Hai chiesto un finanziamento e ti è stato rifiutato senza spiegazioni? Ti sei sentito dire “la pratica è respinta” ma nessuno ti ha detto il perché? Oppure ti hanno negato l’accesso al credito anche se hai un reddito stabile e nessun debito in corso?
Ogni giorno, centinaia di domande di finanziamento vengono respinte da banche e finanziarie senza motivazioni chiare. Ma attenzione: non è detto che il rifiuto sia legittimo, soprattutto se il tuo profilo è meritevole o se non risultano segnalazioni negative nei sistemi di credito.
Perché ti rifiutano un finanziamento anche se sei “affidabile”?
– Potresti essere stato segnalato ingiustamente in banca dati (CRIF, Experian, CTC, etc.)
– La banca o la finanziaria applica criteri interni rigidi, anche senza comunicarteli
– Hai avuto in passato ritardi anche minimi nei pagamenti
– C’è una valutazione automatica (credit scoring) che ha penalizzato il tuo profilo
– Sei garante di un finanziamento altrui andato in sofferenza
Cosa puoi fare se ti rifiutano un finanziamento senza motivo?
– Richiedere subito l’accesso alle banche dati creditizie per sapere se ci sono segnalazioni a tuo carico
– Chiedere alla finanziaria la motivazione formale del rifiuto: è un tuo diritto
– Se la segnalazione è errata, presentare un reclamo per farla cancellare
– Se hai subito danni dal rifiuto (es. perdita di opportunità o danno reputazionale), puoi valutare una richiesta di risarcimento
– Con l’assistenza legale, puoi contestare l’illegittimità del diniego e far valere i tuoi diritti
Come si verificano le segnalazioni negative?
– Puoi fare richiesta online alle centrali rischi private (CRIF, Cerved, etc.) o a Banca d’Italia (centrale rischi pubblica)
– Entro 30 giorni devi ricevere una risposta gratuita
– Se risultano dati errati o informazioni obsolete, puoi chiedere la rettifica o la cancellazione immediata
Cosa NON devi fare mai?
– Presentare domande a raffica ad altri istituti: ogni richiesta respinta può peggiorare il tuo profilo
– Fidarti delle risposte vaghe del promotore: pretendi comunicazioni scritte e documentate
– Accettare prestiti da privati non regolamentati: rischi usura e truffe
– Pensare che “non puoi fare nulla”: la legge ti tutela, ma devi agire subito
Il rifiuto immotivato di un finanziamento può nascondere errori gravi, segnalazioni abusive o valutazioni scorrette. Difendersi è possibile: basta conoscere i tuoi diritti e farli valere.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto bancario e segnalazioni creditizie – ti spiega cosa fare se il tuo finanziamento è stato rifiutato senza motivo, come controllare il tuo profilo e come difenderti in modo efficace.
Hai subito un rifiuto ingiustificato per un prestito e vuoi sapere se puoi contestarlo?
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Introduzione
Vedersi negare un finanziamento può rappresentare un ostacolo significativo sia per un privato sia per un’impresa. Spesso la banca comunica solo un generico “esito negativo” senza spiegazioni dettagliate, lasciando il richiedente confuso e frustrato. Comprendere le ragioni del rifiuto e sapere come muoversi è fondamentale per migliorare la propria situazione creditizia e pianificare una nuova richiesta con maggiori probabilità di successo.
In questa guida approfondita – scritta dal punto di vista del debitore e aggiornata a luglio 2025 – esamineremo tutti gli aspetti rilevanti quando un prestito viene rifiutato. Indicheremo cosa fare nell’immediato, come tutelare i propri diritti e quando sia opportuno presentare una nuova domanda. La trattazione copre tutte le tipologie di finanziamento (dai prestiti personali e mutui ipotecari ai fidi aziendali, dal credito al consumo alle formule particolari come cessione del quinto, factoring e leasing) e analizza in dettaglio:
- Motivi tipici di rifiuto per privati e per imprese.
- Quadro giuridico: esiste un “diritto al credito”? Quali obblighi hanno banche e finanziarie (trasparenza, buona fede precontrattuale, normativa antiriciclaggio, divieto di discriminazione)?
- Il diritto alla trasparenza bancaria: accesso alle informazioni creditizie (CRIF, Centrale dei Rischi Bankitalia, altri credit bureau) e tutela della privacy.
- Implicazioni fiscali e di bilancio di un prestito negato (sia per privati che per aziende).
- Pronunce aggiornate di giurisprudenza su concessione e diniego del credito, con riferimenti a sentenze recenti e decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario (ABF).
- Simulazioni pratiche su come reagire dopo un rifiuto, con casi reali e soluzioni adottate.
- I tempi e le condizioni per ripresentare una richiesta di prestito con maggior successo.
- Utili tabelle riepilogative (ad es. tempi di permanenza delle segnalazioni nelle banche dati) e una sezione finale di FAQ avanzate che rispondono ai dubbi più comuni.
Tipi di prestiti rilevanti e loro caratteristiche
Prima di analizzare le cause di rifiuto e le possibili soluzioni, è utile richiamare brevemente i principali tipi di prestito e finanziamento presenti nel mercato creditizio italiano. Ogni tipologia ha caratteristiche proprie, differenti criteri di valutazione e specifiche tutele normative:
- Prestiti personali: finanziamenti concessi a persone fisiche per esigenze di liquidità non vincolate (es. acquisto auto, ristrutturazioni, spese familiari). Sono in genere non finalizzati (l’uso delle somme è libero) e chirografari (senza garanzie reali), erogati in base al reddito e all’affidabilità creditizia del richiedente. Hanno durata medio-breve (1–5 anni, talvolta fino a 10) e importi generalmente contenuti (tipicamente fino a 30–50 mila euro). L’istituto valuta il merito creditizio del consumatore (storico dei pagamenti, reddito disponibile, rapporto rata/reddito, eventuali altri debiti) e applica un TAEG trasparente secondo la normativa sul credito ai consumatori. Essendo non garantiti, richiedono un buon credit score e spesso prevedono polizze facoltative a copertura del rischio vita/impiego.
- Prestiti alle imprese (finanziamenti aziendali): comprendono varie forme di credito destinate ad attività economiche (imprese individuali, società, professionisti). Possono essere affidamenti a breve termine per liquidità (fidi di cassa, anticipi fatture) oppure finanziamenti a medio-lungo termine per investimenti (mutui chirografari o ipotecari, leasing finanziari, finanziamenti agevolati). Gli importi e le durate variano molto (dal piccolo fido per una PMI fino a mutui pluriennali per investimenti significativi). La banca valuta i bilanci aziendali, gli indicatori patrimoniali e di redditività, il settore di attività, l’eventuale rating interno o esterno, nonché le garanzie offerte (garanzie reali su beni dell’impresa, garanzie personali dei soci, garanzie consortili o pubbliche come il Fondo di Garanzia PMI). Spesso l’erogazione del credito aziendale è vincolata a parametri di rischio stringenti e al rispetto di eventuali covenant finanziari. Una PMI neo-costituita o con bilanci in perdita avrà difficoltà ad accedere al credito bancario tradizionale, se non attraverso canali garantiti o l’intervento di confidi.
- Mutui ipotecari: prestiti finalizzati tipicamente all’acquisto di immobili (abitativi per privati, o immobili commerciali/industriali per imprese). Hanno durata lunga (spesso 20–30 anni per i mutui casa) e sono garantiti da ipoteca sull’immobile finanziato. L’importo erogato dipende dal valore del bene (rapporto loan-to-value, di solito 50–80%) e dal reddito/andamento economico del debitore. Per i privati, il mutuo fondiario sulla prima casa gode di tassi agevolati e detrazioni fiscali sugli interessi, ma richiede merito creditizio adeguato e rispetto dei parametri anti-usura. Per le imprese, i mutui immobiliari sono spesso legati a progetti di investimento e vengono valutati anche in base al flusso di cassa atteso dall’iniziativa stessa.
- Credito al consumo finalizzato: forme di prestito al dettaglio collegate all’acquisto di beni/servizi specifici (es. finanziamento auto, moto, arredamento, elettronica, cure mediche). Sono erogati da banche o società finanziarie convenzionate con il venditore, spesso direttamente presso il punto vendita o online. L’importo e la durata sono medio-bassi (ad es. 5.000–20.000 € da restituire in 12–60 mesi) e il bene acquistato può fungere da garanzia implicita. La valutazione è simile a quella di un prestito personale, focalizzata sul reddito e sulla storia creditizia del consumatore. Per legge devono essere fornite informative precontrattuali chiare (es. SECCI – Informazioni europee di base sul credito ai consumatori) e il TAEG deve includere tutti i costi. È un credito tutelato dalla normativa consumeristica (D.Lgs. 206/2005 Codice del Consumo e D.Lgs. 141/2010 attuativo direttiva 2008/48/CE).
- Cessione del quinto: particolare tipologia di prestito personale riservata a lavoratori dipendenti (pubblici o privati) e pensionati, in cui la rata mensile viene trattenuta direttamente in busta paga o dalla pensione (fino a un quinto dell’importo netto mensile). È un credito garantito dal TFR accantonato e da un’assicurazione obbligatoria contro rischio vita e impiego (previsti dal DPR 180/1950). Grazie a queste garanzie, la cessione del quinto è spesso accessibile anche a clienti con precedenti disguidi creditizi. La durata massima è 120 mesi; l’importo ottenibile dipende dalla quota cedibile. Sono previsti tassi soggetti ai limiti anti-usura specifici e commissioni regolate dalla legge. Attenzione: nonostante la forte garanzia, anche la cessione del quinto può essere rifiutata in alcuni casi – ad esempio se il richiedente ha un contratto di lavoro troppo breve, se ha già raggiunto il limite cedibile (avendo magari in corso un’altra cessione e una delegazione di pagamento), se l’azienda datrice di lavoro è considerata a rischio, oppure se il pensionato supera i limiti di età assicurativi.
- Factoring: tecnica di finanziamento aziendale che consiste nella cessione dei crediti commerciali di un’impresa (es. fatture verso clienti) a un intermediario (factor) che anticipa immediatamente una parte dell’importo. Il factoring può essere pro soluto (il factor assume il rischio di insolvenza del debitore ceduto) o pro solvendo (il cedente garantisce il rimborso in caso di mancato pagamento). Non si tratta di un prestito tradizionale ma di un’operazione di smobilizzo crediti: il factor valuta il merito creditizio sia dell’impresa cedente sia, soprattutto, dei debitori ceduti. Concentrazioni di rischio (pochi clienti, importi elevati), ritardi abituali nei pagamenti o contestazioni su forniture possono portare il factor a rifiutare l’operazione. Il factoring è disciplinato dalla legge n.52/1991 e dalle disposizioni Banca d’Italia per gli intermediari finanziari. Offre vantaggi in termini di liquidità immediata e outsourcing della gestione crediti, ma comporta costi in commissioni e tassi commisurati al rischio.
- Leasing finanziario: contratto attraverso cui un soggetto (locatore finanziario, di solito società di leasing legata a un gruppo bancario) acquista un bene su indicazione del cliente e glielo concede in uso dietro pagamento di canoni periodici, con opzione finale di acquisto (riscatto) a un prezzo prefissato. Può riguardare beni mobili strumentali (macchinari, veicoli, attrezzature), beni immobili (leasing immobiliare su fabbricati) o altri beni (leasing operativo, leasing nautico, ecc.). Dal punto di vista economico, equivale a un finanziamento dell’intero costo del bene, con garanzia implicita del bene stesso (che rimane di proprietà del locatore fino all’eventuale riscatto). I canoni sono deducibili fiscalmente secondo specifiche regole. La società di leasing valuta il merito creditizio dell’utilizzatore analogamente a un prestito, analizzando bilanci e flussi di cassa (per imprese) o reddito (per privati, ad es. nel leasing auto). Considera anche il valore di mercato e la rivendibilità del bene (fondamentali per ridurre il rischio), oltre a eventuali garanzie ulteriori (es. fideiussioni dei soci nel leasing aziendale). Un leasing può essere rifiutato se il cliente presenta indicatori finanziari deboli o se il bene richiesto è troppo specialistico/rischioso (che renderebbe difficile il recupero in caso di insolvenza).
In sintesi, banche e finanziarie offrono una gamma di prodotti creditizi dal consumo alle imprese. Ogni prodotto ha criteri di concessione peculiari e normative dedicate. Conoscere la tipologia del finanziamento che ci viene negato aiuta a capire quali parametri specifici possano aver influito sul rifiuto e quali rimedi siano possibili (ad esempio, per un mutuo ipotecario conta molto il rapporto rata/reddito e il valore dell’immobile, per un fido aziendale contano i bilanci e le garanzie, per un prestito personale contano reddito e storico creditizio, ecc.).
Motivi comuni di rifiuto di un finanziamento
Le ragioni di un rifiuto nella concessione del credito possono essere molteplici, e spesso differiscono tra consumatori privati e aziende. Comprendere perché la banca o finanziaria ha detto “no” è il primo passo per porvi rimedio. In generale, l’istituto nega la richiesta quando ritiene che il rischio di insolvenza sia troppo alto oppure che non siano soddisfatte le proprie politiche interne di erogazione. Di seguito esaminiamo i motivi più comuni di diniego, distinguendo tra clientela privata e imprese.
Motivi di rifiuto per i privati (consumatori e famiglie)
- Reddito insufficiente o rata troppo alta rispetto al reddito: La banca verifica che il richiedente abbia entrate stabili e adeguate a coprire la rata. Una regola diffusa è che la rata mensile non superi circa il 30–35% del reddito netto mensile disponibile. Se il reddito (da busta paga, pensione o dichiarazione dei redditi per autonomi) risulta troppo basso in rapporto all’importo richiesto, il finanziamento verrà negato. Ad esempio, un lavoratore con stipendio netto di 1.200 € difficilmente otterrà una rata da 500 € mensili. Conta anche la tipologia del reddito: contratti di lavoro precari o a tempo determinato, o per i lavoratori autonomi l’assenza di uno storico di redditi consolidati, possono portare al diniego in quanto aumentano il rischio di future difficoltà nei pagamenti.
- Situazione lavorativa instabile o anzianità lavorativa breve: Le finanziarie tendono a rifiutare prestiti a chi ha appena iniziato un nuovo lavoro (spesso richiedono almeno 6–12 mesi di anzianità lavorativa) o è in periodo di prova. Analogamente, per i pensionati può essere negato un piano di rimborso che si estenda oltre una certa età (solitamente 75–80 anni, a seconda dei massimali assicurativi). Se la stabilità reddituale nel medio termine non è dimostrabile, il credito viene giudicato troppo rischioso.
- Eccessivo indebitamento pregresso: Un motivo frequente di rifiuto è la presenza di troppi finanziamenti già in corso. La banca analizza l’indebitamento complessivo del cliente tramite le segnalazioni nei Sistemi di Informazione Creditizia (SIC). Se risulta che la persona sta già rimborsando diverse linee di credito e il suo Debt-to-Income ratio (rapporto tra somma di tutte le rate mensili e reddito) è già elevato, un nuovo prestito sovraccaricherebbe il bilancio familiare. In questi casi l’istituto può richiedere l’estinzione o il consolidamento dei debiti esistenti prima di concedere nuova finanza, oppure rifiutare la richiesta per potenziale sovraindebitamento.
- Storia creditizia negativa (“cattivo pagatore”): Probabilmente la causa più rilevante di rifiuto è una credit history negativa risultante dalle banche dati. Se il richiedente ha avuto ritardi nei pagamenti, rate saltate o altri eventi pregiudizievoli (finanziamenti finiti in sofferenza, pignoramenti, protesti, ecc.), verrà segnalato come cattivo pagatore e le nuove richieste verranno respinte dalla maggior parte degli operatori. Anche piccoli ritardi regolarizzati di recente possono pesare: ad esempio, un paio di rate pagate in ritardo e sanate pochi mesi fa potrebbero indurre la finanziaria a non fidarsi subito (spesso si richiede un periodo di “riabilitazione”, tipicamente almeno 12 mesi di regolarità dopo l’ultimo ritardo). In particolare, se esistono segnalazioni in sofferenza o perdite su crediti passati (es. un vecchio prestito non rimborsato integralmente e chiuso a stralcio), il sistema bancario considera il cliente ad alto rischio e difficilmente qualcuno erogherà nuovi finanziamenti finché quella macchia non sarà cancellata dalle banche dati. Anche essere stati garanti per qualcuno poi insolvente può generare segnalazioni a proprio nome e comportare rifiuti.
- Errori o incongruenze nella documentazione fornita: Talvolta il diniego dipende non dal merito creditizio, ma da problemi formali nella richiesta. Ad esempio, documenti reddituali mancanti, informazioni anagrafiche non coerenti, oppure difformità tra quanto dichiarato dal cliente e quanto risulta dalle verifiche (es. residenza, composizione del nucleo familiare, presenza di altri finanziamenti non dichiarati ma emersi in banca dati). Le banche effettuano controlli incrociati e, se emergono incongruenze o il sospetto di dichiarazioni non veritiere, interrompono l’istruttoria. Anche uno score interno insufficiente (frutto di algoritmi proprietari che pesano vari parametri del richiedente) può portare a un diniego automatico. In questi casi è importante capire se si può integrare la domanda con documenti corretti o aggiuntivi, e presentare eventualmente un nuovo fascicolo completo e coerente.
- Mancanza di garanzie aggiuntive richieste: Sebbene i prestiti personali siano di norma senza garanzie reali, a volte – per importi elevati o situazioni borderline – la banca richiede un garante o coobbligato. Se il cliente non è in grado di fornire una firma di garanzia con adeguato reddito/patrimonio, la pratica può essere respinta. Analogamente, nel caso di un mutuo ipotecario, la banca pretende che l’immobile offerto in garanzia abbia un valore sufficiente e sia libero da vincoli: se dalla perizia risulta un valore immobiliare troppo basso rispetto al mutuo richiesto (LTV fuori range) o emergono problemi (ipoteche pregresse, abusi edilizi, incertezze su provenienza dell’immobile), il mutuo verrà negato a meno di ridurre l’importo finanziato. In alcuni casi, per prestiti personali di importo considerevole, le finanziarie propongono polizze assicurative facoltative a tutela del credito: rifiutare di sottoscriverle non dovrebbe pregiudicare l’erogazione (per legge il cliente ha diritto di scegliere assicurazioni non abbinate alla banca), ma in pratica la mancata adesione può influire sulla valutazione del rischio del cliente.
- Rifiuto di condizioni accessorie imposte (pratiche scorrette): In passato alcune banche hanno condizionato la concessione di mutui o prestiti all’acquisto di prodotti aggiuntivi non obbligatori (es. polizze assicurative facoltative vendute dalla banca stessa, o apertura di un nuovo conto corrente). Si tratta di pratiche commerciali aggressive vietate dagli artt. 24–25 del Codice del Consumo. Ad esempio, l’AGCM (Antitrust) ha sanzionato nel 2020 quattro banche che subordinavano il mutuo alla sottoscrizione di polizze della banca o all’apertura contestuale di un conto. Il TAR Lazio, con sentenze del gennaio 2024, ha confermato in parte tali sanzioni, sottolineando che le banche devono rispettare i presidi di settore a tutela della clientela, senza imporre bundling forzato di prodotti aggiuntivi. Dunque, il cliente può rifiutare condizioni accessorie non obbligatorie senza che ciò legittimi la banca a negare il prestito; qualora ciò accada, il comportamento dell’intermediario potrebbe essere sanzionato come pratica scorretta.
Motivi di rifiuto per le imprese (società e ditte individuali)
- Indicatori di bilancio negativi o insufficienti: La prima causa di diniego per un’impresa è un profilo economico-finanziario giudicato insoddisfacente. Banche e finanziarie analizzano attentamente i bilanci degli ultimi esercizi, gli indici di redditività (ROI, ROE), i margini operativi (EBITDA) e gli indici di indebitamento (es. rapporto PFN/EBITDA, leverage, interest coverage ratio). Se l’azienda ha registrato perdite d’esercizio, margini risicati o un livello di indebitamento già elevato, la probabilità di rimborso viene considerata bassa. Ad esempio, un’impresa con debiti finanziari molto superiori al patrimonio netto, o con utili incapaci di coprire gli oneri finanziari, difficilmente otterrà nuovo credito senza prima rafforzare il capitale. Anche una situazione di tensione di liquidità evidente in bilancio (carenza di circolante, cassa negativa, ecc.) è un campanello d’allarme che può portare la banca a rifiutare ulteriore affidamento. In sintesi, se i numeri non supportano la capacità di rimborso (né dell’azienda né del gruppo di soci alle spalle), il finanziamento viene negato.
- Cattiva storia creditizia dell’azienda o dei suoi esponenti: Le banche consultano sia la Centrale dei Rischi di Banca d’Italia sia i SIC privati per vedere come l’impresa – e spesso anche i soci o garanti personali collegati – si è comportata con i debiti pregressi. Segnalazioni negative come sconfinamenti persistenti oltre i fidi, posizioni classificate come incaglio o sofferenza in Centrale Rischi, oppure protesti a carico dell’azienda o degli amministratori, sono tipiche cause di diniego. Ad esempio, se un’azienda risulta avere ristrutturato un debito (segno di “inadempienza probabile” in CR) o avere rate di leasing scadute da mesi, un nuovo istituto difficilmente concederà ulteriore credito. Va considerato che la reputazione creditizia di un’impresa è legata anche ai suoi esponenti: se l’amministratore unico ha storicamente portato al fallimento altre società, o figura personalmente come cattivo pagatore, ciò influirà negativamente sulla valutazione. Allo stesso modo, l’esistenza di ipoteche giudiziali o pignoramenti su beni aziendali segnala un rischio concreto e porta le banche a rigettare le richieste.
- Mancanza di adeguate garanzie reali o personali: Molti finanziamenti alle imprese richiedono garanzie a supporto. Se l’azienda non dispone di asset da offrire in garanzia reale (es. immobili liberi da ipoteche, macchinari su cui iscrivere privilegio) né di garanti terzi (ad es. i soci disposti a fideiussioni personali, consorzi fidi/Confidi, o garanzie pubbliche come il Fondo Centrale di Garanzia PMI), la banca può non sentirsi sufficientemente tutelata e rifiutare la domanda. In particolare per le piccole imprese con breve storia, oggi le banche spesso richiedono la copertura del Fondo di Garanzia statale fino all’80%. Un rifiuto può avvenire se l’impresa non possiede i requisiti per ottenere tale garanzia pubblica (es. rating Mediocredito Centrale troppo basso, settore di attività escluso, posizione in Centrale Rischi già deteriorata). Anche l’assenza di coinvolgimento personale dei soci (nel caso di società di capitali) può essere vista come mancanza di impegno: alcune banche rifiutano affidamenti se i soci non offrono garanzie personali, soprattutto se già emergono segnali di rischio. In sintesi, un’azienda priva di collaterali e del supporto dei proprietari risulta meno finanziabile.
- Business plan debole o finalità del finanziamento non convincenti: Nel caso di prestiti per progetti specifici (investimenti in nuovi impianti, sviluppo di un prodotto, apertura di una filiale, ecc.), l’istituto valuta attentamente il business plan e i flussi di cassa attesi dall’iniziativa. Se il piano presentato appare poco realistico, eccessivamente ottimistico nei ricavi o lacunoso nell’analisi dei costi, la banca può rigettare la richiesta per mancanza di fiducia nella riuscita del progetto. Analogamente, se la finalità dichiarata del finanziamento non rientra nelle linee strategiche che la banca intende sostenere (es. richiesta di liquidità generica da parte di un’azienda già in crisi conclamata, oppure un investimento in un settore che la banca considera ad alto rischio specifico), il credito verrà negato. È importante quindi presentare piani credibili e dettagliati; in assenza di informazioni sufficienti sulla destinazione dei fondi, l’istruttoria difficilmente prosegue.
- Settore di attività o dimensione d’impresa considerati rischiosi: Le banche modulano la propensione al credito anche in base al settore merceologico. Alcuni settori sono ritenuti strutturalmente più rischiosi (ad es. edilizia e costruzioni, ristorazione e turismo in zone sature, start-up innovative senza track record). Se l’impresa opera in un settore che, in un dato momento, è percepito in crisi o con elevata probabilità di default secondo le statistiche, la banca potrebbe rifiutare nuove esposizioni verso quel comparto per politica interna, a meno di garanzie eccezionali. Anche la dimensione aziendale incide: micro-imprese o imprese nate da meno di 1–2 anni sono spesso escluse dal credito bancario tradizionale, se non tramite strumenti dedicati (es. microcredito garantito) o l’intervento di confidi. Formalmente una banca non ammetterà mai di aver rifiutato per “settore non gradito” o per “start-up troppo piccola”, ma di fatto queste considerazioni influenzano le decisioni (verranno casomai formulate come giudizi sul merito creditizio complessivo).
- Irregolarità fiscali o problemi legali significativi: Se dall’analisi documentale emergono gravi inadempienze fiscali (es. cartelle esattoriali non saldate per importi rilevanti, piani di rateazione con il Fisco non rispettati) o problematiche legali (cause pendenti che potrebbero impattare sull’attività, contenziosi con fornitori o ex dipendenti, ecc.), la banca classifica l’azienda come potenzialmente insolvente per cause esogene e può negare la fiducia. Un esempio tipico: un’azienda con grossi carichi pendenti fiscali e tasse non pagate difficilmente otterrà nuovo credito, poiché le risorse future rischiano di essere drenate dalle pretese del fisco. Anche violazioni della normativa antiriciclaggio (es. mancata trasparenza sulla compagine sociale o sui titolari effettivi) portano l’intermediario a bloccare la relazione – vedi oltre la sezione sull’antiriciclaggio.
- Mancato rispetto di covenant o peggioramento del rating interno: Se l’impresa ha già affidamenti in essere, il “rifiuto” può manifestarsi come revoca o mancato rinnovo di fidi alla scadenza. Ciò avviene se l’azienda ha violato eventuali covenant contrattuali (clausole che impongono il mantenimento di certi parametri finanziari minimi) oppure se il rating interno attribuito dalla banca è peggiorato (ad esempio a seguito di un bilancio negativo). In simili casi la banca può ridurre gli affidamenti esistenti e respingere nuove richieste, per tutelarsi dal rischio crescente. (Nota: la revoca improvvisa di un fido senza preavviso e senza giustificato motivo può essere contestata in alcuni frangenti come contrario ai doveri di buona fede – cfr. Cass. Sez. Unite 2001 n.9645 sul recesso abusivo; ne parliamo più avanti in relazione alla responsabilità della banca).
Come si vede, i motivi di rifiuto per le imprese spesso combinano la valutazione numerica dei dati di bilancio con considerazioni qualitative (settore, governance, prospettive). Per un imprenditore, mettersi nei panni della banca e analizzare obiettivamente la propria situazione finanziaria e reputazionale è fondamentale per capire il perché del rifiuto e come poterlo superare.
Il quadro giuridico: diritti del richiedente e obblighi della banca
Passiamo ora all’analisi giuridica della fase di concessione del credito. Dal punto di vista legale ci si chiede: la banca può rifiutare discrezionalmente un prestito? Il cliente ha un diritto a ottenere credito? Inoltre, quali sono gli obblighi della banca nel gestire la fase precontrattuale e nel comunicare l’eventuale rifiuto? In questa sezione affrontiamo i principi di diritto bancario e civile che regolano il diniego di finanziamento, inclusi i profili di buona fede, trasparenza, antidiscriminazione e privacy.
Esiste un “diritto al credito”? Libertà contrattuale vs obblighi di erogare finanziamenti
Nell’ordinamento italiano non esiste un diritto soggettivo assoluto ad ottenere un prestito da parte di una banca o finanziaria. La concessione di credito è considerata un’attività negoziale privata rientrante nella libertà contrattuale dell’intermediario, il quale può decidere se concludere o meno il contratto di finanziamento. Questo principio è stato affermato sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza: “non può considerarsi esistente, alla luce dell’attuale disciplina generale, un diritto del cliente alla concessione del credito, data l’indubbia autonomia decisionale da riconoscersi all’intermediario”. In altre parole, la banca non ha un obbligo legale di “fare credito” a chiunque lo richieda, se ciò contrasta con le proprie valutazioni di rischio.
Tuttavia, questa libertà non è arbitraria né senza limiti: l’esercizio dell’attività di credito è un’attività d’impresa “particolare”, su cui gravano vincoli funzionali nell’interesse della collettività a un ordinato accesso al credito. In dottrina è stato osservato che “non esiste un diritto di accesso al credito indiscriminato. Esiste però un diritto al credito – non una mera aspettativa – in presenza di adeguato merito creditizio”. Ciò significa che se un soggetto ha tutte le carte in regola (capacità di rimborso, garanzie, comportamento corretto), un ingiustificato diniego di credito potrebbe porsi in conflitto con i principi di buona fede e correttezza contrattuale. Questo concetto, talora definito “diritto al credito” in senso lato, non può mai coartare la banca a erogare (anche perché la normativa UE tutela la libertà contrattuale del finanziatore di non concedere credito pur in presenza di valutazione positiva), ma implica che la sua scelta deve avvenire entro confini di correttezza e motivazione.
In pratica, se la banca rifiuta senza motivo o con motivo pretestuoso, potrebbe incorrere in responsabilità. Ad esempio, l’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) ha più volte ribadito che gli intermediari, pur liberi di non concedere fidi, devono comportarsi secondo buona fede durante le trattative: una violazione grave (ad es. far credere al cliente che il prestito sarà concesso e poi tirarsi indietro senza giustificato motivo) può generare responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.. La Cassazione ha confermato questo orientamento. In un caso emblematico, un istituto aveva assicurato finanziamenti a una società spingendola a compiere determinate operazioni (come acquistare immobili accollandosi mutui altrui in sofferenza) per poi negare il nuovo mutuo promesso: la Suprema Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità precontrattuale della banca per aver interrotto le trattative senza giustificato motivo dopo aver ingenerato un affidamento qualificato nel cliente. (Cass. Civ. Sez. III, 25 settembre 2023 n. 27262 ha condannato la banca ex art. 1337 c.c. in una vicenda del genere). Dunque, pur non esistendo un “diritto soggettivo” pieno al credito, se la banca conduce le negoziazioni in modo scorretto o ritira ingiustificatamente una promessa di finanziamento, può dover risarcire i danni causati al cliente.
È utile citare anche un altro limite: l’ordinamento impone alle banche di concedere credito con diligenza professionale qualificata (art. 1176 co.2 c.c.) e secondo i principi di sana e prudente gestione. Questi principi, codificati nell’art. 5 TUB, significano che la banca deve valutare con rigore il merito di credito e non erogare in modo imprudente. La Cassazione, ad esempio, con sentenza n. 26248/2024, ha affermato che tali principi valgono anche per finanziamenti interamente garantiti dallo Stato, ricordando che la banca deve sempre osservare la diligenza professionale nel concedere prestiti. Ciò serve a prevenire sia rischi di insolvenza sia l’abuso di credito verso imprese decotte. Di riflesso, è legittimo (anzi doveroso) il rifiuto di credito a un’impresa in crisi conclamata: non esiste un obbligo di “salvataggio” a carico della banca, e anzi in sede fallimentare la banca potrebbe essere accusata di concessione abusiva di credito se continuasse a finanziarla aggravandone il dissesto. In definitiva, il “diritto al credito” invocabile dal cliente è più un diritto alla trasparenza e correttezza nel processo decisionale, piuttosto che alla materiale erogazione del denaro.
Doveri di buona fede precontrattuale e obblighi informativi della banca in fase di istruttoria
Durante la fase precontrattuale (dalla presentazione della domanda di finanziamento fino all’esito), la banca è tenuta ai doveri generali di buona fede e correttezza (artt. 1337 e 1338 c.c.). Ciò comporta diversi obblighi concreti:
- Valutazione seria e tempestiva: L’intermediario deve valutare la richiesta di credito con professionalità, senza ritardi ingiustificati e senza trascurare le informazioni rilevanti fornite dal cliente. Una dilazione eccessiva o una valutazione superficiale potrebbero, in casi estremi, violare la buona fede. Ad esempio, se la banca richiede documenti integrativi, deve concedere un tempo congruo e poi decidere; non può tenere il cliente “in sospeso” per mesi senza riscontro. Inoltre, se emergono impedimenti noti ab initio (es. una politica interna che esclude a priori quella tipologia di cliente), la banca dovrebbe informare quanto prima il richiedente per evitare false speranze.
- Nessuna promessa infondata: Se i funzionari bancari prospettano al cliente che “il prestito sarà sicuramente approvato” o lo inducono ad assumere obblighi confidando nel finanziamento, nasce un affidamento tutelabile. In caso di successivo rifiuto, il cliente potrebbe lamentare un danno da aspettativa delusa. La giurisprudenza (Cass. 27262/2023 citata) ha proprio censurato la banca che aveva fornito “continue rassicurazioni […] sull’erogazione del finanziamento richiesto” per poi negarlo senza motivo. Pertanto le banche dovrebbero essere caute nel garantire esiti positivi prima delle delibere formali, limitandosi al massimo a dire che “dalla documentazione presentata sembrerebbe tutto a posto, ma bisogna attendere l’iter di approvazione”.
- Comunicazione dell’esito e motivazioni del rifiuto: Un aspetto centrale è l’obbligo di informare il cliente in caso di diniego. Tradizionalmente, la banca non era tenuta a spiegare perché negava il credito, potendo limitarsi a una formula generica (“pratica non accolta”). Oggi però, sulla scorta di normative di trasparenza e di decisioni dell’ABF, il cliente ha diritto a una spiegazione, seppur sommaria, dei motivi del rifiuto. L’Arbitro Bancario Finanziario, in un’importante decisione del Collegio di Coordinamento (ABF dec. n. 6182/2013), ha statuito che “è indiscutibile l’attuale sussistenza di un diritto del cliente a ricevere indicazioni, anche se di carattere generale ma adeguatamente rapportate alle circostanze individuali, circa le ragioni dell’eventuale diniego di credito”. Ciò significa che l’intermediario deve fornire al richiedente almeno indicazioni generali sulle cause del rifiuto, tarate sul caso concreto (ad esempio: “reddito insufficiente rispetto all’importo richiesto”, oppure “dalle banche dati risultano pregresse segnalazioni negative”). Una risposta del tutto generica è stata ritenuta non conforme ai doveri di buona fede e trasparenza. In base a tale orientamento, non esiste un obbligo per la banca di dettagliare i propri algoritmi di credit scoring o di rivelare tutti i fattori di rischio interni, ma è richiesta una motivazione minima ma concreta. Ad esempio, l’ABF ha giudicato insufficiente la semplice comunicazione “scoring non adeguato” senza ulteriori spiegazioni. Dopo la decisione del 2013, i vari Collegi ABF hanno ribadito il principio: l’intermediario può scegliere con chi contrarre, ma deve dare un riscontro motivato se il cliente lo richiede. Questa prassi è rafforzata anche da normative specifiche: per i crediti ai consumatori, l’art. 125 TUB (introdotto da D.Lgs. 141/2010) recepisce l’art. 9(2) della direttiva 2008/48/CE, stabilendo che “se il rifiuto della domanda di credito si basa su informazioni presenti in una banca dati, il finanziatore informa immediatamente il consumatore gratuitamente del risultato di tale consultazione e degli estremi della banca dati consultata”. In sostanza, se la causa del no è una segnalazione in CRIF o altra banca dati, la banca deve comunicare al cliente che la decisione è dipesa da ciò e indicare quale database ha generato la valutazione negativa. Tale obbligo è previsto anche per i mutui immobiliari ai consumatori (Direttiva 2014/17/UE, art. 21, recepita con D.Lgs. 72/2016): anche in quel caso va comunicato l’esito della consultazione delle banche dati.
Va sottolineato che né l’ABF né un giudice possono obbligare la banca a concedere il prestito (non esiste un ordine di assunzione del credito forzoso). Tuttavia, possono riconoscere al cliente il diritto a una motivazione adeguata del diniego e, in caso di violazione della buona fede, un risarcimento del danno. Su quest’ultimo aspetto, la Cassazione ha più volte affermato che il danno da illegittima segnalazione o da comportamento scorretto della banca non è in re ipsa (automatico), ma va provato nel suo concreto pregiudizio. Ad esempio, la segnalazione abusiva in Centrale Rischi lede la reputazione creditizia e fa presumere un danno non patrimoniale, ma comunque occorre dimostrare un nesso con specifiche conseguenze (perdita di chance, immagine, ecc.).
Obbligo di rispettare le norme antiriciclaggio (astensione obbligata)
Un caso particolare in cui la banca deve rifiutare o interrompere il rapporto di credito si ha quando lo impongono le norme di prevenzione antiriciclaggio. Il D.Lgs. 231/2007 impone agli intermediari l’obbligo di astensione dall’instaurare o proseguire rapporti in mancanza di adeguata verifica della clientela. In particolare, l’art. 42 stabilisce che “quando non è possibile rispettare gli obblighi di adeguata verifica, l’ente deve astenersi dall’instaurare (o proseguire) il rapporto”. Ciò significa che se, durante l’istruttoria, il cliente non fornisce i documenti richiesti per l’identificazione o per attestare la lecita provenienza dei fondi (es. documentazione su redditi, patrimoni, titolari effettivi nel caso di società), la banca è tenuta per legge a rifiutare l’operazione.
Analogamente, l’art. 41 impone astensione in presenza di sospetti fondati di riciclaggio o finanziamento del terrorismo. In ambito creditizio, ciò si traduce nel fatto che se emergono red flag importanti (ad es. movimenti di denaro incoerenti con il profilo del cliente, coinvolgimento in indagini per reati finanziari, ecc.), la banca preferirà negare il finanziamento e segnalare eventualmente l’operazione sospetta. Questi obblighi di legge prevalgono su ogni considerazione commerciale: la banca che li applica non può essere accusata di ingiusto diniego, in quanto sta rispettando precise norme imperative. Il cliente potrebbe percepire il rifiuto come “immotivato”, ma in realtà la motivazione esiste (sebbene spesso non possa essere dettagliata per ovvie ragioni di riservatezza delle segnalazioni). In tali casi, più che un ricorso legale, il cliente dovrà semplicemente prendere atto che senza trasparenza sui propri dati e sul proprio denaro difficilmente potrà ottenere credito.
Il divieto di discriminazione nell’accesso al credito
Una banca può legittimamente rifiutare un prestito se esistono motivi oggettivi legati al merito creditizio, come abbiamo visto. Non sono invece ammissibili rifiuti basati su motivi discriminatori legati alle caratteristiche personali del richiedente (nazionalità, etnia, genere, età, religione, orientamento, ecc.). L’ordinamento italiano, in attuazione di principi costituzionali e direttive UE, tutela la parità di trattamento nell’accesso ai beni e servizi, incluso il credito.
In particolare, l’art. 43 del Testo Unico sull’Immigrazione (D.Lgs. 286/1998) prevede una clausola generale di non discriminazione: costituisce discriminazione qualsiasi comportamento che, senza giustificazione oggettiva, comporti una differenziazione basata su razza, colore, origine etnica o nazionalità, e che abbia l’effetto di impedire o limitare al soggetto l’accesso a beni e servizi (anche privati). Questo significa che rifiutare un finanziamento solo perché il richiedente è straniero (ad esempio richiedendo requisiti extra non richiesti a cittadini italiani) è illecito. Tali atti possono essere impugnati con un’azione civile antidiscriminazione (ex art. 44 T.U. Immigrazione), anche tramite il supporto di associazioni qualificate, ottenendo un ordine del giudice di cessare la condotta e il risarcimento del danno morale.
Ad esempio, il Tribunale di Udine nel 2023 ha giudicato discriminatoria la prassi di una Regione che, per concedere un credito agevolato prima casa, richiedeva solo ai cittadini extracomunitari di produrre documenti aggiuntivi (certificati sul possesso di immobili all’estero) non richiesti agli italiani. Ciò ha costituito una disparità di trattamento priva di giustificazione, in violazione del principio di parità: il tribunale ha riconosciuto agli stranieri esclusi il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da discriminazione. Analogamente, già in passato sono state sanzionate banche che rifiutavano aprioristicamente conti o mutui a cittadini extra-UE senza motivi attinenti al merito creditizio.
Oltre alla nazionalità, vige il divieto di discriminare per motivi di genere: la direttiva 2004/113/CE (attuata in Italia con D.Lgs. 198/2006) vieta la discriminazione tra uomo e donna nell’accesso a beni e servizi (inclusi servizi finanziari). Ad esempio, non sarebbe lecito offrire condizioni peggiori o rifiutare finanziamenti in ragione del sesso del richiedente. Anche l’età, entro certi limiti, non può essere un motivo arbitrario: fissare limiti di età massima per l’estinzione di un prestito è ammesso se giustificato da ragioni assicurative/attuariali, ma discriminare un soggetto perché “troppo anziano” o “troppo giovane” senza collegamento al rischio effettivo potrebbe essere censurato.
In sintesi, la banca mantiene la libertà contrattuale di decidere a chi concedere il credito, ma tale libertà incontra il limite del divieto di discriminazione: ogni differenza di trattamento deve essere basata su criteri oggettivi e rilevanti (es. reddito, affidabilità creditizia) e mai su pregiudizi legati all’appartenenza a un gruppo protetto. Se un cliente ritiene di aver subito un rifiuto discriminatorio (ad esempio perché il funzionario gli ha fatto intendere che “la banca non presta a persone della sua nazionalità” o perché le condizioni poste sono ingiustificatamente più gravose rispetto ad altri clienti in situazione equivalente), può attivare i rimedi di legge: presentare un reclamo scritto alla banca citando le norme anti-discriminazione, segnalare il caso alla Banca d’Italia (che vigila anche sul rispetto di queste norme di trasparenza) e, se necessario, adire il tribunale in via d’urgenza ex art. 44 T.U. Immigrazione o ex D.Lgs. 215/2003 (parità di trattamento indipendentemente dall’origine etnica). In alcuni casi l’ASGI (Associazione Studi Giuridici Immigrazione) e altre associazioni hanno ottenuto provvedimenti giudiziari a tutela di stranieri esclusi dall’accesso al credito o ad agevolazioni pubbliche proprio appellandosi a queste norme (si veda ad es. Corte d’Appello L’Aquila 18/1/2023, citata in ASGI, che ha sanzionato un ente pubblico per aver richiesto il permesso di lungo soggiorno UE anziché semplice permesso biennale come requisito per graduatorie alloggi, giudicandolo discriminatorio).
Trasparenza bancaria, privacy e accesso ai dati di credito (CRIF, Centrale Rischi, Credit Bureau)
Dal punto di vista del cliente, un prestito rifiutato spesso nasconde informazioni reperite nelle banche dati creditizie. È quindi essenziale conoscere e gestire i propri dati finanziari registrati presso Sistemi di Informazione Creditizia (SIC) privati e presso la Centrale dei Rischi pubblica. La normativa sulla trasparenza bancaria (TUB art. 115 e segg. e relative disposizioni Banca d’Italia) e quella sulla protezione dei dati personali (GDPR) offrono strumenti al richiedente per accedere a queste informazioni e rettificarle in caso di errori.
Sistemi di informazione creditizia privati (CRIF, Experian, CTC, Assilea) – Sono archivi gestiti da società private a cui partecipano banche e finanziarie, nei quali vengono registrate le informazioni su richieste di finanziamento, prestiti concessi, andamenti dei pagamenti (regolari o in ritardo) e altri eventi rilevanti. In Italia, i principali SIC sono: CRIF (Eurisc), Experian, CTC (Consorzio Tutela del Credito) per i crediti personali e Assilea (per il leasing). Questi sistemi operano sulla base di un Codice Deontologico concordato con il Garante Privacy, che stabilisce ad esempio i tempi massimi di conservazione dei dati negativi.
Una informazione importante è per quanto tempo restano visibili i dati negativi o le richieste nei SIC. Ad esempio, una richiesta di finanziamento viene registrata nel SIC e, se rifiutata o rinunciata, rimane visibile per 90 giorni dalla data di aggiornamento con esito di rifiuto (se rimane in istruttoria senza esito, al massimo 180 giorni). Un ritardo di pagamento di una o due rate (poi sanato) resta registrato per 12 mesi dalla regolarizzazione; ritardi più gravi (oltre 2 rate) restano 24 mesi dalla regolarizzazione; eventi negativi non sanati (sofferenze, morosità persistenti) restano fino a 36 mesi dalla scadenza contrattuale (o ultimo aggiornamento) e comunque massimo 5 anni. I dati positivi (prestiti pagati regolarmente) restano 36 mesi dalla chiusura, estendibili a 5 anni se coesistono dati negativi. Nella tabella seguente, basata sul Codice Deontologico SIC, sono sintetizzati i tempi di conservazione:
Tempi di conservazione nei Sistemi di Informazioni Creditizie (SIC) privati
- Richieste di finanziamento: 180 giorni se ancora in istruttoria, oppure 90 giorni dall’aggiornamento con esito rifiutato o rinunciato.
- Ritardi di pagamento ≤ 2 rate (poi sanati): 12 mesi dalla data di registrazione dell’avvenuta regolarizzazione, purché nel frattempo non vi siano ulteriori ritardi.
- Ritardi di pagamento > 2 rate (poi sanati): 24 mesi dalla data di registrazione della regolarizzazione, salvo nuovi ritardi.
- Eventi negativi non sanati (morosità gravi, sofferenze): 36 mesi dalla scadenza contrattuale del rapporto o dall’ultimo aggiornamento necessario; in ogni caso massimo 60 mesi dalla cessazione del rapporto.
- Dati positivi (rapporti regolari estinti): 60 mesi dalla data di cessazione del rapporto (ma se coesistono dati negativi attivi, i positivi restano finché non scadono i negativi).
Nota: Questi termini decorrono dall’aggiornamento “risolutivo” (es. dal momento in cui il ritardo viene sanato, partono i 12/24 mesi). Durante tali periodi, le altre banche continuano a vedere quelle note storiche. Non è possibile ottenere la cancellazione anticipata di una segnalazione corretta prima dei termini, nemmeno pagando il dovuto (fatta eccezione per le rettifiche di errore conclamato).
Capire queste regole aiuta a orientarsi: ad esempio, se ho avuto un ritardo a fine 2024, potrebbe essere prudente attendere almeno fine 2025 prima di ripresentare domanda di prestito, così quel ritardo non comparirà più in CRIF. Oppure, se una richiesta di finanziamento è stata rifiutata oggi, conviene attendere 3 mesi perché quella segnalazione sparisca dai sistemi, evitando l’“effetto domino” di più rifiuti in breve tempo. Difatti, i SIC registrano anche le richieste in corso: se venite rifiutati da una banca e il giorno dopo chiedete altrove, la nuova banca vedrà la segnalazione recente di una richiesta rifiutata e potrebbe valutarla negativamente. Ecco perché si consiglia: non fare troppe richieste contemporaneamente, ma piuttosto affrontare prima i problemi emersi e poi ritentare con un profilo migliorato.
I SIC privati prevedono procedure per rettificare eventuali errori: se un dato è errato (es. un finanziamento mai richiesto a vostro nome, oppure un ritardo segnalato per sbaglio), ci si può rivolgere all’ente partecipante (la banca che ha segnalato) chiedendo la correzione e, parallelamente, al gestore del SIC che provvisoriamente “congela” il dato contestato in attesa di verifica. In caso di inerzia nel correggere, ci si può rivolgere al Garante Privacy oppure presentare un ricorso all’ABF. I tempi di rettifica sono in genere rapidi: i SIC come CRIF di solito aggiornano o rimuovono un errore entro 15 giorni dalla conferma dell’errore da parte della banca segnalante, o su ordine dell’autorità.
Centrale dei Rischi della Banca d’Italia (CR) – Accanto ai sistemi privati, esiste la Centrale dei Rischi pubblica gestita da Banca d’Italia. È una base dati a cui partecipano tutti gli intermediari vigilati, che non registra tutte le posizioni di credito, ma solo quelle di maggiore rilievo. Attualmente la soglia generale di segnalazione è 30.000 € di esposizione verso un singolo intermediario (basta avere un debito pari o superiore a 30k con una banca per comparire in CR). Per le posizioni deteriorate (sofferenze), la soglia è molto più bassa (250 €) per assicurare che anche piccoli importi in sofferenza vengano tracciati. La CR non registra le richieste di credito presentate né i rifiuti – tiene traccia solo di crediti effettivamente concessi e del loro andamento. Ogni banca comunica mensilmente a Bankitalia, per ciascun cliente affidato, l’esposizione suddivisa per categorie (finanziamenti a scadenza, autoliquidanti, a revoca, crediti in sofferenza, garanzie rilasciate, ecc.).
In Centrale Rischi, dunque, non ci sarà traccia di una domanda rifiutata (il “no” resta confinato ai SIC privati per qualche mese), ma compariranno eventuali utilizzi sconfinanti oltre i fidi, segnalazioni di incaglio (inadempienze probabili) o sofferenza, e in generale l’ammontare dei debiti di una persona o impresa verso il sistema bancario. Le banche consultano la CR per valutare l’affidabilità di un richiedente, perché ad esempio se già risulta fortemente esposto altrove o con sofferenze, difficilmente concederanno altro credito.
Diritto di accesso ai propri dati creditizi: Il cliente ha pieno diritto di accedere alle informazioni che lo riguardano, sia nei SIC privati che in Centrale dei Rischi. Questo è garantito dal combinato disposto del GDPR (artt. 15 e 20 sul diritto di accesso e di portabilità dei dati personali) e dalle normative di settore. In pratica:
- Accesso ai SIC (CRIF, Experian, etc.): Ogni persona può fare richiesta alle società di credit bureau per ottenere gratuitamente una copia dei dati presenti a suo nome. Ad esempio, CRIF mette a disposizione un modulo online per privati e aziende, attraverso cui si può richiedere un “Documento di Informazioni Creditizie” aggiornato con l’elenco dei propri rapporti creditizi (attivi, estinti, richieste in corso, richieste rifiutate) e lo stato dei pagamenti. CRIF invia una risposta entro 30 giorni via email o posta, con il dettaglio delle segnalazioni. Analoghi servizi sono offerti da Experian e CTC, solitamente tramite modulo email/PEC. In alternativa, esistono servizi a pagamento come Mettinconto (sempre di CRIF) che forniscono un report immediato con anche un punteggio di affidabilità, ma la verifica standard ai sensi del Codice deontologico è sempre gratuita. Si noti che il Codice di Condotta dei SIC (allegato al Provv. Garante 8/2004) prevede proprio all’art. 9 il diritto di accesso gratuito una volta l’anno ai propri dati.
- Accesso alla Centrale dei Rischi Bankitalia: Il servizio è anch’esso gratuito e disponibile sia a persone fisiche che giuridiche. Si può presentare la richiesta di visura CR direttamente online sul portale servizi Banca d’Italia (usando SPID/CIE) oppure inviando un modulo via PEC/posta o recandosi in una Filiale di Bankitalia. La Banca d’Italia fornisce di norma una risposta entro 30 giorni dalla richiesta (entro 90 giorni per richieste presentate per conto di società). Nella risposta viene allegato il dettaglio delle segnalazioni presenti (es. esposizioni per ogni banca, eventuali sofferenze, garante di terzi, etc.). L’accesso ai dati CR è un diritto sancito e non comporta alcuna segnalazione negativa: richiedere la propria CR non influisce sul rating, anzi è segno di buona gestione.
- Rettifica e cancellazione di dati errati: Se dall’accesso emergono errori (ad es. un debito già estinto ma ancora indicato come insoluto, oppure un importo segnalato sbagliato), occorre agire prontamente. Come detto, si inoltra istanza di correzione alla banca segnalante e contestualmente al gestore della banca dati. In caso di mancato riscontro, ci si può rivolgere al Garante Privacy (ai sensi dell’art. 17 GDPR sul diritto alla rettifica) oppure all’ABF per chiedere la rettifica e l’eventuale risarcimento del danno. Molti problemi di rifiuto si risolvono correggendo informazioni inesatte: ad esempio, se un prestito è stato rifiutato perché risultava una morosità ormai sanata, una volta corretti i database la banca spesso rivaluta positivamente la pratica.
- Tutela della privacy e scoring automatizzato: Il GDPR (Reg. UE 679/2016) prevede all’art. 22 il diritto di non essere sottoposti a una decisione basata unicamente su trattamenti automatizzati (inclusa la profilazione) che produca effetti giuridici significativi, salvo consenso esplicito o autorizzazione legislativa. Nel caso del credito al consumo, vi è una deroga in quanto normative di settore autorizzano l’uso di sistemi automatizzati di scoring, purché il cliente sia tutelato da garanzie adeguate (ad es. possibilità di intervento umano, trasparenza sui criteri generali). In ogni caso, il cliente può chiedere spiegazioni sul funzionamento generale dello scoring e ottenere una valutazione manuale se ritiene che il rigetto sia frutto di un errore dell’algoritmo. Inoltre, l’art. 22 impone che decisioni automatizzate come il credit scoring non discriminino soggetti in base a dati sensibili: i modelli devono essere testati per evitare bias illegittimi (tema di grande attualità in ambito AI Act e regolamentazione degli algoritmi finanziari).
In sintesi, trasparenza e privacy sono alleati del consumatore di credito: un richiedente informato può accedere ai propri dati, controllarne l’accuratezza, e pretendere spiegazioni sulle decisioni che lo riguardano. Se la banca rifiuta, non deve restare una scatola nera: si può e si deve fare luce sui motivi, soprattutto se c’è il sospetto di errori o di scorrettezze.
Aspetti fiscali e di bilancio legati a un prestito rifiutato
Un prestito negato non ha solo conseguenze sul piano finanziario immediato (mancanza di liquidità), ma può avere anche qualche impatto sul piano fiscale e contabile, specialmente per un’impresa. Vediamo alcune considerazioni:
- Deduzione degli interessi non maturati: Dal punto di vista fiscale, l’assenza del prestito significa anche assenza di costi di interessi che, se il prestito fosse stato concesso, sarebbero stati deducibili dal reddito d’impresa nei limiti di legge (art. 96 TUIR). Di per sé, il mancato pagamento di interessi non è una “perdita” (anzi, si risparmiano soldi), ma l’impresa perde un’opportunità di abbattimento fiscale di quegli oneri finanziari. Va valutato nel contesto: un’azienda che finanzia un progetto interamente con mezzi propri (equity) invece che con debito, da un lato non avrà interessi passivi deducibili (quindi pagherà magari un po’ più tasse per utili maggiori), dall’altro avrà meno rischio finanziario e non subirà vincoli di bilancio imposti da banche. Dunque l’effetto fiscale del rifiuto in sé non è necessariamente negativo: è un diverso assetto finanziario.
- Spese sostenute per la richiesta rifiutata: La fase istruttoria di un finanziamento spesso comporta spese vive: ad esempio la parcella del perito estimatore (nel caso di un mutuo ipotecario), commissioni di istruttoria pagate in anticipo, costi per consulenti o mediatori creditizi. Se il prestito non viene concesso, tali costi restano a carico del richiedente. Per un’impresa, queste spese possono essere contabilizzate come costi di esercizio (spesso come “oneri bancari” o “consulenze”) e sono comunque deducibili fiscalmente. Se di importo rilevante, la società potrebbe averli inizialmente capitalizzati (ad esempio tra le spese pre-ammortamento di un progetto), ma se il progetto sfuma, deve svalutarli o spesarli immediatamente. In generale, costituiscono costi deducibili nell’esercizio in cui si determina che il finanziamento non verrà più ottenuto.
- Impatti sul piano finanziario aziendale: Un’azienda che si veda rifiutato un importante finanziamento dovrà rivedere i propri budget di tesoreria e di investimento. Potrebbe dover rinunciare o posticipare un progetto, oppure reperire fonti alternative (soci, altre banche, emissione di minibond, ecc.). Dal punto di vista contabile, ad esempio, se era attesa una certa entrata da finanziamento da iscrivere tra le passività finanziarie, il suo venir meno modifica gli indicatori di struttura del bilancio (debiti vs capitale proprio) e può comportare la necessità di riclassificare alcune voci (es. se contavamo su quel debito a lungo termine per finanziare un macchinario, dovremo invece magari usare riserve o utili accantonati, cambiando il mix di fonti). Si tratta di valutazioni che il direttore finanziario e i revisori dovranno fare: non esistono normative specifiche “post-rifiuto”, ma il management deve essere pronto ad aggiornare i piani industriali e i flussi di cassa prospettici, informando se del caso gli organi di controllo interni sulle variazioni intervenute.
- Uso di mezzi propri al posto del debito: In alcuni casi, il rifiuto costringe l’imprenditore a immettere capitali freschi nell’azienda (ad es. aumentando il capitale o facendo un finanziamento soci) oppure a cercare partner. Ciò può avere effetti fiscali differenti rispetto al debito: i dividendi futuri ai soci saranno tassati in capo ai percettori (mentre gli interessi sul debito erano deducibili per la società). Tuttavia, un minore indebitamento migliora la solidità patrimoniale e riduce il rischio di default.
- Perdite conseguenti al mancato finanziamento: Se la mancanza di credito porta a penali o perdite (es. l’azienda non può acquistare un macchinario, deve annullare un contratto e pagare una penale al fornitore), quelle sono perdite operative deducibili perché inerenti all’attività. Non esiste una categoria fiscale apposita (“perdita da finanziamento rifiutato”), ma si applicano le regole generali di inerenza. Ad esempio, se la società paga 10.000 € di penale per cancellare l’ordine di un impianto non più finanziabile, quella penale sarà un costo deducibile nell’esercizio, come qualsiasi spesa necessaria e giustificata.
- Per i privati: Sul piano fiscale personale, il diniego di un mutuo può far perdere opportunità di detrazione. Ad esempio, gli interessi pagati su un mutuo prima casa sono detraibili al 19% Irpef fino a 4.000 €/anno di interessi (detrazione max 760 €). Se il mutuo viene negato e il soggetto non acquista più casa, ovviamente non usufruirà di quella detrazione. Non è un “danno” risarcibile, ma è una conseguenza indiretta: il sogno della casa comportava anche un beneficio fiscale che ora sfuma. Analogamente, la mancata concessione di un prestito per ristrutturazione edilizia può impedire di accedere ai bonus fiscali (ecobonus, bonus ristrutturazioni) se senza prestito i lavori non vengono eseguiti. In sintesi, quando un privato pianifica un’operazione finanziaria connessa a bonus fiscali, il rifiuto del credito può influire su tali benefici, e ciò va tenuto presente.
In conclusione, il rifiuto di un finanziamento non è la fine del mondo neanche per il fisco: comporta aggiustamenti, potenziali rinunce a deduzioni/detrazioni, ma spesso riduce anche costi (interessi non pagati). L’importante è essere consapevoli di queste dinamiche per gestire al meglio la situazione post-diniego, magari con l’aiuto di un commercialista per le scelte più opportune.
Casi pratici: come reagire a un diniego di credito
Dopo un rifiuto, cosa può concretamente fare il richiedente? Presentiamo alcune simulazioni pratiche, basate su casi tipici, per illustrare come affrontare il “no” della banca, individuare le cause e migliorare le chance in una successiva richiesta. Esamineremo il caso di un privato con un prestito personale negato, di una giovane coppia con mutuo rifiutato e di una PMI con finanziamento negato, evidenziando le strategie adottate.
Caso 1: Prestito personale negato a un consumatore per segnalazioni in banca dati
Scenario: Mario, lavoratore dipendente a tempo indeterminato con stipendio netto €1.400/mese, chiede un prestito personale di €15.000 da restituire in 5 anni per ristrutturare casa. Non ha altri finanziamenti in corso e ritiene di avere una buona posizione. Tuttavia, la banca respinge la richiesta, indicando genericamente “esito negativo da sistemi di informazione creditizia”. Mario resta sorpreso e frustrato.
Analisi del caso: Mario richiede spiegazioni più dettagliate al direttore, e apprende che nel database CRIF risulta un ritardo di pagamento su un suo vecchio prestito auto chiuso due anni fa. In effetti, Mario ricorda di aver saltato due rate nel 2023 a causa di un disguido postale, poi saldate dopo un mese. Quelle informazioni – due rate pagate in ritardo anche se poi regolarizzate – risultano ancora visibili in CRIF (dovrebbero scomparire dopo 12 mesi dalla regolarizzazione, quindi proprio in questi mesi). Inoltre, emerge che qualche mese fa Mario aveva richiesto una carta di credito revolving al supermercato, ma la pratica non era andata a buon fine: anche quell’richiesta rifiutata appare in CRIF (le richieste rifiutate restano 90 giorni visibili). La somma di questi elementi ha abbassato il suo credit score, inducendo la banca a rifiutare per politica interna (preferiscono clienti senza alcun incidente negli ultimi 2 anni).
Cosa fare – le azioni intraprese: Mario segue questi passi:
- Accesso ai dati creditizi: richiede subito una visura CRIF e una visura Experian (gratuitamente, via email certificata) per vedere esattamente cosa risulta a suo nome. In pochi giorni riceve i report, che confermano: segnalazione di ritardo 2 rate su prestito auto (regolarizzato), segnalazione di richiesta carta di credito 4 mesi fa con esito rifiutato. Fortunatamente nessuna sofferenza né altri “bloccanti”.
- Attendere la “pulizia” delle segnalazioni: Dato che il ritardo è stato regolarizzato da oltre un anno, è in fase di cancellazione (scomparirà entro brevissimo). La richiesta di carta rifiutata, essendo passati quasi 90 giorni, sta per essere eliminata dai SIC. Mario decide quindi di aspettare 1–2 mesi affinché tutte le tracce negative si puliscano (il tempo necessario perché trascorrano i 90 giorni dal rifiuto della carta e i pochi giorni residui per il completamento dei 12 mesi dal ritardo auto).
- Correzione di eventuali disallineamenti: Mario nota che la finanziaria dell’auto, pur avendo segnalato “regolarizzato” il ritardo, non gli ha mai inviato una lettera di liberatoria. Si fa quindi inviare una dichiarazione ufficiale di avvenuto pagamento regolare. Fortunatamente non ci sono errori veri e propri, solo tempi di aggiornamento.
- Valutare prodotti alternativi: Poiché il suo progetto può attendere qualche mese, Mario considera anche l’alternativa di una cessione del quinto dello stipendio. Questo prodotto, come detto, è garantito dal datore di lavoro e spesso viene concesso anche a chi ha avuto piccoli ritardi in passato (la garanzia “forte” rassicura il finanziatore). Con uno stipendio di €1.400, Mario potrebbe ottenere una cessione con rata €280 (1/5) per 5 anni, pari a circa €15.000, a tasso un po’ più alto ma sostenibile. Mario chiede un preventivo e ottiene una pre-delibera favorevole da una finanziaria specializzata.
- Levare dubbi alla banca originaria: Armato della lettera di liberatoria sul vecchio prestito auto e forte della pre-approvazione ottenuta per la cessione del quinto (che testimonia comunque un giudizio positivo sul suo rischio), dopo 3 mesi Mario ripresenta domanda alla banca A. Questa volta allega alla pratica: la copia dell’ultima visura CRIF (che ora non riporta più ritardi né richieste pendenti), la lettera della finanziaria auto che conferma la regolarizzazione del passato, ed evidenzia verbalmente al gestore che “se necessario ho già pronta un’alternativa con cessione del quinto, ma preferirei fare il prestito personale standard con voi”. In altre parole, fa capire alla banca di essersi attivato e di avere altri istituti disposti a finanziarlo.
Epilogo: La banca A apprezza la trasparenza e i passi fatti da Mario: verificata l’assenza di segnalazioni negative aggiornate, approva il prestito di €15.000 richiesto. Mario ottiene così i fondi per la ristrutturazione. Ha imparato l’importanza di monitorare periodicamente la propria reputazione creditizia e di comunicare proattivamente con la banca: fornire prove e spiegazioni sui precedenti intoppi ha facilitato la fiducia e sbloccato la situazione. (In alternativa, se la banca A fosse rimasta ferma sul no, Mario avrebbe optato per la cessione del quinto già deliberata, risolvendo comunque il problema, sebbene a un costo di interesse un po’ maggiore).
Strategie chiave emerse: controllare e correggere i dati creditizi, attendere la rimozione delle tracce negative temporanee, fornire documentazione integrativa alla banca, eventualmente usare prodotti alternativi come la cessione del quinto se si è dipendenti, e non moltiplicare le richieste contemporaneamente. Grazie a questo approccio, un rifiuto iniziale è stato trasformato in un successo nel giro di pochi mesi.
Caso 2: Mutuo casa rifiutato per reddito insufficiente – come riprovarci
Scenario: Alice e Marco, giovani conviventi (28 anni), chiedono un mutuo prima casa di €180.000 per acquistare un appartamento che costa €200.000 (Loan To Value 90%). Hanno entrambi contratti di lavoro a tempo indeterminato, ma con redditi medio-bassi (circa €1.200 netti al mese ciascuno). La banca rifiuta il mutuo, motivando che la rata risultante (~€800/mese su 25 anni) è troppo elevata rispetto al reddito combinato (€2.400) ed eccede la soglia del 33% comunemente consigliata. Inoltre, l’assenza di un garante e l’LTV molto alto rendono l’operazione borderline.
Analisi del caso: La banca ha applicato criteri prudenziali standard: con €2.400 di entrate mensili, impegnarne circa il 33% (€800) per la rata è al limite della sostenibilità e molte banche preferiscono non superare tale rapporto. Il rifiuto indica che l’istituto ha valutato negativamente il rapporto rata/reddito. Inoltre, essendo una prima casa per under 36, Alice e Marco avrebbero diritto alle garanzie statali del Fondo di Garanzia Prima Casa (gestito da Consap), ma la banca non ne ha fatto menzione né ha proposto di attivarlo. Forse la filiale non aderiva prontamente al Fondo, o non ha ritenuto di suggerirlo.
Cosa fare – soluzioni discusse dai richiedenti: Alice e Marco non si sono persi d’animo e hanno valutato più opzioni:
- Attivare il Fondo Garanzia Prima Casa: Si informano e scoprono che esiste questo fondo pubblico, gestito da Consap, che offre una garanzia statale fino all’80% della quota capitale per mutui prima casa a giovani under 36 o con ISEE < €40.000. Nel loro caso rientrano pienamente nei requisiti. Decidono quindi di rivolgersi a un’altra banca che aderisce al Fondo Consap e di presentare la richiesta di mutuo con la garanzia statale. La nuova banca B valuta positivamente: grazie alla garanzia pubblica sull’80% del mutuo (circa €144.000 garantiti su €180.000 richiesti), è disposta a spingersi a finanziare il 90% del valore. Resta però il tema del reddito: anche se garantito, €800 di rata su €2.400 di reddito sono sempre al limite. Entra quindi in gioco un altro elemento.
- Aggiungere un garante familiare: Coinvolgono il padre di Marco, pensionato con assegno da €1.500/mese, che si offre come fideiussore. La presenza di un garante solido non abbassa la rata, ma abbassa il rischio percepito dalla banca: sanno che, se i due giovani avessero difficoltà, c’è un terzo soggetto su cui rivalersi, con entrate fisse. Questo può far pendere la delibera verso il sì. Infatti la banca B, valutando il quadro complessivo (garanzia Consap + garante pensionato + buon merito creditizio dei richiedenti, che non hanno debiti né precedenti negativi), decide di erogare il mutuo richiesto.
- Piano B – ridurre importo o allungare durata: Parallelamente, Alice e Marco si erano preparati a compromessi nel caso nessuna banca avesse concesso €180k. Erano pronti a: (a) ridurre la richiesta a €160.000, portando più contanti tramite aiuto dei genitori, così l’LTV scendeva all’80% e la rata a ~€700 (più gestibile col loro reddito); (b) oppure allungare la durata a 30 anni, riducendo la rata sotto €700 (tenendo conto però dei limiti di età a fine mutuo). Fortunatamente, con la combinazione garanzia pubblica + garante familiare non è stato necessario ridimensionare l’importo né la durata.
Epilogo: Grazie alla garanzia statale e all’intervento del padre garante, la banca B approva il mutuo da €180.000. La giovane coppia riesce ad acquistare la casa, con una rata impegnativa ma sostenibile, e a condizioni agevolate (tasso calmierato per under 36, esenzione imposta sostitutiva, ecc.). Le lezioni apprese dai due sono state importanti:
- Sfruttare gli strumenti di supporto pubblico esistenti (molti non sanno che esiste il Fondo Consap e spesso va richiesto esplicitamente al direttore di attivarlo).
- Non aver timore di chiedere aiuto a un genitore come garante: non significa “non farcela da soli”, ma è una strategia temporanea per qualche anno finché il reddito non cresce; il garante può sempre essere liberato a posteriori con una sostituzione di garanzia.
- Se la prima banca dice no, non scoraggiarsi e consultare più istituti: ogni banca ha politiche di rischio diverse (alcune concedono mutui >80% LTV solo con garanzia Consap; altre non li fanno affatto; alcune accettano un rapporto rata/reddito del 40%, altre sono rigide al 30% – trovare quella adatta al proprio profilo è fondamentale, e un mediatore creditizio può aiutare a individuare l’istituto giusto).
- Valutare eventuali compromessi sul progetto iniziale (casa leggermente meno costosa, più capitale iniziale, ecc.) qualora fosse l’unico modo per rientrare nei parametri di sostenibilità.
In questo caso, la combinazione di intervento pubblico e familiare ha risolto il problema senza rinunciare al sogno. Ma anche se così non fosse stato, avere un “Piano B” li avrebbe messi al riparo da un nuovo rifiuto.
Caso 3: Finanziamento aziendale negato a una PMI in difficoltà – strategie di risanamento
Scenario: La XYZ S.r.l., piccola manifatturiera con 10 dipendenti, richiede alla propria banca un finanziamento di €100.000 per esigenze di liquidità e per rinnovare alcuni macchinari obsoleti. L’azienda però viene da due anni di bilanci in perdita (2023 e 2024: perdite totali €50k, patrimonio netto dimezzato). Inoltre risulta segnalata in Centrale Rischi con sconfinamenti costanti oltre il fido di cassa (ogni mese va “rosso” di qualche migliaio di euro). La banca con cui l’azienda lavora da anni respinge la richiesta e, anzi, comunica la riduzione del fido di cassa disponibile, invitando la società a rientrare entro pochi mesi.
Problemi individuati: L’impresa presenta un merito di credito deteriorato: perdite che erodono il capitale e tensioni di cassa evidenti (utilizzo continuativo oltre i limiti). Dal punto di vista della banca, appare un soggetto in crisi. Inoltre, dalla Centrale Rischi risulta un debito già classificato come “inadempienza probabile” presso un’altra banca (un leasing non pagato regolarmente). La banca attuale, fiutando il rischio, non solo nega il nuovo prestito ma si tutela riducendo l’esposizione esistente (classica reazione per limitare il rischio di insolvenza).
Cosa fare – piano d’azione dell’impresa: I soci di XYZ, di concerto col consulente finanziario, mettono in campo varie mosse:
- Comunicare apertamente con la banca: Convocano un incontro con i gestori bancari per giocare a carte scoperte. Spiegano che le perdite sono dovute a investimenti in corso e a un calo congiunturale, ma che hanno ordini in ripresa. Presentano un mini-piano industriale per il 2025 che prevede il ritorno all’utile. In sostanza cercano di rassicurare la banca sul fatto che stanno prendendo provvedimenti: riduzione costi, nuove commesse acquisite, etc. Si impegnano inoltre formalmente a ridurre gli sconfinamenti immediatamente, ad esempio frazionando i pagamenti ai fornitori per rientrare nei limiti del fido.
- Apporto di capitale e garanzie dei soci: I soci decidono di immettere nuove risorse proprie: deliberano un finanziamento soci di €30.000 per tamponare la liquidità a breve. Offrono inoltre alla banca ulteriori garanzie personali: due soci al 50% ciascuno firmano nuove fideiussioni pro-quota a favore della banca, che prima aveva solo garanzie aziendali. In questo modo cercano di convincere la banca a mantenere almeno il fido corrente e magari riconsiderare un piccolo prestito appena i numeri migliorano. Contestualmente, attivano una richiesta al Fondo Centrale di Garanzia PMI per ottenere una garanzia pubblica su future operazioni (il rating MCC attuale è basso, ma con il piano di rilancio puntano a ottenere almeno una garanzia 60–80% su futuri finanziamenti).
- Diversificare le fonti di finanziamento: Valutano strade alternative: avviano contatti con un operatore di factoring per smobilizzare parte dei crediti verso i clienti (recuperando liquidità immediata dal circolante) e con una società di leasing per finanziare i macchinari nuovi offrendo in garanzia gli stessi (leasing che, a differenza del mutuo, potrebbe essere concesso se il valore dei beni e il piano dei canoni risultano convincenti per il lessor). Inoltre, esplorano bandi regionali per finanziamenti agevolati alle PMI manifatturiere.
- Riduzione del rischio e dialogo continuo: Implementano subito misure di risanamento: taglio di spese non essenziali, dilazione concordata di alcuni debiti fiscali (per evitare ulteriori inadempienze), e trasparenza con la banca sui progressi. Mensilmente inviano al gestore un breve report sull’andamento (entrate ordini, stati di avanzamento del piano). Mostrano così volontà di collaborazione e sorvegliano che la banca non prenda iniziative unilaterali peggiorative (come la revoca improvvisa del fido, che comunque contrattualmente la banca potrebbe fare con preavviso, ma qui stanno cercando di evitarlo attraverso la fiducia ricostruita).
Epilogo (ipotetico): Dopo sei mesi di impegno, XYZ è riuscita a riportare il flusso di cassa leggermente in positivo: con il factoring ha ridotto l’utilizzo del fido, il portafoglio ordini è migliorato e chiuderanno l’anno in pareggio. La banca, constatando l’impegno e avendo ora la garanzia pubblica deliberata (Fondo PMI 80%) su un futuro finanziamento, è disposta a esaminare nuovamente la richiesta di credito, magari ridimensionata (chiederanno €50.000 invece di €100.000, più sostenibile).
Considerazioni finali: Non sempre un’azienda in difficoltà ottiene una seconda chance dalla banca – spesso l’esito è segnato – ma la reattività dei soci può fare la differenza. Qui le chiavi sono state: ricapitalizzazione, diversificazione delle fonti, garanzie aggiuntive, dialogo aperto con la banca per evitare rotture drastiche. Se si dimostra di affrontare i problemi e non nasconderli, spesso le banche preferiscono collaborare per trovare soluzioni anziché abbandonare il cliente al dissesto. Viceversa, se l’azienda avesse ignorato il rifiuto e continuato come nulla fosse, la banca avrebbe probabilmente chiuso i rubinetti definitivamente.
FAQ – Domande e risposte sul prestito negato e nuove richieste
Passiamo ora a una serie di domande frequenti che riassumono e chiariscono ulteriormente i dubbi più comuni su prestiti rifiutati e nuove richieste, alla luce di quanto visto finora.
Domanda: Perché la banca mi ha rifiutato un prestito nonostante io abbia un reddito stabile?
Risposta: Un reddito stabile è sicuramente un punto a favore, ma la banca guarda anche quanto è elevato quel reddito rispetto alla rata richiesta e quali impegni finanziari hai già. Potresti avere un reddito considerato insufficiente per l’importo di prestito richiesto (es. volevi una rata troppo alta in rapporto al tuo stipendio) oppure potresti avere altri debiti in corso che, sommati, saturano la tua capacità di rimborso. Inoltre, la banca valuta la storia creditizia: se in passato hai avuto ritardi o problemi nei pagamenti, ciò pesa negativamente anche se attualmente guadagni bene. In sintesi, il reddito stabile è necessario ma potrebbe non essere sufficiente: la banca rifiuta se il profilo complessivo di rischio (reddito, indebitamento totale, storico creditizio, garanzie) non rientra nelle sue soglie interne.
Domanda: Posso sapere esattamente il motivo per cui la mia richiesta di prestito è stata respinta? La banca è obbligata a dirmelo?
Risposta: Sì, hai diritto a delle spiegazioni generali. Per legge (art. 125 TUB e normativa UE) se il diniego è basato su informazioni di una banca dati, devono comunicartelo (es: “Abbiamo rifiutato perché risultano segnalazioni negative in CRIF”). Inoltre, per principio di trasparenza, l’intermediario deve indicare le principali ragioni del rifiuto anche su richiesta del cliente. Non è tenuto a fornirti ogni dettaglio del suo algoritmo di scoring, ma una motivazione di massima sì. Ad esempio, potrebbe citare “merito creditizio insufficiente per reddito basso” oppure “politiche interne: numero di finanziamenti attivi troppo elevato”. Se non ti hanno detto nulla, inviagli una richiesta scritta di chiarimenti, richiamando la normativa sulla trasparenza e le decisioni ABF. Spesso, a seguito di ciò, la banca risponde in modo più utile. (Ricorda: non esiste un modo per costringere la banca a concedere il prestito, ma puoi insistere per avere una risposta motivata e – se emergesse un comportamento scorretto – valutare un ricorso).
Domanda: Un rifiuto di prestito viene registrato da qualche parte e le altre banche possono vederlo?
Risposta: Sì, nei Sistemi di Informazione Creditizia privati (es. CRIF, Experian) rimane traccia per alcuni mesi del fatto che hai presentato una richiesta di finanziamento e che questa non si è conclusa positivamente. Le altre banche, consultando il SIC, possono vedere ad esempio una riga tipo “Richiesta di prestito del 10/04/2025 – ESITO: rifiutato” (o a volte vedono solo che c’è stata la richiesta, senza dettaglio esito). Questo può influire sulle loro decisioni, perché molte richieste ravvicinate o recenti rifiuti possono insospettire (il cliente potrebbe apparire “disperato” in cerca di credito). La traccia però non è permanente: come detto, entro 90 giorni dall’aggiornamento a “rifiutato” quella segnalazione viene rimossa. Quindi, a distanza di qualche mese, le nuove banche non vedranno più il rifiuto precedente. Importante: la Centrale Rischi pubblica di Banca d’Italia non registra le richieste rifiutate, quindi il “no” resta confinato ai SIC privati per un breve periodo.
Domanda: Ho scoperto che il rifiuto è dovuto a un errore (risultavo cattivo pagatore per un debito in realtà già pagato). Cosa posso fare?
Risposta: In questo caso dovresti attivarti su due fronti: correggere l’errore e far rivalutare la tua pratica. Per correggere: contatta immediatamente la banca/finanziaria che ha segnalato erroneamente il tuo stato e chiedi una rettifica, fornendo prove del pagamento effettuato (ricevute, quietanze, ecc.). In parallelo, informa il gestore della banca che ti ha rifiutato che c’è un errore in corso di correzione, magari mostrando la documentazione (ricevute di pagamento o la lettera di liberatoria richiesta al segnalante). Una volta che l’errore è corretto nei sistemi – CRIF & co. hanno procedure d’urgenza per rettificare dati inesatti, di solito entro 15 giorni dalla segnalazione dell’errore – chiedi formalmente alla banca di rivalutare la tua richiesta alla luce dei dati aggiornati. Se nel frattempo è passato del tempo, meglio ancora: valuteranno senza l’ombra negativa. Se fanno resistenza, puoi considerare un ricorso all’ABF (per il danno da rifiuto basato su informazione scorretta non per colpa tua), ma spesso basta il dialogo e il nuovo “semaforo verde” nelle banche dati per farli decidere positivamente.
Domanda: Quanto tempo devo aspettare prima di chiedere di nuovo un prestito dopo che me l’hanno rifiutato?
Risposta: Non c’è un obbligo fisso di legge, ma conviene aspettare almeno qualche mese (in genere 3–6 mesi) prima di riprovarci, a meno che tu abbia risolto immediatamente il motivo del rifiuto. Dando un intervallo di almeno 3 mesi permetti alle eventuali segnalazioni di richiesta rifiutata di sparire dai database e puoi nel frattempo migliorare il tuo profilo (es. pagare qualche debito residuo, accumulare un po’ di risparmi, correggere errori documentali). Se il rifiuto era legato a un problema di storico creditizio (es. un ritardo recente), meglio attendere almeno il decorso dell’anno di “riabilitazione” (ricorda: i piccoli ritardi si dissolvono dopo 12 mesi). Se era per reddito insufficiente, aspettare da solo non cambia nulla finché il reddito non aumenta o finché non riduci altri impegni – dunque quell’attesa va impiegata per apportare modifiche concrete: ad esempio riduci l’importo richiesto o trova un garante. Ci sono casi in cui potresti riprovare subito: esempio, prestito rifiutato perché mancava un documento di reddito – se fornisci il documento mancante, la finanziaria può rivalutarlo anche il giorno dopo. In situazioni normali però, un cooling-off period di almeno 90 giorni è consigliato per ripresentarsi con condizioni migliorative tangibili.
Domanda: È vero che dopo un rifiuto devo aspettare 6 mesi perché “la segnalazione da cattivo pagatore dura 6 mesi”?
Risposta: Dipende da cosa intendiamo. Se ti riferisci al fatto stesso di aver chiesto ed essere stato rifiutato, come detto quell’informazione è conservata 90 giorni (3 mesi) nei SIC, non 6. Se invece il rifiuto derivava da una segnalazione di morosità (tipo un ritardo nei pagamenti), la durata di quella segnalazione dipende dalla gravità: un paio di rate pagate in ritardo restano 12 mesi, ritardi più lunghi 24, sofferenze anche 36 o più (fino a 5 anni). Spesso nel gergo comune si dice “sei un cattivo pagatore per 24 mesi” ecc. Comunque 6 mesi non è una regola fissa, è una semplificazione che talvolta usano gli operatori (es: “torni fra 6 mesi e riprovi”) giusto per dare tempo alle cose di cambiare un po’. Quindi, non prendere “6 mesi” come fosse una legge – valuta il tuo caso specifico. Se dopo 3–4 mesi hai già sistemato gli aspetti negativi e il contesto non è peggiorato, puoi riprovare, magari in un altro istituto. Se invece il problema era, ad esempio, un ritardo pesante che sparirà in 12 mesi, allora ha senso attendere quell’orizzonte prima di presentarsi nuovamente.
Domanda: Mi hanno proposto di aggiungere un garante o coobbligato. Questo farà approvare il prestito?
Risposta: Aggiungere un garante (es. un genitore, il coniuge, un amico fidato) spesso migliora in modo determinante la fattibilità, ma non garantisce al 100% la concessione. Dipende molto dal profilo del garante: deve avere un reddito/patrimonio solido e un buon storico creditizio. Se il garante proposto è a sua volta indebitato o con segnalazioni negative, non aiuta molto. Invece un garante con ottimo merito di credito può far sì che la banca – che prima era incerta su di te – dia l’ok perché ha un secondo nome su cui rivalersi. Importante: il garante diventa responsabile del tuo debito se tu non paghi, quindi è un impegno serio (assicurati che il garante ne sia pienamente consapevole). Alcune banche, pur col garante, vogliono comunque che il richiedente principale abbia un minimo di capacità reddituale; ma in tante situazioni reali l’intervento di un garante è ciò che sblocca la delibera (specialmente per mutui a giovani coppie, prestiti a chi ha un contratto di lavoro da poco, ecc.). Quindi se la banca te lo suggerisce, è segno che con quell’aggiunta sarebbero propensi a concedere. Assicurati solo di scegliere un garante valido e informa bene quest’ultimo dei rischi e degli obblighi che assume.
Domanda: La banca mi ha detto “provi a chiedere meno soldi”. Un importo più basso può cambiare l’esito?
Risposta: Sì, ridurre l’importo richiesto può migliorare le probabilità di approvazione. Questo comporta una rata più bassa (se la durata resta uguale), quindi magari il tuo reddito diventa sufficiente a coprirla secondo i parametri della banca. Oppure, nel caso di mutuo, diminuisce il Loan-to-Value rendendo l’operazione meno rischiosa (più equity tuo, meno soldi loro). Certo, l’importo ridotto deve comunque bastarti allo scopo necessario; ma a volte si chiede un po’ “di più per stare larghi” e questo innesca il no, mentre limando l’eccesso può diventare un sì. Ad esempio: avevi chiesto €30k ma con €25k potresti farcela comunque – quei €5k in meno riducono la rata di ~€50 e magari ti portano sotto la soglia di indebitamento accettata. Le banche apprezzano il segnale che il cliente riconosce il proprio limite e si adegua. Quindi, se ti suggeriscono un taglio, considera seriamente di ridurre l’importo o, nel caso di mutuo, di aggiungere più anticipo di tasca tua.
Domanda: Mi hanno rifiutato un mutuo perché lavoro a tempo determinato. Posso fare qualcosa o devo rinunciare finché non ho il tempo indeterminato?
Risposta: Non devi per forza rinunciare del tutto. Alcune strade possibili: (1) Aggiungere un cointestatario o garante che abbia un contratto a tempo indeterminato (es. il tuo partner se ce l’ha, o un genitore pensionato). La banca valuterà il reddito combinato e la stabilità del garante. (2) Usare garanzie statali: se sei under 36, il Fondo Prima Casa può aiutare anche i lavoratori atipici (non richiede il tempo indeterminato, ma solo che tu rientri nei requisiti di età/ISEE). (3) Dimostrare continuità: se sei a termine ma da più anni ti rinnovano sempre con lo stesso datore, porta prove (contratti precedenti, lettera del datore sulle prospettive di rinnovo) per dare comfort sulla stabilità. (4) Aumentare l’anticipo / ridurre l’importo così la banca rischia meno. Va detto: molte banche per i mutui richiedono almeno uno degli intestatari a tempo indeterminato, quindi se nella tua famiglia nessuno ha quel requisito può essere dura con i canali tradizionali. In tal caso, valuta un finanziamento come la cessione del quinto (se sei dipendente pubblico a TD potresti ottenere una cessione limitata alla durata residua del contratto) oppure rivolgiti a banche che abbiano convenzioni per il tuo tipo di contratto (es. alcuni istituti finanziano anche lavoratori a TD se l’azienda è grande e c’è garanzia statale). Spesso però la via più pratica è trovare un co-mutuatario stabile (es. un familiare che intesti con te l’immobile e il mutuo, portando il suo reddito fisso). In definitiva, il tempo indeterminato resta un requisito forte per i mutui, ma con garanzie aggiuntive e stratagemmi si può provare a ovviare.
Domanda: La banca può cambiare idea dopo aver rifiutato, se miglioro certe cose? O i loro sistemi mi bloccano per sempre?
Risposta: La banca può certamente rivalutare una posizione se cambiano le condizioni. Non esiste una blacklist perenne per un rifiuto (a meno di casi estremi come tentativi di frode). Quindi, se ad esempio 6 mesi fa ti ha detto no, ma ora ti presenti con uno scenario diverso (meno debiti, stipendio più alto, un garante aggiunto, ecc.), la pratica viene trattata come nuova e può avere esito differente. Nella stessa banca, ovviamente, rimane traccia storica, ma non è che se hai avuto un no allora “non vedono l’ora di rifilarti un altro no” – anzi, spesso i gestori commerciali sono contenti se riesci a colmare le lacune e possono acquisirti come cliente in un secondo momento. Un consiglio: magari parla con la persona che seguì la pratica precedente e chiedi onestamente cosa migliorare. Così, quando ripresenti domanda, puoi far notare nella lettera di accompagnamento: “Dallo scorso tentativo ho seguito i suggerimenti: ho chiuso il finanziamento X, ho aggiunto un garante, ecc.”. Dimostra attenzione e determinazione. In sintesi, sì, la banca può cambiare esito; inoltre, puoi sempre provare con banche diverse come detto (ogni istituto ha logiche proprie, il rifiuto di uno non preclude il consenso di un altro).
Domanda: Se faccio ricorso all’ABF o causa in tribunale e vinco, la banca sarà costretta a concedermi il prestito?
Risposta: No, attenzione: né l’ABF né un giudice possono obbligare una banca a erogare un prestito. Quello che possono fare è sanzionare eventuali comportamenti scorretti e al limite condannare la banca a risarcire un danno, ma non possono imporre la stipula di un contratto di finanziamento (sarebbe una forma di prestazione forzata non prevista nel credito, salvo casi eccezionali di mutui ex art. 8 L.108/96 per vittime di usura, che comunque sono erogati da un Fondo pubblico). Quindi, realisticamente, anche se ottieni dall’ABF una decisione favorevole (es. dichiarano che la banca ha sbagliato a non darti motivazioni o ha violato la buona fede), al massimo la banca ti fornirà quelle motivazioni o ti risarcirà spese ed eventuali danni di immagine, ma non potrai obbligarla a darti i soldi. Di solito, però, se risolvi le cause del rifiuto (vedi risposte precedenti), non si arriva a tanto: provi con un altro istituto o sistemi la situazione e riproponi la domanda migliorata. Il ricorso all’ABF è utile soprattutto se c’è stato un errore o un comportamento scorretto palese: ad esempio la banca non ha risposto al reclamo, o ha segnalato una sofferenza ingiustamente, ecc. In quei casi l’ABF ordina di rimediare (cancellare la segnalazione illegittima, pagare un indennizzo). Ma non dà ordini di concedere credito.
Domanda: Come incide un prestito rifiutato sul mio “credit score”?
Risposta: Un prestito rifiutato in sé non abbassa un punteggio in modo diretto, perché il rifiuto non è un dato di default o arretrato. Tuttavia lascia – come detto – una traccia temporanea nelle banche dati, e avere molte richieste rifiutate in un periodo breve può peggiorare il tuo credit score perché vieni visto come potenzialmente in difficoltà (sei andato in giro a chiedere credito a tanti, e ti hanno detto no). I modelli di scoring considerano anche il “credito cercato” (hard inquiries). Un singolo rifiuto ogni tanto ha impatto trascurabile; ma se in pochi mesi fai 5 richieste e 3 vengono rifiutate, il sistema potrebbe declassarti di punteggio. La buona notizia è che questo effetto è temporaneo: dopo alcuni mesi di astensione dalle richieste, il punteggio torna neutro perché le inquiries scompaiono. Quindi, di nuovo, meglio evitare di fare tante domande insieme o ravvicinate: meglio una per volta, mirata e dopo aver migliorato i fattori critici.
Domanda: Meglio chiedere a più banche contemporaneamente per aumentare le chance, o una alla volta?
Risposta: Dal punto di vista del cliente verrebbe da pensare: “se chiedo a 3 banche magari una dice sì”. Ma dal punto di vista del sistema creditizio, come accennato, le richieste multiple ravvicinate vengono viste negativamente. Se fai 3 domande contemporaneamente e magari due si rifiutano e una è ancora in corso, tutte vedranno che hai altre domande aperte. Questo può portare anche quella benevola a insospettirsi (“perché sta chiedendo a tutti questi istituti? c’è qualcosa che non so?”). Inoltre, se più banche approvano contemporaneamente, ti potresti trovare con più crediti del previsto e sovraindebitarti (cosa che le banche vogliono evitare). Quindi, meglio una alla volta, o al limite due in parallelo se sei di fretta ma sapendo che compariranno entrambe in CRIF. Se la prima rifiuta, non partire subito con la seconda identica: cerca prima di capire il motivo e di porvi rimedio, altrimenti rischi un secondo no uguale al primo. Insomma, è consigliabile un approccio sequenziale e strategico: scegli la banca più adatta, attendi l’esito; in caso negativo, aggiusta il tiro e prova con un’altra, e così via.
Domanda: La cessione del quinto può essere rifiutata? Pensavo fosse garantita al 100%.
Risposta: La cessione del quinto è certamente più facile da ottenere per chi ha uno stipendio/pensione fissa, anche con precedenti creditizi non immacolati, perché come spiegato la rata è garantita alla fonte e c’è l’assicurazione obbligatoria. Tuttavia non è automaticamente concessa a chiunque: ci sono alcuni casi di rifiuto. Ad esempio, se il tuo contratto di lavoro è a tempo determinato e scade tra poco, molte finanziarie concedono una cessione solo se la durata del prestito non eccede la scadenza contrattuale (o se c’è aspettativa di rinnovo). Se hai già in corso una cessione del quinto e magari anche una delegazione di pagamento, potresti aver già raggiunto la quota massima cedibile (50% dello stipendio tra due cessioni) e quindi ulteriori trattenute non sono consentite – in tal caso un’altra cessione viene rifiutata finché non estingui le precedenti. Anche l’età può essere un ostacolo: oltre una certa età (di solito 85 anni a fine piano per pensionati, meno per dipendenti prossimi alla pensione) le assicurazioni rifiutano la copertura rischio vita, e senza assicurazione la cessione non si può fare. Infine, conta anche la solidità del datore di lavoro: per dipendenti di piccole aziende private o enti in difficoltà economica, alcune finanziarie sono restie a concedere cessioni (perché se l’azienda fallisce, il rimborso futuro è a rischio). Dunque, sebbene la cessione sia un prodotto a basso rischio per il finanziatore, esistono criteri di ammissibilità: contratto e datore di lavoro devono rispettare certi requisiti, il richiedente non deve avere già troppi impegni di quinto, etc..
Domanda: Dopo un rifiuto, conviene rivolgersi a un mediatore creditizio o fare da soli?
Risposta: Dipende dalla situazione. Un mediatore creditizio (agente in attività finanziaria, broker di mutui) ha esperienza su quali banche sono più propense a finanziare un certo profilo e può aiutare a “impacchettare” meglio la pratica, presentandola all’istituto più adatto. Questo può far risparmiare tempo, soprattutto se il caso è un po’ complesso (ad es. segnalazioni pregresse da spiegare, redditi non standard, ecc.). Il mediatore inoltre sa quali documenti allegare per anticipare le obiezioni. Di contro, ha un costo (provvigione) e in alcuni casi potrebbe essere incentivato a proporre prodotti di certe finanziarie convenzionate. Se la tua situazione è semplice e hai già individuato cosa migliorare, potresti riprovare da solo magari in un’altra banca, senza dover pagare commissioni. Se invece hai già girato qualche banca senza successo o il tuo profilo è borderline, un mediatore valido può fare la differenza trovando la “chiave giusta”. L’importante è scegliere professionisti seri, iscritti all’OAM, e diffidare di chi promette miracoli (nessuno può garantire al 100% l’ottenimento del prestito se sussistono cause oggettive di rischio). In conclusione: se ti senti in grado, ritenta da solo seguendo i consigli di cui sopra; se navighi a vista e hai urgenza, un broker può aiutarti a evitare ulteriori rifiuti mirandoti verso la banca giusta.
Domanda: Sono socio di una società a cui hanno negato credito. Questo può influire sul mio credito personale?
Risposta: Sì, potenzialmente sì. Se la società ha avuto problemi di pagamento ed è segnalata, i soci amministratori spesso finiscono segnalati in CRIF come garanti impliciti o in Centrale Rischi come co-obbligati (ad esempio, in CR i soci di S.r.l. con affidamenti possono comparire come “soggetti con responsabilità illimitata” per quella posizione). Anche se non c’è segnalazione formale, le banche quando valutano un privato guardano anche se questi ha interessi in imprese problematiche. Quindi, se tu sei socio e amministratore di una ditta che sta male, la banca, incrociando i dati, potrebbe considerare che i tuoi redditi futuri sono a rischio (perché magari dovrai versare soldi in azienda, o perché l’azienda ti pagherà di meno). È il concetto di “gruppo economico di appartenenza”. Il consiglio: se la tua azienda ha problemi e tu hai bisogno di credito personale (mutuo, prestito), gioca d’anticipo: spiega tu spontaneamente alla banca la situazione, distingui le tue finanze personali da quelle aziendali. Ad esempio: “È vero, la mia società XY ha avuto un calo e ha debiti, ma le mie entrate personali sono queste, separate, ecco il mio stipendio da lavoro dipendente (o altre fonti) e il piano di rilancio dell’azienda…”. Mostrati consapevole e trasparente, così magari eviti che la cosa emerga come sorpresa negativa in istruttoria. In molti casi, se il tuo ruolo è minoritario e non gestionale, l’impatto è minore; se invece sei l’amministratore e garanti per i debiti aziendali, può influire eccome.
Domanda: Ho risolto i problemi che avevo (es. pagato arretrati), la mia centrale rischi ora è pulita. Come posso dimostrarlo alla banca al prossimo tentativo?
Risposta: Puoi farlo in due modi: allegare tu stesso una visura aggiornata delle banche dati oppure indicare nella domanda di finanziamento che autorizzi e inviti la banca a ricontrollare CRIF/Centrale Rischi alla data odierna, spiegando che la situazione è migliorata. Ad esempio, se in passato avevi una sofferenza poi cancellata, nella nuova domanda di mutuo puoi inserire una breve lettera: “Gentile banca, la mia precedente segnalazione di sofferenza è stata cancellata in data XX come da comunicazione allegata; allego anche estratto CRIF che mostra la posizione regolarizzata. Chiedo pertanto la rivalutazione della mia richiesta”. Le banche comunque faranno le loro visure aggiornate, ma presentare in anteprima i documenti (lettere di avvenuto pagamento, visure pulite) accelera la fiducia. Nel dubbio, meglio anche un passaggio in filiale di persona spiegando a voce e portando i documenti: avere un dialogo umano spesso aiuta più di un clic su un algoritmo. In breve, documenta per iscritto tutto ciò che hai sistemato (ricevute, quietanze, atti di assenso a cancellazioni di ipoteche o pignoramenti, ecc.) e inseriscili nel fascicolo della nuova istruttoria. Così dai modo al gestore di difendere la tua pratica davanti al comitato crediti, mostrando evidenze concrete che la tua affidabilità è migliorata.
Fonti normative e giurisprudenziali utilizzate
- D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 – Testo Unico Bancario (TUB): in particolare artt. 5 (principio di sana e prudente gestione bancaria), 115–120 (Trasparenza delle condizioni contrattuali e diritto di informazione), 117 (forma dei contratti bancari e nullità di clausole non pattuite), 124–128 (credito ai consumatori, come modificati dal D.Lgs. 141/2010), art. 124-bis TUB (Obbligo di verifica del merito creditizio introdotto nel 2010), art. 125 (obbligo di informare il consumatore se il rifiuto si basa su banche dati), art. 120-quinquies e segg. (credito immobiliare ai consumatori, introdotto da D.Lgs. 72/2016).
- D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141: attuazione Dir. 2008/48/CE sul credito ai consumatori e modifiche al TUB (mediatori creditizi, introduzione art. 124-bis TUB, integrazione art. 125 TUB sul rifiuto in base a SIC, art. 127 TUB su sanzioni).
- Dir. 2008/48/CE (Credito ai consumatori): in particolare art. 8 (valutazione merito creditizio) e art. 9(2) (obbligo di informare il consumatore se il rifiuto si basa su banca dati).
- Dir. 2014/17/UE (Credito immobiliare residenziale): principi analoghi per i mutui casa (recepita con D.Lgs. 72/2016, introduzione art. 120-undecies TUB e segg.). Prevede obblighi simili di informativa sull’esito della consultazione banche dati (art. 21).
- Codice Civile: art. 1337 (trattative e responsabilità precontrattuale), 1338 (dovere di informare su cause di invalidità), 1176 co.2 (diligenza professionale qualificata nell’attività bancaria), 1375 (esecuzione di buona fede dei contratti), 2043 (responsabilità aquiliana generale). Applicati a: responsabilità precontrattuale delle banche (es. Cass. 27262/2023), concessione abusiva di credito (obbligo di diligenza e possibile illecito ex art. 2043).
- D.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180 e D.P.R. 28 luglio 1950 n. 895: normativa su cessione del quinto dello stipendio (limite di 1/5, obbligo di assicurazione).
- Provvedimento Banca d’Italia 29 luglio 2009: “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari” (e successive modifiche) – impone obblighi informativi precontrattuali (es. consegna modulo IEBCC/SECCI per credito ai consumatori), obbligo di rispondere motivatamente ai reclami entro 30 gg, ecc. (Rilevante in ABF Coordinamento 2013 sulla motivazione dei dinieghi).
- Provvedimento UIC 22 ottobre 2007: (antecedente Banca d’Italia) introduce maggior tutela informativa del cliente nella valutazione del merito creditizio (citato in ABF dec. coordinamento n. 6182/13).
- Codice deontologico sui Sistemi di Informazione Creditizia (SIC): allegato al Provv. Garante Privacy n. 8/2004 e succ. aggiornamenti – stabilisce i tempi di conservazione dei dati nei SIC privati (es: richieste 6 mesi/90gg, ritardi 12–24 mesi, sofferenze 36/60 mesi) e l’obbligo di preavviso di 15 giorni prima di segnalare un ritardo. (In vigore fino all’entrata in vigore di un eventuale Reg. UE “Credit Data” futuro).
- Regolamento UE 2016/679 (GDPR): rilevante per il diritto di accesso ai dati personali nelle centrali rischi private e per i principi sulle decisioni automatizzate. Art. 15 GDPR (diritto di accesso – usato per ottenere visure CRIF, Experian, etc.), art. 22 GDPR (diritto a non essere sottoposto a decisione automatizzata senza adeguate garanzie, salvo eccezioni per il credito al consumo). Base giuridica del trattamento dei dati creditizi: legittimo interesse (infatti non serve il consenso specifico per le segnalazioni creditizie).
- D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 – Decreto Antiriciclaggio: art. 42 (Obbligo di astensione: “quando non è possibile completare l’adeguata verifica, l’ente deve astenersi dall’instaurare o proseguire il rapporto”); art. 41 (obbligo di astensione in caso di sospetti di riciclaggio). In ambito credito ciò giustifica dinieghi per mancanza di documenti o per sospetti fondati.
- Codice del Consumo (D.Lgs. 206/2005): art. 24–25 definiscono pratiche commerciali aggressive e scorrette – l’AGCM ha applicato tali norme a comportamenti di bundling forzato di polizze abbinate a mutui. Inoltre, Decreto “Cresci Italia” (D.L. 1/2012 conv. L. 27/2012) – ha introdotto l’art. 28 comma 1-bis TUB che vieta alle banche di vincolare l’erogazione del mutuo alla sottoscrizione di una polizza fornita dalla banca stessa, lasciando il cliente libero di procurarsela altrove (sanzioni Antitrust 2020 a banche in caso Telepass – cfr. TAR Lazio sent. n. 603/2023).
- Norme antidiscriminatorie nell’accesso ai servizi finanziari: artt. 43 e 44 del D.Lgs. 25 luglio 1998 n. 286 (Testo Unico Immigrazione) – vietato qualsiasi comportamento discriminatorio per motivi di nazionalità, etnia, religione, ecc., che impedisca ad un soggetto di ottenere un servizio (credito incluso); prevede azione civile rapida per far cessare la discriminazione e risarcire il danno. D.Lgs. 9 luglio 2003 n. 215 – attuazione Dir. 2000/43/CE (parità di trattamento indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica) – istituisce l’UNAR e prevede tutela giudiziaria anche in ambito privato. D.Lgs. 11 aprile 2006 n. 198 (Codice Pari Opportunità) – attuazione Dir. 2004/113/CE sulla parità di trattamento tra uomini e donne nell’accesso a beni e servizi (banche incluse). Tali norme, insieme, configurano il divieto di discriminazione nel credito, come ribadito da giurisprudenza (es. Trib. Udine 1 febbraio 2023 – discriminatorio chiedere documenti aggiuntivi solo agli stranieri per accesso a credito agevolato).
- Sentenza Cass. Civ. Sez. I, 8 ottobre 2024 n. 26248: principio affermato: l’obbligo di sana e prudente gestione vale anche per finanziamenti garantiti al 100% dallo Stato (Fondo PMI), escludendo che la banca possa erogare a cuor leggero solo perché c’è garanzia pubblica. Connesso al tema della concessione abusiva del credito: la Cassazione ha cassato una decisione di merito che riteneva automaticamente nullo un mutuo per mancata adeguata valutazione del merito (ha invece chiarito che il principio è la responsabilità ex art. 1176 c.c. e art. 5 TUB, non la nullità).
- Sentenza Cass. Civ. Sez. III, 25 settembre 2023 n. 27262: caso di responsabilità precontrattuale della banca: trattative molto avanzate per un mutuo, con rassicurazioni fornite al cliente, il quale compie atti (acquisto immobile, accollo di mutui altrui) confidando nel finanziamento promesso; poi la banca recede senza motivo. La Cassazione conferma la responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. della banca per recesso ingiustificato dopo aver ingenerato un affidamento qualificato. (Nota: caso Banca Tercas vs società immobiliare, cit. in Diritto del Risparmio 8/10/2023, Loi).
- Sentenza Cass. Civ. Sez. I, 14 ottobre 2020 (dep. 9 febbraio 2021) n. 3130: sulla segnalazione a sofferenza in Centrale Rischi – illegittima se il mancato pagamento è dovuto a una contestazione in corso da parte del debitore sulla validità del contratto e non a reale insolvenza; è necessaria una valutazione concreta della situazione prima di segnalare come “sofferente”. (Caso Banca Intesa vs debitori – Cass. ha cassato la sentenza di merito che aveva negato il risarcimento). Riconosce inoltre che il danno da segnalazione illegittima non è in re ipsa ma occorre allegarlo e provarlo, pur se può presumersi la lesione reputazionale.
- Sentenza Cass. Civ. Sez. I, 30 maggio 2018 n. 13818: (richiamata dalla giurisprudenza successiva) – sul danno da illegittima segnalazione in Centrale Rischi: non è automatico, ma vige una presunzione di danno non patrimoniale in caso di lesione della reputazione; tuttavia il danneggiato deve comunque allegare elementi a supporto del pregiudizio subito. Principio poi ribadito in Cass. 3130/2021.
- Sentenza Cass. Civ. Sez. I, 5 giugno 2019 n. 15442: sul tema della concessione abusiva di credito: banca responsabile verso terzi (es. creditori fallimentari) se finanzia un’impresa decotta aggravandone il dissesto con colpa grave. (Non citata nel testo sopra, ma di contesto generale – evidenzia il dovere di diligenza della banca anche nel non erogare credito eccessivo).
- Decisione ABF (Collegio di Coordinamento) n. 6182/2013: stabilisce in linea di principio il diritto del cliente a indicazioni generali sui motivi del diniego di credito e al contempo nega l’esistenza di un diritto soggettivo ad ottenere il credito, ribadendo però l’obbligo dell’intermediario di operare con buona fede e correttezza. Ha fatto da apripista sul tema dell’obbligo di motivazione del rifiuto.
- Decisione ABF Roma n. 12815/2017 (16.10.2017): ribadisce l’obbligo di fornire una motivazione concreta del diniego; giudica insufficiente comunicare al cliente una formula generica tipo “scoring non adeguato” senza ulteriori spiegazioni.
- Decisione ABF Milano n. 27098/2018 (20.12.2018): conferma da un lato la libertà negoziale della banca (non esiste un obbligo generale di concedere credito se non in presenza di norme ad hoc), ma dall’altro richiama la necessità di non violare la libertà contrattuale della banca imponendo credito forzoso. (Sottolinea i limiti delle tutele del cliente in assenza di comportamenti scorretti oggettivi).
- Decisione ABF Napoli n. 14252/2019: (indicata come esempio ipotetico in fonti, sul tema della revoca di fido senza preavviso; non abbiamo testo specifico – in generale ABF ha trattato casi di revoca improvvisa sanzionando la mancata comunicazione preventiva ex art. 47 TUB, ma nel contesto della guida serve solo a sottolineare che la banca deve rispettare buona fede anche nella fase di gestione di affidamenti esistenti).
- Sentenze TAR Lazio del 5 gennaio 2024 (nn. 35, 36, 37, 38/2024): su ricorsi di banche contro sanzioni AGCM 2020 per pratiche commerciali scorrette nel credito (polizze abbinate obbligatoriamente a mutui, apertura conto corrente obbligatoria). Il TAR ha in parte accolto i ricorsi delle banche, riconoscendo che l’AGCM doveva tener conto delle normative di settore (Bankitalia) e delle giustificazioni fornite; ma ha confermato il principio che vincolare il mutuo ad altri prodotti è vietato (in 3 casi su 4 ha annullato sanzioni per aspetti procedurali, in 1 le ha confermate).
- Tribunale di Trento, sentenza 24 gennaio 2017 n. 24: (caso poi giunto in Cassazione 3130/2021) – in primo grado rigettò le domande di risarcimento per segnalazione illegittima; Cass. ha poi annullato tale decisione come da propria ordinanza 3130/21 (vedi sopra).
- Tribunale di Bari, Sez. IV, 13 ottobre 2023 n. 4076: caso di un garante di finanziamento non avvisato delle rate non pagate dal debitore principale e segnalato in Centrale Rischi come coobbligato in sofferenza. Il Tribunale ha riconosciuto l’illegittimità della segnalazione per mancato preavviso al garante (violazione del diritto di essere informato prima della segnalazione) e ha condannato la banca a risarcire il danno d’immagine, reputazione e perdita di chance al garante. (Conforme all’orientamento secondo cui il preavviso di cui al regolamento CICR 2004 è condizione per la legittimità della segnalazione).
- Cass. Civ. Sez. Unite, 16 luglio 2001 n. 9645: pronuncia storica che ha affermato il dovere di buona fede anche nella revoca degli affidamenti e introdotto il concetto di abuso di dipendenza economica della banca in fase precontrattuale. Le Sezioni Unite stabilirono che la banca, pur libera di revocare un fido, deve dare un preavviso congruo e non può farlo in modo arbitrario se il cliente è in temporanea difficoltà ma con prospettive di recupero. Questa sentenza fu pionieristica nell’estendere l’obbligo di buona fede anche alla cessazione dei rapporti creditizi.
- Legge 7 marzo 1996 n. 108, art. 8: (legge antiusura) – prevede che le vittime di usura o di estorsione possano ottenere speciali mutui dal Fondo di solidarietà (cosiddetti mutui antiusura). Non è direttamente rilevante per i casi ordinari di rifiuto, ma rappresenta un’eccezione in cui un soggetto “non bancabile” ottiene credito per intervento pubblico. È stata citata a livello dottrinale quando si parla di diritto al credito come tutela di casi estremi sociali.
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Cosa deve fare la banca o la finanziaria?
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- ⚖️ Hai subito una discriminazione non giustificabile (es. età, cittadinanza, residenza)
Cosa puoi fare concretamente?
- ✍️ Invia una richiesta formale di accesso ai dati usati per il rifiuto
- 📂 Verifica la tua posizione presso CRIF, Experian, CTC, Banca d’Italia
- 🛑 Se rilevi errori, chiedi la rettifica e la cancellazione
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✔️ Avvocato esperto in diritto bancario e tutela del consumatore
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Conclusione
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