Hai lavorato come venditore ambulante e ora ti ritrovi con debiti fiscali, cartelle esattoriali o richieste dell’Agenzia delle Entrate? Ti stai chiedendo come difenderti, se puoi bloccare pignoramenti o rateizzare, e cosa fare per uscire da questa situazione senza perdere tutto?
Molti ex ambulanti si trovano oggi sommersi dai debiti: tasse non pagate, contributi INPS, multe, interessi e sanzioni. Ma non sei senza strumenti: esistono soluzioni legali per fermare il recupero forzato, ridurre o azzerare i debiti e ripartire.
Quali sono i problemi più comuni per gli ex venditori ambulanti?
– Cartelle esattoriali per vecchie imposte o contributi non versati
– Fermi amministrativi, pignoramenti su conto corrente o auto
– Mancata chiusura formale della partita IVA o della licenza
– Interessi e sanzioni che hanno moltiplicato il debito originario
– Controlli retroattivi anche se l’attività è cessata da anni
Cosa puoi fare per difenderti dai debiti fiscali e contributivi?
– Verificare l’effettiva legittimità delle cartelle: molte sono viziate, prescritte o notificate male
– Se il debito è elevato e non riesci a pagare, puoi accedere alla procedura di sovraindebitamento
– Se hai cessato l’attività e non hai patrimonio, puoi chiedere l’esdebitazione per incapienti
– In alcuni casi, puoi ottenere un saldo e stralcio, cioè pagare solo una parte del dovuto
– Puoi anche rateizzare il debito con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, se sei in regola con le condizioni
Cosa controllare prima di decidere cosa fare?
– Se la partita IVA è stata effettivamente chiusa
– Se le cartelle sono state notificate regolarmente
– Se il debito è prescritto (5 o 10 anni, a seconda del caso)
– Se hai diritto ad agevolazioni fiscali, riduzioni o annullamenti
– Se hai altri debiti cumulabili nella procedura di composizione della crisi
Cosa NON devi fare mai?
– Ignorare le notifiche: rischi pignoramenti anche se hai cessato l’attività
– Pensare che “non c’è più nulla da fare”: le soluzioni esistono, anche senza soldi
– Continuare a ricevere cartelle su un’attività chiusa: puoi bloccarle con la documentazione corretta
– Accettare qualsiasi piano di pagamento senza una verifica tecnica: potresti pagare più del dovuto
Se sei un ex ambulante con debiti, hai diritto a essere difeso e a ricominciare. La legge ti offre strumenti concreti per ridurre, sospendere o cancellare i debiti accumulati con l’attività.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in sovraindebitamento, difesa da cartelle e procedure esecutive – ti spiega cosa controllare se sei un ex venditore ambulante con debiti, come bloccare l’Agenzia delle Entrate e quali sono le vie legali per liberarti.
Hai ricevuto nuove cartelle dopo aver cessato l’attività di ambulante?
Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Verificheremo le cartelle, i tempi, la tua situazione patrimoniale e costruiremo una strategia personalizzata per ridurre i debiti, evitare l’esecuzione e permetterti di ricominciare da zero.
Introduzione
Un ex venditore ambulante che si trova sommerso dai debiti affronta una situazione complessa ma non senza via d’uscita. In Italia il principio della responsabilità patrimoniale stabilisce che i debiti vanno pagati con tutti i propri beni presenti e futuri (art. 2740 c.c.), ma non con la propria libertà personale: non esiste la prigione per debiti per le obbligazioni civili. Ciò non significa però che i creditori restino senza strumenti: possono attivare procedure giudiziali (ingiunzioni, pignoramenti) per aggredire beni e redditi del debitore. Questa guida, aggiornata a luglio 2025, offre una panoramica avanzata – con taglio pratico e giuridico – delle strategie di difesa a disposizione del debitore ex ambulante.
Approfondiremo tutte le tipologie di debito più comuni e le relative criticità, le procedure legali di composizione della crisi da sovraindebitamento (ex Legge 3/2012, oggi parte del Codice della Crisi), gli strumenti di opposizione nelle esecuzioni forzate (come difendersi dai pignoramenti), le opportunità di accordo e saldo e stralcio, nonché le recenti novità normative e giurisprudenziali. Saranno incluse sentenze aggiornate e riferimenti normativi autorevoli, con tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di Domande & Risposte frequenti dal punto di vista del debitore. L’obiettivo è fornire una guida completa – in un linguaggio tecnico ma divulgativo – rivolta a professionisti (avvocati, consulenti) ma anche ai debitori stessi e agli imprenditori individuali in difficoltà, per capire come difendersi efficacemente dai debiti e ripartire nel rispetto della legge.
Tipologie di debito e rischi per il debitore
Un ex venditore ambulante può aver accumulato debiti di natura diversa. È fondamentale identificarne la tipologia, perché da essa dipendono le procedure di riscossione e le possibili difese. Di seguito, passiamo in rassegna le categorie più comuni:
- Debiti finanziari e bancari: prestiti personali, mutui, fidi di conto, carte di credito e finanziamenti contratti per l’attività commerciale. Sono debiti “chirografari” (non garantiti da pegno/ipoteca, salvo diversa pattuizione) oppure garantiti (es. un mutuo ipotecario sul furgone o sull’immobile). I creditori in questo caso sono banche, finanziarie o privati che hanno erogato credito. In caso di insolvenza, questi creditori possono agire in via giudiziale (decreto ingiuntivo e successiva esecuzione forzata) per recuperare il dovuto. Inoltre segnalano il debitore come cattivo pagatore nelle banche dati (CRIF, Centrale Rischi), con effetti negativi sulla reputazione creditizia.
- Debiti commerciali verso fornitori o privati: se l’ambulante acquistava merce o servizi a credito, può essere rimasto debitore verso fornitori, grossisti, proprietari di magazzini o altri soggetti privati. Questi debiti normalmente rientrano nella sfera civile e seguono le regole generali: il creditore può agire in giudizio ottenendo una sentenza o un decreto ingiuntivo. Talvolta sono assistiti da titoli cambiari o effetti (ad esempio, assegni o cambiali): un assegno non pagato espone anche a sanzioni amministrative (protesto, iscrizione al CAI) e il possesso di una cambiale in protesto consente al creditore un’esecuzione più rapida (la cambiale costituisce titolo esecutivo immediato).
- Debiti tributari e contributivi: comprendono tasse e imposte dovute all’erario (IVA, IRPEF se l’ambulante era ditta individuale, ecc.), tasse locali (TARI, occupazione suolo pubblico, ecc.), contributi previdenziali obbligatori (gestione commercianti INPS), premi assicurativi INAIL e eventuali sanzioni amministrative (multe stradali, violazioni commerciali). Questi debiti hanno un regime particolare: la loro riscossione è affidata all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER) – ex Equitalia – che agisce in forza di cartelle esattoriali e ingiunzioni fiscali, potendo esercitare poteri di esecuzione spesso senza passare dal giudice (fermi amministrativi, ipoteche, pignoramenti esattoriali). Si tratta di crediti privilegiati: per alcune imposte (IVA) il mancato pagamento oltre soglie è persino reato tributario. Tuttavia, la legge prevede per i debiti fiscali anche strumenti di definizione agevolata (es. “rottamazione delle cartelle” e saldo e stralcio fiscale, di cui diremo) e specifici limiti di pignorabilità (ad esempio, tutele per la prima casa e aliquote ridotte di pignoramento dello stipendio da parte del Fisco).
- Altre passività personali: ad esempio multe non pagate, rette o bollette arretrate, eventuali debiti di natura familiare (assegni di mantenimento). Le multe stradali e sanzioni amministrative seguono spesso la via esattoriale (cartella AER) e quindi rientrano nella categoria dei debiti verso l’Erario (con prescrizione quinquennale in genere). I debiti alimentari (mantenimento a coniuge o figli) hanno natura speciale: l’omesso versamento dell’assegno di mantenimento può integrare reato e questi crediti godono di tutela privilegiata (ad esempio, un credito alimentare può portare a pignorare fino a 1/3 dello stipendio del debitore obbligato, anziché il quinto). Peraltro, i debiti alimentari non sono ammessi alla procedura di esdebitazione: ad esempio, le somme dovute all’ex coniuge per alimenti non possono essere cancellate tramite la legge sul sovraindebitamento.
Ogni tipologia di debito ha specifiche tempistiche di prescrizione (termine oltre il quale il creditore perde il diritto di riscuotere se non ha intrapreso azioni) e regimi diversi. In generale, la prescrizione ordinaria è di 10 anni (art. 2946 c.c.) per i diritti derivanti da contratto o da sentenza, mentre molte obbligazioni periodiche o di natura pubblicistica hanno prescrizioni più brevi. Ad esempio, gran parte dei tributi locali e delle sanzioni amministrative si prescrivono in 5 anni, così come i contributi previdenziali INPS non versati (quinquennio ex art. 3, co.9 L.335/1995). Le bollette di utenze domestiche (luce, gas, acqua, telefono) hanno oggi termini anche più brevi (in genere 2 anni in seguito a recenti riforme). Approfondiremo più avanti il tema della prescrizione e come sfruttarla in difesa.
Riassumendo, un ex ambulante può trovarsi con debiti bancari, debiti verso fornitori, debiti verso il Fisco/Enti e altri obblighi personali. Questa pluralità di creditori comporta che il debitore potrebbe subire azioni esecutive diverse (giudiziarie o esattoriali) in parallelo. È cruciale conoscere la natura del proprio debito per valutare sia eventuali vizi (ad esempio, importi non dovuti o prescritti) sia le strategie di difesa più efficaci (una trattativa stragiudiziale, una procedura di composizione della crisi, oppure specifiche opposizioni nelle esecuzioni). Nei prossimi paragrafi vedremo le conseguenze tipiche del mancato pagamento e poi gli strumenti per difendersi.
Conseguenze del mancato pagamento dei debiti
Non pagare i debiti comporta una serie di conseguenze legali ed economiche per il debitore. Prima fra tutte, come accennato, è l’impossibilità per il creditore di ricorrere a sanzioni “personali”: il nostro ordinamento, in attuazione di principi costituzionali, esclude la detenzione o restrizione della libertà per debiti civili contratti in buona fede. Dunque, l’insolvenza non è un crimine: il fallimento economico non è reato e non si “finisce in galera” per bollette o rate non pagate. Fanno eccezione solo casi particolari in cui il mancato pagamento stesso viola un dovere penale autonomo, come il mancato versamento volontario degli alimenti ai figli (reato ex art. 570 c.p.) o condotte fraudolente verso il Fisco (es. evasione sopra soglia, sottrazione fraudolenta di beni al fisco). Ma l’ordinario debitore civile in buona fede non rischia pene detentive.
Le vere conseguenze si sviluppano invece su due piani: (1) il profilo patrimoniale/giudiziale, con possibili azioni legali di recupero credito, e (2) il profilo economico-sociale, con effetti su reputazione creditizia e vita quotidiana.
1. Azioni legali dei creditori (procedura ordinaria) – Un creditore insoddisfatto può adire le vie legali. Spesso, per i debiti con banche e finanziarie, il primo passo è ottenere un titolo esecutivo: se non ne dispone già (ad es. cambiale protestata o assegno), dovrà ottenerlo dal giudice, tipicamente tramite decreto ingiuntivo. Il decreto ingiuntivo è un’ingiunzione di pagamento emessa dal giudice su ricorso del creditore, quando la prova del credito è documentale. Viene notificato al debitore, che ha 40 giorni (o 10 in caso di provvisoria esecuzione) per pagare o opporsi. Se il debitore non reagisce, il decreto diventa definitivo e il creditore può procedere con pignoramenti dei beni del debitore. In caso di opposizione, si apre un giudizio ordinario per accertare il credito. Da notare: anche dopo un decreto ingiuntivo, il debitore può ancora trovare un accordo col creditore (ad esempio pagando in parte o ottenendo una dilazione) e far estin-guere la procedura, purché ciò avvenga prima di atti esecutivi irreversibili.
Per i debiti fiscali la procedura è differente: non serve un decreto ingiuntivo, poiché l’ente impositore forma il proprio titolo (la cartella esattoriale o l’avviso di accertamento esecutivo). Tali atti, decorsi i termini di legge per pagare (generalmente 60 giorni), permettono all’Agenzia Entrate-Riscossione di agire in via esecutiva. Può iscrivere ipoteca su immobili, disporre il fermo amministrativo su veicoli e procedere a pignoramenti esattoriali (su conti correnti, stipendi, immobili) senza ricorrere al tribunale, solo notificando gli atti al debitore. Il debitore può opporsi per vizi formali o sostanziali (dinanzi al giudice tributario o ordinario a seconda dei casi), ma deve attivarsi in tempi rapidi e spesso chiedere anche la sospensione dell’esecuzione.
2. Deterioramento della posizione creditizia – Un immediato effetto del mancato pagamento è la segnalazione nelle banche dati dei cattivi pagatori. Le Centrali Rischi private (SIC) come CRIF, Experian, Cerved registrano ritardi e inadempimenti nei pagamenti di finanziamenti: ad esempio, dopo due rate di prestito non pagate scatta la segnalazione come sofferenza. La normativa impone al creditore di inviare un preavviso 15 giorni prima della prima segnalazione negativa per i consumatori (es. prestito al consumo); se ciò non avviene, la segnalazione è illegittima e può essere contestata e fatta rimuovere. Una volta segnalato, l’accesso al credito diventa arduo: banche e finanziarie vedranno il nominativo in rosso. La segnalazione non è però perpetua: dura un certo periodo (es. 36 mesi per sofferenze non sanate) e poi deve essere cancellata. Il debitore ha diritto di accesso ai dati (può richiedere a CRIF o alla Centrale dei Rischi Bankitalia il proprio profilo) e alla rettifica di eventuali errori. In caso di segnalazioni illegittime (ad es. debito già pagato, o mancato preavviso al consumatore), il debitore può intimare la cancellazione e, se negata, ricorrere all’Arbitro Bancario Finanziario o al Garante Privacy.
3. Interessi moratori e oneri aggiuntivi – Un debito non pagato genera interessi di mora, spesso a tasso elevato (contrattualmente stabilito o legale). Inoltre si aggiungono spese di recupero, compensi legali, eventuali penali contrattuali. Nel caso dei debiti fiscali, oltre agli interessi per ritardata iscrizione a ruolo, maturano sanzioni pecuniarie per omesso versamento, che possono aumentare significativamente l’importo dovuto. È bene sapere che interessi e sanzioni spesso hanno termini di prescrizione autonomi (di norma 5 anni, come confermato dalla Cassazione per sanzioni tributarie e interessi di mora). Ad esempio, anche se un’imposta si prescrive in 10 anni, le sanzioni relative possono estinguersi in 5 anni se il Fisco non le riscuote in tale termine.
4. Vincoli su beni e patrimonio – Il creditore, ancor prima del pignoramento, può tutelarsi con azioni cautelari. Può chiedere un sequestro conservativo dei beni del debitore in casi urgenti (bloccandoli in attesa di giudizio). Oppure, come visto, l’Agente della Riscossione può iscrivere ipoteca su un immobile (ciò non comporta perdita immediata del bene, ma ne vincola la disponibilità e segnala la pretesa a registro). L’ipoteca esattoriale è possibile per debiti sopra determinate soglie (in genere oltre €20.000). Un altro vincolo tipico è il fermo amministrativo sui veicoli: l’Agente della Riscossione, decorso il termine di pagamento della cartella, può iscrivere un fermo sul veicolo del debitore, impedendone la circolazione legale (quindi di fatto inutilizzabile). Il fermo su un mezzo di lavoro (es. furgone dell’ex ambulante) può mettere in seria difficoltà: la legge prevede oggi che non si possa disporre fermo su un veicolo strumentale all’attività di impresa o professione (bene essenziale), ma occorre provarne l’utilizzo professionale per evitare il fermo. Anche qui, prevenire è meglio: attivarsi con un piano di rateazione prima che scatti il fermo può evitare il blocco del mezzo.
In sintesi, il mancato pagamento attiva una cascata di effetti: azioni esecutive sui beni, interessi e sanzioni in crescita, reputazione finanziaria compromessa e restrizioni sull’utilizzo dei propri asset (case ipotecate, auto bloccate). Il debitore in difficoltà non dovrebbe subire passivamente questi eventi, ma giocare d’anticipo elaborando un piano di difesa: ad esempio, negoziando con i creditori prima che intervenga il tribunale, oppure attivando procedure concorsuali “salva-debiti”, o ancora contestando gli atti illegittimi e sfruttando i limiti di legge (impignorabilità, prescrizioni). Vediamo ora nel dettaglio gli strumenti di difesa a disposizione.
Soluzioni stragiudiziali: negoziazione, saldo e stralcio e altre opzioni
Prima di arrivare al pignoramento o alla vendita all’asta dei propri beni, è spesso possibile (e consigliabile) tentare soluzioni stragiudiziali, ovvero accordi fuori dal tribunale per regolare o ridurre il debito. Queste soluzioni possono evitare i costi e le incertezze del contenzioso e salvaguardare i beni del debitore. Dal punto di vista di un ex ambulante con debiti, le principali opzioni stragiudiziali sono:
- Rinegoziazione del debito con i creditori: consiste nel contattare ciascun creditore e cercare un accordo amichevole. Spesso il creditore preferisce recuperare qualcosa piuttosto che affrontare lunghe esecuzioni che potrebbero risultare infruttuose. Si può chiedere una dilazione (un nuovo piano di rientro a rate, magari più sostenibili) o un saldo e stralcio, cioè uno sconto sul totale a fronte di un pagamento parziale immediato. Ad esempio, se il debito è €10.000, si può proporre di pagarne €4.000 in un’unica soluzione, ottenendo lo stralcio del residuo e la liberatoria. È cruciale formalizzare l’accordo per iscritto e ottenere dal creditore una dichiarazione che il pagamento concordato è a saldo e stralcio di ogni pretesa. In assenza di un accordo scritto chiaro, si rischia che il creditore (o un cessionario futuro del credito) richieda in seguito la differenza. Inoltre, versare piccole somme “tanto per accontentare” può essere controproducente: un pagamento, anche minimo, interrompe la prescrizione e riattiva un debito magari quasi estinto per decorso del tempo. Dunque, mai pagare senza una strategia: meglio farsi assistere da un legale o da professionisti nella negoziazione, soprattutto quando i creditori sono società di recupero molto aggressive.
- Intervento di un terzo mediatore o garante: talvolta, se il debitore non ha liquidità, può coinvolgere un familiare o un investitore disposto a versare una somma per chiudere il debito. Ad esempio, un parente potrebbe offrire il saldo e stralcio al posto del debitore (specie se si tratta di evitare la vendita della casa di famiglia). Oppure ci si può rivolgere a consulenti finanziari per cercare un consolidamento dei debiti: alcune finanziarie offrono prestiti di consolidamento (accorpano tutti i debiti in un unico nuovo prestito, con rata più bassa). Questa soluzione tuttavia è praticabile solo se il debitore ha ancora un merito creditizio sufficiente e garanzie da offrire. Spesso chi è già in sofferenza non ottiene un consolidamento a condizioni decenti. Inoltre bisogna fare attenzione: consolidare non riduce l’importo dovuto, allunga solo i tempi e a volte richiede di dare garanzie reali (es. ipoteca sulla casa) che prima non c’erano. Dunque, è un’arma a doppio taglio e va valutata con cautela e con l’assistenza di esperti.
- Accordi transattivi speciali con Enti pubblici: se il debito è con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (cartelle per tasse, multe, contributi), esiste la possibilità di chiedere una rateizzazione amministrativa fino a 72 rate (6 anni) o, in casi di grave e comprovata difficoltà, fino a 120 rate (10 anni). La rateazione si ottiene presentando domanda ad AER: per debiti fino a €120.000 è concessa quasi automaticamente; per importi superiori serve documentare lo stato di difficoltà (indice di liquidità <1). Durante la rateazione, AER sospende le azioni esecutive e il debitore evita il fermo auto o il pignoramento, purché rispetti i pagamenti. Un’altra forma di accordo speciale sono le cosiddette definizioni agevolate, ossia le sanatorie varate per legge (le tratteremo in dettaglio più avanti). Ad esempio, la “Rottamazione-quater” (introdotta dalla L.197/2022) consente di pagare solo l’imposta senza sanzioni né interessi su molte cartelle, suddividendo il dovuto in 18 rate fino al 2027. Queste non sono negoziazioni individuali, ma opportunità offerte dal legislatore e vanno colte presentando istanza entro i termini previsti dalla legge. Attenzione che se si aderisce e poi non si paga le rate, si decade dai benefici e il debito revivisce per intero. È stato comunque previsto (dal legislatore 2023-2024) un meccanismo di riammissione per chi era decaduto dalla rottamazione: ad esempio, i contribuenti che non hanno pagato qualche rata 2023 o 2024 sono stati eccezionalmente riammessi con possibilità di pagare entro il 30 aprile 2025 le somme arretrate e proseguire. Queste continui aggiustamenti normativi rendono opportuno controllare sempre le ultime novità legislative in materia fiscale.
- Misure di tutela del patrimonio: un debitore intraprendente potrebbe valutare di mettere al riparo alcuni beni prima che vengano aggrediti. Ad esempio, costituire un fondo patrimoniale per tutelare l’abitazione o altri beni destinati ai bisogni della famiglia (artt. 167 ss. c.c.), oppure un trust o vincolo di destinazione. Queste mosse, tuttavia, se fatte post contrazione dei debiti, rischiano di essere inefficaci: i creditori possono agire con l’azione revocatoria per renderle inopponibili (specie se i debiti preesistevano e il conferimento nel fondo è fatto in frode ai creditori). Inoltre il fondo patrimoniale non protegge dai debiti contratti per bisogni della famiglia stessa o per l’attività lavorativa del coniuge (art. 170 c.c.): se l’ex ambulante ha contratto debiti per l’impresa familiare o necessità domestiche, i creditori potrebbero comunque aggredire i beni nel fondo (previa autorizzazione del giudice, trattandosi di obbligazioni familiari). Dunque, benché siano strumenti noti, fondo patrimoniale e trust hanno efficacia difensiva limitata e, soprattutto, non cancellano il debito ma al più complicano l’esecuzione. Vanno considerati solo come ultima risorsa e con assistenza legale, essendo spesso oggetto di contestazione.
In generale, prima che inizi un pignoramento è spesso il momento migliore per negoziare. Una volta che il creditore ha già speso soldi in cause e ha un titolo esecutivo, potrebbe essere meno disposto a sconti o accordi (anche se non è mai troppo tardi per transigere, persino durante un’esecuzione immobiliare si possono fare accordi transattivi per evitare l’asta). L’ex venditore ambulante dovrebbe: (a) verificare se il debito è legittimo e liquido (controllo di eventuali errori, anatocismo, prescrizione), (b) valutare se ha risorse (proprie o di terzi) per fare un’offerta congrua di saldo, (c) agire sempre per iscritto e con trasparenza, e (d) in caso di dubbi, farsi assistere da un avvocato esperto in gestione del debito. Un legale può trattare con i creditori, predisporre accordi blindati e, in parallelo, preparare le difese giudiziali se l’accordo fallisce.
Va ricordato anche che dal 2021 è operativo un istituto chiamato “composizione negoziata” per crisi d’impresa (D.L.118/2021), pensato per imprenditori commerciali: tramite un esperto nominato dalla Camera di Commercio, si tenta una ristrutturazione del debito fuori dal tribunale. Tuttavia, per il nostro caso (ex ambulante persona fisica, probabilmente sotto soglia fallibilità) la composizione negoziata non è applicabile, essendo rivolta a imprese organizzate. Più pertinente è invece la legge sul sovraindebitamento, di cui parliamo ora, che offre soluzioni giudiziali ma con finalità simili a un accordo: regolare tutti i debiti in modo sostenibile per il debitore.
La legge sul sovraindebitamento (L. 3/2012) e il Codice della Crisi: procedure “salva-debiti”
Quando la mole di debiti è tale da superare la capacità di rimborso, il nostro ordinamento prevede speciali procedure concorsuali anche per i piccoli imprenditori e le persone fisiche non fallibili. La Legge 3/2012, detta anche legge sul sovraindebitamento o “salva suicidi”, ha introdotto per la prima volta in Italia un meccanismo per liberare i debitori civili onesti dai debiti insostenibili, simile al “fresh start” di altri ordinamenti. Dal 2022, le disposizioni della L.3/2012 sono state integrate e in parte modificate dal Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), entrato in vigore definitivamente il 15 luglio 2022. Non si parla più propriamente di “Legge 3/2012” isolata, bensì delle procedure di sovraindebitamento disciplinate nel Codice della Crisi, anche se i principi base restano simili.
L’idea di fondo di queste procedure è consentire al debitore meritevole, incapace di pagare integralmente i propri debiti, di proporre ai creditori un piano di ristrutturazione o di liquidare i suoi beni sotto controllo giudiziale, ottenendo in cambio la cancellazione dei debiti residui (la cosiddetta esdebitazione). Lo Stato concede dunque una chance di “nuovo inizio” al sovraindebitato, bilanciando due esigenze: far pagare quanto possibile in base alle risorse del debitore, ma al contempo azzerare ciò che non può essere pagato così da liberarlo dalla pressione perpetua dei debiti. Importante: non è un condono automatico – il debitore deve impegnare le proprie risorse disponibili in un piano serio e trasparente – ma se lo fa, viene premiato con l’esdebitazione del resto.
Chi può accedere e quali debiti rientrano
Le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento sono riservate ai debitori “non fallibili”, ossia quelli che non possono essere assoggettati alle normali procedure concorsuali (fallimento o liquidazione giudiziale). Rientrano in questa categoria:
- Persone fisiche consumatori, cioè privati che non esercitano attività d’impresa (dipendenti, pensionati, disoccupati, ecc.);
- Imprenditori minori e piccoli commercianti, che operano sotto le soglie di fallibilità (attualmente: max €300.000 attivo, €200.000 ricavi, €500.000 debiti negli ultimi tre esercizi);
- Lavoratori autonomi e professionisti (avvocati, artigiani, ambulanti con piccola Partita IVA, etc.) purché anch’essi sotto le soglie di cui sopra;
- Imprenditori agricoli, i quali per legge non falliscono;
- Start-up innovative, enti non profit e altri soggetti esclusi dal fallimento;
- Eredi di imprenditori defunti che hanno accettato con beneficio d’inventario;
- Soci di società di persone illimitatamente responsabili, se la società non è fallibile o se il socio è uscito un anno prima.
Il Codice della Crisi (CCII) del 2022 ha ampliato la platea includendo: i componenti di un nucleo familiare sovraindebitato, che ora possono presentare una procedura unica familiare se i debiti hanno origine comune, e i soci illimitatamente responsabili di società anche se la società è fallibile (purché i soci personalmente siano sotto soglia).
Quanto ai debiti ammessi, praticamente tutti i debiti possono essere inclusi, tranne poche eccezioni. La legge elenca espressamente che rientrano: debiti verso banche e finanziarie (mutui, prestiti), multe e sanzioni amministrative, spese condominiali, tasse di ogni tipo (Stato, Regioni, Comuni), debiti verso fornitori e privati, cessioni del quinto (prestiti su stipendio), debiti verso Agenzia Entrate. Sono esclusi invece le obbligazioni alimentari (assegni di mantenimento) e, per logica del sistema, non si può esdebitare il debito derivante da sanzioni penali (multe penali) o da obblighi di risarcimento per fatti illeciti intenzionali verso persone (questi casi non sono espressamente citati in L.3/2012 ma analogamente alla legge fallimentare si ritiene non siano liberabili). Dunque anche il debitore esattoriale può trovare sollievo: debiti fiscali e contributivi rientrano a pieno titolo nelle procedure, e anzi spesso sono proprio quelli che spingono i piccoli imprenditori a ricorrervi. Va precisato che l’eventuale debito IVA rientra sì, ma la UE richiede che nei piani di ristrutturazione il trattamento dell’IVA insoluta non configuri aiuti di Stato: in pratica, l’IVA può essere falcidiata solo nella misura in cui i creditori ottengono almeno quanto otterrebbero in una liquidazione. Su questo gli OCC (vedi oltre) fanno attenzione nella redazione dei piani.
Un aspetto importante è la meritevolezza del debitore: per accedere a questi benefici il debitore non deve aver colposamente causato la propria insolvenza con dolo o colpa grave. La versione originale della L.3/2012 era molto severa: escludeva il debitore che avesse assunto debiti senza ragionevole prospettiva di poterli pagare o che avesse fatto spese sproporzionate al reddito. Dal 2020, dopo una riforma (D.L. 137/2020 conv. L.176/2020), il requisito di meritevolezza è stato ridefinito in modo più favorevole: oggi la proposta è inammissibile solo se il debitore ha **provocato il sovraindebitamento con **“colpa grave, malafede o frode”****. Sono stati eliminati i criteri più rigidi (la “prospettiva irragionevole” o l’eccesso di credito), lasciando solo un criterio generale che sanziona il comportamento davvero gravemente colposo o doloso. In altre parole, un consumatore non sarà escluso solo perché è stato imprudente nell’indebitarsi, a meno che la sua imprudenza non sia talmente grave da sconfinare nella colpa grave o addirittura in una condotta in malafede. Cassazione 27/7/2023 n.22890 ha chiarito proprio che il giudizio di meritevolezza va condotto secondo i nuovi parametri post-riforma, non applicando più automaticamente il vecchio “triplice test” abrogato. Ciò segna un orientamento favor debitoris: la Corte ha sottolineato che il debitore va valutato globalmente, tenendo conto di eventi sopravvenuti imprevedibili e della complessità delle cause dell’indebitamento, e non negato l’accesso alla procedura per ogni minima leggerezza finanziaria. Dunque, oggi c’è maggiore apertura: solo chi ha agito con evidente malafede, frodando i creditori (ad esempio nascondendo o dissipando beni poco prima di chiedere l’esdebitazione), o con gravissima imprudenza equiparabile al dolo, potrà essere escluso. Gli atti in frode (come vendite simulate di beni per non farli trovare ai creditori) restano ovviamente causa di diniego o revoca dei benefici, se scoperti.
Le procedure disponibili: panoramica e differenze
La legge prevede tre procedure principali, a cui se n’è aggiunta una quarta nel 2020 per i debitori senza beni:
- Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (già noto come Piano del consumatore): rivolto al debitore persona fisica che non abbia debiti da attività di impresa (o comunque che riguardano bisogni personali/familiari). Consiste in un piano di pagamento sostenibile che il Tribunale può omologare anche senza il consenso dei creditori (non è previsto voto dei creditori, a differenza dei concordati). Il piano può prevedere dilazioni, tagli parziali del debito, suddivisione in classi dei creditori, mantenendo per il debitore una quota di reddito sufficiente per vivere dignitosamente. Ad esempio, un pensionato con 50.000€ di debiti potrebbe proporre di pagarne 20.000 in 5 anni, rate mensili trattenute dalla pensione per quanto sostenibile, e chiedere l’esdebitazione dei restanti 30.000€ a fine piano. Il giudice valuta la fattibilità e la meritevolezza, e se tutto è in regola omologa il piano rendendolo vincolante per tutti i creditori, anche dissenzienti. Vantaggio: è una procedura individuale e flessibile, non serve approvazione dei creditori (sebbene possano fare opposizione in sede di omologa), ed è pensata su misura per i consumatori. Svantaggio: applicabile solo per debiti personali; se il debitore aveva un’attività d’impresa (es. ambulante con Partita IVA) può accedervi solo per i debiti non inerenti all’attività, mentre per i debiti “professionali” dovrebbe usare l’altra procedura (concordato minore).
- Concordato minore (prima chiamato accordo di composizione con i creditori): è la procedura destinata ai debitori che hanno debiti professionali o d’impresa, ma che non superano le soglie di fallibilità. In pratica è l’equivalente del concordato preventivo per i soggetti non fallibili (imprenditori minori, piccoli commercianti, professionisti con Partita IVA). Il concordato minore prevede che il debitore presenti una proposta di ristrutturazione ai creditori, la quale deve essere approvata dai creditori stessi che rappresentino almeno il 50% dei crediti (maggioranza per teste e per valore). Se i creditori approvano e il Tribunale omologa, il piano diviene vincolante per tutti. A differenza del piano del consumatore, qui i creditori hanno potere di voto, salvo che il giudice possa comunque omologare in caso di mancata adesione di eventuali creditori fiscali se la proposta assicurava loro una soddisfazione non inferiore all’alternativa liquidatoria (cram-down fiscale). Vantaggi: consente la continuità aziendale (il debitore può continuare l’attività mentre ristruttura il debito), può prevedere finanza esterna e categorie di creditori. Svantaggi: richiede il consenso dei creditori (almeno in parte), quindi se i creditori votano contro o non si raggiunge la maggioranza il concordato non va in porto; inoltre è precluso ai semplici consumatori (un privato che non ha impresa non può accedere al concordato minore, dovendo semmai usare il piano del consumatore).
- Liquidazione controllata del sovraindebitato (già liquidazione del patrimonio): è la soluzione di ultima istanza, quando il debitore non è in grado di proporre un piano sostenibile o i creditori non lo accettano. Consiste nel mettere a disposizione tutto il patrimonio disponibile del debitore (tranne i beni impignorabili per legge) per liquidarlo e ripartire il ricavato tra i creditori. Viene nominato un liquidatore (gestore della crisi nominato dal Tribunale) che vende i beni, riscuote crediti, etc., in modo simile a una liquidazione fallimentare. Dura in genere alcuni anni (nel Codice della Crisi è previsto un termine massimo di 3 anni per la liquidazione controllata ordinaria). A fine processo, il debitore persona fisica ha diritto all’esdebitazione automatica dei debiti residui, senza bisogno di ulteriore domanda (novità introdotta dal Codice: l’esdebitazione viene richiesta d’ufficio dal liquidatore al termine dei 3 anni, rendendola automatica in assenza di comportamenti scorretti). La liquidazione è spesso indicata per chi ha qualche bene da liquidare ma non abbastanza reddito per fare un piano, o quando il piano/concordato falliscono. Vantaggi: permette comunque l’esdebitazione; è oggettiva (non richiede l’accordo dei creditori); il debitore privo di reddito può ottenerla per chiudere le pendenze. Svantaggi: il debitore perde i beni (casa inclusa, se non impignorabile per altri motivi), salvo quelli non pignorabili; la procedura può comportare la vendita forzata a valori d’asta (spesso bassi); inoltre, durante gli anni di liquidazione, il debitore è tenuto a versare ai creditori anche parte di eventuali redditi eccedenti le necessità (una sorta di quota di sopravvenienze di reddito).
- Esdebitazione del debitore incapiente (detta anche esdebitazione “a zero”): è la novità introdotta con L.176/2020 (in anticipo sul Codice della crisi) per i debitori che non hanno davvero nulla da offrire ai creditori. Prima, se uno non aveva beni né reddito, non poteva far molto se non la liquidazione (che però richiede di soddisfare almeno parzialmente i creditori, sennò niente esdebitazione). Ora invece l’art. 14-quaterdecies L.3/2012 (oggi art. 283 CCII) permette al debitore persona fisica meritevole, privo di beni e con reddito appena sufficiente al sostentamento di ottenere direttamente un decreto di esdebitazione senza dover pagare nulla ai creditori. In pratica, i debiti vengono dichiarati inesigibili dal Tribunale se ricorrono tutti i requisiti. Si tratta di una procedura eccezionale: il debitore deve dimostrare di non poter offrire alcuna utilità neppure minima, di essere incolpevole (meritevole) e di trovarsi in una condizione economica disperata. La legge fissa precisi parametri per definire “incapiente”: il reddito annuo disponibile, al netto delle spese essenziali, deve essere inferiore all’assegno sociale aumentato della metà, moltiplicato per i membri della famiglia (indicativamente, per un single circa < €12.000 annui; per una famiglia di 3 persone circa < €24.000 annui, come ordine di grandezza). Se il Tribunale accoglie la domanda, emette decreto di esdebitazione immediata. Attenzione: questo non significa che il debitore può arricchirsi il giorno dopo gratis. È previsto un periodo di controllo di 4 anni dopo il decreto: se durante questo quadriennio il debitore riceve utilità rilevanti (es. vince alla lotteria, eredita beni, trova un ottimo lavoro), dovrà informare l’organismo di composizione e destinare ai vecchi creditori fino al 10% di queste nuove utilità. Trascorsi i 4 anni “di buona condotta”, l’esdebitazione diventa definitiva senza ulteriori condizioni. Questa procedura è concessa una sola volta in carriera: non si può ottenere un’esdebitazione a zero più di una (salvo forse eccezioni dopo molti anni). È pensata come ultima spiaggia per dare pace a chi è totalmente nullatenente. In Italia ne sono state già concesse alcune tra il 2021 e 2022 – ad esempio il caso di Trieste, in cui un’ex imprenditrice con €360.000 di debiti e nessuna risorsa si è vista cancellare tutto il debito dal Tribunale. Il giudice in quel decreto ha affermato chiaramente che se i requisiti di legge sono soddisfatti, non vi è ragione per negare il beneficio a chi non può offrire alcuna utilità. Questo segna un cambio di mentalità: il sistema accetta che, di fronte all’insolvenza totale, sia meglio liberare la persona dai debiti anziché condannarla a una perpetua “schiavitù finanziaria” senza prospettive.
Queste procedure richiedono l’intervento di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o di un professionista gestore della crisi nominato dal giudice. In pratica, il debitore deve rivolgersi a un OCC abilitato (ce ne sono presso Ordini professionali, Comuni, associazioni di consumatori ecc., registrati al Ministero Giustizia) che lo assiste nel predisporre la proposta di piano/concordato o nell’attivare la liquidazione. L’OCC svolge un po’ il ruolo che in un fallimento hanno il curatore o il commissario: verifica i dati, aiuta a formulare il piano e funge da gestore durante l’esecuzione (controlla i pagamenti, riferisce al giudice). I costi dell’OCC e della procedura, pur non trascurabili, sono generalmente commisurati alle capacità del debitore e possono essere dilazionati nell’ambito del piano. In ogni caso, per un ex ambulante sommerso dai debiti, il ricorso alla legge sul sovraindebitamento può essere la soluzione definitiva: al termine di queste procedure, il debitore è liberato dai debiti residui, ossia quei crediti rimasti insoddisfatti vengono cancellati e il creditore non potrà più pretenderli. L’esdebitazione ridà quindi al debitore la possibilità di ripartire pulito.
Tabella di confronto – Procedure di sovraindebitamento:
Procedura | Destinatari (requisiti) | Meccanismo | Esdebitazione | Note |
---|---|---|---|---|
Piano del consumatore (ristrutturazione debiti) | Consumatori (no debiti d’impresa rilevanti); meritevolezza richiesta ma con criteri elastici. | Proposta di pagamento parziale/dilazionato ai creditori, omologata dal giudice senza voto creditori (salvo opposizioni). | Al termine dell’esecuzione integrale del piano, esdebitazione automatica dei debiti non pagati. | Il giudice verifica la fattibilità e la meritevolezza. Blocco delle azioni esecutive già dal deposito (misure protettive). |
Concordato minore (ex accordo) | Imprenditori minori, professionisti, start-up, ecc. (soggetti non fallibili con debiti anche d’impresa). Richiede meritevolezza simile. | Proposta ai creditori di ristrutturazione con voto: serve il sì di ≥ 50% dei crediti votanti. Possibile continuità aziendale o liquidatoria con apporto di risorse esterne. | Dopo esecuzione del piano approvato, esdebitazione sui crediti concorsuali residui. Se piano non omologato, possibile convertire in liquidazione controllata. | Serve consenso dei creditori ⇒ rischio bocciatura. Consumatori esclusi (hanno il Piano dedicato). |
Liquidazione controllata (del patrimonio) | Qualsiasi debitore non fallibile insolvente (consumatore o imprenditore minore). Anche non meritevole può accedere (meritevolezza incide su esdebitazione finale eventualmente). | Liquidazione di tutti i beni tramite liquidatore nominato dal Tribunale. Equivale a un “piccolo fallimento”: vendite coattive, riparto ai creditori in base ai privilegi. | Esdebitazione automatica dopo 3 anni dalla apertura liquidazione, senza domanda ad hoc, purché il debitore abbia cooperato e non vi siano cause ostative. Durante la procedura, protezione del patrimonio e stop azioni individuali. | Soluzione residuale se piani non fattibili o respinti. Anche il debitore non meritevole può almeno liquidare e provare a ottenere esdebitazione (giudice può negarla solo in casi gravi: frode, inadempimento doloso ecc.). |
Esdebitazione “incapiente” (zero soldi) | Persona fisica meritevole, senza attivo né reddito disponibile oltre minima sussistenza. Requisiti stringenti di incapienza economica (reddito < 1.5×assegno sociale per nucleo). Mai concessa se il debitore ha anche minima utilità liquidabile per i creditori. | Procedura semplificata: ricorso al Tribunale attestando la situazione. Se il giudice accoglie, dichiara immediatamente inesigibili tutti i debiti anteriori. Nessun pagamento ai creditori. | Esdebitazione immediata alla data del decreto. Verifica 4 anni successivi: se il debitore ottiene nuove risorse significative, deve pagarne il 10% ai vecchi creditori. Decorso il quadriennio senza miglioramenti rilevanti, la liberazione diventa definitiva. | Misura eccezionale e utilizzabile una tantum. Richiede massima trasparenza: qualsiasi miglioramento economico nel periodo di controllo va notificato. È l’ultima spiaggia per chi è intrappolato in debiti assolutamente impagabili. |
Come si nota, la legge sul sovraindebitamento offre strumenti adatti a diverse situazioni: dalla ristrutturazione morbida (piano del consumatore) alla chiusura rapida senza pagare nulla (caso degli incapienti), passando per la liquidazione totale come nel fallimento. Per decidere quale via seguire, l’ex venditore ambulante dovrà valutare: l’ammontare e la tipologia dei debiti, l’esistenza di beni di valore (casa, veicoli, risparmi), la presenza di un reddito (stipendio, pensione) che consenta di sostenere un piano, e naturalmente il grado di pressione attuale dei creditori (cause esecutive in corso, pignoramenti già avviati ecc.). È spesso utile farsi assistere da un professionista o rivolgersi a un OCC per una consulenza preliminare, in modo da capire fattibilità e conseguenze delle varie opzioni.
Va sottolineato il vantaggio enorme di queste procedure: una volta presentata l’istanza e ammessa dal tribunale, scatta una protezione del patrimonio del debitore. Il giudice può sospendere le esecuzioni in corso e vietare nuovi pignoramenti durante la pendenza della procedura. Ad esempio, se l’ambulante ha in corso un pignoramento immobiliare sulla casa, presentando un piano del consumatore può ottenere la sospensione della vendita all’asta finché il piano viene esaminato; se poi il piano viene omologato, il pignoramento sarà definitivamente inefficace in quanto i crediti saranno regolati dal piano. Questa “calma procedurale” consente al debitore di evitare la corsa dei creditori al bene e gestire in modo ordinato la crisi.
Esempio pratico: Mario, ex venditore ambulante, ha debiti per €100.000 (20k banca, 30k fornitore, 50k Agenzia Entrate) e guadagna €1.200 al mese come dipendente; non ha immobili di proprietà. Da solo non potrà mai pagare €100.000. Con un Piano del consumatore, potrebbe proporre di versare ai creditori €400 al mese per 5 anni (totale €24.000), suddivisi proporzionalmente tra i creditori, e chiedere esdebitazione del resto. Se il giudice valuta che Mario è meritevole (ha chiuso l’attività per la crisi, non per frode) e che €400/mese è il massimo che può dare mantenendo dignitosamente sé e la famiglia, può omologare il piano anche se magari il Fisco o la banca protestano. Mario pagherà quelle rate per 5 anni e poi sarà libero dai debiti residui. Se invece Mario avesse una casa di proprietà ma disoccupato, potrebbe scegliere di metterla in vendita con la Liquidazione controllata: il liquidatore la vende (supponiamo ricava €50.000), paga i creditori secondo le priorità (magari il Fisco prenderà quasi tutto essendo privilegiato), Mario perde la casa ma dopo 3 anni ottiene la cancellazione del residuo non pagato. In un caso estremo, se Mario fosse senza lavoro, senza beni e vive ospite da parenti, potrebbe tentare l’esdebitazione da incapiente: dimostrato che a malapena ha da vivere, il giudice cancellerà i €100.000 di debiti subito. Se poi entro 4 anni Mario trovasse un buon lavoro, dovrebbe versare ai creditori il 10% delle sue nuove disponibilità, ma rimarrebbe comunque con il 90% per rifarsi la vita.
Quanto alle sentenze recenti, oltre a quelle già citate sulla meritevolezza, segnaliamo che la giurisprudenza sta sostenendo l’efficacia di queste procedure. Ad esempio, Cass. civ. Sez. I, 31/01/2022 n. 24214 (sul vecchio regime) ha affermato che nel piano del consumatore il giudice può omologare anche in caso di voto contrario dell’erario, purché il piano sia conveniente per tutti i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria. In sostanza, i giudici tendono ad un’interpretazione pro-debitore, considerato lo scopo sociale di queste norme. Anche Tribunale di Ferrara, 13/10/2021 (primi commenti sull’incapiente) ha chiarito che l’esdebitazione a zero è riservata al debitore incolpevole incapace di offrire utilità, ma qualora meritevole, il beneficio va concesso come “seconda chance” reale.
In conclusione, la Legge 3/2012 e succ. mod. (oggi parte del CCII) rappresenta per l’ex ambulante con debiti una via di uscita legale e definitiva. Richiede impegno, trasparenza e (solitamente) l’assistenza di professionisti, ma consente di evitare la spirale di pignoramenti pluriennali e di azzerare i debiti non pagabili, offrendo ai creditori il massimo di quanto il debitore può permettersi. Nel prosieguo, vedremo come difendersi anche nelle singole azioni esecutive (pignoramenti), ma è bene tenere a mente che un buon piano di sovraindebitamento spesso surclassa ogni difesa spezzettata: invece di parare singoli colpi da vari creditori, riunisce tutta la situazione e la risolve in un’unica sede.
Difendersi dalle azioni esecutive: opposizioni, pignoramenti e limiti di legge
Non sempre si riesce (o si vuole) risolvere la crisi con un accordo o una procedura concorsuale. Molti debitori si trovano già nel pieno di azioni esecutive avviate dai creditori: ad esempio, hanno ricevuto un atto di precetto, una notifica di pignoramento o addirittura l’avviso di una vendita all’asta imminente. In questa sezione esaminiamo gli strumenti di difesa nella fase esecutiva, ovvero come tutelarsi quando il creditore ha già un titolo esecutivo e sta tentando di soddisfarsi coattivamente sui beni del debitore. Affronteremo in particolare: le opposizioni esecutive (per far valere in sede giudiziale eventuali irregolarità o cause di inesigibilità del credito), i rimedi specifici durante il pignoramento (conversione, sospensione, riduzione) e i limiti e divieti di pignoramento stabiliti dalla legge (beni e redditi impignorabili o parzialmente pignorabili).
Opposizione al precetto e all’esecuzione
Quando un debitore riceve un atto di precetto – ossia l’intimazione formale di pagare un certo importo entro 10 giorni sulla base di un titolo esecutivo, pena l’esecuzione forzata – ha la possibilità di reagire giudizialmente se ritiene che il precetto sia illegittimo o il credito non sia dovuto. L’opposizione a precetto (tecnicamente una forma di opposizione all’esecuzione, ex art. 615 c.p.c.) va proposta entro 20 giorni dalla notifica del precetto, con citazione davanti al giudice competente. I motivi tipici di opposizione possono essere, ad esempio: il debito è già stato pagato (totale o parziale), il credito è prescritto, il titolo presentato non è (più) valido (ad es. un decreto ingiuntivo non definitivo impugnato in appello, oppure un difetto di notifica del titolo). Oppure può riguardare errori nel precetto stesso (es. soma ingiunta maggiore del dovuto, mancata indicazione dell’indirizzo PEC del creditore, cosa che però è vizio formale sanabile). Se l’opposizione viene proposta prima che inizi l’esecuzione (cioè prima che si effettui un pignoramento), si parla di opposizione all’esecuzione “preventiva”: l’istanza centrale da fare è chiedere al giudice una sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo o del precetto, così da congelare l’azione esecutiva in attesa della decisione di merito. Il giudice, se ricorrono gravi motivi (fumus boni iuris dell’opposizione e pericolo), può sospendere l’esecuzione. In caso contrario, il creditore potrà procedere.
Se invece l’esecuzione è già iniziata (ad esempio hanno pignorato un bene), il debitore può comunque opporsi, ma cambia la forma: dopo l’inizio dell’esecuzione, l’opposizione all’esecuzione va proposta con ricorso al giudice dell’esecuzione (ex art. 615 co.2 c.p.c.) e solo per motivi sopravvenuti o emersi dopo. Ad esempio, se dopo il pignoramento il debitore scopre che quel credito era in realtà già stato saldato ma non ricordava, oppure che manca una condizione di procedibilità. L’effetto sospensivo a questo stadio è più difficile, ma possibile se il giudice riconosce motivi validi.
L’opposizione all’esecuzione è quindi lo strumento principale per far valere che il creditore non aveva diritto di procedere. Se accolta, infatti, il giudice dichiarerà improcedibile l’esecuzione (o la limiterà, se l’opposizione era parziale) e tipicamente condannerà il creditore alle spese. È fondamentale raccogliere prove solide (ricevute di pagamento, documenti che attestano la prescrizione etc.) e agire entro i termini, che come visto sono brevissimi dalla notifica del precetto.
Diversa ma affine è l’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.), che serve a censurare vizi formali della procedura: ad esempio, un atto di pignoramento notificato in maniera irregolare, o un avviso di vendita che non rispetta le forme di legge. Va proposta entro 20 giorni dall’atto viziato (termine perentorio). Se vince, l’atto viene annullato; l’esecuzione può dover ripetere il passo (causando ritardi) o talvolta estinguersi se l’atto annullato era fondamentale e irripetibile.
In pratica, l’opposizione all’esecuzione contesta il diritto di eseguire, mentre quella agli atti contesta il modo in cui si esegue. Spesso i debitori combinano i due tipi: ad esempio, oppongono il precetto per prescrizione del credito (opposizione all’esecuzione) e nel frattempo rilevano che il pignoramento notificato è nullo per difetto di notifica (opposizione agli atti). Le due opposizioni viaggiano di solito separate: la prima trattata con cognizione piena (può finire in ordinario), la seconda più sommaria.
L’effetto immediato importante da cercare è la sospensione dell’esecuzione: il debitore nel ricorso di opposizione deve chiedere espressamente al giudice di sospendere, altrimenti l’esecuzione va avanti. Il giudice decide sulla sospensione in tempi brevi, spesso con decreto motivato. Se accorda la sospensione, il pignoramento (o la vendita) si ferma finché non c’è sentenza sull’opposizione. Se nega, il debitore può fare reclamo in corte d’appello, ma intanto il procedimento esecutivo prosegue.
Quando ha senso opporsi? – Se il debitore ha un motivo chiaro e giuridicamente fondato per contestare il debito o l’esecuzione, l’opposizione è doverosa. Ad esempio: il credito è prescritto (caso tipico: una finanziaria rispunta dopo 6-7 anni di silenzio con un decreto ingiuntivo; molti debitori ignorano la citazione e subiscono pignoramento, ma avrebbero potuto far valere la prescrizione quinquennale dei crediti rateali); oppure il credito è già stato saldato (magari il creditore non ne ha tenuto conto); o il titolo esecutivo è invalido (es. decreto ingiuntivo contro persona sbagliata, errore su importi). Un ex ambulante potrebbe scoprire che alcune cartelle esattoriali sono decadute (notificate fuori tempo) o già annullate da una rottamazione: in tal caso, non attendere la vendita ma fare opposizione per bloccare il pignoramento.
Di contro, opposizioni pretestuose (senza seri motivi) rischiano solo di far spendere soldi e, se respinte, aggravare il debito con ulteriori spese legali. È importante un parere legale onesto sulla fondatezza prima di opporsi.
Strumenti in sede di esecuzione: conversione del pignoramento, sospensioni e accordi
Se l’esecuzione è iniziata e non ci sono motivi per invalidarla, il debitore ha comunque alcuni strumenti per limitare i danni o tentare di bloccarla:
- Conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.): è il diritto del debitore di evitare l’espropriazione pagando una somma equivalente. In pratica, una volta che un bene è pignorato, il debitore può chiedere al giudice dell’esecuzione di sostituire al bene pignorato una somma di denaro pari all’importo dovuto (capitale, interessi, spese) aumentato degli interessi di 6 mesi. Deve depositare immediatamente almeno 1/5 di tale importo, e per il resto può chiedere fino a 18 rate mensili. Se il giudice accoglie, sospende la vendita del bene: il debitore dovrà poi versare le rate residue al tribunale puntualmente. Una volta pagato tutto, il bene viene liberato dal pignoramento. Questa è una soluzione utile, ad esempio, per salvare un immobile: se un immobile di valore €100.000 è pignorato per un debito di €20.000, il debitore potrebbe racimolare i soldi (magari con l’aiuto di familiari o un prestito) per depositare il quinto (€4.000) e poi pagare 18 rate per il resto (~€1.000/mese più interessi), così evitando l’asta che avrebbe conseguenze peggiori (l’immobile all’asta potrebbe essere svenduto). Ovviamente serve avere la liquidità per farlo. La conversione è un diritto del debitore, il giudice non la nega se gli importi ci sono; tuttavia, se il debitore poi salta le rate, la conversione decade e la procedura riprende come prima.
- Sospensione volontaria o accordi in corso di esecuzione: il debitore può sempre trattare con il creditore anche dopo il pignoramento. Se riesce a trovare un accordo di pagamento (ad esempio, paga una parte e il creditore accetta di fermare tutto), il creditore può rinunciare alla procedura. La rinuncia del creditore, comunicata al giudice, estingue l’esecuzione. È importante però ottenere un atto formale (una dichiarazione scritta del creditore di aver ricevuto X a saldo e stralcio e di rinunciare all’esecuzione). Finché il creditore è soddisfatto, può chiedere al giudice la sospensione o revoca del pignoramento. Alcuni creditori, se vedono il debitore attivo nel vendere privatamente un bene per ricavare di più rispetto all’asta, possono accettare di attendere o sospendere l’asta per massimizzare il recupero. Un debitore intelligente, se la sua casa è pignorata, potrebbe proporre: “non farla andare all’asta, la vendo io a prezzo di mercato, con quel ricavato vi pago e vi soddisfo meglio”. Ciò richiede il consenso di tutti i creditori coinvolti, ma a volte è fattibile.
- Riduzione del pignoramento: se sono stati pignorati beni di valore manifestamente superiore al necessario, il debitore può chiedere la riduzione (art. 496 c.p.c.). Esempio: ho un debito di €5.000 ma il creditore mi ha pignorato due auto e un conto corrente con €10.000. Posso chiedere al giudice di liberare un’auto, dimostrando che l’altra garanzia è sufficiente a coprire. Questa istanza ha successo se effettivamente c’è eccesso.
- Opposizione distributiva: in fase finale, se c’è una contestazione su come il ricavato va distribuito tra i creditori (ad es. c’è un creditore che si insinua tardi o un errore di calcolo), il debitore potrebbe fare opposizione (art. 512 c.p.c.) se da ciò dipende ad esempio la permanenza di un debito residuo a suo carico.
Inoltre, il Codice della Crisi ha introdotto un’opportunità interessante: se un debitore ha presentato una domanda di composizione della crisi da sovraindebitamento, può chiedere al giudice dell’esecuzione la sospensione o la cessazione della procedura esecutiva in corso sullo stesso patrimonio, in attesa dell’esito della procedura concorsuale. Di fatto, la presentazione di un piano di ristrutturazione può bloccare i pignoramenti in corso che ostacolano il piano. Questo rafforza la convenienza di muoversi in tempo con la legge 3/2012, come già evidenziato.
Limiti legali al pignoramento: cosa il creditore non può prendere
La legge italiana, pur permettendo ai creditori di aggredire i beni del debitore, prevede una serie di limiti a tutela della dignità e sussistenza del debitore e della sua famiglia. È fondamentale conoscere questi limiti, perché spesso i creditori (o gli stessi debitori, in buonafede) non li rispettano. Vediamo i principali:
- Beni mobili impignorabili (art. 514 c.p.c.): certi oggetti non possono essere pignorati in nessun caso. Ad esempio, l’abbigliamento, i letti, gli armadi, il tavolo da pranzo con sedie, gli elettrodomestici essenziali (frigorifero, cucina, lavatrice), gli utensili di cucina e in generale gli oggetti indispensabili al debitore e alla sua famiglia per la vita quotidiana sono impignorabili. Non si possono pignorare neppure i ricordi di famiglia e le eventuali necessarie per disabilità (protesi, carrozzine). Questo significa che se l’ufficiale giudiziario entra in casa, non potrà portare via il divano o il letto lasciando il debitore senza dove dormire. Sono impignorabili anche i animali da compagnia o affezione (cani, gatti) e animali da assistenza terapeutica, grazie a una legge del 2016 che li ha equiparati a beni non pignorabili (non sono “cose”, giustamente, su cui soddisfare i creditori). Se il pignoramento di mobili avviene violando queste regole, è nullo: il debitore deve segnalarlo subito (anche all’ufficiale stesso, che in genere conosce i limiti, ma in caso di abusi si può ricorrere al giudice).
- Strumenti di lavoro (art. 515 c.p.c.): gli oggetti e strumenti indispensabili per l’esercizio della professione, arte o mestiere del debitore sono parzialmente impignorabili. Significa che il creditore li può pignorare solo se il loro valore eccede quello necessario per lo svolgimento del lavoro, e comunque con l’autorizzazione specifica del giudice. Ad esempio, per un venditore ambulante, il furgone attrezzato potrebbe essere considerato strumento indispensabile per il suo lavoro: se egli è ancora in attività, un giudice potrebbe negare il pignoramento perché privarlo del furgone significa privarlo della fonte di reddito (e quindi, in prospettiva, anche i creditori ci perdono perché non potrà più guadagnare). Tuttavia, questa tutela è applicata caso per caso. Per un ex ambulante che ha cessato l’attività, gli strumenti potrebbero non essere più “indispensabili” e quindi pignorabili liberamente. Ma se l’attività continua, vale la pena di far presente all’ufficiale giudiziario che certi beni sono necessari al lavoro e di ricorrere immediatamente al giudice se vengono pignorati.
- Stipendi, salari e pensioni: questi crediti verso terzi del debitore sono pignorabili con forti limitazioni. Esistono due situazioni: pignoramento presso il datore di lavoro/ente pensionistico (cioè il creditore notifica l’atto al datore o all’INPS) e pignoramento del conto corrente dove lo stipendio/pensione sono accreditati.
- Nel primo caso, l’art. 545 c.p.c. fissa che stipendi e salari (nonché altre indennità di lavoro) possono essere pignorati nella misura massima di 1/5 per ogni creditore (o cumulo di crediti non alimentari). Cioè al lavoratore dipendente possono trattenere al massimo il 20% dello stipendio netto. Questo limite vale per i crediti ordinari e per i crediti erariali: contrariamente al passato in cui il fisco aveva soglie diverse, oggi la regola generale del c.p.c. è 1/5 anche per tasse e ogni altro credito. Eccezione: per i crediti alimentari (mantenimento dovuto a familiari) il giudice può autorizzare il pignoramento in misura superiore, sino al necessario, ma comunque senza superare di norma la metà dello stipendio (e se concorre con altri pignoramenti, c’è un limite complessivo che vedremo tra poco). Dunque, se il nostro ex ambulante ha trovato un impiego e percepisce uno stipendio, al massimo un quinto del suo netto potrà essere sottratto per i debiti generici. Se ha più pignoramenti concorrenti (es. uno bancario e uno fiscale), il totale pignorato non può superare la metà dello stipendio, ma salvo presenza di alimenti, di solito non supera 1/5 perché i creditori si accodano. Per le pensioni, il regime è simile (1/5), con l’ulteriore garanzia che la pensione è impignorabile fino a 1,5 volte l’assegno sociale: in pratica c’è una franchigia impignorabile (nel 2025 l’assegno sociale mensile è attorno a €570, quindi 1,5x circa €855; la legge fissa comunque un minimo di €1.000 anche se 1,5×assegno risulta inferiore, per miglior tutela). Quindi se un pensionato prende €800, nulla gli può essere pignorato perché sotto la soglia minima di circa €855 prevista. Se prende €1.000, la parte sopra €855 (~€145) è pignorabile nella misura di 1/5: quindi gli verrebbero trattenuti circa €29 al mese. Queste cifre vengono aggiornate ogni anno. Il datore di lavoro o ente previdenziale, quando riceve l’atto di pignoramento, opera direttamente la trattenuta mensile dovuta e la versa al creditore o in deposito giudiziario. Importante: se il debitore perde il lavoro, il pignoramento si estingue (non c’è più terzo). Se cambia datore di lavoro, il creditore deve notificare un nuovo atto al nuovo datore.
- Nel caso di pignoramento del conto corrente: qui le cose erano più problematiche, ma dal 2015 circa la legge tutela il debitore rispetto ai somme da stipendio/pensione accreditate in banca. Distinguendo: se sul conto c’è saldo derivante da precedenti accrediti di stipendio, la Cassazione e la riforma hanno stabilito che il debitore ha diritto a conservare l’ultimo accredito di stipendio/pensione. In pratica, la banca come terzo pignorato deve bloccare solo la parte eccedente l’ultimo stipendio: il “ultimo rateo” accreditato non va toccato. Questo per evitare che il debitore si trovi improvvisamente senza nulla su cui vivere il mese corrente. Dunque, se il 1° del mese arriva lo stipendio €1.200 sul conto e il 5° arriva il pignoramento del conto, il debitore deve poter prelevare quei €1.200 (o meglio la parte non altrimenti pignorabile) perché relativi all’ultima mensilità. Quanto al nuovo accredito dopo il pignoramento: la norma (art. 545 c.p.c. ult. commi) dice che gli accrediti successivi alla notifica del pignoramento sono pignorati anch’essi nei limiti previsti per stipendio/pensione. Significa che se sul conto pignorato continuano ad affluire stipendi, la banca ne dovrà eventualmente segregare la parte pignorabile (sempre il quinto eccedente il minimo vitale). Va notato che la giurisprudenza ha interpretato che l’ultimo emolumento accreditato prima del pignoramento rimane libero, mentre quelli successivi vanno nelle regole del quinto con franchigia per le pensioni. In soldoni: il creditore non può prosciugare il conto e togliere al debitore la mensilità corrente, ma può bloccare il resto. Se però il creditore pignora sia il datore di lavoro che il conto, il povero debitore non ha scampo: la quota di quinto gli viene trattenuta a monte, e sul conto restano già somme depurate. La legge infatti puntualizza che la protezione dell’ultimo accredito non opera se il creditore ha pignorato sia stipendio che conto (il che è raro, di solito si sceglie uno, ma può capitare nel tentativo di prendere magari anche risparmi pregressi sul conto).
- Pignoramenti da parte di Agenzia Entrate-Riscossione: il Fisco ha regole proprie leggermente diverse per stipendio e pensioni, ma che ormai sono state armonizzate. Infatti l’art. 72-ter del DPR 602/1973 prescrive che AER, se pignora lo stipendio presso il datore, può prendere: 1/10 della retribuzione netta se questa ≤ €2.500, 1/7 se è tra 2.500 e 5.000, e 1/5 oltre 5.000. Si tratta di aliquote più favorevoli al debitore con redditi bassi (10% invece di 20% sotto 2.500 €). Per redditi alti coincide col quinto. Anche per le pensioni via AER si applica la franchigia impignorabile pari all’assegno sociale aumentato della metà (es. circa €855 mensili esenti). Quindi, se l’ex ambulante oggi ha un piccolo stipendio di €1.200 e viene pignorato dal Fisco, gli tratterranno solo 1/10 (€120) al mese, lasciandogli 1.080 €.
- Prima casa impignorabile dal Fisco: un capitolo fondamentale è la tutela della prima casa. Il Decreto del Fare 2013 (DL 69/2013) ha introdotto il divieto per l’Agente della Riscossione di espropriare l’unico immobile di proprietà del debitore se questo è adibito ad abitazione principale e non di lusso. In pratica, se il nostro ex ambulante possiede solo la casa in cui risiede, Agenzia Entrate-Riscossione non potrà metterla all’asta per riscuotere i tributi (potrà tutt’al più iscrivere ipoteca a garanzia, ma non procedere alla vendita). I requisiti precisi perché scatti l’impignorabilità della prima casa sono: (a) l’immobile sia unico di proprietà del debitore e a uso abitativo; (b) il debitore vi risieda anagraficamente; (c) non sia un immobile di lusso (categorie catastali A/8, A/9 escluse). Se questi requisiti sono soddisfatti, AER “non dà corso all’espropriazione”. Se invece il debitore possiede più immobili o l’immobile non è prima casa, AER può pignorare ma a condizione che il debito superi €120.000 e sia stata iscritta ipoteca almeno 6 mesi prima senza esito. Nota: nel 2017 il limite è stato chiarito nel senso che €120.000 può essere calcolato sommando il valore di tutti gli immobili se sono più d’uno. Quindi se uno ha due case modeste, AER può procedere se il debito supera 120k e somma i valori (prima era dubbio se ogni bene separato dovesse superare 120k). La Cassazione con ordinanza n. 32759/2024 ha confermato che questa normativa vale anche per le esecuzioni in corso prima del 2013: in un caso dove Equitalia aveva già pignorato la casa prima dell’agosto 2013 e il processo era pendente, la Suprema Corte ha detto stop: dal 21/08/2013 in poi quell’esecuzione non poteva proseguire, e il pignoramento andava cancellato. Dunque, la tutela della prima casa si applica anche retroattivamente sui processi non conclusi al 2013. È importante sapere che questa protezione vale solo verso il Fisco: un creditore privato (banca, fornitore) purtroppo può pignorare la casa di residenza del debitore se non trova altri beni, perché la legge speciale riguarda solo l’esecuzione esattoriale. L’unica barriera per i creditori privati può essere costituita dal fondo patrimoniale (se la casa vi è conferita prima dei debiti e i debiti non sono per bisogni familiari) o dalla vendita della nuda proprietà con riserva di usufrutto (ma si entra in ambiti di pianificazione patrimoniale preventiva spesso non percorribili a situazione debitoria già degenerata). Pertanto, se l’ex ambulante ha debiti fiscali, la sua prima casa è salva salvo che abbia altri immobili (in tal caso l’Equitalia di turno potrebbe puntare a quelli). Se invece il debito grosso è con una banca, la prima casa non è affatto protetta e un pignoramento immobiliare privato può avvenire anche per importi relativamente modesti (teoricamente per qualsiasi importo, anche se in pratica sotto alcune decine di migliaia di euro di debito difficilmente un creditore attiverebbe una costosa esecuzione immobiliare, a meno che la casa valga molto di più). Va ricordato infine che anche dove AER non può pignorare la prima casa, può però iscrivere ipoteca: l’immobile non verrà venduto coattivamente, ma l’ipoteca resta a garanzia e di fatto impedisce al debitore di venderlo o ipotecarlo altrove finché non paga. La Cassazione (sent. 10623/2021) ha chiarito che l’ipoteca esattoriale si può iscrivere sulla prima casa, poiché il divieto riguarda solo l’espropriazione. Quindi il consiglio per i debitori proprietari di un unico immobile è: non rilassarsi del tutto, perché il debito su casa prima o poi andrà risolto (anche solo se un domani i figli vorranno vendere l’immobile ereditato, dovranno chiudere quelle pendenze ipotecarie).
- Altri beni non pignorabili: la legge prevede ulteriori voci, ad esempio: i frutti pendenti (colture non raccolte) non si pignorano separatamente dal fondo; le polizze di assicurazione sulla vita e relativi indennizzi non sono pignorabili (art. 1923 c.c., somme dovute dall’assicuratore al contraente o beneficiario sono impignorabili); i crediti per alimenti dovuti al debitore (se Tizio vanta mantenimento dall’ex coniuge, i suoi creditori non possono pignorare quelle somme vitali per lui). Anche alcuni beni pubblici o stipendi pubblici per crediti erariali sono sottratti (meccanismi particolari), ma esulano dal caso privato.
In sintesi, il debitore deve sapere che non tutto è aggredibile. In caso di visita dell’ufficiale giudiziario in casa, può opporsi al pignoramento di ciò che serve per vivere (indicandolo all’U.G.). In caso di pignoramento di stipendio o pensione, può controllare che la trattenuta sia corretta (se gli prendono più di 1/5, può fare opposizione; se ha la pensione minima e qualcosa è stato bloccato, può ricorrere per sbloccare). Se il suo conto è stato pignorato e conteneva solo l’ultima mensilità di stipendio, può far valere la norma che quell’ultima mensilità non è toccabile. Se ha un solo immobile di residenza e riceve un avviso di vendita dall’esattore, può impugnare l’atto perché contrario all’art. 76 DPR 602/1973 (come nel caso vinto in Cassazione nel 2024).
Naturalmente, questi limiti non cancellano il debito ma lo circostanziano: un creditore che non può aggredire un bene cercherà altro, oppure aspetterà tempi migliori. Un debitore nullatenente (senza beni né redditi ufficiali) di fatto è inespugnabile dai creditori: possono ottenere titoli e pignoramenti, ma resteranno infruttuosi. Tuttavia, come già detto, il debito rimane e costoro potrebbero colpire in futuro se la situazione cambia (ad es. il debitore trova lavoro o eredita una casa). Dopo un tot di anni di inutili tentativi, alcuni creditori rinunciano e il debito può cadere in prescrizione; altri vendono la posizione a società di recupero (che magari a distanza di anni rifanno qualche tentativo). Non avere nulla è la “difesa” più semplice, ma è anche una condizione esistenziale difficile e spesso transitoria. Pertanto è sempre opportuno accompagnare i limiti di legge a un piano più strutturato, come una negoziazione o procedura per risolvere definitivamente l’esposizione.
Definizioni agevolate dei debiti fiscali e contributivi
Uno scenario frequente per l’ex ambulante è il debito con il Fisco o con enti previdenziali: cartelle per IVA, per IRPEF non versata, per contributi INPS, multe stradali, TARI ecc. Lo Stato, soprattutto negli ultimi anni, ha varato diverse misure di definizione agevolata, note anche con i termini di rottamazione, condono, saldo e stralcio fiscale. Queste misure permettono, a certe condizioni, di pagare meno del dovuto su cartelle esattoriali in essere, ottenendo lo sgravio di sanzioni e interessi o di parte del capitale, e la chiusura delle posizioni debitorie con l’Erario.
Ecco un riepilogo delle principali misure attivate (o in vigore) fino a luglio 2025:
- “Rottamazione” delle cartelle (edizioni 2016, 2018, 2023): la “rottamazione” consente di pagare i debiti iscritti a ruolo senza le sanzioni e senza gli interessi di mora. Restano da pagare il capitale e le eventuali spese di notifica, più un interesse ridotto (lo 0,5% annuo circa dal 2023). La prima rottamazione (DL 193/2016) riguardava cartelle 2000-2016; la seconda (rottamazione-bis e ter nel 2017-2018) ha ampliato; l’ultima, la rottamazione-quater prevista dalla Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022), ha incluso i carichi affidati all’Agente Riscossione dal 01/01/2000 al 30/06/2022. Il debitore doveva presentare domanda entro il 30 giugno 2023 e poteva scegliere se pagare in unica soluzione entro 31 ottobre 2023 o in 18 rate spalmate fino al 2027. La scadenza delle rate è: 2 nel 2023 (ottobre e novembre, poi prorogate al 2024), 3 rate per ciascun anno 2024, 2025, 2026, e l’ultima nel 2027. C’è un lieve interesse del 2% annuo sulle rate dal 2024 in poi. La legge concede 5 giorni di tolleranza su ciascuna scadenza (il pagamento è considerato valido se fatto entro 5 giorni dopo). Se si saltano le rate (anche con tolleranza) o non si paga per intero, si perde la rottamazione e tornano dovuti sanzioni e interessi come se nulla fosse. Dato che parecchi contribuenti hanno avuto difficoltà a rispettare le scadenze, è intervenuta nel 2024 una riapertura dei termini: con il DL 51/2023 convertito e poi la Legge di Bilancio 2024, è stato stabilito che chi non ha pagato le prime due rate 2023 potesse versarle entro il 31/12/2023 mantenendo i benefici, e chi è decaduto per rate 2024 mancate potesse chiedere la riammissione entro il 30/04/2025. In sostanza, a luglio 2025 la rottamazione-quater è in corso: la prossima rata scade proprio il 31/07/2025 (con 5gg di tolleranza). L’ex ambulante che ha aderito deve fare attenzione a rispettare questi pagamenti. Chi non ha aderito entro giugno 2023, ormai non può più entrare nella rottamazione esistente; non si esclude che in futuro vengano varate nuove definizioni, ma attualmente (luglio 2025) non ve ne sono di nuove. In ogni caso, se la sua posizione rientrava e non ha colto l’opportunità, oggi dovrà pagare per intero o puntare su sovraindebitamento per alleggerire il carico fiscale.
- Saldo e stralcio 2019: misura una tantum prevista dalla Legge 145/2018 per contribuenti persone fisiche in grave difficoltà economica (ISEE ≤ €20.000), riguardava i carichi affidati dal 2000 al 2017 consistenti in omessi versamenti di imposte dichiarate o contributi (esclusi debiti derivanti da accertamenti). In pratica consentiva di pagare solo una percentuale del debito: 16% se ISEE ≤ €8.500, 20% se ISEE sopra 8.500, con azzeramento totale di sanzioni e interessi. Era assai conveniente (anche più della rottamazione), ma ristretta a chi aveva basso reddito o ISEE e ad alcune tipologie di debiti. Scaduti i termini, non è stata riproposta in edizioni successive. Tuttavia, chi ha aderito allora e sta pagando le rate (erano 5 rate entro il 2021) dovrebbe ormai aver concluso. Oggi non è attivo un “saldo e stralcio” analogo.
- Stralcio dei mini-debiti (DL 119/2018 e L.197/2022): due provvedimenti hanno disposto l’annullamento automatico dei debiti minori. Il primo, nel 2018, annullò i carichi sotto €1.000 affidati al concessionario tra 2000 e 2010. Il secondo, la Finanziaria 2023, ha previsto lo stralcio automatico dei debiti residui al 1° gennaio 2023 di importo fino a €1.000, affidati tra 2000 e 2015. In pratica, l’Agenzia Riscossione entro il 31/03/2023 ha cancellato d’ufficio tutte le vecchie cartelle fino a mille euro di quei anni (comprensivo di capitale, interessi, sanzioni). Ciò è avvenuto senza domanda del contribuente. Quindi, se l’ex ambulante aveva vecchie cartelle di piccolo importo, potrebbe trovarle annullate. Attenzione: il limite di €1.000 è per singolo debito (capitale + sanzioni + interessi) e non per somma di cartella; ma comprende anche eventuali versamenti parziali già fatti. Comuni e enti diversi dallo Stato potevano decidere di non applicare lo stralcio alle proprie ingiunzioni, e molti hanno optato di mantenere la riscossione. Comunque, ad oggi, moltissimi micro-debiti sono stati cancellati per legge.
- Altre definizioni agevolate 2023-2024: il Governo 2023 ha previsto anche la definizione agevolata delle liti tributarie pendenti (pagando percentuali dell’imposta in causa a seconda del grado di giudizio vinto/perduto) e la regolarizzazione degli omessi pagamenti formali. Ma queste riguardano contenziosi specifici e non tanto la situazione di chi ha già un debito iscritto e in riscossione. Per completezza: un contribuente che ha presentato ricorso e la causa è pendente poteva chiuderla col DL 119/2018 (sanatoria liti) o DL 34/2023 (nuova definizione liti entro 30/09/2023), ma se parliamo di un ex ambulante che non ha cause in corso ma debiti a ruolo, ciò non si applica.
In concreto, un ex ambulante con debiti fiscali dovrebbe verificare se le sue cartelle rientravano in qualcuna di queste misure e se le ha sfruttate:
- Se ha aderito alla Rottamazione-quater, deve rispettare le rate. Se incontra difficoltà, è preferibile cercare di non decadere: in caso di problemi di liquidità su una rata, ricordare i 5 giorni di tolleranza e che una lieve tardività è ammessa. Se proprio è decaduto entro 2024, c’era la finestra di riammissione fino aprile 2025. Dopo, se decade, torneranno in carico tutti gli interessi e sanzioni, un brutto colpo. A quel punto, l’unica sarebbe pensare a un sovraindebitamento o a un accordo ad hoc con l’ente (ma l’ente in genere non può fare sconti extra lege, se non in sede di concordato o piano del consumatore).
- Se non ha aderito, ormai per quelle cartelle resta l’obbligo integrale salvo nuova legge futura. Potrà comunque includerle eventualmente in un piano di sovraindebitamento per provare a pagarne solo una parte (i piani possono prevedere stralci anche su debiti fiscali, subordinati all’omologa del giudice).
- Se aveva mini-cartelle < €1000 ante 2015, verificare nell’estratto di ruolo se sono state annullate nel 2023. L’Agenzia ha inviato ai contribuenti interessati una comunicazione di avvenuto stralcio; in caso di dubbi, ci si può collegare al portale AER con SPID e scaricare il proprio Prospetto. Spesso il debitore in questo modo scopre che varie vecchie contravvenzioni o imposte locali sono sparite.
- Se ha debiti previdenziali (INPS), anch’essi erano rottamabili e stralciabili come gli altri tributi. Inoltre, l’INPS per contributi non versati spesso può concedere direttamente una dilazione in 24 rate (per somme sotto certa soglia anche senza garanzie). Conviene rivolgersi all’INPS per valutare un piano di rientro, perché così si evita l’aggio esattoriale del 3% e si previene l’eventuale iscrizione a ruolo.
Un’altra forma di “difesa” sui tributi è controllare le decadenze: ad esempio, per le cartelle relative a imposte, c’è un termine entro cui vanno notificate dall’Agenzia dopo l’accertamento (di solito 2 anni dall’anno in cui l’accertamento è definitivo). Se tale termine è sforato, la cartella è nulla e si può fare ricorso per farla annullare. Però queste eccezioni vanno sollevate davanti al giudice tributario entro 60 giorni dalla notifica della cartella. Molti ambulanti, purtroppo, non contestano per tempo e fanno scadere i termini, rendendo definitivo il ruolo anche se tardivo. A posteriori, in sede di esecuzione, tali vizi di merito non sono più opponibili (salvo rari casi di inesistenza).
In sintesi, per i debiti fiscali/contributivi la strategia difensiva ruota attorno a: sfruttare tutte le agevolazioni di pagamento offerte dalla legge; se possibile, rateizzare prima che scattino misure aggressive; valutare la prescrizione (che per la maggior parte dei tributi è quinquennale dopo la notifica della cartella: se AER non compie atti in 5 anni, il debito si prescrive – ad esempio bollo auto, IMU 5 anni, contributi INPS 5 anni, imposte erariali in teoria 10 ma la Cassazione ha propenduto per 10 per imposta e 5 per sanzioni/interessi, quindi di fatto conviene vigilare). E, se l’importo globale resta insostenibile, considerare l’opzione sovraindebitamento dove i debiti fiscali potranno essere falcidiati con l’approvazione del giudice.
Da notare che le definizioni agevolate sono misure temporanee e politiche: non vi è diritto del contribuente ad ottenerle se non quando una legge specifica le prevede. Pertanto, non sono garantite in futuro. Un debitore non dovrebbe scommettere sul “prima o poi faranno un altro condono e mi tolgono tutto”: potrebbe anche non accadere o accadere a distanza di molti anni (nel frattempo interessi e rischi continuano). Se però arriva l’occasione di un condono, coglierla prontamente è saggio, perché a volte è l’opportunità di chiudere a poco prezzo controversie annose.
Prescrizione e decadenza: usare il tempo a proprio vantaggio
Una delle armi più potenti (e spesso trascurate) a disposizione del debitore è la prescrizione dei debiti. Molti debiti, infatti, si “estinguono col tempo” se il creditore non li sollecita entro termini fissati dalla legge. Ciò non vuol dire che scompaiano magicamente: significa che, trascorso il termine di prescrizione senza che il creditore abbia compiuto atti interruttivi, il debitore acquisisce il diritto di rifiutare il pagamento per intervenuta prescrizione (ma deve eccepirla attivamente; il giudice non la applica d’ufficio). Vediamo come funziona:
La prescrizione ordinaria è 10 anni (art. 2946 c.c.) e si applica a tutti i diritti per cui la legge non prevede un termine breve. Ad esempio, un prestito bancario, un saldo di conto corrente, una fattura non pagata tra privati – in assenza di norme specifiche – si prescrivono in 10 anni. Molti rapporti però hanno prescrizioni brevi di 5 anni (art. 2948 c.c.): tra questi, interessi e pagamenti periodici (es. canoni d’affitto, stipendi, pensioni, rate), così come bollette e tributi locali rientrano spesso nel quinquennio. Anche le sanzioni amministrative (multe stradali, ammende) e le sanzioni tributarie hanno 5 anni di prescrizione, a meno che la legge di settore disponga diversamente. I contributi previdenziali INPS sono 5 anni per legge (L.335/1995).
Tabella – Principali termini di prescrizione dei debiti:
Tipo di debito | Prescrizione | Riferimento |
---|---|---|
Prestiti, finanziamenti, mutui (rate non pagate) | 10 anni (rate singole 5 anni ciascuna se non c’è decadenza) | Art. 2946 c.c. (generale); art. 2948 n.4 c.c. (obblighi periodici) |
Carte di credito, scoperti di conto, debiti bancari vari | 10 anni (in genere considerati contratti ordinari) | Art. 2946 c.c. |
Fatture commerciali tra imprenditori (forniture) | 5 anni (se periodiche o di impresa commerciale) | Art. 2948 c.c. n.4; giurisprudenza variabile |
Canoni di locazione, affitto | 5 anni (ciascuna rata) | Art. 2948 c.c. n.3 |
Bollette utenze (luce, gas, acqua, telefono) | 2 anni (dalla scadenza, per consumi dal 2018 in poi per elettricità, 2019 gas, 2020 acqua; prima era 5 anni) | L. 205/2017 (Bilancio 2018) |
Interessi e altri accessori (es. interessi moratori su debito principale) | 5 anni | Art. 2948 c.c. n.4 |
Stipendi, salari, compensi professionali | 5 anni (decorrono dalla scadenza di ciascun pagamento) | Art. 2948 c.c. n.4 (periodici) |
TFR (trattamento fine rapporto) | 5 anni (dalla cessazione rapporto) | Art. 2948 c.c. n.5 |
Tributi erariali (IRPEF, IVA, etc.) | 10 anni (orientamento prevalente, in assenza di termine breve specifico) | Cass. SS.UU. 23397/2016; L. del 2019 per bollo auto fa 3 anni tributi locali) |
Tributi locali (IMU, TARI, ecc.) | 5 anni (qualificati come prestazioni periodiche) | Cass. 2020 n.29638 (IMU 5 anni) |
Contributi INPS/INAIL | 5 anni (anche se non dichiarati) | L. 335/1995 art. 3 co.9 |
Multe stradali (sanzioni Codice Strada) | 5 anni (dalla notifica del verbale definitivo) | Termine generale sanzioni amm.ve |
Sanzioni amministrative tributarie, interessi di mora su cartelle | 5 anni | Cass. n.33809/2021 (interessi) |
Assegni bancari non pagati | 6 mesi per presentare per l’incasso e protesto; azione esecutiva diretta su assegno 6 mesi; dopo serve decreto ingiuntivo quindi 10 anni da esso. | RD 21/12/1933 n.1736 (assegni) |
Cambiali non pagate | 3 anni per azione cambiaria (dal termine pagamento); se no, azione causale 10 anni. | RD 1669/1933 (cambiali) |
(NB: la tabella semplifica; per alcuni voci esistono dettagli e decadenze specifiche, es. accertamenti fiscali: l’Agenzia ha termini per notificare avvisi, ecc., ma una volta formato il ruolo, la prescrizione del credito in sé tende a 10 anni salvo interruzioni.)
Decadenza vs prescrizione: decadenza è il termine entro cui il creditore (spesso pubblico) deve compiere un atto per rendere esigibile il credito, altrimenti decade dal potere. Ad esempio, per le multe stradali c’è l’obbligo di notificare il verbale entro 90 giorni dalla violazione: se il Comune notifica dopo 6 mesi, la multa è nulla per decadenza (va contestata dal destinatario però). Anche per le imposte, ci sono termini di decadenza per notificare l’accertamento (di norma entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per molte imposte). Questi termini di decadenza vanno fatti valere con ricorso nelle sedi opportune. Diversamente, la prescrizione inizia a conteggiarsi da quando il credito è esigibile (es. dalla scadenza di pagamento, o dalla notifica della cartella, ecc.) e può essere interrotta da atti del creditore.
Interruzione della prescrizione: basta un atto formale con cui il creditore manifesta la volontà di ottenere il pagamento (art. 2943 c.c.) perché il termine ricominci da zero. Ad esempio, un atto di citazione, un decreto ingiuntivo notificato, un precetto, ma anche una semplice raccomandata AR di messa in mora inviata dal creditore, interrompono la prescrizione. Dopo l’atto interruttivo, il termine riparte (se era 5 anni, ricomincia 5 anni da quella data; se era 10, da capo 10). Ciò significa che se un creditore vuole mantenere vivo il suo diritto indefinitamente, gli basta mandare ogni tot anni una lettera raccomandata al debitore. Molti però non lo fanno regolarmente: specialmente banche o finanziarie dopo aver venduto il credito, oppure enti pubblici disorganizzati, lasciano passare tempi lunghi senza atti. Il debitore deve quindi tener traccia: “quando ho ricevuto l’ultimo sollecito scritto/atto giudiziario per questo debito?”. Se sono passati oltre 5 o 10 anni secondo il caso, potrebbe essere prescritto. Attenzione: se il debitore stesso riconosce il debito, ad esempio inviando una lettera in cui chiede tempo o pagando una piccola somma a acconto, compie atto di ricognizione e interrompe a sua volta la prescrizione (art. 2944 c.c.). Ecco perché, come detto prima, è sconsigliato pagare piccole somme “tanto per tacitare” senza un accordo: perché si rischia di far ripartire il termine.
Esempio: l’ex ambulante Luigi aveva una carta di credito, smette di pagare nel 2017; la finanziaria gli invia un sollecito raccomandato nel 2018, poi nulla più. Siamo nel 2025: sono passati più di 5 anni dall’ultimo sollecito. Poiché il debito da carta è di natura contrattuale (prescrizione 10 anni, ma le rate mensili sono crediti periodici 5 anni l’una), si può sostenere che l’intero rapporto sia prescritto, o almeno le rate scadute fino al 2018 sicuramente sì (le ultime forse no). Dunque Luigi, se oggi la società di recupero gli scrive, potrà opporre la prescrizione: in pratica rifiutare il pagamento per intervenuto decorso del termine. Se però nel 2022 Luigi, spaventato da una telefonata, avesse versato €100 di acconto, quell’azione avrebbe interrotto la prescrizione e renderebbe vano il conteggio precedente (il 2022 diverrebbe nuovo dies a quo per altri 5 o 10 anni).
Come far valere la prescrizione? – Non basta attendere passivamente. La prescrizione è un’eccezione che il debitore deve sollevare, preferibilmente in giudizio. Se riceve un precetto su un credito vecchio, deve fare opposizione e dire “credito prescritto perché ultimo atto risale a > X anni fa” e portare prova (esibendo che lui non ha mai avuto altri atti dopo una certa data). In giudizio, la prova degli atti/notifiche è in mano al creditore (che dovrà eventualmente esibire se ha inviato altre comunicazioni); se il creditore non prova atti interruttivi, il giudice dichiarerà prescritta la pretesa e fine. Se il debitore invece paga volontariamente un debito prescritto, non ha diritto a rimborso: chi paga debito prescritto, spontaneamente, non può ripetere (art. 2940 c.c.). Quindi conviene saperlo prima di pagare.
Da notare: prescrizione e sovraindebitamento. Se un debitore intraprende un piano di legge 3/2012, in quel contesto spesso inserisce anche debiti già prescritti (a meno che li contesti). Ma è generalmente sconsigliabile includere un debito prescritto nel piano come se nulla fosse, perché si finirebbe per pagare qualcosa che non si doveva più. Il giusto sarebbe contestare quel debito nel piano o escluderlo. Quindi un avvocato diligente, prima di predisporre un piano del consumatore, fa un check di prescrizioni: eventuali crediti palesemente prescritti possono non essere considerati (o il giudice li esclude d’ufficio se se ne accorge, trattandosi di debiti “inesigibili”). Ad ogni modo, trattare con sufficienza la prescrizione sarebbe un errore. Molti debitori, pressati dai recuperatori, pagano debiti vecchissimi credendo di doverlo fare: sapere che il diritto era estinto li avrebbe salvati. Per esempio, ci sono casi in cui società recupero bussano per conti bancari chiusi 15 anni prima con piccoli scoperti: spesso sono non dovuti perché prescritti, ma qualcuno paga per paura.
Riassumendo consigli pratici: fatevi un elenco di tutti i vostri debiti e annotate per ciascuno l’ultima data in cui: avete riconosciuto il debito, oppure avete ricevuto una raccomandata o una notifica relativa. Da quella data, guardate il termine di prescrizione applicabile. Se è trascorso, siete in una posizione di forza: il debito è tecnicamente “morto”, anche se qualcuno cerca di riscuoterlo, voi potete opporvi con ottime chance di farlo dichiarare estinto. Se state affrontando un’esecuzione per un debito che sospettate prescritto, agite immediatamente in opposizione sollevando l’eccezione. Se semplicemente arrivano lettere di recupero su crediti vecchi, potete rispondere (meglio tramite avvocato) comunicando la prescrizione compiuta e intimando di cessare ogni pretesa. Molte volte la controparte desiste di fronte a una contestazione argomentata, preferendo non avviare cause su crediti ormai prescritti per evitare di perderle.
Un caso particolare riguarda la prescrizione dei debiti bancari dopo una sentenza passata in giudicato: se un creditore ha ottenuto una sentenza di condanna o un decreto ingiuntivo definitivo, quel titolo esecutivo in teoria dura 10 anni (dopo va rinnovato se non ha agito in tempo). Cioè, se la banca ottiene decreto ingiuntivo nel 2015 e il debitore non paga, la banca ha fino al 2025 per iniziare un pignoramento; dopo il 2025, se non ha fatto nulla, il titolo perde efficacia e dovrebbero rifare causa (ma il diritto sostanziale potrebbe essere prescritto anch’esso). Quindi attenzione anche a questo: controllare la data delle sentenze/decreti. Se sono trascorsi 10 anni senza esecuzione, l’esecuzione non è più iniziabile se il titolo non è rinnovato. Anche un pignoramento rimasto pendente per troppo tempo senza sviluppi può portare all’estinzione della procedura (ma basta un atto ogni tanto per tenerla viva, la prescrizione in corso di causa è sospesa).
In conclusione, il tempo può giocare a favore del debitore, ma va conosciuto e invocato. Un ex ambulante oberato potrebbe scoprire che una parte dei suoi debiti non è più legalmente esigibile: questo alleggerisce il fardello e orienta meglio le soluzioni (ad esempio, in un piano di sovraindebitamento si escludono i debiti prescritti; in una negoziazione si può dire al creditore “il tuo credito è prescritto, accontentati di poco altrimenti nulla”; in un’opposizione si chiude la partita). Naturalmente, non bisogna contare di far prescrivere i debiti maggiori restando fermi, perché spesso i creditori si muovono. Ma se i creditori non si sono mossi, non è affar del debitore sollecitarli! (talvolta, per scrupolo, alcuni debitori contattano vecchi creditori per “sistemare”: se quelli dormono, meglio lasciarli dormire fino a prescrizione maturata).
Domande e Risposte Frequenti (FAQ)
D: Posso finire in carcere se ho molti debiti che non riesco a pagare?
R: No, in Italia non esiste la prigione per debiti civili. È un principio di ordine pubblico: nessuno può essere detenuto per obblighi contrattuali inadempiuti. Quindi non pagare prestiti, fatture, mutui, finanziamenti non costituisce reato e non porta a pene detentive. Attenzione però ad alcuni casi particolari: il mancato pagamento volontario dell’assegno di mantenimento a figli o coniuge può costituire reato (violazione degli obblighi di assistenza familiare); analogamente, grandi evasori fiscali o chi occulta beni al Fisco può incorrere in reati tributari. Ma qui parliamo di condotte fraudolente o specifiche, non del semplice essere insolvibile. In sintesi, il debitore insolvente non viene arrestato. Eventuali minacce di “denuncia penale” da parte di esattori privati sono indebite e prive di fondamento: servono solo a intimidire. Le conseguenze del non pagare sono sul patrimonio (pignoramenti) e sulla sfera economica (segnalazione come cattivo pagatore), mai sulla libertà personale.
D: Ho una sola casa dove vivo con la mia famiglia. Possono pignorarmela e metterla all’asta?
R: Dipende da chi è il creditore. Se il creditore è l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia), allora la tua prima e unica casa è protetta dalla legge (purché non sia di lusso e tu vi risieda anagraficamente). Dal 2013 AER non può espropriare l’unico immobile adibito ad abitazione principale del debitore. Quindi per debiti fiscali o contributivi, la “prima casa” è impignorabile (resta però possibile l’ipoteca se il debito supera €20.000). Se invece il creditore è un privato (banca, finanziaria, persona fisica), purtroppo questa tutela speciale non si applica: il creditore privato può pignorare la tua casa anche se vi abiti e non hai altri immobili. L’unico limite generale è che in Italia le aste hanno costi e tempi, per cui spesso per debiti di importo modesto sotto, ad esempio, €20-30.000, molti creditori evitano il pignoramento immobiliare perché poco conveniente. Ma legalmente potrebbero farlo anche per 5.000€. Dunque, se hai un immobile di proprietà e hai debiti rilevanti con banche o altri, il rischio esiste. Soluzioni: cercare di trovare un accordo col creditore prima che proceda, o valutare la liquidazione del patrimonio volontaria tramite sovraindebitamento (dove magari l’immobile viene venduto alle tue condizioni con più calma) o eventualmente porre l’immobile in un fondo patrimoniale anticipatamente (se i debiti non erano ancora noti, ma se già li hai può essere revocato). In conclusione: Stato no, privati sì. Per i debiti fiscali, ricorda anche che AER può procedere se hai più immobili o se il debito supera €120.000 (in tal caso potrebbe pignorare anche la casa non prima abitazione).
D: Quanto mi possono pignorare dallo stipendio o dalla pensione?
R: La legge fissa delle percentuali massime. Stipendi e salari da lavoro dipendente sono pignorabili al massimo per 1/5 (20%) del netto. Ciò vale per la somma dei pignoramenti ordinari e per tributi. Solo se c’è un concorso con alimenti dovuti, il totale potrebbe arrivare fino al 50% (ad esempio se ti pignora il quinto una banca e un altro creditore ha un decreto per alimenti, insieme possono arrivare a metà). Pensioni: anche qui massimo un quinto, ma prima di calcolarlo si deve lasciare intoccata una soglia minima vitale. La soglia è pari a 1,5 volte l’assegno sociale (circa €800-850 mensili, aggiornati ogni anno). Quindi, se una pensione è di €750, non è pignorabile affatto; se è di €1000, sono impignorabili ~€850 e restano €150 pignorabili al massimo al 20% (€30). Stipendi su conto corrente: se il creditore pignora direttamente il conto in banca dove ricevi lo stipendio, la legge tutela l’ultimo accredito di stipendio/pensione, che non può essere toccato dal pignoramento. Gli importi già sul conto da prima, invece, perdono “causalità” e sarebbero teoricamente pignorabili interamente: ma anche qui le ultime riforme (2015) hanno stabilito che sul conto restano impignorabili 3 volte l’assegno sociale se le somme sono state accreditate prima del pignoramento. In pratica: se sul conto hai €2000 frutto di risparmi di stipendio, al momento del pignoramento la banca deve lasciarti intoccati circa €1600 (tre assegni sociali) e pignorare l’eccedenza; se invece il pignoramento colpisce proprio nel momento dell’accredito, lascia l’ultima mensilità. Comunque, al di là dei tecnicismi, puoi contare sul fatto che non possono prosciugarti il conto lasciandoti a zero per campare, almeno un minimo deve restare. Infine, se il creditore è Agenzia delle Entrate-Riscossione, per stipendi valgono quote ancora più favorevoli: 10% se lo stipendio netto ≤ €2.500, 1/7 (~14%) se tra 2.500 e 5.000, 1/5 sopra 5.000. Quindi il Fisco prende meno ai redditi bassi (es. su 1200€, solo 120€ al mese anziché 240€). Per le pensioni AER rispetta la soglia impignorabile di legge come gli altri.
D: Ho solo una pensione sociale/minima e null’altro. Cosa mi possono fare i creditori?
R: Se la tua unica entrata è una pensione molto bassa (es. sociale o assegno minimo), questa è protetta: come detto, fino a ~€800 mensili la pensione non è attaccabile. Ciò significa che legalmente i creditori non possono pignorare la pensione (l’INPS rifiuterebbe il pignoramento perché la pensione rientra nella soglia impignorabile). Se per assurdo un creditore tentasse un pignoramento del conto dove accrediti la sociale, ugualmente non troverebbe nulla oltre la soglia. Inoltre, se non hai altri beni (casa, auto di valore, conti con grandi giacenze), sei il classico nullatenente. In tal caso, i creditori possono magari farti causa, ottenere decreti o sentenze, ma non riusciranno a ricavare nulla in concreto. Spesso in queste situazioni i creditori dopo un po’ si arrendono, oppure attendono sperando in tempi migliori (ad esempio, se un giorno ricevi un’eredità o inizi a lavorare). Nel frattempo, il debito potrebbe prescriversi (5 o 10 anni) se non intraprendono azioni. Quindi, nel breve termine, se davvero non hai nulla di aggredibile e la pensione è al minimo vitale, sei di fatto non escutibile. Va però evidenziato: la situazione può cambiare – se inizi a percepire una pensione più alta o un reddito, riparte il rischio. Inoltre, vivere da nullatenente con pensione sociale è di per sé difficile, e i debiti pendenti (pur inesigibili) potrebbero pesare psicologicamente e burocraticamente (ad esempio risultando come sofferenze a bilancio o impedendo di ottenere credito anche per piccole cose). Un’opzione in questi casi è utilizzare la procedura di esdebitazione per il debitore incapiente: cancellare legalmente tutti i debiti proprio perché riconosciuto che non hai modo di pagarli. È stata concepita per situazioni come la tua. Così, se anche in futuro le tue finanze migliorassero leggermente, quei vecchi debiti non risorgerebbero (ma se entro 4 anni migliorassero tanto, dovresti dare un 10% ai creditori come spiegato). In definitiva: oggi i creditori non possono farti nulla di significativo, ma se vuoi chiudere la questione una volta per tutte potresti valutare l’esdebitazione presso il tribunale.
D: Ho ricevuto una cartella esattoriale molto vecchia di cui mi ero dimenticato. Devo ancora pagarla?
R: Bisogna distinguere. Le cartelle esattoriali (Agenzia Entrate-Riscossione) cadono in prescrizione se dal momento in cui sono divenute esecutive non vi sono stati atti interruttivi entro il termine previsto per quel tributo. In genere, la regola delineata anche dalla Cassazione è: i tributi statali si prescrivono in 10 anni, mentre i tributi locali, le sanzioni amministrative e gli interessi si prescrivono in 5 anni. Ad esempio, l’IRPEF cartella 2010 si prescrive nel 2020 se nessuno atto è intervenuto; una multa stradale cartella 2015 si prescrive nel 2020. Dunque, se la cartella è davvero molto vecchia, è possibile che il diritto di riscuotere sia prescritto. Tuttavia, devi verificare se nel frattempo l’agente di riscossione ti ha inviato solleciti, intimazioni o pignoramenti: ognuno di questi atti interrompe la prescrizione. Spesso succede che uno non ricorda o non ha ritirato raccomandate, ma in atti ufficiali risultano notifiche (magari per compiuta giacenza). Conviene allora richiedere all’Agente una situazione estratto di ruolo dettagliata, o controllare sul loro portale, per vedere lo storico. Se non risulta nulla per oltre 5 (o 10) anni, allora puoi presentare un’istanza di annullamento in autotutela per prescrizione, o direttamente fare ricorso al giudice tributario entro 60 giorni dall’ultima intimazione se c’è (eccependo la prescrizione). Ad esempio: ti arriva nel 2025 un’intimazione di pagamento per una cartella del 2012 su cui l’ultimo atto fu la notifica originaria, nessun altro contatto: eccepisci in Commissione Tributaria che il credito è prescritto (5 o 10 anni decorsi). Se invece nel frattempo c’è stato un atto nel 2018, e poi silenzio fino ad ora, allora dal 2018 forse non sono ancora decorsi 5 anni, quindi non è prescritta (lo sarà dal 2023 in poi per tributi locali, o 2028 per tributi erariali). In quel caso dovrai saldare oppure aderire a definizioni agevolate se esistenti. Considera che nel 2023 c’è stato lo stralcio automatico delle cartelle fino €1000 del 2000-2015, quindi se la tua cartella era sotto tale soglia e rientrava, dovrebbe essere già stata annullata d’ufficio. Verifica anche questo: magari stai ricevendo un sollecito generico ma in realtà quel debito è stato stralciato per legge. In sintesi: la vetustà del debito è spesso un’ottima difesa, ma va formalizzata con un’opposizione o ricorso. Non ignorare l’atto sperando che loro desistano: contesta attivamente la prescrizione.
D: Che differenza c’è tra la legge sul sovraindebitamento e il fallimento?
R: La legge sul sovraindebitamento (L. 3/2012 e Codice della Crisi) riguarda i debitori non fallibili, cioè piccoli imprenditori o persone fisiche, e offre procedure molto flessibili (piano del consumatore, concordato minore, ecc.) anche senza liquidare tutti i beni, con l’obiettivo primario di liberare dai debiti conservando, se possibile, la continuità di vita. Il fallimento (oggi chiamato liquidazione giudiziale nel Codice della Crisi) invece è la procedura concorsuale per imprenditori commerciali di dimensioni sopra certe soglie. Nel fallimento classico, un’azienda insolvente veniva spossessata di tutti i beni, il curatore li liquidava e distribuiva il ricavato ai creditori secondo le priorità; l’imprenditore poteva poi, a fine fallimento, chiedere l’esdebitazione (introdotta dal 2006 per le persone fisiche fallite) ma solo a certe condizioni e senza includere debiti verso il fisco per sanzioni o IVA etc. Invece nelle procedure di sovraindebitamento, come abbiamo visto, anche l’IVA può essere falcidiata e il debitore non viene necessariamente spossessato – può fare un piano e tenersi magari la casa pagando le rate. Insomma, la logica è più di “risanamento” che di punizione. Inoltre, nel fallimento l’imprenditore subiva conseguenze come interdizioni (non poteva gestire aziende per qualche anno, ecc.), mentre nelle procedure da sovraindebitamento non ci sono sanzioni personali di questo tipo: anzi, il Codice della Crisi prevede la “riabilitazione” del debitore subito dopo l’omologa, senza attendere anni. Quindi per un ex ambulante – che non è soggetto a fallimento – la legge 3/2012 è il percorso giusto; il fallimento non lo riguarda a meno che la sua attività d’impresa fosse insospettabilmente grande (ricavi sopra 200k, debiti sopra 500k, attivo sopra 300k, soglie che definiscono un piccolo imprenditore fallibile). In caso lui superasse quelle soglie e fosse dichiarato fallibile, allora dovrebbe ricorrere a procedure di concordato preventivo o liquidazione giudiziale previste dal Codice della Crisi, non alla legge 3. Ma la stragrande maggioranza degli ambulanti rientra nei non fallibili. In breve: sovraindebitamento = procedura concorsuale “soft” per piccoli debitori civili; fallimento = procedura concorsuale “hard” per imprese più grandi.
D: Se faccio un accordo a saldo e stralcio con un creditore, gli altri possono ancora perseguitarmi?
R: Un accordo stragiudiziale vincola solo le parti che lo sottoscrivono. Quindi se hai 5 creditori e trovi un accordo con uno di essi, gli altri 4 non ne sono minimamente toccati: continueranno ad avere diritto a pretendere l’integrale loro credito (a meno che anche con ciascuno di loro tu negozi separatamente un accordo). Questo è il limite delle soluzioni stragiudiziali bilaterali: devi convincere ciascun creditore a fare uno sconto o una dilazione. Se ne resta fuori uno solo non concorde, quello può mandare all’aria i tuoi piani avviando comunque azioni legali. Esiste però la procedura del concordato minore (o, per i consumatori, il piano del consumatore) che serve proprio a ovviare a ciò: con il concordato minore, se il 60% dei crediti (nel nuovo Codice è il 50%) approva, il piano diventa obbligatorio anche per i dissenzienti. E col piano del consumatore il giudice lo omologa senza proprio chiedere il voto ai creditori. Quindi, se hai molti creditori e non riesci a ottenere il consenso unanime a un accordo, la strada giudiziale ti permette di imporre il cram-down. Un esempio: hai 3 banche creditrici, tu puoi pagarne solo 50%. Due banche accettano il 50%, la terza rifiuta e vuole il 100%. Puoi presentare un concordato minore offrendo 50% a tutti: se raggiungi la maggioranza (le due banche favorevoli rappresentano magari il 70% del credito totale), la proposta viene approvata anche contro il volere della terza. Diversamente, stragiudizialmente, la terza potrebbe far fallire tutto. Quindi, rispondendo: l’accordo saldo-stralcio con un creditore chiude la posizione con quello, ma lascia aperte le altre. Spesso conviene cercare di ragionare con tutti in parallelo, se possibile, oppure passare a una procedura unica. Tieni presente però una cosa positiva: se tu chiudi un debito con uno dei creditori maggiori, la tua esposizione totale scende e magari riesci a gestire meglio gli altri (p.es. con i soldi risparmiati su quello fai offerte agli altri). Inoltre, chiudendo alcuni debiti potresti liberare garanzie (es. ipoteche) e rifinanziarti in parte. Ogni caso fa storia a sé. L’importante è formalizzare bene ogni accordo per iscritto, con quietanza liberatoria, così che quell’ex creditore non possa più avanzare pretese su residui.
D: Cos’è la “cessione del quinto” e posso liberarmene se ho troppi debiti?
R: La cessione del quinto è una forma di prestito in cui la rata viene trattenuta direttamente dallo stipendio o pensione, fino a un quinto dell’importo. Molti dipendenti o pensionati in difficoltà finanziaria hanno una o più cessioni del quinto in corso (o delegazioni di pagamento simili). Questi prestiti sono comodi perché il pagamento è garantito alla finanziaria dal datore/INPS, però riducono il netto percepito dal debitore. Se hai uno o due quinti ceduti, ti resta metà stipendio. In caso di sovraindebitamento, la legge attuale permette di includere anche i crediti da cessione del quinto nel piano. Cioè, se presenti un piano del consumatore, puoi prevedere di sospendere le trattenute del quinto e trattare quel finanziamento come un normale credito chirografario falcidiabile. Di conseguenza, una volta accettata la procedura, la trattenuta sullo stipendio viene bloccata. Questo è molto importante: prima le finanziarie obiettavano che la cessione è un contratto irrevocabile; ora è stato chiarito che rientra nei “debiti verso banche e finanziarie” come gli altri e può essere gestito. Quindi sì, è possibile liberarsi o ridurre il peso della cessione del quinto attraverso un percorso di sovraindebitamento. Fuori da ciò, invece, non puoi interrompere unilateralmente la cessione (il datore è obbligato per legge a trattenerla finché il debito non è estinto o finisce il contratto di lavoro). L’unica via stragiudiziale sarebbe cercare un accordo con la finanziaria per chiudere anticipatamente la cessione con un saldo inferiore (talvolta succede se hai già rimborsato gran parte del capitale e sei in difficoltà, la finanziaria può accettare un saldo minore pur di incassare subito – ma raro). In ogni caso, sappi che in un piano del consumatore puoi liberarti della cessione del quinto residua e destinare quel quinto di stipendio a un piano più equo per tutti i creditori.
D: Ho debiti con Equitalia e altri privati. Posso mettere tutto in un’unica procedura?
R: Sì. Le procedure di sovraindebitamento consentono di unificare tutti i tipi di debito – fiscali, contributivi, bancari, privati – in un’unica soluzione. Ad esempio, nel tuo piano del consumatore elencherai tutte le pendenze: cartelle per €X, finanziaria €Y, fornitore €Z, ecc. e farai una proposta globale. Questo è un vantaggio enorme, perché eviti il problema di dover transare separatamente con Fisco (che di solito non fa sconti se non con rottamazioni) e con i privati. Nel piano, puoi ad esempio proporre di pagare qualcosa anche al Fisco (non puoi estinguere il debito fiscale pagando zero assoluto salvo caso incapiente, devi dare il massimo possibile compatibile col tuo patrimonio). Però potresti anche offrire ad Equitalia meno del 100% delle imposte dovute, purché non meno di quanto otterrebbe se liquidassi i beni all’asta (c’è il vincolo della convenienza). Ad esempio, se col pignoramento Equitalia forse avrebbe recuperato 30 cent/euro, tu nel piano proponi 35 cent/euro e va bene. Quindi sì, puoi mettere tutto insieme. L’unica accortezza: alcuni debiti come le multe stradali possono essere falcidiati nel piano solo sulla quota interessi e maggiorazioni, mentre la parte di “pena pecuniaria” in teoria andrebbe pagata intera (ma c’è dibattito, alcuni giudici permettono anche sulle multe stradali la decurtazione). E gli alimenti al coniuge/figli non li puoi toccare. Ma per il resto, tutto unificabile. Questa è la principale differenza rispetto a dover affrontare separatamente la Agenzia Entrate (che per esempio non accetterebbe mai stralci del capitale delle imposte, se non tramite normative di condono, mentre nel sovraindebitamento subisce la decisione del giudice). Quindi l’invito è: se hai debiti misti, considera fortemente la procedura unificata. Risparmierai stress e probabilmente soldi.
D: Dopo l’esdebitazione, sarò pulito? Posso avere nuovi crediti, mutui ecc.?
R: In linea di principio, sì: l’esdebitazione cancella i debiti pregressi e ti restituisce una fedina finanziaria pulita, almeno dal punto di vista legale. Ufficialmente, sei di nuovo solvibile, non risultano procedure esecutive pendenti, e la legge non prevede particolari interdizioni a contrarre prestiti futuri (nel fallimento c’era infamia, qui no). Tuttavia, occorre considerare la reputazione creditizia: se in passato sei stato segnalato come cattivo pagatore o insolvente, quelle segnalazioni nelle banche dati private durano fino a 36 mesi dal momento in cui risultano chiuse le posizioni negative. Ad esempio, se nei SIC risulti un sofferto bancario fino al 2024, dopo l’esdebitazione 2025 quell’account viene chiuso e la segnalazione dura altri 36 mesi. Dopo 3 anni dalla chiusura, viene eliminata. Quindi nell’immediato potresti avere difficoltà a ottenere un mutuo o finanziamento perché i sistemi vedono che fino a poco prima avevi gravi problemi. Col tempo, però, tornerai “vergine” anche per loro. Il Codice della Crisi ha inserito per il post-esdebitazione meccanismi di “riabilitazione” – ad esempio, la durata massima della liquidazione è 3 anni e poi scatta esdebitazione automatica, e non serve domanda. Non c’è alcun casellario giudiziale per debitori insolventi; l’unico registro pubblico è quello dei protesti (assegni/cambiali non pagati), da cui ci si può cancellare dietro riabilitazione trascorso 1 anno. Se tu hai subito protesti, ricorda di far domanda di cancellazione dopo 12 mesi dal pagamento o dalla levata del protesto (in Camera di Commercio). In conclusione: sì, dopo la procedura sei legalmente libero di ricominciare, ma ti conviene comunque essere cauto nel fare nuovi debiti e ricostruire lentamente la tua affidabilità. Le banche potrebbero chiederti spiegazioni, e potrai dire la verità: “Ho avuto un’esdebitazione, ora non ho più debiti pregressi e il mio reddito è pulito.” C’è da dire che alcune banche sono ancora diffidenti verso chi ha fatto sovraindebitamento (lo vedono come un quasi fallimento personale). Ma nulla di ufficiale te lo vieta. Non c’è un registro pubblico dei sovraindebitati consultabile dai creditori. Una volta chiusa la procedura, l’unica traccia può essere nel registro delle procedure concorsuali presso il tribunale (non accessibile liberamente) e, come detto, nelle centrali rischi per un po’. Quindi possiamo dire: sì, pulito, ma con un periodo di convalescenza in cui riconquistare la fiducia finanziaria del sistema.
D: Ho ereditato da poco dei debiti da un parente defunto, sono obbligato a pagarli tutti?
R: Quando accetti un’eredità puramente, erediti anche i debiti del defunto, senza limiti (nei limiti del valore ereditato, in teoria dovresti pagarli ma se non bastano i beni ereditati devi metterci del tuo: questo è il rischio dell’eredità pura). Se invece rinunci all’eredità, non prendi i beni ma neanche i debiti – sei fuori. C’è una terza via: accettare con beneficio d’inventario, che separa il tuo patrimonio personale da quello ereditario; in tal caso pagherai i debiti del defunto solo entro il valore dei beni ereditati, non oltre (non intacchi i tuoi beni preesistenti). Quindi, se ancora sei nei termini (10 anni per decidere, ma attenzione: se hai preso possesso dei beni implicitamente hai accettato tacitamente), valuta queste opzioni. Se hai già accettato e ora ti trovi i creditori del defunto alle calcagna, puoi comunque trattarli come tuoi creditori e ad esempio ricorrere alla legge sul sovraindebitamento anche per i debiti ereditari. La legge infatti menziona che tra i soggetti ammessi c’è l’erede del debitore defunto. Significa che se erediti uno scenario disastroso, puoi rivolgerti al tribunale per comporre pure quello. Ma il consiglio migliore è a monte: non sentirti obbligato a ereditare i debiti. Se la persona cara non aveva beni o comunque i debiti superano gli attivi, la scelta razionale è rinunciare. Altrimenti rischi di peggiorare la tua situazione. Molti per affetto ereditano e poi si pentono. La legge offre quelle tutele proprio per evitare che i debiti passino come “maledizione”.
D: Un’agenzia di recupero crediti mi sta tempestando di telefonate e minacce. Possono farlo? Come mi comporto?
R: Le agenzie di recupero non hanno poteri particolari: non possono pignorare, non possono applicare sanzioni, possono solo sollecitare il pagamento per conto del creditore (o perché hanno comprato il credito). Le telefonate aggressive o fuori orario sono pratiche scorrette e puoi segnalarle all’Autorità Garante (AGCM) perché violano il Codice del Consumo e il Regolamento sulle comunicazioni commerciali. Il comportamento corretto è: non farti intimidire, non fornire mai dati sensibili al telefono, anzi meglio non parlare affatto al telefono con loro. Richiedi che ogni comunicazione avvenga per iscritto (raccomandata o PEC) così hai traccia e tempo di riflettere. Hai diritto di esigere prove del debito: chiedi l’estratto conto dettagliato, la copia del contratto o fattura originaria, e la documentazione di eventuali cessioni. Spesso i recuperatori chiamano gente che magari nemmeno deve quei soldi (errori di persona, omonimie). Non dare nulla finché non sei certo. Se poi adottano minacce tipo “domani veniamo a casa con i carabinieri”, sono bugie: nessuno può farlo senza un regolare pignoramento con ufficiale giudiziario, e comunque ti avviserebbero. Quindi, mantieni la calma. Puoi scrivere una lettera (meglio tramite avvocato) intimando loro di cessare molestie e, se il debito è contestato o prescritto, specificarlo. Ricorda che non sei tenuto a rispondere al telefono. Se insistono, blocca il numero. I recuperatori puntano sullo stress per spingerti a pagare magari un debito prescritto o gonfiato. Non cedere di impulso. Usa la tecnica e la legalità, come spieghiamo in questa guida. In molti casi, dopo un paio di diffide formali, i recuperatori mollano o passano la pratica a via giudiziale (dove però tu puoi difenderti davvero). Tieni inoltre un registro di queste chiamate: se volessi, potresti denunciarli per molestia telefonica se esagerano (art. 660 c.p.). Concludendo: non hanno poteri speciali, non farti spaventare da toni minacciosi; pretendi sempre tutto per iscritto e valuta con lucidità.
Tabelle riepilogative finali
Di seguito, alcune tabelle di riepilogo con informazioni chiave già discusse, utili per una consultazione rapida:
Tabella 1 – Limiti di pignorabilità di stipendi, pensioni e conti correnti
Tipo di credito pignorato | Limite legale | Riferimenti normativi |
---|---|---|
Stipendio o salario da lavoro dipendente – pignoramento ordinario (creditori privati) | Max 1/5 dello stipendio netto. Se concorrono più pignoramenti non alimentari, comunque totale ≤ 1/5; se concorre pignoramento alimenti, totale ≤ 1/2. | Art. 545 co.3, 5 c.p.c. |
Stipendio – pignoramento presso terzi da Agenzia Entrate-Riscossione (debiti fiscali) | ≤ €2.500 : 1/10 (10%); €2.500–5.000 : 1/7 (~14,3%); > €5.000 : 1/5 (20%). | Art. 72-ter DPR 602/1973 |
Pensione – pignoramento presso INPS o ente previdenziale | Max 1/5 della parte eccedente il “minimo vitale” (1,5×assegno sociale, ~€800). Quindi quota impignorabile = ~€800; il resto pignorabile al 20%. Esempio: pensione €1200 → €800 intoccabili, €400 pignorabili al 20% → €80/mese. | Art. 545 co.7-8 c.p.c., come modificato da D.L. 83/2015. |
Pensione – pignoramento da AER (esattoria) | Stesse soglie dell’INPS (impignorabile 1,5×ass. soc.). Sulle fasce successive, AER applica comunque 1/5 (dopo aver lasciato la franchigia). | Art. 72-ter DPR 602/1973 (richiama art. 545 c.p.c.). |
Somme sul conto corrente derivanti da accredito di stipendio/pensione | Ultimo accredito antecedente al pignoramento: impignorabile (resta al debitore). Somme accreditate dopo la notifica del pignoramento: pignorabili nei limiti di 1/5 (stipendi) o relative fasce (AER) come sopra. Inoltre, per crediti già sul conto prima del pignoramento e non riconducibili a stipendi, giurisprudenza riconosce impignorabilità almeno fino al triplo assegno sociale (~€1600). | Art. 545 co.8-9 c.p.c., Cass. SS.UU. 2018 n. 3046 (ultimo stipendio non pignorabile). |
Beni mobili essenziali (arredi casa, elettrodomestici, vestiti) | Impignorabili se indispensabili all’uso del debitore e della famiglia. Esempio: letti, tavoli, frigorifero, stufa per cucina, ecc. Anche animali da compagnia e mezzi ausilio disabili sono impignorabili. | Art. 514 c.p.c. (beni impignorabili) e L. 221/2015 (animali di affezione). |
Strumenti di lavoro (attrezzi, mezzi per professione) | Pignorabili solo per la parte non indispensabile e con autorizzazione del giudice. Se indispensabili in toto, di regola non si pignorano (o se si pignorano non si possono vendere finché il giudice non valuta). | Art. 515 c.p.c. (beni relativamente impignorabili). |
Tabella 2 – Procedure per sovraindebitamento: caratteristiche principali
Procedura | Chi può accedervi | Coinvolgimento creditori | Durata tipica | Esdebitazione |
---|---|---|---|---|
Piano del consumatore (ristrutturazione debiti) | Persone fisiche consumatori (debiti non professionali). Debitore meritevole (no frode/dolo grave). | Creditori non votano; possono presentare opposizione se dissenzienti, ma decide il giudice. | Variabile: fase omologa 4-6 mesi, esecuzione secondo il piano (es. 4-5 anni di rate). | Concessa dal giudice dopo esecuzione integrale del piano. Se il debitore adempie regolarmente, il provvedimento finale attesta la completa esecuzione e libera da residui. |
Concordato minore (ex accordo) | Debitori non fallibili con debiti anche d’impresa (piccoli imprenditori, professionisti). Meritevolezza richiesta. | Creditori votano: serve ≥ 50% di consensi (per valore crediti). Minoranza dissenziente è comunque vincolata se maggioranza approva. | Procedura di omologa ~6-12 mesi (dipende da voto creditori). Esecuzione piano in base a contenuti (può prevedere dilazioni pluriennali, max 4 anni se liquidatorio). | Se il piano viene eseguito correttamente fino al termine, il debitore persona fisica è esdebitato dai debiti concorsuali residui. Se qualcosa va storto (piano annullato o risolto per inadempimento), possibile conversione in liquidazione controllata. |
Liquidazione controllata (ex liquidaz. patrimonio) | Qualunque sovraindebitato non fallibile (consumatore o imprenditore minore) insolvente. Anche se non meritevole può accedere (meritevolezza rileva per esdebitazione finale). | Creditori non votano. Il liquidatore, nominato dal tribunale, gestisce la vendita dei beni e distribuisce secondo legge. Creditori concorrono presentando domande di insinuazione. | Durata massima per legge: 3 anni dalla apertura (prorogabile di 1 anno in casi eccezionali). | Automatica dopo 3 anni dalla apertura liquidazione, su richiesta del liquidatore, salvo che il giudice riscontri comportamento doloso del debitore o gravi irregolarità. Cioè il debitore non deve fare un’apposita istanza separata: l’esdebitazione è parte integrante a fine procedura. |
Esdebitazione del debitore incapiente | Persona fisica senza patrimonio né reddito aggredibile, meritevole (no frodi). Requisito: reddito annuo disponibile sotto soglia (1.5×assegno sociale per nucleo). Procedura possibile solo 1 volta. | Non c’è un piano da discutere con creditori. Il tribunale valuta unilateralmente la situazione del debitore. Creditori possono essere sentiti ma non hanno potere di veto (possono eventualmente segnalare che vedono beni occulti, ecc.). | Tempi rapidi: il tribunale emette decreto di esdebitazione subito dopo l’istruttoria (qualche mese). Poi segue un periodo di controllo di 4 anni (no nuove procedure, ma monitoraggio miglioramenti reddito). | Immediata: col decreto ex art. 14-quaterdecies L.3/2012 il giudice “dichiara inesigibili i debiti”, liberando subito il debitore. Tuttavia per 4 anni se il debitore ha sopravvenienze di reddito significative, deve versarne il 10% ai creditori. Trascorsi i 4 anni senza eventi rilevanti, l’esdebitazione diventa definitiva al 100%. |
Tabella 3 – Tipologie di debito e prescrizione (riepilogo)
Tipo di debito | Prescrizione ordinaria | Note |
---|---|---|
Prestiti bancari, finanziamenti personali | 10 anni (rate: 5 anni ciascuna) | Se c’è un contratto scritto, l’azione di recupero è entro 10 anni dalla scadenza o dall’ultimo pagamento. Spesso però ogni rata è obbligazione periodica → 5 anni per ciascuna se il creditore non accelera la decadenza. |
Mutuo ipotecario | 20 anni se si considera l’ipoteca (effetto ipoteca dura 20 anni); 10 anni per le rate se separate; 5 anni per interessi. | La banca di solito agisce entro poco dopo qualche rata non pagata, quindi non si arriva a prescrizione. L’ipoteca permette azione esecutiva finché esiste (20 anni, rinnovabile). |
Debiti commerciali tra imprese (forniture, fatture) | 5 anni (in genere qualificati come atti di commercio periodici) | Alcuni sostengono 10 anni se non periodico. In pratica, 5 anni è usato dai giudici per fatture di fornitori, bollette, ecc.. |
Canoni di affitto, utenze domestiche | 5 anni per affitti; 2 anni per bollette luce/gas/acqua recenti (dopo riforma 2018-20) | Bollette antecedenti riforma: 5 anni. Dopo riforma: – Elettricità dal 2018: 2 anni; – Gas dal 2019: 2 anni; – Acqua dal 2020: 2 anni; – Telefonia: in dubbio, ma AGCOM propende 5 anni come servizio periodico. |
Carte di credito, fidi bancari | 10 anni (contratto di apertura di credito, salvo considerare estratti conto periodici 5 anni) | Se la banca chiude il conto e chiede saldo, 10 anni per agire. Se invece considera ogni utilizzo come rapporto periodico, potrebbero argomentare 5; però giurisprudenza su carte propendono per 10. |
Interessi, canoni, rate scadute, penali di mora | 5 anni | Interessi maturati su debito: prescritti in 5 se non riconosciuti, perché sono periodici. |
Tributi erariali (IVA, IRPEF, IRAP) | 10 anni (dopo atto definitivo) | Termini di accertamento a parte (entro 5-7 anni per notifica avviso). Ma una volta formato il titolo (cartella/avviso esecutivo), Cass. a SS.UU. n.23397/2016 ha detto: se legge speciale non prevede altro, si applica l’ordinaria decennale per la riscossione. |
Tributi locali (IMU, TARI, bollo auto) | 5 anni | Molte Commissioni e Cass. hanno ritenuto tributi locali assimilabili a prestazioni periodiche → 5 anni (es. Cass.29638/2020 per IMU, Cass. 20425/2017 per bollo auto 3 anni di decadenza e 5 di prescrizione dal ruolo). |
Contributi previdenziali (INPS) | 5 anni | Dopo riforma 1995, tutti contributi prescrivono in 5 anni, anche se non dichiarati. (Ex eccezione 10 anni per non denunciati non più valida). |
Sanzioni amministrative (multe stradali etc.) | 5 anni (dal momento in cui il credito è divenuto definitivo) | Codice della Strada: cartella multe 5 anni dalla notifica verbale se non pagato. Se rateizzata, 5 anni da rata mancata. Sanzioni in genere art.28 L.689/81 = 5 anni. |
Assegni scoperti e cambiali | Assegno: 6 mesi per protesto e azione cambiaria, se perso -> 10 anni con decreto ingiuntivo; Cambiale: 3 anni per azione cambiaria dal termine pagamento, altrimenti 10 contrattuale. | Un debitore protestato con assegno dopo 6 mesi non può essere escusso in via cambiaria, ma il beneficiario può chiedere D.I. e allora vale 10 dall’emissione assegno. Cambiale stessa: 3 anni dall’ultima scadenza se azione diretta su cambiale (titolo), poi 10 come credito sottostante. |
Sentenza o decreto ingiuntivo (titolo giudiziale) | 10 anni (per iniziare esecuzione o per richiedere rinnovo) | Un titolo esecutivo giudiziale dura 10 anni; occorre notificarlo con precetto entro tale termine sennò perde efficacia esecutiva (prescrizione del diritto di esecuzione). La prescrizione del credito sottostante potrebbe essere più lunga, ma la regola pratica: titolo scaduto = rifare causa (spesso il diritto è ancora vivo ma non eseguibile finché non ottieni nuovo titolo). |
Tabella 4 – Check-list difensiva per il debitore sovraindebitato
Situazione | Strumento di difesa | Riferimenti/Note |
---|---|---|
Debiti multipli insostenibili (privati e/o fiscali) e patrimonio limitato | – Procedura di Composizione della crisi da sovraindebitamento (Piano del consumatore, Concordato minore, Liquidazione controllata) per ridurre/rateizzare ed esdebitare.– Eventuale esdebitazione incapiente se nulla da offrire. | Unifica tutti i debiti in un’unica procedura giudiziale. Vantaggio: sospende le azioni esecutive, consente stralci su interessi e quote capitale, libera dai debiti residui. Necessario rivolgersi a OCC (Organismo di Composizione Crisi). |
Una o poche posizioni debitorie, sostenibili con uno sconto | Trattativa stragiudiziale – saldo e stralcio o piano di rientro: negoziare con il creditore un pagamento parziale (lump sum) a chiusura completa del debito, oppure una dilazione non formalizzata in tribunale. | Meno costosa e più rapida, ma richiede accordo volontario del creditore. Formalizzare sempre per iscritto con rinuncia del creditore al residuo. Non vincola eventuali coobbligati (garanti) né altri creditori. |
Atto di precetto o pignoramento notificato | Opposizione (art.615 c.p.c.): eccepire motivi di merito (pagato? prescritto? importo errato?) o di legittimità (ad esempio, nullità del titolo).Opposizione agli atti (art.617 c.p.c.) per vizi formali del precetto/pignoramento (es. mancanza requisiti di legge). | Deve essere proposta entro 20 giorni (atti esecutivi) dal precetto/pignoramento. Chiedere subito sospensione al giudice per bloccare l’esecuzione in corso. Se fondata, si invalida l’azione del creditore. Necessaria assistenza legale. |
Pignoramento già avvenuto (mobili, immobili, conto, stipendio) | – Conversione del pignoramento: depositare in tribunale almeno 1/5 del dovuto e chiedere rate per il resto (max 18 mesi), per liberare i beni pignorati.– Accordo con il creditore: ottenere rinuncia all’esecuzione in cambio di pagamento (meglio se prima dell’asta).– Istanza di riduzione se pignorati beni eccessivi (art. 496 c.p.c.).– Sospensione: chiedere sospensione al G.E. se ci sono trattative serie in corso (spesso difficile senza consenso creditore). | Conversione: art.495 c.p.c., molto efficace per fermare vendite ma richiede liquidità disponibile per anticipo.Accordo: possibile in ogni stadio, formalizzarlo con atto di assenso del creditore alla chiusura procedura.Riduzione: utile per liberare beni non necessari alla soddisfazione. |
Stipendio/pensione pignorati con quota | – Verificare che la percentuale trattenuta sia corretta (max 1/5, o 1/10-1/7-1/5 per AER). Se eccesso: fare ricorso al giudice esecuzione.– Opposizione se concorrono più pignoramenti oltre il limite (es. uno presso datore e uno su conto su stesso stipendio).– In caso di necessità vitale, si può chiedere alla banca di sbloccare parte delle somme su conto per sopravvivenza (ai sensi art. 545 c.p.c. ult. comma interpretato costituzionalmente). | Di solito INPS/datori applicano giusto. La banca a volte blocca tutto il saldo: far valere che l’ultimo accredito deve restare disponibile. Se la banca non collabora, ricorso al G.E. per ordinarglielo. |
Casa di abitazione minacciata da pignoramento | – Se creditore è AER (Fisco): invocare l’impignorabilità prima casa (art.76 DPR 602/73), anche con incidentale opposizione al giudice esecuzione (es. chiedere estinzione procedura se erroneamente iniziata).– Se creditore privato: valutare piano sovraindebitamento per evitare asta (in un piano del consumatore magari si può prevedere di non vendere la casa ma pagare una quota del dovuto). In mancanza, prima dell’asta considerare di vendere privatamente per saldare debiti (spesso realizzi più del 50% in più rispetto a vendita all’asta).– Fondo patrimoniale: efficace solo se costituito prima dei debiti e se i debiti non riguardano i bisogni familiari; non soluzione ex post.– Opposizione esecuzione se il titolo del creditore è contestabile (vedi sopra). | La casa è bene primario: il legislatore ha tutelato solo contro Fisco. Con privati, l’unica via è soddisfarli in altro modo o concorsualmente. Non aspettare l’asta passivamente: muoversi per trovare accordo o soluzioni alternative. Post asta, poco da fare (salvo versare tutto prima dell’aggiudicazione per chiudere). |
Debito contestato nei suoi presupposti (es. servizio non reso, prodotto difettoso) | – Opporsi fin da subito a eventuale decreto ingiuntivo (entro 40 gg dalla notifica) per far valere in giudizio l’inesistenza totale o parziale del credito.– Tentare eventualmente una mediazione o negoziazione se la materia lo prevede (contratti, ecc.).– Non riconoscere il debito in alcun modo (per non indebolire la posizione in causa). | Importante reagire alle prime fasi (ingiunzione). Se il debitore lascia passare i termini, quel debito diventa titolo e difficile poi far valere eccezioni non sollevate. |
Registro dei cattivi pagatori (CRIF, Centrale rischi) | – Verificare la propria posizione (diritto di accesso ai dati).– Se segnala-zioni errate o illegittime (debito pagato, mancato preavviso per consumatore, ecc.): inviare reclamo a banca/società e a CRIF chiedendo rettifica/cancellazione.– In caso di rifiuto: ricorrere all’Arbitro Bancario Finanziario o al Garante Privacy. | Segnalazioni negative restano: 12 mesi per ritardi poi sanati, 24 mesi per ritardi gravi sanati, 36 mesi per sofferenze non sanate (dalla data di aggiornamento). Non esistono scorciatoie legali per cancellare dati veri prima di tali termini, a meno che siano erronei. Diffidare di chi promette cancellazioni immediate a pagamento (se i dati sono corretti non li toglie nessuno prima del tempo). |
Conclusione
Affrontare una condizione di sovraindebitamento come ex venditore ambulante può sembrare un compito schiacciante, ma l’ordinamento italiano offre oggi strumenti concreti di tutela e rilancio per il debitore onesto in difficoltà. La chiave di volta è passare da un atteggiamento passivo/subìto – in cui si subiscono pignoramenti e minacce – a un atteggiamento proattivo e informato.
Riassumendo i punti cardine emersi:
- Conoscere i propri diritti: nessuno vi toglierà la libertà personale per debiti civili, e la legge garantisce un minimo vitale intoccabile. Sapere che ci sono limiti di pignorabilità (stipendi, pensioni, prima casa per il Fisco, beni essenziali) permette di affrontare i creditori con minor paura e più lucidità. Verificate sempre che i creditori agiscano nel rispetto di tali limiti.
- Usare la legge sul sovraindebitamento: è il vostro “paracadute” legale per uscire dal tunnel. Attraverso un piano del consumatore o un concordato minore, potete ridurre i debiti a una quota pagabile secondo le vostre capacità, con l’avallo di un giudice e la conseguente cancellazione del restante. Se non avete nulla, la normativa vi consente addirittura una esdebitazione totale senza pagare (fresh start). Non provate vergogna ad imboccare queste strade: sono fatte apposta per ridarvi dignità economica, e sempre più persone vi ricorrono con successo (anche grazie a una giurisprudenza ormai consolidata in senso favorevole al debitore meritevole, es. Cass. 22890/2023 sulla meritevolezza flessibile).
- Agire tempestivamente: ignorare atti giudiziari o richieste legali è l’errore peggiore. Se ricevete un decreto ingiuntivo, valutate subito con un legale se opporvi (magari avete eccezioni fondate). Se arriva un precetto, non mettete la testa sotto la sabbia: controllate se il credito è prescritto (spesso gli studi legali mandano precetti su crediti vecchi sperando che paghiate per paura – ma se sono prescritti, un’opposizione li bloccherà). I termini per reagire sono brevi, rispettateli. Viceversa, se subite un pignoramento senza aver fatto nulla prima, avete assai meno carte da giocare.
- Non isolarsi e farsi assistere: parlare con un professionista (avvocato, OCC) di fiducia può cambiare le sorti. Un esperto noterà opportunità (prescrizioni, vizi procedurali, possibilità di accordo) che al profano sfuggono. Inoltre, delegare la comunicazione con i creditori ad un legale vi solleva da stress e pressioni indebite (le società di recupero saranno molto più caute nel minacciare un avvocato, sapendo che conosce le regole). Esistono anche associazioni e sportelli antiusura o di difesa debitori che offrono consulenze gratuite o a costi contenuti: non abbiate timore o vergogna di chiedere aiuto. Il sovraindebitamento è un problema economico, non morale.
- Valutare soluzioni globali vs. parziali: se avete un solo debito (es. un mutuo in sofferenza), spesso la soluzione è negoziarlo direttamente con quel creditore (magari proponendo un saldo e stralcio in accordo con una vendita dell’immobile). Se però i debiti sono molti ed eterogenei, provare a risolverli uno per uno può rivelarsi come tappare falle in una diga: mentre ne chiudete una, se ne apre un’altra. Meglio allora una soluzione “di sistema” – tipicamente, la procedura concorsuale – che affronti tutti i debiti insieme e li risolva in un colpo solo. Ciò darà un taglio netto col passato e vi permetterà di ripartire davvero sul pulito.
- Approccio mentale: infine, lavorate su voi stessi per passare dalla disperazione all’azione. Un debitore informato non è più una vittima inerme: sa che il sistema giuridico tutela anche i suoi diritti, e può passare all’attacco (giudiziale) quando necessario. Questa consapevolezza riduce l’ansia e vi fa ragionare in termini pragmatici e non emotivi. Il piano di uscita dai debiti dev’essere affrontato come un problema manageriale: elenco delle passività, priorità, consulto di esperti, scelta dello strumento migliore, esecuzione e monitoraggio.
In conclusione, dal punto di vista del debitore – vostro – il messaggio è di speranza ma anche di responsabilizzazione. La situazione debitoria, per quanto grave, non è una condanna senza appello: la legge vi fornisce appelli, eccome. Cassazione ha detto che “il fallimento economico non è un crimine”, e il legislatore ha predisposto vie per il fresh start. Starà a voi imboccarle: informandovi, facendovi aiutare, attivando gli strumenti giuridici appropriati. Così facendo, un ex venditore ambulante sommerso dai debiti potrà trasformarsi in un cittadino riabilitato, libero dal giogo del passato e pronto a ricostruire il proprio futuro finanziario su basi più solide.
Nota: la presente guida ha carattere divulgativo e offre una panoramica generale. Ogni caso concreto può presentare peculiarità; è pertanto opportuno, prima di intraprendere azioni legali, consultare un professionista con i documenti specifici. Non sono state trattate in dettaglio alcune situazioni particolari (es. debiti di società, fideiussioni) che andrebbero valutate a parte. Le fonti normative citate sono aggiornate a luglio 2025; si raccomanda di verificare eventuali modifiche legislative successive.
Fonti e riferimenti
- Codice Civile – articoli rilevanti: 2740 (responsabilità patrimoniale), 2744 (divieto patto commissorio), 2910 e ss. (espropriazione forzata), 2934-2963 (prescrizione e decadenza), 167-170 (fondo patrimoniale), 1881, 1923 (impignorabilità rendita vitalizia gratuita e polizze vita).
- Codice di Procedura Civile – articoli: 483 (titolo esecutivo e precetto), 491 (inizio esecuzione), 492 bis (ricerca telematica beni), 495 (conversione pignoramento), 512 (opposizione distribuzione), 514 (beni mobili assolutamente impignorabili), 515 (beni relativamente impignorabili – strumenti di lavoro), 543 e ss. (pignoramento presso terzi), 545 (crediti impignorabili e limiti di pignoramento di stipendi/pensioni), 546 (obblighi del terzo), 615 (opposizione all’esecuzione), 617 (opposizione agli atti esecutivi).
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 – art. 76 (espropriazione immobiliare da parte del concessionario esattoriale) modificato dal D.L. 69/2013 art.52: impignorabilità prima casa e condizioni (unico immobile, non lusso, residenza debitore); soglia €120.000 per altre case. Art. 72-ter (limiti pignoramento stipendio da parte AER: 1/10, 1/7, 1/5).
- Legge 27 gennaio 2012, n. 3 (sovraindebitamento) – come modificata da D.L. 179/2012, L. 176/2020 e confluita nel D.Lgs. 14/2019 Codice della Crisi: definisce sovraindebitamento, introduce Piano del consumatore, Accordo con creditori, Liquidazione del patrimonio e (dal 2020) esdebitazione del debitore incapiente (art. 14-quaterdecies). Requisiti soggettivi: debitore non fallibile, meritevolezza (originariamente art. 12-bis co.3, poi riformulata in art. 7 co.2 lett. d-ter: esclusi dolo, colpa grave, frode). Effetti: sospensione procedure esecutive pendenti, esdebitazione a fine procedure (immediata per incapiente). V. artt. 67-73, 77-83 del Codice della Crisi (D.Lgs.14/2019) per le nuove procedure.
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n.14) – Entrato in vigore definitivamente dal 15 luglio 2022. Titolo IV del Codice disciplina le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento:
- Artt.65-66 definizioni;
- Artt.67-73 ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore);
- Artt.74-83 concordato minore (ex accordo);
- Artt.268-277 liquidazione controllata (ex liquidazione patrimonio);
- Artt.282-283 esdebitazione del sovraindebitato (incl. debitore incapiente).
- Prevede inoltre all’art.69 CCII il criterio di meritevolezza (colpa grave/malafede/frode) quale condizione di ammissibilità. Introduce procedure familiari (art. 68) e abbassa durate liquidazione a 3 anni con esdebitazione automatica.
- Cassazione Civile:
- Cass., Sez. Un., 13/09/2018 n. 19270: impignorabilità prima casa retroattiva sui processi esattoriali pendenti al 2013.
- Cass., Sez. III, 16/12/2024 n. 32759: conferma impignorabilità unica casa abitazione per AER e applicazione retroattiva (riporta massima e art.76 DPR 602/73).
- Cass., Sez. I, 27/07/2023 n. 22890: nuovo criterio di meritevolezza nel piano del consumatore va applicato (colpa grave/malafede/frode), abolito vecchio test “irragionevole prospettiva”.
- Cass., Sez. I, 31/01/2022 n. 24414: sul cram-down fiscale nel piano del consumatore (giudice può omologare nonostante dissenso erario se trattamento non inferiore a alternativa liquidatoria).
- Cass., Sez. VI-III, 21/02/2018 n. 4485: ultimo stipendio accreditato impignorabile su conto;
- Cass., Sez. Un., 18/09/2020 n.19597: conferma per pensioni e stipendi su conto (interpretazione art. 545 cpc).
- Cass., Sez. Un., 17/11/2016 n. 23397: prescrizione cartelle esattoriali – se legge speciale nulla dispone, si applica prescrizione propria del tributo (5 anni se periodico) o ordinaria decennale; negato termine “unificato” decennale per tutti i crediti erariali.
- Cass., Sez. VI, 23/12/2019 n. 34447: IMU – prescrizione quinquennale (tributo locale periodico).
- Cass., Sez. V, 30/11/2021 n. 36547: interessi e sanzioni su tributi – prescrizione quinquennale ex art.2948 n.4 c.c..
- Cass., Sez. III, 04/02/2021 n. 2867: contributi INPS – conferma prescrizione 5 anni anche se omessi e non denunciati (post L.335/95).
- Cass., Sez. III, 13/02/2020 n. 3630: limiti pignoramento stipendio: 1/5 cumulativo, 1/3 per alimenti.
- Cass., Sez. VI, 11/11/2020 n. 25205: mantenimento ex coniuge non è alimentare (quindi pignorabile come credito ordinario).
- Cass., Sez. III, 05/03/2020 n. 6484: assegno sociale impignorabile, determinazione soglia 1.5x per pensioni.
- Cass., Sez. III, 22/02/2016 n. 3262: fondo patrimoniale – debiti per necessità familiari, azione esecutiva sui beni del fondo ammessa (art.170 c.c.).
- Tribunale di Trieste, decreto 09/05/2022 – esdebitazione incapiente concessa: debitore meritevole senza utilità, €360.000 debiti cancellati.
- Altre fonti istituzionali:
- Relazioni e guide Ministero Giustizia sul sovraindebitamento (OCC registro, linee guida OCC).
- Banca d’Italia – Centrale Rischi: regolamento segnalazioni e diritto di accesso; ABF decisioni su mancato preavviso segnalazione (es. ABF Milano n.13030/2019).
- AGCM (Antitrust) – provvedimenti su recupero crediti aggressivo (caso Eurocredit 2017, sanzioni per molestie telefoniche).
- Legge 108/1996 (antiusura) e D.M. Tesoro trimestrali – per tassi usurari (utile se contestazione interessi).
- Legge 3/2012 art. 12, 14 – OCC e gestore crisi: D.M. 202/2014 requisiti iscrizione OCC.
- Normativa emergenziale recente:
- L. 197/2022 (Legge Bilancio 2023) – art.1 commi 231-252 (Definizione agevolata cartelle “rottamazione-quater”), commi 222-230 (Stralcio automatico debiti ≤ €1000).
- DL 51/2023 conv. L. 87/2023 – riapertura termini rottamazione per decadenze (riammissione entro 30/04/2025).
- L. 145/2018 – commi 184-199 (Saldo e stralcio 2019 per ISEE <20.000).
- DL 119/2018 conv. L.136/2018 – art.4 (Stralcio automatico cartelle ≤ €1000 anni 2000-10).
- L. 205/2017 – commi 4-10 (Prescrizione 2 anni bollette utenze, dal 2018 in avanti).
Sei un ex ambulante sommerso dai debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai chiuso la tua attività da venditore ambulante, ma ti sei lasciato alle spalle debiti fiscali, cartelle esattoriali, contributi non versati o prestiti non pagati? Non sei solo.
Molti ex ambulanti si trovano in difficoltà dopo aver lasciato il commercio su area pubblica, ma ci sono strumenti concreti per difendersi legalmente e ripartire.
Da dove arrivano i debiti più comuni per un ex ambulante?
- 🧾 Cartelle esattoriali per vecchi tributi (IVA, INPS, IRAP, TARI)
- 🏦 Finanziamenti non pagati per furgoni, attrezzature o merce
- 📈 Sanzioni accumulate per mancate dichiarazioni o contributi omessi
- 💰 Rateizzazioni saltate o decadute presso Agenzia Entrate Riscossione
- ⚠️ Possibili pignoramenti su stipendio, conto o pensione, anche se hai cambiato lavoro
Perché non devi restare fermo?
Per legge, i debiti continuano ad accumulare interessi e sanzioni. E il rischio concreto è:
- 🔒 Blocco del conto corrente
- 🚫 Iscrizioni ipotecarie su beni di famiglia
- ⛔ Fermate amministrative su mezzi
- 💸 Pignoramenti anche su lavori saltuari o indennità
Ma se non hai più nulla o percepisci poco, la legge ti protegge.
Come difendersi legalmente se hai smesso l’attività?
- 📂 Fai una ricognizione completa dei debiti e verifica eventuali prescrizioni
- 📉 Se non riesci a pagare, puoi accedere alla procedura di esdebitazione per incapienti
- ⚖️ In alternativa, valuta la composizione negoziata o la liquidazione controllata
- 🧾 Blocca i pignoramenti già in corso con un ricorso in opposizione o istanza al giudice
- 🔁 Se hai ancora qualche reddito, puoi proporre un piano sostenibile con saldo e stralcio
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📑 Analizza la tua situazione debitoria per valutare i margini legali di difesa
📂 Verifica cartelle prescritte, vizi di notifica, irregolarità formali
✍️ Redige ricorsi per bloccare azioni esecutive e ridurre il debito
⚖️ Ti segue in procedure di sovraindebitamento o esdebitazione integrale
🔁 Ti accompagna nel percorso di risanamento e chiusura definitiva dei debiti
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in crisi da sovraindebitamento e contenzioso esattoriale
✔️ Consulente per procedimenti per pignoramenti, esecuzioni e cartelle nulle
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per piccoli imprenditori, commercianti e famiglie in difficoltà
Conclusione
Anche se hai chiuso la tua attività da venditore ambulante, i debiti non devono condizionare per sempre la tua vita. Hai diritto a difenderti e a voltare pagina.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi accedere alle soluzioni legali per bloccare i pignoramenti, ridurre i debiti e ripartire da zero.
📞 Richiedi ora una consulenza riservata se sei un ex ambulante con debiti: la soluzione esiste.