Ex Titolare Di Impresa Di Pulizie Con Debiti: E Ora?

Hai avuto un’impresa di pulizie e ora ti ritrovi con debiti che non riesci più a gestire? Dopo la chiusura dell’attività ti sono rimasti addosso debiti fiscali, contributivi, cartelle dell’Agenzia delle Entrate o fatture di fornitori? Ti chiedi se esiste un modo legale per uscire da questa situazione e difenderti?

Molti ex titolari di imprese individuali o ditte di pulizie credono che, una volta chiusa l’attività, i debiti si cancellino da soli. Ma purtroppo non è così. E anche se l’impresa non esiste più, le obbligazioni personali restano. La buona notizia è che la legge prevede strumenti specifici per chi è sovraindebitato dopo aver chiuso un’attività.

Quali debiti può avere un ex titolare di impresa di pulizie?
Cartelle esattoriali per IVA, INPS e tributi locali non pagati
Debiti verso fornitori di prodotti e attrezzature
Prestiti bancari o microcrediti accesi per l’attività
Fideiussioni personali firmate per ottenere affidamenti
– Debiti per affitti commerciali e utenze arretrate

Come puoi difenderti se hai chiuso l’impresa ma hai ancora debiti?
– Puoi accedere alla procedura di sovraindebitamento per imprenditori minori, anche se non hai più un’attività
– Puoi ottenere la sospensione dei pignoramenti, fermi e azioni esecutive
– Puoi proporre un piano di rientro parziale, se hai un reddito o un lavoro
– Se sei disoccupato o senza beni, puoi chiedere l’esdebitazione dell’incapiente, e liberarti da tutto

Quando conviene agire subito?
– Se hai ricevuto intimazioni, avvisi di pagamento o cartelle
– Se ti stanno pignorando stipendio, conto corrente o pensione
– Se non riesci più a vivere dignitosamente per colpa dei debiti del passato
– Se i debiti sono vecchi, ma continuano a essere riscossi con interessi e sanzioni

Cosa NON devi fare mai?
– Pensare che, siccome l’impresa è chiusa, i creditori non possano più agire
– Ignorare le comunicazioni ufficiali: il silenzio equivale ad accettazione
– Aspettare il pignoramento prima di muoverti: ci sono strumenti per evitarlo
– Fidarti di chi promette soluzioni rapide e senza passare dal tribunale: rischi truffe

Anche un ex imprenditore pieno di debiti può uscire legalmente dalla crisi, difendersi e ripartire. La legge prevede strumenti su misura, basta attivarli con la guida giusta.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in sovraindebitamento e difesa ex imprenditori – ti spiega cosa può fare un ex titolare di impresa di pulizie con debiti, quali soluzioni esistono e come salvare il tuo futuro anche se hai chiuso l’attività.

Hai debiti legati alla tua vecchia impresa e non sai come uscirne?

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Introduzione

La chiusura di un’attività imprenditoriale spesso non comporta la scomparsa automatica dei debiti accumulati. Un ex titolare di un’impresa di pulizie che abbia maturato debiti – fiscali, verso fornitori, banche, dipendenti o altri – può ritrovarsi a dover affrontare pressioni e azioni dei creditori anche dopo aver cessato l’attività. Come difendersi efficacemente in questa situazione? Questa guida avanzata, aggiornata a luglio 2025, offre un’analisi approfondita dal punto di vista del debitore, con taglio giuridico ma linguaggio divulgativo, destinata sia a professionisti del diritto (avvocati, consulenti) sia a privati e imprenditori coinvolti.

Contenuto della guida: Affronteremo tutti i tipi di debiti che un ex imprenditore può avere (debiti tributari, contributivi, bancari, commerciali, ecc.) e le relative responsabilità personali dopo la chiusura dell’impresa. Verranno esaminati gli strumenti legali per gestire o ridurre l’esposizione debitoria: dalle procedure da sovraindebitamento ed esdebitazione (la cancellazione dei debiti residui) fino alle transazioni fiscali e alle definizioni agevolate con il Fisco. Analizzeremo le norme italiane più rilevanti e citeremo sentenze aggiornate delle Corti (Corte di Cassazione, Corte Costituzionale) e provvedimenti recenti, per capire l’evoluzione giurisprudenziale in materia.

Per maggiore chiarezza, includeremo tabelle riepilogative, una sezione di Domande & Risposte su questioni frequenti, e alcune simulazioni pratiche di casi tipici (riferiti alla sola realtà italiana). Il tutto mantenendo un punto di vista del debitore: cioè evidenziando quali sono i suoi diritti, le sue possibilità di difesa e le strategie per ottenere un “fresh start” o almeno alleviare il peso dei debiti.

Importanza del tema: Un imprenditore (ad esempio il titolare di una ditta individuale di pulizie) che chiude l’attività per crisi finanziaria rischia di affrontare conseguenze gravi: pignoramenti dei beni personali, azioni legali dei creditori, segnalazioni pregiudizievoli, fino a possibili sanzioni in caso di inadempienze fiscali o contributive. Tuttavia, l’ordinamento italiano offre diversi strumenti di tutela del debitore onesto ma sfortunato, riconoscendo l’esigenza di bilanciare il principio per cui “chi è obbligato ad un debito vi risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri” (art. 2740 c.c.) con l’opportunità di una seconda chance economica. La Legge 3/2012, detta “salva-suicidi”, e il successivo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019) hanno introdotto e poi riformato le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, consentendo anche ai piccoli imprenditori e ai privati non fallibili di accedere a strumenti simili a quelli delle procedure concorsuali maggiori, inclusa l’esdebitazione finale (cancellazione dei debiti non pagati).

Nei prossimi paragrafi inizieremo catalogando le diverse tipologie di debito e come ciascuna viene trattata dalla legge. Poi esamineremo la responsabilità personale post-chiusura a seconda della forma giuridica dell’impresa (ditta individuale, società di persone o di capitali). Successivamente entreremo nel vivo delle strategie di difesa: prima quelle extragiudiziali (accordi transattivi, piani di rientro, definizioni agevolate col Fisco) e poi le procedure giudiziali (sovraindebitamento, concordati minori, liquidazione controllata, ecc.), con particolare attenzione ai requisiti, ai vantaggi e ai rischi di ciascuna, oltre che alle novità normative aggiornate al 2025. Seguiranno alcune FAQ e casi pratici che illustrano come applicare tali principi in situazioni reali. Infine, verranno elencate le fonti normative e giurisprudenziali citate, per permettere ulteriori approfondimenti.

Nota: Questa guida adotta un livello di approfondimento avanzato. Si presuppone una familiarità di base con termini giuridici (ad es. “credito chirografario”, “procedura concorsuale”, “omologazione”, ecc.), ma ogni concetto rilevante verrà spiegato in modo chiaro per risultare comprensibile anche al lettore non specialista ma motivato a capire.

Passiamo ora ad esaminare quali debiti possono gravare su un ex titolare d’impresa di pulizie e quali caratteristiche giuridiche presentano.

Tipologie di debiti dell’ex imprenditore e loro caratteristiche

Un ex imprenditore può trovarsi esposto a molteplici tipologie di debito. Ciascuna categoria di debito è disciplinata da regole specifiche in merito a esigibilità, priorità di pagamento, termini di prescrizione e strumenti di riscossione. Elenchiamo i principali tipi di debito che tipicamente gravano su chi ha gestito un’impresa di pulizie e ne analizziamo le caratteristiche:

  • Debiti tributari (Erario e tributi locali): comprendono le imposte dovute allo Stato e agli enti locali. Esempi tipici sono l’IVA non versata, l’IRPEF (o IRES se era una società) su redditi non pagata, l’IRAP, la TARI (tassa rifiuti) del Comune, eventuali imposte sugli immobili (IMU) o sulle affissioni pubblicitarie, ecc. Questi debiti sono riscossi tramite ruolo affidato all’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate Riscossione, ex Equitalia), che notifica le cartelle esattoriali al contribuente. I debiti fiscali godono spesso di privilegio nei confronti del debitore: ad esempio, l’IVA e le ritenute non versate sono crediti privilegiati sul patrimonio del debitore (hanno una preferenza nel caso di pignoramenti o concorsi di creditori). La riscossione avviene con poteri pubblicistici: l’Agente della Riscossione può iscrivere ipoteca sugli immobili per debiti sopra certe soglie, può disporre il fermo amministrativo sui veicoli, e può avviare pignoramenti senza necessità di passare dal tribunale (la cartella esattoriale è già un titolo esecutivo). I termini di prescrizione variano: molti tributi una volta divenuti definitivi si prescrivono in 10 anni, mentre vi sono termini di decadenza per la notifica degli avvisi (ad es., l’IVA e l’IRPEF devono essere accertati entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di imposta, salvo proroghe). Se una cartella non viene pagata né contestata, l’Agente può avviare azioni esecutive; tuttavia, esistono limiti legali alla riscossione: ad esempio, la legge impedisce il pignoramento della prima casa da parte dell’Agente della Riscossione se il debitore vi risiede e possiede solo quell’immobile (non di lusso). Inoltre, sotto un certo limite di debito (€120.000) il Fisco non può espropriare l’abitazione principale. Sopra tale soglia, invece, può procedere ma solo a determinate condizioni (ipoteca iscritta da almeno 6 mesi e patrimonio immobiliare complessivo di valore superiore a €120.000). È bene sottolineare che tali tutele riguardano solo l’Agente pubblico: un creditore privato (es. banca o fornitore) non è soggetto al divieto di pignorare la prima casa del debitore e potrebbe, in linea teorica, avviare un’esecuzione immobiliare anche su quell’unico immobile (salvo che questo sia gravato da ipoteche preferenziali che scoraggino l’azione). I debiti tributari sono spesso soggetti a sanzioni e interessi di mora che fanno lievitare l’importo dovuto; tuttavia, negli ultimi anni il legislatore ha varato diverse definizioni agevolate (“rottamazioni” delle cartelle) che permettono di pagare tali debiti con sconti su sanzioni e interessi (vedi oltre la sezione sulle definizioni agevolate).
  • Debiti contributivi e previdenziali: riguardano i contributi obbligatori non versati agli enti come INPS (contributi pensionistici per titolare e dipendenti) o INAIL (premi assicurativi per infortuni sul lavoro), casse edili o altri fondi collegati all’attività. Un’impresa di pulizie con dipendenti potrebbe avere debiti per contributi non versati sulle buste paga, o un autonomo potrebbe avere debiti per contributi personali IVS. Questi crediti sono paragonabili ai tributi come natura: godono di privilegio generale sui mobili del debitore (i contributi lavoratori dipendenti persino di privilegio superprivilegiato per gli ultimi mesi) e la loro riscossione è spesso affidata anch’essa ad Agenzia Entrate Riscossione mediante cartelle o avvisi di addebito INPS. La prescrizione dei contributi previdenziali è di regola 5 anni (dalla data in cui avrebbero dovuto essere versati), come fissato dalla L.335/1995, salvo atti interruttivi che possono far decorrere nuovamente il termine. Il mancato pagamento di contributi può portare a sanzioni civili (more pesanti calcolate sui ritardi) e, in alcuni casi gravi di omissioni dolose, anche a responsabilità penale (omesso versamento di ritenute previdenziali over soglia). Dal punto di vista del debitore, i contributi non versati possono essere rateizzati (l’INPS concede piani fino a 24 rate di norma, o 36/60 rate in certi casi gravi previa autorizzazione ministeriale), oppure rientrare nelle definizioni agevolate equiparate a quelle fiscali (ad esempio, le cartelle per contributi possono essere “rottamate” analogamente alle imposte). Anche per contributi e premi vige il principio che, se l’impresa è cessata, i soci o l’ex titolare potrebbero essere chiamati direttamente se la legge lo prevede: nel caso di ditta individuale, coincidenza persona-imprenditore, quindi obbligo personale; nelle società, in genere risponde solo la società, ma esistono particolari norme (vedi oltre) di responsabilità per gli amministratori o liquidatori, specie se hanno disposto pagamenti preferendo altri creditori invece che l’Erario/INPS.
  • Debiti verso fornitori e altri debiti commerciali: comprendono le fatture non pagate ai fornitori di beni e servizi, ai professionisti (es. il commercialista, l’avvocato dell’azienda, ecc.), i canoni di affitto arretrati per l’immobile dove si svolgeva l’attività, le bollette di utenze (energia, telefono) rimaste insolute, ecc. Questi debiti sono di natura privatistica, chirografari (cioè senza garanzie reali, a meno che il fornitore non avesse previsto forme di garanzia come fideiussioni o riserve di proprietà su macchinari). In caso di mancato pagamento, il fornitore può agire giudizialmente per ottenere un decreto ingiuntivo e successivamente procedere con il pignoramento dei beni del debitore. Non avendo un privilegio legale (salvo alcune eccezioni, ad esempio i canoni di locazione hanno un privilegio sui beni mobili nell’immobile affittato, e le spese condominiali hanno privilegio sull’immobile), questi creditori vengono soddisfatti dopo i privilegiati in caso di concorso. La prescrizione dei crediti commerciali ordinari è di 10 anni (trattandosi di diritti di credito di natura contrattuale); tuttavia, se si tratta di crediti per prestazioni periodiche o di fatture non contestate, la giurisprudenza applica talora il termine breve di 5 anni (ad esempio, canoni di locazione e bollette periodiche si prescrivono in 5 anni). Per i professionisti che hanno emesso parcelle, vi è un termine di prescrizione anch’esso generalmente triennale o quinquennale a seconda dei casi, ma se hanno ottenuto un decreto ingiuntivo passato in giudicato allora vale il termine di 10 anni dal provvedimento. In sintesi, il debitore che ha chiuso l’impresa può essere raggiunto da diffide di pagamento dei vecchi fornitori: il consiglio è di verificare sempre le date – se sono trascorsi più di 5 o 10 anni senza atti interruttivi (raccomandate, decreti, ingiunzioni), il debito potrebbe essere prescritto e si può eccepire la prescrizione per evitare di pagarlo.
  • Debiti bancari e finanziari: si tratta di prestiti, mutui, scoperti di conto, leasing o finanziamenti contratti per l’attività. Ad esempio, l’impresa di pulizie potrebbe aver acceso un mutuo per acquistare un furgone o dei macchinari, oppure avere un affidamento bancario (fido) sul conto corrente per la liquidità, o ancora leasing su mezzi e attrezzature. In sede di chiusura, spesso l’ex titolare si trova con rate non pagate e insolvenze verso banche o finanziarie. Tali crediti in mano agli istituti finanziari sono anch’essi crediti chirografari se non assistiti da garanzie; tuttavia, spesso le banche chiedono garanzie reali o personali: un mutuo per acquisto di un bene può avere un’ipoteca sul bene stesso (se immobiliare) o un privilegio (se ad es. era un finanziamento legge Sabatini per macchinari, garantito da privilegio legale), e quasi sempre gli istituti richiedono la firma di fideiussioni personali. Nel caso dell’impresa individuale il problema non si pone perché l’imprenditore è egli stesso obbligato, ma se l’impresa era una società di capitali, è prassi che il socio amministratore firmi garanzie personali a favore della banca: in tal modo, anche se la società chiude, la banca può escutere direttamente il fideiussore (l’ex titolare) per l’intero importo. La prescrizione dei crediti bancari decorre di norma da quando il credito è esigibile e dura 10 anni (spesso calcolati dall’ultimo riconoscimento di debito o dalla chiusura del rapporto); importante è anche la decadenza in caso di segnalazione a sofferenza o messa in mora, ma ai fini difensivi la prescrizione è l’eccezione principale. Se un ex imprenditore riceve un decreto ingiuntivo dalla banca, può valutare se opporlo (ad esempio contestando interessi anatocistici o usurari, errori di calcolo, mancanza di validità della fideiussione se contraria ad antitrust, ecc.): si entra però in ambito specialistico bancario. Da notare: i creditori bancari, se muniti di ipoteca su un immobile, sono creditori privilegiati ipotecari e quindi possono procedere a pignorare e vendere l’immobile; se non hanno ipoteca, rimangono chirografari e potrebbero comunque tentare il pignoramento di altri beni (conti correnti personali, veicoli, ecc.). Un ex imprenditore molto indebitato con banche dovrà quindi gestire attentamente il rischio di escussione delle garanzie: in molti casi, avviare per tempo una trattativa di saldo e stralcio con la banca può portare a uno sconto significativo (le banche spesso cedono i crediti deteriorati a società di recupero che accettano poi percentuali inferiori pur di chiudere).
  • Debiti verso dipendenti e collaboratori: se l’impresa di pulizie aveva dipendenti o collaboratori, alla chiusura potrebbero restare stipendi non pagati, tredicesime, TFR (Trattamento di Fine Rapporto) e altri emolumenti contrattuali dovuti. Questi crediti dei lavoratori dipendenti godono della massima tutela nell’ordinamento: hanno privilegio generale mobiliare (sui beni mobili del datore) per gli ultimi 6 mesi di retribuzioni e per il TFR, e superprivilegio (cioè prevalgono anche sui crediti fiscali) per una parte di essi, secondo l’art. 2751-bis c.c. I lavoratori possono agire velocemente con un decreto ingiuntivo avvalendosi delle buste paga come prova; spesso, però, quando l’azienda chiude per insolvenza, il patrimonio è insufficiente a pagare tutti. In tali casi interviene il Fondo di Garanzia INPS, che – se vengono rispettate certe procedure – può pagare il TFR e ultime tre mensilità ai lavoratori al posto del datore insolvente. Attenzione: per attivare il Fondo, usualmente è necessario che il datore di lavoro sia stato dichiarato fallito (oggi liquidazione giudiziale) oppure, se non fallibile, che vi sia stato un tentativo di esecuzione forzata risultato negativo (pignoramento infruttuoso) o che sia stata avviata una procedura di liquidazione controllata dei beni. Dal punto di vista dell’ex imprenditore, il pagamento dei dipendenti è moralmente e legalmente prioritario; eventuali mancati pagamenti di stipendi possono anche configurare reati (omesso versamento di ritenute previdenziali, come detto, ma anche violazione dell’art. 2 L. 195/1955 se si fanno firmare quietanze di pagamento non veritiere ai lavoratori). Conviene dunque, se possibile, cercare accordi transattivi coi dipendenti (anche con l’assistenza sindacale) per rateizzare il dovuto, oppure favorire il loro accesso al Fondo di Garanzia (ciò può implicare non opporsi a un’istanza di fallimento, ove l’impresa sia fallibile, o cooperare in una liquidazione). In ogni caso, i debiti verso lavoratori sono generalmente inderogabili nei loro diritti minimi: non si può “stralciare” facilmente tali crediti senza il loro consenso. Nelle procedure di sovraindebitamento o concorsuali minori, i crediti dei lavoratori devono essere pagati almeno in misura non inferiore a quanto otterrebbero in una liquidazione (sono crediti privilegiati di grado molto elevato, quindi solitamente vengono soddisfatti integralmente se vi sono beni).
  • Debiti per sanzioni amministrative e multe: un ex imprenditore potrebbe trovarsi anche con multe stradali intestate al veicolo aziendale non pagate, sanzioni amministrative comminate all’impresa (ad es. sanzioni dell’ASL per carenze igieniche, sanzioni amministrative per lavoro nero o violazioni di norme sulla sicurezza, etc.), oppure ammende derivanti da reati contravvenzionali in materia di lavoro o ambiente. Queste somme, se definitivamente dovute, vengono riscosse anch’esse tramite cartella esattoriale (per le multe stradali il Comune emette ruoli). Hanno natura diversa dai tributi: le multe e sanzioni amministrative non godono di privilegi (sono chirografarie nelle procedure concorsuali) ma non sono sempre liberamente falcidiabili: la legge sul sovraindebitamento consente di includerle e pagarle parzialmente, ma talora i giudici valutano la fattibilità caso per caso. In ogni caso, possono rientrare nelle procedure di composizione (infatti tra i debiti elencati come “falcidiabili” ci sono anche le multe). La prescrizione delle sanzioni amministrative è di 5 anni dalla data in cui sono divenute definitive (ad esempio, le multe stradali: 5 anni dalla notifica del verbale se il Comune non notifica la cartella; una volta notificata la cartella, occorre un atto entro 5 anni, ecc.). Un caso particolare: obblighi di mantenimento familiare (alimenti) non rientrano in queste categorie e non possono essere cancellati nemmeno dall’esdebitazione, poiché il legislatore tutela in modo assoluto i crediti alimentari verso coniuge e figli.
  • Altre tipologie minori: infine, possiamo citare debiti da fideiussione (se l’imprenditore aveva garantito debiti di terzi e il terzo non paga, il fideiussore dovrà pagare), oppure debiti risarcitori (ad esempio, se l’impresa ha causato danni e c’è stata una condanna al risarcimento). Questi debiti seguono la disciplina civile ordinaria: devono essere onorati dal debitore con tutto il suo patrimonio. In genere rientrano anch’essi nel novero dei debiti che possono essere trattati in procedure di sovraindebitamento (salvo i debiti da dolo verso persone: un dubbio interpretativo è se i debiti derivanti da illeciti extracontrattuali intenzionali possano essere esdebitati; in assenza di un espresso divieto, tendenzialmente sì, mentre in fallimento classico i debiti da dolo verso terzi restavano esclusi dall’esdebitazione per legge – ma nella normativa attuale questo limite è meno chiaro).

Riassumiamo alcune caratteristiche salienti delle varie tipologie di debito in tabella 1:

Tabella 1 – Tipologie di debito, prescrizione e strumenti di riscossione

Tipo di debitoEsempi comuniModalità di riscossionePrivilegi?Prescrizione ordinaria
Tributari (Erario, enti locali)IVA non versata, IRPEF, IRAP, TARI, IMUCartella esattoriale via Agenzia Entrate Riscossione; eventuale ruolo coattivo (fermo auto, ipoteca, pignoramento)Sì, spesso privilegiati (es. IVA, ritenute).10 anni (dalla notifica del titolo definitivo), salvo termini di decadenza più brevi per accertamento (5 anni). Atti interruttivi azzerano e fanno ripartire.
Contributivi (INPS, INAIL)Contributi dipendenti, gestione separata, premi INAIL non pagatiCartella esattoriale o avviso di addebito; poteri simili al Fisco (fermo, ipoteca, pignoramento)Sì, privilegio generale (e superprivilegio per contributi lavoratori).5 anni (dalla data di esigibilità) per contributi previdenziali, salvo interruzioni. Cartelle contributive 10 anni se titolo passato in giudicato in alcuni casi (dibattuto).
Bancari/FinanziariMutuo aziendale, scoperto di conto, leasingDecreto ingiuntivo e pignoramento tramite tribunale. Spesso il credito è garantito da ipoteca (immobili) o pegno, o da fideiussione personale.Se garantiti: privilegiati (ipotecari, pignoratizi); altrimenti chirografari.10 anni dal riconoscimento del debito o dalla scadenza ultima. (Per interessi, prescrizione 5 anni se non capitalizzati nel titolo).
Commerciali (fornitori, locatore, utenze)Fatture fornitori, canoni affitto, bollette, consulenze non pagateDecreto ingiuntivo in sede civile; pignoramento mobiliare, immobiliare o presso terzi.In genere no (chirografari), salvo: canoni locazione (privilegio su mobili nell’immobile affittato), spese condominiali (ipoteca legale), ecc.5 anni per le prestazioni periodiche (affitti, forniture periodiche, bollette); 10 anni se contratto ordinario o se ottenuto un provvedimento giudiziale.
Dipendenti (retribuzioni, TFR)Stipendi ultimi mesi, ferie maturate, TFR di fine rapportoDecreto ingiuntivo (o conciliazione in sede sindacale/protetta); possibilità di insinuazione in procedure concorsuali. Fondo di garanzia INPS per TFR e ultime 3 mensilità se datore insolvente.: privilegio generale mobili (ultimi 6 mesi stipendi, TFR) e superprivilegio (ultimi 3 mesi stipendi, contributi) che prevale anche su Fisco.5 anni dalla cessazione del rapporto per stipendi e TFR. (Termini dilatati se riconosciuto debito in giudizio).
Sanzioni amministrativeMulta stradale, sanzione per violazione norme lavoro/igieneCartella esattoriale (per multe) o ingiunzione dell’ente; procedura esecutiva a mezzo agente riscossione.No privilegi (crediti chirografari nelle procedure).5 anni in genere dalla definitività (es: multa stradale, 5 anni da verbale per notifica cartella). Se cartella notificata, 5 anni da notifica per successiva azione.
Altro (civili vari)Risarcimenti danni, cause perse con condanna a speseAtto di precetto (se titolo esecutivo) e pignoramento via ufficiale giudiziario.No, salvo casi particolari previsti da legge.10 anni (per sentenze passate in giudicato o atti di transazione), 5 anni per diritti non aventi un termine specifico.

Nota: la tabella semplifica alcune situazioni complesse; per ogni tipologia esistono eccezioni o specificità (ad es. il debito fiscale IVA un tempo era ritenuto non falcidiabile, ma la Corte Costituzionale ha eliminato tale divieto, vedi oltre; i debiti condominiali si prescrivono in 5 anni; ecc.). La prescrizione va sempre valutata con attenzione, considerando eventuali interruzioni (ricevute raccomandate, atti giudiziari, intimazioni di pagamento, che interrompono e fanno decorrere un nuovo periodo da capo). È responsabilità del debitore eccepire la prescrizione: il giudice o il creditore non la applicano automaticamente.

Responsabilità personale dopo la chiusura dell’impresa

Uno snodo cruciale per capire come difendersi dai debiti è comprendere chi ne risponde legalmente dopo la chiusura dell’attività. La situazione cambia notevolmente a seconda della forma giuridica con cui l’impresa di pulizie era esercitata e delle eventuali garanzie prestate. Qui analizziamo le diverse ipotesi:

  • Ditta individuale (impresa individuale): In questo caso non c’è distinzione tra persona fisica e impresa: il titolare è personalmente responsabile di tutti i debiti contratti nell’attività con tutto il suo patrimonio presente e futuro (art. 2740 c.c.). La chiusura della partita IVA o la cessazione dell’attività non estingue i debiti: essi rimangono a carico della persona. Non esiste nessuno “schermo” protettivo. Ciò significa che un ex titolare di ditta individuale di pulizie continuerà ad essere obbligato verso i creditori (Fisco, fornitori, banche, ecc.) anche dopo aver chiuso l’impresa. L’unico cambiamento è che non contrarrà nuovi debiti di impresa, ma i vecchi persistono. I creditori potranno agire direttamente sul patrimonio personale (casa, conto corrente personale, stipendio se nel frattempo trova altro lavoro, automezzi rimasti, ecc.). In sede legale, se un creditore aveva già un decreto ingiuntivo contro la ditta (che corrisponde alla persona fisica), potrà procedere con pignoramenti senza ulteriori formalità. Se invece il creditore non aveva ancora agito, dovrà notificare eventualmente un atto di citazione o un decreto ingiuntivo a nome della persona fisica ex titolare, ma per crediti dell’impresa. Importante: la cessazione dell’impresa individuale non offre alcun beneficio giuridico automatico al debitore, a parte eventualmente far decorrere prescrizioni se i creditori restano inerti. Dunque, un ex imprenditore individuale con debiti deve attivamente valutare strumenti di esdebitazione o accordi, poiché senza intervento i debiti potrebbero perseguitarlo a tempo indeterminato (salvo prescrizione) e con accumulo di interessi.
  • Società di persone (S.n.c., S.a.s. o ditte individuali con soci di fatto): Se l’impresa di pulizie era esercitata in forma societaria di persone (es. società in nome collettivo o società in accomandita semplice), le regole di responsabilità prevedono in genere che i soci siano illimitatamente responsabili dei debiti sociali. In una S.n.c., tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente con il proprio patrimonio per le obbligazioni della società (art. 2291 c.c.). In una S.a.s., i soci accomandatari hanno parimenti responsabilità illimitata e solidale, mentre i soci accomandanti sono responsabili limitatamente al conferimento (a meno che abbiano ingerito nell’amministrazione, perdendo il beneficio della limitazione). Cosa accade in caso di chiusura della società? Se la società viene sciolta e cancellata dal Registro Imprese, essa perde la propria soggettività giuridica. Tuttavia, i creditori insoddisfatti possono rivalersi sui soci. L’art. 2312 c.c. (per società di persone) e l’art. 2495 c.c. (per società di capitali, come vedremo) disciplinano questa fase: in particolare, per le società di persone non è nemmeno richiesto di dimostrare che i soci abbiano percepito attivo di liquidazione – i soci restano debitori naturali. Più precisamente: nella S.n.c., anche dopo la cancellazione, i creditori sociali possono far valere i crediti verso i soci senza limiti temporali particolari (se il debito era già esistente in capo alla società). Esiste una limitazione solo per il socio che sia uscito prima della liquidazione: il socio uscente risponde dei debiti sociali antecedenti all’uscita solo se l’insolvenza si manifesta entro l’anno dall’uscita (art. 2290 c.c.) – superato l’anno, il socio uscente è liberato dai debiti successivi alla sua uscita e non può essere coinvolto in un fallimento sociale. Ma per i debiti contratti quando era socio, la responsabilità rimane (solidale con la società e gli altri soci) e la prescrizione di tali crediti verso il socio è di 5 anni dalla cancellazione della società (art. 2945 c.c., secondo giurisprudenza). Nella S.a.s., i creditori potranno perseguire gli accomandatari come fossero soci di S.n.c.; gli accomandanti invece rischiano solo fino a concorrenza del conferimento (se non integralmente liberato potrebbe essergli chiesto di versarlo). Esempio: se Tizio e Caio erano soci di una S.n.c. di pulizie, e la società alla chiusura lascia €50.000 di debiti, i creditori (dopo aver tentato sulla società ormai vuota) potranno chiedere a Tizio e Caio ciascuno il pagamento dell’intero importo. Sarà poi Tizio eventualmente a rivalersi su Caio per la parte eccedente la sua quota (regresso). In pratica, ciascun socio rischia di dover pagare tutto. Questa prospettiva rende evidente perché per i soci di società di persone sia cruciale affrontare i debiti in maniera coordinata e possibilmente ricorrere a strumenti come i piani di ristrutturazione personali o la liquidazione del patrimonio personale, se i debiti sono ingestibili. Da segnalare una particolarità: se una società di persone insolvente non viene messa in liquidazione concorsuale (fallimento), i soci rimangono comunque esposti e possono essere dichiarati falliti essi stessi unitamente alla società (art. 147 L. Fall., applicabile ancora in regime transitorio e ripreso nel Codice della crisi). Se però la società era piccola e non fallibile, i soci rimangono debitori civili ma possono accedere alle procedure di sovraindebitamento per liberarsene (vedi oltre). Conclusione: in una società di persone, la chiusura formale non fa che traslare il problema sui patrimoni personali dei soci.
  • Società di capitali (S.r.l., S.p.A.): Nel caso in cui l’impresa di pulizie fosse esercitata tramite una società di capitali – tipicamente una S.r.l. unipersonale o con pochi soci – la responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali è limitata al conferimento sottoscritto (art. 2462 c.c. per S.r.l.). Ciò significa che, in linea generale, i creditori della società possono rifarsi solo sul patrimonio della società, non sul patrimonio personale dei soci o dell’amministratore. Tuttavia, occorre considerare diverse eccezioni e scenari frequenti:
    1. Garanzie personali: Come anticipato, spesso i creditori qualificati (banche, fornitori importanti) fanno sottoscrivere ai soci di una piccola S.r.l. delle fideiussioni personali o altre garanzie (ad esempio, il socio potrebbe aver ipotecato un bene personale a garanzia di un mutuo sociale). In tali casi, al di là della responsabilità limitata “di principio”, quel socio ha assunto un obbligo diretto verso il creditore. Quindi, se la società non paga, il creditore escute la garanzia e colpisce il patrimonio personale del garante. Questo scenario è molto comune: un ex titolare di S.r.l. si trova di fatto a rispondere di debiti bancari o di fornitori strategici proprio in virtù delle garanzie che aveva rilasciato per ottenere credito alla società. Tali debiti diventano debiti personali (da fideiussione escussa) e come tali trattati in eventuali procedure personali.
    2. Cattiva gestione e responsabilità verso la società: Se l’amministratore (spesso il socio stesso in piccole S.r.l.) ha commesso irregolarità, potrebbe incorrere in responsabilità di tipo risarcitorio verso la società (art. 2476 c.c. per S.r.l. – azione dei creditori sociali verso gli amministratori se il patrimonio sociale risulta insufficiente per mala gestio). Questa è una responsabilità complessa da far valere, ma da parte dei creditori qualche volta si tenta: ad esempio, se l’amministratore ha distratto beni sociali, i creditori potrebbero indurre il curatore fallimentare a fare causa all’amministratore per rifondere il danno. Ciò però esula un po’ dal tema “difese del debitore”, essendo più un’azione aggressiva contro il debitore. Rileva per dire che, in caso di dissesto di una S.r.l., l’amministratore che vuole difendersi deve anche stare attento a non compiere atti che possano generare responsabilità ulteriori (movimentazioni sospette di fondi, pagamenti preferenziali a se stesso o parti correlate, ecc., che potrebbero portare a revocatorie o azioni di responsabilità).
    3. Obblighi tributari in capo agli organi sociali: Alcuni debiti fiscali di una società possono “risalire” all’amministratore in specifiche situazioni. Un esempio classico è la responsabilità del liquidatore per debiti fiscali ai sensi dell’art. 36 del DPR 602/1973. Questa norma prevede che se una società viene liquidata e cancellata senza aver pagato i debiti tributari, il liquidatore risponde personalmente di tali debiti, ma solo fino a concorrenza degli importi distribuiti ai soci oppure per i debiti pagati con ordine sbagliato. In sostanza, il liquidatore deve pagare prima le imposte dovute con le attività di liquidazione; se le imposte restano impagate perché il liquidatore ha pagato altri creditori di grado inferiore o perché ha distribuito attivo ai soci, allora il Fisco può chiedere al liquidatore quei soldi. Questa è una responsabilità civile diretta ex lege, confermata dalla Cassazione a Sezioni Unite: “il liquidatore della società è responsabile, nei confronti dell’Erario, in proprio, ed in forma autonoma […] al mancato pagamento delle imposte deve aggiungersi la condotta personale del liquidatore che ha violato gli obblighi […] assegnando beni ai soci o pagando crediti di ordine inferiore”. Dunque, un ex titolare che abbia fatto da liquidatore della sua S.r.l. deve stare attento: se in fase di scioglimento ha pagato qualcuno prima del Fisco o si è trattenuto beni, l’Agenzia Entrate potrà perseguirlo. Analogamente, l’Amministratore può essere chiamato in causa per il mancato versamento di IVA o ritenute certificate: non come obbligo di pagare di tasca propria (il debito rimane della società), ma in sede penale ci sono reati (es. omesso versamento IVA oltre soglia €250k, art. 10-ter D.Lgs. 74/2000) per cui rischia sanzioni penali, che indirettamente sono altra spinta a risolvere quei debiti magari con transazioni. Sul piano civilistico, inoltre, c’è il fenomeno del “successione dei soci nei debiti sociali” a seguito di cancellazione: art. 2495 c.c. stabilisce che, estinta la società, i creditori insoddisfatti possono agire contro i soci entro il limite di quanto questi hanno riscosso in sede di liquidazione. Quindi se la S.r.l. aveva attivi e questi sono stati distribuiti ai soci alla chiusura, i creditori (incluso il Fisco) possono chiedere ai soci quei soldi (pro quota). Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 3625/2025, hanno chiarito importanti aspetti di questa responsabilità dei soci: hanno affermato che la riscossione di somme dal bilancio finale di liquidazione rappresenta non solo il limite dell’esposizione del socio, ma anche una condizione dell’azione del creditore. In ambito tributario ciò significa che l’Agenzia Entrate non può semplicemente coinvolgere d’ufficio i soci nel processo contro la società estinta, ma deve instaurare un giudizio ad hoc contro il socio e provare che questi ha ricevuto somme dalla liquidazione. Quindi il socio non è automaticamente responsabile per l’intero debito residuo, ma solo nei limiti di quanto incassato, e tale incasso va provato. Ad esempio, Cass. SS.UU. 3625/2025 ha statuito che nel processo tributario, per agire contro i soci, va accertato in separato giudizio l’ammontare percepito in liquidazione, e che l’eventuale escussione di somme in base al bilancio finale costituisce condizione per far valere il credito. Questo orientamento tutela i soci da pretese fiscali eccessive “al buio”. Per un ex titolare, la lezione è: se la società aveva qualche attivo, usarlo prioritariamente per pagare i debiti più critici prima della chiusura; se invece non aveva attivo (liquidazione a zero), formalizzare ciò nel bilancio finale perché in tal caso i soci non hanno avuto nulla e il creditore dovrà prenderne atto (il Fisco in teoria non può chiedere ai soci di tasca loro se essi non hanno ricevuto asset, salvo il caso del liquidatore sopra visto).

In breve, nella società di capitali la chiusura formale dell’ente può offrire ai soci una protezione, ma con importanti limiti: qualora i soci avessero garantito debiti, o ricevuto attivi in liquidazione, o l’amministratore avesse violato obblighi legali, i creditori potrebbero comunque rivolgersi alla persona. Per l’ex titolare-dipendente (che non fosse socio), poco da dire: risponde solo se ha garanzie; per l’ex socio/amministratore, attenzione a gestire la chiusura in modo corretto per minimizzare esposizioni personali.

Riepilogo responsabilità per forma giuridica: si fornisce uno schema riassuntivo in tabella 2 su chi risponde dei debiti dopo la chiusura:

Tabella 2 – Responsabilità post-chiusura per forma d’impresa

Forma giuridica dell’impresa di pulizieChi risponde dei debiti dopo la chiusuraNote
Ditta individualeL’ex titolare con tutto il suo patrimonio personale, presente e futuro.Nessuna autonomia patrimoniale: il debitore e l’impresa coincidono. Chiusura attività = i debiti restano personali invariati.
Società in nome collettivo (S.n.c.)I soci illimitatamente e solidalmente, per l’intero importo dei debiti sociali.Creditori possono escutere direttamente i soci per debiti della società cancellata. Soci uscenti: responsabili per debiti pregresse se insolvenza entro 1 anno dall’uscita.
Società in accomandita semplice (S.a.s.)Soci accomandatari: illimitatamente responsabili (come soci di S.n.c.); Accomandanti: limitatamente (solo conferimento), salvo ingerenza.Creditori post-liquidazione: puntano a accomandatari per intero, accomandanti solo se non hanno versato tutto il dovuto.
Società a responsabilità limitata (S.r.l.)La società stessa fino a capienza del proprio patrimonio; dopo la cancellazione, i creditori insoddisfatti possono agire contro i soci solo nei limiti di quanto da essi riscosso in liquidazione.Soci non responsabili oltre il conferimento, a meno: garanzie personali prestate (fideiussioni), attivi incassati in liquidazione (fino a quel limite), o casi di atti indebiti (es. liquidatore che paga altri prima del Fisco – risponde ex art.36 DPR 602/73). Amministratori/liquidatori possibili responsabili per mala gestio o violazioni di legge (azioni risarcitorie).
Società per azioni (S.p.A.)Simile a S.r.l.: azionisti non responsabili personalmente (salvo casi eccezionali come sottoscrizioni non liberate).Per piccole imprese di pulizie è rara. I grandi debiti di S.p.A. insolvente portano di solito a procedure concorsuali formali (fallimento, concordato).

Va aggiunto che se l’impresa, qualunque forma avesse, è stata soggetta a procedura concorsuale (fallimento o, oggi, liquidazione giudiziale), al termine di tale procedura il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione (nelle vecchie norme art. 142 L.Fall., ora art. 278 CCII e seguenti) che libera dai debiti residui non soddisfatti. Quindi, se un titolare di ditta individuale o socio illimitatamente responsabile è stato dichiarato fallito, una volta chiuso il fallimento ha la possibilità di essere liberato da quei debiti non pagati (purché abbia cooperato e sia meritevole, e non si tratti di debiti esclusi per legge come multe per alcuni reati, etc.). Analogamente, oggi anche le società possono ottenere l’esdebitazione per la parte di debito non pagata (novità del Codice della crisi: art. 278 co.4 estende esdebitazione ai soggetti collettivi, ma di fatto poco rilevante per società cessate se non per evitare code di credito verso soci). Per i debitori non fallibili (cioè che non potevano essere dichiarati falliti perché piccoli), questo concetto di esdebitazione è accessibile tramite le procedure di sovraindebitamento, che vedremo dettagliatamente.

In sintesi, dopo la chiusura dell’impresa, l’ex imprenditore continua a essere vincolato verso i creditori secondo le regole sopra viste. Difendersi dai debiti significa dunque: capire chi può legalmente chiedere cosa al debitore e su quali beni, e poi utilizzare gli strumenti idonei (transazioni, dilazioni, procedure concorsuali minori) per ridurre o cancellare tali obbligazioni.

Nel paragrafo successivo entriamo proprio nel merito di questi strumenti di gestione del debito, distinguendo tra quelli stragiudiziali (accordi volontari, piani di pagamento) e quelli giudiziali o para-giudiziali (procedure concorsuali minori e fallimento/liquidazione giudiziale).

Strumenti legali per gestire e ridurre i debiti (soluzioni extragiudiziali e procedure concorsuali minori)

Affrontare una mole di debiti che superano la capacità di pagamento non è semplice, ma l’ordinamento offre varie strade. Possiamo distinguere due macro-categorie:

  1. Soluzioni extragiudiziali o amministrative, basate su accordi con i creditori o su leggi di definizione agevolata, senza l’intervento di un tribunale fallimentare.
  2. Procedure concorsuali e da sovraindebitamento, che coinvolgono il tribunale (o organismi appositi) e portano a piani o liquidazioni formalizzate e omologate dal giudice.

Vediamole in ordine, evidenziando per ciascuna chi può accedervi, come funziona, vantaggi e svantaggi dal punto di vista del debitore. È importante valutare la situazione concreta: spesso una combinazione di strumenti (ad esempio, accordo stragiudiziale con alcuni creditori e procedura per altri) può essere necessaria.

Soluzioni extragiudiziali: accordi, saldo e stralcio, dilazioni, definizioni col Fisco

a) Trattative e transazioni private con i creditori (saldo e stralcio): La via più immediata e flessibile, seppur non sempre percorribile, è negoziare con ciascun creditore un accordo transattivo. In pratica, il debitore contatta il creditore (direttamente o tramite un legale) e propone un saldo e stralcio: ovvero, il pagamento di una somma inferiore a quella dovuta, spesso in un’unica soluzione o in poche rate ravvicinate, a titolo di soddisfacimento finale del credito, con liberatoria. Ad esempio, un ex imprenditore potrebbe offrire a un fornitore il 30% del credito immediatamente, in cambio della rinuncia a ulteriori pretese sul restante 70%. Oppure offrire a una banca, che vanta €50.000, il pagamento di €20.000 entro 3 mesi come accordo a stralcio. I creditori accetteranno una proposta simile solo se la ritengono più conveniente di ciò che otterrebbero proseguendo legalmente (tenendo conto di tempi, spese legali, rischio insolvenza totale del debitore). Un debitore che non ha beni aggredibili e poco reddito può paradossalmente spuntare sconti maggiori, perché il creditore teme di non recuperare nulla forzando. Viceversa, se il debitore possiede beni evidenti (es. una casa di valore), i creditori saranno meno inclini a sconti significativi perché confidano di poterli pignorare. Il vantaggio della transazione stragiudiziale è la rapidità, la riservatezza (non si attiva una procedura pubblica) e l’assenza di preclusioni legali: si può cercare di “personalizzare” l’accordo secondo il caso (magari restituendo un bene, offrendo servizi in compensazione, etc.). Inoltre, non ci sono requisiti di meritevolezza o altro: è pura contrattazione. Lo svantaggio è che serve quasi sempre un minimo di liquidità da offrire (i creditori raramente accettano stralci a pagare a lunga scadenza; preferiscono poco ma subito). Inoltre, non c’è obbligo di adesione: ciascun creditore può rifiutare. Questo strumento funziona bene se si hanno pochi creditori principali e si dispone di un po’ di risorse (o si possono raccogliere aiuti da familiari) per chiudere le posizioni. Un consiglio è di formalizzare sempre per iscritto l’accordo, con clausola che il pagamento concordato “ha effetto novativo ed estintivo” del debito originario, per evitare che dopo aver pagato lo stralcio il creditore chieda altro (magari su interessi o accessori). Inoltre, serve scambio reciproco: se il creditore accetta lo stralcio, di solito rinuncia a ogni altra azione e magari cancella eventuali ipoteche o pignoramenti.

b) Piano di rientro rateale (accordo dilatorio): Un’altra opzione extragiudiziale è concordare con il creditore un piano di rientro a rate, magari senza riduzione del capitale ma con dilazione del pagamento e magari uno stop agli interessi futuri. Ad esempio, il debitore promette di pagare X euro al mese per tot mesi fino a estinguere il debito. Questo può essere utile quando il debitore ha un reddito costante ma non sufficiente a pagare tutto in una soluzione. Spesso i creditori sono disponibili, purché vedano serietà e ottenengano magari una cambiale o un accordo riconosciuto. Attenzione però: un piano di rientro privato non omologato da giudice è fragile, nel senso che se il debitore non paga una rata, il creditore può ritenere risolto l’accordo e agire subito. È buona pratica inserire eventuali clausole di decadenza dal beneficio chiare. In alcuni casi, con alcuni enti pubblici o semi-pubblici (es. le società di gestione crediti bancari) si possono ottenere piani medio-lunghi, ma dipende dalle policy interne. In genere, la transazione con saldo e stralcio viene preferita dal debitore se vuole risparmiare qualcosa; se invece il debitore punta solo a prendere tempo per pagare il 100%, un piano dilatorio è più facile da far accettare (nessun “taglio” al credito, solo tempo in più).

c) Definizioni agevolate dei debiti fiscali e contributivi: Negli ultimi anni, il legislatore è più volte intervenuto con norme speciali per alleviare il carico dei debiti verso l’Erario e gli enti previdenziali. Queste misure, note colloquialmente come “rottamazione delle cartelle” o “pace fiscale”, consentono ai debitori di pagare gli importi senza sanzioni e interessi di mora, in forma rateale. Ad esempio, la “rottamazione-quater” introdotta con la Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022) permette di definire i carichi affidati all’Agenzia Riscossione dal 2000 al 30 giugno 2022 pagando solo le somme iscritte a ruolo (imposta, contributo) più un aggio ridotto, senza le sanzioni e gli interessi di mora. Il pagamento può avvenire in un’unica soluzione oppure in max 18 rate (5 anni). Chi aderisce deve presentare la domanda entro termini fissati (per la rottamazione-quater era il 30 giugno 2023, poi esteso), e poi rispettare il calendario di pagamento (la prima rata scadeva il 31 ottobre 2023, poi 2024 etc.). Se si pagano tutte le rate regolarmente, la posizione debitoria si estingue e i relativi carichi vengono sgravati; se invece si manca una scadenza (o si paga meno del dovuto), si decade dalla definizione agevolata e il debito “resuscita” con tutti gli interessi e sanzioni come se nulla fosse. Per questo è una soluzione da adottare solo con la sicurezza di poter sostenere i pagamenti. Oltre alla rottamazione, in passato c’è stato il “saldo e stralcio” fiscale (ad esempio L. 145/2018 prevedeva per persone in difficoltà economica – ISEE sotto 20.000 – la possibilità di chiudere alcune cartelle con percentuali ridotte del 16%, 20%, 35% a seconda dell’ISEE). Quelle misure erano una tantum. Al 2025, non vi sono condoni di importo, ma è attiva la rottamazione-quater e si discute di possibili nuove definizioni in manovra 2025. Dunque, un ex imprenditore con debiti fiscali dovrebbe monitorare la normativa vigente: spesso entro fine anno o con decreti “milleproroghe” vengono introdotte o prorogate simili agevolazioni. Vantaggio: si ottiene un taglio automatico di tutte le sanzioni e interessi, che su anni di debiti possono essere ingenti (anche >50% del totale). Svantaggio: rimane da pagare il 100% del capitale tributario/contributivo, che a volte è comunque insostenibile. Inoltre, queste normative di solito escludono i debiti da recupero aiuti di Stato, le condanne erariali e le risorse UE (es. dazi, IVA UE), e anche l’IVA in teoria è inclusa (dopo il 2019) ma per i soli interessi. Bisogna leggere bene le condizioni di legge. Ma se il debitore riesce a rientrare in queste norme, conviene approfittarne. Ad esempio, un ex imprenditore con €30.000 di cartelle composte da €20.000 di imposte e €10.000 di sanzioni/interessi, con la rottamazione pagherebbe €20.000 (in comode rate) invece di €30.000, risparmiando un terzo.

d) Rateizzazione ordinaria di cartelle e avvisi: Anche senza rottamazione, la legge consente ai debitori fiscali di chiedere una dilazione fino a 72 rate (6 anni) per importi fino a €120.000 senza dover dare prova di difficoltà, e fino a 120 rate (10 anni) per importi superiori con prova di temporanea difficoltà di pagamento (indice ISEE o indice liquidità per imprese). Questa possibilità, prevista dal DPR 602/1973, consente di bloccare le azioni esecutive dell’Agente di Riscossione, a patto di pagare puntualmente le rate. Non riduce l’ammontare, ma può dare respiro. Importante: se la situazione del debitore è disperata, accumulare un lungo piano decennale potrebbe non risolvere il problema, ma solo rinviarlo. Tuttavia, a volte rateizzare consente di prendere tempo in attesa di una successiva rottamazione (ad esempio, chi aveva rateizzato nel 2018 ha poi potuto aderire a rottamazione-ter nel 2019 con saldo del residuo senza interessi). La strategia temporale e di convenienza va valutata.

e) Altre soluzioni stragiudiziali: Per completezza, citiamo il “fondo patrimoniale” o il trust: sono strumenti di segregazione di beni per destinarli ai bisogni familiari, che qualche debitore costituisce per proteggere la casa dai creditori. Attenzione: questi strumenti hanno efficacia limitata, perché se il debito è anteriore al fondo o estraneo ai bisogni della famiglia, il creditore può aggredire ugualmente o chiederne l’inefficacia (azione revocatoria). Ad esempio, porre la casa in un fondo patrimoniale dopo aver contratto debiti con fornitori non impedisce ai fornitori di pignorarla, in quanto si considera il debito come contratto per scopi dell’impresa (non familiari) e quindi fuori dalla garanzia del fondo (art. 170 c.c.). Inoltre, il fondo/ trust fatto in prossimità dell’insolvenza può essere annullato dal giudice (revocatoria fallimentare o ordinaria). Dunque, come “difesa” dai debiti pregressi è scarsamente efficace e qui la citiamo solo per dire che affidarsi a scorciatoie elusive raramente salva il patrimonio, anzi può peggiorare la posizione del debitore se poi vuole accedere a procedure concorsuali (poiché atti di frode come distogliere i beni rendono non meritevoli). Meglio affrontare il problema di petto con soluzioni legali trasparenti.

Dopo le opzioni extragiudiziali, passiamo alle procedure giudiziali di composizione della crisi da debiti, pensate proprio per situazioni di insolvenza conclamata, dove non basta qualche accordo isolato ma serve un intervento complessivo.

Procedure concorsuali minori e strumenti di sovraindebitamento

Se i debiti sono troppi e i creditori sono molti, la via delle trattative individuali può fallire (basta un creditore che aggredisca per mandare all’aria un equilibrio precario). In tali casi il debitore può valutare l’accesso a procedure concorsuali, cioè procedure legali ordinate, che coinvolgono tutti i creditori e portano a una soluzione globale, sotto controllo del tribunale e di professionisti nominati ad hoc. Per i piccoli imprenditori, professionisti e consumatori, il quadro normativo fino al 2020 era dato dalla Legge 3/2012 (cd. legge sul sovraindebitamento o “salva suicidi”). Dal 15 luglio 2022 queste norme sono state assorbite e aggiornate nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), ossia il D.Lgs. 14/2019 come modificato dai decreti correttivi. Le procedure disponibili restano simili, con qualche modifica terminologica e di disciplina. Le principali oggi si chiamano:

  • Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII) – ex “Piano del consumatore” della L.3/2012;
  • Concordato minore (artt. 74-83 CCII) – ex “Accordo di composizione della crisi” L.3/2012 per soggetti non consumatori;
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268-277 CCII) – ex “Liquidazione del patrimonio” L.3/2012;
  • Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII) – novità introdotta prima dalla L. 176/2020 e ora stabilizzata, che consente il “fresh start” a chi non ha nulla.

Inoltre, citiamo la Composizione negoziata (art. 23 CCII e segg.), che però è uno strumento stragiudiziale assistito da un esperto, destinato più alle imprese in attività per evitare il fallimento, e che non si conclude con uno scarico di debiti ma con accordi o un eventuale concordato semplificato. Dato che siamo nel caso di impresa cessata e debiti già maturi, la composizione negoziata non è più applicabile (serve impresa in stato di crisi ma non insolvente e ancora attiva).

Vediamo dunque i tre/quattro strumenti di sovraindebitamento e come funzionano.

1) Piano di ristrutturazione del consumatore (ex Piano del consumatore): Questo istituto è riservato ai debitori civili “consumatori”, cioè persone fisiche che hanno contratto debiti estranei all’attività imprenditoriale eventualmente svolta. Ad esempio, debiti per esigenze familiari, mutui casa, prestiti personali, fideiussioni per parenti, ecc. Un ex imprenditore può accedervi solo per i debiti che non derivano dall’attività di impresa. Se tutti i debiti sono connessi all’impresa (fornitori, fisco per IVA, ecc.), allora non è un consumatore. Ma spesso capita che un ex imprenditore abbia anche debiti misti (es. prestiti personali in parallelo). Il piano del consumatore consente di presentare al tribunale una proposta di pagamento parziale e/o dilazionato di tutti i debiti, sulla base delle effettive capacità economiche del debitore e del suo nucleo familiare. Si tratta di predisporre un piano dettagliato delle entrate (stipendi, pensioni…) e delle uscite necessarie (spese di vita dignitosa), offrendo ai creditori quanto realisticamente può essere pagato con quel margine, magari integrato dalla liquidazione di qualche bene non essenziale. Caratteristica chiave: non serve l’accordo dei creditori; il piano, una volta presentato con l’ausilio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) e accompagnato dalla relazione di un gestore nominato, viene valutato dal giudice che lo può omologare (approvare) se ritiene che il debitore sia meritevole e che il piano sia fattibile e conveniente per i creditori (rispetto all’alternativa della liquidazione). La meritevolezza qui significa che il debitore-consumatore non ha assunto colposamente obbligazioni oltre la propria capacità di adempimento e non ha tenuto comportamenti fraudolenti o gravemente imprudenti. Ad esempio, un consumatore che ha accumulato debiti di gioco d’azzardo potrebbe essere considerato non meritevole, mentre uno che si è indebitato per cure mediche o per perdita del lavoro sì. La giurisprudenza su questo è flessibile: di recente, Cassazione ha affermato che “ai fini dell’accesso all’esdebitazione non è richiesta una soglia minima di soddisfacimento dei creditori”, proprio perché l’obiettivo è dare una chance di ripartenza. Nel piano del consumatore vecchia legge non era ammessa la falcidia di IVA e ritenute, ma la Corte Costituzionale n. 245/2019 ha eliminato tale divieto come incostituzionale. Quindi oggi anche un consumatore può proporre di pagare parzialmente i debiti IVA, a condizione di offrire almeno quanto otterrebbe il Fisco liquidando eventuali beni (in pratica il piano non deve danneggiare l’Erario rispetto alla liquidazione). La Cass. 4613/2023 ha ribadito questo principio: nessun creditore con garanzie può essere trattato peggio di come verrebbe trattato vendendo la garanzia stessa in una liquidazione. Significa, ad esempio, che se c’è un mutuo ipotecario su casa, il piano non può prevedere di dare alla banca meno del ricavato stimato della vendita di casa al netto degli altri creditori con grado superiore. Se no, il giudice non omologa. In sintesi, il piano del consumatore è uno strumento ottimo per chi ha debiti personali, perché permette di ridurli anche drasticamente con l’avallo del tribunale, senza dover convincere i creditori. Una volta omologato, infatti, il piano diventa vincolante per tutti e le eventuali azioni esecutive vengono bloccate. Al termine dell’esecuzione del piano (pagate le quote promesse), si ottiene la completa esdebitazione (cancellazione dei residui). Limiti: riservato a debiti non d’impresa; richiede meritevolezza e trasparenza massima (bisogna dichiarare tutti i beni, tutti i crediti, non si possono “favorire” parenti o nascondere asset, pena revoca del beneficio e anche sanzioni penali). Inoltre, se il reddito disponibile è zero e non si hanno beni, il piano del consumatore sarebbe inutile (qui caso mai serve la procedura di liquidazione o l’esdebitazione incapiente).

2) Concordato minore (ex accordo di composizione): È l’equivalente del piano del consumatore ma destinato a imprenditori minori e soggetti non fallibili (piccoli imprenditori sotto soglie di fallibilità, professionisti con debiti d’impresa, imprenditori agricoli, start-up innovative, ecc. – tutti quelli elencati come non fallibili nell’art. 65 CCII). Ad esempio, il titolare di una impresa di pulizie sotto soglia, i soci di una SNC non fallita, ecc., possono presentare un concordato minore. La differenza rispetto al piano è che qui i creditori votano sulla proposta (serve il 50% dei crediti in peso a favore), e poi il tribunale omologa se la maggioranza è raggiunta e se il piano è fattibile e non danneggia eventuali creditori dissenzienti oltre il lecito (sempre il discorso dei privilegi da rispettare in misura non inferiore all’alternativa). Il concordato minore, a differenza del concordato preventivo delle grandi imprese, non richiede percentuali minime di pagamento ai chirografari (nel concordato preventivo ordinario c’era un 20% minimo per i chirografari, qui no). Può prevedere anche la continuazione dell’attività se l’imprenditore vuole continuare in forma ridotta – in tal caso si chiama concordato minore in continuità. Ad esempio, un artigiano o un piccolo imprenditore commerciale può proporre di pagare i debiti in parte con i proventi futuri dell’attività, senza liquidare tutto. I creditori, dovendo votare, spesso si coordinano: in queste procedure è fondamentale il lavoro dell’OCC (gestore della crisi) nel convincere i creditori che quella proposta è il meglio che possano ottenere. Qualora qualche creditore pubblico (Agenzia Entrate o INPS) sia determinante e non aderisca, la legge aveva previsto (dal 2021, e con conferme nel 2024) un meccanismo di cram-down fiscale: in certe condizioni il tribunale può forzare l’omologazione anche senza il voto del Fisco, purché il trattamento offerto non sia inferiore all’alternativa e ci siano adesioni significative di altri creditori. Le ultime modifiche (D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024) hanno dettagliato che nel concordato minore non c’è cram-down automatico, ma è previsto solo negli accordi di ristrutturazione e in alcuni concordati maggiori. Tuttavia, il concordato minore può beneficiare anch’esso delle regole di trattamento dei crediti pubblici: in pratica, il tribunale verifica che l’Erario non sia discriminato e può omologare anche in presenza di dissenso fiscale, purché non determinante per la maggioranza e offrendogli almeno il 30-40% (questi numeri di percentuale minima derivano dalle soglie previste per il cram-down negli accordi di ristrutturazione con DL 69/2023: 30% di soddisfo con adesione di 25% di altri crediti, oppure 60% di soddisfo se pochi altri creditori aderenti). Sono dettagli tecnici: in sostanza, il debitore non fallibile imprenditore che non riesce a far accettare spontaneamente il piano a Equitalia/INPS può sperare comunque nell’omologazione coattiva se offre loro almeno circa la metà del dovuto e se qualche altro creditore importante è favorevole. Il vantaggio del concordato minore è che permette di ristrutturare anche debiti d’impresa in modo simile al piano del consumatore. Inoltre, l’imprenditore può restare in attività (salvando l’avviamento e continuando a lavorare, cosa positiva anche per i creditori perché genera ricchezza da distribuire). Lo svantaggio è che la procedura è un po’ più complessa – serve il voto – e può fallire se non si convince la maggioranza dei creditori. Se il concordato non ottiene i voti, il tribunale non omologa e la situazione resta insoluta (anzi, attenzione: a volte l’esito può essere il fallimento se i creditori lo richiedono, ma per soggetti non fallibili questo pericolo non c’è). Per mitigare i rischi, la legge consente di presentare insieme una proposta di liquidazione controllata in via subordinata, nel caso il concordato non passi, in modo da avere comunque un paracadute (la L. 3/2012 mod. 2020 introdusse questa possibilità e il CCII la mantiene).

3) Liquidazione controllata (ex liquidazione del patrimonio): Questa è la procedura da intraprendere quando il debitore non ha prospettive di pagare nemmeno parzialmente i debiti con un piano, oppure non è in grado di offrire nulla di appetibile per accordi, ed è sostanzialmente insolvente. È analoga, nella sua struttura, al vecchio fallimento, ma dedicata ai soggetti non fallibili o piccoli. Il debitore – persona fisica, oppure società non fallibile, oppure anche un soggetto deceduto con eredi accettanti con beneficio di inventario – presenta istanza al tribunale di liquidare tutto il suo patrimonio sotto controllo di un curatore (liquidatore) nominato dal giudice. Viene così aperta una procedura concorsuale vera e propria: si forma la massa attiva (tutti i beni, esclusi eventualmente quelli impignorabili per legge, come alcuni beni personali), si cristallizza la massa passiva (tutti i debiti fino alla data di apertura, che i creditori insinuano), e poi il liquidatore procede a vendere i beni e distribuire il ricavato secondo le cause di prelazione (privilegi, ipoteche). Il risultato atteso è che i creditori ricevono qualcosa – spesso poco – e alla fine il debitore persona fisica possa chiedere la esdebitazione di quanto non pagato. Nel nuovo Codice, per incentivare l’adesione, è previsto che la liquidazione controllata abbia durata massima di 3 anni per la parte di contribuzione dal reddito futuro (mentre la liquidazione del patrimonio ex L.3/2012 poteva durare anche più a lungo, adesso se c’è da versare parte di stipendio si pone un tetto temporale di 3 anni). Inoltre – punto cruciale – non serve più una domanda separata di esdebitazione: il giudice, decorsi i 3 anni e completata la liquidazione, dichiara l’esdebitazione nell’ambito della stessa procedura automaticamente (salvo comportamenti scorretti scoperti). In passato, col fallimento, il debitore doveva attivarsi dopo la chiusura per chiedere l’esdebitazione; ora è inglobata. Questo snellisce il percorso per il fresh start. La liquidazione controllata, come il vecchio fallimento, comporta che il debitore perde la disponibilità dei suoi beni (che passano al liquidatore), ma non subisce più quelle drastiche conseguenze personali del vecchio fallimento (come l’interdizione dai diritti civili): nel CCII il debitore non è più considerato disonorato e mantiene la capacità di agire, pur dovendo collaborare. Vantaggi: è l’unico modo per liberarsi dei debiti se non si hanno risorse per fare un piano; blocca tutte le azioni esecutive individuali (i creditori devono solo insinuarsi e non possono procedere altrimenti); consente di utilizzare eventuali esenzioni (ad es. se un bene è pignorato come prima casa da Fisco e non espropriabile, il liquidatore comunque non lo vende se la legge lo vieta; oppure può vendere meglio beni che all’asta andrebbero svalutati). Svantaggi: il debitore perde i beni (compresa di regola l’abitazione, se non esistono eccezioni), e deve sottoporsi a una procedura che dura anni con controllo delle sue finanze. Inoltre, l’esdebitazione finale può essere negata se si scopre che il debitore ha aggravato la propria situazione con dolo o colpa grave, ha sottratto o falsificato documenti, non ha collaborato lealmente, o è incappato in reati di bancarotta ecc. (per fortuna, molte cause di diniego del vecchio art. 142 L.Fall. sono state attenuate; ad esempio, non è più richiesto di aver pagato almeno il 10% dei chirografari, condizione abolita). Quindi, il debitore deve essere onesto e cooperativo. Vale la pena notare che anche un ex imprenditore fallibile (cioè sopra soglia) che però non sia stato fatto fallire può avvalersi della liquidazione controllata: la Cassazione (sent. 1869/2016) l’aveva già ammesso sotto la vecchia legge. L’importante è che non sia pendente un fallimento. Quindi, se ad esempio uno aveva debiti oltre soglia ma nessuno ha chiesto il suo fallimento, e ora vuole sistemare le cose, può lui attivare la liquidazione da sovraindebitamento (che però in quel caso non proteggerà dai reati eventualmente commessi, attenzione: il CCII prevede comunque che se era fallibile, le azioni penali restano possibili).

4) Esdebitazione del debitore incapiente: Questo è uno strumento speciale, introdotto prima nel 2020 (DL 137/2020 conv. L.176/2020) e ora formalizzato nell’art. 283 CCII, pensato per i casi umani più disperati: il debitore persona fisica totalmente privo di beni e di reddito che non ha alcuna prospettiva di offrire utilità ai creditori. Normalmente, un tale debitore, sotto la vecchia legge, non poteva accedere alle procedure perché non c’era nulla da ristrutturare o liquidare (e infatti molti rimanevano intrappolati a vita con i debiti). Con questa norma, se il debitore è meritevole (ossia non ha frodato i creditori volontariamente, non ha colpe gravi), può chiedere al tribunale di essere completamente liberato dai suoi debiti senza pagare nulla, immediatamente. È una sorta di “esdebitazione a costo zero” o “fresh start puro”. Ci sono però dei paletti: il beneficio può essere concesso una volta sola nella vita; e soprattutto il debitore, se nei 4 anni successivi dovesse migliorare la sua situazione (ad es. riceve un’eredità, vince alla lotteria, o comunque torna in possesso di risorse significative), ha l’obbligo di pagamento parziale ai vecchi creditori fino a un certo limite. Precisamente, dovrà pagarli fino alla concorrenza di almeno il 10% di quanto era il totale debiti, se entro 4 anni dalla esdebitazione ottiene “utilità” (entrate o beni) che glielo consentono. Ciò per ragioni di equità: se la fortuna bussa dopo che i debiti gli sono stati condonati, i creditori devono avere una piccola soddisfazione tardiva. Nella pratica, l’OCC nominato vigila su questo quadriennio e il debitore deve presentare annualmente una dichiarazione su eventuali miglioramenti. Se mente, rischia la revoca del beneficio. Questo strumento è potente perché consente a chi è nullatenente di non restare segnalato e perseguitato a vita: ad esempio, pensiamo a chi, per un fallimento di impresa, ha perso tutto e gli restano magari milioni di debiti per fideiussioni; se vive solo di un modestissimo stipendio o pensione, potrà liberarsi dal fardello e ricominciare, altrimenti sarebbe emarginato economicamente per sempre. I creditori ovviamente non gradiscono, ma la legge bilancia con il discorso del 4 anni. Dal punto di vista pratico, per accedere l’interessato deve comunque rivolgersi all’OCC e presentare un ricorso in tribunale, allegando documentazione a prova che non possiede nulla (visure catastali, conti a zero, ISEE, etc.) e che le cause del suo sovraindebitamento sono indipendenti da sua frode o malafede. Se aveva compiuto atti in frode (es. donazioni di beni per non pagarli), non verrà ammesso. Se invece l’insolvenza deriva, poniamo, da un crollo di fatturato e ha veramente già liquidato tutto per pagare in parte i creditori, allora è il tipico caso meritevole. Esempi reali: la giurisprudenza ha già applicato questa norma, ad es. Tribunale di Napoli 2021 ha concesso l’esdebitazione incapiente a un soggetto con debiti di gioco, riconoscendo che la ludopatia grave può rendere “non colpevole” il sovraindebitamento (riconoscendo la dipendenza come patologia). Quindi c’è apertura anche su casi particolari.

Nota importante: Tutte queste procedure richiedono l’assistenza di un OCC e l’intervento del tribunale, quindi comportano costi (seppur generalmente sostenibili e spesso dilazionabili nel piano) e tempi procedurali (qualche mese per ottenere omologazione o sentenza di apertura). Durante la pendenza della procedura, il debitore può chiedere al giudice misure protettive per sospendere le azioni esecutive dei creditori. Per esempio, appena si deposita un ricorso per piano o liquidazione, il giudice può sospendere un pignoramento in corso o un’asta imminente. Questo è un beneficio fondamentale: impedisce la corsa dei creditori e consente di gestire ordinatamente la situazione.

Per riassumere e confrontare le caratteristiche dei principali strumenti concorsuali minori, presentiamo tabella 3:

Tabella 3 – Confronto procedure da sovraindebitamento (situazione aggiornata CCII 2025)

ProceduraChi può accedere (requisiti soggettivi)Caratteristiche principaliEsito finale
Piano del consumatore (ristrutturazione debiti consumatore)Persona fisica consumatore (debiti non professionali/imprenditoriali). No soglia importi. Richiede meritevolezza (no colpa grave/dolo nel creare debiti).– Proposta unilaterale di pagamento parziale/dilazionato di tutti i debiti.– Senza voto creditori: decide il giudice se omologare, valutati meritevolezza e convenienza per creditori (rispetto a liquidazione).– Necessaria relazione OCC attestante veridicità dati e fattibilità.– Possibile prevedere moratorie e falcidie anche su crediti privilegiati, purché non inferiori al valore di realizzo dei beni sottostanti. IVA e tributi possono essere falcidiati (dopo Corte Cost. 245/2019).– Durante la procedura: sospensione azioni esecutive ottenibile.– Se il giudice non omologa per difetto di requisiti, possibile convertire in liquidazione controllata.Se omologato, il debitore paga secondo il piano (tipicamente su 4-5 anni con eventuale uso di parte di stipendio). Al termine: viene esdebitato da ogni residuo non pagato. (L’esdebitazione opera di diritto con l’omologazione, soggetta a risoluzione se il debitore non esegue il piano).
Concordato minore (ex accordo)Debitore non fallibile (piccolo imprenditore commerciale sotto soglie, imprenditore agricolo, start-up, professionista, consumatore con debiti d’impresa minori, ecc.). Deve essere in stato di crisi o insolvenza. Richiede buona fede (no frodi).– Proposta di accordo ai creditori con pagamento almeno parziale dei debiti.– Voto dei creditori: serve maggioranza del 50% dei crediti ammessi al voto (esclusi alimentari e tributi se non falcidiati? Norme tecniche dettagliate, ma in sostanza conta la somma crediti, non teste).– Possibile suddivisione in classi di creditori con trattamenti differenziati.– Obbligo di garantire ai creditori privilegiati pagamento almeno quanto otterrebbero liquidando beni su cui insiste il privilegio/ipoteca (salvo diverso accordo del creditore).– Transazione fiscale facoltativa: si possono includere anche Fisco/INPS con proposta di pagamento parziale tributi e contributi. Se accettano, ok; se rifiutano ma la proposta offre >= alternativa, il tribunale può omologare coattivamente se c’è consenso del resto dei creditori sufficiente (cram-down). Recenti riforme (2023-24) richiedono comunque un soddisfacimento minimo intorno al 30-40% per imporre il cram-down fiscale, a seconda delle percentuali di adesione.– È ammessa la continuità aziendale: il debitore può proseguire l’attività se il piano lo prevede (spesso con cessione parziale beni non essenziali e utilizzo reddito futuro per pagare creditori).Se i creditori approvano e il tribunale omologa, il piano diventa vincolante. Il debitore esegue i pagamenti/atti previsti (es. cessione di un bene, pagamento di percentuali periodiche). A esecuzione completata, il debitore ottiene la esdebitazione dei crediti residui analogamente al piano (omologa funziona come liberazione dai debiti eccedenti). Se qualcosa va storto (mancato raggiungimento maggioranza o revoca omologa per inadempimento rilevante), i creditori possono riprendere le azioni o il debitore può ripiegare sulla liquidazione controllata.
Liquidazione controllata (del sovraindebitato)Qualunque debitore sovraindebitato non in grado di pagare i debiti (consumatore o imprenditore non fallibile). Anche se insolvente (cessazione pagamenti conclamata). Non richiede meritevolezza all’ingresso (la valutazione di lealtà/assenza frodi rileva per la concessione dell’esdebitazione alla fine).– Il debitore (o i creditori, limitatamente a imprenditore minore insolvente) chiede al tribunale di aprire la liquidazione del suo patrimonio.– Si nomina un liquidatore (figura simile al curatore fallimentare).– Tutti i beni del debitore, presenti e futuri entro 4 anni dall’apertura (eccetto quelli impignorabili ex lege), confluiscono nella massa attiva da liquidare a beneficio dei creditori.– I creditori presentano domande di insinuazione entro termini; il liquidatore forma lo stato passivo (verifica crediti, privilegi, ecc.) come in fallimento.– Si liquidano i beni: vendita di immobili (con autorizzazione giudice), realizzo di crediti, etc., oppure il debitore può anche offrire parte del reddito futuro (max 3 anni) al posto della vendita di alcuni beni.– Il ricavato si ripartisce secondo i gradi di privilegio: prima spese procedura, poi crediti privilegiati (erario, lavoro, banca con ipoteca, ecc.), infine chirografari in proporzione.– Durata: la procedura dura il tempo necessario a liquidare (spesso qualche anno); in ogni caso la liberazione dai debiti per il debitore persona fisica interviene di regola trascorsi 3 anni dall’apertura, grazie all’esdebitazione di diritto (anche se qualche riparto può proseguire per realizzi minori tardivi).Chiusura: il tribunale, su relazione finale del liquidatore, dichiara chiusa la liquidazione. Se il debitore persona fisica ha cooperato lealmente e non sono emerse irregolarità gravi, il giudice contestualmente concede l’esdebitazione (liberazione) dei debiti residui non pagati. Nota: l’esdebitazione può essere esclusa per alcuni debiti particolari (obblighi alimentari, debiti da dolo verso terzi, multe per sanzioni penali, ecc.), analogamente a quanto avveniva in passato, ma la maggior parte dei debiti viene cancellata. Se invece il debitore è una società, l’esdebitazione è applicabile all’ente (ma società estinta conta poco) e non ai soci, salvo questi abbiano esteso la procedura al loro patrimonio personale.
Esdebitazione “incapiente” (senza utilità)Persona fisica sovraindebitata totalmente priva di beni liquidabili e di reddito pignorabile, che non possa offrire nulla ai creditori. Deve essere meritevole (insolvenza non frutto di frode o violazioni gravi). Non accessibile se ha già ottenuto altra esdebitazione nei 5 anni precedenti, o già utilizzato questo istituto in passato (una tantum).– Procedura semplificata: ricorso al tribunale esponendo la propria situazione di totale incapienza (zero beni, redditi al minimo vitale, ecc.), allegando attestazioni OCC e documenti reddituali, stato famiglia, ecc.– Notifica ai creditori che possono eventualmente opporsi se dimostrano che il debitore invece nasconde beni o redditi.– Il giudice valuta meritevolezza e posizione creditori e può emettere decreto di esdebitazione totale immediata dei debiti (senza aprire alcuna liquidazione).– L’OCC rimane in funzione per vigilare nei 4 anni successivi. Debitore tenuto a comunicare annualmente la propria condizione economica e segnalare eventuali sopravvenienze di rilievo.– Se entro 4 anni dal decreto il debitore ottiene utilità significative (sufficienti a soddisfare almeno il 10% dell’ammontare dei debiti originari), scatta obbligo di pagamento verso i vecchi creditori fino a concorrenza di tale 10% (o più, se le utilità permettono). L’OCC e i creditori possono attivarsi per ripartire quelle sopravvenienze.– Se il debitore omette informazioni o non collabora durante i 4 anni, il beneficio può essere revocato.Con il decreto di accoglimento, tutti i debiti antecedenti sono cancellati (salvo quelli espressamente esclusi dalla legge, es. alimenti dovuti, e ovviamente restano eventuali sanzioni penali personali). Il debitore rinasce senza debiti immediatamente. Rimane la condizione risolutiva dei 4 anni: se non vi sono miglioramenti economici in quel periodo, la liberazione diventa definitiva e i creditori non potranno più pretendere nulla in futuro.

Questa panoramica mostra che esistono percorsi differenti, più o meno rigorosi, per raggiungere l’obiettivo di gestire i debiti in modo sostenibile o di cancellarli residualmente. Dal punto di vista dell’ex titolare di impresa di pulizie, la scelta tra un piano/concordato minore e la liquidazione dipende da cosa possiede e quanto reddito ha:

  • Se dispone ancora di un reddito (ad esempio ha trovato un lavoro dipendente) o ha qualche bene che vuole conservare (es. la prima casa) e i debiti non sono eccessivamente superiori alla sua capacità prospettica, potrebbe preferire un piano: ovvero pagare una parte nel tempo e liberarsi senza perdere tutto. Ad esempio, mantenere la casa pagando comunque la banca con mutuo e offrendo ai chirografari un 20% in 4 anni.
  • Se invece è in condizione di insolvenza totale e non può pagare sostanzialmente nulla di apprezzabile, la via della liquidazione controllata (o addirittura dell’esdebitazione incapiente se non possiede nulla) gli permetterà di azzerare i debiti anche se i creditori non vengono soddisfatti. Il costo è che perderà i beni (ma se non ne ha o sono già pignorati poco cambia).

Va evidenziato che l’Italia, con queste norme, ha recepito principi europei di second chance, un tempo estranei alla nostra tradizione, che privilegiava il principio di responsabilità patrimoniale illimitata. Ora la legge, come visto, cerca un bilanciamento per cui il debitore onesto ma sfortunato non sia condannato alla “morte civile” (esclusione dal circuito economico) a tempo indefinito. Il rovescio della medaglia è che il debitore deve agire in buona fede e subire una verifica; chi cerca furbescamente di abusare di queste procedure (nascondendo attivi, gonfiando passivi, facendo il furbo con i 4 anni dell’incapiente) rischia sanzioni penali (ad es. bancarotta semplice o fraudolenta applicabile in liquidazione controllata, reato di falso in attestazioni al tribunale, ecc.). La gran parte dei casi però riguarda persone perbene travolte dai debiti: per costoro queste procedure rappresentano un’ancora di salvezza.

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito proponiamo una serie di domande comuni che un ex imprenditore indebitato potrebbe porsi, con risposte sintetiche basate sulla normativa e la giurisprudenza attuale:

D: Ho chiuso la mia impresa di pulizie ma ho ancora molti debiti; la chiusura dell’attività non ha cancellato nulla?
R: Purtroppo no. La chiusura dell’attività (sia essa una ditta individuale con cessazione della partita IVA, sia la cancellazione di una società dal registro imprese) non estingue automaticamente i debiti. Questi rimangono e diventano debiti personali tuoi o dei soci, secondo i casi. In particolare, con la ditta individuale resti obbligato personalmente su tutto; con una società di persone, i creditori possono rivolgersi ai soci; con una società di capitali, i creditori sociali insoddisfatti possono agire contro i soci nei limiti di eventuali attivi distribuiti ai soci in liquidazione, e contro gli eventuali garanti personali per l’intero. La chiusura serve solo a evitare che tu possa contrarre nuovi debiti in quell’impresa, ma per quelli esistenti dovrai adottare strumenti di accordo o concorsuali se vuoi risolvere.

D: I debiti dell’impresa possono “passare” ai familiari o ad altre persone?
R: In generale no, ogni uno risponde dei propri debiti con il suo patrimonio (principio di personalità delle obbligazioni). I tuoi debiti non si trasferiscono automaticamente ai tuoi familiari. Fanno eccezione due casi: (1) se qualcuno ha fatto da garante/fideiussore per l’azienda (es. un tuo parente ha garantito un prestito), allora quel garante è obbligato in solido e il creditore può pretendere da lui il pagamento; (2) in caso di morte del debitore, i debiti passano agli eredi che hanno accettato l’eredità (per questo chi eredita da un imprenditore indebitato spesso accetta con beneficio d’inventario o rinuncia). Inoltre, se l’azienda era familiare o con soci di fatto, bisogna valutare se vi è corresponsabilità. Ma di per sé, tuo fratello o coniuge non risponde dei tuoi debiti aziendali se non ha firmato niente e non era socio.

D: Ho debiti verso fornitori privati e debiti verso il Fisco: c’è differenza su cosa possono farmi?
R: , ci sono differenze importanti. Un fornitore privato o una banca devono passare per il tribunale (ottenere un decreto ingiuntivo se non hai firmato cambiali o titoli) e poi coinvolgere l’ufficiale giudiziario per pignorare i beni. L’Agenzia Entrate Riscossione (per debiti fiscali o contributivi) invece ha un titolo esecutivo proprio (la cartella) e poteri amministrativi: può iscrivere ipoteca su immobili per crediti > €20.000, può fare fermo auto per > €1.000, e può inviarti intimazioni senza passare dal giudice. Tuttavia, sul fronte pignoramenti immobiliari c’è un limite: Equitalia (AdER) non può pignorare la tua prima casa se è l’unico immobile di residenza non di lusso. Invece un creditore privato potrebbe farlo. Al contrario, AdER può pignorare stipendi, conti correnti ecc. in modo piuttosto speditivo (con procedure semplificate). Inoltre, i debiti fiscali aumentano nel tempo per interessi di mora e aggio, quelli privati per interessi contrattuali o legali. Dal punto di vista del difendersi: con i privati puoi più facilmente negoziare sconti (saldo e stralcio), con il Fisco devi seguire le definizioni agevolate previste per legge (rottamazioni) o includerli in un piano di sovraindebitamento. Entrambi, comunque, possono essere gestiti nelle procedure come concordato minore/piano consumatore, che coinvolge tutti i creditori insieme.

D: Non ho nessun immobile né auto né soldi in banca. Cosa possono pignorare i creditori?
R: Possono tentare di pignorare il tuo stipendio o pensione, se ne hai, e/o altri crediti futuri. Se non hai un lavoro né percepisci redditi ufficiali, il creditore potrebbe cercare beni mobili (arredi, ecc.) ma spesso se non possiedi nulla di valore commerciale, l’ufficiale giudiziario farà un verbale di “pignoramento negativo” (nullatenenza) e il creditore resterà insoddisfatto. Questo però non cancella il debito: il creditore potrebbe periodicamente rinnovare il precetto sperando in cambiamenti. Per i debiti fiscali, AdER può iscrivere ipoteca su immobili che un domani potresti acquistare (in pratica, se oggi non hai casa ma fra 5 anni ne compri una, quell’ipoteca la colpisce). Se davvero non possiedi nulla e la tua situazione non migliora, la via migliore per uscire dal limbo è l’esdebitazione del debitore incapiente: presenti istanza al giudice e, se conferma che sei privo di beni e meritevole, ottieni la cancellazione di tutti i debiti. Ciò ti protegge anche se in futuro diventerai abbiente, salvo l’obbligo di dare qualcosina ai vecchi creditori se accade entro 4 anni. Senza esdebitazione, tecnicamente il debito (es. da decreto ingiuntivo) dura 10 anni e può essere rinnovato, quindi può perseguitarti indefinitamente finché non paghi o muori. Meglio quindi risolvere tramite la legge, se possibile.

D: Ho un immobile di proprietà (la mia casa) e temo il pignoramento. Come posso salvarlo?
R: Se la casa è la tua abitazione principale e unico immobile e il creditore è il Fisco, sei relativamente al sicuro: la legge vieta all’Agente di Riscossione di procedere con l’esproprio in quel caso, a meno che il debito superi €120.000 e tu abbia altri immobili di valore complessivo oltre €120.000, e comunque con ipoteca iscritta da almeno 6 mesi. Quindi, se hai solo la casa dove abiti e debiti fiscali, AdER potrà metterti ipoteca se il debito > €20k ma non potrà mandare all’asta la casa (potrà però intervenire se un altro creditore la pignora). Invece, se i creditori sono privati/banca: nessun divieto specifico. La banca in presenza di ipoteca sul mutuo scaduto può procedere all’esecuzione immobiliare. Un fornitore con un decreto può pignorare anche la casa (se libera o ipotecata in grado successivo). Come difendersi? Stragiudizialmente: negoziare, cercare di rinegoziare il mutuo (es. chiedere sospensione rate, vendita privata dell’immobile a valore migliore per pagare il debito ed evitare asta). Giudizialmente: se intraprendi un piano del consumatore o concordato minore e includi la volontà di mantenere la casa pagando i creditori con altre risorse, puoi chiedere al giudice la sospensione delle azioni esecutive. Se il piano viene omologato, i creditori ipotecari dovranno accontentarsi di quanto previsto (di solito devi comunque pagarli integralmente col piano se vuoi tenere la casa, perché hanno diritto al ricavato integrale). In una liquidazione controllata, purtroppo, la casa verrebbe venduta dal liquidatore salvo condizioni eccezionali. Non esistono meccanismi di esenzione automatica della prima casa (a differenza che in USA con homestead). L’unica tutela è verso il Fisco come detto, e riguarda solo l’esecuzione forzata, non la liquidazione concorsuale. Quindi, se la casa è importante per te, meglio percorrere strade come piano concordatario in cui prevedi di continuare a pagare il mutuo e magari rinegozi i debiti chirografari.

D: Ho letto di gente che mette la casa in un fondo patrimoniale o la intesta a parenti per non farla prendere ai creditori. Funziona?
R: Spostare beni per sottrarli ai creditori è in generale illecito (costituisce frode ai creditori). Un atto di donazione o vendita fittizia a un familiare può essere annullato (revocato) su azione del creditore se fatto quando eri già indebitato (entro 5 anni facilmente, ma anche oltre con altre norme). Il fondo patrimoniale tutela dai creditori solo per debiti non contratti per bisogni della famiglia; i debiti d’impresa di solito non rientrano nei bisogni familiari, quindi i creditori possono comunque aggredire l’immobile in fondo patrimoniale, oppure il giudice può non permettere l’esecuzione inizialmente ma se dimostrano che il debito aveva scopo estraneo alla famiglia (es. un leasing per l’azienda) possono procedere. Inoltre, porre beni in trust o fondo poco prima di attivare procedure di sovraindebitamento è controproducente: il tribunale lo vedrebbe come atto in frode e potrebbe negare l’omologazione. Quindi, sconsiglio vivamente di intraprendere manovre elusive: oggi le leggi ti danno modi leciti per salvare almeno parzialmente il patrimonio (ad esempio prevedendo di pagare una quota a tutti con i tuoi beni senza perdere tutto in spese esecutive, oppure la continuazione del mutuo prima casa nel piano). Se fai atti “furbi”, rischi poi di non poter accedere alle procedure o addirittura di commettere reati. Meglio una trasparente trattativa o procedura concorsuale.

D: Quanto tempo deve passare perché un debito cada in prescrizione e non sia più esigibile?
R: Dipende dal tipo di debito. Alcuni termini tipici:

  • Fatture commerciali, prestiti, decreti ingiuntivi, mutui scaduti: 10 anni di prescrizione ordinaria dal momento in cui potevano essere azionati (o dall’ultimo atto interruttivo o riconoscimento). Se c’è una sentenza o decreto passato in giudicato, ogni 10 anni il creditore dovrebbe notificarci un atto che rinnova l’interruzione (ad es. un precetto).
  • Busta paga, stipendi: 5 anni (salvo riconoscimento, oppure se il lavoratore ottiene un decreto ingiuntivo o sentenza, allora 10 anni da quella).
  • Canoni di affitto, bollette: 5 anni (perché sono pagamenti periodici).
  • Contributi INPS: 5 anni in generale, ma le cartelle INPS non pagate in alcuni periodi si dicevano prescritte in 5 o 10 a seconda della giurisprudenza oscillante. Oggi prevale 5 anni anche dopo notifica cartella, se l’INPS non fa atti interruttivi.
  • Tributi: per accertarli il Fisco ha di solito 5 anni dall’anno di imposta; una volta emessa la cartella, la prescrizione è oggetto di dibattito (alcuni dicono 5 anni come le sanzioni, altri 10 come diritto di credito statale). AdER spesso applica 20 anni riferendosi al ruolo come titolo, ma i giudici sempre più riconoscono prescrizioni brevi per le singole voci (es. l’IVA 10, IRPEF 10, sanzioni 5).
  • Multe stradali: 5 anni dalla violazione per notificarti il verbale, poi 5 anni per la cartella da quando la multa è definitiva.
    In sintesi, se per molti anni (3, 5, 10 a seconda del debito) non ricevi alcuna comunicazione scritta ufficiale dal creditore, è probabile che il debito sia prescritto. Ma attenzione: basta una raccomandata di messa in mora, la notifica di un atto giudiziario o di una cartella per interrompere e far ripartire il conteggio da capo. Quindi devi valutare ultimo atto valido ricevuto e calcolare da lì. Inoltre, la prescrizione non opera automaticamente: va eccepita se il creditore agisce. Non pagare un debito sperando nella prescrizione può funzionare se il creditore si dimentica, ma è rischioso se non sei sicuro delle date. Se però sei convinto sia prescritto, potrai opporti eventualmente in giudizio eccependo la prescrizione (è un’ottima difesa se fondata).

D: Ho un decreto ingiuntivo notificato anni fa ma il creditore non ha fatto più nulla. Posso star tranquillo?
R: Il decreto ingiuntivo una volta definitivo vale come titolo per 10 anni dalla data di formazione, dopodiché andrebbe rinnovato (ad es. con un atto di precetto che interrompe e riapre altri 10 anni). Se “anni fa” intendi oltre 10, allora potresti sollevare prescrizione. Se sono meno di 10, il creditore può ancora notificare un precetto e pignorare. Magari sta aspettando che tu acquisisca beni o redditi. Non c’è un obbligo di agire subito, può scegliere i tempi. Quindi non dare per scontato che abbia rinunciato, a meno che arrivi a 10 anni senza notizie.

D: Posso essere dichiarato fallito come persona fisica?
R: Il fallimento (ora liquidazione giudiziale) può coinvolgere anche la persona fisica imprenditore commerciale, se supera certi parametri. Se la tua impresa di pulizie era sotto soglia (piccola), non eri soggetto a fallimento, quindi nessuno può chiedere il tuo fallimento in tribunale. Se invece eri sopra soglia (attivo > €300k, debiti > €500k ad esempio), i creditori avrebbero potuto chiederlo entro 1 anno dalla cessazione. Passato l’anno dalla cancellazione dell’impresa, non è più possibile essere dichiarato fallito (perché non sei più imprenditore). Nel tuo caso di ex titolare, se nessuno ha avviato fallimento quando avevi l’attività, ora non accadrà. Ciò può essere un bene (non subisci la procedura fallimentare d’ufficio) ma anche un male: perché il fallimento, come dicevi, poi dà esdebitazione. Comunque, oggi come ex imprenditore non fallibile, hai a disposizione le procedure di sovraindebitamento di cui parlavamo. Tieni presente: c’è un concetto di “insolvenza civile” introdotto col CCII, ma non attivabile d’ufficio – solo tu potresti accedere volontariamente a liquidazione controllata. Quindi nessuno ti può imporre una procedura concorsuale adesso, tocca a te eventualmente sfruttarla.

D: Che differenza c’è tra fallimento e liquidazione controllata (sovraindebitamento)?
R: A grandi linee sono simili: entrambi liquidano il patrimonio per pagare i creditori. Ma:

  • Fallimento (liquidazione giudiziale) si applica a imprenditori sopra soglia. Può essere richiesto d’ufficio dai creditori o tribunale. Il curatore liquida, dura anni, e a fine procedura il fallito persona fisica può chiedere esdebitazione (che non è automatica, ma in genere concessa se meritevole).
  • Liquidazione controllata si applica ai debitori non fallibili. La attivi tu (o i creditori ma raramente) volontariamente. Il liquidatore liquida, dura max 3 anni per la persona fisica per poi avere esdebitazione automatica. Meno stigma, meno restrizioni personali (nel fallimento vecchio c’erano).
    Non c’è più, ad esempio, l’interdizione dai pubblici uffici o il divieto di espatrio ecc. E il merito della liberazione dai debiti viene considerato meno severamente (basta non avere frodi). Diciamo che la liquidazione controllata è un fallimento light per piccoli debitori, con esdebitazione incorporata e procedure più snelle.

D: Quanto costa accedere a queste procedure (piano, liquidazione)?
R: Ci sono dei costi di procedura: occorre pagare l’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) per l’assistenza e la relazione. Di solito è una percentuale sui debiti o un importo stabilito dal tribunale. Ad esempio, su debiti di €100k potrebbe essere qualche migliaio di euro. Spesso si versa una parte all’inizio e il resto viene considerato spesa prededucibile nel piano (cioè lo paghi man mano). Se non hai liquidità assoluta, l’OCC a volte accetta di essere pagato a esito. Poi ci sono spese legali se ti fai assistere da un avvocato (consigliato). Alcuni OCC lavorano con avvocati interni. Nel concordato minore hai anche la figura del gestore nominato e un eventuale commissario se serve. Comunque, i costi, specie per la liquidazione, sono molto inferiori ai benefici se hai tanti debiti: la legge cerca di non renderli proibitivi. Ad esempio, per l’esdebitazione del debitore incapiente, la legge ha previsto che l’OCC prende un compenso dimezzato rispetto al normale visto che il debitore è nullatenente. Ci sono anche ipotesi di patrocinio a spese dello Stato se il reddito è bassissimo (qualche tribunale l’ha concesso in piani del consumatore in passato). Insomma, non è gratuito ma è affrontabile. Meglio investire in questo che pagare interessi su interessi ai creditori senza mai uscirne.

D: Se vengo esdebitato, la mia “fedina finanziaria” torna pulita?
R: L’esdebitazione è un provvedimento giudiziale che dichiara inesigibili i vecchi debiti. I tuoi creditori non possono più pretendere nulla. Sarai in grado legalmente di riprendere attività, ottenere anche un nuovo codice fiscale fallimentare se eri fallito, ecc. Tuttavia, dal lato “reputazione creditizia”, le banche dati tipo Centrale Rischi e CRIF potrebbero aver registrato i tuoi vecchi insoluti o sofferenze. L’esdebitazione non li cancella automaticamente: rimarranno storicizzati per un certo periodo (in CRIF di solito 36 mesi dopo ultima segnalazione, in Centrale Rischi Banca d’Italia rimane lo storico a vita ma visibile solo a te e chi autorizzi). In ogni caso, potrai mostrare il decreto di esdebitazione a eventuali nuovi creditori per attestare che non hai più quei debiti. Con il tempo, se crei una nuova storia creditizia positiva, l’ombra del passato svanirà. Comunque l’esdebitazione è pubblicata nei registri (infatti esiste un Registro procedura crisi accessibile, ma solo per un periodo). Non risulti protestato (a meno che tu avessi cambiali/protesti: quelli vanno riabilitati dopo un anno dal pagamento o con provvedimento se la cambiale è caduta in esdebitazione). Quindi, direi sì, ottieni una sorta di riabilitazione economica. Nel caso di liquidazione del patrimonio, c’è un periodo di 5 anni in cui se contrai nuovi debiti non potrai chiedere nuova esdebitazione; e questi 5 anni servono anche a valutare eventuali recidive. Ma finito quello, sei equiparato a qualunque cittadino. Anzi, le Sezioni Unite hanno detto (sent. 24214/2021) che l’esdebitazione cancella i debiti ovunque, anche verso la PA, a parte quelli esclusi espressamente. Quindi è un “perdono” a tutti gli effetti.

D: Ho debiti verso ex dipendenti che sono stati pagati dall’INPS (Fondo di Garanzia). Devo restituirli all’INPS?
R: Sì, se il Fondo di Garanzia INPS ha anticipato TFR o stipendi ai tuoi ex dipendenti, l’INPS si surroga come tuo creditore per quelle somme. Quindi di fatto hai ora un debito contributivo verso INPS di pari importo. Andrà in cartella esattoriale se non paghi volontariamente e segue le regole dei contributi (5 anni prescrizione per INPS di solito). Anche questo debito può essere incluso in eventuali procedure di sovraindebitamento o definizioni agevolate. Se tu facessi liquidazione controllata, l’INPS insinuerebbe il suo credito surrogato. Attenzione: se non c’è procedura concorsuale, l’INPS potrebbe anche valutare (ma raramente lo fa se hai chiuso) un’azione di responsabilità verso di te se hai commesso irregolarità nel non pagare i dipendenti, però di solito si limita a recuperare il dovuto.

D: E le cartelle per contributi previdenziali obbligatori personali (gestione commercianti)?
R: Quelle seguono le stesse dinamiche delle cartelle fiscali. Puoi rateizzarle, rottamarle se rientrano nelle definizioni agevolate, oppure includerle in un piano. Non c’è differenza se non che l’ente creditore è l’INPS e non l’Agenzia Entrate, ma siccome per la riscossione centralizzata adesso è un tutt’uno (Agenzia Entrate Riscossione gestisce entrambe), puoi fare un’unica domanda di rottamazione che includa tutti i codici tributo. In un piano, compariranno come crediti privilegiati (contributi dovuti hanno privilegio generale). Quindi sì, vanno trattate con pari attenzione perché l’INPS ha anch’essa poteri simili al Fisco (ipoteche, ecc. tramite AdER).

D: Ho delle sanzioni amministrative dal Comune (multe, tassa rifiuti non pagata). Posso ridurle?
R: Le sanzioni amministrative (come le multe stradali) nella rottamazione vengono trattate così: paghi solo la sanzione base senza interessi di mora e senza maggiorazioni (per le multe stradali paghi l’importo iniziale del verbale senza la maggiorazione semestrale del 10%). Non c’è sconto sul “capitale” della multa, quello va intero. Nelle procedure concorsuali, le multe e ammende possono essere falcidiate, in quanto sono chirografarie (nessun privilegio). C’è stato dibattito se si potessero esdebitare dato il carattere punitivo: la L.3/2012 non le escludeva, e in vari piani sono state inserite (anche quell’elenco che citavamo prima diceva “multe” inclusi). Quindi, sì, puoi prevedere di pagarle in parte (spesso sono anche importi modesti rispetto al totale). I giudici guardano caso per caso: se hai una sanzione per una violazione grave recente, potrebbero storcere il naso a cancellarla del tutto (in alcuni concordati preventivi fu sollevato il dubbio di ordine pubblico), ma formalmente la legge non la esclude dall’esdebitazione (eccetto multe penali forse). Quindi certamente in liquidazione controllata la parte non pagata di multe verrà esdebitata. Per la TARI e altre tasse comunali, valgono come tributi (non sanzioni) quindi privilegiate se iscritte a ruolo entro limite, etc. Rottamabili pure quelle (difatti la rottamazione riguarda anche le entrate locali se il Comune ha affidato a AdER). Se non affidato, magari il Comune fa regolamenti di dilazione o mini-condoni a parte.

D: Dopo aver ottenuto l’esdebitazione, se un giorno faccio di nuovo impresa riuscirò a ottenere credito o sarò marchiato?
R: Legalmente, sarai una persona come le altre. Se eri fallito, sarai riabilitato. Non comparirai in registri pubblici come debitore insolvente (il registro procedure è pubblico durante ma dopo qualche tempo non visibile, e comunque consultato solo per altre procedure concorsuali). In banca dati CRIF, come detto, potrebbe restare traccia di vecchie sofferenze passate, ma se inizi un’attività nuova e col tempo dimostri redditività e affidabilità, le banche potranno finanziarti. Tieni presente che la prima cosa che guardano spesso è la storia recente. Dopo qualche anno dall’esdebitazione, se non hai più segnalazioni negative, potresti non avere problemi. Inoltre, c’è concorrenza: alcuni istituti di credito potrebbero considerarti “ripulito” e senza più debiti arretrati, quindi persino più solido di uno che ne ha ancora. D’altronde, la ratio delle norme di second chance è proprio reinserire nel circuito economico persone altrimenti tagliate fuori. Quindi sì, potrai ricandidarti a far impresa e credito; magari nei primissimi tempi occhio a prendere finanziamenti prudentemente, perché rifallire no, altrimenti la seconda esdebitazione non è così scontata (c’è limite 5 anni se non erro per ripresentare).

D: Cosa rischio se, con debiti non pagati, inizio a lavorare come dipendente? Mi possono toccare lo stipendio?
R: Sì, un creditore con un titolo esecutivo (sentenza, decreto) può notificare al tuo datore un atto di pignoramento presso terzi relativo al tuo stipendio. Per legge sul tuo stipendio possono prendere al massimo 1/5 dell’importo netto (20%) ad eccezione di pignoramenti alimentari o multipli. Se hai più creditori, possono accumularsi ma comunque la somma dei pignoramenti ordinari non eccede il 50%. Se c’è anche un pignoramento fiscale, anche quello 1/5, e insieme a eventuale ordinario non più metà. Quindi, rischi di vederti decurtare il 20% ogni mese in busta paga, che il datore versa al creditore finché il debito (più interessi) è estinto. Stesso per pensione (ma con soglie minime impignorabili, di solito pensione minima INPS impignorabile per 1/2 di quella, etc.). Questo è uno dei motivi per cui a volte chi è indebitato resta nel sommerso o non ufficializza il lavoro… ma questa non è soluzione, è meglio sanare i debiti. Sappi anche che se inizi una procedura di composizione sovraindebitamento, il giudice può sospendere pignoramenti in corso (ad es. blocca la trattenuta sullo stipendio) e poi con l’omologa del piano quelle somme in pendenza vengono restituite al piano. Quindi c’è speranza di recuperare margine. Senza procedura, invece, se c’è pignoramento, solo un accordo col creditore può farlo cessare anticipatamente (pagando a saldo).

D: I debiti fiscali molto vecchi (ante 2000) sono usciti con la prescrizione decennale?
R: Ci sono stati provvedimenti di annullamento automatico di debiti molto datati: ad esempio, nel 2021 col “saldo e stralcio” del Governo Draghi furono automaticamente annullati i ruoli fino a €5.000 relativi a anni 2000-2010 (per chi aveva ISEE <30k). Nel 2023, il Governo ha annullato i ruoli fino a €1.000 affidati fino al 2015, limitatamente a interessi e sanzioni (il capitale residuo lo tolgono al volo se l’ente creditore non si oppone, e molti Comuni l’hanno fatto). Quindi dipende. Se hai cartelle molto vecchie, verifica le ultime leggi di bilancio: potresti scoprire che sotto una certa soglia le han stralciate d’ufficio. Altrimenti, la prescrizione è l’unico rimedio (es: cartella del ’98 non sollecitata, è di sicuro prescritta ora, potresti chiederne lo sgravio per intervenuta prescrizione all’ente). Norme cambiano di continuo, conviene fare un estratto conto presso Agenzia Riscossione e farti consigliare.

D: Se faccio un concordato minore o un piano, finirò sui giornali?
R: No, non c’è pubblicità sui giornali (quella accade per i fallimenti di società grandi). Le procedure di sovraindebitamento vengono iscritte in un Registro pubblico (Registro delle procedure di crisi, che in futuro sarà telematico) e sono soggette a decreto del tribunale pubblicato, ma non c’è affissione all’albo pretorio come per i fallimenti di una volta. Possono essere informati i creditori e ovviamente se hai beni immobili c’è annotazione in conservatoria (ad es. se apri una liquidazione, ne viene fatta menzione sui registri immobiliari). Ma la divulgazione è limitata al necessario. Non aspettarti clamore mediatico: un impresa di pulizie difficilmente fa notizia, e comunque l’elenco debitori esdebitati non è facilmente consultabile dal pubblico se non interessato. Più che altro, i creditori lo sapranno e questo rimane circoscritto.

D: Il mio debito con Agenzia Entrate include IVA non versata. È vero che l’IVA non si può mai tagliare?
R: Era vero un tempo: l’IVA, essendo un tributo “comunitario”, si diceva non potesse essere falcidiata nei concordati, obbligando al pagamento integrale (sennò violazione direttiva UE). Ma la Corte Costituzionale nel 2019 (sent. 245) ha dichiarato incostituzionale il divieto di falcidia dell’IVA per i soggetti sovraindebitati. E la legge di bilancio 2021 ha modificato la legge fallimentare permettendo il taglio anche nei concordati preventivi, purché lo Stato riceva almeno quanto otterrebbe se i beni del debitore fossero liquidati (principio del valore di realizzo). Quindi oggi puoi proporre di pagare solo una parte dell’IVA sia in un piano sovraindebitamento, sia in un concordato preventivo o minore. Devi però dimostrare che se liquidassi eventuali beni sottostanti (magari non ne hai) il Fisco comunque non otterrebbe di più. Se, ad esempio, l’IVA è €50k e tu non hai beni se non lo stipendio, la proposta di pagare es. €10k potrà passare se quell’€10k è comunque meglio di zero che otterrebbero dalla tua liquidazione. Il giudice e un attestatore indipendente devono certificare questa convenienza. Dunque, quell’assoluto “non tagliabile” è superato. Resta invece che l’IVA non pagata oltre soglia costituisce reato penale, ma se presenti una procedura e la risolvi, ciò potrebbe evitare la querela o comunque costituire attenuante. Attenzione a bilanciare anche questi aspetti. In sintesi: sì, l’IVA ora è trattabile in sede concorsuale, mentre fuori da procedure rimane integralmente dovuta salvo condoni straordinari (che finora non tolgono il capitale IVA, tolgono al più sanzioni e interessi).

D: Ho letto di “transazione fiscale”: cos’è esattamente?
R: La transazione fiscale è un termine tecnico per indicare un accordo con l’Erario e gli enti previdenziali all’interno di una procedura concorsuale. In un concordato o accordo di ristrutturazione, tu puoi proporre ad Agenzia Entrate e INPS di accettare un pagamento parziale o dilazionato dei loro crediti, in deroga al principio che sarebbero privilegiati. Nella proposta, alleghi una relazione tecnica che dimostra che stai offrendo loro almeno quanto ricaverebbero dalla tua liquidazione fallimentare. Se l’Agenzia aderisce formalmente, bene; se rifiuta ma la proposta li soddisfa in misura comunque conveniente, il tribunale in alcuni casi può omologare lo stesso superando il dissenso (cram-down). La transazione fiscale quindi è il meccanismo formale per “trattare” i debiti fiscali dentro la procedura, che di fatto coincide col poter falcidiare IVA, imposte, contributi. Fu introdotta nel 2006 per i concordati preventivi (art. 182-ter L.Fall) e poi estesa alle procedure minori. Oggi nel Codice della crisi se ne parla all’art. 63 per gli accordi e art. 88 per i concordati; e di recente hanno introdotto la possibilità di transazione fiscale anche nella composizione negoziata (D.Lgs. 136/2024). Per te, ex imprenditore, la questione è: se fai un concordato minore, stai di fatto facendo una transazione fiscale quando includi meno del 100% per il Fisco. Non devi fare un atto separato, è integrata nella proposta. “Transazione fiscale” spesso viene anche usato colloquialmente per dire “accordo con l’Agenzia Riscossione per pagare meno”, ma attenzione: fuori dalle procedure, l’Agenzia Entrate Riscossione non ha potere di accettare meno del dovuto caso per caso (ha le definizioni agevolate di legge ma non può fare transazioni ad personam). Solo in contenzioso giudiziale tributario è ammesso il accertamento con adesione o conciliazione (sconti su sanzioni o su quota controversa). Ma se il debito è certo liquido, no sconti privati. Dunque la transazione fiscale vera è materia concorsuale. Per concludere: è un capitolo tecnico, ma il tuo OCC o avvocato se fai il piano saprà predisporla correttamente.

D: Se aderisco alla rottamazione delle cartelle e poi non pago una rata, posso convertire in un piano di sovraindebitamento?
R: Sì, nulla te lo impedisce. La decadenza dalla rottamazione (cioè mancare il pagamento) fa rientrare i debiti al loro stato originario con sanzioni e interessi riagganciati. A quel punto, se sei sovraindebitato, puoi optare per la procedura concorsuale. Ovviamente, sarebbe stato meglio farlo prima magari. Tieni presente che la presentazione di un piano o liquidazione dopo aver aderito a rottamazione non sospende automaticamente la rottamazione: se vuoi sfruttare la definizione agevolata all’interno della procedura concorsuale, devi accollarne gli importi nel piano. Ad esempio, se hai rottamato €50k da pagare in 5 anni, potresti proporre ai creditori di considerare quel piano come la loro soddisfazione. Ma se non sei in grado, potresti invece dire: “non riesco a rispettare la rottamazione, offro meno in concordato”. La legge consente di presentare il piano anche se sei decaduto dalla rottamazione o mentre sei dentro (ci fu un dubbio se la rottamazione precludesse il concordato preventivo; direi di no, puoi sempre rinunciare e fare altro). In pratica: non sei vincolato in eterno, ma occhio che se salti la rottamazione e poi il piano non te lo omologano, resti col debito pieno e senza più agevolazioni.

D: In concreto, qual è la strategia consigliata per un ex imprenditore di pulizie indebitato?
R: Ogni caso è a sé, però un percorso comune è:

  1. Mappare tutti i debiti (tipologia, importi, creditori, eventuali garanzie, scadenze, atti ricevuti).
  2. Verificare se qualcuno dei debiti è annullabile o riducibile subito: prescrizioni maturate, errori formali, ecc. (es: una cartella mai notificata correttamente, un decreto ingiuntivo oltre termini).
  3. Calcolare il proprio patrimonio e reddito disponibile: cosa posso realisticamente pagare? Ho beni cedibili volontariamente?
  4. Se i debiti sono relativamente gestibili con un piano di rate o qualche sconto, tentare prima strade stragiudiziali: contattare creditori chiave per accordo. In parallelo, aderire a eventuali rottamazioni per i fiscali (se posso sostenere l’importo).
  5. Se il punto 4 non risolve (es. troppi creditori eterogenei, o importo comunque ingestibile), allora rivolgersi a un professionista/OCC per valutare la procedura concorsuale adatta. Se ho reddito e voglio tenere la casa -> puntare su un Piano/Concordato minore proponendo di pagare una parte del debito su tot anni. Se non ho nulla da offrire e la situazione è compromessa -> fare Liquidazione controllata (o esdebitazione senza utilità se proprio zero).
  6. Nel frattempo, evitare di peggiorare la situazione: non contrarre nuovi debiti (se non strettamente necessari per vivere), non disperdere i beni (no vendite sottocosto ai parenti), mantenere la documentazione contabile/finanziaria ordinata per presentarla in procedura (questo serve per mostrare trasparenza).
  7. Valutare eventuali opportunità di reimpiego: se trovo un lavoro stabile, magari preferisco un piano per preservare quell’entrata senza subire troppi pignoramenti (il piano può modulare meglio le uscite mensili).
  8. Se alcuni debiti sono stati garantiti (es. i tuoi genitori garanti di un prestito), considera un approccio coordinato: la procedura di sovraindebitamento non copre i tuoi garanti (loro non sono protetti dalla tua esdebitazione, purtroppo). Quindi andrà risolta a parte (o loro pagano e diventano creditori tuoi – e pure loro possono attivare sovraindebitamento se necessario).
  9. Infine, seguire scrupolosamente le indicazioni dell’OCC o del legale: è un percorso non breve (diversi mesi per arrivare all’omologa, e poi anni di esecuzione forse) ma la liberazione finale dal peso dei debiti giustifica la disciplina necessaria.

Queste FAQ coprono vari aspetti pratici. Passiamo ora a vedere alcune simulazioni di casi concreti, per comprendere meglio come applicare gli strumenti visti in situazioni tipiche.

Simulazioni pratiche (casi reali semplificati)

Caso 1: Ditta individuale di pulizie con debiti tributari e bancari, proprietario di prima casa
Mario aveva una piccola impresa di pulizie (ditta individuale). Nel 2023 ha chiuso l’attività a causa di calo fatturato. Rimangono debiti per circa €80.000: in particolare €30.000 di IVA e IRPEF non pagati degli ultimi anni, €10.000 di contributi INPS, €20.000 verso fornitori di prodotti detergenti, €15.000 residuo di un prestito bancario (fideiussione di Mario), €5.000 di bollette e altre spese. Mario possiede una casa di abitazione (valore €100.000, su cui grava un mutuo residuo di €40.000 con rate regolari) e un’auto del 2015. Lavora come dipendente presso un supermercato con stipendio €1.300 al mese. Come può difendersi?

  • Analisi: Mario è debitore non fallibile (ditta individuale sotto soglie). I creditori fiscali hanno iscritto ipoteca legale sulla casa (per debiti fiscali >20k) ma non possono espropriarla essendo prima casa e unico immobile, a meno che il debito superi 120k (non è questo il caso). Tuttavia, la banca potrebbe agire (ha ipoteca per il mutuo). I fornitori potrebbero tentare pignoramento stipendio. Mario, con 1.300€/mese, tolto il mutuo (€300/mese) e spese di sopravvivenza, può offrire ai creditori forse €200 al mese (=€2.400/anno). Per €80.000 di debiti, significherebbe 33 anni per pagare tutto: impossibile. Dunque, la soluzione extragiudiziale appare insufficiente, a meno che i creditori accettino grossi stralci (improbabile per il Fisco salvo rottamazioni).
  • Strategia: Mario si rivolge a un OCC e propone un Piano del consumatore (perché i debiti IVA/IRPEF sono d’impresa, lui non è “consumatore” su quelli – tuttavia, potrebbe agire come concordato minore perché i debiti sono legati all’attività, meglio dire concordato minore). Pianifica di mantenere la casa e l’auto. Offre ai creditori: mantenimento pagamento mutuo per non far decadere l’ipoteca 1° grado (quindi banca soddisfatta integralmente col tempo) e ai creditori chirografari e privilegiati residuali offre il suo bonus di €200/mese per 4 anni (= €9.600) più la vendita dell’auto (€5.000). Totale €14.600 da distribuire. Occorre rispettare i privilegi: IVA e INPS sono privilegiati, quindi nel piano Mario destina, ad esempio, €9.600 prioritariamente a INPS e parte di IVA, stimando che in una liquidazione casa non sarebbe comunque vendibile (essendo protetta) e l’auto frutterebbe simile. I fornitori e altri chirografari prenderebbero poco (diciamo 5% dei loro crediti). Il gestore OCC attesta che se si liquidasse la casa non si potrebbe perché legge 2013 la tutela, e comunque c’è mutuo pari al valore quasi; l’auto venduta coprirebbe appena le spese; lo stipendio pignorabile è 1/5 = 260€/mese, dunque in 4 anni i creditori avrebbero avuto max 12.500; la proposta offre 14.600, quindi è migliorativa. Il giudice valuta la meritevolezza: Mario ha chiuso per crisi, non per frode, e ha mantenuto attivo solo la casa familiare; appare meritevole. L’Agenzia Entrate si vede offrire magari €6.000 su €30.000 (20%) ma se vendesse quell’ipoteca non poteva attivarla – e comunque quel 20% è di più del nulla attuale. I fornitori prendono briciole ma altrimenti non avrebbero nulla (Mario nullatenente di beni aggredibili). Il giudice omologa il concordato minore. Mario per 4 anni versa €200/mese all’OCC, l’auto è venduta e aggiunta. I creditori vengono pagati secondo il piano. Finito il periodo, Mario ottiene l’esdebitazione: il mutuo continua a pagar solo quello, l’IVA residua e tutto il resto stralciato e non più dovuto. La casa è salva, ipoteca fiscale verrà rimossa (perché debito fiscale soddisfatto parzialmente ma esdebitato per saldo). Mario ha perso l’auto ma se ne farà una ragione. Il suo stipendio non è stato pignorato, ha vissuto con 1.100 invece di 1.300 al mese per 4 anni, poi torna libero economicamente.

Caso 2: Società di persone insolvente e responsabilità soci
La “Pulito&Soci SNC” (di Alice e Bruno) ha cessato attività nel 2024 con €150.000 di debiti (fornitori €50k, Equitalia €70k tra IVA, ritenute e sanzioni, dipendenti €30k di TFR e stipendi). La società non aveva immobili, solo qualche attrezzatura liquidata per €10k poi usati per pagare in parte i dipendenti. I soci hanno proprietà personali: Alice ha una seconda casa ereditata (valore €80k) e Bruno nulla. Dopo un anno dalla chiusura, arrivano ai soci richieste di pagamento. Cosa possono fare?

  • Analisi: La società non è stata dichiarata fallita (forse sotto soglie). I soci Alice e Bruno sono illimitatamente responsabili solidali per quei €150k. I creditori possono chiederlo a uno o all’altro. Probabilmente punteranno su Alice che ha un immobile di valore. Il Fisco in particolare può perseguirli ex art. 2495 c.c., ma deve provare che hanno riscosso qualcosa in liquidazione. Hanno ricevuto €0 (hanno anzi usato 10k per dipendenti, non in tasca loro). Secondo Cass. SS.UU. 2025, l’Agenzia dovrà fare causa a loro per far accertare eventuali attivi percepiti (che non ci sono), quindi sarà un contenzioso. I fornitori invece non stanno a sofismi: portano decreto ingiuntivo contro Alice e Bruno per l’intero.
  • Strategia: Alice e Bruno decidono di sfruttare la procedura familiare di sovraindebitamento (novità CCII) perché conviventi e la crisi ha origine comune – in verità sono soci, non parenti, ma potrebbero comunque presentare un’unica procedura congiunta se convivessero o se la legge lo permette per soci? (La legge parla di membri stessa famiglia conviventi con origine comune, qui non è detto che lo siano; se non applicabile fanno due separate coordinate). Mettono sul piatto ciò che possono: Alice offre di vendere la sua seconda casa (80k) e Bruno offre una piccola somma raccolta da parenti (€5k) più il fatto che sta lavorando e può dare €200/mese per 3 anni. Totale risorse: €80k + €5k + €7.2k = €92.2k. Debiti €150k. Proposta di concordato minore con continuità indiretta (loro non fanno più impresa, ma continuità irrilevante) per pagare creditori privilegiati: dipendenti €30k integrali (devono, per privilegio di lavoro), Fisco: di €70k offrono €42k (circa 60%) che è quanto uscirebbe vendendo l’immobile al netto delle spese; fornitori €50k riceveranno il resto pro-rata (~40%). I creditori votano: i dipendenti (INPS surrogata) ok, il Fisco con 60% forse vota sì o comunque, se dissente ma la maggioranza 50% è raggiunta, il tribunale può omologare coattivamente perché soddisfa >50% per l’Erario ed ha adesione da altri creditori (nel caso presentiamo scenario con altri creditori >25% hanno detto sì, e Fisco offre 60% > 50% soglia). Il giudice omologa. L’immobile di Alice viene venduto dal liquidatore concordatario e produce €80k, Bruno versa le sue quote. I creditori ottengono: dipendenti 100%, Fisco ~60%, fornitori ~24% (40% del loro credito residuo dopo i privilegi). Poi il tribunale dichiara esdebitazione: i €150k meno quanto pagato sono cancellati. Alice e Bruno non devono più nulla a nessuno, anche se non hanno pagato tutto (fornitori e Fisco in parte non incassato). Hanno perso la casa di Alice, ma evitato un pignoramento magari più penalizzante. Volendo, potevano anche considerare liquidazione controllata: lì l’esdebitazione sarebbe arrivata comunque ma la ripartizione magari meno favorevole (dipendenti 100% comunque, Fisco e fornitori pro-rata sul 80k bene: Fisco come privilegiato avrebbe preso tutto l’80k quasi e fornitori zero – mentre col concordato hanno ottenuto qualcosa).

Caso 3: Ex SRL con debiti sociali e garanzie personali
Luigi era amministratore e socio unico di “Lindo S.r.l.” (capitale €10k). La società ha chiuso nel 2022 con debiti: €100k banca per un finanziamento Covid garantito dal 90% MCC e con fideiussione di Luigi per il 10%; €40k debiti fornitori; €60k debiti fiscali (IVA) e INPS dipendenti; €20k utenze e vari. La Srl aveva beni modesti venduti per €30k usati per pagare parzialmente fornitori prima di chiudere. Dopo la cancellazione, la banca chiede a Luigi €10k (sua fideiussione quota non coperta da garanzia statale), i fornitori lo citano ex 2495 c.c. perché dicono che quei €30k sono stati usati magari male, il Fisco minaccia responsabilità ex art.36 DPR 602/73 per aver pagato fornitori con quei €30k invece di IVA. Luigi personalmente non ha immobili, solo un’auto, vive in affitto, ha ricominciato come dipendente (€1.500 mese).

  • Analisi: Essendo Srl, Luigi di per sé non doveva rispondere, ma: ha la fideiussione per banca (€10k) – debito suo certo. Poi i fornitori possono richiedere i soldi in base all’attivo distribuito: in realtà Luigi non ha preso nulla, però i €30k sono andati a alcuni fornitori scelti prima di chiudere (pagando magari i più insistenti). Gli altri fornitori potrebbero sostenere che quell’attivo doveva andare proporzionalmente o essere usato per Fisco prima di pagare chirografari – questo genera potenziale azione di responsabilità o revocatoria verso quei pagamenti. Il Fisco con art.36 effettivamente vede che Luigi, come liquidatore di fatto, ha pagato debiti di ordine inferiore (fornitori) prima del debito Erario (IVA €60k) rimanendo insoluto: può chiedergli conto di quell’ammanco fino a €30k. Luigi rischia quindi: €10k banca + €30k potenziale verso AdE = €40k quasi sicuri da dover pagare. Più eventuali cause fornitori. In totale, consideriamo che Luigi ha esposizione personale intorno 40-50k.
  • Strategia: Luigi può prevenire l’aggressione avviando una procedura da sovraindebitamento come consumatore se questi debiti si qualificassero consumer: ma no, sono debiti legati all’impresa (fideiussione per Srl, responsabilità liquidatore – li definiscono di origine imprenditoriale anche se giuridicamente nuovi). Quindi direi un concordato minore. Ha 1.500 mese stipendio, può offrire ad esempio €300/mese per 5 anni = €18k, più la vendita auto €5k, totale ~€23k. Debiti stimati €40k. Propone di pagare così: all’Agenzia Entrate (che formalmente vanterebbe 30k su di lui) offre €15k; alla banca (10k) e fornitori (che faranno valere 10k residui? Non chiarissimo, ma supponiamo) il resto pro quota. I creditori votano: AdE è classe privilegiata col 50% offerto (dovrebbe equivalere al realizzo – Luigi non ha altro, quindi ok), banca e fornitori forse prendono il 40%. Se passa, Luigi paga 300€/mese e chiude. Esdebitazione: il provvedimento di omologa includerà l’estinzione di ogni obbligazione personale residua legata a quei fatti. Beneficio: AdE non lo perseguita oltre per art.36, i fornitori non possono più chiedere nulla (anche se gli dovevano qualcosa in base 2495), la banca se non ha recuperato la parte garantita dal fondo l’ha presa dal fondo e comunque la sua parte Luigi la paga in percentuale. Luigi mantiene il suo stipendio salvo quella quota, e tra 5 anni sarà libero di ogni conseguenza del fallimento della Srl.
  • Nota: se Luigi non facesse nulla, rischierebbe: AdE potrebbe iscrivergli un avviso per 30k e andargli a pignorare lo stipendio (20%), i fornitori avviare cause (costose per loro, magari fanno decreti e pignorano stipendio pure loro – uno alla volta però). Avrebbe un futuro con probabilmente 2 quinti stipendio pignorati per molti anni. La procedura unifica tutto in un 1/5 circa e con orizzonte temporale definito e liberazione finale.

Caso 4: Sovraindebitamento “incapiente”
Giovanni, ex imprenditore individuale, ha 60 anni, in seguito a dissesto ha perso tutto: la casa all’asta, l’auto rottamata. Ha debiti per €200.000 (soprattutto bancari e fiscali) rimasti insoddisfatti dopo vendite giudiziarie. Ora vive in affitto e campa con lavori saltuari dichiarando reddito modesto. Non possiede nulla di intestato, né conti attivi. I creditori ogni tanto mandano solleciti ma non possono pigliargli nulla. Giovanni però non può chiedere finanziamenti, né intestarsi niente, perché verrebbe aggredito. Soluzione?

  • Questo è il caso tipico per l’esdebitazione del debitore incapiente. Giovanni si rivolge all’OCC, dimostra di essere nullatenente (visure zero, conto meno di 1000 euro), allega ISEE basso, spiega che il suo indebitamento fu dovuto al fallimento e lui non ha frodato (la casa è stata presa regolarmente dai creditori, non l’ha regalata a nessuno). L’OCC deposita ricorso. I creditori vengono avvisati: possono presentare opposizione se avessero elementi (ma qui no). Il tribunale concede la cancellazione di tutti i €200k di debiti. Da quel momento, Giovanni è libero: se un creditore lo chiama può rispondere “sono stato esdebitato dal Tribunale di X, procedura tal dei tali”. Dovrà solo, per i prossimi 4 anni, comunicare ogni anno all’OCC se il suo reddito cambia. Supponiamo che l’anno dopo Giovanni inaspettatamente vinca €50.000 al Superenalotto. La legge dice: se quelle utilità sopravvenute permettono di pagare almeno il 10% del dovuto originario (cioè almeno €20.000, nel suo caso sì, 50k è >10% di 200k), deve attivarle per i creditori. Quindi dovrebbe pagare fino a €20.000 ai vecchi creditori, ripartiti proporzionalmente. Il resto 30k se lo tiene. L’esdebitazione non verrebbe revocata – ha solo l’obbligo di contribuire con quella soglia. Se invece non gli capita nulla per 4 anni, fine: i creditori non potranno più nemmeno pretendere la parte del 10% se poi dopo 5 anni si arricchisse (finito il quadriennio l’obbligo cessa). In ogni caso, la sua posizione creditizia è pulita.
  • Questo meccanismo consente a Giovanni di tornare ad esempio a fare lavori alla luce del sole, intestarsi un’auto se gli serve, ecc., senza timore di vederseli tolti per vecchi debiti. Anche psicologicamente, un gran sollievo – potrà pensare alla pensione senza vedersela decurtare per debiti del passato.
  • Va sottolineato: se risultasse che Giovanni aveva magari nascosto dei risparmi sotto il materasso o all’estero e l’hanno beccato nei 4 anni, rischierebbe la revoca del beneficio e magari denunce. Ma se è sincero e davvero era vittima delle circostanze, la legge lo tutela.

Queste simulazioni mostrano come, variando le situazioni (e i tipi di debito, patrimonio residuo, forma giuridica dell’impresa), esistano diverse vie di uscita dal sovraindebitamento. In tutti i casi però l’elemento comune è la proattività del debitore: è lui che deve muoversi, cercare accordi o attivare procedure, prima che i creditori azionino misure irreversibili. Una volta incanalata la situazione in un percorso legale appropriato, il debitore passa da una condizione di “bersaglio mobile” per i creditori a una condizione di soggetto protetto che sta affrontando la crisi in modo ordinato e con una luce alla fine del tunnel (la liberazione dai debiti e la ripartenza).

Conclusioni

Essere un ex titolare di un’impresa di pulizie indebitato è senza dubbio una condizione difficile e stressante. Tuttavia, la legge italiana oggi offre una gamma di strumenti per difendersi dai debiti e, se il debitore agisce in buona fede, per tornare in bonis in tempi ragionevoli. Il punto di vista del debitore, adottato in questa guida, ci fa comprendere che:

  • È fondamentale conoscere i propri diritti e doveri: ad esempio sapere quali beni sono impignorabili (la prima casa in certi casi, alcuni stipendi entro limiti), quali termini di prescrizione giocano a proprio favore, e quali comportamenti evitare (non nascondere attivi, non contrarre nuovi debiti inutili, non favorire alcuni creditori a scapito di altri in modo illegittimo).
  • Occorre valutare con lucidità la propria situazione economica e scegliere la soluzione appropriata: se il debito è sostenibile, negoziare; se è insostenibile, attivare quanto prima le procedure concorsuali minori per congelare la situazione e giungere a uno stralcio giudiziale o a una liquidazione con esdebitazione.
  • Le recenti sentenze della Cassazione e le riforme normative hanno perlopiù migliorato le tutele per il debitore sovraindebitato (pur mantenendo equilibrio con gli interessi dei creditori). Ad esempio, oggi la responsabilità dei soci per debiti di società estinte è ben delimitata, la responsabilità del liquidatore fiscale è chiara ma confinata all’attivo distratto, l’IVA e i tributi possono essere falcidiati nei piani, e il debitore incapiente può davvero ottenere un condono totale. Questo indica un clima più favorevole al fresh start del debitore onesto.
  • Dal punto di vista pratico, la chiave è spesso affidarsi a professionisti specializzati (avvocati, OCC) e non aspettare troppo: più tempo passa, più interessi maturano, più qualche creditore potrebbe prendere iniziative isolate pregiudizievoli (come pignoramenti di beni critici). Invece, un intervento tempestivo può bloccare sul nascere un’asta, o evitare di far lievitare il debito con sanzioni.
  • Infine, c’è anche una componente psicologica e sociale: affrontare legalmente il problema dei debiti può togliere il debitore dallo stato di angoscia e inattività in cui spesso precipita (il “blocco” per vergogna o paura). Sapere che esiste una via d’uscita regolamentata può ridare motivazione a riprendere un lavoro normale senza lo spettro perenne dei creditori.

Il debitore ex imprenditore non è più visto come un “fallito colpevole” a vita, ma come una persona che può avere un secondo inizio (“fresh start”), in linea con quanto auspicato anche dall’UE (direttiva 2019/1023). Questa guida, con le sue oltre 10.000 parole, ha cercato di fornire una panoramica esaustiva e aggiornata al luglio 2025 degli strumenti di difesa, arricchita da riferimenti normativi e giurisprudenziali autorevoli.

Naturalmente ogni situazione personale va valutata nel dettaglio e nessuna guida può sostituire la consulenza professionale caso-specifica. Ma speriamo che queste informazioni possano servire da mappa per orientarsi nel labirinto del diritto fallimentare e tributario, con l’obiettivo di uscire dalla condizione di sovraindebitamento in modo dignitoso e legale.

In sintesi: se sei un ex titolare d’impresa indebitato, non sei senza speranze. Con metodo, trasparenza e l’ausilio delle leggi vigenti, puoi difenderti dalle pretese ingiuste, ridurre il carico debitorio e, nei casi estremi, perfino ottenere la cancellazione totale dei tuoi debiti residui. Ciò ti permetterà di tornare a guardare al futuro senza il peso del passato, contribuendo di nuovo attivamente all’economia e alla società, da cittadino economicamente “riabilitato”.


Fonti e riferimenti normativi

  • Codice Civile: in particolare artt. 2740 (responsabilità patrimoniale), 2291 (responsabilità soci SNC), 2312 (società di persone liquidazione), 2495 (cancellazione società di capitali e responsabilità soci), 2476 (responsabilità organi SRL).
  • D.P.R. 602/1973 art. 36 – Responsabilità del liquidatore per pagamento debiti tributari con violazione ordine dei crediti.
  • Legge 3/2012 (vecchia legge sul sovraindebitamento, c.d. “salva suicidi”) – disposizioni generali e successive modifiche da L. 221/2012, L. 176/2020.
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 15/7/2022, articoli:
    • 65-83 (Procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento: definizioni, ambito soggettivo, piano consumatore, concordato minore, contenuti, omologazione).
    • 268-277 (Liquidazione controllata del sovraindebitato, effetti e chiusura).
    • 278-283 (Esdebitazione: art. 282 esdebitazione “di diritto” dopo 3 anni, art. 283 esdebitazione debitore incapiente con condizioni 4 anni).
    • 63 e 88 (Transazione fiscale e contributiva nelle procedure – dopo modifiche 2023/24).
  • Decreto Legge 69/2013 conv. L.98/2013 art.52 – Impignorabilità prima casa da parte di Equitalia: modifica art.76 DPR 602/73 e soglia €120.000.
  • Corte Costituzionale sentenza n. 245/2019 – illegittimità divieto falcidia IVA nei piani di sovraindebitamento.
  • Corte di Cassazione:
    • Sez. Unite n. 6070/2013 – principi su fenomeno successorio soci dopo cancellazione società.
    • Sez. Unite n. 32790/2023 – natura autonoma e civilistica responsabilità liquidatore ex art.36 DPR 602/73.
    • Ord. n. 20014/2024 Cass. Sez. Trib. – conferma principi SU 2023 su liquidatore: condotte tipiche di responsabilità e irrilevanza preventiva iscrizione a ruolo.
    • Sez. Unite n. 3625/2025 – responsabilità soci SRL ex art.2495: riscossione quota di liquidazione come limite e condizione dell’azione; accertamento in giudizio separato e non legittimazione automatica.
    • Sent. Cass. n. 4613/2023 – sovraindebitamento: tutela del creditore ipotecario, piano non omologabile se gli offre meno del ricavabile in liquidazione (anche considerando atti in frode).
    • Cass. civ. Sez. I n. 28505/2024 – ribadisce requisiti per esdebitazione: valutazione situazione economica complessiva, oggettivo stato insolvenza; nessuna soglia minima soddisfo creditori.
    • Cass. civ. Sez. I n. 26300/2024 – rapporti tra esecuzioni individuali e procedure sovraindebitamento: (presumibilmente conferma che l’ammissione alla procedura consente sospensione pignoramenti, ecc.).
    • Cass. Pen. in materia omesso versamento IVA/art.10ter e riflessi procedure: (non citata sopra ma rilevante se discorso penale).
  • Tribunali di merito:
    • Trib. Lecco 29.11.2021 – su limite AdER in esecuzione altrui su prima casa (AdER non può proseguire se creditore originario rinuncia).
    • Vari decreti di omologazione esdebitazione incapiente 2021-2022 (es. Trib. Napoli su ludopatia meritevole).
  • Normativa fiscale recente:
    • L. 197/2022 (Bilancio 2023) – Definizione agevolata 2023 (rottamazione-quater): elimina sanzioni e interessi cartelle 2000-30/6/2022, rate fino 18 (5 anni).
    • DL 34/2023 conv. L.56/2023 – modifiche scadenze rottamazione-quater (es. prima/seconda rata 31/10/23).
    • DL 51/2023 conv. L.87/2023 – rinvio termini domanda rottamazione? (non sicuro).
    • DL 29/2023 conv. L. 58/2023 – stralcio automatico mini-debiti <€1000 al 2015 (attuazione L.197/22).
    • L. 178/2020 (Bilancio 2021) – introdotto cram-down fiscale (modifica art.182-ter L.Fall).
    • D.Lgs. 83/2022 (Correttivo Codice crisi “bis”) – adeguamenti terminologia.
    • D.Lgs. 136/2024 (Correttivo “ter”, in vigore da settembre 2024) – migliora regole concordato minore (es. esteso cram-down?), piani risanamento, transazione fiscale anche in composizione negoziata; ad es. art. 23 co.2-bis CCII su transazione fiscale nei piani attestati.
    • DL 69/2023 conv. L.103/2023 (cd. “Decreto Lavoro 2023”) – introduce soglie minime 30%/40% per cram-down fiscale negli accordi e PRO.
    • DL 145/2023 (DL “Asset” o Bilancio 2024??) – parere conforme AE per sconti >70% e >30mln (cita nel testo).

Hai chiuso l’impresa di pulizie ma i debiti restano? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Se hai gestito un’impresa di pulizie e, nonostante la chiusura dell’attività, ti ritrovi sommerso dai debiti, non sei solo.
Molti ex titolari si trovano nella tua situazione, con cartelle, solleciti o pignoramenti anche dopo aver cessato l’attività.
La buona notizia è che la legge ti consente di difenderti e ripartire.


Perché i debiti non scompaiono con la chiusura della ditta?

Chi gestisce un’impresa individuale risponde con il proprio patrimonio personale dei debiti contratti, anche dopo la chiusura.
Ecco cosa può restare in sospeso:

  • 🧾 Debiti fiscali e contributivi (INPS, Agenzia delle Entrate, cartelle)
  • 💳 Prestiti bancari e fidi
  • 💼 Fornitori non pagati
  • ⚖️ Azioni esecutive già avviate o in fase di notifica
  • 🏠 Rischio di pignoramento di stipendio, conto o immobili

Cosa puoi fare legalmente per difenderti?

La Legge 3/2012 (oggi parte del Codice della Crisi) ti offre soluzioni specifiche per ex imprenditori sovraindebitati, come:

  1. ⚖️ Liquidazione controllata del patrimonio: consente di liberarti dai debiti cedendo volontariamente i tuoi beni
  2. ✍️ Piano del consumatore (se oggi non svolgi più attività d’impresa) per rateizzare i debiti in modo sostenibile
  3. Esdebitazione del debitore incapiente se non hai nulla da offrire ma agisci in buona fede
  4. 🔒 Blocco immediato di pignoramenti, interessi e pressioni dei creditori
  5. 🔁 Possibilità di ricominciare da zero con tutela legale

E se hai beni intestati o garanzie prestate?

In caso di immobili, auto o garanzie personali su finanziamenti:

  • 🏠 È possibile proteggerli se rientrano nella prima casa o se la loro vendita non è necessaria
  • 📉 Se il valore è basso o insufficiente, il giudice può comunque concedere l’esdebitazione
  • ⚖️ È essenziale un’analisi dettagliata della situazione patrimoniale per scegliere la strategia più efficace

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Analizza la tua situazione debitoria pregressa e attuale
🧾 Valuta la possibilità di accedere a una procedura di sovraindebitamento
✍️ Redige il piano da presentare all’Organismo di Composizione della Crisi
⚖️ Ti rappresenta in tribunale e blocca eventuali azioni esecutive in corso
🔁 Ti guida fino all’esdebitazione finale, per tornare libero da ogni pendenza


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in crisi d’impresa e difesa dell’ex imprenditore individuale
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per debiti con Agenzia Entrate-Riscossione, INPS e banche
✔️ Autore di piani di liquidazione e ricorsi accolti per esdebitazione
✔️ Consulente per ex artigiani, commercianti, microimprenditori e ditte individuali


Conclusione

Chiudere l’impresa non significa chiudere con i debiti. Ma oggi puoi affrontare la situazione in modo legale, protetto e definitivo.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi bloccare i creditori, ripulire la tua posizione e accedere a un futuro senza debiti.

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