Hai ricevuto un avviso di accertamento intestato a una società già estinta e ti stai chiedendo se è valido, cosa rischi personalmente come ex socio o liquidatore e come puoi difenderti? Ti trovi coinvolto in una situazione che sembrava chiusa da tempo, ma ora l’Agenzia delle Entrate riapre tutto?
Quando una società viene estinta, dovrebbe cessare ogni attività e responsabilità. Tuttavia, il Fisco può comunque notificare un avviso di accertamento entro determinati limiti e in condizioni specifiche. Se sei ex socio, amministratore o liquidatore, è fondamentale sapere cosa fare subito per non dover rispondere con il tuo patrimonio personale.
L’avviso di accertamento a una società estinta è valido?
– Se notificato dopo l’estinzione della società, può essere nullo o inefficace
– Tuttavia, se l’Agenzia delle Entrate dimostra che la società ha ancora debiti fiscali non saldati, può cercare di recuperarli dai soci o da chi ha ricevuto beni in sede di liquidazione
– È importante distinguere tra estinzione legale e eventuale prosecuzione sostanziale dell’attività
Chi può essere chiamato a rispondere dopo l’estinzione?
– I soci, ma solo entro il valore di quanto ricevuto dalla società (es. beni, liquidazione, utili)
– L’amministratore o il liquidatore, solo se viene provato un comportamento doloso o colposo nella chiusura
– In assenza di patrimonio ricevuto, non si risponde dei debiti tributari della società estinta
Cosa puoi fare se ricevi un accertamento dopo l’estinzione?
– Verificare la data esatta della cancellazione della società dal Registro Imprese
– Controllare la data di notifica dell’avviso: se successiva, potresti impugnarlo per nullità
– Valutare se l’Agenzia sta agendo nei tuoi confronti come ex socio o come semplice “successore” della società
– In caso di illegittimità, puoi presentare ricorso alla Commissione Tributaria entro 60 giorni
Quando l’accertamento è illegittimo?
– Se è intestato a una società cancellata da tempo, senza coinvolgerti esplicitamente
– Se non sei stato socio o non hai ricevuto nulla dalla liquidazione
– Se manca la prova del tuo vantaggio economico personale
– Se l’Agenzia notifica l’atto dopo la decadenza dei termini
Cosa NON devi fare mai?
– Ignorare l’atto pensando che la società non esista più: il Fisco può cercarti personalmente
– Rispondere senza verificare la documentazione: potresti assumerti responsabilità non dovute
– Pagare senza contestare: potresti evitare l’intero importo se l’accertamento è nullo
– Agire da solo: serve assistenza legale per far valere i tuoi diritti nel modo giusto
Un accertamento su società estinta non è sempre valido. Ma devi agire in fretta per evitare che diventi definitivo o che ti colpisca personalmente.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa da accertamenti su società chiuse – ti spiega quando l’atto è impugnabile, chi può essere chiamato a rispondere e come difendersi con efficacia.
Hai ricevuto un avviso di accertamento su una società estinta?
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Introduzione
Ricevere un avviso di accertamento intestato a una società che nel frattempo è stata estinta (cioè cancellata dal Registro delle Imprese) pone questioni complesse sul piano legale. La società, essendo cessata, non esiste più come soggetto giuridico: in linea di principio non può ricevere atti né partecipare a giudizi. Questo scenario è tutt’altro che raro e coinvolge sia l’Agenzia delle Entrate sia gli ex soggetti coinvolti (soci, liquidatori, amministratori). In questa guida analizziamo in dettaglio come comportarsi, dal punto di vista del debitore, quando arriva un avviso di accertamento a nome di una società ormai estinta. Il taglio sarà pratico ma approfondito: esamineremo la normativa italiana vigente, la giurisprudenza più aggiornata (fino a luglio 2025), i possibili profili penal-tributari, con domande e risposte, tabelle riepilogative e casi pratici. L’obiettivo è fornire indicazioni chiare a professionisti (avvocati, commercialisti) ma anche a privati imprenditori coinvolti in situazioni simili, utilizzando un linguaggio giuridico preciso ma accessibile.
Che cos’è un avviso di accertamento?
Un avviso di accertamento è l’atto con cui l’Amministrazione finanziaria (di solito l’Agenzia delle Entrate) contesta al contribuente una maggiore imposta (oltre interessi e sanzioni) rispetto a quanto dichiarato o versato. In pratica è il risultato di un controllo fiscale: vi sono indicate le imposte dovute, le violazioni riscontrate e le relative sanzioni. L’avviso deve essere motivato e notificato al contribuente entro precisi termini di decadenza previsti dalla legge (ad esempio, generalmente entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione dei redditi, salvo raddoppio dei termini in caso di reato tributario). Una volta notificato, l’avviso può essere impugnato dal contribuente innanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (già Commissione Tributaria Provinciale) entro 60 giorni, per contestarne il merito o la legittimità. Se non impugnato entro il termine, l’avviso diventa definitivo e le somme accertate diventano esigibili, sfociando di norma in una cartella di pagamento.
Ma cosa accade se il contribuente indicato nell’avviso non esiste più, perché la società è stata sciolta e cancellata dal registro? In tal caso ci troviamo di fronte a un avviso di accertamento a società estinta. Questa situazione implica una sovrapposizione tra le regole civilistiche sull’estinzione delle società e le norme tributarie sui controlli e la riscossione. Di seguito esamineremo prima cosa comporta l’estinzione di una società in generale e poi come il legislatore e i giudici hanno affrontato il problema degli atti fiscali verso società non più esistenti.
Effetti dell’estinzione di una società e posizione dei creditori
Quando una società viene sciolta, liquidata e cancellata dal Registro delle Imprese, essa si estingue come soggetto giuridico. Secondo la disciplina civilistica (art. 2495 c.c.), l’approvazione del bilancio finale di liquidazione e la successiva cancellazione dal registro hanno l’effetto di far cessare definitivamente la società. Ciò vale anche se rimangono debiti non pagati o rapporti non definiti. La Cassazione, con un celebre intervento a Sezioni Unite del 2013, ha infatti chiarito che la cancellazione produce l’effetto costitutivo dell’immediata estinzione dell’ente, anche in presenza di passività insoddisfatte. In altri termini, dal momento in cui la società è cancellata, non ha più soggettività giuridica né capacità processuale – come se fosse “morta”. I suoi organi (amministratori, liquidatori) perdono il potere di rappresentarla.
Tuttavia, la legge tutela i creditori sociali insoddisfatti prevedendo un meccanismo di “successione” sui generis: dopo l’estinzione della società, i creditori possono far valere i loro crediti verso soci e liquidatori. In particolare, l’art. 2495 c.c., comma 2, stabilisce che, ferma restando l’estinzione della società, “dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi”. Ciò significa che i soci (di società di capitali o comunque soci a responsabilità limitata) rispondono dei debiti sociali nei limiti di quanto hanno eventualmente ricevuto in sede di liquidazione, e che i liquidatori possono essere chiamati a rispondere illimitatamente se hanno colposamente pregiudicato il pagamento dei debiti (ad es. distribuendo attivi ai soci pur sapendo di debiti fiscali non pagati).
Questa regola disegna una sorta di successione parziale: i soci subentrano pro quota nei rapporti attivi e passivi non definiti della società estinta, ma la loro responsabilità è limitata al valore dell’attivo di liquidazione ricevuto. Se, ad esempio, un socio ha ricevuto 10.000 euro di quota di liquidazione, dovrà rispondere dei debiti sociali (inclusi quelli tributari) solo fino a 10.000 euro. Se non ha ricevuto nulla, teoricamente non deve nulla (come approfondiremo, su questo punto vi sono stati sviluppi giurisprudenziali recenti).
È importante sottolineare che la responsabilità dei soci è proporzionale alla loro partecipazione al capitale sociale. Dunque in una SRL con due soci al 50%, ciascuno risponderà entro il 50% di quanto complessivamente distribuito a titolo di liquidazione. Rimane esclusa, invece, ogni pretesa ulteriore oltre quanto ricevuto in liquidazione: la responsabilità è limitata, non si trasforma in illimitata (salvo il caso di soci di società di persone, già illimitatamente responsabili pendente societate). In caso di società di persone (S.n.c., S.a.s.), infatti, i soci illimitatamente responsabili continuano a rispondere dei debiti sociali anche dopo la cancellazione, senza il tetto del bilancio finale – poiché la loro responsabilità già prima era illimitata. L’art. 2495 c.c. riguarda principalmente le società di capitali e i soci di società a responsabilità limitata.
Per quanto riguarda i liquidatori, la norma prevede responsabilità se il mancato pagamento dei debiti è dipeso da loro colpa. Tipicamente, il liquidatore risponde verso i creditori se ha distribuito attivo ai soci prima di pagare un debito di cui era a conoscenza (o comunque esigibile). Ad esempio, se il liquidatore sapeva di un debito con l’Erario ma ha comunque ripartito il patrimonio ai soci invece di soddisfare il Fisco, potrà essere chiamato a rispondere personalmente di quel debito non pagato. La responsabilità del liquidatore ha natura risarcitoria (per illecito civile) ed è illimitata (nei limiti del danno causato, cioè del debito non pagato). Si tratta però di una responsabilità di natura propria e non di una “eredità” del debito sociale. In altre parole, il liquidatore non “eredita” il debito altrui, ma ne risponde per aver violato i propri doveri nella liquidazione.
Come fanno valere i creditori queste pretese? In sede civile, un creditore insoddisfatto può agire contro i soci (ex soci) con un’azione ordinaria di accertamento e condanna, citandoli in giudizio e provando che la società si è estinta lasciando quel debito impagato e che i soci hanno ricevuto X in liquidazione. Analogamente può agire contro il liquidatore provando la sua colpa. Inoltre, l’ultimo periodo dell’art. 2495 c.c. prevede che, se l’azione è proposta entro un anno dalla cancellazione, la notifica dell’atto introduttivo (es. citazione) ai soci o liquidatori può avvenire presso l’ultima sede della società. Questa previsione agevola i creditori tempestivi, che non devono rintracciare subito i soci o liquidatori, ma possono notificare alla “vecchia” sede sociale (dove magari risiedeva il centro degli affari).
Va evidenziato che l’art. 2495 c.c. è entrato in vigore con la riforma societaria del 2003-2004; prima vigeva un regime differente e la giurisprudenza oscillava sulla permanenza della capacità della società per un certo tempo dopo la cancellazione. Ora il principio è chiaro: la cancellazione segna l’estinzione immediata. Proprio questo principio, tuttavia, ha creato problemi in ambito tributario: se la società cessa di esistere immediatamente, un avviso di accertamento notificato dopo la cancellazione rischia di essere nullo per inesistenza del destinatario. Per questo il legislatore tributario è intervenuto (come vedremo nel prossimo paragrafo) introducendo una sorta di “postuma” esistenza fiscale della società estinta.
Prima di passare alla disciplina fiscale speciale, è opportuno menzionare anche l’eventualità di un fallimento post-chiusura. La legge fallimentare (art. 10 L.F., ora trasfuso nel Codice della Crisi d’Impresa) prevede che un imprenditore (società compresa) possa essere dichiarato fallito (ora si dice assoggettato a liquidazione giudiziale) entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata prima della cancellazione o entro l’anno successivo. Ciò significa che, se la società al momento della cancellazione era insolvente (incapace di pagare i propri debiti), i creditori – tra cui l’Erario – possono chiedere al tribunale il fallimento entro un anno. In caso di fallimento “tardivo”, la società in un certo senso resuscita sotto forma di massa fallimentare, rappresentata dal curatore. Tutte le azioni dei creditori dovranno quindi transitare attraverso la procedura fallimentare. Ad esempio, se l’Agenzia delle Entrate aveva notificato un accertamento dopo la cancellazione ma poi interviene il fallimento entro l’anno, la pretesa fiscale dovrà essere fatta valere dal curatore fallimentare e non più direttamente verso soci o altri. Il fallimento post estinzione è un’evenienza da tenere a mente: di solito riguarda società che si cancellano senza aver soddisfatto debiti significativi. Dal punto di vista del debitore, se si ha contezza di una possibile insolvenza grave, occorre sapere che la cancellazione non mette definitivamente al riparo: per un anno c’è il rischio di riapertura concorsuale con le relative conseguenze (inclusi possibili reati di bancarotta per gli amministratori, come cenneremo più avanti).
La “sopravvivenza fiscale” di cinque anni (art. 28 D.lgs. 175/2014)
Abbiamo visto gli effetti civilistici dell’estinzione della società. Sul piano tributario, però, interviene una disciplina speciale. Il legislatore, per evitare che la cancellazione di società ostacolasse i controlli fiscali, ha introdotto una finzione giuridica di sopravvivenza della società ai soli fini fiscali. In particolare, l’art. 28, comma 4, del D.Lgs. 175/2014 (decreto semplificazioni fiscali) dispone che:
“Ai soli fini della liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 c.c. ha effetto trascorsi 5 anni dalla richiesta di cancellazione nel Registro delle imprese”.
In altre parole, ai fini fiscali la società cancellata viene considerata come se continuasse ad esistere per un periodo di cinque anni dalla cancellazione. Lo scopo di questa norma è esplicito: evitare che l’Amministrazione finanziaria si trovi impossibilitata a notificare avvisi di accertamento o cartelle a società che furono cancellate, magari poco tempo dopo la conclusione di un periodo d’imposta oggetto di verifica. Con la “sopravvivenza fiscale” quinquennale, l’Agenzia delle Entrate dispone di un arco temporale entro cui concludere eventuali accertamenti ed atti esattivi verso la società come se fosse ancora in vita. Di conseguenza, è possibile notificare atti impositivi (avvisi di accertamento, avvisi di liquidazione), atti della riscossione (cartelle di pagamento, intimazioni) nonché atti del contenzioso (ricorsi, appelli) nei confronti della società estinta, entro cinque anni dalla cancellazione.
Questa norma è fondamentale per capire quando un avviso di accertamento notificato a una società estinta sia valido o no. In sintesi:
- Se la richiesta di cancellazione della società dal registro imprese è avvenuta dopo il 13 dicembre 2014 (data di entrata in vigore del d.lgs. 175/2014) e l’avviso di accertamento è notificato entro 5 anni da tale cancellazione, l’atto è considerato validamente notificato alla società (come se la società esistesse ancora).
- Decorso il quinquennio dalla cancellazione, la finzione cessa e la società è da considerarsi estinta anche per il Fisco: un avviso notificato oltre 5 anni dalla cancellazione sarebbe dunque nullo per inesistenza del destinatario (salvo eventuali nuovi atti diretti ai soci di cui diremo).
- La disposizione non è retroattiva: la Cassazione ha chiarito che vale solo per le cancellazioni avvenute dopo l’entrata in vigore (13/12/2014). Dunque, se una società era stata cancellata prima di tale data, non si applica il “differimento quinquennale” e la sua estinzione resta immediata ai fini fiscali (con la conseguenza che eventuali notifiche dopo la cancellazione sarebbero viziate).
Occorre precisare che la “sopravvivenza fiscale” opera solo a favore dell’Amministrazione finanziaria e degli enti creditori indicati (anche enti previdenziali per i contributi), e solo per tributi/contributi, interessi, sanzioni dovuti. Ciò significa che non rianima la società per altri scopi: ad esempio, non significa che la società possa compiere nuovi atti civilistici, né che i soci non possano far valere l’estinzione in altri contesti. È una finzione mirata ai soli rapporti con il Fisco e affini.
Capacità processuale durante il quinquennio fiscale
Quali sono gli effetti concreti della sopravvivenza fiscale? In pratica, la società viene considerata esistente (solo agli effetti fiscali) per cinque anni. Questo comporta che:
- La notifica di un avviso di accertamento entro i 5 anni si considera effettuata alla società (non ai soci individualmente). L’atto sarà intestato alla società e notificato, tipicamente, all’ultimo domicilio fiscale noto (che in genere coincide con la sede legale prima della cancellazione) oppure direttamente all’ex legale rappresentante in qualità di tale.
- La Corte di Cassazione ha affermato che in tal caso l’ex liquidatore (o in mancanza l’ultimo amministratore) conserva i poteri di rappresentanza della società ai fini delle attività fiscali e processuali. Ciò significa che l’ex liquidatore può validamente ricevere la notifica degli atti tributari destinati alla società cancellata e, soprattutto, può impugnarli in giudizio nell’interesse della società. Egli può quindi conferire mandato al difensore tributario e proporre ricorso come “ultimo legale rappresentante della società XYZ Srl (ora estinta)”.
- Viceversa, i soci non sono legittimati ad agire in giudizio in quel quinquennio, né a ricevere atti impositivi destinati alla società. La Cassazione ha infatti chiarito che, fintanto che vale la fictio dei 5 anni, gli effetti dell’art. 2495 c.c. (cioè il trasferimento dei debiti ai soci) sono sospesi ai fini del contenzioso tributario. Dunque i soci non dovrebbero essere citati direttamente dal Fisco in questo periodo (salvo che come co-obbligati in solido in alcuni casi, ma non come successori necessari), né possono autonomamente impugnare gli atti in luogo della società – a meno che magari intervengano volontariamente per affiancare la difesa, ma formalmente la legittimazione è in capo all’ente (rappresentato dal liquidatore).
In sostanza, l’ex liquidatore funge da “custode” della posizione fiscale della società estinta per cinque anni. Ciò impone a quest’ultimo un onere di vigilanza: deve mantenere reperibilità e curare gli eventuali contenziosi fiscali nell’interesse dell’ente ormai estinto. Per prudenza, è consigliabile che, se viene notificato un avviso ad una società cancellata, l’impugnazione venga presentata sia dall’ex liquidatore (in nome della società) sia eventualmente dai soci, questi ultimi però in via subordinata o come interventori. In questo modo si coprono tutte le basi: la società (per il tramite del liquidatore) esercita la sua legittimazione primaria, ma i soci si costituiscono per eccepire, ad esempio, la capienza della loro responsabilità. Questa strategia cautelativa è suggerita dalla dottrina, sebbene, come detto, la giurisprudenza ritenga i soci privi di legittimazione attiva finché vale il quinquennio.
Va anche chiarito che la “sopravvivenza fiscale” non estende i termini di accertamento ordinari, ma li rende utili. Ad esempio, se una SRL chiusa nel 2020 viene cancellata nel 2021, l’Agenzia può accertare redditi 2019 fino al 31/12/2024 per legge; la fictio dei 5 anni consente che se notifica quell’atto nel 2024 (entro 3 anni dalla canc.), la notifica è valida. Diverso il caso in cui l’Amministrazione scopra un’evasione nel 2028 (oltre cinque anni dalla canc.): a quel punto non potrebbe più notificare alla società perché considerata definitivamente estinta dal 2026 in poi. Dovrebbe piuttosto rivolgersi ai soci come successori (fermo restando i termini decadenziali, che in genere non arrivano a 8 anni, salvo raddoppio per reati gravi).
Un altro aspetto: la norma parla di tributi e contributi. Quindi copre sia imposte erariali (Irpef/Ires, Iva, ecc.) sia contributi previdenziali (es. Inps) dovuti dall’ente, con relativi interessi e sanzioni. Dunque anche l’ente previdenziale potrebbe beneficiare della fictio per notificare atti (anche se spesso per contributi di lavoro ci sono normative specifiche).
Esempio pratico 1: Alfa Srl si cancella dal registro il 1° marzo 2022. Nel 2025 l’Agenzia delle Entrate contesta redditi non dichiarati per il 2020 e notifica, il 30 settembre 2025, un avviso di accertamento intestato ad “Alfa Srl” presso l’ultima sede sociale. Anche se Alfa Srl è civilisticamente estinta, ai fini fiscali siamo entro i 5 anni, quindi la notifica è valida. L’ex liquidatore di Alfa Srl dovrà attivarsi per proporre ricorso entro 60 giorni a nome della società (indicando nel ricorso che la rappresenta in qualità di ex liquidatore, ex legale rappresentante). I soci di Alfa Srl, in questo frangente, non ricevono atti a loro nome e non sono direttamente parte del procedimento (a meno che scelgano di intervenire volontariamente). Se il ricorso viene vinto e l’atto annullato, bene; se invece l’accertamento diviene definitivo, allora il Fisco potrà avviare la riscossione. Ma se Alfa Srl non ha più patrimonio (essendo liquidata), l’Agenzia a quel punto dovrà rivolgersi ai soci per recuperare, nei limiti di quanto da essi ricevuto in liquidazione (vedremo a breve questa fase).
Esempio pratico 2: Beta Srl si cancella il 10 gennaio 2014, prima dell’entrata in vigore della norma della sopravvivenza fiscale. Nel 2015 arriva un avviso di accertamento per IVA relativa al 2012, notificato alla sede di Beta Srl. In assenza della fictio, Beta Srl era già estinta al momento della notifica: secondo la Cassazione ciò determina la nullità insanabile dell’atto, rilevabile anche d’ufficio in giudizio perché manca il soggetto destinatario (salvo appunto non si applichi la norma del 2014, che però non è retroattiva). In questo scenario, l’ex amministratore o liquidatore di Beta Srl non avrebbe potuto proporre ricorso valido in nome della società (non esistendo più il soggetto); se lo ha fatto e i giudici non hanno rilevato il difetto, la Cassazione annullerà tutto per difetto di capacità della società. L’unica strada per il Fisco sarebbe stata procedere direttamente contro i soci come successori, con atti a loro notificati e un nuovo accertamento mirato a loro (come approfondiremo oltre). (N.B.: La norma del 2014 non vale per Beta Srl perché cancellata prima; se invece Beta Srl fosse stata cancellata dopo il 13/12/2014, l’Agenzia avrebbe avuto 5 anni di tempo per notificarle l’atto considerandola in vita).
Riassumendo in una tabella i principali scenari di validità di un avviso di accertamento verso società estinte:
Scenario | Validità dell’avviso | Note |
---|---|---|
Società cancellata dopo il 13/12/2014; avviso notificato entro 5 anni dalla cancellazione | Valido (società considerata “in vita” ai fini fiscali) | Ex liquidatore ha poteri di difesa; soci non legittimati in questa fase. |
Società cancellata dopo il 13/12/2014; avviso notificato oltre 5 anni dalla cancellazione | Nullo (destinatario non più esistente) | Fisco dovrà agire direttamente contro soci (entro termini decadenza accertamento, se non scaduti). |
Società cancellata prima del 13/12/2014; avviso notificato dopo la cancellazione | Nullo (norma 2014 non applicabile retroattivamente) | Confermato da Cassazione: la “sopravvivenza” quinquennale è irretroattiva. Soci eventualmente successori immediati. |
Società cancellata e dichiarata fallita entro 1 anno; avviso notificato dopo il fallimento | Irrituale: andava notificato al curatore fallimentare | Se fallimento sopravviene dopo notifica ai soci, occorre poi coinvolgere il curatore. |
(Legenda: per “notificato” si intende la data di consegna dell’atto; per “termini di decadenza” si intendono quelli dell’accertamento tributario, indipendenti dalla cancellazione.)
Soci ed ex amministratori: chi paga i debiti tributari della società estinta?
Chiarita la cornice normativa, veniamo al nodo cruciale: chi risponde dei debiti fiscali di una società che si è sciolta? E come il Fisco può concretamente recuperare tali somme? Dal punto di vista del debitore, questa sezione è forse la più importante, perché riguarda le conseguenze patrimoniali per soci, liquidatori ed eventualmente amministratori.
Successione dei soci nei debiti tributari
Sul piano civilistico, come visto, i soci subentrano nei debiti sociali entro il limite di quanto ricevuto in liquidazione. Questo vale anche per i debiti tributari: tasse non pagate, sanzioni fiscali, interessi. La Cassazione a Sezioni Unite aveva già stabilito nel 2013 che i soci di una società estinta ne ereditano i debiti tributari in misura limitata alle somme riscosse con il bilancio finale. Si tratta di una responsabilità “per equivalente patrimoniale”: non è una responsabilità illimitata o solidale per l’intero (tra soci di capitali), ma proporzionata al beneficio economico ottenuto dal socio con la liquidazione.
Un dubbio interpretativo riguardava se la mancata percezione di somme da parte di un socio escludesse del tutto la sua legittimazione passiva. In altre termini: se il socio non ha ricevuto nulla in sede di scioglimento (perché magari non c’era attivo da distribuire), quel socio può essere chiamato lo stesso in giudizio come successore della società oppure no? Le Sezioni Unite 2013 sembravano propendere per un fenomeno successorio comunque operante a prescindere dal riparto, considerando quest’ultimo solo un limite quantitativo di responsabilità. Questo orientamento è stato confermato da successivi arresti: la Corte ha ribadito che gli ex soci subentrano nei rapporti debitori della società estinta (divenendo i nuovi debitori), indipendentemente dal fatto che abbiano o meno ricevuto distribuzioni, giacché la percezione di somme attiene all’interesse ad agire del creditore ma non alla legittimazione passiva dei soci. In parole più semplici, i soci sono i successori ex lege della società estinta verso i creditori insoddisfatti; se non hanno ricevuto nulla, saranno debitori “di fatto senza debito”, ma resta che il creditore può chiamarli in causa (dovrà poi provare che hanno ricevuto qualcosa per ottenere condanna).
Questo principio è stato definitivamente chiarito dalla Cassazione, Sez. Unite, sent. 3625/2025. Le Sezioni Unite hanno affermato che i soci di una società estinta a responsabilità limitata “sono obbligati all’adempimento dell’obbligazione tributaria della società se hanno percepito somme in base al bilancio finale di liquidazione (ex art. 2495 c.c.)”. Tuttavia – prosegue la Corte – la riscossione di somme da parte dei soci rileva come condizione dell’interesse ad agire del Fisco e non già della legittimazione passiva dei soci. In pratica, il socio diventa debitore verso il Fisco al posto della società (per successione nel debito) al momento dell’estinzione; se però non ha ricevuto nulla, il Fisco non avrebbe utilità pratica a perseguirlo, mancando capienza (manca l’“interesse ad agire”). Starà all’Amministrazione finanziaria provare l’avvenuta distribuzione di attivo al socio, mediante apposito avviso di accertamento, per fondare la sua pretesa. Non è invece consentito – chiariscono le SU 2025 – inserire direttamente i soci nel contenzioso originariamente instaurato dalla società avverso un avviso a questa notificato. Se ad esempio la società in vita aveva presentato ricorso contro un accertamento e poi si estingue, il giudizio non può proseguire semplicemente “contro i soci” in automatico; il Fisco dovrà notificare un nuovo atto ai soci per chiamarli in causa con propria legittimazione.
In sintesi, dopo i 5 anni (o se per qualsiasi ragione l’atto non possa più essere rivolto alla società), l’Agenzia delle Entrate dovrà emettere avvisi di accertamento ad hoc nei confronti dei singoli soci, in cui:
- Si ridetermina (o si richiama) il debito tributario originario della società.
- Si dà atto della cancellazione della società e della conseguente responsabilità dei soci ex art. 2495 c.c.
- Si specifica l’importo delle somme di bilancio finale percepite da ciascun socio, ponendo tale importo come limite della pretesa verso quello specifico socio.
- In mancanza di percezioni, verosimilmente l’accertamento a carico del socio non avrebbe esito positivo in giudizio, per carenza di interesse del Fisco (oltre che di ripartizione effettiva).
Gli avvisi ai soci costituiscono atti impugnabili davanti alla giustizia tributaria, al pari di ogni accertamento, e il socio potrà far valere sia le eccezioni nel merito del tributo (ad esempio contestare che la società dovesse davvero quelle imposte) sia eccepire l’ammontare della propria responsabilità (ad esempio dimostrare di aver ricevuto meno di quanto l’Ufficio sostiene, o nulla affatto).
Un aspetto delicato riguarda le sanzioni tributarie: i soci devono pagare anche le sanzioni amministrative che erano state irrogate alla società? Le sanzioni tributarie, in generale, hanno natura amministrativa-punitiva e per le persone fisiche non si trasmettono agli eredi (principio di personalità della sanzione, art. 8 D.Lgs. 472/1997). Per le società, inizialmente la giurisprudenza tendeva ad applicare un criterio analogo, escludendo che i soci rispondessero delle sanzioni dovute dalla società estinta, proprio argomentando che la loro responsabilità è di tipo successorio e quindi, analogamente alla successione ereditaria, le “multe” non si trasferiscono. Fino al 2023 si potevano trovare sentenze che negavano la trasmissibilità ai soci delle sanzioni tributarie della società.
Tuttavia, c’è stato un revirement recente: con ordinanza n. 23341 del 29 agosto 2024, la Cassazione ha cambiato orientamento, affermando che gli ex soci di una società estinta rispondono anche delle sanzioni tributarie connesse al debito fiscale. La Corte ha infatti ritenuto che nel caso della società si configuri una successione sui generis in cui l’ex socio risponde dell’intero debito tributario, senza distinzione tra imposta e sanzione, trattandosi comunque di un debito di natura patrimoniale. Viene superato il parallelo con gli eredi: la situazione del socio di società estinta non è equiparabile a quella dell’erede di una persona fisica, quindi la regola dell’intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi (art. 8 cit.) non si applica al socio. D’ora in poi, dunque, se la società aveva ad esempio un’imposta evasa di 50.000 € e sanzioni per 25.000 €, il socio che ha ricevuto 30.000 € di liquidazione potrà essere chiamato a pagarne 25.000 (non solo imposte pro quota, ma anche le sanzioni entro il suo limite). Resta ovviamente fermo il limite quantitativo: la responsabilità del socio non eccede quanto da lui complessivamente ricevuto. Se non c’è stato alcun riparto ai soci, non vi sarà in concreto debito esigibile in capo ad essi (come ha rassicurato la stessa ordinanza 23341/2024).
Questa evoluzione giurisprudenziale “sfavorevole” per i soci è bene evidenziarla: significa che il debito tributario che i soci si trovano a dover eventualmente pagare include sia le imposte che gli interessi e le sanzioni maturate in capo alla società, costituendo un “unico debito pecuniario”. Il socio non potrà opporre, in linea di principio, che la multa era “personale” della società e lui non deve pagarla – argomento ormai respinto dalla Corte (sebbene c’era stato un passato orientamento contrario, v. Cass. 24316/2023 citata come ultimo precedente superato).
Riassumendo le regole sulla responsabilità dei soci:
- I soci di società di capitali estinta subentrano nei debiti tributari della società, nei limiti di quanto incassato con la liquidazione.
- La responsabilità è pro quota secondo la percentuale di partecipazione societaria, salvo patto interno di diverso riparto (in genere coincide col pro quota).
- Tale responsabilità copre imposte, interessi e sanzioni dovute dalla società, costituendo un debito unitario.
- Se il socio non ha ricevuto nulla, il Fisco può comunque considerarlo successore ex lege, ma non avrà concreta possibilità di escutere nulla da lui (manca interesse ad agire).
- L’Amministrazione deve provare l’entità delle somme ricevute dai soci, tipicamente producendo il bilancio finale di liquidazione o altri documenti.
- La pretesa verso i soci si esercita, di norma, tramite la notifica di nuovi avvisi di accertamento nominativi a carico loro, successivi all’estinzione della società (o anche durante il quinquennio se, ad esempio, l’atto originario alla società è andato deserto o annullato). Questi avvisi ai soci sono impugnabili dai medesimi in tutte le sedi opportune.
Art. 36 DPR 602/1973: una norma speciale sulla responsabilità fiscale di liquidatori e soci
Oltre alle norme del codice civile e alle elaborazioni giurisprudenziali, esiste una previsione specifica nel campo tributario, precedente alla riforma del 2003, che in parte si sovrappone: l’art. 36 del DPR 602/1973. Questa disposizione – tuttora in vigore – prevede una forma di responsabilità per il pagamento delle imposte in capo ai liquidatori e anche ai soci, in certi casi, nel corso della liquidazione. In sintesi (semplificando molto):
- Il liquidatore che distribuisce attivi ai soci senza aver prima pagato le imposte dovute dall’ente, è obbligato in solido al pagamento delle imposte non versate, fino a concorrenza delle somme distribuite. Si tratta di una responsabilità propria del liquidatore, prevista dalla legge tributaria (non dipende dalla colpa generica ex art. 2495 c.c., ma dal fatto oggettivo di aver distribuito attivo anziché pagare il Fisco).
- I soci che hanno ricevuto denaro o beni in sede di liquidazione possono essere chiamati a rispondere delle imposte non pagate, insieme al liquidatore, entro il limite di quanto ricevuto. La norma fa riferimento anche alle somme ricevute “nei due esercizi antecedenti la liquidazione”, così da ricomprendere eventuali acconti o distribuzioni di utili avvenute poco prima dello scioglimento che abbiano ridotto la provvista per il Fisco.
In pratica, l’art. 36 DPR 602/73 dà al Fisco un’azione specifica (detta “azione di responsabilità del liquidatore”) per recuperare le imposte direttamente dai liquidatori e dai soci post liquidazione. La giurisprudenza si è interrogata sul rapporto tra questa norma (anteriore) e l’art. 2495 c.c. (posteriore). Oggi si tende a considerarle entrambe applicabili, coordinandole: l’art. 36 è una tutela aggiuntiva per il Fisco, che consente di colpire anche i soci su utili distribuiti poco prima della liquidazione (cosa non esplicitamente detta dall’art. 2495) e il liquidatore anche senza dover provare la “colpa” in senso stretto (basta la violazione del dovere legale di pagamento preferenziale dei tributi). Ad ogni modo, dal punto di vista pratico, sia con l’art. 2495 c.c. sia con l’art. 36 DPR 602/73, il risultato è che soci e liquidatori non possono ritenersi al riparo da pretese del Fisco quando la società si estingue lasciando imposte non pagate.
Responsabilità del liquidatore e degli amministratori
Abbiamo già accennato che il liquidatore può incorrere in responsabilità per i debiti tributari rimasti insoddisfatti, se ha mal gestito la liquidazione. Tale responsabilità discende sia dall’art. 2495 c.c. (colpa del liquidatore) sia dall’art. 36 DPR 602/73 (pagamento di imposte dovute). In generale, il liquidatore è tenuto a usare l’attivo della società per pagare i debiti secondo la prelazione dovuta; tra questi debiti rientrano le imposte. Le imposte erariali non sono assistite da cause di prelazione come i crediti privilegiati, ma il liquidatore ha comunque l’obbligo legale (ex art. 36) di soddisfarle prima di distribuire residui ai soci. Se viola questo obbligo, l’Amministrazione può rivolgersi direttamente a lui.
È bene notare che la responsabilità del liquidatore per le imposte sociali ha natura personale e illimitata, ma non significa che egli pagherà oltre il debito: risponderà delle imposte non pagate fino concorrenza dell’attivo che avrebbe dovuto destinarvi. In pratica è una responsabilità per il danno causato ai creditori sociali con la sua condotta. Ad esempio, se una società aveva 100 di attivo, 80 di debiti verso fornitori e 20 di debito fiscale, il liquidatore avrebbe dovuto pagare i 20 al Fisco e 80 ai fornitori (proporzionalmente, se concorsuale). Se invece paga 100 ai fornitori e nulla al Fisco, l’Amministrazione potrà chiedere al liquidatore quei 20 (più sanzioni/interessi) non versati. I soci magari hanno preso zero (perché l’attivo è finito ai fornitori), quindi i soci non rispondono, ma il liquidatore sì per aver leso la pari dignità del credito erariale.
Diverso è il caso degli amministratori (non liquidatori). Di per sé, l’amministratore che ha cessato la carica prima o con la liquidazione non risponde civilmente verso i creditori sociali, se non nei casi di malversazione o violazioni particolari (azioni di responsabilità per mala gestio, ecc., che spettano però alla società o ai creditori in casi specifici di insolvenza). Ai fini tributari, tuttavia, occorre menzionare una particolare responsabilità degli amministratori che abbiano percepito compensi o ripartizioni utili poco prima del fallimento: l’art. 2495 non li cita espressamente, ma la giurisprudenza ha esteso ai soci occultamente soddisfatti o agli amministratori con compensi non proporzionati alcune azioni recuperatorie, specie in sede di fallimento. In questa sede, comunque, possiamo affermare che l’amministratore in quanto tale (se non è anche liquidatore o socio) non è debitore verso il Fisco per i debiti della società estinta, salvo che il Fisco dimostri qualche condotta che integri una sua obbligazione distinta (ad es. fideiussioni, oppure sanzioni personali comminate a lui per violazioni proprie). Ciò non toglie che l’amministratore possa subire conseguenze sul piano penale, come vedremo, se ha contribuito a sottrarre risorse al pagamento delle imposte.
Ecco una tabella riepilogativa sulle responsabilità post-estinzione:
Soggetto | Responsabilità per debiti tributari | Limiti | Norme di riferimento |
---|---|---|---|
Socio (responsabilità limitata) | Succede nei debiti tributari della società estinta pro quota. Deve pagare imposte, interessi e sanzioni dovute dalla società, fino a concorrenza delle somme ricevute in liquidazione. | Limitata all’attivo ricevuto. Se nulla ricevuto, nessun esborso dovuto (ma rimane successore formale). Responsabilità condivisa tra soci secondo le quote. | Art. 2495 c.c. (comma 2); Cass. SU 6070/2013; Cass. SU 3625/2025; Art. 36 DPR 602/73 (ultimi 2 esercizi). |
Socio (illimitatamente responsabile) di società di persone | Era già obbligato illimitatamente per i debiti sociali: la cancellazione non estingue il debito. | Illimitata e solidale secondo le regole proprie (salvo beneficium escussionis nelle s.a.s. per accomandanti, ecc.). | Artt. 2312 c.c. (scioglimento snc) e 2324 c.c. (scioglimento sas). Art. 2495 c.c. si applica in parte (limite non rileva perché responsabilità illimitata). |
Liquidatore | Responsabile se ha pagato soci o altri trascurando imposte. Tenuto al pagamento delle imposte dovute e non versate fino a concorrenza dell’attivo distribuito indebitamente. Inoltre, risponde per danni da inadempimento dei doveri (colpa) verso creditori insoddisfatti. | Illimitata (nei limiti del debito). Può includere sanzioni e interessi. Si cumula con eventuale responsabilità fiscale dei soci. | Art. 2495 c.c. (colpa del liquidatore); Art. 36 DPR 602/1973 (obbligo pagamento imposte in liquidazione). |
Amministratore (non liquidatore, non socio) | Direttamente non obbligato per i debiti sociali residui. Può rispondere solo in casi particolari (es. per sanzioni tributarie comminate a lui personalmente, o per illecito 231 se configurabile). | – | (Nessuna norma specifica di successione di debito; possibile art. 2476 c.c. per responsabilità verso creditori sociali per condotte distrattive, ma non specifica per il Fisco). |
(N.B.: La tabella non considera la responsabilità penale, trattata a parte. Si focalizza sulle obbligazioni civili/amministrative di pagamento.)
Il ruolo dell’ex socio e le azioni difensive
Dal punto di vista pratico del debitore-socio, cosa fare se arriva una richiesta di pagamento per debiti della ex società? Potremmo trovarci di fronte a due situazioni:
- Avviso di accertamento intestato alla società, notificato entro i famosi 5 anni: in tal caso, come visto, l’atto formalmente non è rivolto al socio, ma il socio ne verrà a conoscenza magari perché l’ex liquidatore lo informa o perché era anche liquidatore lui stesso. In questa fase, la miglior strategia per il socio è assicurarsi che la società (per mano del liquidatore) impugni l’atto tempestivamente. Il socio può anche affiancare la difesa, magari intervenendo nel giudizio per segnalare che comunque nulla gli è stato distribuito (se così è) o che il debito è contestabile nel merito. Se però l’atto non viene impugnato e diventa definitivo a carico della società, il socio dovrà poi affrontare la fase di riscossione.
- Avviso di accertamento intestato al socio o altra intimazione di pagamento al socio: ciò avviene di solito dopo i 5 anni, oppure se la società era cancellata prima del 2014, o se l’atto originario verso la società è stato annullato/abbandonato. In questo caso, il socio riceve un atto a suo nome (ad esempio: “Avviso di accertamento nei confronti del Sig. X, quale ex socio della Alfa Srl cancellata, per imposte anno tal dei tali”). Questo atto va trattato come un normale accertamento fiscale: il socio deve valutarne la fondatezza e può impugnarlo entro 60 giorni davanti alla Corte di Giustizia Tributaria competente. Le difese del socio potranno essere:
- Eccepire l’inesistenza o nullità dell’atto se ritiene viziata la notifica o la motivazione. Ad esempio, se la società era cancellata da più di 5 anni e l’ufficio ha comunque notificato l’atto come se fosse entro i 5 anni, potrebbe eccepirne la tardività (anche se in tal caso probabilmente l’ufficio lo avrà intestato direttamente al socio, quindi problema diverso).
- Contestare nel merito la pretesa tributaria originaria: il socio può sostenere che la società in realtà non doveva quelle imposte (es. i rilievi del Fisco sono infondati, l’IVA era dovuta in misura minore, ecc.). Su questo la Cassazione ha chiarito che il socio in giudizio può far valere le stesse ragioni difensive che avrebbe potuto opporre la società sul tributo. Non è limitato a discutere solo del “quanto ho ricevuto”.
- Contestare l’entità della propria responsabilità: ossia provare che la somma ricevuta in liquidazione è inferiore a quella indicata dal Fisco, o nulla. Se riesce a dimostrare di non aver percepito alcun attivo, può chiedere l’annullamento integrale dell’atto per mancanza del presupposto di responsabilità (o comunque ottenere una sentenza che lo esoneri dal pagamento). Se prova di aver ricevuto, ad esempio, 5 e non 10, potrà ottenere una riduzione proporzionale della pretesa nei suoi confronti.
- Far valere decadenze o prescrizioni: ad esempio, verificare se l’avviso al socio è stato notificato entro i termini di legge (di solito l’ufficio deve rispettare gli stessi termini di decadenza dell’accertamento originario, salvo magari un nuovo decorso dal momento dell’estinzione, tema complesso). Oppure se la cartella di pagamento (se arriva direttamente quella) è stata notificata entro i termini di iscrizione a ruolo.
Di solito, la notifica di un accertamento ai soci avviene dopo che l’accertamento alla società è diventato definitivo oppure quando l’ufficio non ha fatto in tempo ad accertare entro 5 anni durante la fictio (ad esempio perché scopre l’evasione tardivamente). In ogni caso, il socio deve reagire attivamente: se non impugna, quell’atto a suo nome diverrà definitivo e l’Agente della Riscossione potrà procedere contro il suo patrimonio (nei limiti indicati dall’atto).
Un caso particolare è quello in cui un socio riceva direttamente una cartella esattoriale (cartella di pagamento) riferita a un debito di una società estinta. La cartella potrebbe riportare: “ruolo per imposte IRAP 2018 dovute da Alfa Srl” ma intestata al socio ex art. 2495 c.c. Se al socio non è mai stato notificato un accertamento a suo nome, una simile cartella sarebbe viziata, perché violerebbe il suo diritto di difesa: il socio deve prima essere messo in condizione di contestare il fatto di dover subire il debito. In genere quindi l’iter corretto prevede sempre un accertamento verso il socio (titolo legale) prima di iscriverlo a ruolo. Se ciò non fosse avvenuto, il socio può impugnare la cartella eccependo di non aver mai avuto un atto impositivo a monte valido nei suoi confronti.
Esempio pratico 3: Gamma Srl si è estinta nel 2018. Nel 2026 (oltre 5 anni dopo) l’Agenzia delle Entrate scopre che Gamma Srl aveva omesso ricavi per 50.000€ nel 2017. Non potendo più notificare validamente un avviso alla società (troppo tardi per la fictio), l’Agenzia notifica nel 2026 un avviso a ciascun ex socio (Tizio e Caio) indicando che, quale successori di Gamma Srl, devono ciascuno imposte su 25.000€ di redditi non dichiarati + interessi e sanzioni, avendo ricevuto 30.000€ a testa in liquidazione. Tizio e Caio potranno:
- contestare in giudizio che i 50.000€ in realtà erano redditi inesistenti o già tassati (difesa nel merito tributario);
- oppure ammettere il debito fiscale ma sostenere, ad esempio, che in realtà avevano ricevuto solo 10.000€ a testa dalla liquidazione, e non 30.000 (onere della prova però tendenzialmente spetta a loro dopo che l’ufficio ha mostrato il bilancio finale);
- o ancora eccepire che l’accertamento per il 2017 è decaduto (anche se nel 2026 per il 2017 siamo oltre i 5 anni standard, a meno che non vi fosse stata una proroga per reato, ma in assenza di reato l’accertamento doveva farsi entro fine 2023, quindi questo 2026 sarebbe decaduto e annullabile per tardività).
Come si vede, la posizione del socio-destinatario è delicata: può trovarsi ad affrontare questioni sia procedurali (validità dell’atto, termini) sia sostanziali (esistenza del debito e sua quantificazione).
Dal punto di vista del socio debitore, alcune best practice:
- Conservare documenti della liquidazione: ad esempio il bilancio finale, le quietanze di pagamento ai soci, le comunicazioni del liquidatore. Queste serviranno a dimostrare quanto si è ricevuto (o che non si è ricevuto nulla). È buona norma che i soci, al termine della liquidazione, abbiano evidenza scritta di eventuali riparti.
- Coordinarsi con il liquidatore: se arriva un atto fiscale entro i 5 anni, assicurarsi che il liquidatore lo gestisca. Se il liquidatore è irreperibile o inerte, valutare come soci di intervenire comunque, magari nominando un difensore per proporre ricorso in via residuale (anche a nome della società con procura organica, se si riesce a ottenere una “riviviscenza” convenzionale).
- Non ignorare le comunicazioni: a volte l’Agenzia potrebbe inviare comunicazioni bonarie o inviti anche dopo la cancellazione. È bene che gli ex amministratori le seguano, per evitare che situazioni deflazionabili (adesioni, ravvedimenti) sfuggano finendo in un accertamento tardivo.
- Verificare la tempistica: come detto, se la società è estinta da oltre 5 anni, un nuovo accertamento potrebbe essere contestabile perché notificato quando la società era ormai estinta fiscalmente. Attenzione però: la norma dei 5 anni riguarda la validità della notifica, non allunga i termini di decadenza dell’accertamento. Quindi se un atto arriva entro i 5 anni ma per un periodo ormai decaduto, resta impugnabile per decadenza.
- Possibile opposizione ad atti della riscossione: se il socio si vede pignorare beni per debiti della società senza aver ricevuto i prescritti atti, potrà opporsi sia in sede tributaria (vizi dell’atto) sia, in alcuni casi, con opposizione all’esecuzione se il titolo è manifestamente inesistente.
Profili penal-tributari e rischi per gli ex amministratori/soci
La chiusura di una società con debiti tributari, specialmente se accompagnata da comportamenti tesi a eludere il pagamento delle imposte, può avere rilevanza penale. È importante distinguere tra:
- reati commessi durante la vita della società (dichiarazioni fraudolente, emissione di fatture false, omessi versamenti IVA oltre soglia, etc.), i cui responsabili sono gli amministratori o rappresentanti legali pro-tempore;
- reati eventualmente connessi alla fase di liquidazione/estinzione della società, volti a sottrarre le risorse alle pretese del Fisco.
Il reato specificamente disegnato per punire chi occulta beni al fine di non pagare le imposte è la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000). Questo delitto punisce con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o IVA (o relativi interessi/sanzioni) per un ammontare complessivo superiore a 50.000 €, alieni simulatamente o compia altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni, idonei a rendere inefficace in tutto o in parte la riscossione coattiva. Se l’ammontare supera 200.000 €, la pena aumenta da 1 a 6 anni. In parole semplici, è reato nascondere o distrarre beni per non farli prendere dal Fisco, quando si hanno debiti fiscali rilevanti (oltre 50mila euro).
Chi erano in genere i proprietari dei beni della società? La società stessa. Ma gli amministratori/soci possono porre in essere atti fraudolenti: ad esempio trasferire attività ad altra società, intestare beni a terzi (familiari, prestanome) o, appunto, sciogliere la società distribuendo l’attivo ai soci invece di pagare le imposte, con lo scopo di rendere vana la futura riscossione. Una liquidazione societaria in sé non è vietata, ma se viene usata in modo strumentale per sottrarre patrimoni al Fisco, può integrare un atto fraudolento ai sensi dell’art. 11. Ad esempio, se Alfa Srl ha un capannone del valore di 1 milione e un debito IVA di 300mila €, e gli amministratori vendono il capannone, distribuiscono il ricavato ai soci e chiudono la società, il tutto per evitare le procedure esecutive del Fisco, ciò potrebbe configurare il reato. Il bene (denaro da vendita) è stato distratto dal patrimonio dell’obbligato (la società) per destinarlo ai soci, rendendo inefficace la riscossione coattiva delle imposte.
Va detto che non ogni chiusura di società con debiti configura reato. Serve il requisito degli “atti simulati o fraudolenti”. La giurisprudenza penale ha chiarito che l’atto fraudolento può consistere in qualsiasi operazione che ex ante è idonea a pregiudicare la possibilità per il Fisco di recuperare coattivamente il credito. La distribuzione dell’attivo ai soci in sé è lecita perché prevista dalla legge in liquidazione, ma se fatta in presenza di debiti fiscali noti e con il fine specifico di non pagare il Fisco, potrebbe essere considerata fraudolenta. Altro esempio: costituire una nuova società e trasferirvi l’unico bene della vecchia società (magari vendendolo a prezzo irrisorio) prima di chiudere la vecchia, lasciando il credito erariale insoddisfatto, è chiaramente una condotta fraudolenta. Anche la cancellazione stessa della società, se serve a “far perdere le tracce” al Fisco, non è un reato di per sé, ma può essere un tassello di un disegno fraudolento più ampio.
Un elemento fondamentale del reato è il dolo specifico: l’azione deve essere compiuta al fine di sottrarsi al pagamento di imposte. Quindi se una società si scioglie semplicemente perché ha concluso la sua attività e distribuisce l’attivo residuo ai soci senza sapere di avere un debito fiscale (o confidando che non ce ne siano), difficilmente si potrà configurare il dolo richiesto. Se invece c’è consapevolezza del debito e volontà di non pagarlo, allora scatta il dolo specifico.
Spesso, ad essere colpiti da indagini penali per art. 11 D.Lgs. 74/2000 sono gli ex amministratori o soci di controllo che hanno materialmente deciso e attuato le operazioni pregiudizievoli. Ad esempio, nella vicenda esaminata dalla Cassazione penale n. 30723/2020, l’indagato era socio, amministratore e poi liquidatore di una Srl che aveva omesso versamenti IVA sotto soglia penale, ma che aveva poi compiuto atti per sottrarsi al pagamento, simulando la vendita di un immobile di sua proprietà a un parente. La Cassazione ha annullato un sequestro disposto a suo carico, osservando tra l’altro che per configurare il reato occorre dimostrare che l’indagato fosse effettivamente debitore verso il Fisco per quelle imposte. Nel caso specifico, siccome il debito IVA era della società e sotto soglia, e non era chiaro in che misura il socio potesse esserne civilmente responsabile, la Corte ha chiesto di motivare meglio il nesso. Questo ci insegna che, se il socio/amministratore non è legalmente obbligato a pagare quel tributo (ad esempio perché non ha ricevuto nulla, quindi la sua responsabilità ex 2495 c.c. non produce esborso), allora vendere un suo bene personale non lede di fatto la garanzia patrimoniale verso il Fisco. Il reato di sottrazione fraudolenta, infatti, presuppone un “debito verso il fisco” in capo all’agente; se costui formalmente non è debitore (lo era solo la società), bisognerà verificare come il debito può essere azionato contro di lui (ad es. via 2495 c.c. o art. 36 DPR 602/73). Questo aspetto tecnico incide sul reato: la condotta deve riguardare beni del soggetto debitore per essere punibile.
Oltre all’art. 11, quali altri reati possono rilevare? Possiamo citare:
- Omesso versamento di IVA o ritenute certificate (artt. 10-bis e 10-ter D.Lgs. 74/2000): se la società, prima di estinguersi, non ha versato IVA oltre la soglia penale (attualmente €250.000 per periodo d’imposta, anche se dal 2024 è stato introdotto un meccanismo di soglia ridotta post-eventuale decadenza da rateazione) o ritenute oltre €150.000, l’ultimo rappresentante legale può essere chiamato a risponderne penalmente. La chiusura della società non estingue la responsabilità penale già maturata. Va detto che spesso, se la società viene liquidata prima che scatti l’omesso versamento (che di solito si consuma alla scadenza del termine di versamento, es. 27 dicembre per IVA annuale), potrebbero salvarsi i vertici da questo reato – ma molto dipende dal timing.
- Reati dichiarativi (dichiarazione fraudolenta, infedele, omessa): se la società, quando era in vita, ha presentato dichiarazioni fraudolente (false fatture, artifizi) o non ha presentato dichiarazioni con imposta evasa rilevante, i rappresentanti legali dell’epoca rispondono penalmente. Anche qui la liquidazione non evita processi: potranno essere imputati gli amministratori. La società essendo estinta non può essere sanzionata come ente (eventualmente se il reato è 2019+, potrebbe esserci stato un profilo di responsabilità 231 per l’ente se esistente, ma con estinzione cessa, salvo confisca di beni sociali residui se provento di reato).
- Bancarotta fraudolenta: se la società viene dichiarata fallita (entro l’anno, come visto), gli amministratori o liquidatori potrebbero rispondere di bancarotta fraudolenta se hanno distratto beni, occultato scritture, favorito creditori, ecc. Il reato di bancarotta potrebbe includere l’ipotesi di aver soddisfatto i soci invece del Fisco (configurabile come distrazione o abuso). Dunque la scelta di liquidare stragiudizialmente e poi fallire può esporre a questo grave reato. Non a caso talora si vede contestare sia l’art. 11 (sottrazione imposte) sia la bancarotta.
- Reati 231/2001: dal 2019 alcuni reati tributari (tra cui l’art. 11) fanno parte dei reati-presupposto per la responsabilità amministrativa delle società. In teoria, se l’illecito è stato commesso nell’interesse o vantaggio della società, anche la società potrebbe essere sanzionata (multa pecuniaria) ex D.Lgs. 231/01. Tuttavia, se la società è estinta non c’è ente su cui far gravare la sanzione. Attenzione però: la giurisprudenza 231 ritiene che l’estinzione della società durante il procedimento 231 estingua l’illecito amministrativo (equiparandola alla “morte” dell’ente). Quindi, di fatto, la società liquidata non verrà punita 231. Ci si potrebbe chiedere se la costituzione di un nuovo ente che prosegue l’attività possa essere chiamata a rispondere (successione impropria 231): tema oltre lo scopo di questa guida, ma in sintesi la chiusura di una società e contestuale prosecuzione con altra entità potrebbe essere scrutinata come elusiva (ma servono norme ad hoc, ad oggi lacunose, per “trasferire” la responsabilità 231).
Dal punto di vista dell’ex amministratore o socio, quali sono i segnali o i comportamenti da tenere per evitare guai penali?
- Non compiere operazioni distrattive quando si sa di avere un debito fiscale importante. Se la società ha un grosso debito con l’Erario, liquidarla distribuendo attivo ai soci o trasferendo beni altrove è pericoloso. Meglio tentare vie lecite: chiedere dilazioni, concordare piani, oppure se non ci sono alternative, considerare la procedura concorsuale (che ha regole proprie).
- Documentare le operazioni a valore di mercato: se si vendono beni prima di chiudere, farlo a prezzi di mercato e usare i fondi preferibilmente per pagare i creditori privilegiati e poi pro-quota gli altri. Evitare di far apparire movimenti anomali (es. cessioni a familiari a 1 euro).
- Non usare la cancellazione come “fuga”: se la società è insolvente, procedere a cancellarla d’ufficio senza liquidare correttamente è un comportamento che attira sospetti (i tribunali sono attenti a cancellazioni con debiti rilevanti, tanto che spesso i creditori chiedono il fallimento).
- Soglia dei 50.000 €: se il debito tributario che si vuole “schivare” è modesto (es. 20.000 €), l’art. 11 non si applica. Ciò non significa che sia eticamente o civilmente giusto non pagare, ma almeno non c’è reato specifico di sottrazione fraudolenta sotto quella soglia. Attenzione però: altre fattispecie come la bancarotta preferenziale (in fallimento) non hanno soglia; e l’omesso versamento IVA ha soglia 250k annui (ora modulata con soglie inferiori in caso di decadenza da rateazioni).
- Collaborare nelle verifiche: se durante un controllo fiscale la società viene chiusa (“liquidazione lampo” durante un’ispezione), questo comportamento potrebbe venire interpretato come volontà di ostacolare: da solo, come nota la dottrina, non basta a integrare art. 11 senza altri elementi fraudolenti. Un caso discusso è stato: cancellazione di società di capitali durante una verifica fiscale – la Cassazione ha stabilito che ciò di per sé non è reato ex art. 11, in assenza di atti di occultamento di beni. Quindi sciogliere la società mentre c’è un accertamento in corso non è vietato, ma se poi i beni spariscono in barba al Fisco, si ricade nella condotta punibile. È sempre questione di finalità e mezzi usati.
In conclusione, sotto il profilo penal-tributario gli ex amministratori e soci devono prestare attenzione a non compiere azioni che possano essere interpretate come fraudolente sottrazioni di garanzie. Qualora la situazione fosse già compiuta (società chiusa con debiti erariali non pagati), è possibile che – in presenza di importi rilevanti – la Guardia di Finanza e la Procura valutino l’apertura di un’indagine per art. 11 D.Lgs. 74/2000. In tal caso, il coinvolto dovrà difendersi dimostrando magari che:
- Il patrimonio sociale era insufficiente comunque a pagare il Fisco, e la distribuzione non ha peggiorato la situazione dei creditori (argomento a volte considerato: se comunque il Fisco non avrebbe soddisfazione integrale, la sottrazione parziale è comunque reato se oltre soglia).
- Oppure che l’operazione di scioglimento era giustificata da ragioni non fraudolente (fine attività, necessità di restituire capitali ai soci per altre obbligazioni, ecc.) e non c’era volontà di frustrare la riscossione.
- O, ancora, che il soggetto indagato non era consapevole del debito tributario (ad esempio, debito emerso dopo) o non ha tratto beneficio personale dai beni (caso limite: liquidatore che ha pagato altri creditori ignaro di cartelle notificate successivamente per vecchie imposte).
Ricordiamo infine che i reati tributari (incluso l’art. 11) prevedono misure cautelari come il sequestro preventivo dei beni degli indagati fino a concorrenza dell’imposta sottratta. Dunque, i soci/amministratori coinvolti potrebbero subire congelamento di conti o ipoteche giudiziarie sui loro beni se accusati di aver sottratto attivi al Fisco. Ciò è un ulteriore incentivo a regolare in modo trasparente la liquidazione: perché se anche pensassero di farla franca sul piano civile, potrebbero poi vedersi bloccare quei beni a livello penale.
Domande frequenti (FAQ)
D: Che cos’è esattamente un “avviso di accertamento a società estinta”?
R: È un avviso di accertamento fiscale intestato a una società che, al momento della notifica, risulta già cancellata dal Registro delle Imprese (quindi giuridicamente estinta). Può verificarsi perché l’Agenzia delle Entrate emette l’atto dopo che la società si è sciolta. Grazie alla normativa speciale del 2014, l’atto può essere valido se notificato entro 5 anni dalla cancellazione; altrimenti è un atto viziato perché indirizzato a un soggetto non più esistente.
D: La società è estinta: l’avviso notificato a suo nome è sempre nullo?
R: Non sempre. Se la cancellazione è avvenuta dopo il 13 dicembre 2014 ed il Fisco notifica entro cinque anni, l’avviso è considerato valido per legge. In questo caso la società, per finzione, “sopravvive” ai fini dell’atto. Se invece l’avviso arriva oltre 5 anni dalla cancellazione (o la società era cancellata prima del 2014 senza finzione applicabile), allora sì, l’atto è nullo per inesistenza del destinatario. Sarà compito del giudice annullarlo, preferibilmente su eccezione di parte (anche se in casi evidenti lo può rilevare d’ufficio, trattandosi di difetto originario di capacità).
D: Chi può impugnare un avviso di accertamento intestato a una società che non esiste più?
R: Durante il periodo di “sopravvivenza fiscale” (5 anni post-cancellazione), l’ex liquidatore della società ha la legittimazione per proporre ricorso in nome e per conto della società estinta. Egli agisce come ultimo legale rappresentante dell’ente. I soci, in tale fase, non sono considerati parti legittimate nel processo tributario (non ancora, finché la finzione li esclude). Per eccesso di prudenza, però, spesso i soci intervengono o propongono ricorso anch’essi, per evitare contestazioni di inammissibilità – ma formalmente la Cassazione dice che spetta al liquidatore. Dopo il quinquennio (o se la norma non applicabile), la società non ha più né legale rappresentante né capacità processuale: l’avviso dovrebbe essere rivolto direttamente ai soci, i quali lo impugneranno in proprio come contribuenti interessati.
D: Cosa succede se l’avviso di accertamento viene notificato entro 5 anni alla società, ma la società era già in liquidazione chiusa? Chi difende in giudizio?
R: Come detto, l’atto va notificato, ad esempio, all’ultima sede sociale o al liquidatore. Sarà il liquidatore a dover attivare la difesa, eventualmente con l’ausilio dei professionisti già coinvolti prima della chiusura. È buona norma che gli ex amministratori/liquidatori mantengano aggiornato il domicilio fiscale e la PEC anche dopo la cancellazione, per intercettare eventuali comunicazioni. Se per ipotesi nessuno impugna l’avviso (magari perché il liquidatore non se ne occupa), l’atto diverrà definitivo contro la società (fittiziamente esistente); a quel punto il Fisco potrà emettere cartella a nome della società e poi procedere verso i soci per la riscossione. I soci in fase di esecuzione potrebbero ancora contestare la legittimità degli atti (ad esempio, facendo opposizione se si vedono intimare il pagamento senza essere stati parte del giudizio), ma è una difesa molto più difficile. Quindi è fondamentale che il liquidatore (o i soci stimolando il liquidatore) impugnino tempestivamente gli avvisi notificati entro il quinquennio.
D: La mia società è stata cancellata nel 2019. Ricevo oggi (2025) un avviso a nome mio, come ex socio, che mi chiede di pagare tasse 2018 della società. È legittimo?
R: Bisogna verificare alcune cose. Innanzitutto, la notifica avviene oltre 5 anni dalla cancellazione? Se sì, la società era fiscalmente estinta, quindi era corretto notificare direttamente a te socio un atto. Dovrai capire se l’atto è stato emesso entro i termini di decadenza per l’anno 2018 (che in genere scadevano nel 2024, quindi se è 2025 potrebbe essere tardivo a meno di proroghe per reati). Se è stato emesso nei termini, l’atto in sé può essere legittimo. Significa che l’Agenzia intende far valere la tua responsabilità di ex socio ex art. 2495 c.c. Dovrai allora valutare il merito: la società doveva davvero quelle imposte? e tu quanto hai ricevuto in liquidazione? Potrai impugnare l’avviso contestando il quantum. Se invece la società è stata cancellata nel 2019 e l’Agenzia avesse notificato entro il 2024 un atto alla società (non a te) e poi, non avendo ottenuto nulla, nel 2025 prova comunque a colpire te senza un nuovo accertamento, allora non sarebbe corretto: dovresti aver ricevuto un tuo avviso specifico, non basta la cartella originaria della società. Nel tuo caso specifico sembra di capire che ti hanno notificato proprio un avviso a tuo nome nel 2025: verifica se al suo interno si fa menzione del fatto che la notifica avviene oltre i 5 anni e su quale base. Se la società è canc. 2019, fino al 2024 l’Erario poteva considerarla viva; nel 2025 non più, quindi l’atto a tuo nome era lo strumento giusto, purché l’accertamento non fosse decaduto. In sintesi: è potenzialmente legittimo, ma va analizzato e con ogni probabilità dovrai impugnarlo per far valere le tue ragioni (ad esempio, se non hai ricevuto nulla, dovrai dimostrarlo per non pagare).
D: I soci rispondono anche delle sanzioni e degli interessi sulle imposte?
R: Sì, secondo la giurisprudenza più recente, i soci rispondono dell’intero carico tributario trasferito, senza distinguere la natura delle somme dovute. In passato qualcuno sosteneva che le sanzioni (essendo “punitive”) dovessero restare a carico solo della società e non trasmettersi; ma la Cassazione ha chiarito che non è così, perché qui si tratta di una successione sui generis e il debito tributario viene preso nella sua interezza dagli eredi della società (i soci). Quindi gli ex soci pagheranno imposta, interessi e sanzioni, sempre però nei limiti di quanto ricevuto in liquidazione. Facciamo un esempio: società Delta aveva debiti col Fisco totali 100 (di cui 60 imposte, 20 interessi, 20 sanzioni) e il socio ha ricevuto 50. Il socio potrà essere chiamato a pagare fino a 50 in totale – se l’Erario lo ritiene, potrebbe imputare prima le imposte e poi proporzionalmente il resto, ma in generale se paga 50 ha esaurito il suo esborso. Non dovrà pagare l’eventuale eccedenza (50 su 100 resterà insoddisfatta e inesigibile, salvo altre risorse da altri soci o liquidatore). Se ci fossero più soci, ad ognuno la propria quota.
D: E se il socio ha venduto o perso quanto ricevuto? Deve comunque pagare?
R: Sì. La responsabilità dei soci non è condizionata alla conservazione di quelle somme. In altri termini, se un socio ha ricevuto 100.000 € in liquidazione e poi li ha spesi/investiti, resta comunque tenuto verso i creditori sociali (Fisco incluso) per quel valore. Non può opporre di averli ormai non disponibili. È una responsabilità patrimoniale, eventualmente da onorare con altri beni se ha dissipato il denaro ricevuto. Quindi il socio deve essere prudente: prima di utilizzare integralmente quanto avuto dalla liquidazione, dovrebbe accertarsi che non vi siano debiti pendenti che potrebbero ricadere su di lui.
D: Il liquidatore della società estinta può essere perseguito dal Fisco?
R: Sì, il liquidatore può essere chiamato in causa sia in sede civile sia con uno specifico atto ex art. 36 DPR 602/73. Il Fisco potrebbe notificargli un avviso di accertamento/atto di responsabilità per il pagamento delle imposte non versate durante la liquidazione. Per esempio, se c’era un debito IVA e il liquidatore ha chiuso senza pagarlo, l’Ufficio potrebbe chiedergli conto. In giurisprudenza si discute se serva un nuovo atto impositivo o se basti citarlo in giudizio ordinario. Tuttavia, la Cassazione ha affermato che l’avviso di accertamento in sé non è idoneo a fondare la pretesa verso il liquidatore – ci vuole un accertamento giudiziale della sua responsabilità. Quindi spesso l’Erario preferisce agire con ingiunzione o con azione civile. In sostanza, sì: il liquidatore rischia di dover pagare di tasca propria i debiti tributari non soddisfatti, se ha sbagliato nella distribuzione. Non c’è il limite del “percepito” per lui: può rispondere anche oltre, se ha fatto male i conti, ma di solito coincide con l’ammontare del debito rimasto.
D: Chiusa la società, posso subito costituirne un’altra e trasferirvi l’attività?
R: Tecnicamente si può costituire una nuova società, ma trasferire l’intera attività (magari clienti, macchinari, dipendenti) dalla vecchia alla nuova a ridosso della cancellazione potrebbe essere visto come continuazione dell’impresa precedente. Il Fisco potrebbe tentare di dimostrare che la nuova società è una mera sostituta della vecchia, magari per recuperare da essa i tributi (non semplice, però in alcuni casi di cessazione e riapertura con soggetti collegati, l’Agenzia ha paventato l’abuso del diritto). Dal lato penale, se lo scopo di creare la nuova società è eludere i debiti fiscali della vecchia, anche questo può essere considerato atto fraudolento (es. cessione di beni alla newco a prezzo vile). Quindi è un’operazione da valutare con attenzione e trasparenza. In alcuni casi, per evitare guai, conviene affrontare il debito nella vecchia società con strumenti come la transazione fiscale in concordato preventivo, ecc., piuttosto che chiuderla e ripartire altrove lasciando il debito indietro.
D: Se la società viene dichiarata fallita dopo la cancellazione, cosa devono fare i soci?
R: Se un creditore (come il Fisco) ottiene la dichiarazione di fallimento entro un anno dalla cancellazione, la società torna “in vita” nella forma del fallimento (ora liquidazione giudiziale) con un curatore che amministra i beni. In tal caso, i soci non devono pagare direttamente i debiti sociali: dovranno però restituire eventualmente quanto ricevuto in liquidazione se il curatore esercita azioni restitutorie (ad es. per ripartizione illegittima di attivo in pregiudizio dei creditori). Finché c’è il fallimento, il Fisco (come gli altri creditori) si deve insinuare nel passivo e non può agire individualmente contro i soci. Quindi paradossalmente, il fallimento può “proteggere” i soci da azioni individuali del Fisco, canalizzando tutto nella procedura. Tuttavia, i soci rischiano di perdere quanto ottenuto (se il curatore chiede di restituirlo all’attivo fallimentare) e gli amministratori rischiano incriminazioni per bancarotta se emergono irregolarità. Insomma, il fallimento sposta il gioco in tribunale fallimentare: i soci diventano parti eventuali di azioni del curatore, non più destinatari diretti di avvisi di accertamento (che di norma decadono perché la pretesa si fa valere nel fallimento). Pertanto, se arriva un’istanza di fallimento post-chiusura, conviene ai soci partecipare alla procedura, collaborare col curatore e magari transare.
D: La chiusura della società mi mette al riparo dalle sanzioni penali?
R: No, la chiusura riguarda la società come soggetto giuridico, ma le eventuali responsabilità penali degli amministratori o altri soggetti rimangono. Anzi, alcune condotte compiute in sede di chiusura potrebbero costituire reato (si veda la sottrazione fraudolenta ex art. 11). La società estinta non potrà essere imputata (le persone giuridiche non sono imputabili salvo 231, e comunque se estinte nemmeno 231 si applica), ma le persone fisiche sì. Quindi l’amministratore che ha commesso un reato di frode fiscale o simili durante la gestione, o anche successivamente per non pagare le imposte, risponderà personalmente anche se la società non esiste più. La scomparsa della società non “pulisce” i reati. Una cosa positiva: se il reato imputato era punibile con multa all’ente (231), la cancellazione estingue la procedura 231, ma questo riguarda l’ente, non l’individuo.
D: Che cosa posso fare prima di cancellare una società per evitare problemi futuri col Fisco?
R: La migliore strategia è chiudere tutti i conti col Fisco prima di cancellare. In pratica:
- Verificare che siano state presentate tutte le dichiarazioni (anche finali) e versate le imposte dovute. Se ci sono debiti noti (cartelle, avvisi) pagarli o al limite transarli (es. definizione agevolata, saldo e stralcio se possibile).
- Se la società non può pagare quei debiti perché insolvente, valutare procedura concorsuale (fallimento o liquidazione giudiziale volontaria, se ne ricorrono i presupposti) invece di liquidazione ordinaria: è più lunga e onerosa magari, ma dà regole chiare e protegge i soci dal subentro nei debiti (nel fallimento i soci di capitali non pagano di tasca propria, salvo azioni di responsabilità).
- Non distribuire attivi se ci sono debiti: usare l’attivo per pagare il più possibile i creditori, in primis l’Erario (anche perché tanto ai soci non dovrebbe andare nulla finché c’è debito). Se alla fine rimane un debito fiscale e zero attivo, almeno i soci non avranno percepito nulla e la loro posizione sarà più difendibile (il Fisco potrà agire formalmente contro di loro ma non potrà escutere nulla se nulla hanno ricevuto).
- Tenere una riserva per eventuali imposte in accertamento: se si sa di avere situazioni a rischio (e.g. verifica fiscale in corso o avvisi attesi), forse conviene attendere a cancellare finché non si definiscono, o accantonare somme per pagarle. Cancellare prima può portare agli scenari sopra descritti di accertamenti postumi.
D: Quali sono le sentenze più importanti da conoscere su questo tema (società estinte e fisco)?
R: Riassumendo le citazioni fatte:
- Cass. Sez. Un. 6070/2013 – ha sancito l’immediata estinzione della società alla cancellazione e la successione dei soci nei debiti sociali entro i limiti di quanto ricevuto.
- Cass. Sez. Un. 26283/2016 (non citata sopra ma in tema) – ha confermato tali principi e chiarito alcuni aspetti processuali.
- Cass. Sez. Un. 3625/2025 – ultimo intervento unificatore: ribadisce la responsabilità pro quota dei soci (limitata alle somme percepite) e che il Fisco deve provare la distribuzione con un atto ad hoc, non potendo coinvolgere i soci automaticamente nei giudizi pendenti.
- Cass. 25415/2024 – ha stabilito che se la società era cancellata prima del 2014, un ricorso presentato dal liquidatore era inammissibile perché la società era incapace; inoltre ha ricordato la non retroattività dell’art. 28 D.lgs 175/2014.
- Cass. 23341/2024 – (ordinanza) ha cambiato rotta sulla questione sanzioni, affermando la loro trasmissibilità ai soci.
- Cass. 9094/2017 – ha sostenuto che i soci succedono anche se non hanno avuto riparti (cfr. ordinanza citata nel testo).
- Cass. 923/2023 – ordinanza che ha escluso la rilevabilità d’ufficio della nullità dell’avviso alla società estinta se non eccepita (tema tecnico: lo ritiene vizio relativo, una volta che qualcuno si costituisce a difenderlo) – non trattato sopra ma esistente.
- Cass. Pen. 30723/2020 – in ambito penale, sulla necessità di dimostrare che l’indagato è debitore per configurare la sottrazione fraudolenta.
- Cass. Pen. 20680/2019 – (anche questa in materia art.11, qui non citata, punisce sottrazione di beni mediante liquidazione anticipata).
- Cass. 18260/2021 – ha ribadito i principi successori post estinzione, citata in Cass. 1689/2022.
- Cass. 1689/2022 – caso particolare di fallimento postumo e notifica a socio, vedi estratto, importante perché conferma successione indipendente dal riparto.
Conoscere queste pronunce aiuta avvocati e consulenti a impostare al meglio la difesa in casi analoghi.
Conclusioni
In definitiva, la cancellazione di una società di capitali con debiti tributari richiede grande cautela. Dal lato dell’Amministrazione finanziaria, il legislatore ha fornito strumenti (finzione di sopravvivenza quinquennale, azioni verso soci e liquidatori) per non lasciare “buchi” nella riscossione. Dal lato dei debitori (soci e liquidatori), è fondamentale comprendere che la chiusura della società non li esonera automaticamente dai debiti col Fisco: tali debiti possono “riemergere” a loro carico sotto varie forme. Conviene quindi:
- Prevenire, regolarizzando il più possibile la posizione fiscale prima della chiusura;
- Monitorare gli atti nei 5 anni successivi, facendo ricorso per tempo per contestare eventuali avvisi;
- Difendersi attivamente sul merito e sul limite della propria responsabilità, se chiamati in causa;
- Valutare le conseguenze penali di eventuali operazioni elusive, evitando condotte che possano integrare reati tributari.
La normativa e la giurisprudenza attuali delineano un quadro in cui l’Erario ha molte chance di soddisfazione, e i soci non possono semplicemente “incassare e scappare”. Ciò risponde a un principio di equità: la responsabilità limitata non deve trasformarsi in uno schermo per evadere. Come ha osservato un commentatore, la responsabilità limitata dei soci somiglia sempre più a un “colabrodo” pieno di eccezioni quando si tratta di debiti fiscali.
Dal punto di vista pratico, un ex socio o liquidatore ben consigliato agirà in trasparenza e, se riceve un avviso o una cartella post-chiusura, non esiterà a interpellare professionisti (avvocato tributarista, commercialista) per valutare il da farsi. Ogni caso concreto può presentare peculiarità (ad esempio, questioni di competenza territoriale della Commissione, contestazioni sull’indirizzo di notifica, ecc.), ma i principi cardine rimangono quelli esposti qui.
In definitiva, di fronte a un avviso di accertamento a società estinta, cosa fare? Non ignorarlo. Verificare i tempi (cancellazione e notifica), coinvolgere gli ex rappresentanti, impugnare se necessario, e prepararsi a discutere davanti al giudice tributario la fondatezza del tributo e l’eventuale propria limitata responsabilità. Solo un’azione tempestiva permette al contribuente (sia esso società fittiziamente viva, socio o liquidatore) di far valere i propri diritti e di non subire passivamente pretese forse indebite o eccessive.
Fonti e Riferimenti
- Codice Civile, art. 2495 (Cancellazione della società e successione nei debiti)
- D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175, art. 28, comma 4 (c.d. sopravvivenza fiscale quinquennale delle società estinte)
- DPR 29 settembre 1973, n. 602, art. 36 (Responsabilità di liquidatori e soci per il pagamento delle imposte sociali)
- D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 11 (Reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte)
- Cassazione Civile, Sez. Unite, 12 marzo 2013, n. 6070 – Estinzione immediata della società cancellata e successione dei soci nei debiti sociali
- Cassazione Civile, Sez. Unite, 12 febbraio 2025, n. 3625 – Responsabilità dei soci di società estinta; necessità di accertamento ad hoc e prova del riparto ai fini della pretesa tributaria
- Cassazione Civile, Sez. Trib., 23 settembre 2024, n. 25415 – Ex liquidatore privo di legittimazione a impugnare accertamento post-cancellazione (cancellazione ante 2014); irretroattività dell’art. 28 D.Lgs. 175/2014
- Cassazione Civile, Sez. Trib., 29 agosto 2024, n. 23341 (ord.) – Successione dei soci e debiti tributari: affermata responsabilità degli ex soci anche per sanzioni tributarie della società estinta (overruling precedente)
- Cassazione Civile, Sez. Trib., 7 aprile 2017, n. 9094 – Chiarisce che i soci succedono nei debiti sociali indipendentemente dalla percezione di somme (successione ex lege, limite del percepito non incide su legittimità della notifica al socio)
- Cassazione Civile, Sez. Trib., 21 marzo 2023, n. 8156 – (Richiamata da dottrina) Conferma responsabilità soci anche per sanzioni, superando analogia con eredi (in linea col revirement)
- Cassazione Civile, Sez. Trib., 5 aprile 2023, n. 9368 – (Simile a sopra, consolidamento giurisprudenziale su soci e sanzioni)
- Cassazione Civile, Sez. Trib., 20 gennaio 2022, n. 1689 – Caso di fallimento post-cancellazione: principio di successione dei soci (anche senza riparto) salvo intervento del curatore fallimentare entro anno
- Cassazione Civile, Sez. Trib., 13 gennaio 2023, n. 923 – Nullità di avviso a società estinta non rilevabile d’ufficio (vizio relativo) se non eccepita (indicazione procedurale)
- Cassazione Penale, Sez. III, 4 novembre 2020 (ud. 1 ott. 2020), n. 30723 – Reato di sottrazione fraudolenta ex art.11: per il socio/amministratore di società estinta va provata la sua qualità di debitore verso il Fisco e l’idoneità dell’atto a pregiudicare la riscossione
- Cassazione Penale, Sez. III, 17 luglio 2019 (dep. 20 mag. 2020), n. 14740 – (Esempio di condanna per art.11 con distrazione beni prima di chiusura società, non citata sopra ma rilevante in tema)
- Corte Costituzionale 10 marzo 2022, n. 67 – (Ha dichiarato infondate questioni su retroattività art. 28 D.Lgs 175/2014 sollevate da commissioni trib., confermando natura sostanziale)
- Circolare Agenzia Entrate n. 31/E del 30 dicembre 2014 – (Primi chiarimenti sull’art.28 D.Lgs 175/2014: società estinte considerate ancora in vita per 5 anni ai fini fiscali)
Hai ricevuto un avviso di accertamento a nome di una società già estinta? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Se l’Agenzia delle Entrate ha notificato un avviso di accertamento intestato a una società ormai estinta, potresti non essere tenuto a rispondere.
Ma la questione è delicata: in certi casi, il Fisco tenta comunque di coinvolgere gli ex soci o amministratori.
Conoscere i limiti della responsabilità è essenziale per evitare di pagare ciò che non è dovuto.
Quando si parla di “società estinta”?
Una società si considera estinta quando è stata:
- 🗓️ Cancellata dal Registro delle Imprese
- 📑 Completamente liquidata (o anche solo formalmente)
- 🛑 Cessata a seguito di fusione o incorporazione
- 🧾 Non più operativa, senza patrimonio residuo
Da quel momento, non può più essere destinataria di atti giuridici. Ma l’Agenzia può ugualmente notificare un accertamento, tentando di colpire i soggetti che ne facevano parte.
A chi può essere notificato l’atto?
Anche se intestato alla società estinta, l’avviso può essere “indirizzato”:
- 👤 Agli ex soci, per somme ricevute in sede di liquidazione (fino a concorrenza)
- 👨💼 Agli ex amministratori, in caso di illeciti o violazioni gestionali
- 🛡️ Agli garanti o coobbligati eventualmente rimasti legati alla posizione fiscale
Ma non sempre la pretesa è fondata. E ci sono precisi limiti temporali e giuridici da far valere.
È possibile difendersi? Sì, ecco come
Puoi contestare l’atto se:
- ⛔ La società era già estinta prima della notifica
- 📅 L’accertamento è stato emesso oltre i termini previsti dalla legge
- 🧾 Non hai ricevuto alcuna somma dalla liquidazione (e quindi nessuna responsabilità fiscale)
- ⚠️ L’Agenzia non ha indicato le ragioni concrete della responsabilità personale
- 📝 L’atto presenta vizi formali o è privo di motivazione individualizzata
Cosa fare subito se ricevi l’avviso
- 📂 Conserva e analizza attentamente l’atto ricevuto
- 🔍 Verifica la data della cancellazione della società
- 📑 Accerta se hai ricevuto beni o somme dalla liquidazione
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🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e responsabilità post-estinzione
✔️ Difensore in procedimenti per accertamenti a società estinte e soci
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per ex amministratori, professionisti, liquidatori e PMI
Conclusione
Ricevere un accertamento intestato a una società che non esiste più non significa doverlo subire. Se difendi correttamente la tua posizione, puoi farlo annullare.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi contestare la richiesta dell’Agenzia e tutelarti da responsabilità improprie.
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