile; e di solito molto meno oneroso che subire decreti ingiuntivi, pignoramenti mobiliari, ecc., anche in termini di stress. Inoltre, se si ha un basso reddito, si può chiedere il patrocinio a spese dello Stato per le spese legali (alcuni tribunali lo concedono per queste procedure, almeno per la parte legale).
Conviene informarsi presso l’OCC: al primo appuntamento spiegano costi e iter.
- D: Cosa succede se non rispetto il piano o l’accordo approvato?
R: Se il debitore non adempie quanto stabilito (ad es. salta diverse rate del piano, o non vende un bene entro il termine) senza giustificato motivo, la controparte può attivarsi:- Nel piano del consumatore, il tribunale, su segnalazione dell’OCC o istanza dei creditori, può revocare l’omologazione e dichiarare risolto il piano. A quel punto i creditori riacquistano pieni diritti e spesso contestualmente il giudice, su richiesta del debitore o d’ufficio, apre la liquidazione controllata.
- Nel concordato minore, similmente: se non si adempie, i creditori possono chiedere la risoluzione. Il tribunale la pronuncia e può aprire la liquidazione.
- In liquidazione, se il debitore non collabora o nasconde beni, il rischio è che venga negata l’esdebitazione alla fine: cioè i debiti non saranno cancellati, vanificando il beneficio.
Insomma, l’inadempimento serio fa perdere la protezione: tornano possibili le azioni individuali, e in più si perde la fiducia del giudice. Meglio quindi proporre piani realizzabili e magari tenersi un margine di sicurezza. Nel CCII hanno ridotto i termini per agire: i creditori devono attivarsi entro 6 mesi dalla conoscenza del fatto per chiedere revoca/risoluzione. Se passa troppo tempo, non possono più farlo e il piano resta valido. Ma comunque, per la propria serenità, è fondamentale rispettare gli impegni presi nel piano/accordo.
- D: Dopo l’esdebitazione, posso costituire un nuovo fondo patrimoniale o contrarre nuovi debiti?
R: Dopo l’esdebitazione sei un cittadino “pulito”: nessuna norma ti impedisce di contrarre nuovi debiti (anche se probabilmente per qualche anno avrai difficoltà ad ottenere credito, perché le banche vedono la storia pregressa). Puoi certamente anche costituire un nuovo fondo patrimoniale se ne hai i requisiti (essere sposato) e vuoi destinare beni per la famiglia. Naturalmente, cerca di non ripetere gli errori: se ti indebiti di nuovo sconsideratamente, sappi che non potrai ottenere un’altra esdebitazione prima di 5 anni e comunque al massimo due volte nella vita. Quanto al fondo, se lo fai subito dopo esdebitazione e poi fai altri debiti, i creditori futuri potranno ancora impugnarlo (l’esdebitazione passata non rende immune da revocatorie future se fai di nuovo atti in frode). Quindi, sì puoi tornare alla normalità, ma è consigliabile rientrare nel circuito economico con prudenza, imparando dall’esperienza. E costituire un fondo va bene per proteggere la casa per la famiglia, ma non come mezzo per abusare del credito altrui.
Conclusione: Il fondo patrimoniale e le procedure anti-sovraindebitamento, lungi dall’essere strumenti antitetici, possono integrarsi nella tutela sia della dignità del debitore e della sua famiglia, sia degli interessi dei creditori. La chiave è la buona fede e la trasparenza: un debitore onesto che usa il fondo per le finalità lecite e si rivolge al tribunale per risolvere la sua crisi troverà nella legge un alleato, attraverso piani flessibili e possibilità di ripartenza. Al contrario, chi volesse sfruttare furbescamente questi istituti per sottrarre tutto ai creditori ingannandoli, si scontrerà con revocatorie, dinieghi di omologa e decadenze dai benefici. In definitiva, dall’analisi normativa e dei casi pratici emerge un messaggio coerente: l’ordinamento tutela il debitore meritevole, che pur in difficoltà agisce correttamente – gli consente di mantenere il necessario (anche la casa, se possibile) e di cancellare i debiti opprimenti. Ma non offre scappatoie a chi non rispetta l’equilibrio degli interessi in gioco.
Fonti e riferimenti normativi
- Codice Civile, artt. 167-171 – Disciplina del fondo patrimoniale (costituzione, amministrazione, impignorabilità condizionata, cessazione).
- Cassazione Civile – varie sentenze sul fondo patrimoniale:
- Cass. Sez. III, 8 febbraio 2021 n. 2904 – Nesso tra debiti d’impresa e bisogni familiari, no automatismi pro-creditore.
- Cass. Sez. I, 27 aprile 2020 n. 8201 – Orientamento restrittivo su inclusione debiti imprenditoriali nei bisogni.
- Cass. Sez. I, 25 ottobre 2021 n. 29983 – Orientamento contrario (più ampio verso i creditori).
- Cass. Sez. III, 28 settembre 2023 n. 27562 – Importante svolta: debiti d’impresa di regola non per bisogni familiari; onere probatorio e valutazione caso per caso.
- Cass. Sez. III, 13 novembre 2023 n. 31575 – Massima ufficiale: onere della prova sul debitore, impossibilità di presunzioni automatiche pro o contro.
- Cass. Sez. I, 2 aprile 2021 n. 9192 – Fondo patrimoniale atto a titolo gratuito, revocabile ex art. 64 L. Fall. se biennale; consilium fraudis e scientia in revocatoria.
- Art. 2929-bis c.c. – Azione esecutiva su beni vincolati senza revocatoria (consente pignoramento entro 1 anno da atti come fondo/trust).
- D.Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza), come modificato:
- Artt. 65-73 – Ristrutturazione dei debiti del consumatore (piano del consumatore).
- Artt. 74-83 – Concordato minore (ex accordo).
- Artt. 268-277 – Liquidazione controllata del sovraindebitato.
- Artt. 278-283 – Esdebitazione (condizioni generali e del debitore incapiente).
- Art. 69 – Criteri di meritevolezza del consumatore (niente frode o colpa grave).
- Art. 282 – Esdebitazione di diritto dopo chiusura liquidazione o 3 anni.
- Art. 277 – Debiti esclusi da esdebitazione (uguale a art. 14-terdecies L.3/2012: alimenti, danni, sanzioni).
- Legge 3/2012 (abrogata dal 2022 ma rilevante per giurisprudenza passata): introduttiva di piano del consumatore, accordo e liquidazione. Emendata dalla L.176/2020 sul punto meritevolezza e esdebitazione incapienti.
- Cassazione Civile, Sez. I, 27 luglio 2023 n. 22890 – Applicazione retroattiva del nuovo criterio di meritevolezza del consumatore (via art. 4-ter D.L.137/2020).
- Cass. Sez. I, 23 dicembre 2024 n. 34150 – Ammissibile nei piani/accordi dilazionare pagamento di creditori ipotecari oltre un anno purché possano esprimersi sulla convenienza.
- Tribunale di Mantova, 25 gennaio 2022 – (Indicata come merito nella rivista) novità su istanza dei creditori per liquidazione dei debitori non fallibili.
Hai un fondo patrimoniale ma sei sommerso dai debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Se ti trovi in una situazione di sovraindebitamento e hai costituito un fondo patrimoniale, potresti pensare che i tuoi beni siano al sicuro. Ma attenzione: non sempre è così.
La legge sulla crisi da sovraindebitamento e la giurisprudenza recente impongono di valutare attentamente la posizione del debitore e i limiti di protezione del fondo.
Cos’è il fondo patrimoniale?
Il fondo patrimoniale è uno strumento previsto dal Codice Civile che consente di destinare beni immobili, mobili registrati o titoli ai bisogni della famiglia.
Una volta costituito:
- 🛡️ I beni vincolati non possono essere aggrediti da creditori per debiti estranei ai bisogni familiari
- 📚 Serve un atto pubblico con indicazione esatta dei beni conferiti
- 🔒 I beni non possono essere venduti o ipotecati senza il consenso di entrambi i coniugi (salvo eccezioni)
Il fondo patrimoniale protegge davvero dai creditori?
Dipende. I creditori non possono aggredire i beni del fondo solo se:
- Il debito è estraneo ai bisogni familiari
- Il creditore non prova la consapevolezza del fine elusivo del fondo
- Il fondo è stato costituito prima dell’insorgenza del debito
- Non vi è prova di abuso dello strumento (es. creazione poco prima del default)
In caso contrario, i creditori possono chiedere la revoca del fondo o attaccare i beni vincolati, specie se c’è frode.
E nel sovraindebitamento? Il fondo viene toccato?
Sì, se accedi a una procedura di composizione della crisi (come il piano del consumatore o la liquidazione controllata), il fondo patrimoniale:
- ⚖️ Deve essere dichiarato nel patrimonio del debitore
- 📂 Viene esaminato dal gestore e dal giudice per valutare se i beni sono attaccabili
- 🔍 Può essere oggetto di revoca o di vendita se ritenuto strumento elusivo
- 🛑 Non è una garanzia assoluta: la legge tutela i creditori in buona fede
Come difendersi in presenza di fondo patrimoniale?
- 📑 Dimostra che i debiti sono estranei ai bisogni della famiglia
- 🧾 Documenta che il fondo è stato costituito prima dei debiti
- ⚖️ Collabora nella procedura e dichiara tutto al gestore della crisi
- ✍️ Se possibile, offri soluzioni alternative ai creditori per evitare la revoca
- 🛡️ Affidati a un avvocato esperto per evitare errori che potrebbero compromettere la tua difesa
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📂 Valuta la validità e opponibilità del tuo fondo patrimoniale
🧾 Analizza la natura dei debiti e la documentazione disponibile
⚖️ Ti difende in caso di richiesta di revoca o attacco al fondo
✍️ Redige piani del consumatore e istanze di sovraindebitamento con strategia
🔁 Ti accompagna fino all’eventuale esdebitazione, proteggendo i beni legittimamente vincolati
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in tutela del patrimonio familiare e crisi da sovraindebitamento
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per la salvaguardia dei beni in presenza di debiti familiari o imprenditoriali
✔️ Consulente per famiglie, professionisti e microimprese in difficoltà
Conclusione
Il fondo patrimoniale non è una barriera assoluta contro i creditori, ma può diventare uno strumento difensivo se gestito con trasparenza e correttezza.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi valutare la tua situazione, difendere i beni familiari e accedere agli strumenti previsti dalla legge sul sovraindebitamento per proteggere il futuro tuo e della tua famiglia.
📞 Richiedi subito una consulenza riservata se hai un fondo patrimoniale e sei in difficoltà economica: la strategia giusta può fare la differenza.