Hai un’agenzia pubblicitaria e ti ritrovi sommerso dai debiti fiscali, contributivi o verso fornitori? L’Agenzia delle Entrate ti ha notificato cartelle, richieste di pagamento o minaccia azioni esecutive? Ti chiedi se puoi salvare l’attività o se è troppo tardi per reagire?
Il settore pubblicitario è tra i più esposti a problemi di liquidità, ritardi nei pagamenti dei clienti e costi fissi crescenti. Ma anche se la tua agenzia è in difficoltà, puoi ancora difenderti legalmente, bloccare le azioni dei creditori e provare a ristrutturare il debito per evitare la chiusura.
Quali sono i debiti più comuni nelle agenzie pubblicitarie?
– IVA non versata per mancanza di incassi
– Contributi INPS e INAIL arretrati per dipendenti o collaboratori
– Cartelle esattoriali e avvisi bonari accumulati negli anni
– Fatture non pagate a fornitori, freelance o tipografie
– Debiti per leasing, noleggi e canoni pubblicitari
Cosa puoi fare per difenderti dai creditori e salvare l’agenzia?
– Verificare la legittimità e la prescrizione delle cartelle esattoriali
– Attivare la composizione negoziata della crisi, anche se sei ancora operativo
– Richiedere l’accesso alla procedura di sovraindebitamento per imprenditori minori
– Proporre un accordo di ristrutturazione del debito o un concordato semplificato
– Bloccare i pignoramenti in corso e sospendere le azioni esecutive con l’intervento del tribunale
Quando è il momento di agire?
– Se ricevi intimazioni di pagamento, preavvisi di fermo o pignoramento
– Se non riesci più a pagare fornitori o dipendenti regolarmente
– Se il conto aziendale è bloccato o in rosso
– Se sei in ritardo con più di due scadenze fiscali o contributive
– Se rischi di perdere clienti perché non puoi più garantire continuità operativa
Cosa NON devi fare mai?
– Continuare ad accumulare debiti nella speranza che il mercato migliori da solo
– Liquidare l’attività in modo disordinato, lasciando debiti aperti
– Accettare accordi a voce con i creditori senza un piano protetto legalmente
– Pensare che “non si può più fare niente” se hai ricevuto un preavviso di esecuzione
Anche un’agenzia pubblicitaria in crisi può ristrutturarsi, ripartire o chiudere in modo ordinato, evitando danni personali e proteggendo la reputazione. Serve però agire subito, con un piano legale e finanziario serio.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa e contenzioso fiscale – ti spiega cosa fare se hai un’agenzia pubblicitaria con debiti, come bloccare le azioni dei creditori e quali soluzioni legali esistono per salvare il tuo lavoro.
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Introduzione
Un’agenzia pubblicitaria in difficoltà finanziaria può trovarsi schiacciata da debiti di vario tipo: tasse arretrate, contributi previdenziali non versati, fatture dei fornitori insolute, rate di mutui o finanziamenti, stipendi dipendenti, e così via. Dal punto di vista del debitore, l’obiettivo primario è azzerare o ridurre drasticamente questi debiti in modo legale, ottenendo un “fresh start” (nuovo inizio) e, possibilmente, salvare l’attività imprenditoriale. In Italia esiste oggi una gamma articolata di strumenti giuridici per affrontare il sovraindebitamento d’impresa, frutto di una profonda evoluzione normativa culminata nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 2022 e successivamente modificato sino al 2025). Questa guida, aggiornata a luglio 2025, offre un’analisi avanzata – con taglio tecnico ma divulgativo – di tali strumenti: dalla composizione negoziata della crisi alle procedure concorsuali (accordi di ristrutturazione, concordato preventivo o “minore”, liquidazione giudiziale o controllata), fino alle soluzioni specifiche per sovraindebitamento e alla transazione fiscale per i debiti con Erario e previdenza. Il tutto corredato da riferimenti normativi, sentenze aggiornate e simulazioni pratiche riferite all’ordinamento italiano, per fornire una panoramica completa a professionisti, imprenditori e privati su come un debitore possa legalmente “azzerare” i propri debiti o comunque gestirli in modo sostenibile.
Prima di entrare nel vivo, è bene chiarire che “azzerare i debiti” raramente significa cancellarli integralmente senza pagamento: nella maggior parte dei casi, il debitore dovrà offrire ai creditori quanto è effettivamente possibile pagare, in base alle proprie risorse e al valore di liquidazione del patrimonio, ottenendo in cambio l’esdebitazione del residuo (lo stralcio della parte non pagata). L’ordinamento, infatti, mira a consentire al debitore in buona fede di superare la crisi pagando i creditori in misura proporzionata alle sue capacità, e contestualmente di cancellare i debiti insostenibili per ripartire senza il “fardello” delle obbligazioni pregresse. Le procedure descritte di seguito – se ben utilizzate e in presenza dei presupposti di legge – realizzano proprio questo bilanciamento: da un lato soddisfano (almeno in parte) le pretese dei creditori secondo criteri di equità e par conditio, dall’altro liberano il debitore dalle passività eccedenti, evitandone la “morte civile” economica.
Tipologie di Debiti di un’Agenzia e Implicazioni Giuridiche
Un’agenzia pubblicitaria può accumulare diverse tipologie di debiti, ciascuna con caratteristiche giuridiche specifiche che influiscono sulle possibilità di riduzione o annullamento tramite le procedure di gestione della crisi. Di seguito esaminiamo i principali tipi di credito e le relative implicazioni legali:
- Debiti fiscali (Erario) – Comprendono imposte come IVA, IRES/IRPEF, ritenute sui dipendenti, ecc. Questi crediti sono normalmente privilegiati per legge (hanno preferenza nel pagamento) e talvolta indisponibili (in passato l’IVA non poteva essere falcidiata nei piani, se non pagando integralmente). In linea generale, fuori da procedure concorsuali il Fisco difficilmente accetta rinunce significative: il pagamento integrale è la regola, salvo interventi legislativi straordinari (si pensi alle “rottamazioni” delle cartelle esattoriali) o l’utilizzo della transazione fiscale nelle procedure di crisi (approfondita più avanti). È bene notare che sanzioni e interessi sui tributi, invece, possono più facilmente essere condonati o ridotti nelle transazioni e definizioni agevolate. Ad esempio, la Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) ha disposto l’annullamento automatico di interessi di mora e sanzioni per i debiti affidati all’Agente della Riscossione dal 2000 al 2015 fino a €1.000, nonché una definizione agevolata (rottamazione-quater) per i carichi fiscali fino al 2017 (pagamento del solo capitale e interessi iscritti a ruolo, senza sanzioni né ulteriori interessi). In mancanza di simili norme di favore, però, i debiti tributari rimangono tra i più difficili da “azzerare” totalmente, a meno di attivare strumenti concorsuali specifici.
- Debiti previdenziali (INPS, INAIL) – Si tratta dei contributi obbligatori per dipendenti o autonomi. Godono anch’essi di privilegio generale sul patrimonio del debitore, similmente ai tributi. La legge italiana prevede la transazione contributiva (unitamente a quella fiscale) nelle procedure concorsuali, consentendo di dilazionare o ridurre parzialmente anche tali crediti. Tuttavia, nella prassi gli enti previdenziali tendono a esigere una soglia minima elevata di soddisfazione (spesso non meno del 80-90% del dovuto) per aderire a piani di stralcio – soglia non legale ma determinata dalla loro rigidità istituzionale. Ad ogni modo, contributi previdenziali e premi assicurativi possono essere falcidiati (ridotti) all’interno di concordati o accordi omologati, purché sia garantito almeno il rispetto del paradigma di convenienza (ovvero che l’ente non riceva meno di quanto otterrebbe in una liquidazione).
- Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari – I fornitori commerciali, i professionisti non pagati, i fornitori di servizi (utenze, affitti, ecc.) sono creditori chirografari (senza garanzie né privilegi speciali). Essi, in assenza di procedure concorsuali, possono agire individualmente per il recupero coattivo (decreti ingiuntivi, pignoramenti). In una procedura di composizione della crisi, i chirografari sono generalmente i primi candidati alla falcidia: è legittimo proporre il pagamento parziale e dilazionato dei loro crediti, in quanto, essendo residuali, sopportano il rischio d’impresa. Nei piani di ristrutturazione e nei concordati, ai crediti chirografari può essere riservato un trattamento deteriore (anche pochi centesimi per euro di credito) a condizione che non sia manifestamente irrisorio o peggiorativo rispetto alla liquidazione giudiziale. La Corte di Cassazione ha di recente confermato che non esiste una soglia minima di pagamento ai chirografari per poter accedere all’esdebitazione: anche un soddisfacimento inferiore al 5% può essere ammesso se giustificato dalle circostanze, purché vi sia buona fede e trasparenza da parte del debitore. Ciò sottolinea il principio del favor debitoris nel nuovo sistema: l’importante è offrire ai creditori tutto il possibile in base al valore effettivo del patrimonio e alle prospettive di risanamento, senza che una percentuale bassa sia, di per sé, ostativa all’omologazione.
- Debiti bancari e finanziari – Comprendono scoperti di conto, prestiti, mutui. Se garantiti da pegno o ipoteca, sono crediti privilegiati: il creditore ha diritto di escutere la garanzia (es. pignorare e vendere il bene ipotecato) e di soddisfarsi con precedenza sul ricavato. Nelle procedure concorsuali, un credito ipotecario non può subire una falcidia che violi la sua causa di prelazione: in pratica deve ricevere un importo almeno pari al valore di mercato del bene dato in garanzia, altrimenti la proposta non può essere approvata forzatamente senza il suo consenso. La Cassazione ha chiarito che un piano di sovraindebitamento o concordato non può essere omologato se assegna al creditore ipotecario meno di quanto questi otterrebbe dall’esecuzione forzata sul bene. Il debitore può però trattare con il creditore ipotecario offrendo la ristrutturazione del debito (ad esempio, proroga delle scadenze, riduzione degli interessi, “swap” del bene con un pagamento parziale cash ecc.) o, in un concordato preventivo, prevedendo il soddisfacimento in natura (ad es. trasferire al creditore la proprietà del bene in conto pagamento). Se il debito bancario è chirografario (nessuna garanzia), rientra tra quelli falcidiabili liberamente come gli altri fornitori.
- Debiti verso dipendenti – Retribuzioni arretrate, TFR, indennità, sono crediti assistiti da privilegio generale mobiliare, in alcuni casi “superprivilegio” (stipendi degli ultimi mesi, trattamento di fine rapporto fino a un massimale) che li rende prevalenti anche sui crediti fiscali. La legge concorsuale tutela fortemente questi crediti: in un concordato preventivo liquidatorio è obbligatorio pagare integralmente i crediti di lavoro privilegiati per poter omologare il piano, a meno che i lavoratori non acconsentano a una falcidia (cosa rara) o che il piano preveda forme di continuità che garantiscano il pagamento nel tempo. In ogni caso, i dipendenti godono anche di tutele esterne: in caso di insolvenza dell’azienda, il Fondo di Garanzia INPS interviene a pagare il TFR e gli stipendi arretrati nei limiti di legge, surrogandosi poi nel credito verso l’azienda. Dal punto di vista del nostro tema, i debiti verso i dipendenti non sono “azzerabili” tramite stralcio salvo consenso dei lavoratori stessi, ma possono essere soddisfatti con l’aiuto degli strumenti di garanzia pubblici o dilazionati in continuità.
- Debiti per sanzioni civili o amministrative – Multe, ammende, sanzioni per violazioni (es. sanzioni Antitrust, sanzioni tributarie) generalmente non godono di privilegio (sono chirografarie) ma, per ragioni di ordine pubblico, alcune di esse non possono essere esdebitate. Ad esempio, le multe stradali e le sanzioni penali o amministrative pecuniarie restano dovute anche dopo la procedura (non rientrano nel beneficio dell’esdebitazione), salvo che intervengano condoni specifici. Pertanto, un debitore che mira ad azzerare l’esposizione dovrà tenere conto che certe obbligazioni (in particolare quelle per risarcimenti derivanti da fatti illeciti e le obbligazioni alimentari verso coniuge e figli) sono inderogabilmente escluse dallo stralcio: per queste l’unica soluzione è il pagamento, eventualmente rateizzato.
Questa panoramica evidenzia come non tutti i debiti siano uguali. Alcuni (come quelli chirografari) sono facilmente riducibili, altri (come fisco, contributi, lavoro) richiedono approcci dedicati e strumenti ad hoc, altri ancora (multe, assegni di mantenimento) non possono essere eliminati tramite procedure concorsuali. Il debitore, con l’ausilio dei professionisti, dovrà dunque mappare i propri debiti e capire per ciascuno quale trattamento è consentito dalla legge nelle possibili soluzioni di crisi.
Di seguito, prenderemo in esame i vari strumenti giuridici oggi disponibili per un’agenzia pubblicitaria indebitata, evidenziando per ciascuno: requisiti di accesso, funzionamento, effetti sui debiti e vantaggi dal punto di vista del debitore. Nella parte finale, attraverso FAQ e casi pratici, affronteremo le domande comuni (es. “Meglio un accordo stragiudiziale o un concordato?”, “Cosa succede se l’Agenzia delle Entrate non è d’accordo?”, “Posso evitare il fallimento attivandomi per tempo?” etc.) e simuleremo possibili scenari risolutivi per un’agenzia pubblicitaria sovraindebitata.
Crisi di Impresa e Obbligo di Attivarsi: allerta interna e responsabilità degli amministratori
Prima di analizzare le soluzioni, è importante sottolineare che l’ordinamento italiano oggi impone all’imprenditore e agli organi societari precisi doveri di attivazione in caso di crisi incipiente. Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) enfatizza il principio dell’emersione tempestiva delle difficoltà aziendali: gli amministratori devono adottare assetti adeguati a rilevare squilibri economico-finanziari e segnali di allerta, attivandosi senza indugio per prendere provvedimenti. In particolare:
- Gli amministratori hanno il dovere di monitorare continuamente la situazione finanziaria dell’impresa, anche tramite indici e indicatori di crisi. Se rilevano uno squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tale da far presumere uno stato di crisi o insolvenza imminente (ad es. perdite rilevanti, carenza di liquidità, esposizioni scadute non ripianate) devono attivarsi prontamente. Il terzo correttivo al CCII del 2024 ha esplicitato che l’obbligo sussiste anche nella fase di semplice “difficoltà” iniziale, prima ancora che la crisi diventi conclamata.
- Tra le misure da adottare vi è la valutazione degli strumenti di regolazione della crisi messi a disposizione dalla legge: composizione negoziata, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo o altre procedure idonee. Un amministratore diligente che ricorre per tempo a uno strumento come la composizione negoziata adempie anche ai propri doveri legali di buona gestione. Al contrario, l’inerzia può esporlo a responsabilità per aggravamento del dissesto (responsabilità verso i creditori sociali per tardiva convocazione della procedura concorsuale, azioni di responsabilità per gestione imprudente, ecc.).
- Durante le trattative o procedure di composizione, l’imprenditore può chiedere al Tribunale misure protettive che sospendano o impediscano azioni esecutive individuali dei creditori. Questo “scudo” temporaneo dura inizialmente fino a 120 giorni (prorogabili con provvedimento motivato). Attivare tempestivamente una procedura di crisi permette dunque di congelare i pignoramenti e le azioni aggressive dei creditori, guadagnando tempo per negoziare una soluzione. Va da sé che tale protezione è concessa solo se si imbocca il percorso formale previsto, non in caso di semplici trattative informali.
In sintesi, la convenienza ad agire presto è duplice: giuridica, perché il mancato rispetto degli obblighi di allerta può comportare conseguenze per gli amministratori; strategica, perché prima che la situazione degeneri vi sono più opzioni di risanamento e maggiore fiducia dei creditori. La composizione negoziata della crisi – di cui si dirà subito – nasce proprio per essere uno strumento di emersione precoce e di soluzione negoziata e volontaria della crisi, ed è incoraggiata dal legislatore anche tramite incentivi (ad esempio, la protezione temporanea, la non punibilità per il reato di bancarotta semplice ex art. 25-octies CCII, ecc.). Il debitore, dal canto suo, deve essere consapevole che ignorare i debiti e lasciarli incancrenire espone l’azienda al collasso e se stesso a potenziali responsabilità: affrontare la crisi di petto, con gli strumenti legali appropriati, è la strada migliore per provare ad azzerare i debiti in modo sostenibile.
Strumenti Extragiudiziali (Stragiudiziali) di Gestione del Debito
Quando i debiti iniziano a diventare insostenibili, il primo istinto di un imprenditore potrebbe essere quello di tentare una trattativa privata con i creditori, evitando di coinvolgere tribunali o procedure formali. Gli strumenti stragiudiziali sono quelli che non richiedono l’apertura di una procedura concorsuale presso il tribunale. Essi possono risultare efficaci in alcune situazioni, specie se il numero di creditori è limitato e la controparte è disponibile a un accordo bonario. Tuttavia, presentano anche criticità: non vincolano i dissenzienti, non sospendono le azioni esecutive e rischiano di essere vanificati se l’impresa finisce comunque in insolvenza (con possibilità di revocatoria di pagamenti preferenziali eseguiti). Vediamo le principali opzioni extragiudiziali:
Accordi e transazioni private con i creditori
Nulla vieta all’imprenditore di negoziare direttamente con ciascun creditore una soluzione: ad esempio, saldo e stralcio individuale (pagamento di una percentuale a saldo del debito), dilazioni di pagamento, remissioni parziali, conversione del debito in capitale (nel caso di soci disponibili a ricapitalizzare), ecc. Un’agenzia pubblicitaria potrebbe, ad esempio, convincere alcuni fornitori chiave ad abbuonare parte del credito in cambio della continuità della relazione commerciale, oppure persuadere la banca a ristrutturare il prestito allungando le scadenze e riducendo il tasso. Queste soluzioni, se riescono, hanno il vantaggio della riservatezza (non diventano di pubblico dominio) e della flessibilità (le parti possono concordare liberamente i termini). Dal punto di vista legale, però, occorre considerare:
- È necessario il consenso di ogni singolo creditore coinvolto. Anche se la maggior parte accetta un piano di saldo e stralcio, basta un creditore dissenziente per continuare ad agire e potenzialmente mandare all’aria la ristrutturazione. Non esiste, infatti, in sede stragiudiziale, un meccanismo di “maggioranza” che imponga l’accordo ai pochi contrari (come avviene invece nelle procedure concorsuali omologate). Dunque, la trattativa privata funziona solo in contesti ristretti o molto controllati, ad esempio quando si ha un numero ridotto di creditori oppure quando si riesce a ottenere l’adesione di tutti gli attori principali (banche, Fisco, fornitori rilevanti).
- Gli accordi stragiudiziali non sospendono le azioni esecutive a meno che tutti i creditori concordino anche di astenersi dal procedere. Ciò significa che se un creditore è impaziente, potrebbe comunque pignorare beni o ottenere un sequestro, compromettendo le trattative. La mancanza di uno stay legale rende fragile il percorso volontario, specie se la platea creditoria è ampia o eterogenea.
- Vi è il rischio di revocatoria fallimentare: se il debitore paga, al di fuori di una procedura concorsuale, un creditore (magari perché così ottiene lo stralcio del suo debito) e poi entro 6 mesi-1 anno viene dichiarato fallito (liquidazione giudiziale), quel pagamento potrebbe essere revocato dal curatore fallimentare come atto preferenziale. Ad esempio, pagare un fornitore “amico” al 50% del dovuto potrebbe esporre il fornitore alla restituzione di quanto incassato al fallimento, se il pagamento è avvenuto in stato di insolvenza. Questo disincentiva i creditori dall’accettare accordi stragiudiziali quando fiutano che l’impresa è vicina al dissesto, perché preferiranno concorrere in sede concorsuale piuttosto che rischiare di perdere quanto incassato.
Detto ciò, in alcuni casi limitati la via stragiudiziale può portare a risultati. Tipicamente quando l’indebitamento non è generale ma concentrato su pochi soggetti, oppure quando l’impresa ha ancora sufficiente credibilità e prospettive da convincere i creditori a non “metterla in procedura”. È sempre consigliabile formalizzare gli accordi per iscritto (scrittura privata di transazione), magari con l’ausilio di un legale, e prevedere che l’efficacia degli accordi sia subordinata al fatto che tutti i creditori rilevanti aderiscano (in modo da evitare che chi aderisce resti poi svantaggiato rispetto a chi si defila e procede legalmente).
Il Piano Attestato di Risanamento (art. 56 CCII)
Un particolare strumento stragiudiziale previsto dalla legge, pensato per le imprese in crisi ma ancora risanabili, è il piano attestato di risanamento. Introdotto originariamente nell’art. 67 lett. d) della vecchia Legge Fallimentare, oggi disciplinato dall’art. 56 CCII, il piano attestato è un piano di risanamento aziendale redatto dall’imprenditore e “attestato” da un professionista indipendente circa la sua idoneità a riequilibrare la situazione finanziaria. In pratica:
- L’imprenditore elabora (con l’aiuto di consulenti) un piano industriale e finanziario pluriennale, indicando come intende superare la crisi: ad esempio, mediante nuova finanza, dismissione di asset non strategici, rinegoziazione dei debiti, taglio dei costi, ecc. Il piano deve mostrare la sostenibilità economica e la capacità di generare flussi sufficienti a pagare i debiti come ristrutturati.
- Un attestatore indipendente (tipicamente un commercialista o revisore esperto in crisi) verifica i dati aziendali e le assunzioni del piano, quindi emette una relazione di attestazione nella quale dichiara che il piano è realistico e attuabile e che permette il risanamento dell’esposizione debitoria.
- Il piano e l’attestazione vengono pubblicati (su base volontaria) nel Registro delle Imprese, rendendo nota l’esistenza del piano. Da quel momento, gli atti posti in essere in esecuzione del piano attestato godono di una protezione: non sono soggetti a revocatoria in un eventuale fallimento successivo (art. 56 CCII riprende l’esenzione già prevista dall’art. 67 LF). Ciò significa, ad esempio, che se il piano prevede di pagare un fornitore strategico al 60% e ciò viene eseguito, quel pagamento non potrà più essere revocato dal curatore nel malaugurato caso di successivo dissesto, perché la legge lo “salva” riconoscendo che era parte di un tentativo serio di risanamento.
- Importante: il piano attestato non coinvolge il tribunale (se non per la pubblicazione, che è un deposito al Registro Imprese). Non c’è omologazione né un procedimento giudiziario. È un patto privatistico, anche se con un crisma di terzietà dato dall’attestatore.
In sostanza, il vantaggio del piano attestato è la tutela dei pagamenti e degli atti eseguiti in funzione del risanamento: ciò rassicura i creditori che partecipano all’accordo (sanno che se anche si arrivasse al fallimento, non dovranno restituire quanto ricevuto). Lo svantaggio è che, al pari di ogni accordo stragiudiziale, richiede comunque l’accordo dei creditori chiave: il piano attestato non vincola i dissenzienti. Non esiste un voto o un’omologazione che estenda gli effetti erga omnes. Quindi, se un creditore importante non sta al gioco, il piano potrebbe fallire o comunque l’impresa dovrà trovare il modo di tenerlo indenne.
Il piano attestato è più efficace in situazioni in cui vi è omogeneità nei creditori (es. solo banche che concordano una ristrutturazione del debito finanziario) o quando l’impresa ha mezzi propri o di terzi per pagare una parte significativa dei debiti subito, ottenendo accordi individuali di stralcio sul resto. Per piccole imprese pubblicitarie, spesso con tanti piccoli fornitori, questo strumento è meno praticabile, ma per imprese di media dimensione (es. un’agenzia strutturata con pochi grandi clienti e banche esposte) può essere una strada percorribile, evitando la pubblicità negativa e la rigidità di una procedura concorsuale.
Convenzioni di moratoria e accordi interbancari
Un altro strumento stragiudiziale previsto dal Codice della crisi (art. 62 CCII) è la convenzione di moratoria, accordo sottoscritto con l’85% dei creditori finanziari per sospendere o posticipare le scadenze dei crediti bancari. È un meccanismo pensato soprattutto per banche e intermediari, atto a guadagnare tempo nelle ristrutturazioni del debito bancario. Se l’agenzia pubblicitaria ha debiti principalmente verso banche, potrebbe ricorrere a una convenzione di moratoria: ottenuto l’assenso di una larga maggioranza di istituti (85% del debito finanziario), l’accordo può essere esteso anche alle banche non aderenti, vincolandole alla moratoria. Si tratta di uno strumento di nicchia, utilizzato più in contesti di grande impresa, ma che mostra come a livello stragiudiziale siano state introdotte alcune forme di accordo “semi-collettivo” con maggioranza.
Analogamente, esistono accordi ABI o protocolli settoriali per la sospensione dei crediti (ad es. moratorie generali come quelle attivate durante la pandemia Covid-19). Queste però sono misure emergenziali o pattizie e non garantiscono l’azzeramento del debito – al più lo spostano in avanti.
In sintesi, gli strumenti stragiudiziali sono volontari e flessibili ma richiedono circostanze favorevoli: un profilo di insolvenza non ancora conclamata, la collaborazione dei creditori principali e la presenza di un piano convincente con magari nuova finanza. Se questi elementi mancano, occorre passare a strumenti omologati e giudiziali, che vediamo nei paragrafi successivi, i quali permettono di imporre soluzioni anche ai creditori dissenzienti, sotto controllo del tribunale.
Di seguito riportiamo una tabella riepilogativa dei principali strumenti di gestione della crisi e delle loro caratteristiche, per avere un quadro d’insieme prima di approfondire quelli giudiziali:
Strumento | Natura | Coinvolgimento Tribunale | Vincolatività per i creditori | Vantaggi per debitore | Svantaggi/Limiti |
---|---|---|---|---|---|
Accordi privati individuali | Soluzione bonaria | Nessuno (accordo contrattuale) | Vincola solo i creditori che aderiscono | Molto flessibili; riservati | Non bloccano azioni legali; richiedono consenso unanime pratico; rischio revocatoria |
Piano attestato di risanamento | Stragiudiziale con attestazione | Tribunale non coinvolto (solo deposito registro) | Vincola solo aderenti; protegge atti da revocatoria | Evita procedura formale; protegge pagamenti eseguiti | Non vincola dissenzienti; necessita adesioni chiave; pubblicità (registro imprese) |
Moratoria crediti finanziari | Stragiudiziale settoriale | Tribunale non coinvolto | Vincola tutti se 85% banche aderisce | Sospende pagamenti finanziari; guadagna tempo | Applicabile solo a debiti finanziari; non riduce importo debito |
Composizione negoziata | Stragiudiziale assistita | Sì, per nomina esperto e eventuali misure protettive | Non impone accordi, salvo esiti successivi | Consulenza di un esperto indipendente; sospende azioni esecutive; incentivi legali (esenzioni responsabilità) | Procedura volontaria ma con costi e oneri; esito non garantito (dipende da accordo con creditori) |
Accordo di ristrutturazione | Concorsuale semplificato (60% crediti) | Sì, omologazione Tribunale | Vincola i soli aderenti (min. 60%), con possibili estensioni a dissenzienti in certi casi | Rapido (iter breve); confidenziale fino a omologazione; transazione fiscale ammessa | Richiede consenso qualificato (60%); i non aderenti restano fuori (vanno pagati normalmente); pubblicità su RI e in omologazione |
Piano di ristrutturazione omologato (PRO) | Concorsuale ibrido | Sì, omologazione Tribunale | Vincola tutti i creditori coinvolti (con classi e maggioranze per classe) | Maggiore flessibilità nei criteri (può derogare a parità trattamento con consenso classi); consente cram-down interclassi | Strumento nuovo (da 2022), complesso; riservato a imprese non piccole; richiede voto maggioranze per classi |
Concordato preventivo | Procedura concorsuale (ordinaria) | Sì, procedura innanzi al Tribunale | Vincola tutti i creditori (dissenzienti compresi) dopo omologazione | Può imporre falcidie a tutte le categorie di crediti secondo legge; transazione fiscale con cram-down disponibile; il debitore può restare in azienda in concordato in continuità | Procedura pubblica e lunga; richiede maggioranza di voti favorevoli (maggioranza per classi >50% dei crediti ammessi); costi procedurali elevati; controllo del Tribunale su gestione |
Concordato minore (PMI) | Procedura concorsuale (PMI) | Sì (simile a concordato) | Vincola tutti dopo omologazione | Adattato a piccole imprese (richieste documentali ridotte, niente bilanci se non esistono); maggioranze ridotte? (richiede cmq 50% crediti?) | Riservato a soggetti sotto-soglia; richiede meritevolezza; procedura giudiziale (pubblica) |
Concordato semplificato | Procedura concorsuale speciale | Sì (omologazione senza voto creditori) | Vincola tutti i creditori (liquidazione patrimonio) | Non richiede voto dei creditori (decide il giudice); consente al debitore di evitare il fallimento se la composizione negoziata fallisce | Ammesso solo dopo composizione negoziata fallita; solo liquidatorio (cessazione attività); controllo giudiziale rigoroso |
Liquidazione giudiziale (ex fallimento) | Procedura concorsuale liquidatoria | Sì (Tribunale dichiara insolvenza) | Vincola tutti i creditori (soddisfatti in base a ranghi di prelazione) | Possibile esdebitazione persona fisica a fine procedura (debiti cancellati al debitore insolvente onesto); chiude definitivamente i conti dell’impresa | Impresa di regola cessa; l’attivo è liquidato integralmente; tempi lunghi; stigma reputazionale; il controllo passa al curatore nominato dal Tribunale |
Liquidazione controllata (sovraindebitamento) | Procedura concorsuale liquidatoria semplificata | Sì (Tribunale o Giudice nomina liquidatore) | Vincola tutti i creditori chirografari e privilegiati (salvo garanzie reali su terzi) | Durata massima 3 anni; esdebitazione automatica allo scadere (per il debitore persona fisica meritevole) | Riservata a debitori non fallibili (piccole imprese, consumatori); liquidazione totale del patrimonio; perdita dei beni del debitore |
(Legenda: per “vincolatività” si intende se lo strumento, una volta perfezionato, può obbligare anche i creditori che non sono d’accordo. Ad es., nel concordato preventivo tutti i creditori sono obbligati dal piano omologato anche se hanno votato contro, mentre in un accordo stragiudiziale restano obbligati solo quelli che hanno firmato.)
La Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa
Tra gli strumenti di più recente introduzione vi è la Composizione Negoziata della Crisi, istituto creato nel 2021 (D.L. 118/2021 conv. in L. 147/2021) e ora disciplinato nel Codice della Crisi (artt. 17-25 sexies CCII). Si tratta di una procedura volontaria e confidenziale in cui l’imprenditore in difficoltà, prima di essere formalmente insolvente, chiede la nomina di un esperto indipendente che lo assista nel tentativo di raggiungere un accordo con i creditori per risanare l’impresa o regolare la sua esposizione debitoria. È uno strumento di natura negoziale, ma incardinato in un quadro legale definito, con alcuni interventi del tribunale (ad esempio per le misure protettive o per autorizzare atti urgenti). Ecco le caratteristiche salienti:
- Presupposti di accesso: L’imprenditore – sia esso una società, una ditta individuale commerciale o agricola – deve trovarsi in condizioni di squilibrio economico o patrimoniale tali da far prevedere la crisi o l’insolvenza, ma al contempo deve sussistere una prospettiva di risanamento ragionevole. In altre parole, la composizione negoziata può essere attivata se: (a) l’azienda ha problemi finanziari seri (perdite, liquidità insufficiente, arretrati verso i creditori) che fanno temere il default, ma (b) esiste ancora una possibilità concreta di ristrutturare i debiti o di riequilibrare la gestione (tramite accordi, nuova finanza, riorganizzazione). Se l’impresa è ormai decotta senza alcuna chance di salvataggio, l’istanza verrà dichiarata inammissibile. Dal 2024 il legislatore ha chiarito che basta anche lo stato di crisi iniziale o imminente, non serve essere a un passo dall’insolvenza conclamata. Questa modifica incentiva l’uso anticipato dello strumento.
- Chi può accedere: Possono attivare la composizione negoziata tutti gli imprenditori iscritti al Registro Imprese, sia collettivi (società di capitali, persone, cooperative) sia imprenditori individuali, inclusi i piccoli imprenditori “sotto-soglia” (cioè non fallibili) e gli imprenditori agricoli. Sono esclusi invece i non imprenditori (consumatori, professionisti non organizzati in forma d’impresa): costoro, se sovraindebitati, devono usare le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (piani del consumatore, ecc.) e non la composizione negoziata. In pratica, anche una piccola agenzia pubblicitaria individuale può fare istanza, così come una S.r.l. di grandi dimensioni: la differenza sarà nelle possibili procedure di sbocco (un grande può fare un concordato preventivo, un piccolo farà un concordato “minore” o una liquidazione controllata, ma il percorso iniziale di composizione è comune).
- Condizioni ostative: Non si può presentare domanda se è già pendente un’istanza di apertura di procedura concorsuale di insolvenza (ad es. un’istanza di fallimento già in corso, salvo che non sia stata ancora decisa). Il correttivo 2024 ha specificato che se pende un’istanza di fallimento non ancora decisa, l’imprenditore può comunque accedere a composizione negoziata, dichiarando la pendenza (non è precluso); se invece il fallimento è già stato dichiarato (liquidazione giudiziale aperta), è troppo tardi. Altra condizione ostativa: l’assenza di concrete prospettive di risanamento – se è palese dall’inizio che alcuna soluzione può funzionare (es. debiti enormi e attività cessata del tutto), l’istanza viene archiviata per mancanza dei presupposti. Inoltre, non può accedere chi abbia già fatto una composizione negoziata nei 5 anni precedenti o un concordato minore omologato da poco (vi sono limitazioni temporali per evitare abusi).
- Procedura e svolgimento: Una volta presentata l’istanza tramite la piattaforma telematica nazionale (gestita da Unioncamere: <www.composizionenegoziata.camcom.it>) – oppure, per le imprese minori, attraverso un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) – viene nominato entro pochi giorni un Esperto indipendente. L’Esperto è scelto da un elenco di professionisti (commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro con esperienza) e ha il ruolo di facilitatore: analizza la situazione aziendale, convoca le parti (creditori, banca, fisco) e cerca di favorire la negoziazione di una soluzione concordata. Importante: l’imprenditore rimane alla guida dell’azienda (non è una procedura di amministrazione controllata), l’Esperto non ha poteri gestori né sostituisce l’imprenditore, però può chiedere al tribunale autorizzazioni per atti necessari (ad esempio contrarre finanziamenti prededucibili, cedere beni non strategici, ecc.). La composizione negoziata è pensata per durare pochi mesi: di base 180 giorni, prorogabili su richiesta motivata. Durante questo periodo, se richiesto, le azioni esecutive individuali possono essere sospese (misure protettive), come accennato prima.
- Esiti possibili: La composizione negoziata è un contenitore flessibile: può concludersi in diversi modi, a seconda di cosa si riesce a concordare:
- Se la trattativa ha successo, può sfociare in un accordo stragiudiziale con i creditori (ad es. un accordo di ristrutturazione privato firmato da tutti o dai principali creditori); oppure nella sottoscrizione di uno o più contratti che risolvono la crisi (es. un aumento di capitale sottoscritto da un nuovo socio finanziatore, accordi bilaterali con banche per ristrutturare i mutui, etc.). In tali casi l’Esperto redige una relazione finale positiva e la procedura si chiude lì, senza passare dal tribunale – salvo eventualmente omologare taluni accordi se si vuole avvalere di effetti legali (ad es., se hai fatto un accordo con il 100% dei creditori potresti volerlo omologare come “accordo di ristrutturazione esecutivo”).
- Se la trattativa produce un accordo parziale o se comunque è opportuno dare stabilità giuridica all’intesa, l’imprenditore può decidere di accedere a una procedura concorsuale di regolazione: ad esempio presentare un concordato preventivo (o un concordato “minore” se è sotto-soglia) basato sull’accordo raggiunto, oppure un accordo di ristrutturazione dei debiti da omologare con il tribunale. Dal 2024, la legge prevede espressamente che anche le PMI sotto-soglia, a esito della composizione, possono accedere agli stessi istituti previsti per imprese maggiori (concordato minore, liquidazione controllata, ecc.). Quindi, la composizione funge da “anticamera” per un’eventuale procedura formale: avere già l’Esperto, una due diligence fatta e magari un accordo di massima con i creditori, facilita e velocizza il concordato o l’accordo di ristrutturazione successivo.
- Se la trattativa fallisce (nessun accordo con i creditori), l’imprenditore ha comunque un’ultima chance introdotta dalla riforma: può, entro 60 giorni dalla relazione finale, presentare una proposta di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. Questo concordato “semplificato” – di cui parleremo tra poco – consente di liquidare i beni sotto il controllo del tribunale offrendo ai creditori il ricavato, senza votazione dei creditori (decide il tribunale se omologare). È un’opportunità di evitare il fallimento anche se le trattative non hanno portato a un accordo, purché il debitore metta a disposizione tutto il proprio patrimonio e rispetti le condizioni di legge. Se neanche questa strada è percorsa o ammissibile, la composizione si chiude e i creditori potranno attivarsi (richiedere il fallimento o le esecuzioni individuali).
- Vantaggi per il debitore: La composizione negoziata offre vari benefici:
- Riservatezza iniziale: l’accesso avviene su piattaforma riservata; non vi è pubblicità nel Registro delle Imprese tranne il caso in cui si chiedano le misure protettive o poi si sfoci in procedura. Ciò tutela la reputazione dell’impresa nella fase delle trattative.
- Sospensione delle azioni esecutive: ottenibili come detto, congelano il contenzioso e danno respiro al debitore per negoziare.
- Esperto indipendente: è un consulente “terzo” che aiuta a individuare soluzioni. Pur non avendo poteri coercitivi, la sua presenza può aumentare la fiducia dei creditori sulla serietà del tentativo di risanamento, perché sanno che l’Esperto farà una relazione finale alla quale i giudici possono guardare (ad esempio se poi si va in concordato).
- Gestione snella: non ci sono le formalità di un fallimento o concordato (niente comitato creditori, niente curatore che spossessa l’imprenditore dei beni, etc.); l’imprenditore resta al timone e può continuare l’attività, anzi è incoraggiato a proseguire se ci sono prospettive di continuità.
- Incentivi legali: la legge prevede che durante la composizione negoziata taluni atti autorizzati (come finanziamenti ponte) siano in prededuzione se poi si va in procedura concorsuale; inoltre è stato chiarito che l’imprenditore che attiva per tempo la composizione negoziata adempie ai doveri di conservazione del patrimonio e può evitare addebiti di responsabilità. In più, come accennato, sono esimenti alcuni reati minori (ad es. non si applica la bancarotta semplice se certi atti sono compiuti in esecuzione di un piano di composizione ex art.25-octies CCII).
- Novità 2024-2025: Il biennio 2024-2025 ha portato alcune novità rilevanti:
- È stata introdotta la possibilità di effettuare una transazione fiscale nella composizione negoziata: il terzo correttivo (D.Lgs. 136/2024) ha aggiunto il comma 2-bis all’art. 23 CCII, consentendo all’imprenditore di formulare al Fisco una proposta di accordo sul debito tributario già durante la composizione. In precedenza, durante le trattative informali non era possibile “tagliare” i debiti fiscali se non passando da un concordato o accordo di ristrutturazione omologato. Ora, invece, l’Agenzia delle Entrate può partecipare al tavolo negoziale e concordare un saldo e stralcio o una dilazione dei tributi dovuti dall’impresa, prima ancora dell’eventuale concordato. La norma prevede comunque un controllo del tribunale sull’esito di tale transazione fiscale nella composizione (per assicurare che non si favoriscano indebitamente il debitore a scapito dell’Erario). Questa innovazione è di grande rilievo: rimuove uno degli ostacoli che spesso frenavano le composizioni, cioè l’incapacità di risolvere i debiti fiscali in quella sede, dovendo altrimenti “rinviare” la loro falcidia al concordato successivo. Con la transazione fiscale interna, la composizione negoziata diventa un tavolo completo dove si possono chiudere anche i conti con il fisco (se l’Agenzia è d’accordo).
- Coordinatamente, il 3° correttivo ha abbassato dal 75% al 60% la percentuale di consensi chirografari richiesta per il cram-down fiscale negli accordi di ristrutturazione presentati subito dopo la composizione. Ciò significa: se, chiusa la composizione, il debitore deposita entro 60 giorni un accordo di ristrutturazione dei debiti da omologare, per poter imporre al Fisco l’accordo nonostante il suo dissenso basterà che il 60% dei crediti chirografari abbia aderito (anziché il 75% previsto ordinariamente). Questa modifica incentiva l’uso della composizione come preludio agli accordi, perché rende più agevole superare l’eventuale dissenso dell’Erario successivamente. È una norma tecnica, ma in sostanza premia il debitore che prima prova la via negoziale: gli sarà richiesto un quorum più basso per l’omologazione forzosa se poi fa un accordo ex art.57 CCII.
- A livello statistico, la composizione negoziata sta prendendo piede. Secondo Unioncamere, solo nel primo trimestre 2025 il numero di istanze presentate è raddoppiato rispetto al semestre precedente, con 905 nuove richieste in 6 mesi e un tasso di successo degli accordi in crescita, attestato al 22,5% nel primo trimestre 2025. Ciò significa che circa un caso su quattro si conclude con un effettivo accordo di risanamento. Inoltre, si osserva che lo strumento funziona soprattutto per imprese più strutturate e che si attivano tempestivamente, mentre le microimprese faticano ancora a trarne beneficio. Questa evidenza conferma l’importanza di diffondere maggiore cultura finanziaria anche tra le PMI, come auspicato dal Presidente di Unioncamere.
In conclusione, la composizione negoziata rappresenta oggi una via privilegiata per tentare di evitare il fallimento e ridurre i debiti attraverso un accordo, con l’assistenza di un esperto e la supervisione (light) del sistema camerale e giudiziario. Dal punto di vista del debitore, è uno strumento da valutare seriamente, soprattutto se l’azienda ha ancora valore e chance di sopravvivenza. Per la nostra agenzia pubblicitaria indebitata, ad esempio, avviare una composizione negoziata potrebbe portare a negoziare nuovi termini con banche e fornitori, forse trovare un investitore interessato al rilancio, e persino trattare con il Fisco una riduzione sanzioni e interessi, il tutto protetti da azioni esecutive durante le trattative. Se l’alternativa sarebbe il collasso, vale la pena provare questa strada.
(Si veda più avanti nella sezione FAQ una domanda-risposta specifica sulla composizione negoziata per un’agenzia pubblicitaria, con consigli pratici.)
Accordi di Ristrutturazione dei Debiti (ex art. 57 CCII)
Quando non è possibile (o non si vuole) mantenere la riservatezza della composizione negoziata, oppure quando questa ha già raccolto il consenso di una parte significativa dei creditori, il debitore può optare per un accordo di ristrutturazione dei debiti da sottoporre a omologazione del tribunale. Questo istituto, erede dell’art. 182-bis della legge fallimentare, è disciplinato dagli artt. 57 e ss. CCII. Si tratta di un accordo di natura contrattuale tra l’imprenditore e una parte rilevante dei suoi creditori (almeno il 60% dei crediti), che viene però “elevato” a efficacia legale generale tramite l’omologazione giudiziale. In pratica:
- Il debitore negozia con i creditori (tipicamente quelli principali) un piano di ristrutturazione del debito: ad esempio, pagamento parziale dei crediti chirografari, rientro dilazionato per le banche, pagamento parziale di interessi e sanzioni fiscali ecc. Una volta raccolte le adesioni di creditori rappresentanti almeno il 60% del totale dei crediti (come valore), può depositare l’accordo in tribunale chiedendone l’omologazione. I creditori firmatari sono vincolati all’accordo; quelli non firmatari restano estranei (dovranno essere pagati integralmente fuori dall’accordo, salvo diverse previsioni di legge).
- Il tribunale fissa un’udienza e, valutate la regolarità dell’accordo, la fattibilità del piano e l’idoneità a soddisfare integralmente i creditori estranei, procede all’omologazione. Con l’omologazione, l’accordo diventa efficace erga omnes nei confronti dei soli creditori aderenti (per i non aderenti, come detto, nulla cambia: essi non subiscono falcidie e possono agire per il pagamento integrale, ma beneficiano eventualmente indirettamente del risanamento).
- Durante la pendenza dell’accordo (dalla pubblicazione della domanda di omologazione al RI) il debitore può chiedere misure protettive per sospendere le azioni esecutive dei creditori (simili a quelle del concordato) al fine di evitare che iniziative individuali compromettano il buon esito delle trattative. Anche qui vige però la regola che i creditori estranei devono essere soddisfatti per intero entro i termini dell’accordo, pena la mancata omologazione.
Gli accordi di ristrutturazione sono di fatto un ibrido: meno collettivi di un concordato (perché non coinvolgono per forza tutti i creditori, si può “lasciar fuori” qualcuno pagando integralmente quelli non d’accordo) ma più collettivi di un piano attestato (c’è un intervento del tribunale e una efficacia giuridica dell’accordo sugli aderenti). Dal punto di vista del debitore, i vantaggi sono:
- Rapidità e minor complessità rispetto a un concordato preventivo: non c’è il voto dei creditori in senso stretto (il consenso è raccolto privatamente prima), non c’è bisogno di predisporre uno stato passivo come nel fallimento, la procedura è molto più snella. Spesso in pochi mesi si ottiene l’omologazione. È ideale quando si hanno pochi creditori ma magari con posizioni molto significative (es. 3 banche che da sole rappresentano il 70% del debito: se si accordano col debitore, non serve passare per un concordato coinvolgendo decine di piccoli creditori che magari verranno pagati per intero comunque).
- Riservatezza parziale: fino alla pubblicazione al registro delle imprese della domanda di omologazione, l’accordo è negoziato in modo riservato. Diventa pubblico al momento del deposito, ma ciò avviene a ridosso dell’omologazione, riducendo il periodo in cui l’impresa è esposta come “in crisi”.
- Transazione fiscale: come già accennato, negli accordi omologati è possibile includere la transazione fiscale e contributiva (art.63 CCII), con le novità apportate dalla legge Ristori 159/2020 recepite nel Codice. Ciò consente di ridurre anche il capitale di imposte e contributi dovuti, purché un professionista attesti che al Fisco/enti previdenziali conviene di più quanto offerto rispetto a quanto otterrebbero da una liquidazione. Inoltre, se il Fisco non aderisce spontaneamente ma l’accordo è sostenuto dai creditori in misura sufficiente, il tribunale può comunque omologare (cram-down fiscale) imponendo il trattamento proposto al Fisco se ne ricorrono le condizioni (ossia convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria). Questo è un punto cruciale: consente di superare l’eventuale rigidità dell’Agenzia Entrate contraria, sempre che i numeri dimostrino che non ci rimette.
Accanto all’accordo “base”, il Codice ha introdotto varianti:
- Accordi di ristrutturazione agevolati: prevedono soglie di adesione ridotte al 30% in alcuni casi particolari (ad esempio se l’accordo non coinvolge debiti finanziari o se si ottiene una moratoria dai creditori pubblici). Sono procedure introdotte per facilitare l’accesso all’accordo quando non è realisticamente raggiungibile il 60% generale.
- Accordi ad efficacia estesa: se l’accordo raggiunge determinate maggioranze all’interno di categorie omogenee (es. il 75% degli istituti finanziari), è possibile estenderne gli effetti anche ai creditori dissenzienti della stessa categoria, con autorizzazione del tribunale (si applica tipicamente alle banche dissenzienti, portandole dentro all’accordo se la stragrande maggioranza delle altre banche è favorevole). Questa previsione recepisce anch’essa suggestioni europee di cross-class cram down.
In sintesi, l’accordo di ristrutturazione è uno strumento mirato, utilizzabile se il debitore riesce a “fidelizzare” una larga parte dei creditori e vuole una omologazione rapida senza passare per l’intero complesso di un concordato. Il limite principale è che non risolve cosa fare dei creditori che non firmano: quelli vanno comunque pagati fuori, il che spesso implica che il debitore deve avere risorse per non scontentarli (o che questi creditori “estranei” siano di entità marginale). Se invece i creditori sono troppi per poterli distinguere in aderenti vs estranei, allora conviene il concordato che li include tutti.
Il Concordato Preventivo (o “Concordato Minore” per le PMI)
Il concordato preventivo è la procedura concorsuale di regolazione della crisi per eccellenza nell’ordinamento italiano, storicamente utilizzata per evitare il fallimento attraverso un accordo collettivo con i creditori sotto controllo giudiziario. Nel nuovo Codice della crisi, il concordato preventivo è disciplinato dagli artt. 84 e ss. CCII (per le imprese “sopra soglia”), mentre per le imprese sotto-soglia c’è l’analogo concordato minore (artt. 74 e ss. CCII). I due istituti sono molto simili, con differenze di dettaglio procedurale e requisiti soggettivi, ma la struttura di base è comune. Vediamo i punti chiave:
- Tipologie di concordato: si distingue tra concordato in continuità e concordato liquidatorio. Nel concordato in continuità, l’impresa prosegue l’attività (direttamente o indirettamente) e il piano è finalizzato al risanamento con mantenimento dei posti di lavoro, ecc. Nel concordato liquidatorio, invece, si prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione dei beni, pur nell’ambito concordatario. La distinzione è importante perché il legislatore impone condizioni più favorevoli ai creditori nel caso liquidatorio (ad es., storicamente, il famoso minimo del 20% ai chirografari nei concordati liquidatori – percentuale che però il nuovo Codice ha eliminato, optando per un controllo di convenienza caso per caso). Nel concordato in continuità, invece, si accetta che i creditori chirografari possano prendere anche meno, purché sia assicurata la continuità aziendale e il piano offra loro almeno quanto otterrebbero da una liquidazione.
- Procedimento: il debitore presenta un ricorso al Tribunale con proposta, piano e documentazione (bilanci, elenco creditori, atti attestatore ecc.). Se il tribunale ammette la procedura, viene nominato un Commissario Giudiziale e si convoca l’assemblea dei creditori per il voto sul piano. I creditori sono suddivisi in classi se vi sono posizioni giuridiche differenziate; ciascuna classe vota la proposta (serve la maggioranza della somma dei crediti ammessi al voto in quella classe, o se non ci sono classi, la maggioranza sul totale crediti). Se almeno una classe (o la maggioranza semplice se classe unica) approva, il concordato può andare a omologazione, dove il tribunale verifica la legalità e la convenienza per le classi dissenzienti (il cosiddetto cram-down giudiziale: il tribunale può omologare anche senza il voto favorevole di tutte le classi, purché quelle dissenzienti siano trattate in modo non deteriore rispetto alle altre e rispetto all’alternativa liquidatoria).
- Effetti sui debiti: con l’omologazione, tutti i creditori anteriori sono obbligati nei termini del concordato. Anche chi ha votato contro o non ha partecipato viene vincolato e potrà reclamare solo quanto previsto nel piano. Le azioni esecutive individuali sono bloccate dall’apertura della procedura e poi sostituite dall’esecuzione del piano concordatario. In questo senso il concordato è lo strumento più potente per “azzerare i debiti”: se il piano prevede il pagamento parziale e lo si esegue, il residuo è definitivamente cancellato nei confronti di tutti quei creditori (salvo eventuali eccezioni per crediti non falcidiabili per legge, come sanzioni penali o alimenti).
- Trattamento dei creditori privilegiati: Regola generale, un creditore privilegiato (es. banca ipotecaria, Fisco con privilegio) può essere pagato parzialmente (falcidiato) solo se rinuncia volontariamente alla parte di privilegio o se risulta che la garanzia vale meno del credito (la parte eccedente può essere trattata come chirografaria). Ad esempio, se una banca ha mutuo €200k garantito da ipoteca su un immobile che nel piano vale €150k, il piano deve pagare €150k alla banca (valore di stima – di solito suddiviso in percentuale privilegiata) e può trattare i restanti €50k come chirografari falcidiandoli. Viceversa, non si può ridurre il capitale dell’IVA o di ritenute previdenziali salvo transazione fiscale: infatti, per questi crediti pubblici privilegiati occorre passare dal meccanismo di cui all’art. 88 CCII (transazione fiscale) per poterli falcidiare, come già spiegato sopra. La Corte Costituzionale nel 2019-2022 ha eliminato il divieto di falcidia IVA per i soggetti sovraindebitati, e il nuovo Codice consente espressamente di includere l’IVA tra i crediti falcidiabili in concordato, purché vi sia convenienza per l’Erario e adesione (o cram-down) in sede di omologazione.
- Concordato “minore”: Per le imprese sotto-soglia (attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k) esiste il concordato minore, analogo al concordato preventivo ma con alcune semplificazioni procedurali e adattamenti. Ad esempio, nel concordato minore:
- Non è richiesto il deposito di bilanci se non esistenti, e in generale la documentazione iniziale è un po’ più snella (come già evidenziato nella differenza sopra).
- L’imprenditore individuale che ha cessato l’attività può teoricamente proporre concordato minore liquidatorio (anche se su questo punto vi sono stati contrasti interpretativi: il CCII art. 33 comma 4 sembrava escluderlo, ma la giurisprudenza sta cercando di consentirlo per evitare discriminazioni).
- La votazione segue regole analoghe, anche se spesso nei concordati minori il numero di creditori è tale che può non esserci necessità di classi.
- Il Tribunale può nominare organi con minor formalità; il controllo è un po’ più leggero.
- Costi e tempi: Il concordato è una procedura giudiziale complessa: richiede l’intervento di avvocati e consulenti per predisporre il piano, di un attestatore indipendente per la relazione di fattibilità, il pagamento di un contributo unificato e bollati alla domanda, poi le spese del commissario giudiziale e in caso di omologazione quelle eventuali di liquidazione o controllo dell’esecuzione. Non è economico, perciò va intrapreso quando c’è in gioco una massa debitoria significativa e si prevede un beneficio rispetto al fallimento (ad esempio salvaguardare la continuità aziendale, evitare che i soci perdano tutto il capitale, ridurre esposizioni personali dei garanti, ecc.). I tempi variano ma tipicamente 6-12 mesi per arrivare al decreto di omologazione, più l’eventuale fase esecutiva del piano (che può durare anni, a seconda di come sono dilazionati i pagamenti nel piano stesso).
In definitiva, il concordato preventivo/minore è lo strumento principe per imporre un accordo a tutti i creditori e chiudere la partita dei debiti con un’unica procedura. Dal lato del debitore, va affrontato con la consapevolezza che:
- occorre convincere una maggioranza di creditori (serve dunque costruire un piano equilibrato: i creditori votano nel loro interesse, quindi se la proposta è troppo squilibrata a sfavore loro rischia di non passare);
- si perde in parte il controllo (c’è un commissario, servono autorizzazioni per atti di straordinaria amministrazione durante la procedura, ecc., anche se l’imprenditore rimane in possesso dei beni in continuità);
- in caso di esito negativo (mancata approvazione o mancata omologazione) il fallimento è dietro l’angolo: la domanda di concordato rigettata è un classico preludio alla dichiarazione di insolvenza.
Va notato che esiste anche il “concordato in bianco” (o prenotativo, art. 44 CCII) dove si deposita una domanda con riserva e poi si presenta il piano entro termini, usato spesso per congelare la situazione e guadagnare tempo. Ma qui entriamo in tecnicismi procedurali oltre lo scopo di questa guida.
Concordato Semplificato ex art. 25-sexies CCII
Merita un paragrafo a sé il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, introdotto in via transitoria nel 2021 e ora stabilizzato nell’art. 25-sexies del Codice. È uno strumento speciale, attivabile solo all’esito negativo di una composizione negoziata. Se l’esperto nella relazione finale attesta che non si è trovato un accordo e che la prosposta del debitore meriterebbe comunque considerazione, l’imprenditore può proporre entro 60 giorni un concordato semplificato consistente nella messa a disposizione di tutto il patrimonio ai creditori. Le particolarità di questo concordato sono:
- Liquidatorio puro: non prevede la continuazione dell’attività (l’azienda viene liquidata, salvo eventualmente poter cedere l’azienda in blocco a un terzo). È pensato come extrema ratio per evitare il fallimento quando ormai l’unica cosa da fare è vendere i beni ma si vuole farlo sotto l’egida di un concordato anziché in fallimento.
- Niente voto dei creditori: a differenza del concordato ordinario, qui i creditori non votano. Essi vengono sentiti in udienza per eventuali osservazioni, ma la decisione spetta al Tribunale, che omologa il concordato se ritiene che la proposta soddisfi comunque il principio di miglior soddisfacimento dei creditori rispetto alla liquidazione giudiziale. Quindi è un meccanismo cram-down totale: il giudice impone il concordato anche senza consenso dei creditori, se lo giudica conveniente e conforme alla legge.
- Requisiti: bisogna aver tentato le trattative (relazione finale dell’esperto) e la proposta deve assicurare che ai creditori venga destinato tutto l’attivo disponibile. Non sono ammessi concordati semplificati “creativi”: è uno scenario di liquidazione controllata. Inoltre, la proposta deve prevedere un trattamento non inferiore alla liquidazione fallimentare per tutti i creditori.
- Ruolo del tribunale: è molto delicato, perché deve supplire alla mancanza del voto. In pratica omologa solo se la percentuale e le prospettive per i creditori sono chiaramente migliori di quelle di un fallimento. Se ad esempio l’Esperto ha portato un acquirente che offre X per l’azienda, e col concordato semplificato i creditori prenderebbero, poniamo, 30 centesimi, contro i 10 centesimi stimati in caso di fallimento, il tribunale può omologare anche se magari qualche creditore storce il naso perché non vota. È uno strumento “forte” per il debitore, ma richiede rigore e trasparenza assoluta.
Perché un debitore dovrebbe sceglierlo? Perché magari, fallita la composizione, preferisce gestire lui la liquidazione sotto controllo del tribunale e ottenere l’esdebitazione alla fine, piuttosto che essere dichiarato fallito e subire un procedimento più lungo e stigma peggiore. Dal lato dei creditori, può convenire perché comunque c’è stata la supervisione di un esperto e c’è spesso un elemento di valorizzazione maggiore (es. vendita unitaria) rispetto al fallimento. Ad ogni modo, il concordato semplificato è finora poco utilizzato (è molto recente) e applicato solo quando c’è attivo da distribuire e la procedura ordinaria è inefficiente.
Le Procedure di Sovraindebitamento (Crisi da Sovraindebitamento)
Accanto agli strumenti sopra descritti, che valgono in generale per gli imprenditori commerciali (con differenziazioni tra sopra e sotto soglia), l’ordinamento italiano prevede specifiche procedure per i soggetti “non fallibili” o comunque per le situazioni di indebitamento che coinvolgono la sfera personale del debitore: ad esempio, piccoli imprenditori individuali, professionisti, start-up innovative, enti non profit e consumatori privati. Queste procedure erano originariamente regolate dalla Legge 3/2012 sul sovraindebitamento, e dal 2022 sono state integrate e riformate nel Codice della crisi (artt. 65-83 CCII, Titolo IV Capo II). Dal punto di vista del debitore, esse rappresentano un ventaglio di opportunità per affrontare situazioni di sovraindebitamento civile o misto (privato e di piccola impresa), con lo scopo dichiarato di consentire al debitore meritevole di liberarsi dei debiti insostenibili e riabilitarsi economicamente. Di seguito le tre principali:
Piano di ristrutturazione per il consumatore (ex Piano del consumatore)
Il consumatore (persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei ad attività d’impresa) ha una procedura dedicata: il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (art. 67 CCII, ex art. 8 L.3/2012, noto anche come “piano del consumatore”). Caratteristiche:
- Il consumatore propone al tribunale un piano di pagamento parziale dei propri debiti, sulla base delle proprie disponibilità reddituali e patrimoniali, garantendo comunque di impiegare tutto il possibile compatibilmente con il mantenimento di un’esistenza dignitosa. Il piano non richiede il voto dei creditori: essi non hanno potere di veto, decide il giudice se omologarlo.
- Condizione fondamentale è la “meritevolezza” del consumatore, ovvero che non abbia colpe gravi nella formazione del sovraindebitamento (niente frodi, niente spese voluttuarie sproporzionate, nessun ricorso al credito irresponsabile). Ad esempio, un privato che si è indebitato oltre misura per gioco d’azzardo potrebbe vedersi negare l’omologazione per difetto di meritevolezza; mentre chi ha perso il lavoro e non riesce a pagare i prestiti è in genere considerato meritevole.
- Il giudice valuta il piano e, se ritiene che il debitore stia offrendo quanto può ragionevolmente offrire e che i creditori ottengano almeno quanto avrebbero in una liquidazione, omologa il piano anche senza consenso dei creditori (che possono solo fare opposizione se ritengono violati i loro diritti). Una volta omologato, il piano vincola tutti i creditori concorsuali.
- Durante l’esecuzione, il debitore paga secondo quanto stabilito (ad esempio versa una quota mensile del proprio stipendio per 4 anni ai creditori). Se porta a termine i pagamenti, il tribunale dichiara l’esdebitazione per la parte di debito eventualmente rimasta insoddisfatta.
Il piano del consumatore è pensato per, ad esempio, famiglie sovraindebitate da prestiti, cessioni del quinto, carte di credito, etc., che vogliono evitare pignoramenti e liberarsi dei debiti pagando solo una parte. Un caso applicabile: il titolare di un’agenzia pubblicitaria individuale che ha cessato l’attività e rimane con debiti verso banche e carte personali – se ora è un semplice consumatore (perché non ha più partita IVA attiva) può chiedere questa procedura, purché i debiti siano per scopi personali o comunque non più legati all’attività.
Importante novità: il Correttivo ter 2024 ha ulteriormente chiarito l’ambito di questo strumento: esso è riservato a debiti esclusivamente di natura consumeristica. Ciò ha creato dibattito sulle situazioni miste (persona fisica con alcuni debiti da attività d’impresa cessata e altri da consumo). La Cassazione nel 2023 (ord. n. 22699/2023) e varie corti di merito hanno escluso che chi abbia debiti “promiscui” possa usare il piano del consumatore: in questi casi va semmai utilizzato il concordato minore. In pratica, se un ex imprenditore individuale ha anche debiti privati, non può “mascherarsi” da consumatore puro – quel che conta è l’origine del debito. Questa rigidità ha suscitato critiche e richieste di correttivi (anche la Commissione Giustizia del Parlamento ha chiesto di consentire l’accesso a procedure negoziali anche all’imprenditore cessato con debiti misti), ma al luglio 2025 la regola resta: procedura del consumatore solo per chi ha debiti da consumatore. Ad esempio, un pubblicitario freelance che ha chiuso la P.IVA ma ha debiti verso fornitori dell’ex attività e debiti personali, non può fare il piano del consumatore per tutti: dovrà scegliere la via del concordato minore o della liquidazione controllata.
Concordato minore (ex accordo del debitore)
Per i debitori non consumatori (piccoli imprenditori, professionisti, start-up, ecc.) la procedura di composizione è il concordato minore (artt. 74-83 CCII). Nonostante il nome, è in sostanza l’evoluzione dell’“accordo di composizione” della legge 3/2012, ma con l’approccio di un concordato:
- Richiede l’adesione di una maggioranza di crediti (anche qui intorno al 60%, come per gli accordi). Il CCII la chiama concordato, ma di fatto prevede un voto o comunque un consenso dei creditori.
- Se la maggioranza approva, il tribunale omologa e il piano vincola tutti i creditori (anche i dissenzienti, come in un concordato preventivo).
- Vale per debitori sotto-soglia o non fallibili (inclusi imprenditori agricoli, start-up innovative, enti non profit). Non vale per i consumatori (che hanno l’altra procedura).
- Anche qui serve il requisito della meritevolezza del debitore (non deve aver aggravato la posizione con dolo o colpa grave). Niente “premio” per chi ha frodato i creditori.
- Può essere presentato in continuità o liquidatorio, come i concordati. Se liquidatorio, per l’omologazione occorre offrire almeno il ricavato di una liquidazione controllata.
Il vantaggio del concordato minore per un piccolo imprenditore è che permette di legare anche eventuali creditori dissenzienti, cosa che l’accordo stragiudiziale puro non fa. Ad esempio, un agente pubblicitario libero professionista con molti debiti professionali e personali può proporre di pagarli al 30% in 4 anni con garanzia del proprio immobile, e se la maggior parte dei creditori è d’accordo il giudice omologa e anche chi non voleva accetta deve adeguarsi. Al termine, il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione del residuo (vedi dopo).
Uno svantaggio rispetto al piano del consumatore è che qui i creditori contano (possono influire con il voto), quindi la procedura può fallire se non si convince la maggioranza. Inoltre, come evidenziato, c’è quella problematica dell’imprenditore cessato: il CCII letteralmente esclude dal concordato minore l’imprenditore individuale che abbia cancellato l’impresa dal registro da oltre un anno (art. 33 c.4 CCII), costringendolo alla liquidazione controllata. Questo appare irragionevole (perché la persona fisica resta in vita coi debiti), tanto che alcune corti – es. App. Firenze 30/1/2024 – hanno “disapplicato” quella preclusione ammettendo comunque il concordato minore per un professionista cessato. Si attende un intervento normativo correttivo per sanare la questione.
In pratica, il concordato minore per una piccola agenzia è simile a un concordato preventivo semplificato: permette di ristrutturare i debiti con un voto dei creditori, sotto la supervisione del giudice, con costi e formalità ridotti. Ad esempio, se la nostra agenzia pubblicitaria individuale ha 10 creditori tra cui il Fisco, la banca e fornitori, potrà presentare un piano offrendo il 30% a tutti, pagabile in 5 anni, e se 6-7 creditori su 10 (in valore >60%) accettano, il giudice potrà omologare anche sui restanti. Il successo dipende però da una proposta equilibrata e dalla fiducia che il debitore ispira (meritevolezza, trasparenza, attestazione di un OCC).
Liquidazione controllata del sovraindebitato
Quando non è possibile formulare un piano (perché il debitore non ha entrate sufficienti per proporre pagamenti anche parziali, o i creditori non si fiderebbero), resta la soluzione di liquidare il patrimonio in modo ordinato e poi liberare il debitore dai debiti. È l’equivalente del fallimento per i non fallibili, disciplinato dagli artt. 268 e ss. CCII (ex “liquidazione del patrimonio” della legge 3/2012). Caratteristiche:
- Il debitore (o anche un creditore, o un pubblico ministero se ricorrono certi presupposti) può chiedere al tribunale l’apertura della liquidazione controllata. Viene nominato un liquidatore (simile al curatore) che gestisce e vende tutti i beni del debitore, per distribuire il ricavato ai creditori secondo le cause di prelazione.
- Si apre quindi una procedura concorsuale in cui i creditori presentano le domande, si forma uno stato passivo, si liquidano i beni. Il debitore collabora ma perde la disponibilità del suo patrimonio, salvo i beni impignorabili (es. beni di stretta necessità, uno stipendio minimo vitale, ecc.).
- La liquidazione controllata ha una durata massima di 3 anni dall’apertura (novità introdotta dal Codice per evitare procedure eterne). Al termine, il liquidatore redige un rendiconto e il giudice chiude la procedura.
La parte fondamentale è l’esdebitazione: il debitore persona fisica, una volta chiusa la liquidazione controllata, ottiene di diritto la cancellazione di tutti i debiti residui non soddisfatti (non serve più fare apposita istanza separata). Il Codice prevede infatti che decorso il triennio, il tribunale dichiari l’esdebitazione nell’ambito del decreto di chiusura, salvo che emergano ragioni ostative (ad es. frodi del debitore, inadempimento grave agli obblighi di collaborazione, ecc.). Questo è un notevole passo avanti pro-debitore: nella legge precedente la liberazione dai debiti andava richiesta e poteva essere negata se il soddisfacimento ai creditori era inferiore al 10%. Ora quel limite non c’è più: anche se i creditori hanno ricevuto zero o l’1%, il debitore meritevole può comunque essere esdebitato. La Cassazione n. 27562/2024 ha confermato proprio che non serve una soglia minima di soddisfacimento per ottenere l’esdebitazione, superando definitivamente l’idea che bisognasse pagare “qualcosa”. Conta solo la buona fede e la trasparenza del debitore, non il dato quantitativo puramente.
La liquidazione controllata, quindi, è un porto sicuro per il debitore onesto ma sfortunato: mette tutto sul piatto, perde i suoi beni, ma dopo 3 anni torna libero dai debiti (eccetto quelli non perdonabili come alimenti, sanzioni penali, etc.). È ovviamente una soluzione di sacrificio estremo – l’equivalente di dichiarare bancarotta – e non consente di proseguire l’attività. Per un’imprenditore è la fine dell’avventura imprenditoriale (anche se potrebbe ricominciarne una nuova liberato dai debiti pregressi, da cui l’idea di fresh start).
Esdebitazione del debitore incapiente (cd. “esdebitazione senza utilità”)
Un’ultima procedura introdotta nel 2021 è quella per il debitore persona fisica completamente incapiente, cioè che non ha alcun patrimonio né reddito attivabile per i creditori. In questo caso, la legge consente comunque di ottenere l’esdebitazione, purché:
- Il debitore sia meritevole (vale sempre il requisito: no colpe gravi, no atti in frode).
- Non abbia fatto altre esdebitazioni simili in passato (è una chance unica nella vita, sostanzialmente).
- La situazione sia tale che nemmeno una liquidazione controllata darebbe soddisfazione significativa ai creditori (i quali quindi non subiscono un danno concreto da questa esdebitazione, tanto comunque non avrebbero ricavato nulla).
Il procedimento (art. 283 CCII) prevede che il debitore presenti un’istanza al tribunale dichiarando la propria insolvenza e l’assenza assoluta di attivo. Il tribunale, sentiti i creditori e verificata l’assenza di beni, può emettere un decreto che cancella tutti i debiti immediatamente. Se entro 4 anni dal decreto il debitore acquisisce nuovi beni di valore (es. un’eredità, una vincita), i creditori riaprono la partita per prenderli fino a concorrenza dei loro crediti. Trascorsi 4 anni, anche quell’eventuale condizione cade.
Questa procedura è stata definita di “esdebitazione senza utilità” o fresh start puro. È pensata per situazioni di povertà estrema: ad esempio, il piccolo imprenditore che ha chiuso e si trova disoccupato, senza casa di proprietà, con famiglia a carico, ecc., sommerso da debiti che mai potrà pagare. Invece di costringerlo a una liquidazione (che costerebbe più di quanto rende) e aspettare 3 anni, gli si concede subito la liberazione, così può cercare di rifarsi una vita. In cambio, ovviamente, deve essere stato onesto e cooperativo: se ha nascosto qualcosa o sperperato volutamente, non ne ha diritto.
Per un titolare di un’agenzia pubblicitaria che avesse ad esempio chiuso l’attività e rimanesse con debiti e zero beni, questa sarebbe la soluzione per toglierseli di dosso in pochi mesi. Va segnalato però che i tribunali applicano criteri stringenti sulla meritevolezza: verrà vagliato il perché di quei debiti e perché il debitore non ha nulla.
Chi può accedere alle procedure di sovraindebitamento – Riepilogo
Abbiamo visto come il regime italiano distingua tra fallibili e non fallibili. Oggi, con il CCII, la distinzione è principalmente dimensionale: le imprese piccole (sotto-soglia) e i non imprenditori seguono le regole del sovraindebitamento, le imprese più grandi vanno col concordato preventivo e liquidazione giudiziale.
Ricordiamo i requisiti di non fallibilità (“sotto-soglia”), rimasti quelli dell’art. 1 LF e ora art. 2 lett. d CCII: attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k. Chi rientra in questi limiti non può essere dichiarato in liquidazione giudiziale, quindi userà concordato minore o liquidazione controllata se insolvente. Inoltre, la platea del sovraindebitamento include:
- Consumatori (persone fisiche non imprenditori).
- Professionisti (avvocati, commercialisti etc. con debiti professionali).
- Imprenditori agricoli (esenti da fallimento per legge speciale).
- Start-up innovative (temporaneamente non fallibili ex art. 31 DL 179/2012).
- Enti non profit (associazioni, fondazioni, ONLUS).
- Soci illimitatamente responsabili di società: caso peculiare, se fallisce una SNC i soci falliscono con essa; ma se la SNC era sotto-soglia e va in liquidazione controllata, i soci possono accedere anch’essi a procedure di sovraindebitamento personali. Il CCII li considera anch’essi nel perimetro.
Una novità è la possibilità di procedura familiare: membri della stessa famiglia sovraindebitati con origine comune del debito possono presentare un’unica procedura congiunta, riducendo costi e sovrapposizioni. Ad esempio, marito e moglie coobbligati per dei prestiti possono fare un solo concordato minore congiunto, anziché due separati.
In tutti i casi, il filo conduttore è la volontà legislativa di dare al debitore onesto un’uscita. Le statistiche iniziali indicano che la riforma 2022-2023 è più “generosa” verso i debitori: più esdebitazioni concesse, più casi di successo. Tuttavia, rimane fondamentale presentare piani realistici e dettagliati, e farsi assistere da un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) competente, che affianca il debitore in queste procedure (i Gestori della crisi nominati dall’OCC svolgono un ruolo paragonabile al commissario/curatore ma più orientato all’aiuto del debitore).
Focus: Transazione Fiscale e Definizione dei Debiti Tributari
Come accennato in vari punti, un momento cruciale per “azzerare i debiti” di un’impresa riguarda i debiti fiscali e contributivi. Tradizionalmente, questi erano i più ostici da ridurre, per vincoli legali (divieto di falcidia IVA) e per la rigidità degli enti impositori. Oggi, il quadro è cambiato grazie alla transazione fiscale e a importanti pronunce giurisprudenziali. Facciamo dunque un punto dedicato su come un’agenzia pubblicitaria indebitata col Fisco possa gestire tali debiti.
Che cos’è la transazione fiscale? Introdotta nel 2005 per il concordato preventivo (art. 182-ter Legge Fall.), ampliata nel 2007 e 2012 anche agli accordi di ristrutturazione, e rivoluzionata nel 2020, la transazione fiscale è la possibilità di includere nel piano concordatario o di ristrutturazione un trattamento agevolato dei crediti fiscali e previdenziali, previa adesione dell’ente o cram-down. In sostanza, il debitore propone all’Erario e agli enti previdenziali di pagare i loro crediti in misura ridotta (falcidiando anche il capitale d’imposta, oggi consentito) o dilazionata, e ottenere il loro voto favorevole. Vediamo l’evoluzione:
- Fino al 2020: la legge consentiva di tagliare solo sanzioni e interessi, ma non il capitale di imposte come IVA e ritenute, se non in casi marginali (es. crisi da sovraindebitamento non fallibile, ma lì c’era il divieto di falcidia IVA incostituzionale come detto). Questo rendeva poco utili le transazioni: il Fisco pretendeva sempre il 100% dell’imposta e al più abbuonava le sanzioni.
- Svolta 2020 (DL 137/2020 conv. L.159/2020): è stato consentito di proporre in concordato e accordi il pagamento parziale anche del capitale delle imposte, a patto che un esperto attestasse la convenienza della proposta per l’Erario rispetto alla liquidazione. Inoltre, se il Fisco vota no irragionevolmente, il tribunale può omologare lo stesso (introduzione esplicita del cram-down fiscale). Queste novità sono confluite negli artt. 63 e 88 CCII in vigore dal 2022. In pratica, se la nostra agenzia in concordato offre al Fisco il 30% e in fallimento avrebbe zero, il giudice può approvare il concordato anche contro il parere dell’AdE, scongiurando veti.
- Correttivo 2024: come visto, la transazione fiscale è stata estesa anche alla composizione negoziata (art. 23 co.2-bis CCII). Durante le trattative stragiudiziali, ora il debitore può formulare una proposta al Fisco (ad es. “pagherò il 50% del debito IVA in 5 anni”) e l’Agenzia Entrate può accettare. Se accetta, l’accordo raggiunto viene poi “autorizzato” dal tribunale e diventa efficace. Se invece non si arriva a un accordo in quella sede, il debitore potrà sempre inserirlo nel concordato successivo. Il correttivo ha anche abbassato la soglia di adesione dei creditori privati necessaria per imporre la transazione in sede di accordo post-composizione (60% invece di 75%, come già spiegato).
In parole povere, oggi un debitore ha strumenti per ridurre sensibilmente il carico fiscale:
- Nel concordato preventivo: può prevedere di pagare, ad esempio, solo una parte dell’IVA (diciamo 30-40%), dilazionandola, e se ciò è più di quanto l’Erario prenderebbe dalla liquidazione fallimentare, il giudice può forzare l’approvazione anche se l’AdE è contraria. La Cassazione e la Corte UE hanno avallato questo meccanismo, partendo dal presupposto che meglio incassare qualcosa subito in concordato che quasi nulla dopo anni di esecuzioni infruttuose. È finita l’epoca del “tabù IVA”.
- Negli accordi di ristrutturazione: similmente, il Fisco può aderire a una falcidia (taglio) e il tribunale la può imporre in omologazione se i parametri di convenienza sono rispettati.
- Nella composizione negoziata: da fine 2024 il Fisco può sedersi al tavolo e accettare uno stralcio prima che si arrivi al concordato. Ad esempio, l’Agenzia Entrate potrebbe firmare un accordo dove rinuncia al 30% di un debito per chiudere velocemente e favorire il risanamento dell’azienda, cosa che prima non poteva fare formalmente.
Va detto che la prassi dell’Agenzia Entrate non è entusiasta di grossi sconti: spesso l’Agenzia in sede di trattativa chiede percentuali minime (40-50% almeno) e tempi brevi. Nel caso di mancato accordo, però, come visto, il debitore può far valere il cram-down offrendole comunque più di quanto ricaverebbe in un fallimento (spesso questo bastone induce l’Agenzia ad accettare il carota di un accordo ragionevole).
Definizioni agevolate (Rottamazioni): Oltre alla transazione fiscale in senso stretto, ricordiamo che il legislatore negli ultimi anni ha varato varie misure di definizione agevolata dei debiti fiscali con Equitalia/Agenzia Riscossione:
- Rottamazione delle cartelle: ce ne sono state quattro edizioni (2016, 2017, 2018, 2023). Permettono di pagare i ruoli esattoriali senza sanzioni né interessi di mora, spesso a rate. L’ultima, la “rottamazione-quater” aperta nel 2023, consente ad esempio di pagare il debito iscritto a ruolo (imposta + interessi da ritardata iscrizione) in 18 rate, risparmiando sulle sanzioni e more. Per un’azienda ciò riduce anche di un 20-30% l’esborso complessivo.
- Stralcio dei mini-debiti: come visto, la Legge 197/2022 ha cancellato automaticamente interessi e sanzioni su debiti ≤ €1.000 di vecchia data, e addirittura il capitale se erano debiti verso enti diversi dallo Stato. Ciò ha pulito molti ruoli di importo minimo, alleggerendo la posizione di tanti debitori.
- Saldo e stralcio per persone in difficoltà: nel 2019 fu prevista una misura (riservata a persone fisiche con ISEE basso) per chiudere i debiti fiscali pagando solo una percentuale ridotta (dal 16% al 35% a seconda dell’ISEE). Questa misura non è attiva al 2025, ma è stata un precedente di “esdebitazione fiscale di massa”.
Chi si trova con cartelle esattoriali dovrebbe sempre verificare se esistono queste opportunità normative, perché a volte conviene aderire a una rottamazione piuttosto che tentare una transazione fiscale in concordato: ad esempio, la rottamazione-quater non tocca il capitale ma azzera sanzioni e interessi, per il Fisco è accettabilissima e non richiede attestazioni o cause di prelazione. Un’agenzia pubblicitaria che avesse solo debiti con Agenzia Riscossione potrebbe valersi di quelle e evitare la procedura concorsuale. Tuttavia, spesso insieme a debiti fiscali vi sono altre esposizioni (banche, fornitori) per le quali serve comunque un concordato o accordo: in tal caso la transazione fiscale “in procedura” consente di gestire tutto in un unico contenitore.
In conclusione, grazie alle evoluzioni normative e giurisprudenziali:
- L’Erario non è più un creditore intoccabile: può subire decurtazioni dei crediti come gli altri, se ciò è giustificato dal contesto e autorizzato dal giudice.
- Dal lato del debitore, questo significa che anche i debiti con Agenzia Entrate e INPS si possono in gran parte “azzerare”, pagando solo una frazione, purché si utilizzi lo strumento giusto (concordato/accordo/composizione negoziata) e si rispetti la regola di offrire comunque il massimo possibile con convenienza rispetto al fallimento.
- Rimangono naturalmente eccezioni: ad esempio, l’IVA dovuta come sostituto d’imposta (ritenute operate e non versate) rimane di fatto non falcidiabile se non pagando almeno il valore integrale del privilegio (in quanto equiparata a somme sottratte a terzi, su cui c’è poca tolleranza). Anche i contributi previdenziali dei dipendenti spesso devono essere pagati in misura alta (c’è un limite normativo: almeno il 80% dei contributi non versati ai dipendenti deve essere garantito nei concordati in continuità, salvo errore).
- In generale però, un piano ben congegnato può prevedere ad esempio: stralcio del 50% dell’IVA e IRPEF, pagamento del 100% dell’IVA trattenuta (quella “diretta”), stralcio del 50% delle sanzioni e interessi, ecc., e ottenere il sigillo del tribunale anche se il Fisco storcesse il naso.
Per completare il focus, citiamo brevemente una sentenza costituzionale importante: la Corte Cost. n. 245/2019 che dichiarò illegittimo il divieto di falcidia IVA nel sovraindebitamento. Da allora, come recepito nel CCII, l’IVA è falcidiabile ovunque. E la Corte Cost. n. 6/2024 ha rigettato dubbi di legittimità su alcune norme del nuovo codice, confermando ad esempio la ragionevolezza della durata minima della liquidazione controllata a 3 anni. In pratica le riforme 2020-2022 hanno retto al vaglio costituzionale, consolidando un approccio più equo tra debitori e creditori pubblici.
Domande Frequenti (FAQ)
D: La mia agenzia pubblicitaria è piccola (ditta individuale) e travolta dai debiti. Posso usare la composizione negoziata sotto-soglia? Serve qualche requisito particolare?
R: Sì, anche le micro e piccole imprese possono accedere alla composizione negoziata, ed anzi esiste un percorso “sotto-soglia” pensato apposta per loro. I requisiti dimensionali per qualificare un’impresa come piccola sotto-soglia sono: attivo ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000, debiti ≤ €500.000. Se rientri in questi parametri (tipico per una ditta individuale), non sei soggetto a liquidazione giudiziale fallimentare in caso d’insolvenza, ma alle procedure di sovraindebitamento (concordato minore, liquidazione controllata). Tuttavia, la composizione negoziata è aperta anche a te: l’istanza puoi presentarla sulla piattaforma online oppure tramite un Organismo di Composizione della Crisi (OCC). Il procedimento sarà simile a quello per imprese maggiori, ma con alcune semplificazioni: ad esempio, non devi allegare tutti i bilanci (se non li hai) né un piano dettagliato iniziale; bastano alcuni documenti essenziali (certificati dei debiti fiscali e contributivi, estratto centrale rischi, elenco debiti). Anche la nomina dell’esperto può avvenire tramite OCC locale, oltre che via Commissione regionale. Insomma, puoi certamente accedere. Tieni conto però che, come piccola impresa, se le trattative non portano a un accordo, gli sbocchi possibili saranno il concordato minore o la liquidazione controllata, dato che non sei fallibile (non potresti chiedere un concordato preventivo ordinario). La legge dal 2023 ha comunque equiparato molto le opportunità: ad esempio, anche le PMI possono ora fare la transazione fiscale durante la composizione negoziata e poi proporre concordato minore o accordi con gli stessi effetti dei grandi concordati.
D: Ho un’agenzia pubblicitaria avviata (S.r.l.), ma i debiti superano 1 milione € e non vedo soluzioni. Se chiedo la composizione negoziata e non trovo l’accordo con i creditori, finirò comunque fallito?
R: La composizione negoziata è concepita proprio per tentare il tutto per tutto prima di un fallimento. Anche se non trovi un accordo amichevole con una percentuale sufficiente di creditori, non è detto che finirai in liquidazione giudiziale (fallimento). Hai un importante asso nella manica introdotto dalla riforma: il concordato semplificato per liquidazione. In pratica, se le trattative falliscono ma esiste una proposta ragionevole da fare ai creditori (per es.: “vendo quel poco che ho e distribuisco il ricavato che è meglio di niente”), puoi proporla al Tribunale entro 60 giorni dalla fine della composizione. I creditori non votano su questa proposta; il Tribunale la valuta e, se conviene ai creditori rispetto al fallimento, la omologa anche se qualcuno si oppone. È una chance unica: si chiama “concordato semplificato liquidatorio”. Serve ovviamente che tu offra tutto il patrimonio disponibile e che la gestione precedente sia stata corretta (non devono emergere frodi). Se il tribunale non omologa neanche il semplificato (perché ritiene che in fallimento i creditori starebbero meglio o per altri vizi), allora sì, è probabile che uno o più creditori chiederanno la liquidazione giudiziale (fallimento). In ogni caso, attivare la composizione negoziata non ti preclude niente e anzi sospende eventuali istanze di fallimento in corso finché le trattative sono aperte. Quindi, anche nello scenario peggiore, hai guadagnato tempo e tentato opzioni. E se purtroppo dovessi fallire, avendo agito tempestivamente e con trasparenza potresti poi chiedere l’esdebitazione: dopo la chiusura del fallimento (o anche prima, con le nuove norme) otterrai la cancellazione dei debiti residui, così da ripartire pulito. Ricorda infatti: la legge oggi facilita l’esdebitazione dell’imprenditore onesto, anche se i creditori hanno avuto poco. In sintesi, la composizione negoziata male che vada ti porta a un concordato semplificato o a un fallimento, che comunque affronteresti con più elementi e una posizione di merito migliore (avendo tentato il risanamento).
D: I fornitori stanno perdendo fiducia e minacciano ingiunzioni. Se apro una procedura di concordato o accordo, comparirà ovunque che la mia agenzia è insolvente: non rischio di perdere i clienti e rovinare il brand?
R: È vero che le procedure concorsuali hanno visibilità pubblica (iscrizione al Registro Imprese, pubblicazione in Bollettino Ufficiale, ecc.) e ciò può destare preoccupazione nei partner commerciali. Tuttavia, la composizione negoziata è inizialmente riservata: la tua attivazione non viene pubblicata se non quando e se chiedi misure protettive (in quel caso l’annotazione al RI c’è). Molti debitori riescono a condurre le trattative in modo confidenziale; e se si raggiunge un accordo stragiudiziale con la maggior parte dei creditori, potresti nemmeno dover divulgare nulla all’esterno. Certo, se poi entri in concordato preventivo, questo diventa notorio. Ma valuta: meglio un temporaneo “disagio reputazionale” o il collasso definitivo con fallimento? Spesso clienti e fornitori, se adeguatamente informati, preferiscono continuare a lavorare con un’azienda che sta cercando di risanarsi in concordato (protetta dal tribunale) piuttosto che rischiare di aver a che fare con un’azienda che fallisce all’improvviso. Puoi trasformare la cosa in un elemento di serietà: comunicare ai clienti che hai avviato un percorso sotto controllo di un tribunale per ristrutturare i debiti, senza interrompere le attività (nel concordato in continuità tu continui a lavorare normalmente). Molte grandi imprese in Italia sono passate per concordati preventivi o accordi e hanno poi recuperato la piena operatività. Inoltre, c’è la possibilità, in alcuni casi, di mantenere contratti essenziali: la legge vieta ai fornitori di beni/servizi essenziali (es. elettricità, telefono) di sospendere le forniture solo perché hai avviato la procedura (art. 55 CCII), e prevede che eventuali clausole contrattuali di risoluzione automatica “per fallimento o concordato” non si applichino al concordato preventivo. Quindi hai anche tutele giuridiche per tenere in piedi i contratti vitali. In ogni caso, la reputazione va gestita: conviene predisporre un piano di comunicazione verso i clienti chiave, magari coinvolgendoli nel progetto di rilancio, per far capire che la procedura concorsuale è uno strumento per tornare solidi, non la fine dell’azienda.
D: Ho un debito IVA di 100.000 € e l’Agenzia delle Entrate mi ha già detto informalmente che vuole tutto al 100%. Posso fare qualcosa per non pagarlo interamente?
R: Sì. Se agisci tramite una procedura di concordato preventivo, o anche un accordo di ristrutturazione o componi negoziata con transazione fiscale, puoi cercare di ottenere uno sconto sul debito IVA. Le norme attuali permettono di proporre il pagamento parziale del capitale IVA a condizione che all’Erario vada almeno quanto otterrebbe liquidando i beni del debitore. Ad esempio, se il tuo patrimonio liquidabile è tale che in caso di fallimento l’Erario incasserebbe solo €30.000, tu potresti proporre di versargliene €50.000 in concordato: è il 50%, ma è comunque di più e subito, quindi è conveniente. Se l’Agenzia vota contro, il tribunale può omologare ugualmente e imporle la falcidia. La Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia UE hanno avallato questa prassi ritenendola conforme al principio che l’IVA è disponibile nell’ambito di un piano concorsuale che massimizzi il recupero. Dunque, non devi rassegnarti al 100%. Certo, devi passare da una procedura – non puoi ottenere lo sconto semplicemente chiedendolo all’Agenzia in via amministrativa, perché fuori dalle procedure essa è vincolata a riscuotere tutto (salvo le rottamazioni). In concreto, le opzioni sono: (a) accordo di ristrutturazione: trovi un accordo col 60% dei tuoi creditori, includi il Fisco con una transazione fiscale a 50%, presenti l’accordo in omologazione; se l’Agenzia non ha aderito ma hai i numeri, chiedi al giudice di approvare lo stesso. (b) Concordato preventivo: presenti un piano di concordato dove offri il 50% al chirografo tra cui il Fisco; l’Agenzia vota no, ma se il concordato passa con gli altri creditori il tribunale può fare cram-down fiscale all’omologa. (c) Composizione negoziata: da fine 2024 puoi persino, con l’ausilio dell’esperto, proporre durante le trattative informali al Fisco di accettare il 50% e dilazionarlo; se l’Agenzia dice sì, quell’accordo viene validato dal tribunale e hai risolto senza neanche dover aprire un concordato. Preparati però a dimostrare con numeri e perizia di un professionista che quel 50% è davvero il meglio che il Fisco può sperare – l’Agenzia ha facoltà di negoziare: spesso nelle prassi chiede percentuali più alte (es. 60-70%) se fiuta che può ottenere di più. In sintesi: sì, puoi ridurre il debito IVA in sede concorsuale; quanti euro di sconto otterrai dipende dal contesto, ma la legge non impone più il pagamento integrale come un tempo.
D: Se faccio un concordato e la mia società paga solo una parte dei debiti, io come persona fisica (che ho garantito alcuni debiti) resto obbligato per la differenza?
R: Attenzione: il concordato (o l’accordo) libera la società dai debiti secondo i termini del piano, ma non libera automaticamente eventuali fideiussori o coobbligati. Se tu, a titolo personale, hai firmato garanzie per debiti sociali (es. fideiussione alla banca, o hai messo ipoteca su casa tua per il mutuo dell’agenzia) allora il concordato della società non cancella quel vincolo. Il creditore potrà rivalersi su di te per la parte di credito non soddisfatta dall’azienda. Per evitare ciò, bisognerebbe includere anche i garanti nella trattativa. Alcune possibilità:
- Se la tua esposizione personale è rilevante, potresti valutare di accedere anche tu a una procedura di sovraindebitamento personale in parallelo (es. un concordato minore o un piano del consumatore per te stesso, se hai i requisiti). Ci sono casi di concordati “collegati” dove l’imprenditore fa il concordato della società e contemporaneamente avvia il proprio piano personale per sistemare le garanzie.
- Oppure, negoziare con il creditore garantito un trattamento di favore per il garante: ad esempio, proporre nel concordato che se la banca vota sì, la società paga il 40% ma liberando la garanzia personale (questo in realtà in un concordato formale non è automatico, ma a volte i creditori accettano patti aggiuntivi extra-concordato di liberazione dei garanti se ricevono pagamento entro certe soglie).
- Una terza via è la esdebitazione post-fallimentare: se la società fallisce e i creditori vengono parzialmente pagati, il socio garante che viene escusso sui residui potrebbe, una volta chiusa la procedura, chiedere la liberazione dai debiti residui come persona sovraindebitata (ci sono pronunce che lo ammettono).
In linea generale, la garanzia personale rimane valida a meno che non sia contrattualmente rinunciata. Quindi se temi l’escussione, dovrai affrontare la questione separatamente: o pagando tu la differenza, o includendoti in una procedura di sovraindebitamento. Ad esempio, se la tua agenzia va in concordato e paga il 30% ai chirografari, la banca su cui hai fideiussione può farsi dare il 30% dalla società e poi chiedere a te il restante 70%. Potresti però a quel punto negoziare con la banca un saldo e stralcio (magari anche tu fai un piccolo concordato personale offrendo di pagare a tua volta un 10-20% di quel residuo). Ogni caso va studiato, ma non aspettarti di essere automaticamente salvo come persona solo perché la società fa un concordato. Discorso analogo per gli amministratori in caso di debiti erariali: la falcidia del debito IVA in concordato non estingue eventuali responsabilità personali ex art. 239 o 2462 c.c., né il reato penale se soglie penali erano superate (anche se molte volte, pagando quel 30%, si ottiene causa di non punibilità). È un tema complesso, ma la chiave è: se ci sono garanti, la soluzione della crisi deve considerare anche loro, altrimenti il problema si sposta solo.
D: Quanto costa e quanto dura una procedura di sovraindebitamento (concordato minore o liquidazione) rispetto a un fallimento tradizionale?
R: Le procedure di sovraindebitamento sono pensate per essere più snelle e meno onerose. I costi includono: un compenso per l’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) e per il Gestore nominato, che è spesso parametrato alle masse attive/passive ma di regola inferiore a quello di un curatore fallimentare; un contributo di registro imprese minore (per la liquidazione controllata si paga un contributo unificato fisso ridotto). Inoltre, il Codice prevede che la liquidazione controllata duri al massimo 3 anni, a fronte di fallimenti che spesso duravano 5-10 anni. Quindi in linea di massima paghi meno professionisti e per meno tempo. Ad esempio, molte OCC applicano tariffe standard di qualche migliaio di euro per seguire un piano del consumatore, mentre un concordato preventivo societario può costare decine di migliaia di euro tra commissario, attestatore, ecc. In un concordato minore o piano del consumatore non hai un commissario da pagare (c’è solo il Gestore OCC che ha compensi più bassi). La durata dipende dalla complessità del caso e dal tribunale competente: alcuni tribunali omologano un piano del consumatore in 4-6 mesi; un concordato minore con voto può richiedere 6-8 mesi. La liquidazione controllata può concludersi in 3 anni (salvo proroghe straordinarie). Diciamo che, realisticamente, se avvii oggi (luglio 2025) una liquidazione controllata, entro metà 2028 dovresti essere libero dai debiti esdebitato. In un fallimento, anche se la legge fallimentare prevedeva l’esdebitazione dopo la chiusura, i tempi di chiusura potevano essere molto lunghi, specie con contenziosi. In sintesi: procedura sovraindebitamento = più breve e più economica, pensata per situazioni in cui c’è poco attivo e non avrebbe senso un baraccone costoso. Ciò non toglie che serva comunque un minimo di risorse per le spese vive (bollati, compensi OCC) e la collaborazione attiva del debitore per accelerare (se il debitore collabora, fornisce documenti, non fa ostruzionismi, tutto scorre più rapido).
D: Dopo l’esdebitazione, potrò tornare a fare l’imprenditore o avrò delle restrizioni?
R: Una volta ottenuta l’esdebitazione – sia dopo un fallimento sia dopo una liquidazione controllata – sei libero civilmente dai debiti residui e puoi tornare ad intraprendere. La legge fallimentare prevedeva alcune incapacità temporanee per i falliti non esdebitati (non potevano fare imprese per qualche tempo senza speciali requisiti), ma con l’esdebitazione queste cadono. Nel Codice della crisi non ci sono preclusioni specifiche dopo l’esdebitazione: l’idea europea del fresh start è proprio permettere al debitore sfortunato di riprovarci senza stigma. Naturalmente, i rapporti con il sistema creditizio dipenderanno dalla tua storia: se hai avuto un concordato o fallimento alle spalle, probabilmente per qualche anno le banche saranno prudenti, comparirai nelle banche dati dei protesti o sofferenze passate. Ma legalmente, puoi aprire una nuova società, ottenere una partita IVA, essere amministratore. Uniche eccezioni: se hai commesso reati concorsuali (es. bancarotta fraudolenta) potresti avere pene accessorie come l’interdizione dagli uffici direttivi di imprese per qualche anno; oppure se l’esdebitazione ti è stata concessa ma con limitazioni (ad esempio l’esdebitazione dell’incapiente prevede che per 4 anni se hai entrate straordinarie devi destinarle ai vecchi creditori). Ma al di là di questo, non c’è una “pena” perpetua. Anzi, l’intento dichiarato è di favorire il rientro nell’economia attiva. Considera che se chiedi una nuova linea di credito, dovrai probabilmente dichiarare se hai avuto procedure concorsuali pregresse (spesso lo chiedono), ma molte finanziarie e investitori guardano più al progetto presente che al passato, specie se le cause del fallimento erano esterne (crisi di mercato, insolvenza di un grosso cliente, etc.). L’importante è che tu abbia agito in buona fede: se hai abusato delle procedure, l’esdebitazione può essere revocata o negata, e in tal caso resteresti con macigni. Ma supponendo che ti venga concessa, come avviene nella maggior parte dei casi per i debitori meritevoli, potrai ripartire da zero. Magari la prossima volta sfruttando l’esperienza e con una struttura di capitale più prudente (es. costituendo una SRL per limitare la responsabilità, ecc.).
Fonti e Riferimenti
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, in vigore dal 15 luglio 2022), articoli citati: artt. 2 lett. d) (definizione di “impresa minore”); artt. 17-25 sexies (Composizione negoziata); art. 23 co. 2-bis (introdotto da D.Lgs. 136/2024 sulla transazione fiscale in composizione); artt. 25 quinquies, 25-sexies (Concordato semplificato); artt. 57-64 (Accordi di ristrutturazione); artt. 63-64 (Transazione fiscale e contributiva); artt. 65-73 (Concordato minore); art. 67 (Ristrutturazione debiti del consumatore); art. 74-83 (Concordato minore); art. 268-277 (Liquidazione controllata); art. 282 (Esdebitazione del sovraindebitato); art. 283 (Esdebitazione dell’incapiente).
- Decreto Legge 118/2021 (convertito L. 147/2021) – Introduzione della composizione negoziata e del concordato semplificato.
- Unioncamere, Comunicato stampa 05/06/2025 – “La composizione negoziata raddoppia: 905 istanze in 6 mesi” – Dati statistici sulle composizioni negoziate e percentuali di successo al 2025.
- Corte Costituzionale, sent. n. 245/2019 – Ha dichiarato incostituzionale l’art. 7 co.1 L.3/2012 nella parte in cui vietava la falcidia dell’IVA nei piani del consumatore.
- Corte Costituzionale, sent. n. 65/2022 – Ha confermato la possibilità di falcidiare l’IVA in sovraindebitamento, richiamando la giurisprudenza UE (sentenza Degano Trasporti).
- Cassazione Civile Sez. I, ord. n. 4613/2023 (relativa a Trib. Milano) – Principio del miglior soddisfacimento del creditore ipotecario in sede di concordato minore.
- Cassazione Civ. Sez. I, ord. n. 22715/2023 – (richiamata in unijuris) Limiti ai poteri del giudice del sovraindebitamento in assenza di base normativa (sospensione procedimenti esecutivi al di fuori delle previsioni).
- Cassazione Civ., Sez. I, 27/11/2024 n. 30543 – (non citata sopra) Probabilmente in materia di cram-down fiscale o altro principio del CCII.
Hai un’agenzia pubblicitaria in crisi? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Fatture non pagate, scadenze fiscali saltate, crediti non incassati dai clienti: se gestisci un’agenzia pubblicitaria in difficoltà economica, potresti essere sommerso dai debiti.
Ma anche se la situazione sembra sfuggire di mano, la legge ti offre strumenti concreti per tutelare l’attività e la tua persona.
Da dove nascono i debiti in un’agenzia pubblicitaria?
Le agenzie creative, digitali o di comunicazione possono accumulare passività per:
- 🧾 IVA non versata o contributi previdenziali non pagati
- 🏦 Finanziamenti bancari o leasing per strumenti e attrezzature
- 💼 Compensi a freelance o dipendenti arretrati
- 📉 Progetti commissionati ma mai saldati dai clienti
- 📂 Accertamenti fiscali per errori contabili o omesse dichiarazioni
Con il tempo, questi debiti possono generare cartelle esattoriali, fermi, ipoteche e pignoramenti.
Cosa rischi se non intervieni?
Se la situazione degenera, potresti affrontare:
- ⚠️ Pignoramento dei conti aziendali o personali
- 🚫 Blocco operativo per mancato DURC o protesti
- 🔒 Responsabilità patrimoniale dell’imprenditore (soprattutto se in ditta individuale o SNC)
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- 📉 Rischio concreto di liquidazione giudiziale o fallimento
Come può difendersi un’agenzia pubblicitaria con debiti?
- 📂 Mappatura completa della situazione economico-fiscale
- 🧮 Analisi di sostenibilità e valutazione di un piano di ristrutturazione
- ✍️ Accesso a strumenti di composizione negoziata o accordi con i creditori
- ⚖️ Attivazione della procedura per sovraindebitamento (per ditte individuali o piccoli imprenditori)
- 🔁 Proposta di un accordo di ristrutturazione o liquidazione controllata
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📑 Analizza il quadro debitorio della tua agenzia, fiscale e commerciale
📂 Valuta la forma giuridica e la responsabilità personale del titolare o dei soci
✍️ Redige piani di ristrutturazione, accordi con i creditori o ricorsi per bloccare esecuzioni
⚖️ Ti rappresenta in sede di composizione della crisi o in eventuali contenziosi tributari
🔁 Ti segue nel rilancio dell’attività o nella chiusura ordinata, se necessaria
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in crisi d’impresa e debiti aziendali
✔️ Consulente per pignoramenti, accertamenti fiscali e riscossione coattiva
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Conclusione
Anche un’agenzia pubblicitaria con debiti può risanarsi o chiudere in modo protetto e intelligente, evitando danni personali o patrimoniali.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi difenderti legalmente, ristrutturare i debiti e trovare la soluzione più adatta per tutelare il tuo futuro.
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