Famiglia Con Debiti: Come La Legge Ti Aiuta

Hai una famiglia con debiti che non riesce più a gestire? Le rate del mutuo, i finanziamenti, le spese quotidiane e le cartelle dell’Agenzia delle Entrate ti stanno soffocando? Ti stai chiedendo se c’è una via d’uscita legale per proteggere la tua casa, la tua famiglia e ricominciare senza debiti?

Oggi molte famiglie si trovano in questa situazione, spesso per eventi fuori dal proprio controllo: perdita del lavoro, problemi di salute, aumento del costo della vita. Ma la buona notizia è che la legge ti tutela, e prevede strumenti concreti per bloccare i creditori, ristrutturare o cancellare i debiti e salvare ciò che conta davvero.

Cosa può fare una famiglia sovraindebitata?
– Accedere alla procedura di sovraindebitamento per consumatori, anche se non hai un reddito fisso
– Ottenere la sospensione delle azioni esecutive, pignoramenti e fermi
– Proporre un piano sostenibile di pagamento parziale del debito, commisurato al tuo reddito
– Se non hai nulla da offrire, puoi chiedere l’esdebitazione totale come “debitore incapiente”, e ripartire da zero

Quali debiti si possono includere?
Mutuo e finanziamenti
Debiti verso l’Agenzia delle Entrate e l’INPS
Carte di credito, prestiti personali, cessioni del quinto
– Bollette arretrate, canoni non pagati, debiti condominiali
Garanzie firmate per parenti che non hanno pagato

Chi può accedere alla procedura?
– Famiglie in cui almeno uno dei componenti non riesce a far fronte ai debiti
– Anche chi non ha redditi sufficienti o vive con il solo sostegno di pensione o sussidi
– Famiglie con figli a carico, casa ipotecata, lavoro precario o in nero
– Basta dimostrare che la situazione è reale e non hai agito con dolo o malafede

Cosa NON devi fare mai?
– Continuare a fare altri debiti “per tamponare”: è un errore che aggrava la situazione
– Accettare soluzioni “miracolose” da soggetti non autorizzati: rischi truffe e usura
– Pensare che “tanto i figli non erediteranno i debiti”: se non agisci, potrebbero subire conseguenze indirette
– Aspettare la notifica del pignoramento: a quel punto è già troppo tardi per alcune misure

La legge ti dà il diritto di difenderti, anche se non hai redditi, anche se hai sbagliato. Con la giusta assistenza, puoi uscire dal peso dei debiti e dare stabilità alla tua famiglia.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in sovraindebitamento familiare – ti spiega quali strumenti legali esistono per aiutare una famiglia indebitata, come proteggere la casa, i figli e la dignità, e come tornare a vivere senza il peso dei creditori.

Hai una famiglia con debiti e temi di perdere tutto?

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Introduzione

Trovarsi con debiti insostenibili è una situazione che può colpire molte famiglie, specialmente in tempi di crisi economica. Il sovraindebitamento è la condizione in cui una persona o una famiglia non riesce più a far fronte alle proprie obbligazioni con le risorse disponibili, pur non essendo tecnicamente in fallimento. Per affrontare questi casi patologici, il legislatore italiano ha approntato una serie di strumenti normativi volti a offrire soluzioni ai debitori in difficoltà, garantendo al contempo un equilibrio con i diritti dei creditori. Questi strumenti mirano a evitare che la famiglia sommersa dai debiti sia spinta ai margini dell’economia o, peggio, verso circuiti illegali di credito (usura), e a favorirne invece il reinserimento finanziario regolare.

Nel 2012 è stata introdotta la Legge 3/2012, denominata anche legge sul sovraindebitamento o “salva-suicidi”, che per la prima volta ha offerto a privati, famiglie e piccoli imprenditori non soggetti a fallimento la possibilità di ristrutturare o cancellare i propri debiti attraverso procedure giudiziarie dedicate. Questa normativa, nata anche con l’obiettivo dichiarato di contrastare l’usura e l’estorsione, ha introdotto concetti innovativi quali il piano del consumatore, l’accordo di ristrutturazione per i piccoli imprenditori e la liquidazione del patrimonio del debitore sovraindebitato. Il filo conduttore era ed è quello di offrire una seconda chance al debitore onesto ma sfortunato, evitando un approccio meramente punitivo.

A partire dal 2019, l’intera disciplina è confluita nel nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), emanato con D.Lgs. 14/2019, che ha riordinato tutte le procedure concorsuali in un unico testo. Il CCII – entrato in vigore definitivamente nel 2022 e più volte modificato da decreti “correttivi” fino al 2024 – ha integrato la Legge 3/2012 nel suo alveo, mantenendone però lo spirito originario. Ciò significa che oggi le procedure di sovraindebitamento fanno parte di un sistema normativo più ampio, ma continuano a perseguire la medesima finalità: favorire il risanamento del debitore in difficoltà, in un’ottica di supporto e non punitiva, pur nel rispetto dei creditori. In dottrina e giurisprudenza si evidenzia come il principio del “favor debitoris” sia il cardine di queste norme: l’ordinamento privilegia soluzioni che agevolino il debitore meritevole a uscire dalla crisi, evitando che formalismi o interpretazioni restrittive ne frustrino l’accesso. L’obiettivo sociale è la reintegrazione economica e sociale del debitore sovraindebitato, specialmente se consumatore o piccolo imprenditore, evitando che venga espulso dal circuito produttivo.

Questa guida – aggiornata a luglio 2025 – offre un quadro avanzato della normativa italiana sul sovraindebitamento dal punto di vista del debitore. Si rivolgerà dunque sia ai professionisti (avvocati, commercialisti) che assistono famiglie indebitate, sia ai privati e piccoli imprenditori direttamente coinvolti. Verranno illustrati in linguaggio giuridico ma accessibile tutti gli strumenti a disposizione di una famiglia con debiti, con riferimenti alle novità più recenti introdotte dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (ad esempio l’esdebitazione del debitore incapiente, le nuove percentuali di voto e il cram down fiscale, le procedure familiari congiunte, ecc.), corredando il testo con sentenze aggiornate e riferimenti normativi puntuali.

La guida includerà inoltre tabelle riepilogative per schematizzare le informazioni chiave, una sezione di domande e risposte frequenti per chiarire i dubbi pratici più comuni, nonché alcune simulazioni pratiche (casi esemplificativi) basate su situazioni tipiche che possono riguardare le famiglie italiane indebitate. L’analisi sarà focalizzata esclusivamente sul contesto giuridico italiano e terrà conto sia dei debiti di natura privata (es. mutui, finanziamenti, fornitori) sia dei debiti verso il Fisco e altri enti pubblici, con un occhio di riguardo alle tutele relative alla casa familiare, ai beni essenziali e al patrimonio dei coniugi. Il tutto con un livello di approfondimento avanzato, adatto a chi desidera non solo comprendere come la legge può aiutare una famiglia indebitata, ma anche perché determinate soluzioni sono state predisposte e come vengono concretamente applicate nei tribunali sulla base delle ultime pronunce giurisprudenziali.

Quadro normativo attuale e principi generali

Dal 15 luglio 2022 l’Italia si è dotata di un corpus organico per la gestione delle crisi, il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), che ha abrogato la vecchia Legge Fallimentare e riunito in sé anche la disciplina del sovraindebitamento. In particolare, la Legge 3/2012 è stata formalmente abrogata e assorbita nel CCII, che ne ha ripreso e aggiornato gli istituti (il rinvio espresso è all’art. 390 CCII). Questo passaggio di consegne è avvenuto senza tradire la ratio originaria: la Relazione Illustrativa al D.Lgs. 14/2019 conferma infatti che permane lo “spirito originario” delle norme del 2012, ossia la volontà di offrire una via d’uscita legale ai debitori oppressi dai debiti, anche come strumento di prevenzione dell’usura.

Le novità introdotte dal Codice della Crisi (2019-2024)

Il CCII ha innanzitutto ampliato l’accesso alle procedure di sovraindebitamento, semplificando requisiti e adempimenti, soprattutto tramite i decreti correttivi emanati nel 2020, 2022 e da ultimo nel 2024 (c.d. Correttivo Ter). In particolare, con il D.Lgs. 83/2022, adottato in attuazione della Direttiva UE 2019/1023, e con il D.Lgs. 136/2024, sono state introdotte varie misure di favore per il debitore meritevole. Alcune novità di rilievo sono:

  • l’introduzione di una nuova procedura di esdebitazione a zero (per il debitore “incapiente”, v. oltre) che consente di cancellare i debiti anche a chi non possiede alcun patrimonio liquidabile;
  • la conferma e semplificazione delle procedure familiari congiunte per membri della stessa famiglia (art. 66 CCII), che permettono di presentare un’unica procedura per l’intero nucleo sovraindebitato, con risparmio di costi e maggiore efficienza;
  • la riduzione della quota di consenso dei creditori richiesta nell’accordo di ristrutturazione (ora 50% dei crediti, mentre la vecchia legge prevedeva il 60%);
  • l’eliminazione dell’obbligo di una domanda separata di esdebitazione al termine della liquidazione: oggi la liberazione dai debiti residui diventa automatica dopo 3 anni dall’apertura della liquidazione controllata, in assenza di contestazioni, accelerando la “riabilitazione” del debitore;
  • una più chiara definizione di “consumatore” (art. 2, co.1 lett. e CCII) per distinguere i casi in cui il debitore agisce per esigenze personali da quelli in cui opera come imprenditore/professionista. In sintesi, è consumatore chi contrae obbligazioni per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta – anche se è socio di una società – mentre i debiti legati all’attività d’impresa non rientrano nel piano del consumatore;
  • maggiori possibilità per le imprese “sotto-soglia” (piccoli imprenditori non fallibili) di accedere alle medesime procedure di sovraindebitamento, chiarendo la loro posizione (es. introducendo il concordato minore per i debitori non consumatori);
  • l’introduzione del merito creditizio ex parte creditoris: una valutazione critica dell’eventuale imprudenza delle banche o finanziarie che hanno concesso credito al di là delle capacità del debitore. In altri termini, gli istituti di credito che abbiano agevolato il sovraindebitamento concedendo prestiti irresponsabili possono vedere limitate le loro pretese: la normativa novellata “punisce” il comportamento scorretto del finanziatore, riconoscendo che il debitore poco diligente nel ricorrere al credito potrebbe essere stato incentivato o non frenato dal creditore professionale. Questo principio invita i giudici a tenere conto, nel valutare la meritevolezza del debitore, anche dell’eventuale violazione dei doveri di verifica del merito creditizio da parte dei creditori finanziari.

Tutte queste innovazioni rafforzano l’approccio di favor debitoris già menzionato, mirando a semplificare l’accesso e a garantire maggiore tutela a chi è in reale difficoltà economica. Si noti che il 2024 ha visto l’entrata in vigore del Terzo Correttivo (D.Lgs. 136/2024) che ha ulteriormente perfezionato la disciplina, in particolare per quanto riguarda i debitori consumatori, le procedure familiari e alcuni aspetti delle trattative con i creditori pubblici (introducendo criteri più stringenti per il cram down fiscale e cioè per poter imporre ai creditori erariali un accordo nonostante il loro dissenso).

Chi può accedere alle procedure di sovraindebitamento

Le soluzioni offerte dalla legge riguardano i soggetti non assoggettabili al fallimento (oggi alla liquidazione giudiziale) e in generale coloro che non rientrano nelle tradizionali procedure concorsuali riservate alle imprese medio-grandi. Questo include:

  • Persone fisiche consumatori, cioè privati cittadini che hanno contratto debiti per scopi personali (famiglie, lavoratori dipendenti, pensionati, disoccupati, ecc.);
  • Piccoli imprenditori commerciali e artigiani, al di sotto delle soglie di fallibilità (attivo patrimoniale ≤ 300.000 €, ricavi annui ≤ 200.000 €, debiti ≤ 500.000 €);
  • Imprenditori agricoli, tradizionalmente esclusi dal fallimento (anch’essi ora coperti dal sovraindebitamento);
  • Lavoratori autonomi e professionisti (medici, avvocati, ecc., anche con grandi debiti, purché persone fisiche);
  • Start-up innovative e altri enti non profit o a scopo idealistico (ONLUS, associazioni, fondazioni) non soggetti ad altre procedure concorsuali;
  • Soci di società di persone (snc, sas) o fideiussori che abbiano debiti personali derivanti dall’aver garantito obbligazioni altrui;
  • Eredi di imprenditori defunti per i debiti ereditari, purché abbiano accettato con beneficio d’inventario e sia trascorso un certo tempo dal decesso.

In pratica, quasi tutti i debitori “civili” o “minori” possono giovarsi di queste procedure. Fa eccezione il debitore assoggettabile a liquidazione giudiziale (cioè fallibile), tipicamente l’imprenditore sopra soglia: costui, se supera anche uno solo dei parametri di cui sopra, non potrà accedere al sovraindebitamento ma dovrà ricorrere alle procedure concorsuali ordinarie (fallimento, concordato preventivo, ecc.). In questa guida ci concentreremo comunque sul caso tipico di famiglia o piccolo imprenditore non fallibile. Da notare che il CCII ha aggiunto espressamente tra i possibili beneficiari anche i familiari conviventi del debitore sovraindebitato, per consentire – come vedremo – procedure unitarie familiari.

Requisito fondamentale è che il soggetto si trovi in uno stato di sovraindebitamento, definito dalla legge (art. 2, co.1 lett. c CCII) come quella situazione di perdurante squilibrio tra i debiti assunti e il patrimonio liquidabile o il reddito disponibile per farvi fronte, tale da rendere impossibile adempiere regolarmente alle obbligazioni. In parole semplici, occorre trovarsi nell’impossibilità di pagare i propri debiti con mezzi normali, pur senza che vi sia (o senza poter dichiarare) il fallimento. Non è necessario essere nullatenenti: si può avere anche un lavoro e dei beni, ma il carico debitorio deve essere sproporzionato e ingestibile nei tempi e modi previsti dai contratti o dalla legge.

Va inoltre rispettato un requisito di onestà e buona fede del debitore, spesso indicato con il termine di meritevolezza. La legge vuole aiutare chi è in difficoltà senza colpa grave, non chi ha frodato i creditori o assunto debiti con leggerezza estrema. In passato la Legge 3/2012 prevedeva un rigido “test” di meritevolezza, articolato su tre criteri (assenza di colpa grave o frode, assenza di ricorso al credito sproporzionato, e ragionevole prospettiva di adempimento al momento in cui si sono assunti i debiti). Dal 2020 questo filtro è stato attenuato: oggi il CCII (art. 69, co.1, per il piano del consumatore, e norme analoghe per le altre procedure) stabilisce più semplicemente che la proposta è inammissibile solo se il debitore ha determinato il sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode. Dunque non si richiede la “perfezione” nella condotta, ma si escludono i debitori con dolo o colpa molto grave. Ad esempio, un consumatore non sarà escluso solo perché ha compiuto scelte finanziarie imprudenti, mentre potrebbe esserlo se ha volutamente accumulato debiti sapendo di non pagarli o ha dissipato il patrimonio in modo fraudolento. La Cassazione, con sentenza n. 22890/2023, ha chiarito che i nuovi criteri (colpa grave, malafede o frode) devono guidare il giudice nell’accertare la meritevolezza, in sostituzione dei precedenti parametri più rigidi. Pertanto, oggi l’accesso alle procedure è più aperto: il debitore meritevole è colui che, pur essendo insolvente, non ha gravemente colpe proprie o intenti illeciti dietro la situazione debitoria.

Infine, è richiesto che il debitore non abbia già usufruito di queste procedure di recente. In base alla normativa previgente, chi avesse già ottenuto l’esdebitazione non poteva chiederne un’altra per almeno 5 anni (termine confermato nel CCII). Inoltre, se una procedura viene revocata o chiusa per inadempimento del debitore, questi non potrà ottenerne un’altra facilmente. Insomma, la “seconda chance” è unica o rara: non si può abusarne con leggerezza.

Le tipologie di procedure disponibili

Per aiutare la famiglia indebitata, l’ordinamento offre principalmente tre procedimenti giudiziari (più uno “straordinario”) a cui il debitore può accedere a seconda dei casi:

  1. Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (in breve piano del consumatore): è la procedura dedicata alle persone fisiche consumatori, cioè non fallibili che hanno debiti di natura per lo più personale (non professionale). Consente di proporre un piano di pagamento dei debiti sostenibile rispetto al proprio reddito, senza bisogno di consenso da parte dei creditori (decide il giudice).
  2. Concordato minore (già chiamato accordo di composizione dei debiti): è la procedura analoga al concordato preventivo ma per i debitori sotto-soglia (piccoli imprenditori, professionisti, ecc. non consumatori). Prevede un accordo con i creditori, che viene votato dagli stessi (serve la maggioranza dei crediti) e omologato dal tribunale. Consente anche la prosecuzione dell’eventuale attività d’impresa in crisi.
  3. Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio): è la procedura liquidatoria pura, in cui tutti i beni del debitore vengono messi a disposizione per essere venduti e ripartire il ricavato fra i creditori. È una sorta di “mini-fallimento” del privato o piccolo imprenditore insolvente. Viene avviata volontariamente dal debitore (o talvolta d’ufficio su conversione, se un piano o concordato non riesce) e dura al massimo 3 anni, trascorsi i quali il debitore ottiene l’esdebitazione dei debiti residui.
  4. Esdebitazione del debitore incapiente: è la novità introdotta dal CCII (artt. 283-287). Non si tratta di una procedura concorsuale con riparto di attivo, bensì di un provvedimento giudiziale che, in casi eccezionali, cancella tutti i debiti di una persona fisica meritevole che non abbia alcun patrimonio liquidabile né redditi aggredibili. È una sorta di “grazia” civile concessa una tantum al debitore onesto ma completamente a terra: vedremo i dettagli più avanti.

Accanto a queste vie giudiziali, esiste poi una procedura stragiudiziale assistita di più recente introduzione, pensata soprattutto per le imprese in difficoltà ma utilizzabile anche da piccole aziende familiari: la composizione negoziata della crisi d’impresa. Questa però si colloca prima dell’insolvenza conclamata, come strumento di emersione anticipata della crisi, e verrà trattata in una sezione dedicata, poiché differisce dalle procedure di sovraindebitamento propriamente dette.

Importante: l’accesso a queste procedure avviene su istanza volontaria del debitore (salvo rare eccezioni, ad es. i creditori possono chiedere d’ufficio la liquidazione se il debitore propone un piano inammissibile). Il debitore deve presentare ricorso al Tribunale competente (sezione specializzata o sezione fallimentare), allegando una serie di documenti (elenco dei creditori, delle proprietà, certificati vari, indici di bilancio se impresa, ecc.) e avvalendosi dell’assistenza di un organismo apposito: l’Organismo di Composizione della Crisi (OCC). L’OCC è composto da professionisti (gestori della crisi) iscritti in un apposito albo, con il compito di aiutare il debitore a elaborare il piano o la proposta, attestare la veridicità dei dati e la fattibilità della soluzione, e in generale fare da ausilio tecnico e da tramite con i creditori. La presenza dell’OCC è obbligatoria in queste procedure (svolge una funzione simile a quella del curatore o del commissario nelle procedure maggiori). Il debitore può rivolgersi a un OCC locale (spesso istituito presso le Camere di Commercio o gli Ordini professionali) per essere assistito sin dalla fase preparatoria.

Con il deposito del ricorso e l’ammissione alla procedura, il debitore ottiene protezione contro le azioni esecutive individuali. In particolare, il giudice può disporre la sospensione dei pignoramenti o delle aste già pendenti e vietare nuovi atti esecutivi da parte dei creditori, pendente la procedura. Ciò è fondamentale: presentare un piano di sovraindebitamento può letteralmente fermare un’asta immobiliare già programmata sulla casa o bloccare il pignoramento dello stipendio, creando uno spazio protetto nel quale trattare con i creditori in modo ordinato. La legge prevede queste “misure protettive” su richiesta del debitore, da pubblicarsi nel registro delle procedure di insolvenza, con effetto temporaneo (tipicamente fino all’omologazione o omologa negata). Anche in sede di composizione negoziata (strumento differente che vedremo) il debitore può chiedere misure protettive simili. È quindi possibile e consigliabile attivarsi prima che i creditori aggrediscano i beni, ma anche se l’azione esecutiva è già in corso non è troppo tardi: si può tentare di bloccarla attraverso l’accesso a una di queste procedure.

Riassumiamo in una tabella le caratteristiche essenziali dei diversi strumenti di composizione della crisi debitoria per le famiglie e i piccoli operatori:

Tabella 1 – Confronto tra le principali procedure di sovraindebitamento (CCII)

ProceduraDestinatari tipiciCome funzionaApprovazioneEsito sui debiti
Piano del consumatore (ristrutturazione debiti consumatore)Privati e famiglie consumatori (no debiti d’impresa). Anche coobbligati e fideiussori di debiti altrui se personali.Il debitore propone un piano di pagamento sostenibile (es. dilazioni, stralcio parziale) in base al suo reddito e patrimonio. L’OCC attesta fattibilità e convenienza per i creditori.Decisione del giudice senza voto dei creditori (salvo il loro diritto di opposizione). Il tribunale omologa se il piano è fattibile e il debitore meritevole (nessuna frode/colpa grave).Se il piano viene eseguito regolarmente, i debiti restanti vengono cancellati (esdebitati). (Eventuali inadempimenti possono portare alla revoca e alla liquidazione).
Concordato minore (ex accordo)Debitori non consumatori: piccoli imprenditori, professionisti, start-up, società sotto-soglia, oppure consumatori con debiti “promiscui” legati in parte all’attività. Famiglie in cui almeno un membro è imprenditore.Il debitore presenta una proposta di accordo con pagamento parziale dei debiti, eventualmente in continuità aziendale (proseguendo l’attività). L’OCC prepara la relazione. Possibile suddivisione in classi di creditori.Votazione dei creditori: serve il sì di almeno il 50% dei crediti chirografari totali (esclusi privilegiati soddisfatti). Il tribunale omologa se c’è la maggioranza e verifica legalità e fattibilità. Possibile cram down sui crediti fiscali/IVA solo se il piano offre almeno quanto il realizzo in liquidazione e le rigidità di legge (pagamento parziale ammesso in base all’art. 63 CCII).Dopo l’omologazione, il piano concordatario vincola tutti i creditori anteriori. A esecuzione conclusa, il debitore è liberato dai debiti residui (salvo quelli esclusi per legge). Se la maggioranza non è raggiunta o l’omologa fallisce, si può ripiegare sulla liquidazione controllata.
Liquidazione controllata (del patrimonio)Qualsiasi debitore sovraindebitato che non vede fattibile un piano o un accordo, oppure che sceglie di liquidare tutto subito. Anche i debitori non meritevoli possono accedere (ma rischiano di non ottenere l’esdebitazione).Si apre una procedura concorsuale in cui un liquidatore nominato dal tribunale vende i beni del debitore (tranne quelli impignorabili) e distribuisce il ricavato ai creditori secondo le cause di prelazione. Il debitore deve collaborare e mettere a disposizione il patrimonio e parte del reddito eccedente il minimo vitale. La procedura dura al massimo 3 anni per la liquidazione dell’attivo residuo (oltre eventuali proroghe per beni difficili da vendere).Decisione del giudice sull’apertura (non c’è voto dei creditori). Il tribunale verifica i requisiti e dichiara aperta la liquidazione; i creditori presentano le domande di ammissione al passivo e ricevono riparti pro-quota.Al termine (o anche prima, se il ricavato è esaurito) il debitore persona fisica ottiene di regola l’esdebitazione automatica dei debiti non soddisfatti, senza bisogno di ulteriore istanza (salvo che sia negata per frodi o irregolarità gravi). In pratica dopo la liquidazione il debitore è libero dai debiti residui. (Nota: il beneficio è escluso per alcune tipologie di debito, es. obblighi alimentari, risarcimenti da fatti illeciti dolosi, multe penali).
Esdebitazione del debitore incapiente (c.d. “esdebitazione senza utilità”)Persona fisica nullatenente o quasi, cioè che non dispone di beni liquidabili né di reddito pignorabile, ma che al contempo risulta meritevole (insolvenza dovuta a cause sfortunate e non a mala fede).Il debitore può chiedere al tribunale di essere esdebitato senza pagare nulla ai creditori. Deve allegare tutti i dati e motivare la propria meritevolezza e l’assenza di attivo. L’OCC interviene per verifiche. I creditori e il curatore (se c’è un fallimento chiuso) possono opporsi.Provvedimento del tribunale: se ritiene che il debitore sia meritevole e davvero incapiente, emette un decreto di esdebitazione totale di tutti i debiti. Vale una sola volta nella vita.Tutti i debiti antecedenti sono definitivamente cancellati, come in un fallimento senza attivo. Tuttavia per i 4 anni successivi il debitore ha l’obbligo di pagamento se “ritorna a migliore fortuna”: se cioè consegue utilità rilevanti (vincite, eredità, donazioni, redditi) tali da poter soddisfare almeno il 10% dei vecchi debiti, deve informare i creditori e versare tale importo nei limiti del disponibile. L’omissione di questa informativa può portare alla revoca del beneficio.

(Nella tabella non sono indicati tutti i dettagli e le eccezioni, ma offre un quadro comparativo generale.)

Nei paragrafi successivi approfondiremo ciascuna di queste soluzioni, con particolare attenzione agli aspetti più rilevanti per la famiglia debitrice (ad esempio la salvaguardia dell’abitazione principale, i rapporti con eventuali garanti, e così via). Vedremo inoltre le tutele patrimoniali familiari (casa, beni essenziali, regime coniugale) e le modalità con cui la legge consente di difendersi dai pignoramenti eccessivi.

Il Piano del consumatore: ristrutturare i debiti della famiglia

Il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore – chiamato comunemente piano del consumatore – è lo strumento principe pensato per le famiglie indebitate. Si tratta di una procedura introdotta dalla Legge 3/2012 (artt. 6-12) e ora disciplinata dagli artt. 65-73 CCII, riservata al debitore persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale (definizione di consumatore). In pratica ne può beneficiare la famiglia “tipo”: lavoratori dipendenti, pensionati, disoccupati, casalinghe, ecc., con mutui, prestiti al consumo, scoperti di conto, carte di credito, bollette arretrate, canoni di locazione, debiti condominiali, tributi locali o erariali non pagati, e simili. Anche i fideiussori di debiti altrui vi possono accedere, a condizione che il debito garantito riguardi un’obbligazione di natura personale altrui (ad es. genitore garante del mutuo del figlio per l’acquisto della casa familiare). È invece escluso che col piano del consumatore si ristrutturino debiti contratti nell’esercizio di un’attività di impresa o professionale propria del debitore; in tal caso occorre il concordato minore (o, se i debiti sono promiscui, si valuterà la procedura in base alla parte prevalente, v. infra).

Come funziona un piano del consumatore? In sostanza, il debitore elabora – con l’aiuto dell’OCC e del proprio legale – un progetto di rientro dai debiti, proponendo di pagarli in modo sostenibile rispetto al suo bilancio familiare. Questo può significare diverse cose a seconda dei casi: ad esempio, dilazionare i pagamenti su un periodo più lungo e a rate più basse; proporre un pagamento parziale (stralcio) dei crediti chirografari, offrendo ai creditori solo una percentuale dell’importo dovuto; vendere alcuni beni di proprietà per ricavare liquidità da distribuire; o una combinazione di queste misure. L’obiettivo è costruire un piano che il debitore sia effettivamente in grado di rispettare, garantendo però ai creditori una soddisfazione almeno pari a quella che otterrebbero altrimenti (ad esempio eseguendo pignoramenti individuali o, parametricamente, in una liquidazione concorsuale). Il piano può prevedere anche l’intervento di terzi (per esempio un parente disponibile a versare una somma una tantum per chiudere i debiti) e qualsiasi forma tecnica di soluzione del debito, purché lecita e concretamente attuabile.

Un elemento di favore, cruciale, è che non serve l’assenso dei creditori: questi non votano sul piano. Il giudice è al centro della procedura. Egli, all’udienza fissata, verifica la regolarità formale, ascolta l’eventuale parere dell’OCC e le eventuali opposizioni dei creditori, quindi decide se omologare il piano. L’omologazione verrà concessa se:

  • a) risultano rispettati i requisiti di legge (completezza della documentazione, corretta informazione ai creditori, assenza di atti in frode, ecc.);
  • b) il piano appare fattibile e idoneo a garantire ai creditori quanto meno il plus che otterrebbero dalla liquidazione del patrimonio del debitore (c.d. convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria);
  • c) il debitore è meritevole, ossia non ha causato il proprio dissesto con dolo o colpa grave e non sta abusando della procedura.

Se queste condizioni sono soddisfatte, il tribunale omologa il piano anche con il dissenso dei creditori (alcuni creditori potrebbero essersi opposti, ma la legge consente di superarli). Il decreto di omologazione rende il piano vincolante per tutti i creditori anteriori, i quali non possono più agire esecutivamente in modo autonomo ma dovranno accontentarsi di quanto previsto nel piano. Durante l’esecuzione, il debitore effettua i pagamenti stabiliti (spesso sotto il controllo dell’OCC, che può essere nominato ausiliario per vigilare sull’adempimento).

Un vantaggio notevole del piano del consumatore è che consente di includere praticamente ogni tipo di debito: ad esempio debiti bancari e finanziari, bollette e fornitori, debiti fiscali e contributivi (anche se con questi occorre rispettare eventuali limiti legali: ad es. l’IVA e le ritenute non versate possono essere solo dilazionate ma non falcidiate nella quota capitale). Sono invece esclusi solo i debiti che la legge dichiara inesdebitabili, come le obbligazioni alimentari (es. somme dovute per mantenimento a coniuge o figli) e le sanzioni penali. I debiti tributari e verso l’erario possono essere ristrutturati nel piano; in particolare, il Correttivo 2024 ha introdotto regole più severe per il cram-down fiscale, ossia per imporre il piano anche all’Erario in assenza di adesione: occorre che il piano offra al Fisco almeno quanto ricaverebbe in una liquidazione e soddisfi le altre condizioni di legge, pena il diniego di omologazione. È quindi importante studiare con attenzione il trattamento dei debiti fiscali nel piano, magari prevedendo il pagamento integrale di IVA e ritenute e una percentuale congrua sugli altri tributi, onde ottenere l’omologazione anche senza accordo con l’Agente della Riscossione.

Un aspetto centrale per le famiglie è la tutela dell’abitazione principale. Il piano del consumatore può prevedere modalità per salvare la casa dal pignoramento. In particolare, se la famiglia ha un mutuo ipotecario sulla prima casa, una strategia frequente è continuare a pagare regolarmente le rate del mutuo, escludendo di fatto la banca ipotecaria dal concorso (poiché già soddisfatta secondo i termini contrattuali), e concentrare il piano sugli altri debiti. Il nuovo CCII ha esplicitamente riconosciuto questa possibilità: con l’attestazione dell’OCC, il debitore può mantenere il pagamento del mutuo casa e questo migliora la protezione dell’abitazione in ambito familiare. In pratica, il giudice autorizza il debitore a non “toccare” il mutuo e quindi la banca non procederà alla risoluzione del contratto né all’esecuzione sull’immobile, mentre gli altri creditori chirografari otterranno soddisfazione secondo il piano. È una novità importante perché garantisce la stabilità abitativa: la famiglia non perde la casa e prosegue i pagamenti al creditore ipotecario, utilizzando le risorse rimanenti per accontentare parzialmente gli altri creditori. Naturalmente, ciò deve essere sostenibile: bisogna avere un reddito sufficiente a onorare il mutuo e al contempo dare qualcosa agli altri creditori nel piano (anche minimo, purché sia il massimo realizzabile in concreto).

Dal punto di vista procedurale, una volta presentato il ricorso per piano del consumatore, il tribunale, se la documentazione è completa, fissa udienza e può concedere subito le misure protettive (blocco dei pignoramenti). Dopo l’omologa, il piano entra in esecuzione. Se il debitore rispetta integralmente quanto promesso (ad esempio paga tutte le 60 rate previste, oppure versa ai creditori concordatari la somma concordata entro i termini), al termine ottiene l’esdebitazione automatica su tutti i debiti residui anteriori non soddisfatti. In altri termini, il tribunale attesta la completa liberazione del debitore: i creditori non possono più pretendere nulla oltre a quanto ricevuto. Il debitore torna ad una situazione di solvibilità, “ripulito” dai vecchi debiti. Questa è la meta auspicata.

Se invece il debitore non esegue il piano come stabilito – ad esempio salta delle rate o non adempie ad obblighi particolari – i creditori possono chiedere la risoluzione del piano e la revoca dell’esdebitazione. Le conseguenze sono gravi: si perde la protezione e i creditori tornano liberi di agire (fatti salvi gli importi eventualmente già incassati). Spesso, la risoluzione del piano comporta l’apertura di una liquidazione controllata dei beni residui del debitore, come rimedio finale. È quindi fondamentale, quando si imposta un piano del consumatore, prevedere rate e condizioni realistiche, magari inserendo clausole di flessibilità (ad es. tolleranza di qualche giorno di ritardo, o la possibilità di vendere un bene se non si riescono a pagare alcune rate) per evitare la risoluzione.

Un ultimo aspetto: la legge tutela il debitore anche da possibili sanzioni di comportamento. Ad esempio, se la famiglia ha in corso una cessione del quinto sullo stipendio, ossia sta già pagando un debito con trattenuta diretta sul salario, presentando un piano del consumatore si può ottenere la sospensione di quella trattenuta. I finanziamenti con cessione del quinto vengono infatti equiparati agli altri debiti chirografari: l’istituto che preleva il quinto diventa a tutti gli effetti un creditore concorsuale come gli altri, e non può continuare a prendersi la quota di stipendio al di fuori del piano. In concreto, quando il giudice ammette la procedura, dispone che il datore di lavoro sospenda la cessione: ciò libera risorse mensili per il piano stesso, da distribuire equamente tra tutti i creditori chirografari. Questo è molto utile per le famiglie, perché la cessione del quinto spesso riduce drasticamente il reddito disponibile, ma grazie al piano si può “congelare” quel prelievo preferenziale e ricomprenderlo nel trattamento generale dei debiti.

Procedura familiare nel piano del consumatore: Il CCII consente a più membri della stessa famiglia, conviventi o legati da debiti di origine comune, di presentare un unico piano del consumatore familiare (art. 66). Ad esempio, marito e moglie entrambi indebitati per aver firmato insieme un mutuo o finanziamento, oppure genitore e figlio coobbligati su un prestito, possono fare un’unica procedura. Ciò riduce i costi (un solo OCC, un solo procedimento) e permette di coordinare al meglio la soluzione. Ogni familiare rimane separatamente responsabile dei propri debiti, ma il giudice tratta il caso unitariamente, assicurando che non vi siano conflitti (ad es. nomina un unico gestore della crisi). Le masse attive e passive restano distinte, poiché ciascuno risponde solo dei propri debiti (principio di responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c.). Questo significa che, nel pagare i creditori, non si possono usare i beni di un coniuge per pagare i debiti esclusivi dell’altro. Tuttavia, all’atto pratico, un piano familiare consente di sfruttare al meglio le risorse comuni: ad esempio impiegare parte del reddito di uno per pagare in percentuale anche i debiti dell’altro, se ciò è frutto di accordo interno e rispetta il limite di cui sopra. In ogni caso, la procedura familiare evita duplicazioni: se due coniugi avevano entrambi procedure pendenti, il giudice le riunirà in una sola. Vale la pena ribadire che possono accedere al piano familiare solo soggetti tutti qualificabili come consumatori; se uno dei familiari è imprenditore non consumatore, si deve adottare la forma del concordato minore familiare (vedi oltre). Su questo punto la giurisprudenza si sta assestando: la Cassazione nel 2023 (ord. n. 22699/2023) ha affermato che la presenza di debiti promiscui (in parte professionali) non impedisce l’accesso al piano del consumatore se prevale la componente personale, ma restano margini d’incertezza applicativa, specie in contesti familiari misti. Il Correttivo Ter 2024 ha comunque chiarito che i membri della famiglia consumatori possono accedere alla ristrutturazione dei debiti (piano) congiunta, mentre per i non consumatori c’è il concordato minore.

In sintesi, il piano del consumatore è uno strumento estremamente potente per la famiglia indebitata: consente di rimodulare il debito secondo le capacità reali, sotto la protezione del tribunale, evitando l’aggressione disordinata dei creditori. Se ben congegnato e sorretto da buona fede, può portare alla completa liberazione dai debiti in un periodo relativamente breve, salvaguardando il necessario per vivere dignitosamente (casa, stipendio minimo, beni essenziali). Non a caso è stato definito un mezzo per “ossigenare” la vita economica delle famiglie sovraindebitate, rifacendosi al principio per cui anche il debitore civile ha diritto a un fresh start (nuovo inizio) dopo aver fatto quanto possibile per soddisfare i creditori.

Il Concordato minore: accordo di ristrutturazione per piccoli imprenditori e professionisti

Il concordato minore è la procedura riservata ai debitori sovraindebitati non qualificabili come consumatori, ovvero coloro i cui debiti sono in prevalenza legati a un’attività d’impresa o professionale. In sostanza, è l’erede del vecchio “accordo di composizione della crisi” della L.3/2012, ma con alcune modifiche significative. Possono accedervi tutti i soggetti non fallibili (imprese sotto-soglia, professionisti, start-up, imprenditori agricoli) quando l’indebitamento riguarda la loro attività economica, oppure i soci illimitatamente responsabili di società, o anche, in procedura familiare, nuclei in cui uno o più membri non siano consumatori. Nulla vieta, teoricamente, che anche un consumatore puro opti per il concordato minore, ma avrebbe poco senso perché il piano del consumatore gli offre vantaggi maggiori (assenza di voto). Si può comunque pensare al concordato minore in casi di debiti misti, dove per prudenza il debitore preferisca sottoporre tutto a voto anziché rischiare eccezioni di inammissibilità come piano.

La logica del concordato minore è analoga a quella di un concordato preventivo semplificato: il debitore propone un accordo di ristrutturazione ai creditori, impegnandosi a pagare in un certo modo e misura i propri debiti. L’accordo può prevedere la continuità aziendale, totale o parziale – ad esempio l’imprenditore può proporre di continuare a gestire la sua azienda o attività professionale, utilizzandone i ricavi futuri per pagare i creditori in percentuale. Oppure può essere in forma liquidatoria, prevedendo la vendita di beni (anche attraverso un assuntore esterno) e la distribuzione del ricavato. Si possono distinguere classi di creditori (ad esempio separare fornitori chirografari, banche chirografarie, creditori privilegiati degradati, ecc.) se opportuno. A differenza del piano del consumatore, qui i creditori votano: serve il voto favorevole dei creditori chirografari che rappresentino almeno il 50% dei crediti chirografari ammessi al voto (quindi computando anche gli eventuali privilegiati per la parte non coperta da garanzia/ipoteca). È stata abbassata la soglia rispetto al 60% richiesto dalla L.3/2012, facilitando l’approvazione. Non conta il numero di creditori ma l’ammontare dei crediti.

Vediamo uno schema semplificato di concordato minore: poniamo un artigiano con debiti totali di 100. Propone di pagare 40 così suddivisi: i debiti con ipoteca (per es. un mutuo) magari al 100% ma con scadenze prorogate; i debiti chirografari al 40% in 4 anni; i debiti fiscali con stralcio delle sanzioni e pagamento del 30% del tributo in 5 anni. Se i creditori chirografari che rappresentano oltre la metà del totale crediti chirografari votano sì (espresso o tacito, perché la legge prevede che la mancata risposta valga come consenso), il piano passa. Il tribunale poi omologa l’accordo, verificando che la procedura sia regolare, che i privilegiati ricevano almeno quanto avrebbero dalla liquidazione, e – importante – che il debitore non abbia violato la disciplina di meritevolezza (anche qui, niente frode o colpa grave). In sede di omologa, se qualche creditore dissenziente contesta la convenienza del concordato, il giudice deve valutare che non sia trattato detriorativamente rispetto all’alternativa liquidatoria; diversamente, può negare l’omologazione a tutela di quel creditore.

Un nodo particolare riguarda i creditori pubblici (Erario ed enti previdenziali). Per essi, il CCII consente il cram down fiscale nel concordato minore a certe condizioni rigorose (art. 74 CCII): in breve, se l’ente ha rifiutato l’adesione alla proposta, il tribunale può comunque omologare forzosamente l’accordo purché la proposta soddisfi il fisco in misura non inferiore a quanto otterrebbe in una liquidazione e purché sia intervenuta la votazione favorevole dei creditori chirografari non pubblici che rappresentino la maggioranza. Sono inoltre previsti requisiti di contenuto (ad es. la falcidia dell’IVA e delle ritenute è ammessa solo se vi è un apporto esterno che incrementa la soddisfazione di tali crediti, come da art. 63 CCII). Il terzo correttivo 2024 ha reso più stringenti questi requisiti, per bilanciare l’esigenza di tutela del gettito con la finalità di risanamento. In pratica, chi vuole forzare un accordo sul fisco deve predisporre un piano ben congegnato e di convenienza evidente.

Se non si ottiene il quorum del 50% dei crediti, oppure se il giudice nega l’omologa (per motivi di meritevolezza mancante o convenienza insufficiente per qualche classe), la procedura di concordato minore viene chiusa con esito negativo. A questo punto, il debitore di solito ha la possibilità di “ripiegare” sulla liquidazione controllata: può farne istanza contestuale nel ricorso iniziale (domanda in subordine) o anche successiva, entro certi termini, evitando così di dover ricominciare da capo con un nuovo procedimento. Questa possibilità di conversione è espressamente prevista per evitare che il fallimento delle trattative lasci il debitore senza tutela.

Va sottolineato che, a differenza del concordato preventivo delle grandi imprese, il concordato minore non richiede soglie minime di pagamento per i chirografari (nel concordato preventivo ordinario serve il 20% minimo ai chirografari, qui no). In teoria, quindi, il piccolo imprenditore potrebbe proporre di pagare anche solo il 5% ai chirografari se proprio quello è il massimo possibile: se i creditori accettano e c’è convenienza rispetto alla liquidazione, il concordato può essere omologato. Questo dà flessibilità, anche se ovviamente più l’offerta è bassa meno probabile è ottenere il voto favorevole dei creditori.

Durante la pendenza del concordato minore, il debitore gode anch’egli delle misure protettive: dalla data di pubblicazione del ricorso sul registro delle imprese (o comunicazione ai creditori) e su provvedimento del giudice, sono sospese le azioni esecutive individuali. Ciò consente di negoziare “a parità di armi” senza inseguire le urgenze dei singoli pignoramenti.

Un altro beneficio comune col piano del consumatore è che, una volta completata con successo l’esecuzione del concordato minore, il debitore ottiene la piena esdebitazione su tutti i crediti concorsuali residui (tranne quelli esclusi per legge). Ad esempio, se il concordato prevedeva di pagare il 50% dei crediti chirografari e ciò viene fatto, il restante 50% viene di fatto cancellato: i creditori perdono il diritto di pretenderlo in futuro. L’omologazione del concordato e il successivo decreto di attestazione di avvenuto adempimento (ove previsto) formalizzano questa liberazione.

È possibile che nel concordato minore siano coinvolti più membri di una stessa famiglia (concordato familiare). Ad esempio, moglie e marito in comunione che gestiscono insieme una piccola attività commerciale e hanno debiti d’impresa potrebbero presentare un concordato minore congiunto. In tal caso valgono le stesse considerazioni fatte per il piano familiare: unica procedura, ma masse distinte e niente confusione di patrimoni. Un punto critico specifico, evidenziato dalla dottrina, è cosa accade se in un concordato minore familiare uno dei debitori (es. il marito imprenditore) deve sottoporre il suo piano a voto e non ottiene la maggioranza, mentre l’altra (es. la moglie consumatrice) avrebbe potuto avere un piano approvato di diritto. Il Correttivo Ter ha introdotto una norma secondo cui se in procedura familiare c’è un debitore non consumatore che non raggiunge la maggioranza, l’intera procedura familiare purtroppo non può proseguire per il solo consumatore su base non votata. Questa è una conseguenza dell’unitarietà della procedura: o passa tutto, o nulla, per evitare disparità tra familiari uniti. È una materia un po’ tecnica che i giudici stanno affrontando con pragmatismo, a volte separando ex post le procedure se conviene.

In definitiva, il concordato minore è la valvola di salvataggio per quelle famiglie in cui il sovraindebitamento derivi dall’impresa familiare, dal lavoro autonomo o comunque da iniziative economiche. Permette di trovare soluzioni negoziate con i creditori, eventualmente conservando l’attività (da cui spesso dipende il reddito della famiglia). È uno strumento meno “sbilanciato” a favore del debitore rispetto al piano del consumatore (perché i creditori hanno voce in capitolo), ma resta molto più flessibile e accessibile di un concordato preventivo ordinario. Il suo successo dipende in buona parte dall’atteggiamento dei creditori: se essi comprendono che l’accordo conviene più della liquidazione forzata, voteranno sì. In questo senso, il ruolo dell’OCC e del professionista che assiste il debitore è cruciale: bisogna presentare ai creditori una proposta seria, credibile e ben attestata, che li convinca che accettare meno oggi è meglio che rincorrere magari invano il 100% domani.

La Liquidazione controllata: sacrificio dei beni per ripartire da zero

Quando una famiglia sovraindebitata non ha prospettive di rimborsare i debiti nemmeno parzialmente con le proprie entrate, o quando le trattative con i creditori falliscono, resta l’ultima spiaggia delle procedure di composizione: la liquidazione controllata del sovraindebitato. Questa procedura – regolata dagli artt. 268-277 CCII – è sostanzialmente l’equivalente del fallimento (ora chiamato liquidazione giudiziale) ma applicato a persone fisiche consumatori, piccoli imprenditori e altri soggetti non fallibili. In passato si parlava di liquidazione del patrimonio nella L.3/2012.

L’idea base è semplice: il debitore mette a disposizione tutto il suo patrimonio liquidabile, che viene venduto sotto il controllo del tribunale per soddisfare i creditori il più possibile, e in cambio ottiene la cancellazione dei debiti che rimangono scoperti. È un percorso di sacrificio patrimoniale totale, che però offre la garanzia di un fresh start finale. Spesso vi si ricorre quando: i) il debitore non è in grado di proporre neppure un piano di pagamento parziale (es. zero reddito disponibile); ii) i creditori non hanno accettato un accordo o il piano è stato dichiarato inammissibile; iii) il debitore stesso preferisce chiudere subito ogni partita, perdendo i beni ma liberandosi in tempi certi dei debiti.

Come si avvia: il debitore presenta un ricorso per aprire la liquidazione controllata, elencando dettagliatamente il proprio attivo e passivo. In alternativa, può essere il giudice a convertire in liquidazione un piano del consumatore o concordato minore che sia andato male (domanda in subordine, o su istanza del debitore dopo omologa negata). Nel raro caso di atti in frode, anche i creditori potrebbero chiedere l’apertura d’ufficio, ma in generale la liquidazione è su base volontaria. Il tribunale, verificata la sussistenza dello stato di sovraindebitamento e la documentazione, dichiara aperta la liquidazione con un apposito decreto. Da quel momento, il patrimonio del debitore diventa un “bene comune” dei creditori: viene nominato un liquidatore giudiziale (spesso un professionista esperto in procedure concorsuali) che ha il compito di prendere in consegna tutti i beni, venderli con criteri di realizzo ottimale e distribuire il ricavato ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione.

Gli effetti per la famiglia debitrice sono simili a un fallimento personale:

  • Il debitore perde la disponibilità e amministrazione dei suoi beni presenti e futuri (salvo quelli impignorabili per legge, di cui diremo dopo). Può comunque continuare a svolgere attività lavorativa e disporre dei redditi correnti, ma con il vincolo che la parte eccedente le ordinarie necessità di sostentamento verrà prelevata dal liquidatore per la massa dei creditori.
  • Tutte le azioni esecutive in corso sono sospese e i beni pignorati confluiscono nella liquidazione; i creditori non possono iniziare nuovi pignoramenti individuali.
  • Si forma lo stato passivo: i creditori devono presentare domanda di ammissione entro termini prefissati e il liquidatore, sotto la supervisione di un giudice delegato, verifica i crediti e li ammette se sussistenti. Si seguono regole analoghe al fallimento: i crediti privilegiati (ipotecari, pignoratizi, privilegi speciali e generali) verranno soddisfatti per primi col ricavato dei beni su cui hanno prelazione, i chirografari solo dopo ed in proporzione.
  • Il liquidatore può sciogliere contratti in corso (ad es. può recedere da un contratto di affitto se conviene alla massa), può esercitare azioni recuperatorie (come l’azione revocatoria di atti dispositivi compiuti prima della procedura, se c’è stato depauperamento a danno dei creditori) e in generale compie tutti gli atti necessari alla liquidazione.

Per la famiglia, questo chiaramente significa perdere i beni di proprietà: tipicamente la casa di proprietà verrà messa all’asta (salvo forse eccezioni se è prima casa non ipotecata e c’è il divieto per il Fisco, ma in liquidazione concorsuale quel divieto non opera per creditori diversi dal Fisco). Anche eventuali seconde auto, conti bancari, investimenti, verranno utilizzati per pagare i debiti. Tuttavia – ed è qui la logica di “come la legge ti aiuta” – in cambio di questo azzeramento patrimoniale il debitore persona fisica ottiene, a chiusura della procedura, l’esdebitazione di tutti i debiti non pagati. Il CCII ha reso automatico questo beneficio: dopo 3 anni dall’apertura della liquidazione (termine massimo di durata), il giudice dichiara esdebitato il debitore per la parte di debito non soddisfatta, senza bisogno di presentare un’apposita domanda come avveniva con la legge precedente. Solo se emergono irregolarità gravi o abuso (ad esempio il debitore ha nascosto beni, o ha violato obblighi di collaborazione, o è stato condannato per bancarotta fraudolenta, etc.) l’esdebitazione può essere negata. In assenza di motivi ostativi, la liberazione dai debiti è integrata nel provvedimento conclusivo della liquidazione. Ciò costituisce un incentivo per il debitore a cooperare e sopportare la procedura: sa che dopo un tempo definito – 3 anni appunto – potrà ripartire da zero, senza più quel fardello.

Durante la procedura, va notato che al debitore è lasciato un minimo per vivere: rientra nei compiti del giudice stabilire quale parte di eventuali redditi periodici il debitore può trattenere. Normalmente, si applicano i limiti di pignorabilità dello stipendio (circa 1/5) e comunque si deve lasciare al debitore un importo almeno pari all’assegno sociale aumentato della metà (il famoso “minimo vitale” di cui tratteremo dopo). I beni assolutamente impignorabili (abbigliamento, mobili indispensabili, etc., vedi oltre) restano in suo possesso e non entrano nella liquidazione. In tal modo, la procedura concorsuale cerca di equilibrare il sacrificio richiesto con la dignità del debitore e della sua famiglia, che non deve essere privata dei mezzi di sostentamento basilari.

Un aspetto peculiare previsto dalla legge è che la liquidazione controllata può rivelarsi utile anche per accelerare la chiusura della crisi: se ad esempio il patrimonio è modesto ma non del tutto inesistente, i creditori potrebbero essere pagati in tempi relativamente brevi e il debitore liberarsi dei debiti. Ad esempio, se Tizio possiede solo un piccolo appartamento e qualche risparmio, venduto quello e distribuito il ricavato (supponiamo i creditori ricevono un 20% dei loro crediti), la procedura può anche chiudersi prima dei 3 anni se non c’è altro da liquidare. L’esdebitazione in tal caso può essere concessa al più presto subito dopo la chiusura formale. La norma del CCII sul limite triennale serve proprio a evitare che procedure con poco attivo si trascinino troppo a lungo inutilmente.

Un altro elemento migliorativo introdotto è che, diversamente dal fallimento classico, nella liquidazione controllata non c’è più bisogno di un’istanza separata per l’esdebitazione: il beneficio è intrinseco, come detto. In passato molti debitori inconsapevoli perdevano la chance perché non presentavano la domanda di esdebitazione nei 12 mesi dalla chiusura del fallimento; ora questo rischio di decadenza è superato, garantendo di fatto il fresh start automatico.

Si tenga presente che se dovessero emergere atti di frode o comportamenti dolosi del debitore durante la procedura (ad es. occultamento di beni, distrazione di attivo, false attestazioni), il giudice può revocare la liquidazione e dichiarare improcedibile la domanda, lasciando i crediti insoddisfatti vivi. Inoltre, l’esdebitazione non coprirà eventuali debiti per risarcimenti di danni da fatto illecito doloso e le obbligazioni alimentari e di mantenimento: queste voci restano dovute anche post-liquidazione (il che è giusto, perché sono debiti di natura personale particolare, legati a doveri di legge non estinguibili per beneficio).

Per le famiglie la liquidazione controllata, pur dolorosa, può essere la via per uscire da situazioni disperate in cui non si vede possibilità di pagare nemmeno una minima parte ai creditori. Ad esempio, consideriamo una famiglia che, dopo la perdita del lavoro di uno dei coniugi, si trova con mutuo arretrato, finanziarie non pagate e nessun reddito sufficiente: se né un piano né un accordo sono sostenibili, offrire ai creditori la liquidazione della casa (se ipotecata la prenderà comunque la banca) e poco altro in cambio della cancellazione dei debiti può essere preferibile a rimanere inseguiti a vita dai creditori senza via d’uscita. Dopo la liquidazione, i coniugi potranno ricominciare in affitto e con i soli redditi, senza dover destinare tutto ai vecchi debiti.

Un elemento di flessibilità presente nella disciplina: anche il debitore incapiente può accedere alla liquidazione. Seppur sembri paradossale (“liquidare il niente”), la legge lo prevede per dare una formalità alla situazione. In tal caso, la procedura potrebbe chiudersi immediatamente per mancanza di attivo e il debitore potrebbe accedere direttamente all’esdebitazione. Tuttavia, come vedremo, per il debitore completamente incapiente c’è ora l’alternativa di chiedere subito l’esdebitazione senza liquidazione (se meritevole), quindi va valutato quale strada convenga.

Riassumendo, la liquidazione controllata è l’estrema ratio per il debitore onesto: perdere i beni oggi per non avere più debiti domani. La legge la disegna in modo da evitare, per quanto possibile, inutili punizioni: 3 anni di durata massima, protezione del minimo vitale e dei beni di prima necessità, e pulizia totale dei debiti residui. È un fallimento personale ma con “finale positivo” per il debitore che ha collaborato.

L’esdebitazione: il perdono dei debiti e la “fresh start”

Il termine esdebitazione indica la liberazione del debitore persona fisica da tutte le obbligazioni ancora rimaste insoddisfatte al termine di una procedura concorsuale. In altre parole, è il beneficio della remissione dei debiti residui, che permette al debitore di ripartire senza strascichi. Questo istituto, sconosciuto nel vecchio impianto del codice civile, è stato introdotto in Italia prima per i fallimenti (dal 2006) e poi esteso e adattato al sovraindebitamento.

Nel contesto di cui stiamo parlando, l’esdebitazione opera in due forme:

  1. Esdebitazione successiva a procedura di sovraindebitamento ordinaria: sia nel piano del consumatore che nel concordato minore, l’esdebitazione è l’effetto naturale dell’avvenuto adempimento del piano. Se il piano/concordato viene eseguito fino in fondo, il giudice emette un decreto che attesta l’adempimento e dichiara inesigibili i crediti residui falcidiati. Nel caso della liquidazione controllata, come detto, l’esdebitazione è concessa con decreto al termine della procedura (o dopo 3 anni dall’apertura, se la procedura è ancora pendente), a condizione che il debitore abbia cooperato lealmente. Da quel momento il debitore persona fisica è liberato da tutti i debiti concorsuali non soddisfatti. Gli unici esclusi per legge dalla esdebitazione sono: le obbligazioni alimentari (es. mantenimento dei figli o del coniuge separato), le obbligazioni risarcitorie derivanti da illecito extracontrattuale solo se commesso con dolo (volontà di nuocere), le multe e sanzioni penali e amministrative di carattere punitivo. Ogni altro debito, compresi quelli fiscali, contributivi, bancari, verso fornitori, ecc., viene cancellato. I creditori perdono definitivamente il diritto di agire. È importante capire che l’esdebitazione non significa che i debiti scompaiono retroattivamente, ma che diventano inesigibili: il debitore non può più essere costretto a pagarli e il creditore non può più pretendere il pagamento. Ad esempio, se c’era un’ipoteca della banca sulla casa, con l’esdebitazione la banca perde il credito residuo ma l’ipoteca (se il bene non è stato venduto) rimane a garanzia del nulla e potrà essere cancellata su istanza del debitore. La Cassazione ha riconosciuto ampiamente la portata “liberatoria” dell’esdebitazione, sottolineando però che è un beneficio riservato al debitore che ha tenuto un comportamento corretto. Ad esempio, con riferimento al fallito, si nega il beneficio se ha distratto beni o tenuto scritture false. Analoghi principi valgono nel sovraindebitamento: il debitore che nasconde volutamente un cespite o fornisce documentazione grossolanamente incompleta rischia di vedersi negata l’esdebitazione (anche se i crediti sono stati soddisfatti parzialmente col ricavato di altri beni). È quindi fondamentale seguire i doveri di trasparenza e collaborazione in ogni fase.
  2. Esdebitazione del debitore incapiente (senza utilità): questa è la novità radicale portata dalla riforma. Prevista dagli artt. 283-287 CCII, consente al debitore persona fisica meritevole ma privo di beni e redditi di ottenere dal tribunale l’esdebitazione anche senza alcuna soddisfazione dei creditori. È di fatto un “condono” giudiziale dei debiti in caso di indigenza conclamata, per evitare che una persona resti intrappolata a vita dai debiti senza possibilità né di pagarli né di liberarsene. Chi può ottenerla? Solo il debitore persona fisica (no società) che:
    • si trova in stato di insolvenza senza colpa grave (quindi meritevole secondo i noti criteri: no dolo o frode, no spese voluttuarie spropositate, ecc.);
    • non possiede alcun patrimonio liquidabile (né beni mobili o immobili di valore, né partecipazioni rilevanti, ecc.);
    • non ha redditi pignorabili, ovvero dispone solo di redditi di mera sussistenza sotto le soglie di legge;
    • non ha già beneficiato di altra esdebitazione negli ultimi 4 anni (ed è la prima volta che chiede quella “incapiente”).
    In pratica deve essere un soggetto nullatenente o quasi, che non potrebbe offrire nulla neanche se aprisse una liquidazione. Classici esempi: un disoccupato con soli debiti pregressi; una persona che percepisce solo una pensione minima e ha perso la casa; un piccolo imprenditore che ha chiuso l’attività, non ha beni personali e vive di sostegno economico familiare. Procedura: il debitore presenta ricorso al tribunale con l’assistenza dell’OCC. Deve allegare tutta la documentazione attestante la sua situazione economica, l’elenco dei creditori, le cause del sovraindebitamento e soprattutto gli elementi che provano la meritevolezza (ad esempio, se il debito deriva da spese mediche impreviste, o da fideiussioni attivate, o da perdita del lavoro). Deve inoltre dichiarare di non avere prospettive di miglioramento a breve e di essere consapevole che l’esdebitazione incapiente è concessa una sola volta nella vita. Il tribunale nomina un OCC (se non già designato) per verificare la veridicità delle dichiarazioni e notificare il ricorso ai creditori. Questi ultimi possono comparire e fare opposizione se ritengono che il debitore meriti sanzioni (ad esempio, se lo accusano di aver dilapidato beni per non pagare). Dopo l’istruttoria, se non emergono irregolarità, il tribunale emette un decreto di esdebitazione che cancella tutti i debiti chirografari. I creditori privilegiati invece conservano le loro cause di prelazione (in caso di futura comparsa di beni su cui farle valere, il che però è teorico perché se non c’erano beni, i privilegi restano “appesi”). In sostanza però anche i privilegiati restano insoddisfatti nella pratica. Condizioni post-esdebitazione: il beneficio non è del tutto “gratis”. La legge impone un onere: se entro i 4 anni successivi all’esdebitazione il debitore incapiente dovesse conseguire “utilità rilevanti” (ovvero acquisire nuovi beni o redditi in misura tale da permettergli di pagare almeno il 10% dei vecchi debiti), egli ha l’obbligo di darne comunicazione ai creditori e all’OCC, e di corrispondere ai creditori quella parte di utilità fino a soddisfare il 10% dei debiti originari. Ad esempio, Tizio nullatenente viene esdebitato oggi da 100.000 € di debiti; tra due anni vince alla lotteria 50.000 €: dovrà comunicarlo ai creditori e destinare almeno 10.000 € (cioè il 10% di 100k) al pagamento dei vecchi crediti, ripartiti proporzionalmente. Se ne ricava di più, dovrà comunque solo fino a quel 10% minimo (non l’intero debito, perché la legge vuole incoraggiare a cercare fortuna senza la paura di dover ridare tutto). Questo meccanismo cerca di contemperare l’esigenza di equità verso i creditori con la funzione di sollievo al debitore: chi è graziato non deve arricchirsi fortunosamente sulle spalle altrui entro un periodo definito. Va detto che l’obbligo scatta solo se l’evento migliorativo accade entro 4 anni dal decreto di esdebitazione; dopo, qualunque guadagno extra rimane al debitore libero da vincoli. Se il debitore non adempie all’obbligo di informare o pagare in quei 4 anni, il tribunale su istanza dei creditori può revocare l’esdebitazione incapiente. Inoltre, come accennato, questa procedura è una tantum: chi la ottiene non potrà chiederne un’altra in futuro, a differenza delle procedure ordinarie che teoricamente si potrebbero replicare dopo un certo numero di anni.

In sintesi, l’esdebitazione è ciò che concretizza il “punto di vista del debitore” nell’intero impianto normativo: tutte queste procedure, infatti, avrebbero poco senso per il debitore se non ci fosse, in fondo al tunnel, la luce dell’esdebitazione. Sapere che, rispettando le regole, si otterrà la liberazione dai debiti incoraggia i sovraindebitati ad emergere dalla clandestinità economica, a non farsi schiacciare dall’angoscia e a collaborare nelle procedure. Allo stesso tempo, l’ordinamento filtra i beneficiari: solo i debitori onesti e meritevoli ottengono l’esdebitazione; i furbi e i disonesti rischiano di restarne esclusi.

Esempi concreti: sono stati esdebitati, in questi anni, soggetti molto diversi: piccoli imprenditori falliti ma senza colpa, giovani vittime di sovraindebitamento da consumo (carte di credito, prestiti personali) poi incapaci di ripagare dopo perdita del lavoro, pensionati che avevano fatto da garanti per figli poi insolventi, ecc. Una casistica particolare riguarda i giocatori d’azzardo patologici (ludopatici): la giurisprudenza talora ha considerato la ludopatia come uno stato di infermità psichica che attenua la colpa del debitore, ammettendo tali soggetti alle procedure e talora concedendo l’esdebitazione a chi aveva accumulato debiti per gioco d’azzardo (purché nel frattempo avesse intrapreso un percorso di cura, a dimostrazione del recupero). Allo stesso modo, gravi spese mediche o eventi come incidenti e malattie che generano insolvenza sono casi da manuale in cui l’esdebitazione viene vista con favore: qui la legge realizza la sua funzione sociale di protezione del debitore “sfortunato” e non colpevole.

Riassumendo, grazie all’esdebitazione il nostro ordinamento oggi offre al debitore persona fisica una concreta seconda opportunità: nessun debito è per sempre, se affrontato tramite le procedure corrette. Ciò allinea l’Italia ai principi delle moderne legislazioni sulla crisi, che considerano la bancarotta civile come un evento da cui è possibile e giusto riabilitarsi, analogamente a quanto avviene da tempo in Paesi come gli USA o il Regno Unito con le cosiddette bankruptcy discharge. Il tutto, naturalmente, bilanciato dall’interesse dei creditori e dall’evitare abusi.

La composizione negoziata della crisi d’impresa: un aiuto per l’azienda di famiglia

Oltre alle procedure strettamente riservate al sovraindebitamento, la famiglia con debiti potrebbe trovarsi a gestire una piccola impresa familiare o un’attività economica. In tali casi, può essere rilevante un ulteriore strumento introdotto di recente: la composizione negoziata della crisi (CNC). Introdotta con il D.L. 118/2021 (conv. in L. 147/2021) e ora disciplinata negli artt. 12-25-octies CCII, la composizione negoziata è un percorso volontario e stragiudiziale ideato per affrontare tempestivamente la crisi d’impresa con l’aiuto di un esperto indipendente, al fine di evitare l’insolvenza.

Spieghiamola in termini semplici: un imprenditore (anche piccolo, sotto-soglia, quindi non fallibile) che percepisce segnali di difficoltà finanziaria può attivare questa procedura tramite una piattaforma online gestita dalle Camere di Commercio. Viene nominato un esperto terzo (di norma un commercialista o professionista con specifica formazione) che aiuta l’imprenditore a analizzare la situazione economica e a cercare una soluzione concordata con i creditori. La composizione negoziata non è un procedimento giudiziario: si svolge in modo riservato, con incontri tra debitore e creditori mediati dall’esperto. Lo scopo è trovare accordi di ristrutturazione fuori dal tribunale, evitando procedure concorsuali più gravose e la dispersione del valore aziendale.

Perché è rilevante per una famiglia? Perché molte imprese in Italia sono a conduzione familiare, o comunque il reddito familiare dipende dall’attività imprenditoriale di uno dei membri. Salvare l’impresa significa salvare la fonte di sostentamento della famiglia. La composizione negoziata offre strumenti ad hoc: ad esempio, durante la negoziazione l’imprenditore può chiedere al tribunale di emettere misure protettive analoghe a quelle concorsuali (blocco delle azioni esecutive dei creditori) per avere il tempo di trattare con serenità. Può anche ottenere autorizzazioni per finanziamenti urgenti prededucibili (c.d. finanziamenti ponte) per tenere in vita l’azienda nel frattempo. Il tutto resta confidenziale, per evitare allarme nel mercato.

La procedura può durare alcuni mesi (in genere fino a 180 giorni, prorogabili di 180). L’esperto, sulla base delle informazioni contabili e del piano di risanamento che l’imprenditore predispone, contatta i principali creditori (banche, fornitori strategici, fisco) e cerca di raggiungere con loro un’intesa. L’intesa può concretizzarsi in vari modi: un semplice accordo stragiudiziale bilaterale (es. la banca concede dilazioni, i fornitori riducono i crediti), oppure uno degli strumenti già previsti dalla legge fallimentare come un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (ex art. 182-bis L.F., oggi 48 CCII) o un vero e proprio concordato preventivo. Addirittura, il CCII prevede una specifica procedura di concordato semplificato (art. 25-sexies CCII) se la negoziazione fallisce ma c’è comunque una possibilità di liquidazione con benefici per i creditori: l’imprenditore può presentare al tribunale una domanda di concordato liquidatorio senza voto, riservato ai casi di composizione negoziata infruttuosa.

Tuttavia, senza addentrarci troppo, va detto che la composizione negoziata è pensata soprattutto per imprese ancora vitali che vogliono evitare di arrivare allo stadio di insolvenza conclamata. È una sorta di “ospedale da campo” per aziende in crisi reversibile, più che uno strumento di esdebitazione. Infatti, se l’impresa ha debiti insostenibili e nulla da offrire, probabilmente la negoziazione non porterà a riduzioni significative, a meno che i creditori volontariamente le concedano (cosa possibile ma non obbligatoria). Quindi, in caso di azienda familiare decotta senza prospettive, può essere più indicato ricorrere alle procedure di sovraindebitamento di cui sopra (concordato minore o liquidazione). Se invece l’azienda ha chances di risanamento – ad esempio ha ordini e mercato ma soffre temporanea mancanza di liquidità – la composizione negoziata può evitare di imboccare la via concorsuale e salvare l’attività e i posti di lavoro (familiari e dipendenti).

Dal punto di vista normativo aggiornato al 2025, la composizione negoziata è stata anch’essa oggetto dei correttivi del CCII. Il Correttivo Ter 2024 ha ampliato l’accesso: ora si chiarisce che può accedere anche l’imprenditore in semplice situazione di squilibrio patrimoniale o finanziario, non necessariamente già insolvente. Si sono semplificati gli oneri documentali per le PMI e rafforzato il ruolo dell’esperto indipendente, ad esempio prevedendo che egli possa formulare egli stesso proposte ai creditori se il debitore da solo non riesce. Inoltre, si è cercato di migliorare la cooperazione delle banche prevedendo limitazioni alla revoca degli affidamenti bancari durante la trattativa (così da non far precipitare la crisi perché la banca chiude le linee di credito).

In concreto, come può aiutare una famiglia indebitata? Immaginiamo un caso: Mario gestisce con la moglie una piccola azienda artigiana (snc) in difficoltà. Hanno debiti con fornitori e rate di leasing macchinari arretrate, ma anche molte commesse potenziali. Con la composizione negoziata, nominato un esperto, riescono a ottenere dai fornitori una dilazione del debito, dalle banche la rinegoziazione dei mutui, e dall’Agenzia delle Entrate un piano di rateazione per l’IVA scaduta. Evitano così il default e possono proseguire l’attività. Nel frattempo l’esperto vigila sul rispetto di questi accordi. In caso di successo, la crisi è superata e l’azienda continua, assicurando reddito alla famiglia e pagando gradualmente i debiti secondo i nuovi patti. In caso di insuccesso (ad esempio alcuni creditori non ci stanno), Mario potrà ancora valutare l’accesso al concordato minore o alla liquidazione, ma avrà quantomeno tentato la strada meno distruttiva.

Va evidenziato che la composizione negoziata è compatibile e complementare alle procedure di sovraindebitamento: se l’imprenditore “sotto soglia” la avvia ma poi non riesce a risanare, può comunque rifugiarsi nelle procedure ex L.3/2012 (che non sono state abrogate da essa, anzi il CCII coordina le cose). Inoltre, l’uso della negoziazione è volontario: nulla obbliga un imprenditore in crisi ad attivarla, ma può essere molto conveniente farlo tempestivamente, prima che la situazione degeneri e che i creditori perdano fiducia del tutto.

In conclusione, per le famiglie che hanno un’attività economica, la composizione negoziata rappresenta un prezioso strumento preventivo: consente di chiedere aiuto prima di fallire, coinvolgendo terzi esperti e sfruttando la disponibilità di legge a concedere protezione temporanea dai creditori. Se la negoziazione va a buon fine, i debiti vengono ristrutturati con accordi consensuali e l’impresa di famiglia è salva. Se va male, comunque non pregiudica il successivo ricorso ai meccanismi di sovraindebitamento o concorsuali; anzi, spesso produce un’analisi approfondita della situazione economica che torna utile poi. Dati i numeri in crescita (nel 2024 le composizioni negoziate avviate sono aumentate rispetto all’anno precedente, segno di graduale fiducia nello strumento), possiamo aspettarci che sempre più piccoli imprenditori familiari ne faranno uso.

Nota: la composizione negoziata non comporta di per sé esdebitazione: i debiti rimangono, solo vengono ripianificati. Quindi va vista come strumento per evitare di dover ricorrere alle procedure concorsuali, più che per ottenere un perdono dei debiti. Qualora l’esposizione debitoria sia eccessiva rispetto alla capacità dell’impresa e non si trovi intesa, sarà inevitabile passare per un concordato o una liquidazione, con eventuale esdebitazione finale per l’imprenditore.

La tutela della casa familiare e dei beni essenziali di fronte ai creditori

Uno degli incubi peggiori per una famiglia indebitata è la perdita della casa di abitazione a causa di un pignoramento. La legge italiana, su questo punto, offre alcune tutele importanti ma limitate. È fondamentale capire quando la prima casa è protetta e quando no, per potersi regolare e sfruttare le eventuali protezioni.

La “prima casa” e il Fisco: il divieto di pignoramento dell’unico immobile

Spesso si sente dire che “la prima casa non si può pignorare”. Questa affermazione non è universalmente vera: vale solo in riferimento a pignoramenti promossi dall’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate Riscossione, ex Equitalia) per debiti fiscali o con enti pubblici. Infatti, l’art. 76 del D.P.R. 602/1973 (come modificato nel 2013) stabilisce che l’Agente della Riscossione non può espropriare l’unico immobile di proprietà del debitore che abbia i requisiti di “prima casa”, a condizione che ricorrano tutte le seguenti circostanze:

  • L’immobile deve essere l’unica abitazione di proprietà del debitore. Se il debitore possiede altri immobili (anche solo un terreno o un altro appartamento), la tutela cade e anche la prima casa diventa pignorabile dal Fisco. La norma infatti vuole proteggere chi ha un solo tetto.
  • L’immobile deve essere adibito a residenza principale del debitore. È necessario cioè che il debitore vi risieda anagraficamente e stabilmente. Se la persona ha una sola casa ma non ci abita (magari l’ha data in affitto, o vive altrove), quella casa non gode del divieto di pignoramento fiscale.
  • L’immobile non deve rientrare nelle categorie catastali di lusso (A/8 ville, A/9 castelli/palazzi di pregio storico). Se è di lusso, il legislatore presume che il debitore non versi in situazione meritevole di protezione particolare.
  • Il creditore procedente deve essere l’Agenzia Entrate Riscossione (o soggetto equiparato). Se a pignorare è un creditore privato (una banca, un privato, un condominio, etc.), questa protezione non si applica affatto: la prima casa in tal caso è pignorabile come qualsiasi altro immobile (vedremo dopo come eventualmente proteggerla con altri mezzi). Dunque, il “divieto di pignoramento prima casa” è un’eccezione riservata ai debiti erariali.
  • Vi è infine un limite sull’importo del debito: l’insieme delle cartelle esattoriali deve essere sotto 120.000 € perché scatti il divieto. Se il debito fiscale supera €120.000, l’Agente della Riscossione può procedere comunque a pignorare la casa (sempre che vi siano anche le altre condizioni: più immobili o non residenza, etc.). Tuttavia, anche sopra 120.000 € la legge impone che prima di avviare l’esecuzione l’Agenzia iscriva ipoteca e attenda almeno 6 mesi. Sotto 120.000 € invece, se casa unica e residenza, non può proprio iscrivere ipoteca né eseguire.

Ricapitolando: se una famiglia ha come unico bene la casa in cui abita, e ha debiti con il Fisco (es. cartelle per tasse non pagate) di importo inferiore a 120.000 €, la casa è salva da esecuzione fiscale. L’Agente della Riscossione potrà iscrivere ipoteca (se il debito supera 20.000 €) come misura cautelare, ma non potrà mai espropriare l’immobile. Questo principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione con sentenze importanti: ad esempio la n. 19270/2014 ha chiarito che il divieto si applica anche ai procedimenti esecutivi già pendenti all’entrata in vigore della norma (settembre 2013); di recente l’ordinanza n. 32759 del 16/12/2024 ha ribadito tale interpretazione, consolidando la protezione della prima casa sul piano fiscale. Quindi, l’Agenzia delle Entrate Riscossione non può mettere all’asta la prima casa del contribuente se questi non possiede altri immobili e il debito è sotto soglia – e anche sopra soglia, deve comunque rispettare le condizioni formali (iscrizione ipoteca, attesa 6 mesi).

Attenzione: questo non impedisce però altre azioni. Ad esempio, il Fisco può comunque pignorare stipendi, conti correnti, auto, ecc., e anche sull’immobile può mettere ipoteca (che però rimarrà come garanzia in vista di eventuale futura alienazione volontaria o se cambiano le condizioni, ad es. debitore eredita un altro immobile, perdendo la qualifica di “unica casa”). Inoltre, il debitore resta proprietario ma con ipoteca non potrà vendere facilmente se non pagando il debito o facendolo accollare.

Se il debito verso il Fisco supera 120.000 €, come detto, l’AdER può pignorare la casa (purché non sia l’unica? In realtà, la norma dice che la prima casa non si tocca se unica; se oltre 120k il “non si applica” quella protezione – interpretazione letterale non chiarissima, ma la prassi e Cassazione dicono: soglia rileva solo se più immobili in realtà. Più precisamente: tutte le seguenti condizioni servono: a) uno unico immobile; b) residenza; c) non lusso; d) debito <120k. Se una manca, addio protezione. Quindi se debito >120k, protezione salta). In tal caso, l’Agente potrà procedere ma con un iter particolare: prima deve iscrivere ipoteca e aspettare 6 mesi; poi se il debito non viene pagato, può iniziare pignoramento. Dunque, per debiti molto elevati, la casa non è intangibile nemmeno col Fisco.

Resta fermo che se il debitore ha due o più immobili, anche con debito piccolo la protezione non c’è: quindi chi possiede un secondo immobile (magari un garage separato censito autonomamente, o un terreno) dovrebbe essere consapevole di questa implicazione.

I creditori privati possono pignorare la casa?

Sì, purtroppo. La legge non prevede un divieto generale di pignorare la prima casa per banche, finanziarie o altri creditori privati. Quindi, se una famiglia ha contratto un mutuo con una banca e smette di pagare, la banca può avviare il pignoramento immobiliare e chiedere la vendita all’asta della casa, anche se è l’unica e vi risiedono minori, ecc. (sarà semmai tenuta a rispettare alcune cautele procedurali, come particolari termini di mora, ma non c’è un’esenzione di principio). Allo stesso modo, un creditore chirografario – poniamo un fornitore non pagato – può iscrivere ipoteca giudiziale sulla casa e procedere a pignorare.

L’unico freno generale è dato dalla considerazione economica: spesso la casa di abitazione è gravata da ipoteca a favore di una banca (mutuo), sicché un creditore chirografario troverebbe poco conveniente espropriarla (perché dall’asta verrebbe prima soddisfatta la banca fino a concorrenza del suo credito ipotecario, e al creditore chirografario potrebbe non arrivare nulla). Ciò non toglie però che il creditore possa usare la minaccia di pignoramento per spingere il debitore a pagare, o sperare che dalla vendita resti qualcosa. Dunque, giuridicamente la casa familiare non è impignorabile verso creditori diversi dal Fisco, a meno che non intervengano strumenti come quelli discussi (piano del consumatore, accordo, ecc., che bloccano le azioni esecutive durante la procedura).

Tattiche di salvaguardia: se la famiglia si rende conto di non riuscire a pagare i debiti e c’è il rischio concreto per la casa, conviene attivarsi subito con le procedure concorsuali. Come visto, presentare un piano del consumatore può bloccare un’asta già in calendario. Inoltre, con un piano ben fatto si può proporre alla banca ipotecaria una ristrutturazione del mutuo o l’intervento di un garante, ecc., in modo da evitare la vendita coattiva. In alcuni casi, i debitori riescono a trovare un accordo con la banca prima dell’asta, ad esempio vendendo privatamente l’immobile (magari a un prezzo migliore di quello d’asta) e pagando il debito in misura parziale ma concordata (saldo e stralcio). Questa è una soluzione extra-giudiziale: se la banca accetta, il debitore vende la casa, versa alla banca un importo a stralcio (inferiore al debito totale) ottenendo la liberatoria, e i residui debiti vengono così azzerati. Tuttavia non sempre la banca è collaborativa, specie se pensa di recuperare l’intero procedendo con l’ipoteca.

Un’altra norma da citare: il D.L. 18/2016 (conv. L. 30/2016) aveva introdotto la possibilità che, se un creditore procedente è una banca ipotecaria su prima casa, il debitore possa chiedere al giudice dell’esecuzione di sospendere l’asta per massimo 12 mesi se nel frattempo tenta una procedura di sovraindebitamento. Questa sospensione non era automatica, ma caso per caso. Ad ogni modo, con la riforma del CCII, il meccanismo più consolidato è: protezione con l’accesso alle procedure di cui sopra.

Patrimonio e regime tra coniugi: comunione legale, separazione, fondo patrimoniale

Molti debiti che affliggono una famiglia riguardano uno solo dei coniugi (o partner dell’unione civile). Sorge allora la domanda: il coniuge non debitore rischia qualcosa? La risposta dipende dal regime patrimoniale della famiglia e dalla natura del debito.

  • In comunione legale dei beni (regime di default per i coniugi, salvo scelta diversa): tutti i beni acquistati durante il matrimonio (esclusi i personali come eredità o donazioni a uno solo) sono comunione. Ciò significa che, anche se formalmente intestati a uno o entrambi, quei beni appartengono per il 50% a ciascuno, ma senza quote divise finché dura la comunione (è una contitolarità solidale). Ora, il codice civile (art. 189-190 c.c.) prevede che per i debiti contratti da uno dei coniugi nell’interesse della famiglia, i creditori possono soddisfarsi sui beni della comunione e, se insufficienti, anche sui beni personali dell’altro coniuge (entro certi limiti). Al contrario, per i debiti estranei ai bisogni familiari contratti da un coniuge, i creditori non possono aggredire i beni della comunione, ma solo i beni personali del coniuge obbligato e – eventualmente – la quota di spettanza di tale coniuge alla fine della comunione. Tradotto: se il marito fa un debito per l’azienda di famiglia (con cui mantiene la famiglia), quel debito è considerato contratto anche nell’interesse della famiglia; i creditori potranno aggredire la casa in comunione e gli altri beni comuni, oltre ai beni personali del marito, ma non i beni personali della moglie. Se invece il marito fa un debito per uno scopo del tutto estraneo (es. investire in borsa per speculazione personale), quel debito non è per i bisogni familiari e i creditori non potranno toccare i beni comuni (la casa comune sarebbe al sicuro, sempreché la spesa sia davvero estranea alla famiglia e il creditore non provi il contrario). In realtà, la distinzione è spesso poco netta e la giurisprudenza tende ad ampliare il concetto di “bisogni della famiglia”. La Cassazione ha stabilito che i bisogni della famiglia non vanno intesi solo come spese necessarie (cibo, casa, salute, istruzione), ma comprendono anche le esigenze volte al mantenimento e al miglioramento delle condizioni economiche e sociali della famiglia, incluso quindi l’esercizio dell’attività lavorativa o d’impresa del coniuge che serve a produrre reddito familiare. Ad esempio, i debiti fiscali o verso fornitori dell’azienda individuale di uno dei coniugi vengono considerati contratti anche nell’interesse della famiglia, perché il lavoro dell’imprenditore serve al sostentamento del nucleo. Di conseguenza, anche quei debiti “professionali” ricadono sui beni in comunione. La Cassazione (sent. 32146/2024) ha addirittura affermato che i coniugi hanno il dovere di destinare il proprio lavoro al bene della famiglia e, a meno che non abbiano formalizzato un accordo in senso contrario (art. 144 c.c.), i debiti connessi al lavoro rientrano nei bisogni familiari. Quindi l’unica via per dimostrare che un certo debito non era per la famiglia sarebbe provare che quei fondi erano destinati a fini totalmente estranei e magari il creditore lo sapeva (caso estremo: soldi spesi per mantenere un’amante, come ipotizza ironicamente la Cassazione stessa). Ma è un onere della prova difficilissimo per il coniuge che vuole difendere i beni comuni. In sintesi, con comunione legale, i beni comuni (in primis la casa coniugale se acquistata in comunione) sono in larga misura esposti ai creditori dell’uno o dell’altro, salvo rari casi di debito totalmente personale e “egoistico”. I creditori possono pignorarli per intero, non solo per la metà, in base alla presunzione che siano obbligazioni familiari condivise; il ricavato va poi diviso in quota tra creditori di un coniuge e dell’altro se concorrono, ma ciò è dettaglio tecnico. Per i beni personali del coniuge non debitore (cioè quelli che aveva prima del matrimonio o ricevuti per eredità/donazione o acquistati con beni propri e esclusi dalla comunione), in generale i creditori di solo uno dei coniugi non possono toccarli, a meno che appunto il debito fosse per bisogni familiari e i beni comuni non bastino: art. 190 c.c. dice che in tal caso i creditori possono aggredire anche i beni personali dell’altro coniuge ma limitatamente all’ammontare del beneficio che la famiglia ne ha ricavato. Questa è una clausola poco usata in concreto (bisognerebbe quantificare il beneficio). Esempio: marito ha debito per retta scolastica figlio (bene familiare) e non paga; creditore (la scuola) può attaccare conto cointestato e casa comune; se quei beni non coprono, potrebbe cercare di prendere qualcosa dai beni personali della moglie (ma dovrebbe dimostrare che la famiglia ha beneficiato e i comuni non bastano).
  • In separazione dei beni: i patrimoni di marito e moglie restano distinti; ciascuno risponde solo dei propri debiti con i propri beni. Un creditore di un coniuge non può aggredire i beni intestati all’altro coniuge. Se però i coniugi detengono beni in comproprietà (ad es. acquistano insieme una casa al 50% ciascuno in regime di separazione), il creditore di uno potrà pignorare la quota di proprietà del debitore (non l’intero bene). Nel pignorare una quota, può chiedere al giudice la divisione del bene comune e la vendita della parte corrispondente, o la vendita dell’intero con assegnazione del ricavato pro-quota. Questo meccanismo tutela comunque in parte: il coniuge non debitore avrà diritto alla sua quota di ricavato. Quindi, se ci si aspetta rischio di debiti, la separazione dei beni è un regime più difensivo: evita che beni acquistati dal coniuge non responsabile vengano travolti. Bisogna fare attenzione: sebbene in separazione, se uno dei coniugi firma come coobbligato o garante di un debito dell’altro, ovviamente diviene debitore diretto anch’egli, e quindi i creditori potranno aggredire i suoi beni. Quindi la separazione aiuta solo se i debiti rimangono formalmente intestati a uno solo. Ad esempio, molti coniugi firmano entrambi per un mutuo: in tal caso entrambi sono debitori solidali verso la banca; se poi uno solo paga, non importa, la banca potrà rifarsi su entrambi. Ma in ciò non c’entra il regime dei beni, è proprio la posizione contrattuale di debitore di entrambi.
  • Fondo patrimoniale: è uno strumento previsto dagli artt. 167-171 c.c., tramite il quale i coniugi (o anche un terzo per loro) destinano uno o più beni (immobili, mobili registrati o titoli di credito) a far fronte ai bisogni della famiglia. Viene formalizzato con atto notarile e annotato a margine dell’atto di matrimonio (quindi reso pubblico). I beni del fondo patrimoniale non possono essere aggrediti dai creditori per debiti che il coniuge abbia contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia (art. 170 c.c.). Se invece il debito è stato contratto per i bisogni familiari, il vincolo non ferma i creditori: essi potranno pignorare anche il bene in fondo. Di fatto, il fondo patrimoniale limita la responsabilità patrimoniale (che di regola ex art.2740 c.c. è illimitata su tutti i beni) segregando alcuni beni a favore solo di certi creditori. Questo istituto era molto popolare per proteggere la casa: coniugi che temevano rischi lo costituivano mettendo la casa di famiglia nel fondo. Tuttavia, come si intuisce, tutto ruota sull’interpretazione di “debiti estranei ai bisogni di famiglia”. La giurisprudenza, specie negli ultimi 10-15 anni, ha drasticamente ridotto l’efficacia protettiva del fondo, interpretando in senso ampio i bisogni come abbiamo visto. La Cassazione ha chiarito che per opporre il fondo al creditore, il debitore deve provare che il creditore conosceva, quando il debito sorse, il fatto che quel debito era contratto per scopi estranei alla famiglia. In pratica, se un imprenditore mette la casa nel fondo e poi accumula debiti fiscali, per evitare l’esecuzione dovrebbe dimostrare che il Fisco al tempo in cui sorse il debito fiscale (es. anno di imposta) sapeva che egli stava spendendo soldi per fini estranei al nucleo. Una probatio diabolica! Inoltre, la Cassazione – come già detto – ora include i debiti di impresa, fiscali, professionali tra quelli per i bisogni familiari, allargando enormemente la categoria. Ormai solo debiti palesemente “voluttuari” o illeciti (gioco d’azzardo, spese futili, contratti per scopi egoistici) restano estranei. E persino lì, si richiede che il creditore fosse consapevole dell’estraneità allo scopo familiare. Quindi, se un coniuge contrae un prestito dicendo in banca che gli serve per la famiglia e poi lo usa tutto al casinò, la banca potrà comunque aggredire il fondo, perché non poteva sapere della destinazione ludica (e il prestito in sé rientra nei mezzi economici generici). In poche parole, oggi il fondo patrimoniale offre una protezione debole. La Cassazione con pronunce come la n. 15886/2014, la n. 20408/2020, la n. 32146/2024, ha “impallinato” l’istituto, come efficacemente commentato da taluni. Queste sentenze affermano: i coniugi che speravano di mettere al sicuro i beni con il fondo restano spesso delusi, perché i giudici valutano caso per caso ma tendenzialmente considerano familiare quasi ogni debito legato all’attività lavorativa. La giurisprudenza arriva a sostenere che, se i coniugi non vogliono ciò, avrebbero dovuto esplicitare in un accordo tra loro una diversa destinazione dei frutti del lavoro (cosa rarissima da fare). Si riconosce che ciò svuota in parte la funzione del fondo e può spingere i coniugi a cercare protezione in strumenti diversi (tipo trust esteri). Nonostante ciò, il fondo patrimoniale resta valido per proteggere la casa in alcuni scenari: ad esempio, debiti per multe amministrative non inerenti la famiglia, o garanzie prestate a terzi per scopi non familiari, o risarcimenti di danni extracontrattuali non connessi alla famiglia, ecc. In quei casi, se la natura estranea è chiara, l’art. 170 c.c. bloccherà l’azione sul fondo. Ma sono situazioni non comuni per la maggior parte delle famiglie indebitate (che di solito hanno debiti bancari, fiscali, lavorativi). Un ulteriore dettaglio: se i coniugi falliscono (in quanto piccoli imprenditori poi risultati fallibili), la giurisprudenza ha escluso che il curatore fallimentare possa acquisire i beni in fondo patrimoniale se il debito che ha causato il fallimento non era familiare. Tuttavia, se era debito d’impresa, come visto, è considerato familiare, quindi il bene in fondo potrebbe entrare nel fallimento. Revocatoria del fondo: un rischio da considerare è che, se il fondo è stato costituito in pregiudizio dei creditori (ad esempio fatto quando già c’erano debiti insorti o per sottrarre beni alle pretese), i creditori possono agire con azione revocatoria ex art. 2901 c.c. entro 5 anni dall’atto. Se vinta, l’atto costitutivo del fondo è reso inopponibile e il bene torna aggredibile. La legge in realtà prevedeva un termine breve (2 anni) per la revocatoria fallimentare del fondo, ma in generale per i creditori ordinari è 5 anni. Quindi costituire un fondo last-minute quando si è già indebitati è spesso inutile: i creditori possono farlo cadere se provano la frode (che è presumibile se c’erano debiti antecedenti).

In sintesi: la miglior difesa patrimoniale interna alla famiglia è prevenire. Scegliere il regime di separazione dei beni fin dall’inizio può compartimentare i rischi. Se uno dei coniugi è imprenditore o professionista con esposizioni potenziali, intestare la casa familiare all’altro coniuge (in separazione) può tenerla al riparo dai creditori dell’impresa – finché l’altro coniuge non diventi garante o comproprietario. Il fondo patrimoniale, malgrado le stringenti letture, può ancora servire se i debiti probabili non saranno considerati familiari; ma come abbiamo visto, per la maggior parte delle obbligazioni ciò non regge. Alcuni ricorrono a soluzioni più complesse come il trust o vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c., trasferendo beni a un trustee o destinandoli a fini di sostentamento familiare: tuttavia, anche questi strumenti possono essere attaccati dai creditori se configurati in frode. Inoltre, il trust in particolare è spesso guardato con diffidenza dai tribunali quando è auto-dichiarato e palese mezzo distrattivo.

Va ricordato inoltre che gli atti di disposizione del patrimonio compiuti quando già c’è uno stato di insolvenza conclamata possono avere risvolti anche penali (bancarotta fraudolenta se poi c’è fallimento, o sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte se c’è un debito fiscale di una certa entità).

Beni mobili impignorabili e limiti al pignoramento di stipendi e pensioni

La legge tutela la dignità minima del debitore e della sua famiglia ponendo dei limiti a cosa può essere pignorato. Non tutti i beni, infatti, possono essere portati via dai creditori: esiste un elenco di beni mobili impignorabili e regole circa la pignorabilità parziale di stipendi e pensioni.

Beni mobili impignorabili (art. 514 c.p.c.): la norma elenca una serie di oggetti e beni che non possono mai essere pignorati da alcun creditore, per ragioni umanitarie e sociali. Tra questi vi sono:

  • Gli oggetti di uso quotidiano indispensabili al debitore e alla famiglia: vestiti, biancheria, mobili essenziali (letti, tavolo da pranzo con sedie, armadi, ecc.), il frigorifero, la stufa per riscaldarsi, i fornelli da cucina, la lavatrice, utensili di casa necessari. In pratica l’arredamento minimo e gli elettrodomestici base non si toccano. Se però vi fossero beni doppi o di lusso (es. due frigoriferi, due TV, opere d’arte di pregio), quelli in eccesso potrebbero essere pignorati, lasciando solo l’indispensabile.
  • L’anello nuziale (fede) è impignorabile, come pure gli oggetti sacri per il culto religioso. Nessuno verrà a portar via la fede matrimoniale o il crocifisso dall’abitazione.
  • Gli strumenti e libri necessari alla professione o al mestiere del debitore: ad esempio, per un artigiano i suoi attrezzi da lavoro indispensabili, per un medico il lettino e gli strumenti diagnostici, per un avvocato la libreria giuridica. Questa regola ha un’eccezione: se il creditore procedente è lo stesso che ha fornito quegli strumenti o ha un credito relativo all’attività, può pignorare anche gli strumenti di lavoro (es. se il debitore non paga la ditta che gli ha venduto un macchinario, quella ditta potrebbe pignorare proprio quel macchinario non pagato). Inoltre, se gli strumenti hanno valore sproporzionato rispetto al debito e non sono essenziali per continuare il lavoro, il giudice potrebbe ammettere deroga.
  • Alimenti e combustibili necessari per un mese alla famiglia: i creditori non possono svuotare la dispensa! La scorta di cibo e combustibile (es. pellet, gasolio per riscaldamento) sufficiente per il fabbisogno di circa un mese del nucleo familiare è impignorabile.
  • Animali da compagnia o di utilità domestica: grazie a modifiche normative recenti, i pet (cani, gatti, ecc.) non possono essere pignorati. Lo stesso vale per animali tenuti per fornire sostentamento alimentare domestico entro limiti modesti (es. due galline per le uova). Questa è un’innovazione introdotta perché in passato purtroppo c’erano casi di pignoramento di animali (oggi vietati).
  • Beni destinati all’esercizio del culto: come le cose sacre o gli oggetti in chiese domestiche, protetti per la libertà religiosa.

La ratio è garantire al debitore un “nucleo minimo” di beni indispensabili per vivere una vita dignitosa e per continuare eventualmente a lavorare e guadagnare. Togliere tutto, persino il letto o gli strumenti di lavoro, significherebbe annientare la persona e anche la sua capacità di ripagare parte del debito. Il legislatore lo evita.

Oltre a questi beni assolutamente impignorabili, ci sono altre categorie di crediti impignorabili per legge: ad esempio, le somme dovute a titolo di sussidi di sostentamento (tipo assegni sociali, pensioni di invalidità civile, ecc.) non sono pignorabili. Anche le indennità di maternità, malattia, funerali erogate da casse di assistenza non si possono pignorare. E ovviamente gli assegni di mantenimento/alimenti dovuti al coniuge o ai figli, quando corrisposti, non possono essere pignorati da altri creditori (perché destinati a bisogni vitali; possono semmai essere pignorati solo da chi vanta a sua volta un diritto di alimenti verso il medesimo beneficiario, con autorizzazione del giudice, un caso molto particolare).

Da notare che l’elenco dei beni impignorabili è suscettibile di aggiornamenti: il legislatore negli ultimi anni l’ha integrato, ad esempio inserendo i dispositivi informatici essenziali per studio o lavoro (pc, tablet) come impignorabili entro un certo valore. Si tende infatti a riconoscere che oggi un computer per i figli che studiano o per il genitore che cerca lavoro è necessario come lo era il tavolo da pranzo un tempo. La rivista dei dottori commercialisti nel 2025 segnalava proprio queste novità e invitava a tenersi aggiornati sulle evoluzioni normative.

Limiti al pignoramento di stipendio, salario e pensione: il reddito da lavoro è spesso l’unica risorsa che resta alla famiglia indebitata, quindi la legge ne consente il pignoramento solo in parte, per bilanciare credito e sopravvivenza del debitore. La disciplina (art. 545 c.p.c. e seguenti) è un po’ articolata:

  • Stipendi e salari (non appena corrisposti dal datore al lavoratore): sono pignorabili nella misura massima di 1/5 del netto mensile. Ciò vale sia per crediti privati sia per crediti fiscali (lo stesso limite 1/5). Se concorrono più pignoramenti (es. uno per banca e uno per alimenti arretrati), la somma delle trattenute non può superare il 50% dello stipendio. Inoltre, è il giudice che eventualmente ripartisce le quote tra i creditori in concorso. Una differenziazione: per crediti di natura alimentare (es. mantenimento figli non pagato) il giudice può autorizzare una quota maggiore, di solito fino a 1/3. Ma per i crediti ordinari, 1/5 è lo standard.
  • Pensioni: la legge qui tutela di più perché il pensionato spesso ha solo quello. La regola generale è che la pensione è pignorabile sempre nei limiti di 1/5 (salvo alimenti) ma soprattutto solo sulla parte eccedente un minimo vitale. Questo minimo è fissato in misura pari a 1,5 volte l’assegno sociale (importo dell’assegno sociale Inps circa €538 nel 2025, quindi 1,5x è intorno a €808). Quindi, se un pensionato percepisce €800 al mese, di fatto quella pensione non è attaccabile perché è interamente sotto soglia di impignorabilità. Se percepisce €1.000, la parte pignorabile sarà €1.000 – €808 = €192, e su questa al massimo si farà il 1/5. Esempio: pensione €1.000, eccedenza €192, 1/5 di €1.000 sarebbe €200 ma applicando la regola dell’eccedenza otteniamo che pignorabile è solo €192 (ovvero l’eccedente, in pratica). In ogni caso, pensioni basse sotto ~€808 sono intoccabili; sopra, solo per la parte eccedente minimo e sempre limitatamente al quinto. Dal 2023 è stato anche introdotto un ulteriore scaglione: per pensioni molto alte (oltre 5.000 €) rimane 1/5, tra 2.500 e 5.000 € c’è un limite di 1/7 forse per crediti fiscali (queste soglie sono per pignoramenti da parte del Fisco, come appare in alcune fonti: es. pignoramenti fiscali su stipendi prevedono 1/10 sotto 2.500, 1/7 tra 2.5k e 5k, 1/5 oltre). La l. 132/2015 ha adeguato i limiti come segnalato in quell’articolo, ma il concetto chiave è: una pensione pari o inferiore a circa €1.000 è quasi integralmente protetta.
  • Stipendi già versati in conto corrente: se il creditore pignora il conto in banca del debitore dove affluiscono stipendio o pensione, la legge distingue:
    • per le somme accreditate prima del pignoramento: è impignorabile l’importo pari al triplo dell’assegno sociale se si tratta di stipendio, o pari all’assegno sociale 1,5x se pensione. Il resto sopra quella soglia si può prendere. Quindi, se sul conto ci sono €3.000 derivanti da stipendi accumulati, al momento della notifica del pignoramento il debitore potrà sbloccare €1.344 (3x assegno sociale, secondo i valori 2015 citati: ora sarà circa €1.616 con assegno sociale 2025), il residuo va ai creditori fino al quinto mensile di solito. Questa norma è per evitare che il creditore bloccando il conto porti via anche ciò che serviva per il sostentamento immediato.
    • per le somme accreditate dopo il pignoramento (cioè stipendi/pensioni che maturano nei mesi successivi): si applica direttamente il taglio del 1/5 al momento dell’accredito. La banca trattiene il 20% di ogni stipendio in entrata e lo gira alla procedura esecutiva.
      In pratica, pignorare il conto non deve dare al creditore maggior vantaggio di quanto avrebbe pignorando presso il datore.
  • Altri crediti periodici: analoghi limiti del quinto valgono per pigioni (affitti che il debitore percepisce), indennità ecc.

In caso di più pignoramenti concorrenti (es. uno per mutuo in sofferenza, uno per cartella esattoriale), come detto, il totale non supera 50%. In genere il primo creditore avrà il suo quinto, il secondo può prendere un altro quinto, e se arrivasse un terzo non avrebbe spazio finché uno dei due non è soddisfatto.

Esempio pratico: Tizio ha stipendio netto €1.500. Può essergli pignorato al massimo €300 al mese (1/5). Se ha sia un pignoramento banca sia uno per alimenti arretrati, l’alimenti potrebbe ottenere 1/5 e la banca un altro 1/5, in teoria 2/5 totali = €600, ma il codice limita al 50% totale, quindi ok, €600 è proprio il 40%, entro il 50%. Se ce ne fosse un terzo per Equitalia, non si potrebbe in ogni caso superare €750 (metà dello stipendio). Il giudice eventualmente ridurrebbe le percentuali per distribuire equamente.

Queste soglie sono calibrate per far sì che al debitore rimanga sempre almeno la metà dello stipendio, e comunque almeno un certo minimo vitale se lo stipendio è basso.

Redditi di cittadinanza e sussidi: misure come il (ormai abolito nel 2024) Reddito di cittadinanza erano non pignorabili in quanto sussidi di sostentamento. Oggi l’Assegno di inclusione e simili dovrebbero seguire la stessa logica: denaro dato per scopi assistenziali non può essere dirottato ai creditori.

In conclusione, la legge garantisce che il debitore, anche durante l’esecuzione forzata, conservi il necessario per vivere e per eventualmente continuare a lavorare. Questo oltre che umano è efficiente: un debitore completamente rovinato non potrà mai pagare nulla, mentre uno che mantiene un reddito può col tempo risanarsi e forse saldare in parte i debiti (magari tramite un piano di sovraindebitamento).

Riassumendo:

  • La casa di abitazione è protetta da pignoramento solo nei confronti del Fisco e alle condizioni viste (unica, residenza, non lusso, debito <120k). Con i creditori privati, non c’è esenzione, ma le procedure concorsuali o un accordo possono salvarla. L’innovazione del CCII consente al debitore di mantenere il pagamento del mutuo prima casa durante il piano, evitando la perdita della casa.
  • I beni essenziali per la vita quotidiana e il lavoro non si toccano.
  • Stipendi e pensioni: pignorabili al 20% di regola, con minimi impignorabili (circa 3 volte assegno sociale su conto stipendio, 1.5 volte su pensione).
  • Coniuge non debitore: se regime separazione, i suoi beni sono salvi; se comunione, i beni comuni spesso aggredibili perché la maggior parte dei debiti è considerata familiare, salvo eccezioni. Il fondo patrimoniale offre scudo debole, facilmente perforabile dai creditori se i debiti riguardano attività lavorative del coniuge.

Infine, va ricordato che il diritto di abitazione del coniuge superstite nella casa familiare (art. 540 c.c.) è opponibile ai creditori ereditari? Non entriamo nel dettaglio ereditario, ma se muore il proprietario indebitato e il coniuge aveva il diritto di abitazione legale, questo prevale su ipoteche successive ecc. Argomento a parte.

Dopo questo panorama di protezioni, passiamo ora a rispondere in forma sintetica ad alcune domande frequenti, per chiarire i dubbi operativi più comuni.

Domande frequenti (FAQ)

D: Chi può accedere alle procedure di sovraindebitamento ex Legge 3/2012 (oggi Codice della Crisi)?
R: Possono accedere tutti i soggetti non fallibili che si trovano in stato di sovraindebitamento. In particolare: le persone fisiche consumatrici (famiglie, pensionati, lavoratori dipendenti); i piccoli imprenditori commerciali e gli artigiani sotto le soglie di fallibilità (attivo ≤ 300.000 €, debiti ≤ 500.000 €, ricavi ≤ 200.000 €); i professionisti (avvocati, medici, ecc.), gli imprenditori agricoli, le start-up innovative, le associazioni non profit e simili. Anche i soci illimitatamente responsabili di società di persone e gli eredi di debitori possono accedere. In pratica chiunque abbia debiti insostenibili ma non possa (o non debba) essere assoggettato a fallimento. È fondamentale che il debitore sia meritevole (niente frodi o colpa grave) e in reale squilibrio economico. Le società di capitali e gli imprenditori sopra soglia invece devono seguire le procedure concorsuali ordinarie (es. fallimento, concordato preventivo). Le famiglie possono accedere in modo congiunto con un’unica procedura se conviventi e con debiti di origine comune.

D: Quali tipi di debiti si possono includere nel piano o concordato? Anche i debiti con lo Stato?
R: Si possono includere tutti i debiti del sovraindebitato, sia verso creditori privati (banche, finanziarie, fornitori, parenti) sia verso creditori pubblici (Agenzia Entrate, INPS, Comuni per tributi locali, ecc.). Nel piano del consumatore o nel concordato minore vanno indicati tutti i debiti noti, di qualsiasi natura, compresi eventuali debiti derivanti da garanzie prestate (fideiussioni attivate). I debiti fiscali e previdenziali possono essere ristrutturati (dilazionati o anche falcidiati in parte) purché la proposta rispetti le norme speciali (es. integrale pagamento dell’IVA se non c’è apporto esterno, ecc.). Ad esempio, si può prevedere di pagare il 30% di una cartella esattoriale in 5 anni e ciò, se il giudice omologa, vincolerà l’Erario. Ci sono però alcune eccezioni: non rientrano nelle procedure gli obblighi di mantenimento/alimenti verso coniuge e figli (non possono essere toccati dall’esdebitazione), e in generale non sono “cancellabili” le sanzioni penali o amministrative di natura punitiva. Tali debiti andranno comunque menzionati, ma resteranno a carico del debitore (ad esempio, multe stradali o ammende non si estinguono, anche se possono essere dilazionate nei piani). Tutti gli altri, invece, compresi mutui, prestiti, bollette arretrate, leasing, scoperti di conto, debiti di condominio, ecc., possono far parte del piano/accordo e al termine, se non pagati integralmente, vengono esdebitati. Anche un debito IVA può essere parzialmente condonato nel concordato minore se c’è un apporto esterno e il fisco dissente ma il giudice applica il cram-down fiscale. In sintesi quasi tutti i debiti sono trattabili: la procedura è pensata come soluzione unitaria.

D: La legge mi cancella davvero tutti i debiti? Come funziona l’esdebitazione finale?
R: Sì, l’obiettivo ultimo è proprio la cancellazione dei debiti residui (esdebitazione) per il debitore meritevole. Se si conclude con successo un piano del consumatore o un concordato minore, dopo l’esecuzione il giudice emette un decreto che attesta l’adempimento e dichiara inesigibili i crediti residui. In pratica, paga quello che era previsto (magari il 30% ai chirografari) e il restante 70% viene annullato: i creditori non potranno più richiederlo. Nel caso della liquidazione controllata, dopo al massimo 3 anni dall’apertura, il tribunale dichiara chiusa la procedura ed emette l’esdebitazione: tutti i debiti non soddisfatti con la liquidazione vengono “perdonati”. Il debitore diventa libero. Ci sono eccezioni limitate: come detto, non si cancellano obblighi di mantenimento, debiti per risarcimenti di danni da dolo e sanzioni penali/amministrative, che restano a carico. Ma tutto il resto viene esdebitato. C’è poi la nuova esdebitazione del debitore incapiente, dove addirittura i debiti sono cancellati senza aver pagato nulla: in quel caso il giudice, se reputa il debitore meritevole e privo di ogni risorsa, concede l’esdebitazione e da quel momento il debitore è libero da tutti i debiti (con l’obbligo, per 4 anni, di informare se riceve entrate straordinarie e in tal caso pagare il 10% ai vecchi creditori). Dunque la risposta è: sì, la legge consente di azzerare i debiti, dopo aver seguito la procedura e con le dovute condizioni, offrendo al debitore un fresh start. Si tenga presente che ciò vale per la persona fisica: se il debitore è una società e viene liquidata, non ha “esdebitazione” in senso tecnico (cessando la società, i debiti insoddisfatti rimangono insoddisfatti e basta, ma la società non esiste più). Per le persone, invece, c’è questa idea della riabilitazione economica. È importante essere consapevoli che l’esdebitazione è una sola volta: se uno beneficia dell’esdebitazione e poi ricade in debiti, non potrà ri-ottenerla prima di un certo numero di anni o mai più (nel caso dell’esdebitazione incapiente è solo una volta nella vita).

D: Posso salvare la mia casa dal pignoramento?
R: Dipende dal tipo di creditore e dalla strategia adottata. La prima casa è impignorabile soltanto per debiti fiscali e solo se è l’unica di proprietà, vi risiedi e il debito con AdER è < 120.000 €. In tal caso l’esattore non può metterla all’asta (al più iscrive ipoteca se debito >20k). Se però il creditore è una banca o altro soggetto privato, purtroppo può pignorarla (non c’è protezione legale generale). Come proteggersi allora? 1) Attraverso un piano di sovraindebitamento si può congelare la procedura esecutiva e ristrutturare i debiti, evitando la vendita forzata. Ad esempio, un piano del consumatore può prevedere di mantenere il pagamento del mutuo ipotecario e sospendere le altre azioni: così la banca della casa continua a ricevere le rate e non procede, e gli altri creditori vengono soddisfatti in parte nel piano. 2) Si può cercare un accordo stragiudiziale col creditore ipotecario: spesso le banche accettano, prima dell’asta, una vendita privata dell’immobile o un saldo e stralcio. Vendere volontariamente la casa a un prezzo congruo e pagare la banca può essere meglio che farla svendere all’asta (dove di solito il ricavato è minore). Certo, questo risolve il debito ma la casa è sacrificata; tuttavia a volte si riesce a ottenere dalla banca uno stralcio del debito residuo (es. debito mutuo €150k, casa valore €120k: la banca potrebbe acconsentire a prendere €120k e rinunciare al resto, mentre all’asta magari ne prenderebbe 80k). 3) Se la casa è in comunione con il coniuge non debitore, quest’ultimo può cercare di dimostrare che il debito non era per la famiglia e opporsi; ma, come spiegato, la giurisprudenza tende a considerare quasi tutti i debiti come per bisogni familiari, quindi questa via è incerta. 4) In extremis, si può valutare di far rientrare la casa in un fondo patrimoniale (se c’è tempo prima che il creditore notifichi il pignoramento) o intestarlo a un terzo di fiducia, ma attenzione: queste mosse possono essere revocate o considerate frode se fatte quando i debiti sono già noti. Esempio: costituire un fondo sulla casa dopo che si sono contratti debiti con banca/fornitori di impresa, di solito non ferma il pignoramento perché il giudice riterrà quei debiti familiari e quindi pignorabili lo stesso, o comunque il creditore chiederà la revocatoria. In sostanza: la via maestra per salvare la casa è attivare per tempo una procedura concorsuale (piano/accordo) che blocchi l’asta e permetta di gestire il debito diversamente. Se il piano è ben fatto, si può mantenere la casa continuando a pagare il mutuo e magari offrendo ai chirografari altre risorse dilazionate. Ricorda però che se la casa è molto di valore e i debiti enormi, a volte la vendita è inevitabile. Ma anche in tal caso, farlo in concordato può permettere ad esempio di vendere la casa a un parente a prezzo di mercato e affittarla indietro, soluzioni più flessibili. Per i debiti fiscali, come detto, sotto certe condizioni sei già protetto dalla legge (AdER non può agire); e sopra tali condizioni, comunque AdER prima iscrive ipoteca e c’è modo di cercare soluzioni in quei 6 mesi di moratoria. In sintesi: sì, puoi spesso salvare la casa ma devi muoverti legalmente, non aspettare l’ultimo momento.

D: Cosa succede se non ho alcun bene da liquidare né entrate per pagare i creditori?
R: Non tutto è perduto: la riforma del 2021-2022 ha introdotto un meccanismo proprio per il debitore completamente incapiente. Se sei nullatenente (niente immobili né oggetti di valore) e hai un reddito solo minimo, puoi chiedere al tribunale l’esdebitazione senza liquidazione (detta anche esdebitazione del debitore incapiente). In pratica, se dimostri di essere in buona fede ma in totale indigenza, il giudice con decreto ti libera da tutti i debiti (tranne i soliti non esdebitabili) senza farti pagare nulla. È un’opportunità concessa una tantum nella vita. Dopo aver ottenuto questo “perdono”, avrai però l’obbligo per 4 anni di segnalare se ricevi somme o eredità significative e, se accade, dovrai destinare ai vecchi creditori almeno il 10% di quelle sopravvenienze. Se invece resti povero, non pagherai nulla e i creditori non potranno più perseguitarti. Questa procedura è pensata per chi proprio non può offrire nemmeno un piccolo piano di rientro. Da notare: se hai già fatto atti in frode (tipo hai regalato beni per risultare nullatenente), il tribunale non te la concederà. Occorre mostrare di essere meritevole e sinceramente sfortunato. In alternativa a questo, c’è sempre la possibilità di avviare comunque la liquidazione controllata anche se non hai beni: si chiuderà praticamente subito per mancanza di attivo e otterrai l’esdebitazione allo stesso modo, però scontando il “marchio” di una procedura concorsuale. La nuova norma evita anche questo passaggio: vai direttamente dal giudice a chiedere clemenza. Quindi, risposta: se proprio non hai nulla, la legge oggi prevede un’uscita di sicurezza che prima non c’era. Ovviamente è l’ultima spiaggia e serve a chiudere la partita dei debiti definitivamente. Devi però essere sincero con il tribunale: verranno fatte verifiche tramite l’OCC per assicurarsi che davvero tu non possegga risorse occultate e che la tua situazione non sia frutto di colpe gravissime.

D: Quanta parte del mio stipendio o pensione possono pignorare i creditori?
R: La legge pone limiti precisi. In generale, stipendi e salari possono essere pignorati solo fino a un quinto (20%) dell’importo netto mensile. Quindi, ad esempio, con 1.500 € netti, al massimo 300 € al mese possono essere trattenuti per i creditori. È escluso per legge di privarti di più della metà, anche sommando eventuali pignoramenti multipli. Nel caso di pensioni, c’è una protezione aggiuntiva: l’INPS deve lasciare impignorato un minimo vitale pari a circa 1,5 volte l’assegno sociale (circa 800 € nel 2025). Solo l’importo eccedente tale soglia può essere pignorato, sempre entro il limite del quinto. Esempio: pensione 1.000 €; parte eccedente 800 € è 200 €; il quinto di 1.000 sarebbe 200 €, ma non può comunque intaccare gli 800 €. Quindi pignoramento 200 €. Se pensione 700 €, nulla pignorabile perché sotto soglia minima. Per stipendi depositati in conto corrente, è impignorabile un importo pari a circa 3 volte l’assegno sociale (circa 1.600 €) se il pignoramento arriva a conto già caricato. In pratica la banca, all’atto del pignoramento, deve lasciare al debitore fino a 3 mensilità minime. Vale anche: se il datore di lavoro versa lo stipendio su conto pignorato, la banca trattiene di ogni versamento solo il 20% lasciando il resto. Inoltre, se coesistono più pignoramenti (es. uno per crediti ordinari, uno per alimenti arretrati), la somma delle trattenute non può superare il 50% dello stipendio/pensione. Quindi una parte significativa del reddito è sempre salva. Per dare qualche numero aggiornato (valori 2025): stipendi: 1/5 pignorabile, indipendentemente dall’importo (ma sempre minimo metà intoccata); pensioni: importo fino a ~808 €/mese totalmente impignorabile, la parte sopra quella soglia pignorabile fino al quinto. Se il creditore è l’Erario, vigono regole analoghe con scaglioni: redditi fino ~€2.500 pignorabili solo 1/10, da 2.501 a 5.000 € 1/7, sopra 5.000 € 1/5. In sostanza, non possono toglierti il necessario per vivere: almeno 4/5 dello stipendio minimo o 3/5 di redditi medi restano a te. E i creditori si devono accontentare di riscuotere a rate quella percentuale. Questa tutela è inderogabile, a meno che tu volontariamente decida di offrire di più in un accordo.

D: I debiti contratti da mio marito/moglie ricadono anche su di me? Possono pignorare i miei beni per debiti dell’altro?
R: Dipende dal regime patrimoniale e dal tipo di debito. Se siete in comunione dei beni, i creditori di uno possono aggredire i beni della comunione (es. il conto cointestato, la casa acquistata insieme dopo il matrimonio) per la gran parte dei debiti contratti anche individualmente, perché la legge presume che la maggior parte delle obbligazioni dell’uno siano fatte nell’interesse della famiglia. Ad esempio, se tuo marito ha una ditta individuale e ha debiti coi fornitori, questi potrebbero pignorare i beni in comunione (la casa comune, l’auto intestata a lui ma comprata in costanza di matrimonio, ecc.), sostenendo che l’attività produceva reddito per la famiglia. Non possono invece aggredire i tuoi beni personali (quelli di tua esclusiva proprietà fuori dalla comunione, ad es. beni avuti prima del matrimonio o ereditati) – salvo forse il caso in cui il debito fosse proprio per soddisfare bisogni familiari e i beni comuni non bastino, ma è una situazione limite. Se siete in separazione dei beni, vige la separazione dei patrimoni: ciascuno risponde solo con i propri beni. Quindi un creditore di tuo marito non può toccare i beni intestati solo a te. Se però avete qualcosa in comproprietà (metà e metà), potrà pignorare la quota di tuo marito e chiedere la vendita della sua quota (non facilissimo, ma possibile). In separazione, dunque, tu sei al sicuro con ciò che è tuo esclusivo; in comunione, purtroppo no: i beni comuni sono “di entrambi” e quindi aggredibili. Quanto ai debiti personali e familiari: se tuo marito ha fatto un debito palesemente per ragioni sue personali estranee alla famiglia (es. un investimento speculativo fallito di cui tu non sapevi nulla, o un prestito per hobby costosi), in teoria quei creditori non potrebbero prendere beni della comunione – solo i suoi personali – perché il debito è estraneo ai bisogni familiari. Però attenzione: l’onere di provarlo spetta a te e a lui, e la giurisprudenza è severa nel definire “estraneo”. Molti mariti hanno provato a dire “quel debito d’azienda era cosa mia, estranea”, ma la Cassazione ha detto no, il lavoro serve alla famiglia. Si dovrebbe dimostrare che il creditore sapeva dell’estraneità e che l’uso era proprio extra-familiare (tipo soldi buttati nel gioco d’azzardo, e la banca ne era consapevole). Raro da ottenere. In conclusione, se il regime è comunione, di fatto i debiti di uno possono colpire i beni comuni, quindi indirettamente ti coinvolgono; se il regime è separazione, molto meno: ognuno risponde per sé e i tuoi beni sono protetti. Da ciò deriva un consiglio: se uno dei due coniugi ha un’attività rischiosa, è prudente adottare il regime di separazione dei beni per limitare i danni in caso di insolvenza. Infine, segnalo il fondo patrimoniale: se avevate creato un fondo patrimoniale destinando certi beni (es. la casa) ai bisogni della famiglia, quei beni non possono essere pignorati per debiti estranei ai bisogni familiari (ad es. debiti di gioco, o spese voluttuarie). Tuttavia, come spiegato, oggi quasi tutti i debiti vengono considerati “per bisogni familiari” a meno che non sia evidentissimo il contrario. Quindi il fondo patrimoniale spesso non protegge efficacemente dai creditori di uno dei coniugi, salvo casi specifici (ad es. la Cassazione ha ritenuto pignorabile la casa in fondo per debiti fiscali dell’azienda di marito, considerandoli per la famiglia). Quindi non farci troppo affidamento. Meglio la separazione dei beni o patti chiari col coniuge. In sintesi: in comunione il tuo patrimonio comune è “co-obbligato” in molte situazioni; in separazione c’è autonomia patrimoniale.

D: Cos’è il “piano del consumatore” e in cosa differisce dal “concordato minore”?
R: Sono due tipi di procedure di sovraindebitamento. Il piano del consumatore è riservato alle persone fisiche che non hanno debiti da attività d’impresa (consumatori puri). La caratteristica principale è che il piano lo approva il giudice senza voto dei creditori: i creditori vengono semplicemente informati e possono eventualmente opporsi, ma non c’è una votazione. Se il tribunale ritiene il piano fattibile, conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria e il debitore meritevole, lo omologa d’ufficio anche con creditori contrari. Ciò consente a un consumatore onesto di ristrutturare i debiti anche contro la volontà di eventuali creditori dissenzienti, offrendo quello che può. Il concordato minore, invece, è destinato ai debitori non consumatori (imprenditori minori, professionisti) o a situazioni miste; in esso è prevista la votazione dei creditori: serve il sì di almeno il 50% dei crediti chirografari per approvare l’accordo. Quindi qui i creditori hanno voce: se non raggiungi la maggioranza di consensi, la proposta non va avanti (salvo intervento del giudice per alcune categorie come il Fisco, vedi cram-down fiscale). Un’altra differenza: nel piano del consumatore il giudice valuta approfonditamente la meritevolezza del debitore (anche se oggi basta non ci sia colpa grave o frode) e può rigettare se, ad esempio, vede che il consumatore ha fatto spese pazze volutamente; nel concordato minore il focus è più sulla fattibilità e convenienza economica, la valutazione morale c’è ma la decisione di accettare spetta ai creditori (purché il debitore non abbia frodato). Inoltre, nel concordato minore il debitore può essere un soggetto con piccola impresa e può includere ipotesi di continuazione dell’attività (es. concordato in continuità, con pagamento ai creditori col ricavato futuro), mentre il piano del consumatore riguarda tipicamente debiti pregressi di una famiglia, non implica business continuity. Da notare: nel concordato minore puoi inserire classi di creditori e altre strutture tipiche del concordato preventivo. In sintesi: piano consumatore = procedura “unilaterale” decisa dal giudice pro-debitore, tipica di famiglie; concordato minore = procedura “bilaterale” con negoziazione/voto, tipica di imprese familiari o professionisti. Entrambi portano all’esdebitazione finale. Va aggiunto che il piano del consumatore richiede che i debiti siano di natura personale; se uno ha anche debiti di impresa, potrebbe dover ricorrere al concordato minore o scorporare quelli (c’è dibattito su debiti promiscui: Cass. 22699/2023 ha detto che se prevalgono i debiti privati puoi fare piano cons, anche se hai qualche debito professionale). Quindi la distinzione a volte va ponderata col legale.

D: Cosa comporta intraprendere una di queste procedure? Sarò segnalato da qualche parte (centrale rischi, registri pubblici)?
R: L’avvio di una procedura di sovraindebitamento viene comunicato a vari soggetti ma non esiste un registro pubblico online facilmente consultabile dal pubblico generale come per i fallimenti (anche se c’è il Registro delle Procedure di Insolvenza tenuto dai tribunali). In pratica: quando presenti ricorso, il tribunale può disporre la pubblicazione sul sito ufficiale delle procedure concorsuali e comunica la cosa ai creditori. Non finisci automaticamente nelle banche dati tipo Centrale Rischi per questo (ci finirai se eri già segnalato come cattivo pagatore per i debiti in sofferenza, ma quello succede a prescindere). Certo, l’omologazione del piano o l’apertura della liquidazione sono provvedimenti pubblici: i creditori e chi ha titolo possono venirne a conoscenza. Ad esempio, per la liquidazione controllata viene iscritta nel registro delle imprese se riguarda un imprenditore. Inoltre, la normativa prevede la pubblicazione nel casellario giudiziale dei provvedimenti di esdebitazione per sovraindebitamento? (In realtà no, a differenza del fallimento che compariva nei certificati fino a riabilitazione, l’esdebitazione del consumatore direi di no. La riabilitazione civile c’è per falliti, ma qui è una procedura civile, non penale, quindi casellario no). Potenziali finanziatori futuri potrebbero però chiederti se hai fatto ricorso a procedure concorsuali. E inoltre, una volta che ottieni l’esdebitazione, per legge non potrai avere accesso ad altri crediti per un certo periodo? (Non c’è una norma che lo vieta espressamente, ma in pratica se emergesse a una banca che hai fatto un piano, potrebbe considerarti a rischio e non prestarti facilmente). In termini pratici, durante la procedura con ogni probabilità non potrai ottenere nuovi finanziamenti – le banche vedono dai documenti che sei in procedura e hai debiti congelati. Però, completata l’esdebitazione, paradossalmente sei più solvibile di prima (non hai più debiti). Formalmente, trascorsi alcuni anni, potresti ricostruirti un credit scoring. Quindi intraprendere la procedura di sovraindebitamento è di certo un “ultimo step” che segnala una crisi, ma è preferibile rispetto a rimanere eternamente inadempiente rincorso dai creditori. Inoltre, nota che la procedura piano/accordo non comporta la perdita della capacità di agire o amministrare i propri beni (non è come il fallimento dove c’è il curatore che amministra tutto). Nella liquidazione controllata invece il liquidatore amministra i beni, ma tu come persona mantieni i diritti civili (puoi contrarre matrimonio, essere testimone ecc., mentre i falliti un tempo avevano limitazioni). Oggi anche il fallito non ha più molte incapacità, figuriamoci il sovraindebitato. Quindi il “disagio” è più che altro economico-finanziario e reputazionale. Durante la procedura il tuo merito creditizio è ovviamente compromesso, ma dopo l’esdebitazione puoi ripartire. La segnalazione in CRIF di eventuali sofferenze pregresse durerà comunque per qualche anno dall’ultima segnalazione. Insomma, non è indolore ma consideralo come un “reset controllato” invece che un’agonia strisciante.

D: Se muore un familiare (es. un genitore) pieno di debiti, noi figli o il coniuge dobbiamo pagare?
R: I debiti si trasmettono agli eredi solo se questi accettano l’eredità. Se una persona deceduta aveva più debiti che crediti, la famiglia ha due opzioni principali: rinunciare all’eredità (atto formale di rinuncia in tribunale o notaio entro 10 anni) – così nessun debito del de cuius sarà dovuto dai rinunciatari –; oppure accettare l’eredità col beneficio d’inventario (entro 3 mesi se già in possesso dei beni, sennò entro 10 anni). Con il beneficio d’inventario, gli eredi tengono separato il patrimonio del defunto dal proprio: pagheranno i debiti ereditari solo nei limiti del valore dell’eredità e non con i loro beni personali. Se i debiti superano i beni ereditati, al termine della liquidazione i creditori non soddisfatti restano senza nulla e gli eredi non ne rispondono oltre (simile a una esdebitazione del defunto). Questa è la soluzione da preferire se ci sono alcuni beni di valore ma anche molti debiti. Se invece non c’è nulla di valore o si vuole evitare ogni complicazione, la semplice rinuncia è spesso adottata: con essa si esce dalla successione e i creditori dovranno rivolgersi, se esistono, ad eventuali altri chiamati o al nulla. Tieni presente che se convivevi col de cuius e non fai nulla entro 3 mesi, la legge presuppone che tu abbia accettato tacitamente (specie se hai usato beni ereditari). Quindi in caso di genitore indebitato deceduto, conviene farsi consigliare subito su rinuncia vs beneficio. A livello di protezioni: il coniuge superstite ha per legge il diritto di abitazione nella casa familiare e di uso dei mobili (art. 540 c.c.); tale diritto prevale su eventuali creditori ipotecari? Non esattamente, ma lo cito perché è una tutela in ambito successorio: i creditori ereditari non possono espropriare il diritto di abitazione del coniuge, perché è un diritto successorio privilegiato. Comunque, tornando alla domanda: no, nessuno è obbligato a pagare i debiti dei parenti defunti, a meno che non accetti l’eredità. Attenzione però: se ad es. moglie e marito erano coobbligati su un prestito, la morte di uno lascia l’altro comunque debitore al 100% perché era un suo debito diretto. Ma quello non è “debito ereditario”, è proprio il suo. Diverso è se il debito era solo intestato al defunto. In sintesi: se non vuoi ereditare debiti, puoi rinunciare all’eredità o accettarla con beneficio d’inventario. La legge offre questa protezione.

D: La composizione negoziata della crisi d’impresa serve anche ai privati o solo alle aziende?
R: È pensata principalmente per imprese (di qualsiasi dimensione, anche piccolissime) e imprenditori individuali. Un privato “consumatore” senza attività imprenditoriale non ricorre alla composizione negoziata – in tal caso userebbe direttamente un piano del consumatore se in crisi. La composizione negoziata serve a imprenditori commerciali e agricoli, anche piccoli, che si trovano in situazione di squilibrio o crisi e vogliono cercare una soluzione concordata prima di dover ricorrere al tribunale. Ad esempio, una ditta individuale familiare in difficoltà di liquidità può attivare la piattaforma di composizione negoziata per negoziare con i fornitori e le banche, con l’aiuto di un esperto. Per una famiglia, la CNC può essere utile se la famiglia gestisce un’attività economica: quindi è il caso del piccolo imprenditore, dell’artigiano, del commerciante. Se la famiglia in crisi è intesa solo come nucleo consumatore (debiti personali), allora no – in quel caso servono le procedure di sovraindebitamento classiche. Quindi, ricapitolando: la composizione negoziata non è uno strumento per il consumatore civile (che ha bollette o prestiti da pagare), ma per l’imprenditore (anche di dimensioni ridotte) che vuole evitare di portare l’azienda in concordato o fallimento. Una famiglia proprietaria di una s.r.l. piccola, ad esempio, potrebbe utilizzare la CNC per la s.r.l.; oppure un negozio a conduzione familiare in crisi può farlo come ditta individuale. La procedura è volontaria, confidenziale e non comporta immediata esdebitazione, ma può preludere ad accordi con i creditori o, se fallisce, a un concordato semplificato. Quindi la risposta diretta: alle persone fisiche non imprenditori la CNC non si applica. Serve una partita IVA e un’attività, anche minima. Per il privato cittadino c’è il sovraindebitamento.

D: Quali vantaggi concreti ottengo affrontando la crisi con queste procedure invece che lasciare che i creditori mi pignorino beni e stipendio?
R: Ci sono diversi vantaggi: 1) Sospensione delle azioni esecutive: presentando ricorso si ottiene tipicamente uno stand-still dai pignoramenti. Ciò ti toglie la pressione immediata (niente asta imminente, niente stipendio dimezzato all’improvviso, ecc.) e permette di gestire la situazione in modo ordinato e complessivo. 2) Riduzione del debito: con un piano/accordo spesso paghi solo una parte dei debiti e cancelli il resto. Ad esempio, potresti pagare 30 su 100 e liberarti comunque di 100. Se lasci fare ai creditori, essi tenteranno di prendersi il 100% con interessi e spese, e magari ci riusciranno aggredendo tutto; ma se non hai abbastanza, rimarrai indebitato a vita perché un pignoramento parziale di stipendio può trascinarsi per decenni e gli interessi continuano a maturare. Invece con la procedura, definisci un perimetro: paghi quello che puoi in tot anni e stop al resto. 3) Protezione di beni essenziali: come visto, certe procedure consentono di salvare l’abitazione (continuando a pagare il mutuo) o l’auto necessaria se c’è un leasing che viene mantenuto, mentre nel pignoramento indiscriminato potresti perderli e poi doverne ricomprare un’altra peggiore. 4) Tempi più rapidi per “uscire dal tunnel”: un pignoramento stipendio al 20% su un debito grosso può durare 20-30 anni; con un piano del consumatore magari in 4-5 anni chiudi tutto e ottieni l’esdebitazione. La legge fissa durata massima (es. 3 anni per liquidazione; un piano raramente supera i 5-6 anni). Dunque vedi la fine, diversamente dall’incertezza di far rosicchiare il tuo stipendio per decenni. 5) Spese e interessi bloccati: dal momento dell’ammissione alla procedura, gli interessi sui crediti chirografari di solito sono congelati (non maturano oltre). In esecuzione invece gli interessi legali/di mora continuano a correre sull’importo non ancora pagato, e spesso i pignoramenti coprono a malapena gli interessi lasciando intatto il capitale. 6) Parità di trattamento e pace familiare: con una procedura concorsuale, tutti i creditori sono trattati equamente secondo regole legali. Nessuno può fare il furbo ad avvantaggiarsi (tipo il primo che arriva pignora tutto e gli altri zero). Ciò anche psicologicamente mette ordine. 7) Consulenza di esperti: avrai l’ausilio di un OCC e di professionisti che ti aiutano a gestire la crisi. Invece subendo i pignoramenti sei passivo e spesso disorientato. 8) Effetto liberatorio psicologico e sociale: completare la procedura con esdebitazione ti ridà la dignità economica e la possibilità di ripartire senza stigma (a parte il temporaneo). Invece restare cattivo pagatore cronico ti esclude dal credito per sempre e ti lascia l’ansia dei debiti pendenti. 9) Tutele per la famiglia: i giudici spesso modulano il piano in modo da lasciare al debitore risorse per i bisogni familiari (es. non ti faranno pagare rate che ti lasciano senza cibo). Invece un pignoramento potrebbe colpirti senza considerare che hai figli da mantenere (anche se in teoria i giudici dell’esecuzione considerano eventuali assegni familiari ecc., ma la procedura concorsuale è più organica). Insomma, affrontare attivamente la crisi con gli strumenti legali ti dà controllo e prospettiva di soluzione, contro la passività di subire mille azioni scoordinate. Ovviamente c’è un costo (bisogna pagare professionisti e OCC, benché spesso i costi siano commisurati al reddito e in parte dilazionati nel piano). Ma ne vale la pena se il debito è importante. Se i debiti sono modesti e gestibili via pignoramentino, uno potrebbe anche non attivare procedure, ma nel contesto di famiglia fortemente indebitata conviene decisamente ricorrere alle procedure: si dorme meglio la notte e c’è luce in fondo al tunnel (l’esdebitazione). In sintesi: il vantaggio è che passi da una condizione di indebitamento perpetuo senza via d’uscita, a una di sovraindebitamento risolto con una strategia, un termine e una riabilitazione. E i tuoi beni essenziali e redditi minimi sono preservati meglio.

Esempi pratici di gestione dei debiti familiari

Di seguito presentiamo alcuni casi pratici simulati che illustrano come, in situazioni reali, una famiglia indebitata possa usare gli strumenti legali discussi per risolvere o alleviare la propria condizione debitoria. Si tratta di esempi semplificati ma basati su circostanze ricorrenti.

Esempio 1: Famiglia consumatrice con debiti al consumo e mutuo

Scenario: Marco e Giulia sono una giovane coppia con un figlio piccolo. Marco è impiegato (stipendio netto €1.400) e Giulia part-time (€800). Hanno acceso un mutuo prima casa anni fa (rata €600) e contratto vari prestiti al consumo per arredamento, auto e spese mediche improvvise. In totale hanno: mutuo residuo €120.000 (banca ipotecaria), finanziaria A €20.000 (per auto, rata €350), finanziaria B €10.000 (carta di credito revolving), debito bollette e spese condominiali arretrate €5.000. Negli ultimi mesi, a causa di spese straordinarie e di una riduzione di orario di Giulia, sono entrati in sofferenza: pagano il mutuo ma hanno smesso di pagare le finanziarie e accumulato arretrati di bollette. I creditori extra-mutuo minacciano azioni legali; la finanziaria A ha inviato precetto per pignorare l’auto.

Problema: La famiglia, “consumatrice” pura, è sovraindebitata: le rate sarebbero ingestibili (600+350+… > reddito disponibile). Il rischio è perdere l’auto (necessaria a Marco per recarsi al lavoro) e subire pignoramento stipendio, che ridurrebbe ulteriormente la liquidità. Hanno paura di perdere anche la casa se le cose peggiorano.

Soluzione: Marco e Giulia si rivolgono a un OCC e presentano un Piano del Consumatore familiare. Propongono di: mantenere il regolare pagamento del mutuo (€600/mese) per non intaccare la casa, sospendere le azioni di finanziarie e fornitori e offrire a questi ultimi un pagamento parziale: finanziaria A (residuo 20k) verrebbe soddisfatta con €12k (60%) dilazionati in 48 mesi (€250/mese), finanziaria B (10k) con €4k (40%) in 48 mesi (€85/mese), bollette e condominio (5k) integralmente ma rateizzati in 36 mesi (€140/mese). In totale, il piano prevede che per 4 anni Marco e Giulia paghino, oltre alla rata mutuo di €600, circa €475 al mese verso gli altri creditori, il che è calibrato sul loro reddito (€2.200 combinato): è duro ma fattibile stringendo un po’ la cinghia. L’OCC attesta che il piano è sostenibile e che i creditori chirografari (A, B, ecc.) comunque ricevono più del presumibile in una liquidazione (nella quale la casa non sarebbe toccabile dal fisco ma l’auto venduta sì): nel piano offrono ~50% medio sui chirografari, mentre dalla liquidazione dell’auto forse avrebbero preso meno dopo spese. Il giudice omologa il piano nonostante finanziaria B avesse espresso opposizione (voleva di più). Con l’omologa: vengono bloccati i pignoramenti (l’auto non si può più pignorare, anzi continua a servire alla famiglia), la finanziaria A e B incassano le rate secondo piano e devono rinunciare al restante (rispettivamente 8k e 6k) a fine piano, e le utenze ricevono gli arretrati in modo scaglionato. Marco e Giulia mantengono la casa, continuando a pagare il mutuo normalmente. Dopo 4 anni di sacrifici, completano tutti i pagamenti previsti; il tribunale emette il decreto di esdebitazione per i residui: ~14k complessivi di debiti vengono cancellati. Ora hanno solo il mutuo da portare avanti e sono tornati solvibili.

Commento: Senza il piano, avrebbero avuto: pignoramento dell’auto (perdendo il mezzo, magari svenduto all’asta per 8k, rimanendo comunque debito), la finanziaria B avrebbe potuto pignorare 1/5 dello stipendio di Marco (€280/mese per molti anni) e i fornitori magari un altro 1/5 di Giulia (€160). Totale €440 pignorato/mese, simile a quanto pagato col piano, ma con differenze: sarebbe durato forse 7-8 anni (finché tutti rimborsati con interessi), contro 4 anni pianificati; niente esdebitazione – avrebbero dovuto coprire 100% più spese legali; e rischio di insolvenza mutuo per la pressione. Il piano invece ha dato certa fine e tutela della casa/auto.

Esempio 2: Piccolo imprenditore coniugato e sovraindebitamento misto

Scenario: Luigi gestiva una piccola libreria (ditta individuale). Il business è andato male, accumulando debiti: €30.000 con fornitori di libri, €15.000 di affitto arretrato del locale, €20.000 di debiti fiscali (IVA e INPS). Luigi ha anche debiti personali: €10.000 con banca (prestito personale) e €5.000 su carta di credito. È sposato con Anna (casalinga) in comunione dei beni; la casa coniugale (un appartamento) è intestata ad entrambi (in comunione) ed è priva di ipoteche. Luigi non è fallibile (ricavi troppo bassi, sotto soglia). Ha chiuso la partita IVA e ora lavora come dipendente (€1.200/mese). Con questo stipendio però non può pagare i debiti d’impresa e personali pregressi, e i creditori minacciano cause. Un fornitore ha già chiesto decreto ingiuntivo; l’Agenzia Entrate Riscossione ha iscritto ipoteca sulla casa per i €20.000 di cartelle.

Problema: Sovraindebitamento misto (debiti da impresa e privati). Rischi: i fornitori e l’ex proprietario del locale potrebbero pignorare la casa di Luigi e Anna (è in comunione, e trattandosi di debiti d’impresa di Luigi, rientrano probabilmente nei bisogni familiari – servivano al lavoro di Luigi che manteneva la famiglia – quindi il fondo comune è attaccabile). Già c’è l’ipoteca fiscale: se AdER procedesse all’esecuzione (può farlo perché Luigi possiede anche un’altra metà casa della moglie? Beh, è unica casa e debito 20k <120k, quindi in realtà AdER non può espropriare quella casa! È l’unico immobile e residenza, no lusso, debito 20k). Dunque AdER ha messo ipoteca ma non può (per legge) andare all’asta a meno che il debito superi 120k o Luigi possieda altro. Ciò però non vale per fornitori e altri creditori privati, che possono pignorare la casa. Inoltre, banca e carta di credito potrebbero aggredire stipendio o conto. In comunione, tutti i beni comuni (la casa, eventuale conto cointestato) sono esposti. Luigi teme di far perdere la casa alla famiglia.

Soluzione: Luigi, assistito da OCC, opta per un Concordato Minore (non consumatore, perché i debiti sono in gran parte d’impresa). Coinvolge anche la moglie Anna, in forma di procedura familiare: essendo Anna coobbligata moralmente sui beni comuni, di fatto partecipano entrambi (anche se i debiti sono solo di Luigi, ma l’art. 66 CCII consente ricorso familiare con origine comune – qui l’origine è comune nel senso che i debiti d’impresa di Luigi erano per la famiglia). Luigi propone: liquidare alcuni asset minori (ha un furgoncino da vendere per €5.000) e mantenere la casa familiare esclusa dalla liquidazione. Offrirà ai creditori il ricavato del furgone + un finanziamento esterno di €10.000 promesso dal fratello. Totale €15.000 da dividere. In più si impegna a versare €200/mese del suo stipendio per 3 anni (altri ~€7.200). Quindi la massa disponibile è ~€22.200. I debiti chirografari totali ammontano a (30+15+10+5=) €60.000, più l’Erario €20.000 (privilegiati in parte per IVA). Nel piano Luigi propone di soddisfare integralmente l’IVA e il 40% del resto. In numeri: dei €20k al fisco, €15k andranno a coprire IVA e INPS (che magari hanno privilegio), i rimanenti ~€7k andranno pro quota ai fornitori, proprietario locale, banca e carta, che riceveranno circa il 30% dei loro crediti. Viene prevista una classe separata per il credito fiscale privilegiato (che sarà soddisfatto 100% capitale, solo sanzioni falcidiate) e un’altra classe per chirografari tutti insieme (saranno soddisfatti al 30%). Nessun creditore ipotecario c’è (l’ipoteca di AdER c’è ma se paghi integralmente il debito fiscale, si estingue). Si chiede ai creditori voto favorevole. Attraverso incontri, l’OCC fa comprendere ai creditori che la casa è protetta in parte dalla norma (il fisco non la può pignorare e comunque il tribunale potrebbe rigettare la vendita della casa comune perché andrebbe a detrimento della famiglia se c’è altra via) e che se forzano l’esecuzione otterranno poco: la casa ha valore, ma è in comunione con moglie e ci sono ipoteche (AdER), una vendita forzata sarebbe complessa e con ricavato incerto; inoltre Luigi non ha altri beni. Invece col concordato minore offre subito 22k cash su 60k, molto di più di quanto si prospetta in un fallimento personale (dove la casa forse manco entrerebbe per via art. 76 DPR 602/73 se la vendesse AdER, e il furgone da solo era poco). I creditori votano sì: il 70% dei chirografari (fornitori e banca vogliono chiudere) accetta la proposta, e AdER non si oppone (prende il suo 100%). Il tribunale omologa il concordato minore. Luigi vende il furgone, il fratello versa i €10k promessi, Luigi versa €200/mese come da piano. In pochi mesi, i creditori privilegiati (Stato) sono pagati interamente e i chirografari ricevono il 30% pattuito. Il concordato si chiude regolarmente. Esito: Luigi e Anna mantengono la casa (non venduta né ipotecata ulteriormente); tutti i debiti pregressi di Luigi risultano soddisfatti o esdebitati: i creditori hanno incassato una parte e per il resto non possono più agire. L’ipoteca di AdER viene cancellata dopo il pagamento integrale. Luigi resta con solo un debito: forse il fratello, che però glielo ha condonato, essendo aiuto familiare. Riparte da zero. La famiglia ha evitato sia il fallimento sia la perdita della casa.

Commento: Qui il concordato minore ha permesso di negoziare un saldo stralcio collettivo con efficacia vincolante per tutti i creditori, cosa impossibile da ottenere informalmente (ci sarebbe voluto il 100% di accordo). Inoltre, il giudice ha potuto cramdown eventuali dissenzienti (non è stato necessario perché hanno aderito). Anche la moglie Anna è stata tutelata: i creditori non potranno più toccare la casa comune per quei debiti. Senza questo, i fornitori avrebbero potuto pignorare la casa: essendo in comunione, un giudice dell’esecuzione l’avrebbe messa all’asta (nonostante l’art. 76 tuteli da AdER, i fornitori privati non hanno quel vincolo), il 50% del ricavato sarebbe andato a soddisfare loro crediti (forse prendendo poco, ma avrebbero distrutto il bene familiare). Così invece tutti prendono qualcosa e la famiglia conserva il tetto. Luigi ha “barattato” furgone e 3 anni di piccole rate con la serenità finanziaria futura.

Esempio 3: Coniuge in comunione dei beni con debiti di gioco – uso del Fondo patrimoniale e intervento della Cassazione

Scenario: Paolo ha accumulato €50.000 di debiti di gioco d’azzardo (prestiti con finanziarie e con agenzie di scommesse illegali). È sposato con Laura, casalinga, in comunione dei beni. Nel tentativo di mettere al sicuro la casa coniugale, un anno fa Paolo e Laura hanno costituito un fondo patrimoniale su di essa, destinandola ai bisogni della famiglia. I creditori (finanziarie) ora iniziano ad agire: una finanziaria ottiene decreto ingiuntivo e pignora la casa, nonostante l’annotazione del fondo patrimoniale, sostenendo che il debito – pur essendo frutto del vizio del gioco di Paolo – rientri nei bisogni familiari perché magari Paolo sosteneva che le somme gli servivano per la famiglia.

Problema: Possono i creditori aggredire la casa in fondo patrimoniale? Paolo obietta che i debiti derivano dal gioco d’azzardo, attività voluttuaria e contraria ai bisogni familiari, e quindi ex art. 170 c.c. la casa non dovrebbe essere toccabile. Il creditore, però, afferma di non sapere nulla dell’uso del denaro e che comunque i coniugi non hanno provato che quei debiti non fossero a beneficio della famiglia.

Svolgimento: La causa arriva in tribunale e poi in Cassazione. La Cassazione (richiamando orientamenti come Cass. 15886/2014 e Cass. 18619/2020) stabilisce che, per bloccare il pignoramento, Paolo e Laura avrebbero dovuto dimostrare che la finanziaria conosceva la destinazione “estranea” di quei soldi (cioè che erano per gioco e non per famiglia). Ciò non è avvenuto; anzi, Paolo nel contratto dichiarava finalità generiche (forse ha persino detto “per spese familiari”). Quindi il fondo patrimoniale non lo protegge dall’azione del creditore. Inoltre, la Cassazione ribadisce che i “bisogni della famiglia” vanno interpretati in senso ampio e includono l’ordinario svolgimento della vita, se Paolo ha il dovere di destinare lavoro e risorse alla famiglia, un prestito ottenuto (anche se poi mal utilizzato) rientra in quell’ambito a meno che il creditore avesse contezza di uno scopo totalmente estraneo. In mancanza di prova contraria, il debito è considerato familiare. Di conseguenza, la casa in fondo può essere espropriata dal creditore. Il pignoramento dunque prosegue.

Esito: la casa viene venduta all’asta; con il ricavato il creditore finanziario soddisfa il suo credito e l’eccedenza (se c’è) va agli altri creditori di Paolo o torna al fondo. Paolo e Laura perdono la casa. In più, a posteriori, Paolo decide di affrontare la sua ludopatia e scopre che se fosse ricorso prima a una procedura di sovraindebitamento, magari avrebbe potuto ottenere un piano o addirittura un’esdebitazione per “causa di forza maggiore” (la ludopatia in alcuni casi è stata considerata tale). Ma non l’ha fatto in tempo.

Commento: Questo esempio mostra i limiti del fondo patrimoniale come strumento di protezione dai debiti. Solo situazioni palesi – debiti contratti per scopi manifestamente estranei ai bisogni familiari e conosciuti tali dal creditore – danno ragione ai coniugi. Nella pratica, quasi mai il creditore sa che il debitore sta usando i soldi per vizi personali; e la giurisprudenza comunque richiede la prova di questa conoscenza. Dunque, fare affidamento sul fondo come scudo assoluto è pericoloso: spesso i creditori riescono comunque a pignorare i beni in fondo. I coniugi in difficoltà avrebbero alternative migliori: se il debito deriva da ludopatia, avrebbero potuto tentare un piano del consumatore allegando le prove dello stato patologico, ottenendo magari un trattamento di favore ed esdebitazione (ci sono precedenti di tribunali che hanno accolto casi di giocatori patologici). Inoltre, se temono aggressioni ai beni, meglio predisporre per tempo un regime di separazione o vendere il bene a un terzo (anche se la vendita poteva essere revocata se fatta in frode). Il fondo era la classica scelta, ma come si vede i giudici lo “impallinano” e lo considerano uno schermo troppo facile da eludere, spesso a favore dei creditori.

L’insegnamento è che la protezione del patrimonio familiare dev’essere costruita con strumenti robusti e corretti: ad esempio, non indebitarsi per scopi estranei se si ha un fondo (perché poi è un abuso), oppure usare trust o cessioni a terzi molto prima di contrarre debiti (perché altrimenti scatta la revocatoria). Ma soprattutto, affidarsi al percorso giudiziario di composizione della crisi può offrire risultati migliori e più equi che confidare in scudi di carta.


Conclusione

La condizione di sovraindebitamento familiare è un problema sempre più presente nella società moderna, ma l’ordinamento italiano – specialmente con le riforme più recenti – ha approntato un ventaglio di soluzioni che consentono di gestire anche le situazioni più critiche. Dalla ristrutturazione dei debiti con un piano sostenibile alla liquidazione controllata del patrimonio, fino all’esdebitazione totale del debitore onesto privo di risorse, esiste un percorso legale per quasi ogni circostanza. Queste procedure, pur complesse, incarnano un principio di civiltà giuridica: offrire al debitore meritevole una via d’uscita, una “seconda chance”, evitando che una famiglia intera sia condannata alla miseria per debiti magari contratti in momenti sfortunati o per eventi avversi.

Abbiamo visto come la legge ti aiuta concretamente se sei un debitore in buona fede: tutela la tua casa in determinate situazioni, ti garantisce un minimo indispensabile per vivere e lavorare, ti permette di pagare i creditori in misura commisurata alle tue effettive possibilità e di liberarti del resto. Inoltre, attraverso istituti come la composizione negoziata, cerca persino di salvare l’impresa di famiglia prima che collassi, coinvolgendo i creditori in soluzioni concordate senza passare dal tribunale.

Naturalmente, attivare questi strumenti richiede coraggio e trasparenza: bisogna affrontare la situazione a viso aperto, magari ammettendo errori passati, e spesso comporta accettare sacrifici (vendere beni, vivere con rigore durante il piano). Ma il premio finale – l’esdebitazione, il ritorno a una vita finanziariamente normale – ripaga di tutto. Come evidenziato, la giurisprudenza più recente ha abbracciato un approccio di favor debitoris, invitando a una lettura non punitiva bensì recuperatoria delle norme. Il debitore non è più visto a priori come un “colpevole” da perseguitare, ma come un soggetto economicamente fragile da reinserire nel circuito produttivo, se dimostra collaborazione e integrità.

Questa guida, con le fonti normative e le sentenze citate, ha voluto fornire una panoramica avanzata ma accessibile delle opportunità legali per le famiglie indebitate in Italia (aggiornata a luglio 2025). In caso di difficoltà economica seria, il messaggio è chiaro: non vergognarsi e non nascondersi, bensì rivolgersi a professionisti (OCC, avvocati) e al tribunale, perché la legge offre strumenti efficaci e ormai collaudati per risolvere la crisi da sovraindebitamento. Ogni situazione ha la sua soluzione su misura: dalla famiglia consumatrice che necessita di un piano al piccolo imprenditore che può fare un concordato minore, fino al debitore disperato che può ottenere la cancellazione di tutti i debiti.

Dal punto di vista del debitore, conoscere e utilizzare questi strumenti significa riappropriarsi del controllo sul proprio destino finanziario, anziché subirlo passivamente. Significa anche ristabilire un equilibrio di dignità nei confronti dei creditori: pagare ciò che si può, ottenere la liberazione dal resto e ripartire puliti. È un equilibrio che giova non solo al debitore ma, a lungo termine, anche alla collettività e agli stessi creditori, perché favorisce l’emersione dell’economia in crisi e il recupero di persone al circuito produttivo.

In conclusione, una famiglia con debiti non è sola né condannata: la legge la aiuta, a patto che si attivi per farsi aiutare. Come recita un recente motto istituzionale sul sovraindebitamento, “uscire dai debiti si può”, grazie a procedure che oggi più che mai realizzano quel giusto bilanciamento tra la tutela dei creditori e la salvaguardia della dignità e della speranza del debitore onesto.


Fonti normative e giurisprudenziali

  • Codice Civile: art. 144 (indirizzo vita familiare), art. 167-171 (Fondo patrimoniale), art. 189-190 (responsabilità per debiti in comunione), art. 2740 (responsabilità patrimoniale generale).
  • Codice di Procedura Civile: art. 514 (beni mobili assolutamente impignorabili); art. 515 (beni relativamente impignorabili, strumenti di lavoro); art. 543 ss. (pignoramento presso terzi); art. 545 (limiti di pignorabilità di stipendi e pensioni).
  • D.P.R. 29/09/1973 n. 602: art. 76 (limiti all’espropriazione immobiliare da parte dell’Agente della Riscossione: divieto di pignoramento prima casa con condizioni).
  • Legge 27/01/2012 n. 3: (vecchia legge sul sovraindebitamento, integrata nel CCII) – definizioni di sovraindebitamento e consumatore; procedure di accordo, piano, liquidazione.
  • D.Lgs. 12/01/2019 n. 14:Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) – in particolare:
    • art. 2, co.1 lett. c) (definizione di sovraindebitamento) e lett. e) (definizione di consumatore);
    • art. 65-73 (Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore);
    • art. 74-83 (Concordato minore);
    • art. 268-277 (Liquidazione controllata del sovraindebitato);
    • art. 282-283 (Esdebitazione del sovraindebitato incapiente);
    • art. 66 (Procedura familiare sovraindebitamento);
    • art. 270 (durata max liquidazione 3 anni).
  • D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021: (introduzione Composizione Negoziata della crisi) – disciplina ora in artt. 12-25-octies CCII.
  • D.Lgs. 17/06/2022 n. 83: (primo correttivo CCII, attuazione Dir. UE 2019/1023) – modifiche a requisiti di meritevolezza (abrogazione “triplice test” e introduzione criterio colpa grave/malafede); introduzione esdebitazione incapiente.
  • D.Lgs. 13/09/2024 n. 136: (Terzo correttivo CCII) – ulteriori modifiche: definizione consumatore precisata, procedure familiari semplificate, soglie imprese minori, regole cram-down fiscale più rigorose.
  • Cassazione Civile:
    • Sent. Sez. I n. 19270/2014: Impignorabilità prima casa AdER applicabile anche a procedure pendenti al 2013 (natura retroattiva, norma processuale).
    • Sent. Sez. III n. 15886/2014: Fondo patrimoniale – interpretazione stringente di “bisogni familiari”; bisogni estesi oltre mere necessità; onere del debitore provare estraneità e conoscenza creditore.
    • Ord. Sez. VI-3 n. 742/2020: Sovraindebitamento – fideiussore persona fisica può qualificarsi consumatore se agisce per scopi estranei attività imprenditoriale (fideiussore “consumatore”).
    • Sent. Sez. I n. 5017/2020: Fondo patrimoniale – debiti per scopi meramente speculativi considerati estranei ai bisogni (esempi di esclusione: amante, attività illecita).
    • Ord. Sez. VI-3 n. 18619/2020: Revocatoria fondo patrimoniale in fallimento – beni in fondo non entrano in massa fallimentare se debiti non familiari.
    • Sent. Sez. III n. 30342/2021: Divieto pignoramento prima casa non si applica a sequestro/confisca penale per reati tributari.
    • Cass. Sez. I n. 22890/2023 (27/07/2023): Meritevolezza consumatore – va valutata secondo nuovi criteri art. 69 CCII, colpa grave/malafede, abrogato vecchio test tripartito.
    • Cass. Sez. I n. 22699/2023 (26/07/2023): Debiti “promiscui” – ammesso piano consumatore se prevalenza debiti privati; componente imprenditoriale non preclude accesso quando marginale. Nella stessa pronuncia, rigettato rinvio pregiudiziale e affermata competenza tribunale unico in procedure familiari (caso coinvolgente imprenditore cessato).
    • Cass. Sez. Trib. n. 9479/2023: Opposizione a d.i. per interessi usurari – debitore può far valere clausole vessatorie tardivamente per bloccare pignoramento casa (tutela consumatore).
    • Cass. Sez. III n. 5834/2023: Fondo patrimoniale – onere del debitore provare estraneità debito a bisogni familiari, altrimenti esecuzione sui beni in fondo legittima.
    • Cass. Sez. III n. 9789/2024 (11/04/2024): Fondo patrimoniale – ribadito indirizzo: ampliata nozione di bisogni, comprende obbligazioni per attività lavorativa del coniuge; gravosa la prova contraria per debitore.
    • Cass. Sez. III n. 16247/2024 (11/06/2024): Fondo patrimoniale – distribuzione onere probatorio estraneità debito ai bisogni; confermato che spetta al debitore provare scopo estraneo e conoscenza creditore.
    • Cass. Sez. VI-3 n. 32759/2024 (16/12/2024): Divieto pignoramento prima casa AdER – ribadito carattere processuale e applicazione retroattiva; confermata impignorabilità unica casa se condizioni rispettate, rafforzando tutela debitore.
    • Cass. Sez. I n. 32146/2024 (12/12/2024): Fondo patrimoniale “impallinato” – sentenza programmatica che amplia ulteriormente nozione di bisogni familiari all’attività imprenditoriale del coniuge; afferma onere in capo ai coniugi di dimostrare accordo ex art.144 c.c. contrario per escludere impiego risorse in famiglia. Conclude che quasi tutti i debiti, inclusi fiscali e di fornitura per attività, sono da considerarsi per bisogni familiari.
  • Corte Costituzionale: sent. n. 83/2018 – ha dichiarato infondata q.l.c. su Legge 3/2012 nella parte in cui non includeva imprenditori maggiori, ritenendo ragionevole la distinzione procedure (non direttamente rilevante qui, ma contesto).
  • Direttiva UE 2019/1023 (Insolvency Directive): principi recepiti dal D.Lgs. 83/2022 – particolare il “fresh start” entro 3 anni per imprenditori e estensione a consumatori; attenzione a merito creditizio banche.

La tua famiglia è sommersa dai debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Spese che aumentano, entrate che calano, rate che non si riescono più a pagare. Se la tua famiglia si trova in difficoltà economica e i debiti iniziano ad accumularsi, non siete soli.
La legge oggi offre strumenti concreti per proteggere il nucleo familiare, bloccare i creditori e ripartire con dignità.


Quali debiti colpiscono più spesso le famiglie?

  • 🧾 Finanziamenti per auto, elettrodomestici o prestiti personali
  • 🏦 Mutuo prima casa in arretrato
  • 💸 Bollette, tasse locali e cartelle esattoriali
  • 📉 Spese mediche impreviste o perdita del lavoro
  • ⚖️ Debiti pregressi legati ad attività chiuse o fallite

Queste situazioni possono diventare un peso insostenibile e sfociare in pignoramenti, iscrizioni a ruolo, blocchi bancari.


Cosa rischi se non agisci?

  • ⛔ Pignoramento del conto o dello stipendio di uno dei coniugi
  • 🔒 Perdita della casa familiare o del veicolo usato per lavorare
  • 💼 Problemi con affitto, figli a carico e gestione quotidiana
  • 🧾 Segnalazioni negative nei sistemi creditizi che impediscono ogni finanziamento
  • ⚠️ Peggioramento continuo della situazione, anche sul piano emotivo e relazionale

Come può aiutarti la legge?

Oggi esistono procedure di sovraindebitamento pensate proprio per le famiglie in crisi.
Con questi strumenti puoi:

  1. 📂 Presentare un piano di ristrutturazione dei debiti sostenibile
  2. ✍️ Chiedere la liquidazione controllata, con protezione legale da pignoramenti
  3. ⚖️ Ottenere l’esdebitazione totale, se non hai più nulla da offrire
  4. 🛡️ Bloccare azioni esecutive e cartelle esattoriali in corso
  5. 🔁 Proteggere i beni essenziali, la casa e la serenità familiare

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📑 Analizza la situazione debitoria della famiglia e valuta le soluzioni disponibili
📂 Verifica la sussistenza dei requisiti per accedere al sovraindebitamento
✍️ Redige il piano per l’OCC o la proposta di liquidazione controllata
⚖️ Ti rappresenta davanti al tribunale per bloccare i creditori
🔁 Ti accompagna fino alla chiusura della procedura e alla liberazione dai debiti


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in crisi familiare da debiti e procedure di esdebitazione
✔️ Consulente per pignoramenti casa, stipendio e cartelle esattoriali
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per famiglie a basso reddito, con figli o soggette a eventi imprevisti
✔️ Autore di soluzioni legali per la tutela del nucleo familiare indebitato


Conclusione

Anche una famiglia con gravi difficoltà economiche può rialzarsi, se conosce e utilizza gli strumenti giusti. La legge è dalla tua parte.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi bloccare i creditori, proteggere la casa e costruire una nuova stabilità per te e i tuoi cari.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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