Come Funziona Il Common Reporting Standard: La Guida

Hai un conto all’estero o stai pensando di aprirlo, e ti chiedi se l’Agenzia delle Entrate può scoprirlo, come avvengono i controlli internazionali e quali sono i rischi fiscali? Vuoi sapere cosa sia davvero il Common Reporting Standard (CRS) e se può coinvolgere anche te?

Il Common Reporting Standard è il sistema di scambio automatico di informazioni finanziarie tra Paesi, creato per combattere l’evasione fiscale. Oggi le autorità fiscali sanno dove tieni i tuoi soldi, anche se non lo hai mai comunicato. E il Fisco italiano riceve ogni anno i dati da decine di giurisdizioni estere.

Cos’è il Common Reporting Standard (CRS)?
– È un accordo multilaterale tra oltre 100 Paesi (tra cui l’Italia), nato per scambiare informazioni sui conti bancari esteri
– Prevede che le banche, assicurazioni e istituti finanziari trasmettano i dati dei titolari di conti non residenti all’autorità fiscale locale
– Queste informazioni vengono poi inviate all’Agenzia delle Entrate del Paese di residenza fiscale del contribuente

Quali dati vengono comunicati?
Intestatario del conto e soggetti collegati (beneficiari effettivi, delegati, società collegate)
Saldo annuale del conto
Redditi prodotti dal conto (interessi, dividendi, proventi da vendita titoli, ecc.)
Movimenti significativi, se collegati a variazioni patrimoniali
– Anche le polizze assicurative con valore di riscatto e le gestioni patrimoniali sono incluse

Quando scatta il controllo fiscale in Italia?
– Se non hai dichiarato il conto estero nel quadro RW della tua dichiarazione dei redditi
– Se non hai indicato i redditi prodotti all’estero
– Se ci sono discrepanze tra i dati ricevuti via CRS e quanto risulta nella tua dichiarazione
– In questi casi, l’Agenzia delle Entrate può avviare un accertamento per attività estera non dichiarata, con presunzione di evasione e sanzioni molto elevate

Cosa può fare il Fisco italiano con i dati del CRS?
– Avviare controlli mirati su residenze fittizie, trust, società estere, conti intestati a terzi
– Contestare omessa dichiarazione di attività estere, con sanzioni dal 3% al 15% (o fino al 30%)
– Applicare accertamenti induttivi basati sui saldi e sui flussi finanziari
– In casi gravi, trasmettere gli atti alla Procura per evasione internazionale

Come puoi proteggerti da un accertamento da CRS?
– Se non hai ancora dichiarato il conto, puoi valutare una regolarizzazione spontanea (ravvedimento operoso)
– Se i dati sono già stati trasmessi al Fisco, puoi preparare una difesa documentale completa
– Se sei effettivamente residente all’estero, puoi dimostrare la tua residenza fiscale con prove concrete
– È essenziale verificare la correttezza dei dati trasmessi, che a volte possono contenere errori o doppioni

Cosa NON devi fare mai?
– Pensare che il Fisco non se ne accorga: le banche estere trasmettono tutto in automatico
– Trasferire i soldi su conti di parenti o società fittizie: sono comunque tracciati
– Ignorare una comunicazione del Fisco: se non rispondi, l’accertamento diventa definitivo
– Affidarti a soluzioni “fai da te”: serve una strategia legale personalizzata e tempestiva

Il CRS ha cambiato per sempre il rapporto tra cittadini e conti esteri. Ma anche se i dati circolano, puoi difenderti in modo corretto e legale.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità internazionale e difesa da accertamenti su conti esteri – ti spiega cos’è il Common Reporting Standard, cosa comporta per i contribuenti italiani e come tutelarti se sei stato segnalato.

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Introduzione

Il Common Reporting Standard (CRS) è lo standard globale per lo scambio automatico di informazioni finanziarie a fini fiscali, sviluppato dall’OCSE nel 2014 e recepito da oltre 100 Paesi nel mondo. In pratica, le autorità fiscali dei paesi aderenti si scambiano annualmente dati sui conti finanziari detenuti dai rispettivi residenti all’estero, con l’obiettivo di contrastare l’evasione fiscale internazionale e la sottrazione di attività al fisco. Si tratta di una svolta epocale che ha di fatto posto fine al segreto bancario tradizionale: ormai i conti correnti, i depositi di titoli, le polizze finanziarie e altre attività detenute in Paesi esteri diventano “trasparenti” per il fisco del Paese di residenza del titolare.

Dal punto di vista del contribuente (debitore), ciò significa che detenere redditi o patrimoni all’estero non dichiarati è divenuto estremamente rischioso: l’Agenzia delle Entrate italiana riceve infatti ogni anno informazioni dettagliate sui conti esteri dei residenti in Italia e può utilizzarle per verificare la regolarità fiscale. In questa guida forniremo un quadro avanzato e aggiornato (giugno 2025) del funzionamento del CRS in Italia, con riferimenti normativi, sentenze recenti, tabelle riepilogative, casi pratici e una sezione di domande e risposte. Il taglio è pensato sia per professionisti (avvocati, consulenti fiscali) sia per privati cittadini e imprenditori desiderosi di capire gli obblighi e le tutele dal punto di vista del contribuente italiano alle prese con il monitoraggio fiscale internazionale.

Cosa troverete in questa guida? Anzitutto, esamineremo la normativa italiana di recepimento e attuazione del CRS, spiegando come l’Italia ha implementato lo scambio automatico di informazioni. Illustreremo poi come funziona concretamente il meccanismo: chi deve comunicare i dati, quali informazioni vengono scambiate, con quali tempistiche, e quali Paesi sono coinvolti. Passeremo quindi agli obblighi dichiarativi per i contribuenti italiani (il cosiddetto monitoraggio fiscale tramite il quadro RW) e a come l’Agenzia delle Entrate utilizza i dati ricevuti (dalle lettere di compliance agli accertamenti). Un focus specifico sarà dedicato alle sanzioni – amministrative e potenziali profili penali – in capo al contribuente inadempiente, con riferimento anche alle ultime pronunce giurisprudenziali. Affronteremo inoltre i casi di segnalazioni errate e le possibilità di contestazione e rettifica dei dati trasmessi, fornendo indicazioni pratiche su come difendersi in caso di errori. Infine, una sezione Domande e Risposte (FAQ) riepilogherà i quesiti più comuni, e alcune tabelle riassuntive faciliteranno la comprensione degli elementi chiave.

Prima di entrare nel dettaglio, è importante sottolineare che questa guida si concentra sulla normativa italiana relativa al CRS. L’Italia ha recepito il framework internazionale adattandolo al proprio ordinamento tributario, con disposizioni specifiche sul monitoraggio fiscale e sulle sanzioni per chi omette di dichiarare attività estere. Ci occuperemo quindi delle leggi, decreti e provvedimenti italiani in materia, nonché delle interpretazioni fornite da prassi e giurisprudenza nazionali, aggiornate al 2025.

Esempio introduttivo: Immaginiamo un contribuente residente in Italia, Mario, che anni fa ha aperto un conto bancario in Svizzera su cui ha depositato dei risparmi non dichiarati al fisco italiano. Fino a qualche anno fa, Mario contava sul segreto bancario svizzero per non essere scoperto. Oggi, grazie al CRS, la Svizzera (che aderisce allo scambio automatico) trasmette annualmente all’Italia i dati di quel conto: l’Agenzia delle Entrate può così sapere che Mario possiede un conto estero e verificarne il saldo e gli interessi maturati. Se Mario non ha indicato quel conto nella sua dichiarazione dei redditi (Quadro RW) né i relativi interessi, riceverà probabilmente una lettera di compliance dall’Agenzia, con l’invito a regolarizzare la sua posizione. In caso di mancata risposta, il fisco potrà procedere con un accertamento, recuperando le imposte evase, applicando sanzioni salate e – qualora l’evasione sia di entità rilevante – segnalando il fatto all’autorità giudiziaria per eventuali profili penali. Questo esempio pratico, che esamineremo in dettaglio più avanti, mostra chiaramente l’impatto concreto del CRS dal lato del “debitore” fiscale e l’importanza di comprenderne il funzionamento.

Procediamo dunque ad esaminare dapprima le fonti normative italiane in materia di CRS.

Quadro normativo italiano del CRS

L’Italia ha partecipato fin da subito all’iniziativa internazionale sul CRS, adottandone le regole mediante atti normativi interni e accordi internazionali. A livello europeo, lo scambio automatico di informazioni finanziarie è stato introdotto con la Direttiva 2014/107/UE (nota anche come DAC2), che ha modificato la precedente direttiva sulla cooperazione amministrativa (2011/16/UE) estendendola al CRS. Tale direttiva UE ha imposto agli Stati membri di scambiarsi reciprocamente i dati dei conti finanziari dei rispettivi residenti.

In Italia, il recepimento è avvenuto con la Legge 18 giugno 2015, n. 95, che ha rappresentato il pilastro normativo iniziale. Questa legge ha avuto un duplice oggetto: da un lato ha ratificato l’Accordo FATCA tra Italia e USA (relativo allo scambio di informazioni con gli Stati Uniti), dall’altro ha introdotto le regole e gli adempimenti necessari per l’attuazione del CRS/DAC2 in ambito nazionale. In particolare, la legge n.95/2015 ha previsto gli obblighi di comunicazione a carico degli operatori e istituzioni finanziarie italiane in base agli accordi internazionali sottoscritti dall’Italia. In sostanza, questa legge ha “aperto la strada” allo scambio automatico, indicando che anche l’Italia si impegnava a raccogliere e trasmettere i dati finanziari secondo lo standard CRS.

Per dare attuazione pratica a tali principi, il Ministero dell’Economia e Finanze (MEF) ha emanato il Decreto ministeriale 28 dicembre 2015. Questo decreto ha dettagliato la disciplina tecnica per la rilevazione, la trasmissione e la comunicazione all’Agenzia delle Entrate delle informazioni relative ai conti finanziari, nonché le procedure di due diligence che le istituzioni finanziarie devono applicare ai fini fiscali. In particolare, il D.M. 28/12/2015 ha: definito quali enti rientrano tra le “istituzioni finanziarie tenute alla comunicazione”, quali sono i conti finanziari oggetto di comunicazione, i criteri per individuare i titolari soggetti a segnalazione, le soglie e modalità di adeguata verifica (due diligence) per conti preesistenti e nuovi, e le scadenze per la trasmissione dei dati al fisco italiano. Inoltre, il decreto contiene degli allegati (Allegati C e D) con l’elenco delle giurisdizioni estere partecipanti allo scambio – allegati che vengono periodicamente aggiornati man mano che nuovi Paesi aderiscono. Ad esempio, con decreto MEF 28 aprile 2025 (pubblicato in G.U. il 6 maggio 2025), gli allegati C e D del decreto 2015 sono stati aggiornati includendo quattro nuovi Stati (Armenia, Moldavia, Ucraina, Uganda) tra i paesi con cui l’Italia scambia automaticamente informazioni.

Oltre al decreto ministeriale, sono stati emanati diversi Provvedimenti attuativi dell’Agenzia delle Entrate, volti a disciplinare aspetti operativi. Ad esempio, un Provvedimento del Direttore dell’Agenzia (24 aprile 2018) ha fissato per quell’anno la scadenza del 20 giugno 2018 per le comunicazioni relative all’anno precedente, in pratica gestendo una proroga tecnica dei termini di invio dati. Ancora, più di recente, con Provvedimento n. 439255 del 23/11/2022 l’Agenzia delle Entrate ha definito le modalità per l’invio delle lettere di compliance ai contribuenti con attività estere non dichiarate, sulla base delle informazioni ricevute tramite CRS (provvedimento di cui riparleremo in dettaglio). L’Agenzia ha inoltre pubblicato sul proprio sito circolari esplicative e una sezione FAQ sul CRS/DAC2 per aiutare gli intermediari finanziari nell’adempimento degli obblighi e chiarire dubbi applicativi.

Di seguito riportiamo uno schema riepilogativo delle principali fonti normative italiane sul CRS:

NormativaContenuto principale
Direttiva 2014/107/UE (DAC2)Base giuridica UE per lo scambio automatico di informazioni finanziarie tra Stati membri (implementa lo standard CRS OCSE). Recepita in Italia con L.95/2015.
Legge 18 giugno 2015 n. 95Ratifica dell’accordo Italia-USA FATCA e introduzione nell’ordinamento italiano delle regole CRS (DAC2). Obblighi per operatori finanziari italiani di segnalare all’AdE i conti dei non residenti.
D.M. 28 dicembre 2015Decreto MEF attuativo della L.95/2015: disciplina le procedure di due diligence e reporting CRS. Definisce istituzioni finanziarie obbligate, informazioni oggetto di comunicazione, scadenze (30 giugno), ecc. Allegati con elenco Paesi aderenti (aggiornati periodicamente).
Provv. AdE 24/04/2018Ha prorogato al 20 giugno 2018 il termine di invio dei dati 2017 da parte degli intermediari (esempio di adeguamento termini).
Provv. AdE 23/11/2022 n.439255Disposizioni per l’utilizzo dei dati CRS a fini di compliance: criteri e modalità per inviare lettere ai contribuenti su anomalie dichiarative relative ad attività estere (conti non dichiarati, redditi esteri non riportati).
Circolari/FAQ AdEChiarimenti interpretativi: ad es. definizione di conto finanziario, casi particolari (chiusura conti, cambi di residenza, ecc.), modalità tecniche di trasmissione (formato XML, schema “CRS status message” per segnalare errori).

Come si evince, il quadro normativo è articolato ma ben delineato. Alla base c’è una chiara obbligazione giuridica: le istituzioni finanziarie italiane devono identificare i conti detenuti da soggetti non residenti e comunicarne i dati all’Agenzia delle Entrate, la quale a sua volta li trasmette alle giurisdizioni estere competenti; specularmente, l’Italia riceve dalle altre amministrazioni fiscali le informazioni sui conti esteri dei propri residenti. A valle di questo flusso informativo si innestano le regole nazionali sul monitoraggio fiscale (Quadro RW) e sulle conseguenze in caso di mancato adempimento, di cui tratteremo diffusamente.

Prima di proseguire, ricordiamo che l’Italia aderisce allo scambio automatico CRS con la stragrande maggioranza dei Paesi del mondo: attualmente (aggiornamento 2025) sono 117 le giurisdizioni da cui l’Italia riceve informazioni e 91 quelle a cui l’Italia invia dati. Tra i principali partner vi sono tutti i Paesi UE, la Svizzera, San Marino, il Principato di Monaco, i maggiori centri finanziari internazionali (Singapore, Hong Kong, UAE, ecc.) e molti Stati extra-UE. Pochissimi sono ormai i “buchi neri” non aderenti al CRS – ad esempio alcuni Paesi che non hanno (ancora) sottoscritto accordi: Belarus, Bosnia-Erzegovina, Macedonia del Nord, Serbia risultano non partecipanti (al 2025). Va segnalato che gli Stati Uniti non aderiscono al CRS (avendo il proprio accordo FATCA bilaterale): tuttavia, grazie al citato accordo FATCA Italia-USA, anche i conti detenuti in Italia da cittadini/statunitensi e viceversa sono soggetti a scambio di informazioni, sebbene con un flusso non perfettamente reciproco. In questa guida ci concentreremo sul CRS standard (tra Italia e resto del mondo), ma è bene tenere presente questa peculiarità per il caso USA.

Fatte queste premesse normative, vediamo ora come funziona in concreto il meccanismo di raccolta e scambio dei dati finanziari, e quali sono i soggetti e le informazioni coinvolte.

Come funziona il CRS in pratica: chi segnala cosa e quando

Il Common Reporting Standard prevede un meccanismo a cinque fasi (identificazione, raccolta, trasmissione, scambio e utilizzo delle informazioni) che coinvolge diverse entità. In sintesi, le istituzioni finanziarie (banche, assicurazioni, società di investimento, ecc.) devono identificare i titolari di conti finanziari che sono fiscalmente residenti all’estero e comunicare ogni anno all’autorità fiscale locale i dati dei loro conti; l’Agenzia delle Entrate raccoglie queste informazioni e le trasmette alle autorità estere competenti; specularmente, l’Agenzia riceve dalle altre amministrazioni i dati sui conti detenuti all’estero da residenti italiani; infine, tali dati vengono incrociati e utilizzati per eventuali controlli fiscali. Analizziamo i vari elementi:

Soggetti tenuti alla comunicazione (istituzioni finanziarie)

La normativa individua precisamente quali entità rientrano tra le “Financial Institutions” italiane obbligate al reporting CRS. Si tratta in generale di intermediari finanziari qualificati, tra cui ad esempio:

  • le banche e gli istituti di credito (inclusa Banca d’Italia, per le sue eventuali attività assimilabili);
  • Poste Italiane S.p.A. (per l’attività di BancoPosta);
  • le società di gestione accentrata di strumenti finanziari (ad es. Monte Titoli);
  • le SIM (società di intermediazione mobiliare) e le SGR (società di gestione del risparmio);
  • le imprese di assicurazione autorizzate al ramo vita (polizze a contenuto finanziario);
  • gli OICR (organismi di investimento collettivo del risparmio, es. fondi comuni);
  • le società fiduciarie che amministrano patrimoni per conto altrui;
  • gli istituti di moneta elettronica e gli istituti di pagamento (ad es. emittenti di carte prepagate con IBAN);
  • le società veicolo di cartolarizzazione (ex L.130/1999) se detengono attività finanziarie per investitori;
  • eventuali trust che presentino i requisiti per essere considerati istituzioni finanziarie (ad es. trust con trustee finanziario italiano);
  • gli emittenti di carte di credito (qualora gestiscano conti di regolazione delle spese dei clienti);
  • le stabili organizzazioni in Italia di istituzioni finanziarie estere (filiali italiane di banche estere, ecc.);
  • qualsiasi altra entità che, pur non rientrando nelle categorie precedenti, svolga attività assimilabili a quelle di una istituzione di deposito, custodia, investimento o assicurazione finanziaria e sia residente in Italia.

Nota: Sono invece escluse dall’obbligo di comunicazione alcune entità finanziarie espressamente escluse dal CRS in quanto a basso rischio di evasione (ad es. alcuni fondi pensione, enti governativi, organizzazioni internazionali, banche centrali, ecc.), come previsto dallo standard. Inoltre, come vedremo, le società non finanziarie (imprese industriali/commerciali) non rientrano tra i soggetti che segnalano – semmai esse possono essere oggetto di segnalazione se detenute da residenti esteri (conti intestati a società possono far emergere i relativi “controlling persons”).

Le istituzioni finanziarie italiane obbligate al CRS devono essere fiscalmente residenti in Italia (oppure, se non hanno residenza fiscale, costituite secondo le leggi italiane, o con sede di direzione in Italia, o comunque soggette alla vigilanza finanziaria italiana). Sono incluse anche le stabili organizzazioni in Italia di entità estere. Questi soggetti, ogni anno, devono effettuare una due diligence sui propri clienti per individuare quelli di interesse e quindi predisporre la comunicazione annuale all’Agenzia delle Entrate.

Conti finanziari e informazioni oggetto di comunicazione

Quali rapporti finanziari devono essere segnalati? Il CRS si applica ai “conti finanziari” detenuti presso istituzioni finanziarie, nozione che include principalmente:

  • Conti di deposito: conti correnti bancari, libretti di risparmio, conti deposito a risparmio, conti postali, ecc.;
  • Conti di custodia: conti titoli o altri rapporti attraverso cui si detengono attività finanziarie (azioni, obbligazioni, quote di fondi, ecc.) a beneficio del cliente;
  • Quote di capitale/debito in entità di investimento: ad esempio quote/azioni di società di investimento, fondi comuni, SICAV, o altri veicoli assimilati (in alcuni casi anche certe partecipazioni azionarie possono rientrare se detenute tramite entità finanziarie);
  • Contratti di assicurazione con valore di riscatto o rendite: polizze vita a contenuto finanziario, polizze di capitalizzazione, rendite finanziarie, ecc., che accumulano un valore.

In altri termini, quasi tutti i rapporti bancari o assicurativi dove sono detenuti valori mobiliari o denaro rientrano nella definizione di Financial Account. Non sono invece considerati conti finanziari ai fini CRS, ad esempio, i conti intestati a governi o enti pubblici, i conti pensionistici qualificati, i contratti di assicurazione danni, le carte di credito (salvo eccezioni) e altre casistiche a basso rischio.

Ovviamente, la comunicazione riguarda solo i conti i cui titolari (o beneficiari effettivi) sono persone oggetto di comunicazione. In generale, è oggetto di segnalazione ogni persona fisica o entità che sia residente in una giurisdizione estera partecipante (diversa da quella della banca). Se ad esempio una banca italiana ha tra i clienti il signor X residente fiscale in Francia, dovrà comunicare quel conto (perché persona oggetto di comunicazione verso la Francia); viceversa, una banca svizzera segnalerà all’Italia il conto intestato al signor Rossi residente in Italia. Non sono persone oggetto di comunicazione invece alcune entità escluse, come ad esempio:

  • Società per azioni quotate (e loro controllate) – poiché le società quotate sono escluse in quanto trasparenti al mercato;
  • Entità pubbliche (Stati, enti locali) e organizzazioni internazionali;
  • Banche centrali;
  • Istituzioni finanziarie stesse (una banca non deve segnalare il conto di un’altra banca, in linea di principio).

Le informazioni da comunicare per ciascun conto segnalabile sono dettagliate e comprendono (art. 3, D.M. 28/12/2015): dati identificativi del titolare (nome, indirizzo, codice fiscale/NIF, paese di residenza fiscale), il numero di conto, la denominazione e codice fiscale dell’istituzione finanziaria che effettua la comunicazione, il saldo o valore del conto alla fine dell’anno (o alla chiusura, se il conto è stato chiuso durante l’anno), e – per alcuni tipi di conti – gli importi lordi dei redditi finanziari maturati o pagati nel corso dell’anno sul conto. In particolare, vanno comunicati gli interessi bancari, i dividendi, gli altri redditi di capitale accreditati, nonché gli eventuali proventi lordi derivanti dalla vendita o rimborso di attività finanziarie sul conto (es. vendita di titoli). Nel caso di polizze assicurative, si indica l’ammontare rimborsato in caso di riscatto.

Se il titolare del conto è un’entità (es. una società, un trust), la banca deve verificare se tale entità è controllata da persone fisiche residenti estere (“Controlling Persons” secondo la definizione del CRS, tipicamente i beneficiari effettivi) e in tal caso segnalare anche i dati di queste persone fisiche collegate. Ad esempio, una fiduciaria o una banca che amministri un trust deve comunicare il trust come entità e i suoi controlling persons (disponente, beneficiari) residenti all’estero.

Riassumendo, lo schema di informazioni che l’Agenzia delle Entrate italiana riceve (e invia) per ciascun rapporto finanziario segnalato include di norma:

  • Identificativi del titolare (nome, cognome, indirizzo, paese di residenza fiscale, codice fiscale estero o italiano se disponibile);
  • Identificativi del conto (numero o codice IBAN, tipo di conto/prodotto);
  • Dati dell’istituzione finanziaria che segnala (denominazione e codice fiscale);
  • Saldo o valore del conto al 31/12 dell’anno di riferimento;
  • Importo totale degli interessi pagati sul conto nell’anno;
  • Importo totale dei dividendi o altri redditi accreditati sul conto;
  • Eventuali proventi lordi da vendite di asset sul conto;
  • In caso di polizze, valore di riscatto o indennizzo pagato;
  • Controlling persons: per entità, i dati identificativi delle persone fisiche controllanti (con relativa associazione al conto).

Tutte queste informazioni vengono trasferite in formato elettronico (XML) secondo lo schema standard CRS definito dall’OCSE. Esistono procedure per gestire eventuali errori nei file: ad esempio un meccanismo di “CRS Status Message” consente all’amministrazione ricevente di notificare a quella inviante errori nei dati o nei file, richiedendo correzioni. In generale comunque, se un record presenta errori minori il file viene accettato lo stesso e gli errori sono segnalati per correzione successiva, mentre errori gravi bloccanti comportano il rifiuto dell’intero file e la necessità di ritrasmissione.

Importante: Attualmente il CRS non copre alcune tipologie di asset, in particolare immobili e criptovalute. I dati scambiati riguardano essenzialmente disponibilità finanziarie (conti, depositi, investimenti) e i relativi redditi. Dunque, ad esempio, una casa posseduta in Francia da un residente italiano non viene segnalata tramite CRS (anche se il contribuente deve comunque dichiararla nel quadro RW e pagarci l’IVIE). Analogamente, le criptovalute detenute su exchange esteri oggi non rientrano nel perimetro CRS e non sono oggetto di scambio automatico (salvo che i relativi conti fiat degli exchange possano in teoria essere segnalati). È però in arrivo una novità: l’OCSE ha approvato nel 2022-2023 il Crypto-Asset Reporting Framework (CARF) per lo scambio di informazioni sulle criptovalute, e l’UE con la proposta DAC8 integrerà anche questi asset; ciò avverrà nei prossimi anni, ampliando il raggio d’azione del CRS. Al momento (2025) dunque gli immobili e cripto restano fuori dal CRS, mentre per altri redditi non finanziari (es. stipendi, pensioni) l’UE utilizza altri strumenti di cooperazione (DAC1). In ogni caso, per il monitoraggio fiscale italiano, anche immobili e cripto vanno dichiarati nel quadro RW (se ne ricorrono i presupposti) pur non essendo segnalati da banche estere.

Tempistiche dello scambio di informazioni

Il CRS segue un ciclo annuale fisso. In Italia il calendario degli adempimenti è scandito dall’art. 3 del D.M. 28/12/2015, che recepisce la cadenza prevista dagli accordi internazionali. Possiamo riassumere così:

  • Entro il 30 giugno di ogni anno, le istituzioni finanziarie italiane devono trasmettere all’Agenzia delle Entrate i dati relativi ai conti riferiti all’anno solare precedente. Ad esempio, i dati dei conti del 2024 vanno comunicati entro il 30 giugno 2025. (Nota: In alcuni anni iniziali vi sono state leggere modifiche di scadenza con provvedimenti ad hoc, come nel 2018 – 20 giugno – ma a regime la scadenza standard è 30 giugno.)
  • Entro il 30 settembre, l’Agenzia delle Entrate provvede a trasmettere tali informazioni alle autorità competenti degli Stati esteri interessati. Sempre entro il 30 settembre, l’Agenzia riceve dalle altre giurisdizioni i dati sui conti finanziari detenuti all’estero da soggetti residenti in Italia.
  • Dunque, tipicamente entro il 30 settembre di ogni anno l’Agenzia delle Entrate italiana dispone nel suo database di tutti i dati CRS relativi all’anno precedente. Ad esempio, entro il 30 settembre 2023 ha ricevuto i dati dei conti 2022 intestati a residenti italiani presso banche estere.
  • Dopo il 30 settembre, ha luogo la fase di utilizzo e analisi dei dati da parte dell’Agenzia (ne parleremo nella sezione successiva sulla compliance). Se emergono anomalie o omissioni, vengono attivate le azioni di compliance (lettere, controlli) presumibilmente entro l’anno successivo o giù di lì.

Da notare che questo ciclo è ormai ben avviato: il primo scambio per l’Italia è avvenuto nel 2017 (per i dati 2016) essendo l’Italia Early Adopter. Quindi abbiamo diversi anni di storico. Ogni anno nuovi Paesi possono aggiungersi: ad esempio i nuovi ingressi del 2025 (Armenia, Moldavia, ecc.) faranno sì che dall’anno di adesione in poi anche i dati con tali paesi siano scambiati. I Paesi che non rispettano gli impegni o tardano possono essere temporaneamente esclusi (ad es. se non garantiscono riservatezza adeguata, ecc.), ma ciò esula da questa trattazione.

Riassumiamo le tempistiche principali in tabella:

Data limiteAdempimento CRS
30 giugno (anno N)Scadenza per le Istituzioni Finanziarie italiane per trasmettere all’AdE i dati sui conti relativi all’anno N-1.
30 settembre (anno N)Scadenza per l’Agenzia delle Entrate per scambiare i dati: invio ai Paesi partner dei dati ricevuti (anno N-1) e contestuale ricezione dai partner dei dati sui residenti italiani (anno N-1).
Dopo 30 settembreL’Agenzia esamina i dati ricevuti e li confronta con le dichiarazioni dei contribuenti relative all’anno N-1. In caso di discrepanze, avvia l’attività di compliance (lettere entro fine anno N o inizio anno N+1, seguita da eventuali accertamenti).

Esempio: I dati 2024 saranno comunicati dalle banche italiane entro 30/6/2025, scambiati con gli altri Paesi entro 30/9/2025, e successivamente (2025-2026) l’Agenzia li userà per controllare le dichiarazioni 2025 (redditi 2024) dei contribuenti italiani.

In conclusione, il funzionamento del CRS vede protagonisti gli intermediari finanziari, che svolgono un ruolo di raccolta informazioni e segnalazione, e le amministrazioni finanziarie, che scambiano tra loro i dati e poi li sfruttano per la compliance fiscale. Nel prossimo capitolo, passeremo dal livello degli intermediari a quello dei contribuenti: vedremo quali obblighi hanno i residenti italiani nel dichiarare attività finanziarie estere (monitoraggio fiscale), come l’Agenzia utilizza le informazioni per scovare eventuali evasori e quali strumenti di tutela e regolarizzazione esistono.

Obblighi per i contribuenti italiani: monitoraggio fiscale (Quadro RW) e tassazione delle attività estere

Parallelamente agli obblighi posti in capo agli intermediari, l’ordinamento italiano impone da molti anni ai propri contribuenti residenti un obbligo di dichiarare le attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero. Questo obbligo è comunemente noto come monitoraggio fiscale ed è assolto attraverso la compilazione del Quadro RW nella dichiarazione dei redditi. In questa sezione analizziamo chi è tenuto al monitoraggio, quali investimenti vanno dichiarati, le soglie e le modalità di dichiarazione, nonché il collegamento tra tali obblighi e il CRS.

Soggetti obbligati al monitoraggio fiscale

Sono tenute al monitoraggio fiscale (Quadro RW) tutte le persone fisiche fiscalmente residenti in Italia che detengono attività finanziarie o patrimoniali all’estero, nonché alcuni soggetti assimilati. In particolare, l’obbligo riguarda:

  • Persone fisiche residenti in Italia (di qualsiasi nazionalità);
  • Enti non commerciali residenti (es. associazioni, fondazioni con o senza personalità giuridica, trust “opachi” residenti, ONLUS, ecc.);
  • Società semplici e assimilate residenti in Italia (incluse associazioni tra professionisti, ecc.).

Queste categorie devono indicare nel quadro RW del Modello Redditi il valore delle attività estere di natura finanziaria e patrimoniale detenute nel periodo d’imposta. Non sono invece tenute al quadro RW le società di capitali e gli enti commerciali (es. S.p.A., S.r.l., società di persone commerciali): formalmente la normativa sul monitoraggio esclude tali soggetti, in quanto si presume che eventuali attività estere emergano comunque dal bilancio e dalle normali dichiarazioni (in caso contrario, la mancata indicazione configurerebbe altre violazioni, come omessa/infedele dichiarazione dei redditi d’impresa). Ciò significa, ad esempio, che se una S.r.l. italiana possiede un conto estero non dichiarato, non viola l’obbligo del quadro RW (che non la riguarda), ma compie comunque un illecito fiscale potenzialmente grave, ad esempio occultando ricavi o costituendo “fondi neri” all’estero – condotte che possono integrare reati tributari o societari. In sintesi, mentre l’obbligo RW formale esiste solo per persone fisiche, enti non commerciali e società semplici, qualsiasi soggetto residente (anche società di capitali) è comunque tenuto sostanzialmente a non occultare al fisco patrimoni esteri, dovendo in altro modo renderli trasparenti (nel bilancio, nelle dichiarazioni dei redditi d’impresa, ecc.).

Un discorso a parte meritano i titolari effettivi e i casi di detenzione indiretta. La normativa sul monitoraggio stabilisce che va dichiarato non solo ciò che il contribuente possiede direttamente, ma anche ciò di cui ha la disponibilità o il potere di fatto, anche se intestato a terzi. Ad esempio, se un residente italiano è beneficiario economico di un conto formalmente intestato a una società offshore o a un trust, dovrà dichiararlo come attività estera di cui è titolare effettivo (beneficial owner). Analogamente, chi ha una delega ad operare su un conto estero (es. firma su conto cointestato o procura bancaria) è tenuto a dichiararlo pro-quota, salvo limitate eccezioni. L’obiettivo è evitare che si eluda l’obbligo tramite intestazioni fittizie: conta la sostanza, ovvero chi realmente controlla o beneficia dei beni esteri. Pertanto, nella pratica, vanno monitorate anche partecipazioni in società estere controllate, trust di cui si è disponente o beneficiario effettivo, conti cointestati, ecc., secondo criteri specifici. Approfondiremo alcuni di questi casi particolari più avanti (ad es. trust esteri e normativa CFC).

Investimenti da dichiarare e soglie di esenzione

Rientrano nell’obbligo di monitoraggio tutte le attività di natura finanziaria o patrimoniale detenute all’estero, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia. Questo significa che, indipendentemente dal fatto che abbiano effettivamente prodotto redditi nell’anno, vanno dichiarati tutti i beni esteri che potenzialmente potrebbero generarne. Esempi di attività estere da dichiarare includono:

  • Conti correnti bancari e depositi in istituti esteri (anche infruttiferi);
  • Partecipazioni in società estere (azioni, quote di società non residenti);
  • Obbligazioni o titoli di credito esteri, nonché titoli di Stato esteri;
  • Quote di fondi comuni esteri;
  • Polizze assicurative estere a contenuto finanziario (ramo vita unit-linked, etc.);
  • Metalli preziosi detenuti all’estero (es. oro in cassette di sicurezza fuori Italia);
  • Immobili situati all’estero (case, terreni di proprietà all’estero);
  • Criptovalute detenute tramite exchange esteri o wallet esteri (ormai chiaramente incluse come attività finanziarie da monitorare, secondo prassi).

In generale l’obbligo copre sia attività finanziarie (conti, investimenti) sia investimenti patrimoniali (immobili, oggetti di valore) detenuti all’estero. Sono incluse sia le attività detenute direttamente dal contribuente, sia quelle indirettamente tramite interposti: ad esempio, se una persona fisica controlla al 100% una società estera che a sua volta possiede un conto bancario, il valore di quel conto deve essere indicato (di regola indicando la partecipazione e, se in Paese non collaborativo, anche gli asset sottostanti). Anche trust e fondazioni estere di cui il contribuente sia beneficiario effettivo possono comportare obbligo di RW in capo a lui in certi casi.

Va evidenziato che l’obbligo scatta fin dal primo anno in cui si detiene l’attività estera, senza alcun periodo di grazia: ad esempio, se un residente apre un conto estero a metà 2024, deve comunque indicarlo nel quadro RW relativo al 2024 (dichiarazione da presentare nel 2025). Inoltre, occorre dichiarare anche le attività estere dismesse durante l’anno (indicando il periodo di possesso nell’anno). Non è necessario dichiarare i soli trasferimenti (versamenti/prelievi) di per sé, ma solo la consistenza patrimoniale detenuta a fine anno e/o la movimentazione se l’asset è stato ceduto.

Esistono comunque alcune soglie di esenzione e semplificazioni. La principale riguarda i conti bancari esteri a basso importo: se la giacenza massima complessiva dei conti esteri non supera €15.000 nell’anno, quei conti correnti/depositi sono esonerati dall’indicazione nel quadro RW ai fini del monitoraggio. Questa è una regola pensata per semplificare le segnalazioni di conti di modesta entità: in pratica, se tutti i conti esteri di una persona non superano mai 15.000 euro, non vanno dichiarati (attenzione: l’esonero vale solo per conti bancari/postali, non per altre attività come investimenti in titoli, immobili, partecipazioni, che vanno dichiarati a prescindere anche di importo basso). Ad esempio, se Tizio ha due conti in Francia con giacenze medie 3.000 e 5.500 euro, e valore massimo totale 8.500, essi non superano i 15.000 e Tizio non è obbligato a compilare RW per quei conti (fermo restando l’obbligo di dichiarare eventuali interessi maturati). Se invece il totale supera 15.000 in qualsiasi momento, l’obbligo scatta per tutti i conti. Da notare che l’esonero non si applica se oltre ai conti la persona detiene altre attività estere soggette a RW: in tal caso, comunque dovendo presentare RW per le altre attività, conviene includere anche i conti.

Altre esenzioni particolari: non vanno dichiarati i depositi esteri legati a carte di credito se utilizzati solo per pagamenti (non conti di deposito vero e proprio), né i rapporti transitori sotto certe soglie (es. conti aperti e chiusi nello stesso anno con saldo modesto). Inoltre, è esonerato chi si avvale del regime fiscale speciale per neo-residenti (flat tax per high net worth individuals trasferiti in Italia) limitatamente ai redditi esteri coperti da imposta sostitutiva, ma questo è un caso particolare.

Infine, ricordiamo una importante eccezione: se il contribuente si avvale di un intermediario italiano per il tramite del quale detiene l’attività estera, potrebbe non dover compilare il quadro RW. In base alla normativa (D.L. 167/90, art. 4), infatti, non c’è obbligo di RW se il contribuente ha affidato a un intermediario finanziario residente il compito di curare i trasferimenti da/per l’estero e di assolvere i conseguenti obblighi fiscali. Ad esempio, se un residente detiene titoli esteri tramite una banca italiana (depositati su un conto titoli presso tale banca), o se ha incaricato una banca italiana di riscuotere i redditi di un conto estero (incarico di riscossione) pagando le ritenute del caso, allora l’attività potrebbe essere esentata da monitoraggio perché già “monitorata” dall’intermediario. Occorre però che ci sia un effettivo intervento di un intermediario residente che opera come sostituto d’imposta o responsabile d’imposta per quei redditi. In pratica: conti e investimenti esteri detenuti direttamente all’estero vanno sempre dichiarati, mentre investimenti esteri detenuti indirettamente tramite un intermediario italiano (gestione accentrata, fiduciaria residente) non richiedono RW dal contribuente, perché se ne occupa l’intermediario (questo era il caso dell’esonero previsto dall’art. 4 co.4 D.L. 167/90). Attenzione però: bisogna verificare che l’esonero si applichi effettivamente (ad esempio, se l’intermediario estero ha solo una controllata in Italia non incaricata formalmente, l’esonero non vale). In caso di dubbi, meglio dichiarare per evitare contestazioni. La giurisprudenza ha esaminato casi in cui un contribuente pensava di essere esonerato perché operava tramite società fiduciarie o intermediari, ma l’esonero è stato negato a fronte di situazioni non perfettamente in linea con la norma (si veda ad es. Cass. n.11849/2023 in merito a investimenti in Lussemburgo tramite intermediario poi liquidato, caso in cui l’esonero non è stato riconosciuto).

Dichiarazione nel quadro RW e collegamento con imposte IVIE/IVAFE

Dal punto di vista pratico, gli obblighi di monitoraggio fiscale si concretizzano nella compilazione del Quadro RW all’interno della dichiarazione dei redditi annuale. Le persone fisiche presentano il quadro RW nel Modello Redditi PF (Persone Fisiche); per chi utilizza il modello 730 semplificato, dal 2023 è stato introdotto un quadro aggiuntivo (“Quadro W”) per consentire l’inserimento dei dati degli investimenti esteri e il calcolo delle imposte patrimoniali dovute. In ogni caso, il quadro RW deve essere presentato anche da chi non è tenuto ad altre dichiarazioni, ad esempio un pensionato che normalmente farebbe solo il 730 ma ha un conto estero sopra soglia: in tal caso dovrà presentare il quadro RW con il frontespizio del Modello Redditi (quadro RW “autonomo”).

Nel quadro RW vanno indicati, per ciascuna attività estera detenuta:

  • Il tipo di attività (codice bene: es. conto corrente, immobile, partecipazione, ecc.);
  • Lo Stato estero in cui è situata (codice paese);
  • La quota di possesso o di diritto (per conti cointestati, percentuale di titolarità);
  • Il valore massimo raggiunto nell’anno (per conti correnti) oppure il valore al termine dell’anno (per altre attività), espresso in euro;
  • Il periodo di possesso nell’anno (se non per tutto l’anno, vanno indicate date di inizio/fine detenzione);
  • L’IVIE o IVAFE dovuta, se applicabile, e gli eventuali crediti d’imposta per imposte patrimoniali pagate all’estero.

Ricordiamo infatti che oltre al monitoraggio, detenere alcune attività estere comporta il pagamento di imposte patrimoniali italiane: l’IVIE (imposta sul valore degli immobili esteri, aliquota 0,76% salvo prima casa esente) e l’IVAFE (imposta sul valore dei prodotti finanziari esteri, inclusi conti correnti, pari a 0,2% annuo per i saldi di conto oltre 5.000 €, oppure 34,20 € fissi annui per conti con giacenza media sopra 5.000 €, assimilando l’imposta di bollo italiana). Tali imposte si calcolano appunto nel quadro RW. Ad esempio, se un contribuente possiede un conto in Francia con giacenza media di 10.000 €, nel quadro RW dovrà indicare il valore e calcolare l’IVAFE dello 0,2% (20 €); se possiede un immobile in Spagna dal valore di €100.000, dovrà calcolare IVIE 0,76% (760 €), salvo detrazioni o crediti se ha pagato una patrimoniale locale. In caso di più conti correnti, occorre anche determinare il valore di giacenza media complessivo se presso lo stesso intermediario, per vedere se supera la soglia di esenzione IVAFE.

Dal punto di vista sanzionatorio (che approfondiremo nella sezione successiva), è importante notare che l’omessa o infedele compilazione del quadro RW costituisce violazione distinta e aggiuntiva rispetto all’eventuale omessa dichiarazione dei redditi generati da tali attività. Quindi, ad esempio, se un contribuente ha un conto estero non dichiarato su cui ha percepito interessi non dichiarati, vi saranno due violazioni: una per il mancato monitoraggio (sanzione proporzionale sul valore) e una per i redditi non dichiarati (sanzione proporzionale sull’imposta evasa). L’Agenzia delle Entrate, grazie al CRS, è ora in grado di individuare facilmente queste omissioni. Vediamo dunque come l’Amministrazione finanziaria utilizza i dati ricevuti e quali procedure adotta prima di arrivare a sanzionare il contribuente.

Utilizzo dei dati CRS da parte dell’Agenzia delle Entrate: compliance e controlli

Una volta acquisiti i dati dei conti esteri relativi ai contribuenti italiani, l’Agenzia delle Entrate li confronta con le informazioni contenute nelle dichiarazioni fiscali presentate dai medesimi contribuenti. L’attenzione si concentra su due possibili discrepanze:

  1. Attività finanziarie estere non indicate nel quadro RW ai fini del monitoraggio (e dunque potenzialmente neppure assoggettate a IVIE/IVAFE);
  2. Redditi di fonte estera non dichiarati nel quadro RL, RM, RT o altri quadri reddituali (interessi, dividendi, plusvalenze estere non riportate).

Quando dall’incrocio dei dati emerge una discrepanza – ad esempio il Paese X segnala che il contribuente italiano Tizio ha un conto con saldo €100.000 e interessi €2.000, ma Tizio nella dichiarazione di quell’anno non ha compilato RW né indicato interessi – l’Agenzia avvia inizialmente una fase di “compliance collaborativa”. Invece di emettere subito un avviso di accertamento, viene inviata al contribuente una lettera di compliance (comunicazione informativa) per segnalare l’anomalia e invitarlo a regolarizzare spontaneamente.

Le lettere di compliance per conti esteri

Le cosiddette lettere di compliance sono comunicazioni non impegnative (cioè non sono provvedimenti sanzionatori, ma inviti bonari) con cui l’Agenzia delle Entrate informa il contribuente che, in base ai dati in suo possesso (ad esempio provenienti dal CRS), risultano difformità rispetto a quanto dichiarato. Nello specifico caso del CRS, a partire dal 2020-2021, l’Agenzia ha iniziato a inviare massivamente lettere ai contribuenti per:

  • Conti finanziari detenuti all’estero non indicati nel quadro RW, con eventuale IVAFE non versata;
  • Redditi esteri (interessi, dividendi, ecc.) non riportati nei quadri reddituali (RL, RM, RT, a seconda della natura del reddito).

Queste lettere solitamente riguardano un anno fiscale (o più anni) e indicano in modo sintetico che è stata riscontrata un’anomalia. La comunicazione invita il contribuente a verificare i dati e, se effettivamente ha omesso qualcosa, a provvedere a correggere la dichiarazione con ravvedimento operoso. In alternativa, qualora il contribuente ritenesse di essere in regola o che i dati dell’Agenzia siano errati, è invitato a fornire chiarimenti e documentazione probatoria, anche tramite gli appositi canali telematici di assistenza (es. piattaforma CIVIS).

Nella lettera viene di solito spiegato che l’Agenzia ha messo a disposizione nel “cassetto fiscale” del contribuente, sezione “L’Agenzia scrive”, il dettaglio dei dati in suo possesso. Infatti, accedendo con le credenziali (SPID/CIE o tramite intermediario) al proprio portale fiscale, il contribuente può scaricare un file PDF di dettaglio allegato alla comunicazione. In tale allegato è solitamente presente una tabella riepilogativa con:

  • Il Paese estero da cui proviene la segnalazione (es. Svizzera, Lussemburgo, Singapore…);
  • L’istituzione finanziaria estera che ha segnalato (es. nome della banca: UBS, HSBC, ecc.);
  • Il tipo di rapporto (conto corrente, deposito titoli, polizza, ecc.);
  • Un identificativo del conto (numero o codice, spesso mascherato parzialmente per privacy);
  • Il saldo o valore del conto al 31/12 dell’anno in questione;
  • L’importo totale dei redditi generati su quel conto nell’anno (es. interessi totali accreditati, dividendi ricevuti);
  • Eventuali ritenute fiscali estere già applicate su quei redditi (ad esempio imposta alla fonte su interessi);
  • I dati anagrafici del titolare come da segnalazione (CF, nome) – di solito coincidono con il destinatario;
  • Talvolta, note su eventuale chiusura conto nell’anno.

In questo modo, il contribuente ha contezza precisa di cosa il fisco sa. Spesso ciò aiuta a “rinfrescare la memoria”: può capitare che uno abbia dimenticato un vecchio conto aperto anni addietro e non più usato, ma formalmente attivo e riportato dal sistema. Oppure, è la conferma di quanto temuto: un conto consistente non dichiarato che ora è noto al fisco.

Esempio reale di dettaglio (riportato in una lettera): Country: Svizzera; Financial Institution: Credit Suisse AG; Account Type: Deposito; Account ID: ***123; Ending Balance: €256.000; Interest paid: €1.500. Questo significa che per l’anno indicato il contribuente aveva in Svizzera presso Credit Suisse un conto con saldo finale 256 mila € e ha percepito 1.500 € di interessi. Se tali importi non compaiono nella dichiarazione (RW e redditi di capitale), c’è chiaramente un problema da sanare.

Le lettere solitamente non sono inviate con raccomandata cartacea, ma tramite PEC (se il contribuente ne ha una registrata) o rese disponibili nel cassetto fiscale digitale. È fondamentale quindi non ignorarle. L’Agenzia stessa, nelle FAQ, raccomanda di non trascurare queste comunicazioni. Ignorare la lettera di compliance è la scelta peggiore, perché trascorso un po’ di tempo il fisco passerà alla fase successiva (invito formale o direttamente accertamento) e a quel punto le sanzioni non potranno più essere mitigate con ravvedimento. Inoltre, dopo la notifica di un avviso di accertamento non è più consentito il ravvedimento operoso (che richiede spontaneità): finché si è in fase “bonaria”, invece, ci si può ravvedere con sanzioni ridotte.

Dunque, cosa fare se arriva una lettera? Gli esperti consigliano un approccio proattivo in più step:

  1. Non restare inerti – per le ragioni dette, bisogna reagire subito, entro i termini indicati (di solito 30 giorni per rispondere/iniziare la regolarizzazione).
  2. Reperire i dettagli nel cassetto fiscale – scaricare il prospetto degli elementi segnalati.
  3. Analizzare la propria posizione – confrontare quei dati con la dichiarazione presentata per l’anno in questione. Possibili scenari:
    • Caso A: effettiva omissione. Ad esempio l’asset segnalato non era stato dichiarato affatto (RW mancante) e i redditi non dichiarati. In tal caso la violazione c’è, inutile negarlo: conviene procedere a regolarizzare quanto prima (vedi punto 4).
    • Caso B: posizione (in parte) regolare. Può darsi che l’attività estera in realtà fosse stata dichiarata, ma con qualche difformità formale rispetto ai dati esteri. Oppure i redditi erano dichiarati in modo differente (magari inclusi in un diverso rigo) e il sistema li vede come non dichiarati. Esempio: il contribuente aveva indicato il conto in RW ma sbagliando il codice paese, oppure ha dichiarato gli interessi in un quadro diverso (RL invece di RM) e l’incrocio automatizzato non li ha associati. In questi casi, il contribuente potrebbe essere in regola sostanzialmente, ma deve comunque fornire spiegazioni e documentazione all’Agenzia per chiarire l’equivoco. Potrebbe essere necessario presentare una dichiarazione integrativa per correggere l’errore formale (se ad esempio RW compilato in modo errato), anche senza imposta dovuta, giusto per allineare i dati. Se invece tutto era corretto e l’Agenzia sbaglia (rarissimo, ma ad esempio potrebbe aver doppio segnalato qualcosa), si forniranno le prove.
    • Caso C: contribuente non obbligato. Talora il contribuente potrebbe verificare che in effetti non era tenuto a dichiarare quell’attività, o perché non residente in Italia in quell’anno, o perché già dichiarata da un intermediario italiano. Ad esempio, se l’anno oggetto di lettera il contribuente era fiscalmente all’estero (quindi la lettera sarebbe frutto di un disallineamento di residenza), oppure se quel conto era intestato a una fiduciaria italiana che ha assolto agli obblighi, ecc. In questi casi occorre segnalare all’Agenzia la situazione particolare, documentando l’assenza di obbligo.
  4. Regolarizzare o rispondere all’Agenzia. Se si riconosce l’errore/omissione (casi A), conviene procedere al ravvedimento operoso: si presenta una dichiarazione integrativa per l’anno in questione includendo l’attività estera in RW e/o i redditi, e si versa quanto dovuto (imposte + sanzioni ridotte + interessi). Se invece si è in regola o quasi (casi B/C), si prepara una risposta scritta all’Agenzia – tramite CIVIS o PEC – in cui si spiegano le ragioni e si allegano i documenti di supporto (copia della dichiarazione dove risultava il conto, prova dello status di non residente, ecc.). L’Agenzia valuterà la risposta: se la riterrà convincente (ad es. emergono errori di segnalazione o buona fede), potrà chiudere la segnalazione senza sanzioni. Se invece la spiegazione non è sufficiente, potrebbe comunque procedere con un accertamento.
  5. Non ignorare: vale la pena ripeterlo – se nulla viene fatto, si rischia il passaggio al “invito a comparire” formale (che è già un atto pre-accertamento) o direttamente all’avviso di accertamento. In caso di importi molto elevati e situazioni gravi, l’Agenzia potrebbe addirittura saltare la lettera bonaria e partire subito con un invito formale. Ma in generale preferisce prima tentare la compliance.

In sintesi, l’arrivo di una lettera è un secondo e ultimo “treno” per sistemare la propria posizione con costi relativamente contenuti. Se colto, permette di sanare pagando sanzioni ridotte; se perso, porterà quasi certamente a sanzioni piene e a un contenzioso difficile da vincere (visto che i dati sono oggettivi).

Vedremo tra poco nel dettaglio quali sono le sanzioni amministrative e penali in gioco. Prima, completiamo il quadro della procedura parlando brevemente di cosa succede dopo la fase di compliance:

  • Se il contribuente ravvede e regolarizza, l’Agenzia di norma non intraprende ulteriori azioni (il ravvedimento perfezionato estingue la violazione). Potrebbe seguire un controllo formale per verificare il corretto versamento.
  • Se il contribuente fornisce chiarimenti validi, l’Agenzia chiude la pratica (magari comunicando l’esito via PEC o attraverso il cassetto fiscale). Ad esempio, se era un errore di scambio di dati, l’Agenzia potrà segnalarlo al paese estero per correzione nel flusso successivo.
  • Se il contribuente ignora la lettera o non si ravvede, l’Agenzia può inviare un Invito al contraddittorio (art.5-ter D.Lgs.218/97), che è già un atto ufficiale, oppure procedere direttamente con un avviso di accertamento. Nell’invito, generalmente, vengono quantificate imposte e sanzioni dovute, offrendo la possibilità di definizione agevolata (adesione con sanzioni ridotte di 1/3) entro 30 giorni. Se l’invito non ha esito, parte l’accertamento vero e proprio.

Durante il contraddittorio il contribuente può ancora portare elementi a sua difesa (magari documenti che non aveva prodotto prima) e cercare un accordo (accertamento con adesione) per pagare con sanzioni ridotte. Se non si addiviene ad accordo, viene emesso l’accertamento, impugnabile in Commissione Tributaria entro 60 giorni.

Va detto che, grazie alla mole di dati CRS, l’Agenzia negli ultimi anni ha intensificato di molto i controlli sui patrimoni esteri non dichiarati. Le lettere di compliance hanno già interessato migliaia di contribuenti (professionisti segnalano campagne di invii nel 2022 e 2023). Questo approccio “soft” iniziale ha spesso portato i contribuenti a ravvedersi. Chi ha ignorato o sottovalutato, è andato incontro a veri e propri accertamenti con imponibili presunti notevoli (soprattutto in caso di conti cospicui). L’Agenzia infatti, se non riceve collaborazione, tende a presumere che le somme detenute all’estero siano frutto di evasione e quindi oltre a recuperare le imposte sui rendimenti, talora ricostruisce anche redditi non dichiarati per intero importo (ad es. applicando la presunzione per cui le somme trasferite su conti black list sono redditi evasi salvo prova contraria).

Un cenno sui casi contestabili o di errori nelle segnalazioni: può succedere, ad esempio, che la banca estera abbia commesso un errore (es. segnalato due volte lo stesso conto, o attribuito erroneamente un conto a un codice fiscale simile). In tal caso, il contribuente che si vede recapitare una contestazione ingiustificata dovrebbe tempestivamente raccogliere evidenze (es. certificazione bancaria estera) e farle avere all’Agenzia, spiegando l’errore. L’Agenzia, se riconosce l’errore, in autotutela potrà annullare la contestazione (sfruttando peraltro un recente potere di annullamento doveroso di atti palesemente errati, introdotto nel 2022 – art. 10-quater Statuto Contribuente). Se invece, nonostante le spiegazioni, il fisco insiste, il contribuente potrà far valere tali ragioni in sede di ricorso tributario. Ad ogni modo, l’esperienza mostra che i dati CRS essendo puntuali raramente sono “sbagliati persona” – più frequente è il caso di disallineamento di importi o qualificazione, risolvibile spiegando come quei redditi fossero stati dichiarati diversamente (si pensi a un caso reale: interessi esteri dichiarati come “altri redditi” invece che nella sezione interessi – il sistema non li abbina e genera anomalia).

Da ultimo, va osservato che i dati scambiati possono essere utilizzati non solo per l’accertamento fiscale stretto, ma in teoria anche come indizio in altri ambiti: ad esempio per verificare l’esterovestizione (falsa residenza all’estero) o per contestare l’applicazione di normative antielusive. Un caso citato dagli esperti: tramite CRS l’Agenzia scopre che un imprenditore italiano controlla al 100% una società estera (es. una LLC in Delaware) con conti bancari all’estero non dichiarati; a fronte di ciò, il fisco potrebbe contestare la mancata applicazione della disciplina CFC (Controlled Foreign Company) se la società ha utili non tassati in Italia, oppure sostenere addirittura che la società estera è fittizia/interposta e imputare tutti i redditi al soggetto italiano. In un esempio concreto riportato: emergono via CRS conti in Svizzera intestati a una società offshore X, il cui beneficiario effettivo è il Sig. Bianchi, residente in Italia, che non ha mai dichiarato né la partecipazione estera né gli utili di X. Il fisco potrebbe attivarsi per tassare in capo a Bianchi quegli utili (come redditi da CFC) e certamente sanzionarlo per omessa dichiarazione RW. Allo stesso modo, i dati su trust esteri con beneficiari italiani vengono usati per verificare se il trust sia interposto (ovvero se i beni andassero dichiarati dal disponente) e per contestare l’omesso monitoraggio o la mancata dichiarazione di redditi di capitale erogati dal trust. La materia dei trust esteri è complessa e ha generato contenziosi: l’Agenzia tende a considerare i trust “familiari” spesso come interposti e quindi pretende che il disponente/beneficiario dichiari i beni conferiti, mentre alcune pronunce di merito hanno distinto i trust davvero discrezionali (dove il beneficiario non ha diritti attuali) escludendo l’obbligo RW. In ogni caso, grazie al CRS il fisco viene a sapere dell’esistenza di questi trust e conti correlati, e può avviare accertamenti presuntivi (ad es. presunzione di evasione per i capitali ivi detenuti). Anche per questo è fondamentale che i contribuenti con situazioni complesse (società estere, trust) si facciano assistere da professionisti per inquadrare correttamente gli obblighi dichiarativi e difendersi in caso di contestazione.

Tutto quanto sopra evidenzia che il CRS ha fornito al fisco uno strumento potentissimo. Dal punto di vista del contribuente “debitore” di imposte, il sistema CRS riduce drasticamente gli spazi di non conformità. Di fronte a ciò, conviene perciò privilegiare la compliance spontanea: dichiarare il dovuto, e se per il passato ci sono scheletri nell’armadio (conti non dichiarati), approfittare del ravvedimento o delle opportunità di regolarizzazione prima che sia troppo tardi. Nella sezione seguente esamineremo in dettaglio le sanzioni previste e i possibili profili penali, completando il quadro delle conseguenze in caso di inadempienza.

Sanzioni e responsabilità in caso di inadempienza del contribuente

In Italia le violazioni relative al monitoraggio fiscale e agli obblighi dichiarativi sui redditi esteri comportano sanzioni amministrative molto elevate, a cui nei casi più gravi possono sommarsi responsabilità penali. In questa sezione distingueremo dunque le sanzioni tributarie (amministrative) applicabili al contribuente che omette o sbaglia la dichiarazione di attività estere, e i possibili reati tributari configurabili se l’evasione supera determinate soglie. Riporteremo anche gli ultimi orientamenti giurisprudenziali (Corte di Cassazione) che hanno precisato la portata di tali responsabilità, ad esempio escludendo che la sola omessa compilazione del quadro RW integri di per sé un reato.

Sanzioni amministrative tributarie

Le sanzioni amministrative per violazioni legate al CRS rientrano nel quadro generale del D.Lgs. 471/1997 (sanzioni in materia di imposte dirette) e del D.L. 167/1990 (monitoraggio fiscale). Possiamo suddividerle in tre categorie principali:

1. Omessa o infedele dichiarazione delle attività estere (Quadro RW):
Per la mancata compilazione del quadro RW o l’indicazione incompleta/infedele dei dati in RW è prevista una sanzione proporzionale. In particolare, la sanzione è dal 3% al 15% dell’ammontare di tutti gli importi (valori) non dichiarati. Questa forbice (minimo 3%, massimo 15%) si riferisce ai casi “ordinari”, ovvero attività detenute in Paesi collaborativi. Se invece le attività finanziarie erano detenute in Paesi a fiscalità privilegiata (cosiddetti Paesi Black List, non collaborativi), la sanzione viene raddoppiata: dal 6% al 30% degli importi non dichiarati. La definizione di Paesi black list fa riferimento alle liste del DM 4.5.1999 e successivi aggiornamenti, e grossomodo include Stati che non garantivano scambio di informazioni (oggi molto ridotta, visto che molti hanno aderito al CRS). Ad esempio, se un contribuente non ha dichiarato un conto alle Isole Cayman (paradiso fiscale non collaborativo), la sanzione base sarà tra 6% e 30% del saldo non dichiarato.

Va evidenziato che la sanzione RW si applica per ogni periodo d’imposta di omissione. Tuttavia, se la violazione si protrae su più anni, si possono applicare i criteri del cumulo giuridico: in caso di violazioni della stessa indole commesse in più periodi d’imposta, si prende la sanzione base dell’anno più grave e si aumenta (dal minimo della metà fino al massimo del triplo) invece di sommare aritmeticamente anno per anno. La Cassazione ha confermato che in presenza di omessa compilazione RW per più anni, trattasi di violazioni uniche per anno, soggette al cumulo ex art.12 co.5 D.Lgs.472/97 (beneficio della continuazione). Ad esempio, se per tre anni consecutivi non si è dichiarato un conto, la CTR/Cassazione può applicare un’unica sanzione calcolata aumentando di metà la sanzione base anziché tre sanzioni piene – come avvenuto in Cass. 11849/2023.

Esistono inoltre sanzioni minime fisse in caso di regolarizzazione tardiva ma entro 90 giorni: se la dichiarazione dei redditi (e quindi il quadro RW) viene presentata con un ritardo non superiore a 90 giorni rispetto alla scadenza, si applica una sanzione fissa di €258 (in luogo delle percentuali). Ciò vale come ravvedimento brevissimo post-scadenza entro 3 mesi.

Oltre alla sanzione pecuniaria, la legge prevedeva alcune misure aggravanti per i patrimoni occultati in paradisi fiscali: l’art. 12 D.L. 78/2009 stabilisce che, se si detenevano attività in Paesi black list non dichiarate, ai soli fini fiscali tali attività si presumono costituite con redditi sottratti a tassazione, e quindi: (a) le sanzioni del 3-15% (art. 1 D.Lgs. 471/97) sono raddoppiate (arrivando appunto al 6-30% di cui sopra); (b) sono raddoppiati i termini di accertamento delle imposte dirette e IVA relativi a quei redditi esteri【46†L478-L481]】; (c) sono raddoppiati i termini per irrogare le sanzioni RW. Queste norme sul raddoppio dei termini si applicavano però fino ai periodi d’imposta 2015 (poi sono state parzialmente modificate dalla riforma 2015: attualmente il raddoppio opera solo in caso di reati tributari effettivamente contestati, come stabilito da Cass. SS.UU. n.5292/2021). In pratica, per gli anni più recenti (2016 e seguenti) i termini di accertamento sono già ordinariamente più lunghi (6 anni) e il raddoppio automatico per attività estere non si applica salvo frode penale.

Riassumendo le sanzioni RW:

  • Quadro RW omesso/infedele (Paese collaborativo): sanzione dal 3% al 15% del valore non dichiarato.
  • Quadro RW omesso/infedele (Paese non collaborativo): sanzione dal 6% al 30% del valore.
  • Ritardo entro 90 gg: sanzione fissa €258 (dich. tardiva ma spontanea entro 3 mesi).
  • Più annualità: applicazione del cumulo con aumento di 1/2 fino al triplo sulla sanzione base annua più grave (evitando sommatoria integrale).
  • Definizione agevolata post-contestazione: se viene notificato un atto di contestazione per RW omesso, il contribuente può definire pagando 1/3 del minimo (art.16 c.3 D.Lgs.472/97), ma questo avviene in fase già avanzata.

2. Omessa o infedele dichiarazione dei redditi esteri:
Indipendentemente dal monitoraggio, il contribuente è tenuto a dichiarare in Italia i redditi finanziari prodotti all’estero (interessi, dividendi, capital gain, canoni di locazione di immobili esteri, ecc.). La mancata dichiarazione di tali redditi configura la violazione di dichiarazione infedele (se si presenta la dichiarazione ma con redditi in meno) oppure omessa dichiarazione (se addirittura non si presenta la dichiarazione dovuta). Le sanzioni relative sono quelle ordinarie previste dal D.Lgs. 471/97:

  • Per dichiarazione infedele, la sanzione è dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta (imposta evasa). Questa sanzione si applica quando, ad esempio, il contribuente presenta la dichiarazione dei redditi ma non vi include gli interessi percepiti su un conto estero: l’Agenzia, accertando, calcolerà l’IRPEF dovuta su quegli interessi e applicherà una sanzione proporzionale tra 90 e 180% dell’imposta evasa (oltre interessi). Fino al 2015 la misura era 100-200%, poi ridotta a 90-180% dalla riforma sanzioni del 2016. Ci sono aggravanti se i redditi esteri provengono da Paesi black list non cooperativi: in tal caso la sanzione per infedele dichiarazione può essere aumentata di 1/3 (quindi fino a 240%), secondo l’art.1 co.3 D.Lgs.471/97, anche se questa previsione in parte è superata dall’esistenza del CRS.
  • Per omessa dichiarazione (quando il contribuente non presenta affatto la dichiarazione pur dovendolo, e c’erano redditi imponibili), la sanzione è ancora più elevata: va dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, con un minimo di €250 (oggi €258). Ad esempio, chi non presenta il Modello Redditi avendo solo redditi esteri da dichiarare, se scoperto pagherà imposta + sanzione almeno 120% imposta (minimo 258€). Se però non c’era alcuna imposta dovuta (cosa rara se si omette RW perché di solito redditi ce n’erano), la sanzione per omessa dichiarazione puramente formale sarebbe 3% del valore attività (ma qui entriamo nel campo RW di fatto).

Le sanzioni per imposte evase (infedele/omessa) possono cumularsi con quelle RW viste prima. Quindi nel classico caso di conti esteri non dichiarati con redditi non dichiarati, l’accertamento conterrà:

  • sanzione 3-15% (o 6-30%) sul capitale estero non monitorato, più
  • sanzione 90-180% sull’IRPEF evasa sui rendimenti non dichiarati.

Tuttavia, spesso l’Agenzia tende a contestare entrambe ma poi, in sede di definizione, ad applicare il cumulo giuridico se possibile. In giudizio, talvolta, si discute se la mancata indicazione RW sia solo formale quando i redditi sono già tassati: la Cassazione ha detto che l’omessa RW non è una violazione meramente formale (ha autonoma rilevanza, perché ostacola i controlli) quindi la sanzione RW si aggiunge, ma c’è spazio per cumulo come detto.

3. Violazioni relative alle imposte patrimoniali IVIE/IVAFE:
Se il contribuente omette di dichiarare e pagare IVIE o IVAFE dovute sulle attività estere, si applicano anch’esse le sanzioni da infedele dichiarazione (90-180% dell’imposta patrimoniale evasa). Ad esempio, se non dichiaro un immobile estero e quindi non pago €760 di IVIE, la sanzione sarà ~90% di 760 (684 €) in su. In sede di ravvedimento però queste sanzioni possono essere ridotte.

Ravvedimento operoso:
Va ricordato che prima dell’avvio di verifiche il contribuente può sempre sanare volontariamente le violazioni mediante ravvedimento operoso, beneficiando di riduzioni sulle sanzioni. Le riduzioni dipendono dal tempo trascorso: più tempestivo è il ravvedimento, maggiore lo sconto. Ad esempio, se uno si ravvede entro un anno dalla scadenza, paga 1/8 del minimo di ciascuna sanzione; oltre l’anno ed entro due, 1/7 del minimo, e così via. Nel caso del quadro RW, ravvedersi spontaneamente permette di ridurre la sanzione del 3% al 0,375% (cioè 1/8 di 3%) se fatto entro un anno, o allo 0,5% (1/6 di 3%) se entro due anni, etc. Ad esempio, una sanzione base di 3% può scendere fino a 0,375% dell’importo non dichiarato col ravvedimento breve – il che conviene enormemente rispetto al farsi accertare dopo. Oltre la soglia dei 2 anni, comunque ci si può ravvedere fino a quando non si è notificato atto di accertamento (pagando 1/5 del minimo se oltre 2 anni). Per le sanzioni su imposte (infedele su redditi), analoghe riduzioni (es. 90% ridotto a 1/8 = 11,25% dell’imposta se entro un anno). Il ravvedimento richiede anche il pagamento integrale delle imposte dovute e degli interessi legali.

Efficacia esimente del ravvedimento: se completato prima di formale conoscenza di accessi/ispezioni o inviti, estingue la punibilità amministrativa. Inoltre, il ravvedimento integrale e tempestivo può evitare anche il sorgere di conseguenze penali (vedi dopo sull’uso di ravvedimento per estinguere reati di omessa dichiarazione).

Ecco una tabella riassuntiva delle principali sanzioni amministrative:

Violazione fiscaleSanzione amministrativa
Omessa/infedele compilazione Quadro RW (Paesi collaborativi)3% – 15% degli importi non dichiarati.
Omessa/infedele Quadro RW (Paesi non collaborativi)6% – 30% degli importi (sanzione raddoppiata).
Dichiarazione infedele di redditi esteri (omessi o dichiarati in meno)90% – 180% dell’imposta evasa sui redditi non dichiarati (aliquota IRPEF, IVIE, IVAFE evasa).
Omessa dichiarazione (mancata presentazione) con redditi esteri dovuti120% – 240% dell’imposta evasa, min €258.
Mancato pagamento IVIE/IVAFE (omesse in RW)Equiparato a infedele: 90% – 180% dell’imposta patrimoniale evasa.
Dichiarazione tardiva entro 90 ggSanzione fissa €258 (dichiarazione valida ma tardiva).
Aggravante paradisi fiscali (anni ≤2015)Doppio termine accertamento e sanzioni raddoppiate.
Sanzioni cumulate su più anniCumulo giuridico: sanzione più grave aumentata 1/2 – 3x (art.12 D.Lgs.472/97).
Definizione agevolata atto (post-notifica)Pagamento ridotto 1/3 del minimo (entro 30 gg da notifica atto di contestazione).
Ravvedimento operoso (volontario)Sanzioni ridotte: es. a 1/8 del minimo se entro 1 anno (3% → 0,375%; 90% → 11,25%; ecc.).

(Legenda: Paesi collaborativi = con accordo di scambio info; non collaborativi = paradisi fiscali privi di scambio.)

Come si vede, le sanzioni amministrative possono essere molto impattanti: ad esempio, non dichiarare un conto da €100.000 in Svizzera per 5 anni potrebbe teoricamente esporre a sanzioni RW fino a €15.000 per ciascun anno, poi ridotte col cumulo magari a ~€30.000 totali, più le sanzioni sui redditi (supponiamo €2.000 di interessi annui non dichiarati → imposta evasa €500/anno → sanzioni 90% = €450/anno, cumulate). Si arriva a decine di migliaia di euro facilmente. Se però il contribuente reagisce in tempo con ravvedimento, tutto ciò può ridursi a poche centinaia di euro di sanzione. Questo è il forte incentivo a regolarizzare spontaneamente prima di essere scoperti.

Profili penali (reati tributari)

Oltre alle sanzioni pecuniarie, l’inadempimento grave degli obblighi fiscali internazionali può far scattare anche i reati tributari previsti dal D.Lgs. 74/2000. È importante chiarire che non esiste uno specifico reato per la mancata compilazione del quadro RW in sé: le condotte penalmente rilevanti riguardano la presentazione di dichiarazioni fiscali fraudolente, infedeli o l’omessa presentazione, nonché altri reati come la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte. Vediamo quali potrebbero coinvolgere chi occulta attività all’estero:

  • Dichiarazione infedele (art.4 D.Lgs.74/2000): è il reato di chiunque, al fine di evadere le imposte, indica elementi attivi per un ammontare inferiore al reale o elementi passivi fittizi, in modo tale che l’imposta evasa superi una certa soglia. Nel caso di attività estere non dichiarate, la dichiarazione infedele si può configurare se i redditi prodotti all’estero (interessi, dividendi, plusvalenze) non dichiarati portano a un’evasione d’imposta sopra la soglia di punibilità. Attualmente (dopo le modifiche normative susseguitesi) la soglia di imposta evasa è €100.000 annui, unita alla condizione che gli elementi sottratti a tassazione superino il 10% del totale degli elementi dichiarati o comunque €2 milioni. Ad esempio, se un contribuente non dichiara €50.000 di interessi esteri e l’imposta evasa è €19.000, non scatta reato (sotto 100k imposta). Se invece non dichiara plusvalenze estere con imposta evasa di €120.000, scatta il reato di dichiarazione infedele. La pena prevista è la reclusione da 2 a 4 anni e 6 mesi (dopo inasprimenti 2019). La presenza di attività in paradisi fiscali potrebbe aver rilevanza aggravante ma in genere incide sul calcolo dell’imposta evasa e sui parametri suddetti.
  • Omessa dichiarazione (art.5 D.Lgs.74/2000): se il contribuente addirittura non presenta la dichiarazione annuale pur essendovi obbligato, e l’imposta evasa supera €50.000, scatta il reato di omessa dichiarazione. Ciò potrebbe riguardare, ad esempio, chi trasferisce la residenza all’estero solo fittiziamente e non presenta dichiarazioni in Italia, pur dovendo. Oppure chi, avendo solo redditi esteri, omette di dichiararli non presentando nulla. La pena è la reclusione da 2 a 5 anni. Nel contesto del CRS, la residenza fiscale del soggetto è nota: se uno risulta residente in Italia e non presenta dichiarazione nonostante abbia redditi (magari esteri segnalati), può incorrere in questo reato se i 50k di imposta evasa sono superati.
  • Dichiarazione fraudolenta (artt.2 e 3 D.Lgs.74/2000): fattispeci più gravi che implicano l’uso di mezzi fraudolenti (false fatture, operazioni simulate). Nel caso di estero, potrebbe ipotizzarsi la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art.3) se ad esempio si realizzano operazioni simulate per nascondere disponibilità (es. intestare fittiziamente a società estere). Tuttavia è più comune contestare l’art.4 (infedele) piuttosto che l’art.3, a meno di costruzioni molto complesse. Art.3 punisce evasioni >30k imposta con mezzi fraudolenti con reclusione da 3 a 8 anni.
  • Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art.11 D.Lgs.74/2000): punisce chi, al fine di evadere l’esecuzione del pagamento di imposte già dovute o sanzioni, compie atti fraudolenti sui propri beni (ad es. li rende non aggredibili). Alcune procure in passato hanno tentato di far rientrare la delocalizzazione di capitali all’estero per sfuggire al fisco in questo reato. Ad esempio, trasferire fondi su conti offshore quando si hanno debiti col fisco potrebbe configurarlo. Tuttavia la giurisprudenza si è espressa escludendo che la sola detenzione di capitali non dichiarati all’estero equivalga di per sé a sottrazione fraudolenta, specie se non c’è un’attività di occultamento successiva all’avviso bonario o simili. In particolare, la Cassazione ha chiarito che non sussiste reato di sottrazione fraudolenta se manca la prova di atti concreti volti a rendere inefficace la riscossione delle imposte: ad esempio, trasferire beni all’estero per evitare la sanzione RW non costituisce reato se non c’è un’imposta evasa da riscuotere. Un caso di Cassazione (n.20649/2022) ha stabilito che spostare soldi all’estero per evitare sanzioni da monitoraggio, senza un’evasione d’imposta IRPEF, non integra il reato dell’art.11 perché manca il “credito erariale” da sottrarre (le sole sanzioni amministrative future non bastano).
  • Riciclaggio/autoriciclaggio (art.648-bis e ter c.p.): non sono reati fiscali in senso stretto, ma possono entrare in gioco se i proventi da evasione fiscale vengono reimmessi nel circuito finanziario. Ad esempio, un contribuente che dopo aver evaso sposta fondi su conti esteri e li fa transitare per schermi societari potrebbe essere accusato di autoriciclaggio. Tuttavia, la legge esclude l’autoriciclaggio per il mero godimento personale dei proventi del reato tributario. Quindi, difficilmente la sola detenzione passiva su un conto estero viene perseguita come autoriciclaggio. Nel 2021 c’è stata una vicenda (Cass. pen. sez.VI n.19849/2021) in cui la Corte ha escluso che la mancata compilazione RW integri automaticamente il reato di infedele dichiarazione da porre come presupposto per un’accusa di riciclaggio. In quel caso, si contestava riciclaggio a dei soggetti che avevano movimentato capitali esteri non dichiarati (ipotizzando come reato base l’infedele dichiarazione di un loro cliente), ma la Cassazione ha annullato affermando che la sola omissione RW non prova l’esistenza di un reato tributario se non si dimostra che quei capitali erano redditi imponibili evasi.

In generale, per il contribuente medio con patrimoni all’estero, il reato più pertinente è la dichiarazione infedele. L’omessa RW in sé non è reato, a meno che non si accompagni a evasione di imposta sopra soglia. Dunque, se ad esempio uno aveva capitali all’estero ma perfettamente sterilizzati (nessun reddito generato) e li ha poi regolarizzati pagando la sanzione RW, non ha implicazioni penali. Se invece quei capitali hanno prodotto redditi significativi non dichiarati, e la tassa evasa supera 100k, allora vi è reato. Da sottolineare: la Cassazione ha esplicitamente affermato che l’omessa indicazione RW non comporta “ipso iure” il reato di infedele dichiarazione senza prova di imposte evase su quei beni. In assenza di redditi sottratti a tassazione, la condotta resta amministrativa.

Quanto alla soglia, ipotizziamo: un conto estero da 5 milioni genera magari 50k di interessi annui; 50k di interessi, imposta evasa ~13k € → sotto soglia penale. Ci vorrebbe un rendimento o importi maggiori per superare 100k imposta evasa. Spesso i reati tributari scattano quando c’è stata vendita di partecipazioni estere con plusvalenze ingenti non dichiarate, o un’attività d’impresa occultata all’estero.

È poi importante ricordare che il sistema italiano incentiva la regolarizzazione anche per via penale: se il contribuente paga integralmente i debiti tributari e le sanzioni prima della dichiarazione di apertura del dibattimento penale, per i reati di infedele e omessa dichiarazione è prevista la causa di non punibilità (introdotta dal dlgs 158/2015, art.13 D.Lgs.74/2000). In pratica, un ravvedimento operoso completo prima di essere rinviati a giudizio può estinguere il reato. Quindi persino chi fosse nei guai penalmente ha interesse a saldare il dovuto quanto prima.

In sintesi, dal punto di vista penale:

  • La mancata dichiarazione di redditi esteri rilevanti può portare a imputazioni penali se si superano le soglie (100k imposta evasa per infedele, 50k per omessa dichiarazione).
  • La sola esistenza di capitali non dichiarati (quadro RW) non è punita penalmente a meno che non si dimostri che costituiscono redditi evasi di quell’entità.
  • Pronunce chiave: Cass. pen. n.19849/2021 (omessa RW non integra automaticamente infedele dich.); Cass. n.20649/2022 (no sottrazione fraudolenta solo per aver occultato soldi all’estero senza evasione IRPEF).
  • Nei casi più gravi, l’evasione internazionale può intrecciarsi con altri reati (riciclaggio se si reimpiegano i proventi, o addirittura associazione a delinquere se c’è una struttura organizzata per frodare).
  • Occorre quindi valutare caso per caso: per molti contribuenti con conti non dichiarati la vicenda si chiude con sanzioni amministrative, ma per i grandi evasori internazionali può aprirsi anche un capitolo penale.

Conclusione sulla responsabilità del “debitore” fiscale: Il contribuente inadempiente di fronte al CRS rischia in primis di dover pagare le imposte evase con relativi interessi, e poi di subire sanzioni pecuniarie molto elevate (che possono arrivare a decimare il capitale occultato, specie nei paradisi fiscali). Nei casi di evasione più consistente, c’è la concreta minaccia di azioni penali con tutte le conseguenze (processo, possibili sequestri per equivalente dei beni, iscrizione nel casellario giudiziale in caso di condanna, pene detentive che – per infedele – comunque raramente superano i 2-3 anni, spesso convertibili in pene alternative se incensurati). Chi si trova in tale situazione dovrebbe valutare seriamente di ricorrere a strumenti come il ravvedimento o altre procedure di disclosure per ridurre sia l’esborso sia l’esposizione personale. Anche perché, come illustrato, la giurisprudenza tende a essere piuttosto severa ma allo stesso tempo offre spiragli (non punibilità a seguito di integrale pagamento).

Contestazioni e casi particolari: errori nelle segnalazioni, difesa del contribuente e giurisprudenza recente

In questa sezione concludiamo la guida affrontando alcuni casi particolari e fornendo ulteriori spunti su come il contribuente possa difendersi in situazioni complesse o contestare eventuali errori.

Errori nelle segnalazioni CRS: benché il flusso di dati sia automatizzato, possono avvenire errori. Ad esempio, può accadere che una banca estera segnali per errore un conto a nome di un omonimo, o attribuisca il codice fiscale italiano sbagliato. In tal caso il contribuente potrebbe ricevere una contestazione per un conto che in realtà non è suo. Oppure, errori di natura meno grossolana: importi indicati in valuta diversa scambiati come euro, oppure doppia segnalazione dello stesso conto (magari per cambio di intestazione durante l’anno), ecc. Cosa fare in questi casi? Come già accennato, la prima linea di azione è comunicare subito all’Agenzia delle Entrate la situazione, fornendo prove. Se l’errore è palese (scambio di persona), l’Agenzia potrà annullare la contestazione in autotutela. Se l’errore è nei dati (importi), l’Agenzia può contattare l’autorità estera per un chiarimento tramite i canali di cooperazione. È utile anche coinvolgere la propria banca estera: il cliente può chiedere alla banca di verificare quanto trasmesso e, se c’è errore, di inviare un flusso di correzione (il CRS consente di trasmettere messaggi di correzione/eliminazione record l’anno successivo). Nel frattempo il contribuente non dovrebbe essere sanzionato per un errore non suo: in sede di ricorso, un errore di scambio dati costituirebbe motivo di annullamento dell’atto per difetto di presupposto.

Diritto di accesso ai dati CRS: il contribuente ha il diritto di conoscere i dati che il fisco possiede su di lui. Questo è affermato sia dallo Statuto del Contribuente (diritto di accesso agli atti amministrativi) sia dalla normativa privacy GDPR. Come visto, l’Agenzia stessa mette a disposizione i dettagli nel cassetto fiscale. È buona prassi, se si hanno situazioni estere, richiedere preventivamente questi dati per evitare sorprese. Ad esempio, uno studio consiglia ai contribuenti con conti esteri di richiedere agli intermediari finanziari esteri copia delle informazioni oggetto di scambio ai fini CRS, in modo da poterle confrontare con la propria dichiarazione. Molti istituti esteri, su richiesta del cliente, rilasciano un prospetto con i dati CRS trasmessi. Questo consente di individuare ex ante eventuali discrepanze e porvi rimedio (ad esempio, se la banca estera riporta un dividendo come “interessi”, il contribuente in dichiarazione potrebbe doverlo riclassificare coerentemente). Oltre a ciò, c’è la possibilità di esercitare il diritto di accesso ai propri dati personali detenuti dall’Agenzia: si può presentare un’istanza per conoscere tutte le informazioni scambiate su di sé. Lo Studio Salvetta (2022) sottolinea come sia utile farlo, proprio per allineare la dichiarazione ai dati esatti e correggere eventuali errori in tempo.

Casi di doppia residenza fiscale: il CRS individua i titolari in base alle tax residence self-certification fornite alle banche. Può succedere che una persona sia indicata come residente in due Paesi (ad es. perché non ha aggiornato la residenza in banca dopo essersi trasferito). In questi casi, le informazioni potrebbero essere inviate a entrambi i Paesi. Se Tizio si è trasferito all’estero ma non l’ha comunicato alla banca italiana, la banca potrebbe continuare a segnalarlo all’Italia come residente estero e all’estero come residente italiano – insomma un disallineamento. In sede di contestazione, il contribuente può far valere di non essere (più) residente in Italia nell’anno X, provando di aver iscritto AIRE e trasferito la residenza. Questo ovviamente comporta valutare se l’eventuale accertamento di residenza fittizia (esterovestizione) sia dietro l’angolo: l’Agenzia infatti usa i dati anche per individuare gli iscritti AIRE che in realtà continuano ad avere conti in Italia su cui operano, o viceversa. Ma formalmente, se uno era non residente, l’obbligo RW non c’era e l’accertamento su redditi esteri non può esserci. Quindi la difesa in questo caso è contestare l’“an” dell’obbligo, ossia la soggettività passiva: se si dimostra di non essere soggetto passivo in Italia in quell’anno, cade la pretesa. Tuttavia bisogna prepararsi: spesso l’Agenzia contesta la finta residenza estera, e i dati CRS (conti, carte) sono prove del fatto che la persona manteneva legami in Italia.

Trust esteri e Quadro RW: questo è un ambito specialistico ma frequente tra contribuenti facoltosi. Come accennato, la questione è se un trust non residente con beneficiario italiano comporti obbligo RW per quest’ultimo. La legge esonera formalmente dal RW i beneficiari discrezionali di trust esteri, in assenza di attribuzioni di reddito: essi infatti non sono titolari di un diritto certo su quei beni. Tuttavia l’Agenzia tende a sostenere che molti trust familiari in realtà sono fittizi (interposti) o che il disponente ne mantiene il controllo di fatto, e dunque avrebbe dovuto dichiarare i beni conferiti. Non esiste una regola univoca: contano le clausole del trust e la qualifica opaco vs trasparente. La giurisprudenza di merito ha avuto esiti contrastanti, ma di recente si vedono aperture: alcune Commissioni Tributarie hanno annullato sanzioni RW a carico di beneficiari di trust discrezionali, ritenendo che se il trust è autenticamente autonomo, il beneficiario (non disponente) non deve dichiarare nulla finché non riceve distribuzioni. Ad esempio, C.T. Reg. Lombardia 59/2021 ha dato ragione al contribuente. Comunque, in presenza di trust, è essenziale predisporre una difesa tecnica, eventualmente con perizie che attestino la natura del trust. Il CRS qui è utile al fisco come base per fare domande: spesso prima di sanzionare l’Agenzia invia questionari al contribuente chiedendo se ha istituito trust esteri, se li ha dichiarati o perché no, ecc., sulla base dei dati CRS che mostrano conti intestati al trust con beneficiario italiano.

Giurisprudenza recente (2023-2025): oltre ai casi già citati:

  • La Corte di Cassazione, Sez. Tributaria, ordinanza n.11849/2023 (caso D. di Massa Carrara) ha stabilito che per l’omessa compilazione del quadro RW in più anni va applicato il cumulo giuridico ex art.12 co.5 D.Lgs.472/97 e non il cumulo materiale con raddoppio ex co.1, confermando la riduzione operata dal giudice d’appello. Inoltre, ha ritenuto legittimo l’accertamento del mancato esonero nel caso in questione (intermediario estero liquidato, quindi il contribuente doveva dichiarare).
  • La Cassazione penale, sentenza n.43809/2021 (relativa al riciclaggio) – corrispondente al commento pubblicato nel giugno 2021 – ha affermato come detto che l’omessa dichiarazione RW di per sé non integra reato tributario in mancanza di prova di redditi evasi, e ciò impedisce di usarla come presupposto per contestare riciclaggio.
  • La Corte di Giustizia Tributaria di I grado di Milano (ex CTP), qualche pronuncia del 2022, ha annullato alcune lettere di compliance e accertamenti in cui il contribuente era riuscito a dimostrare che i redditi esteri contestati erano già tassati o esenti. Ad esempio, un caso riportato su Il Sole 24 Ore: investimenti esteri dichiarati con codici errati in RW, il contribuente ha integrato senza sanzioni. Ciò a conferma che se l’anomalia è formale, conviene chiarirla perché le Commissioni potrebbero considerare sproporzionata la sanzione piena per un errore formale (anche se, attenzione, la Cassazione ha detto che omessa RW non è formalmente “mera violazione formale” per definizione).
  • Interessante un caso del 2023, Cassazione SS.UU. penali n. 34472/2023, che pur non riguardando direttamente CRS, attiene ai reati tributari con attività estere: ha risolto un contrasto in tema di sequestrabilità o meno di somme estere per reati fiscali. In pratica, la Cassazione ha sancito che si possono sequestrare (e confiscare) anche somme depositate all’estero a titolo di profitto di reato tributario, superando alcune incertezze. Questo implica che, se parte un procedimento penale per evasione, eventuali fondi detenuti all’estero potrebbero essere bloccati in cooperazione internazionale, costituendo il profitto dell’evasione. Un motivo ulteriore per mettersi in regola prima di arrivare a questo punto.

In conclusione, il contribuente (debitore) italiano ha a disposizione alcuni strumenti di tutela, ma la chiave è agire tempestivamente e con trasparenza. Il quadro normativo è ormai collaudato: l’interscambio di informazioni CRS funziona e le autorità lo usano attivamente. Le possibilità di farla franca con conti segreti all’estero si sono ridotte al lumicino, e anzi tale scelta espone a conseguenze molto onerose. D’altro canto, l’ordinamento prevede meccanismi equilibrati: chi regolarizza spontaneamente viene premiato con sanzioni ridotte e niente reato; chi collabora e dimostra la propria buona fede (errori marginali, interpretazioni ragionevoli) può spesso evitare il contenzioso; mentre chi persiste nell’inadempimento andrà incontro a recuperi ed eventualmente a sanzioni penali in caso di evasione rilevante.

Nel prossimo capitolo forniremo una serie di Domande e Risposte per riepilogare i punti principali emersi in forma sintetica e pratica.

Domande frequenti (FAQ)

D: Che cos’è in breve il Common Reporting Standard (CRS)?
R: È lo standard internazionale per lo scambio automatico di informazioni finanziarie a fini fiscali, sviluppato dall’OCSE. In base ad esso, le autorità fiscali di oltre 100 Paesi (Italia inclusa) si scambiano ogni anno i dati relativi ai conti bancari, investimenti e altri rapporti finanziari detenuti dai rispettivi residenti all’estero. Lo scopo è contrastare l’evasione fiscale transnazionale rendendo “visibili” al fisco i patrimoni che i contribuenti detengono oltreconfine.

D: Come è recepito il CRS in Italia? Quali sono le fonti normative principali?
R: L’Italia ha recepito il CRS tramite la Legge n.95/2015 (che attua la direttiva UE 2014/107/UE – DAC2 – e contestualmente ratifica l’accordo FATCA con gli USA). In seguito, il Decreto MEF 28/12/2015 ha stabilito le regole tecniche per la raccolta e trasmissione dei dati CRS da parte degli intermediari italiani. L’Agenzia delle Entrate ha emanato vari provvedimenti attuativi (es. Provv. 2018 per scadenze, Provv. 2022 per lettere di compliance) e fornito chiarimenti tramite circolari e FAQ. Quindi, la catena normativa è: standard OCSE → direttiva UE → legge italiana → decreto attuativo → provvedimenti e circolari esplicative.

D: Quali informazioni vengono scambiate esattamente con il CRS?
R: Vengono scambiati i dati identificativi del titolare del conto (nome, indirizzo, codice fiscale, paese di residenza) e dell’istituzione finanziaria dove il conto è acceso, il numero di conto, il saldo di fine anno o valore del conto, e gli importi totali dei redditi finanziari generati nell’anno (interessi, dividendi, proventi da vendite di asset). In caso di conti di entità (società, trust) vengono riportati anche i dati delle persone fisiche controllanti (controlling persons) residenti all’estero. Tutte queste info sono aggiornate annualmente (riferite al 31/12 di ogni anno). Non si scambiano invece informazioni su beni non finanziari (es. immobili, opere d’arte) né sulle criptovalute (per queste ultime sono in arrivo accordi futuri). Si noti infine che gli Stati Uniti non partecipano al CRS: con gli USA vige l’accordo FATCA, per cui l’Italia riceve comunque dati sui conti di italiani in USA (ma con uno scambio parziale, non del tutto reciproco).

D: Chi deve fare cosa in Italia per rispettare la normativa CRS?
R: Dal lato degli intermediari finanziari: tutte le banche, Poste, società di gestione, assicurazioni, fiduciarie e simili residenti in Italia devono identificare i clienti non residenti e comunicare all’Agenzia delle Entrate ogni anno i dati dei loro conti (entro il 30 giugno). L’Agenzia poi li trasmette agli altri Paesi (entro il 30 settembre). Dal lato dei contribuenti (persone fisiche residenti in Italia): essi devono dichiarare nel Quadro RW tutti gli investimenti e attività finanziarie detenuti all’estero, indicando valori e pagare le imposte patrimoniali dovute (IVIE/IVAFE). Inoltre devono dichiarare nei quadri dei redditi (RL, RM, RT) gli eventuali redditi prodotti da tali attività estere (interessi, dividendi, plusvalenze, affitti da immobili esteri, ecc.). In breve: le banche segnalano, ma ciò non esonera il contribuente dal dichiarare – anzi, le segnalazioni servono proprio al fisco per controllare che il contribuente abbia dichiarato.

D: Se un contribuente italiano ha un conto corrente all’estero, cosa deve fare per essere in regola con il fisco italiano?
R: Deve indicare quel conto nel Quadro RW della sua dichiarazione dei redditi annuale (se l’importo massimo sui conti supera €15.000, nel caso di soli depositi bancari). Nel quadro RW vanno riportati il paese estero, il tipo di conto, il valore massimo nell’anno e quello a fine anno, ed eventualmente calcolare l’IVAFE (imposta sul valore dei conti esteri, 0,2% annuo sul saldo medio > €5.000). Inoltre, deve dichiarare gli interessi maturati su quel conto (es. interessi bancari) nel quadro RL o RM del Modello Redditi, pagando la relativa imposta (in genere 26% per interessi da conto estero). Se il conto è a zero interessi e sotto 15.000€, può essere esente da IVAFE e da obbligo RW (in certi casi), ma è sempre buona norma verificare. In sintesi: dichiarare il conto e pagarci sopra eventuali tasse, proprio come si farebbe per un conto italiano (che paga bollo e ha ritenuta sugli interessi).

D: E se uno dimentica di dichiarare un’attività estera (conto, investimento)? Come lo scoprono?
R: Lo scoprono tramite il CRS. L’Agenzia delle Entrate riceve dagli altri Paesi le informazioni e le incrocia con le dichiarazioni. Se vede che ad esempio Tizio ha un conto in Francia non risultante nel quadro RW e magari con interessi non dichiarati, gli invia una lettera di compliance invitandolo a sistemare. Se Tizio non reagisce, l’Agenzia può procedere con un accertamento vero e proprio, calcolando le imposte evase e applicando le relative sanzioni. Ormai l’Agenzia dispone di un enorme volume di dati: dal 2017 in avanti, ogni anno arrivano dati su conti e investimenti esteri dei residenti italiani (nel 2025 da 117 Paesi diversi). Dunque è molto probabile che l’omissione venga rilevata, anche se magari non immediatamente (ma le informazioni restano disponibili per anni).

D: Quali sanzioni rischia chi non dichiara un conto o altri beni all’estero?
R: Le sanzioni amministrative sono molto elevate. In sintesi, per l’omessa indicazione in RW si rischia una multa dal 3% al 15% di quanto non dichiarato (che sale al 6-30% se i beni erano in paradisi fiscali). Inoltre, per i redditi esteri non dichiarati (interessi, ecc.) si applica la sanzione del 90% della maggiore imposta evasa. Queste sanzioni sono cumulabili. Ad esempio: conto estero €100.000 non dichiarato, con €2.000 di interessi non dichiarati – il fisco recupererà la tassazione sugli interessi e applicherà magari un 10% sul capitale (10.000€) più 90% sui €520 di imposta evasa (circa €468). In totale oltre €10.000 di sanzioni, su 2.000€ di redditi non dichiarati. Se il contribuente continua a non collaborare, possono aggiungersi more e altre spese. Viceversa, se ci si ravvede spontaneamente, le sanzioni calano di molto (anche a un decimo). Sul piano penale, se l’ammontare evaso è grande: l’omessa dichiarazione di redditi che porta ad evadere più di €100.000 di imposte annue può configurare il reato di dichiarazione infedele (punito con reclusione fino a 4 anni e 6 mesi). Tuttavia, la sola mancata compilazione del quadro RW in sé non è reato (è “solo” illecito amministrativo). Diventa penale se associata ad evasione d’imposta rilevante.

D: Ho ricevuto una lettera dall’Agenzia delle Entrate che mi segnala un conto estero non dichiarato – cosa devo fare?
R: Non ignorarla! Bisogna attivarsi subito. Per prima cosa, acceda al suo cassetto fiscale online e scarichi il dettaglio allegato (troverà il paese, la banca, il saldo, ecc.). Poi confronti con la sua dichiarazione di quell’anno: ha effettivamente dimenticato di dichiarare? Se sì, la strada migliore è fare al più presto un ravvedimento operoso: si presenta una dichiarazione integrativa includendo quel conto (quadro RW) e/o i redditi correlati, e si pagano imposte e sanzioni ridotte. Così si chiude la faccenda con costi minimi e senza ulteriori guai. Se invece lei ritiene di aver già dichiarato tutto correttamente (o di non dover dichiarare per qualche motivo), allora deve rispondere all’Agenzia spiegando la situazione e allegando documenti di prova. Ad esempio: “il conto era cointestato e la mia quota era già dichiarata”, oppure “in realtà ero residente all’estero in quell’anno, ecco l’iscrizione AIRE”, oppure ancora “errore: ho indicato il conto ma con diverso codice identificativo, allego copia del quadro RW compilato”. La cosa importante è non rimanere in silenzio: se non risponde, dopo un po’ l’Agenzia passerà al livello successivo (accertamento formale) e a quel punto non potrà più ravvedersi con sanzioni ridotte. In sintesi: controllare i dati, se effettivamente c’è stata omissione -> ravvedersi pagando spontaneamente; se non c’è stata -> comunicare all’AdE con spiegazioni e documenti. Ignorare la lettera è l’opzione peggiore.

D: I dati che l’Agenzia ha in mano potrebbero essere sbagliati? Posso contestare l’accuratezza delle informazioni CRS?
R: In generale i dati provengono dalle banche e difficilmente sono completamente errati sul destinatario (vengono segnalati nome, cognome, data nascita, CF). Tuttavia, errori sono possibili: casi di omonimia, codici fiscali simili, conti cointestati segnalati male, ecc. Se ritiene che i dati siano errati (ad es. le attribuiscono un conto che non le appartiene, o un saldo sbagliato), lo segnali immediatamente all’Agenzia con le prove (es. una dichiarazione della banca). L’Agenzia in questi casi dovrebbe effettuare verifiche e, se conferma l’errore, archiviare la posizione senza sanzioni. Può anche succedere che lei fosse in regola e l’anomalia nasca da disallineamenti formali: in quel caso, fornendo le delucidazioni, la questione di solito si risolve senza multa (o al limite con la richiesta di presentare una dichiarazione integrativa di allineamento, spesso senza sanzione aggiuntiva se davvero non c’è imposta dovuta). Ricordi che ha diritto a vedere i dati: sfrutti il cassetto fiscale e non esiti a chiedere alla sua banca estera la conferma di cosa hanno trasmesso. In estrema sintesi: se i dati fossero sbagliati, può e deve farlo presente; l’onere della prova però un po’ ricade su di lei per dimostrare l’errore (esibendo documenti che contraddicono la segnalazione).

D: Il CRS copre anche le criptovalute o no?
R: No, non ancora. Al momento (2025) le criptovalute e cripto-asset non rientrano nello standard CRS e quindi gli exchange o intermediari cripto non sono tenuti a segnalare i dati con questo sistema. Però attenzione: l’Italia considera le criptovalute detenute all’estero comunque soggette a monitoraggio in RW (ci sono state chiarificazioni in tal senso) e soggette a IVAFE (una interpretazione estensiva, poi codificata in legge di bilancio 2023 con imposta sostitutiva 14%). E soprattutto, è imminente l’implementazione di un Crypto-Asset Reporting Framework (CARF) internazionale che affiancherà il CRS: l’OCSE lo ha già approvato e l’UE lo recepirà con la direttiva DAC8. Quindi è probabile che tra 1-2 anni anche gli exchange cripto comunicheranno i dati dei wallet dei clienti alle autorità fiscali. Perciò le consigliamo di non considerare le cripto come “invisibili”: oggi il fisco può scoprirle indirettamente (es. movimenti bancari per acquisti/vendite crypto) e domani potrebbe riceverne i dati direttamente.

D: Quali Paesi NON aderiscono allo scambio automatico? Ci sono ancora paradisi fiscali sicuri?
R: Al 2025, gli Stati che non partecipano al CRS sono pochissimi e generalmente di importanza limitata. Tra questi figurano: Belarus, Bosnia-Erzegovina, Macedonia del Nord, Serbia in Europa orientale, e pochi altri Stati marginali. Alcuni micro-Stati o territori possono essere fuori, ma molti si sono uniti (Monaco, San Marino, Isole Cayman, Bermuda, Singapore, ecc. sono dentro il CRS). Un’assenza di rilievo è quella degli USA, che però – come detto – scambiano dati bilateralmente via FATCA, sebbene in modo non pienamente reciproco. In sostanza, la rete CRS copre quasi tutti i tradizionali paradisi finanziari: Svizzera, Liechtenstein, Lussemburgo, Hong Kong, Singapore, Emirati Arabi, Panama, Isole del Canale, Caraibi (Cayman, BVI, etc.). Restano fuori giusto qualche giurisdizione non cooperativa (ad esempio alcuni paesi africani, la Corea del Nord ovviamente, e altri luoghi non accessibili per la maggior parte delle persone). Quindi pensare oggi di spostare soldi in un paese “non aderente” per sfuggire al CRS è irrealistico e rischia di configurare fattispecie illecite serie. Meglio puntare sulla compliance in qualunque posto si detengano attività.

D: Se ho evaso in passato con soldi all’estero, c’è modo di sistemare le cose senza rischiare il carcere?
R: Sì. L’ordinamento italiano offre opportunità di regolarizzazione spontanea. Dopo la stagione delle “voluntary disclosure” (2015-2017) non prorogate, oggi lo strumento è il ravvedimento operoso: lei fa emergere i capitali, dichiara quanto doveva e paga imposte, interessi e sanzioni ridotte. In questo modo, dal punto di vista amministrativo è in regola. Dal punto di vista penale, il pagamento integrale dei debiti tributari prima che parta un procedimento penale evita in radice molti reati (per infedele e omessa dichiarazione vige causa di non punibilità se paga tutto prima del dibattimento). Certamente, se le somme sono molto elevate e per anni non dichiarate, si espone comunque a controlli, ma la collaborazione riduce notevolmente i rischi. In pratica: meglio autodenunciarsi fiscalmente e pagare ora, che attendere di essere scoperti col rischio di essere denunciati penalmente. Un consulente fiscale potrà aiutarla a simulare il costo del ravvedimento e a presentare le dichiarazioni integrative. Tenere presente che, se già le è arrivata una contestazione formale (invito o PVC), il ravvedimento non è più ammesso; ma può ancora optare per l’adesione all’accertamento per ridurre sanzioni, e il pagamento entro certi termini riduce ulteriormente (acquiescenza con sanzioni al 1/3). In estrema sintesi: sì, esiste una via di uscita legale – pagare il dovuto – che consente di evitare conseguenze penali e limitare le sanzioni.

D: L’omessa compilazione del Quadro RW è reato? Ci si può finire in galera per non aver dichiarato patrimoni esteri?
R: La mancata compilazione del quadro RW, di per sé, NON è un reato penale. È punita con sanzione amministrativa (come detto 3-15% o 6-30%), ma non attiva meccanismi penali automatici. Perché ci sia reato tributario occorre che vi sia stata un’evasione d’imposta significativa. Ad esempio, se quei patrimoni generavano redditi e l’imposta evasa supera le soglie di punibilità (es. >100.000 € di imposta evasa in un anno), allora sì, scatterà il reato di infedele dichiarazione e indirettamente l’omessa RW ne sarà un elemento accessorio. Ma se uno, poniamo, aveva solo un conto estero con capitali accumulati ma niente redditi evasi (o redditi minimi), non commette reato – subirà però le sanzioni pecuniarie. Importante: alcune procure in passato hanno provato a contestare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art.11 DLgs 74/2000) per chi trasferiva o deteneva soldi all’estero per non pagare le multe, ma la Cassazione ha escluso che la sola omessa RW configuri questo reato se non c’è un debito fiscale certo in riscossione. Quindi, finire in galera solo per quadro RW non dichiarato è improbabile. Potrebbe accadere in casi estremi correlati: ad esempio, un grande evasore che ha occultato milioni all’estero per non pagare tasse, su cui maturano reati di omessa dichiarazione pluriennale aggravata. Ma per il contribuente medio con qualche investimento estero, lo scenario penale è remoto, a patto che regolarizzi appena possibile.

D: In definitiva, qual è il consiglio per chi ha attività all’estero?
R: Trasparenza e compliance. Il mondo è cambiato: pensare di mantenere conti o asset finanziari all’estero nascosti al fisco italiano è oggi impraticabile e pericoloso. Se ha investimenti o patrimoni fuori dall’Italia, li dichiari regolarmente nel quadro RW e dichiari i redditi che producono. Così potrà anche usufruire di crediti d’imposta per eventuali tasse già pagate fuori (evitando doppie imposizioni). Se invece in passato non ha dichiarato qualcosa, valuti seriamente di regolarizzare spontaneamente prima che il fisco la inviti a farlo. Tenga presente che l’Agenzia delle Entrate ha già in mano i dati – spesso sa più cose di quelle che il contribuente immagina. Dunque la miglior strategia è anticiparla, mostrando buona volontà e sistemando le violazioni. Ciò minimizza costi e rischi. Un professionista potrà assisterla per ridurre al minimo l’impatto sanzionatorio utilizzando le opportunità normative (ravvedimento operoso, ecc.). In sintesi: il Common Reporting Standard ha creato un contesto in cui *“non dichiarato” è molto probabilmente “scoperto”. La via maestra è dichiarare tutto il dovuto e dormire sonni tranquilli, piuttosto che confidare in improbabili scappatoie.


Fonti

  • D.L. 28 giugno 1990 n.167, art.4 – Monitoraggio fiscale (obbligo quadro RW) e relative esimenti (intermediari residenti).
  • Legge 18 giugno 2015 n.95 – Ratifica accordo FATCA Italia-USA e attuazione direttiva 2014/107/UE (introduzione CRS in Italia).
  • D.M. 28 dicembre 2015 (MEF) – Disposizioni attuative su scambio automatico dati finanziari (definizioni di istituzioni finanziarie, conti oggetto di comunicazione, procedure due diligence).
  • Provv. Agenzia Entrate 24/04/2018 – Proroga al 20 giugno 2018 invio dati CRS anno 2017.
  • Provv. Agenzia Entrate 23/11/2022 n.439255 – Modalità per l’invio di lettere di compliance su attività finanziarie estere (segnalazioni CRS).
  • Cassazione Civ. Sez. Trib. ord. 5/5/2023 n.11849 – Caso omessa RW multiannuale: conferma cumulo giuridico e continuità violazione (contribuente non esonerato malgrado intermediario).
  • Cassazione Pen. Sez. VI 4/5/2021 n.19849 – Escluso reato infedele dichiarazione ipso iure per omessa RW senza prova di redditi evasi; conseguente esclusione riciclaggio presupposto.
  • Cassazione Pen. Sez. III 6/6/2022 n.20649 – Escluso reato sottrazione fraudolenta ex art.11 per trasferimento di beni all’estero finalizzato solo a evitare sanzioni monitoraggio, in assenza di evasione d’imposta IRPEF (fonte: Fiscomania, “Quadro RW: non c’è sottrazione fraudolenta senza evasione IRPEF”).
  • Osservatorio Giustizia Tributaria, “La mancata compilazione del quadro RW non integra, ipso iure, il reato di infedele dichiarazione…”, 28 giugno 2021 – Commento Cass. pen. 19849/21.
  • Documentazione OCSE, “Standard internazionali per lo scambio automatico di informazioni finanziarie – Aggiornamenti 2023” – include estensione a valute digitali, ecc..
  • Sito OCSE, elenco giurisdizioni aderenti CRS e accordi multilateral (aggiornato 2025).
  • Vari decreti attuativi e documenti istituzionali (DM 4/5/2022 aggiornamento paesi scambio, circolare ADE n.26/E/2015 su attuazione CRS, ecc.) che delineano gli aspetti tecnici e interpretativi.

Hai conti o investimenti all’estero? Attenzione al Common Reporting Standard (CRS). Fatti Aiutare da Studio Monardo

Se detieni conti correnti, investimenti o redditi all’estero, potresti essere segnalato automaticamente all’Agenzia delle Entrate italiana grazie al Common Reporting Standard.
Questo sistema internazionale di scambio di informazioni fiscali consente al Fisco italiano di accedere ai tuoi dati finanziari esteri, anche senza accertamento formale.
Ma puoi tutelarti, conoscere i tuoi diritti e preparare la tua difesa.


Cos’è il Common Reporting Standard (CRS)?

Il CRS è un sistema di cooperazione fiscale internazionale promosso dall’OCSE, in vigore in Italia dal 2017.
Prevede lo scambio automatico di informazioni finanziarie tra Paesi aderenti (oltre 100 nazioni, tra cui Svizzera, Lussemburgo, Emirati, Regno Unito, Malta, ecc.).

Le banche e gli istituti finanziari esteri comunicano:

  • 💳 Saldi dei conti correnti e titoli
  • 💰 Redditi da interessi, dividendi, plusvalenze
  • 🧾 Intestazioni, codici fiscali, residenza dei titolari
  • 🏦 Dettagli di trust, polizze, fondi e strumenti finanziari

Tutti i dati raccolti sono trasmessi automaticamente all’Agenzia delle Entrate del Paese di residenza del contribuente.


Cosa controlla il Fisco italiano con il CRS?

Grazie al CRS, l’Agenzia delle Entrate può:

  • 🔍 Ricostruire capitali e redditi esteri non dichiarati
  • ⚠️ Verificare la corrispondenza tra dichiarazioni italiane e saldi reali
  • 🧾 Contestare l’omessa compilazione del quadro RW (monitoraggio fiscale)
  • 💰 Avviare accertamenti per evasione, esterovestizione o riciclaggio
  • ⚖️ Trasmettere atti alle Procure per reati tributari o autoriciclaggio

Quali rischi per il contribuente?

  • 💸 Sanzioni per omesso monitoraggio (fino al 30% delle somme non dichiarate)
  • ⚠️ Accertamento induttivo anche senza contraddittorio
  • 🚫 Rischio di pignoramenti e iscrizioni a ruolo
  • ⚖️ Profilo penale se i redditi esteri superano soglie rilevanti
  • 🧾 Obbligo di fornire giustificazioni documentali entro termini molto brevi

Come difendersi da un accertamento basato sul CRS?

  1. 📂 Verifica i dati ricevuti dal Fisco e richiedi copia dell’informativa CRS
  2. 🧾 Ricostruisci i movimenti finanziari e la loro legittima provenienza
  3. 📑 Valuta se puoi regolarizzare volontariamente la tua posizione (ravvedimento operoso)
  4. ⚖️ Presenta memoria difensiva o ricorso, se l’accertamento è viziato
  5. 🛡️ Se sei effettivamente residente all’estero, contesta la residenza fiscale in Italia

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Analizza i dati CRS trasmessi e le contestazioni mosse dal Fisco
📑 Ricostruisce la tua posizione estera e la conformità al quadro RW
✍️ Ti assiste nella redazione di memorie difensive e atti di adesione
⚖️ Ti difende in giudizio e nella fase precontenziosa con l’Agenzia
🔁 Ti supporta nella gestione patrimoniale internazionale e nella pianificazione fiscale


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Esperto in fiscalità internazionale e monitoraggio degli investimenti esteri
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente in materia di residenza fiscale e capitali detenuti all’estero
✔️ Consulente per expat, pensionati all’estero, nomadi digitali e investitori globali


Conclusione

Il Common Reporting Standard consente al Fisco italiano di sapere tutto su conti e redditi esteri. Ma se conosci le regole, puoi proteggerti e agire prima che sia troppo tardi.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, affronti ogni verifica con strumenti efficaci e una difesa fiscale su misura.

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  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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