Hai ricevuto un accertamento fiscale dall’Agenzia delle Entrate come frontaliere titolare di una Sagl o SA in Svizzera e ti stai chiedendo cosa vogliono controllare, quali sono i rischi concreti e come puoi difenderti efficacemente? Temi che ti stiano attribuendo redditi esteri non dichiarati o una stabile organizzazione in Italia?
Negli ultimi anni, i controlli fiscali sui frontalieri imprenditori sono aumentati in modo significativo. L’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza sospettano spesso che la società svizzera sia solo formalmente all’estero, ma operi in realtà sotto il controllo e la direzione effettiva dall’Italia. Questo può portare a pesanti contestazioni fiscali, sanzioni e accertamenti induttivi.
Perché l’Agenzia delle Entrate controlla i frontalieri titolari di Sagl o SA?
– Per verificare se la società è realmente residente in Svizzera o se si tratta di una esterovestizione
– Per controllare se hai percepito utili non dichiarati in Italia o redditi da lavoro amministrativo
– Per capire se esiste una stabile organizzazione in Italia, con sede effettiva o attività operative sul territorio
– Per recuperare imposte su compensi, utili, ricavi o redditi fittiziamente spostati oltreconfine
Cosa ti può contestare il Fisco italiano?
– Esterovestizione della società, se la direzione effettiva è in Italia
– Redditi da lavoro autonomo o d’impresa non dichiarati
– Distribuzioni occulte di utili da qualificare come reddito personale
– Omissione del quadro RW per gli asset detenuti all’estero
– Omessa o infedele dichiarazione dei redditi con sanzioni pesanti
Come difendersi da un accertamento da frontaliero con Sagl o SA?
– Dimostrare che la società ha sede, struttura, contabilità e operatività reali in Svizzera
– Documentare che le decisioni vengono prese in territorio svizzero, e non dall’Italia
– Mostrare che i compensi sono dichiarati regolarmente, secondo le regole fiscali italiane e internazionali
– Contestare ogni presunzione non fondata, specialmente se l’attività non ha rapporti economici stabili in Italia
– Se la società ha lavoratori, uffici, fornitori o clienti in Italia, verificare se c’è davvero una stabile organizzazione
Cosa può succedere se non reagisci all’accertamento?
– L’Agenzia può emettere un avviso di accertamento con maggiore imposta, sanzioni e interessi
– Se non presenti ricorso, l’atto diventa definitivo
– Potresti essere considerato evasore internazionale e subire pignoramenti, indagini patrimoniali o segnalazioni penali
Cosa NON devi fare mai?
– Ignorare le richieste di documenti: il silenzio rafforza la posizione del Fisco
– Confondere la residenza tua con quella della società: il controllo è doppio e distinto
– Pensare che “basta avere una sede in Svizzera” per stare tranquillo: conta chi decide e da dove
– Firmare verbali o accettare sanzioni senza aver fatto una verifica tecnica e fiscale completa
Se sei un frontaliere titolare di una società in Svizzera, sei soggetto a controlli incrociati e ad accertamenti fiscali molto delicati. Ma puoi difenderti, se hai i documenti giusti e una strategia solida.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità internazionale, frontalieri e difesa da accertamenti su società estere – ti spiega cosa verifica l’Agenzia delle Entrate, quali sono i principali rischi e come opporsi efficacemente a un accertamento su Sagl o SA svizzera.
Hai ricevuto un accertamento come frontaliere con società in Svizzera?
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Introduzione
Il contesto attuale: Dalla fine del 2023, le autorità fiscali italiane – in coordinamento tra Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate – hanno avviato un’intensa campagna di controlli verso i lavoratori frontalieri residenti in Italia che operano in Svizzera come titolari (soci e spesso amministratori) di Sagl (Società a garanzia limitata) o SA (Società Anonime). Si tratta di persone che, pur vivendo in Italia nelle zone di confine, svolgono l’attività lavorativa in Svizzera tramite società di cui detengono partecipazioni qualificate (in molti casi società di piccole dimensioni con ristretta base sociale). In genere questi contribuenti hanno formalmente un rapporto di lavoro dipendente con la società elvetica di cui sono soci. Finora essi hanno beneficiato della fiscalità agevolata dei lavoratori frontalieri, in virtù della quale il reddito da lavoro dipendente prestato in Svizzera veniva tassato esclusivamente in Svizzera (specie per i cosiddetti “vecchi frontalieri” domiciliati entro 20 km dal confine) e risultava esente o parzialmente esente in Italia. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate contesta ora la legittimità di tale trattamento fiscale, sostenendo che in casi del genere manchi un effettivo vincolo di subordinazione tra il lavoratore e la società svizzera (dato che il lavoratore è anche proprietario/gestore della società stessa).
La tesi del Fisco italiano: Secondo questa impostazione, il rapporto di lavoro subordinato sarebbe fittizio, configurato al solo scopo di ottenere indebiti vantaggi tributari. In altre parole, «nessuno può essere sottoposto a se stesso»: un socio che controlla la propria società non può essere considerato un vero dipendente della medesima. Di conseguenza, l’Italia tende a negare a tali contribuenti lo status fiscale di frontaliere, revocando le agevolazioni previste e riqualificando il reddito percepito in Svizzera come reddito da lavoro autonomo o assimilato (ad esempio, come compenso da amministratore). Questa riqualificazione comporta che non si applichi più l’Accordo bilaterale del 1974 sui lavoratori frontalieri, bensì le ordinarie norme della Convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Svizzera e, di conseguenza, anche le disposizioni interne italiane di tassazione ordinaria (IRPEF progressiva, addizionali, etc.). In pratica, cambia sia lo Stato di imposizione dei redditi (che da esclusivamente svizzero diventa anche italiano) sia la modalità di tassazione, che passa dal regime agevolato frontalieri all’ordinaria tassazione italiana ben più onerosa.
Le possibili conseguenze: L’impatto per i contribuenti interessati è notevole. L’Italia, esercitando il proprio preteso diritto impositivo, recupera a tassazione in Italia i redditi degli ultimi anni (solitamente gli ultimi 5 anni, in linea col termine di accertamento) applicando aliquote IRPEF ordinarie sulle somme percepite in Svizzera, al netto di eventuali crediti per le imposte pagate oltreconfine. Ciò significa che redditi finora imponibili solo in Svizzera a tassazione moderata verrebbero ora assoggettati anche all’imposizione italiana, con carico fiscale ben maggiore. Inoltre, l’Agenzia delle Entrate pretende il pagamento di sanzioni e interessi per le annualità pregresse. Le sanzioni amministrative in caso di omessa o infedele dichiarazione di redditi esteri possono arrivare al 90%–180% dell’imposta evasa per ciascun anno (ai sensi del D.Lgs. 471/1997), salvo riduzioni in caso di definizione agevolata. In aggiunta, se l’ammontare dell’imposta evasa supera determinate soglie penali, il contribuente rischia anche profili di responsabilità penale tributaria (si pensi al reato di omessa o infedele dichiarazione ex D.Lgs. 74/2000, che scatta ad esempio se l’imposta evasa supera €100.000 in un periodo d’imposta). In poche parole, questi accertamenti possono comportare per i frontalieri interessati un brusco risveglio fiscale, con richieste di decine o centinaia di migliaia di euro di imposte arretrate e sanzioni.
Obiettivo della guida: In questo scenario complesso e in evoluzione, la presente guida – rivolta a professionisti, imprenditori e contribuenti frontalieri, con taglio divulgativo ma giuridicamente accurato – fornirà un’analisi dettagliata degli aspetti normativi e pratici della vicenda. Verranno esaminati il quadro normativo di riferimento (italiano e internazionale), le posizioni delle autorità italiane e svizzere, le possibili violazioni degli accordi bilaterali e i profili di doppia imposizione. Si illustreranno inoltre i rimedi e le strategie difensive a disposizione del contribuente (dal ravvedimento operoso agli strumenti deflativi del contenzioso e al ricorso in Commissione tributaria, ora Corte di Giustizia Tributaria), con esempi pratici, tabelle riepilogative e una sezione di domande e risposte frequenti. L’obiettivo è far luce su “cosa fare” dal punto di vista del contribuente (debitore) soggetto a tali accertamenti: come valutare la propria posizione, come interagire con il Fisco e, se del caso, come tutelare i propri diritti evitando il più possibile conseguenze dannose.
Chi sono i frontalieri titolari di Sagl e SA in Svizzera
Per inquadrare il fenomeno, definiamo innanzitutto i soggetti coinvolti.
- Lavoratore frontaliere: in generale, è considerato lavoratore frontaliere il residente in Italia che si reca quotidianamente oltre confine per svolgere un’attività di lavoro dipendente in uno Stato limitrofo (ad esempio in Svizzera), rientrando poi quotidianamente al proprio domicilio in Italia. La normativa italiana richiede tre requisiti: (1) residenza in un comune di confine (o comunque una zona prevista dagli accordi), (2) impiego lavorativo continuativo e principale nello Stato estero confinante, (3) rientro giornaliero in Italia. In virtù di convenzioni bilaterali e disposizioni interne, i frontalieri godono di agevolazioni fiscali, essenzialmente volte ad evitare una doppia imposizione integrale sui redditi di lavoro transfrontalieri. Nel contesto italo-svizzero storico, ciò significava che il reddito da lavoro dipendente svolto in Svizzera da un frontaliere veniva tassato in via esclusiva in Svizzera (per i frontalieri “di fascia” entro 20 km dal confine) oppure con una forte agevolazione in Italia (franchigia) per quelli oltre la fascia di confine. Approfondiremo tali regimi nel paragrafo successivo.
- Sagl e SA (società svizzere): la SAGL – Società a Garanzia Limitata – è una delle forme societarie più diffuse in Svizzera, corrispondente grosso modo alla società a responsabilità limitata italiana. La SA – Società Anonima – è equiparabile alla nostra società per azioni. In Canton Ticino (un cantone italofono della Svizzera), molte piccole e medie imprese assumono la veste di Sagl. Spesso, per esigenze legali locali, l’imprenditore che vuole operare in alcuni settori in Svizzera deve costituire una società ed esserne socio (ad esempio, per l’esercizio di alcune professioni ordinistiche o attività artigianali è richiesta l’iscrizione a registri tramite una società locale). Di frequente, nelle Sagl ticinesi costituite da italiani frontalieri, la proprietà è ristretta: il frontaliere stesso può essere socio unico o di maggioranza. Per ottemperare alle norme svizzere che richiedono la presenza di un amministratore residente in Svizzera, spesso tali società nominano come amministratore formale un fiduciario svizzero esterno, mentre il frontaliere svolge sostanzialmente l’attività operativa principale. Questo assetto – il frontaliere come socio e lavoratore della propria Sagl, con un fiduciario quale amministratore locale – è una prassi consolidata da anni nel Canton Ticino. In Svizzera ciò è perfettamente legale: il Tribunale Federale svizzero considera tali soggetti come veri lavoratori dipendenti delle proprie società, assoggettati alla relativa imposizione alla fonte come qualunque altro dipendente. Anche ai fini previdenziali svizzeri, il socio-lavoratore versa i contributi come dipendente della Sagl. In sostanza, dal punto di vista svizzero nulla osta ad essere contemporaneamente socio e lavoratore subordinato della propria società.
- Il “frontaliero titolare di Sagl/SA”: unendo le due figure precedenti, il soggetto al centro delle recenti verifiche è colui che, residente in Italia (in genere in area di confine) e con status di frontaliere, detiene una partecipazione (qualificata) in una società di diritto svizzero (Sagl o SA) e svolge attività lavorativa presso tale società con un formale contratto di lavoro dipendente. Tipicamente, come detto, la sua Sagl opera in Canton Ticino (o in altri Cantoni confinanti come Grigioni o Vallese) e lui rientra a casa ogni sera in Italia. Finché vigeva il regime agevolato frontalieri, il suo stipendio dalla Sagl veniva tassato dalla Svizzera (con aliquote generalmente modeste e ritenuta alla fonte) e, se rispettava i requisiti di frontaliere fiscale italiano, non veniva ulteriormente tassato in Italia (se residente in comuni entro 20 km) ovvero veniva tassato solo parzialmente (se residente oltre la fascia, godeva di una franchigia di importo fisso sul reddito). Inoltre, in Italia tali soggetti avevano l’obbligo di monitoraggio fiscale (dichiarare nel quadro RW della dichiarazione annuale la partecipazione detenuta nella società estera e gli eventuali investimenti esteri, come conti bancari svizzeri della società o personali) – obbligo spesso trascurato, con il rischio di sanzioni separatamente previste per l’omessa compilazione del quadro RW (dal 3% al 15% degli importi non dichiarati, raddoppiate in caso di attività in Paesi black-list).
In sintesi, i frontalieri titolari di Sagl/SA sono piccoli imprenditori o professionisti italiani di confine che hanno “internalizzato” la propria attività in Svizzera costituendo una società locale e facendosi assumere dalla stessa. Lo scopo di tale struttura non è necessariamente illecito: spesso era l’unico modo per poter lavorare stabilmente oltreconfine rispettando le norme svizzere. Naturalmente, era anche fiscalmente conveniente: sfruttando il trattamento dei frontalieri, l’utile d’impresa veniva distribuito sotto forma di stipendio tassato prevalentemente in Svizzera, evitando tassazione piena in Italia. In alcuni casi, i soci-lavoratori rinunciavano a percepire separati compensi come amministratori o dividendi, proprio per non incorrere in ritenute o imposte più gravose (ad esempio in Svizzera i compensi agli amministratori di società estere sono soggetti a ritenuta d’imposta del 30% circa, che i soci frontaliers preferivano evitare). Finché le regole bilaterali lo consentivano, questa situazione portava a un carico fiscale complessivo molto ridotto: spesso solo un’imposta alla fonte in Ticino con aliquota effettiva bassa (in taluni casi poche migliaia di franchi, a fronte di stipendi consistenti) e nessuna imposta sul reddito in Italia. È proprio questa “anomalia” fiscale che ha attirato l’attenzione del Fisco italiano, dando origine agli accertamenti recenti.
Il regime fiscale dei frontalieri Italia–Svizzera: vecchio accordo e nuovo accordo
Per comprendere le contestazioni, occorre illustrare come funziona (e come è cambiato di recente) il regime fiscale dei lavoratori frontalieri tra Italia e Svizzera. La materia è disciplinata da fonti internazionali bilaterali e da disposizioni di diritto interno italiano.
L’Accordo del 1974 e il trattamento dei “vecchi frontalieri”
Fino al 2023, i rapporti fiscali in tema di frontalieri con la Svizzera erano regolati principalmente da:
- la Convenzione tra Italia e Svizzera contro le doppie imposizioni del 1976 (ratificata con L. 943/1978), in particolare l’art. 15 sul reddito da lavoro dipendente;
- un Accordo specifico sui lavoratori frontalieri concluso il 3 ottobre 1974 tra i due Stati (ratificato con L. 386/1975);
- le relative disposizioni interne di attuazione ed interpretazione (in Italia, ad esempio, l’art. 1 comma 175 L. 147/2013 e s.m., e alcune circolari/risoluzioni interpretative come la Risoluzione AE n. 38/E del 28.03.2017).
In estrema sintesi, il regime previgente distingueva due categorie di frontalieri italiani in Svizzera:
- Frontalieri “di fascia” (vecchi frontalieri): residenti in Italia in Comuni situati entro 20 km dal confine con i Cantoni dei Grigioni, Ticino e Vallese, che si recavano in Svizzera per un lavoro dipendente in via esclusiva e continuativa (con rientro giornaliero). Per costoro, in base all’Accordo del 1974, il reddito da lavoro dipendente era imponibile esclusivamente in Svizzera. In pratica il frontaliere pagava solo le imposte alla fonte svizzere sullo stipendio, mentre l’Italia rinunciava a tassare quel reddito (pur ricevendo dalla Svizzera una compensazione finanziaria, i cosiddetti “ristorni” pari a una quota – il 40% – delle imposte alla fonte pagate dal frontalierie in Svizzera, che la Svizzera trasferiva all’Italia per finanziare i comuni di confine). Questo regime di esclusiva imposizione nello Stato di lavoro costituiva una deroga al principio generale delle convenzioni, ma era giustificato dalle particolari condizioni socio-economiche delle aree di confine ed era limitato ai soli lavoratori italiani in Svizzera (non reciproco). Chi rientra in questa categoria viene spesso definito anche “vecchio frontaliere”, termine utilizzato oggi soprattutto in contrapposizione al nuovo accordo del 2020.
- Frontalieri fuori fascia: i lavoratori residenti in Italia al di fuori della fascia dei 20 km (ovvero in Comuni più lontani dal confine) che tuttavia svolgevano attività dipendente in Svizzera con rientro frequente. Per costoro, l’Accordo del 1974 non riconosceva l’esclusiva imposizione svizzera; si applicava quindi la regola generale dell’art. 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni: il reddito di lavoro dipendente è tassato sia nello Stato in cui è svolto il lavoro (con ritenuta alla fonte in Svizzera) sia nello Stato di residenza (Italia) con riconoscimento del credito d’imposta per le imposte estere pagate. Tuttavia, il legislatore italiano ha previsto un’agevolazione interna: a partire dal 2014, una franchigia sui redditi da lavoro frontaliero, inizialmente di €7.500 annui (innalzata poi negli anni successivi). In pratica, fino a €7.500 (poi divenuti €10.000) di reddito frontaliero non venivano tassati in Italia, e solo l’eccedenza era assoggettata all’IRPEF italiana (con facoltà di detrarre il credito per l’imposta già trattenuta in Svizzera). Questo regime “ibrido” faceva sì che anche per i frontalieri fuori fascia il carico fiscale italiano fosse attenuato (in molti casi l’imposta svizzera, seppur dovuta, era modesta e grazie alla franchigia e alle aliquote italiane poteva addirittura azzerare l’IRPEF dovuta in Italia, specie su redditi medio-bassi). Va notato che per i frontalieri fuori fascia la Svizzera non versava ristorni all’Italia, in quanto formalmente non rientravano nell’Accordo speciale del 1974.
In entrambi i casi, il sistema mirava ad evitare doppie imposizioni integrali: o mediante esenzione completa in Italia (frontalieri di fascia) oppure mediante tassazione concorrente con esenzione parziale/franchigia e credito (frontalieri fuori fascia). Il risultato pratico era che nessun frontaliere italiano pagava il pieno carico fiscale italiano sul reddito di lavoro estero: o non pagava nulla (se frontaliere di fascia) oppure pagava qualcosa di limitato grazie alla franchigia e al credito.
Dal punto di vista dei due Stati, l’accordo del 1974 era sbilanciato a favore dei frontalieri italiani: solo la Svizzera tassava integralmente i vecchi frontalieri (pur dovendo cedere il 40% del gettito all’Italia) e l’Italia beneficiava di quell’indennizzo senza tassare direttamente. Non vi era reciprocità, poiché l’accordo del 1974 riguardava principalmente i lavoratori italiani in Svizzera (i frontalieri svizzeri in Italia erano numericamente irrilevanti e non oggetto di misure simili). Nel tempo, l’Italia ha mostrato crescente interesse a modificare questo regime per aumentare il proprio gettito fiscale su tali redditi, soprattutto alla luce degli alti differenziali di gettito. Basti pensare che un frontaliere con reddito medio-alto poteva versare in Svizzera un’aliquota effettiva del 5-10% e nulla in Italia, laddove un lavoratore equivalente in Italia pagherebbe aliquote IRPEF progressive fino al 43% oltre alle addizionali: una disparità fiscale notevole, ritenuta da molti lesiva del principio di equità orizzontale e potenzialmente distorsiva del mercato del lavoro di confine.
Il nuovo Accordo del 2020 (in vigore dal 2024) e la reciprocità
Dopo lunghe trattative, il 23 dicembre 2020 Italia e Svizzera hanno firmato un nuovo Accordo sull’imposizione dei lavoratori frontalieri, con un Protocollo aggiuntivo. Tale accordo, ratificato da entrambi i Parlamenti (per l’Italia, L. 19 maggio 2023 n. 83), è entrato in vigore il 17 luglio 2023, ma le sue disposizioni fiscali trovano applicazione dal 1° gennaio 2024. La principale caratteristica del nuovo regime è la reciprocità: a differenza del 1974, il trattamento fiscale dei frontalieri ora vale in modo analogo per i lavoratori di entrambi gli Stati e stabilisce una ripartizione dell’imposizione tra Stato di lavoro e Stato di residenza. In altri termini, non vi è più l’esenzione totale in Italia per i frontalieri italiani; anche i nuovi frontalieri saranno tassati in parte in Italia. L’accordo 2020 mira infatti a eliminare la doppia non imposizione o sotto-imposizione e a “blindare” il gettito italiano sui redditi dei residenti italiani, pur riconoscendo un ruolo impositivo anche allo Stato estero (Svizzera), ma con meccanismi di alleggerimento.
Le linee essenziali del nuovo regime (per grandi linee, semplificando quanto previsto nell’Accordo e nei documenti attuativi come il D.M. 7 dicembre 2021 e successivi) sono:
- Definizione di frontaliere fiscale “nuovo”: resta la nozione di chi risiede in un comune entro 20 km dal confine e si reca giornalmente in Svizzera con permesso di frontaliere (permesso G) per lavoro dipendente. Chi soddisfa questi requisiti dopo l’entrata in vigore dell’accordo è un “nuovo frontaliere fiscale”. Per costui: il reddito da lavoro dipendente è imponibile in entrambi gli Stati (Italia e Svizzera). La Svizzera continua ad applicare una ritenuta alla fonte sul salario, ma ad un’aliquota agevolata (è prevista una riduzione forfetaria del 20% sull’imposta alla fonte svizzera dovuta, secondo l’accordo), così da lasciare spazio impositivo all’Italia. L’Italia dal canto suo tassa il reddito secondo le proprie aliquote IRPEF, ma concede il credito d’imposta per le imposte pagate in Svizzera e, in aggiunta, prevede internamente una franchigia di €10.000 sul reddito (innalzata rispetto ai 7.500 previgenti). Dunque, i primi €10.000 rimangono esenti in Italia, sul resto si paga IRPEF ma detrando la quota d’imposta già versata in Svizzera. In sostanza il nuovo frontaliere paga entrambe le casse, ma ha comunque un sollievo fiscale rispetto a una piena doppia imposizione: la Svizzera tassa con sconto 20%, l’Italia esenta €10.000 e riconosce credito per evitare doppia imposizione sul resto. Resta inoltre confermato un meccanismo di scambio automatico di informazioni tra i due Paesi per monitorare tali redditi.
- Vecchi frontalieri in regime transitorio: l’accordo 2020 prevede un lungo periodo transitorio (fino al 2033) durante il quale i lavoratori già frontalieri al 31/12/2018 (o comunque attivi prima dell’entrata in vigore e in possesso dei requisiti definiti) mantengono il vecchio regime fino al termine dell’attività lavorativa in corso. In pratica, chi era già frontaliere in Ticino e residente in un comune di fascia prima della firma del nuovo accordo è considerato “vecchio frontaliere fiscale” e continua ad essere tassato esclusivamente in Svizzera come in passato (imposta alla fonte ordinaria svizzera, con ristorno del 40% all’Italia). Questa tutela è condizionata al mantenimento dello status: ad esempio, il lavoratore deve continuare a risiedere in comuni di confine (elenco 1A) e a fare rientro giornaliero. Se cambia residenza o interrompe l’attività, perde il diritto al vecchio regime. Comunque, fino a fine 2033 l’Italia si impegna a non tassare i redditi dei vecchi frontalieri e a non scambiare informazioni su di essi (salvo ovviamente che emergano situazioni abusive). Il mantenimento del vecchio regime evita uno shock fiscale immediato per migliaia di famiglie di confine e rappresenta il frutto di un compromesso politico: il nuovo regime si applicherà gradualmente man mano che la vecchia generazione di frontalieri esce dal mercato del lavoro.
- Altri lavoratori transfrontalieri fuori definizione di accordo: l’accordo 2020 definisce in modo tassativo chi sono i frontalieri beneficiari. Chi non rientra (ad es. residenti oltre 20 km, oppure frontalieri “settimanali” che non rientrano ogni giorno) viene trattato secondo le regole ordinarie della Convenzione (doppia tassazione con credito). In pratica per costoro nulla cambia se non l’innalzamento della franchigia italiana a €10.000 dal 2024 (estesa a tutti i redditi frontalieri tassati anche in Italia). Ad esempio, un residente a Milano che lavora in Svizzera era e rimane fuori dall’accordo speciale: paga le imposte in Svizzera e in Italia (con credito e franchigia interna). Il nuovo accordo estende la franchigia di €10.000 a tutte le situazioni di doppia imposizione di redditi frontalieri.
Riepilogo in tabella – Tassazione dei redditi da lavoro frontaliero Italia–Svizzera:
Tipologia | Residenza fiscale | Tassazione in Svizzera | Tassazione in Italia | Note |
---|---|---|---|---|
Vecchio frontaliere (transitorio fino 2033) | Comune in fascia 20 km, attività iniziata prima del 2024 (requisiti Accordo 1974) | Imposta alla fonte svizzera ordinaria (aliquote Cantonali, es. ~source tax 6-10%). 40% di tali imposte riversato all’Italia (ristorni) | Esente da IRPEF in Italia (reddito non tassato). Nessuno scambio automatico info. | Mantiene regime finché continuano requisiti. |
Nuovo frontaliere (dal 2024) | Comune entro 20 km, frontaliere dopo 2023 | Imposta alla fonte con riduzione 20% (es. se aliquota ordinaria 10%, si applica 8%). | Tassazione IRPEF ordinaria italiana sul reddito, ma con franchigia €10.000 e credito per imposte pagate in CH. Scambio automatico di informazioni. | Regime reciproco: anche frontalieri svizzeri in Italia tassati analogamente. |
Lavoratore oltre fascia o settimanale (non coperto da accordo) | Residenza oltre 20 km oppure rientro non giornaliero | Imposta alla fonte svizzera ordinaria (no riduzione). | Tassazione IRPEF ordinaria in Italia con franchigia €10.000 dal 2024 (prima €7.500) + credito per imposta estera. | Era la situazione “fuori fascia” anche ante 2024 (franchigia minore). |
Nota: le aliquote indicate per la Svizzera sono indicative e variano per Cantone e importo di reddito. Ad esempio, in Canton Ticino l’aliquota alla fonte per frontalieri sui redditi medi può aggirarsi intorno al 6-10%. L’Italia ha aliquote IRPEF progressive dal 23% al 43% e addizionali locali ~2%. La franchigia è un abbattimento sul reddito imponibile in Italia (non un credito). Il credito d’imposta spetta fino a concorrenza dell’imposta italiana relativa al reddito estero (art. 165 TUIR).
Rilievi sull’accordo e implicazioni per i soci di Sagl
Il nuovo Accordo 2020 è pensato per evitare disparità e doppie imposizioni sui redditi da lavoro dipendente, definendo meglio chi è frontaliere fiscale e assicurando che entrambi gli Stati partecipino al prelievo senza sovrapporsi. Esso peraltro non affronta esplicitamente il caso dei frontalieri “sui generis” come i titolari di Sagl: cioè individui che formalmente sono lavoratori dipendenti ma di società da loro controllate. In teoria, se tali individui soddisfano i requisiti formali (permesso G, residenza in zona di confine, rientro giornaliero ecc.), essi rientrerebbero nella definizione di frontaliere. Il nuovo accordo non dice che il frontaliere non possa essere socio del datore di lavoro; lascia però impregiudicata l’applicazione delle normative interne anti-abuso o di qualificazione del reddito. Ciò significa che anche col nuovo accordo in vigore, spetta alla normativa interna di ciascun paese stabilire se il reddito percepito sia effettivamente da qualificare come “stipendio da lavoro dipendente” oppure se vada riqualificato (ad esempio come reddito da partecipazione, da attività autonomo/professionale, ecc.). Non a caso, il punto in contestazione oggi è proprio questo: l’Italia ritiene che quel reddito non abbia natura di lavoro dipendente in base alle proprie leggi, e dunque, venendo meno i requisiti, non applicherebbe le regole dei frontalieri (né vecchie né nuove). In altri termini l’Italia sostiene: “tu socio-lavoratore non sei un vero lavoratore dipendente ai sensi delle norme italiane, perciò non puoi beneficiare del regime fiscale riservato ai lavoratori frontalieri”. Questa posizione sta generando un conflitto applicativo: i vecchi frontalieri titolari di Sagl si vedono negare dall’Italia un regime di esenzione che, secondo gli accordi internazionali, sarebbe tuttora previsto per loro fino al 2033. Dal lato svizzero, come già evidenziato, essi continuano ad essere considerati dipendenti a tutti gli effetti (anche ai fini del nuovo accordo – ad esempio, un titolare di Sagl che rientra nei requisiti formali verrebbe considerato un “vecchio frontaliere” fino al 2033, se già attivo prima, oppure un “nuovo frontaliere” dal 2024 se attività iniziata dopo). L’Italia invece, unilateralmente, li tratta come se non fossero frontalieri (in quanto non veri dipendenti). Questa discrasia è il cuore del problema e comporta rischio di doppia imposizione: la Svizzera tassa come lavoro dipendente (e non rimborserà certo le imposte riscosse), l’Italia ora tassa nuovamente come se fosse altro reddito, senza riconoscere l’esenzione pattuita. In mancanza di coordinamento tra le autorità, il contribuente rischia di subire un’imposizione duplicata di gran lunga superiore a quella che i trattati intendono permettere – come vedremo, una situazione che potrebbe richiedere l’attivazione di procedure amichevoli tra Stati (Mutual Agreement Procedure, MAP) per essere risolta.
In sintesi, fino al 2023 i frontalieri soci di Sagl hanno sfruttato il regime del vecchio accordo (se rientranti in esso), ma d’ora in poi anche il nuovo accordo – se applicato – comunque non li lascerebbe esenti: i nuovi frontalieri pagano in Italia. Paradossalmente, chi fosse un nuovo frontaliere socio di Sagl dal 2024 probabilmente non avrà convenienza a strutturare lo stipendio come faceva prima, poiché dovrà pagare IRPEF sul reddito e quindi l’arbitraggio fiscale viene meno. I controlli attuali, però, riguardano perlopiù gli anni passati (2018-2022) e colpiscono proprio coloro che erano nel regime pre-2024 di esenzione totale. La scelta del Fisco italiano di agire a fine 2023 non è casuale: con il nuovo accordo alle porte, l’Italia ha voluto sanare quella che reputa un’anomalia pregressa e, al contempo, inviare un segnale per il futuro – scoraggiando l’utilizzo di veicoli societari per abbattere il carico fiscale. Come evidenziato anche dalla stampa svizzera, dal 2023 Roma ha adottato varie iniziative unilaterali per ridurre l’attrattività fiscale del lavoro in Svizzera (nuovo regime IRPEF per frontalieri, progetto di “tassa sulla salute” per i vecchi frontalieri, restrizioni al telelavoro consentito) con l’obiettivo dichiarato di trattenere forza lavoro in Lombardia e Piemonte. La stretta sui frontalieri-Sagl s’inserisce in questo contesto politico-fiscale teso, dove l’Italia mira a blindare il proprio gettito tributario sui redditi transnazionali dei propri residenti.
Nei capitoli successivi vedremo i dettagli delle verifiche fiscali in corso e cosa contesta l’Agenzia delle Entrate, i profili giuridici (norme italiane invocate, possibili violazioni degli accordi) e infine i rimedi pratici per i contribuenti.
Le verifiche fiscali dell’Agenzia delle Entrate dal 2023
Come anticipato, la Guardia di Finanza (GdF) ha avviato dall’autunno 2023 una serie di controlli mirati nei confronti di contribuenti residenti in provincia di Como e Varese (zone di confine con il Canton Ticino) che risultavano contemporaneamente lavoratori frontalieri dipendenti di società svizzere e detentori di quote di maggioranza delle medesime società. L’operazione – inizialmente condotta dalla Compagnia GdF di Olgiate Comasco (CO) – è poi proseguita in collaborazione con l’Agenzia delle Entrate competente (ad es. l’ufficio di Como) per l’emanazione degli atti di accertamento. Si stima che i primi controlli abbiano riguardato circa 20 contribuenti frontalieri-soci, ma il numero potenziale di casi analoghi potrebbe essere nell’ordine delle migliaia solo in Canton Ticino, considerando quanti lavoratori frontalieri italiani sono soci di piccole Sagl artigianali o di servizi.
L’ipotesi di evasione contestata
Dai Processi Verbali di Constatazione (PVC) redatti dalla Guardia di Finanza emerge la tesi accusatoria: i verificatori ritengono che la costituzione delle Sagl da parte di questi contribuenti sia un’operazione meramente artificiosa, volta ad aggirare la corretta tassazione. In particolare, si afferma che tali architetture societarie “fanno apparire come subordinato – assoggettato al più conveniente regime fiscale dei dipendenti in Svizzera – chi in realtà è un amministratore di fatto con reddito da tassare in Italia”. Si contesta quindi una sorta di “doppia evasione”:
- in Italia, perché il soggetto ha goduto indebitamente dell’esenzione prevista per i frontalieri, esenzione che non gli spetterebbe non essendoci vero lavoro dipendente;
- in Svizzera, perché avendo inquadrato se stesso come dipendente, avrebbe pagato meno imposte di quante ne avrebbe pagate se fosse stato classificato come amministratore o socio percepiente utili (in Svizzera, i compensi amministratore e dividendi possono scontare ritenute attorno al 30%, mentre come stipendio ha pagato magari attorno al 6-10%).
In altri termini, l’impianto accusatorio vede la Sagl come “schermo”: l’imprenditore italiano, invece di operare come lavoratore autonomo o dirigente con redditi tassati in Italia, si sarebbe creato un guscio societario in Ticino per trasformare i propri redditi in salari frontalieri quasi esenti. La formula usata dalla GdF riflette un noto principio di diritto del lavoro e tributario: “nessuno può essere subordinato a se stesso”. Se il socio controlla la società (ad esempio ne possiede il capitale sociale al 100% o comunque ha potere decisionale sulla nomina degli amministratori), egli non può considerarsi alle dipendenze di altri, mancando quell’eterodirezione tipica del rapporto di lavoro subordinato. A maggior ragione, se il socio è anche amministratore (di fatto o di diritto) della società, è evidente che non c’è un datore di lavoro “terzo” che impartisce ordini e direttive: il rapporto di lavoro dipendente risulta simulato o comunque non genuino sul piano dell’effettività.
Da un punto di vista normativo interno italiano, la contestazione trova fondamento nell’art. 49, comma 1, del TUIR (D.P.R. 917/1986), secondo cui si configurano redditi di lavoro dipendente solo se l’attività è prestata con vincolo di subordinazione, ossia alle dipendenze e sotto la direzione altrui. La stessa norma prosegue affermando che tale subordinazione non sussiste quando il lavoratore, in virtù della partecipazione al capitale, ha poteri tali da influire sulla nomina e revoca degli amministratori. È esattamente la situazione dei soci di Sagl a ristretta base: avendo il controllo, possono condizionare la gestione societaria (di fatto auto-dirigersi) e pertanto non possono essere considerati lavoratori subordinati “di terzi”. Questa impostazione è coerente anche con la giurisprudenza italiana in materia sia fiscale che giuslavoristica: ad esempio, in ambito previdenziale l’INPS non riconosce validi i rapporti di lavoro dipendente tra una società e il socio unico o di maggioranza, considerandoli piuttosto collaborazioni amministrative o lavoro autonomo. La Cassazione, in passato, ha ribadito che la subordinazione implica un assoggettamento gerarchico ad un potere direttivo altrui, incompatibile con la figura del dominus dell’azienda.
Sulla scorta di ciò, la GdF ha ritenuto di “disconoscere” lo status di frontaliere fiscale a questi contribuenti. Nei PVC si legge l’intenzione di procedere a recuperare a tassazione in Italia i redditi degli ultimi 5 anni (termine ordinario di accertamento per dichiarazioni infedeli). Ad esempio, un frontaliere-socio che dal 2018 al 2022 ha percepito 50.000 CHF all’anno di stipendio dalla Sagl e non li ha dichiarati in Italia, vedrà contestata l’omessa dichiarazione di tali redditi per ciascuno degli anni d’imposta 2018, 2019, 2020, 2021, 2022. L’Agenzia delle Entrate, ricevuti i verbali GdF, sta provvedendo a emettere i relativi Avvisi di accertamento. Tali avvisi ridetermineranno il reddito imponibile del contribuente includendovi gli importi percepiti in Svizzera (riqualificati fiscalmente), e applicheranno le imposte IRPEF italiane dovute su di essi, al netto di un eventuale credito d’imposta per le ritenute subite in Svizzera (credito riconosciuto solo se e nei limiti in cui quelle ritenute estere sono considerate afferenti a reddito imponibile in Italia, vedi infra). Secondo quanto emerso, la Guardia di Finanza nei processi verbali ha proposto di tassare questi redditi come redditi di lavoro dipendente “fuori fascia” – ossia come se i contribuenti fossero frontalieri residenti oltre 20 km, applicando quindi l’IRPEF italiana sull’importo, sottraendo una franchigia (7.500 per gli anni pre-2024) e scomputando le imposte pagate in Svizzera. Questa soluzione appare però concettualmente contraddittoria: infatti, da un lato si afferma che non vi è un rapporto di lavoro dipendente valido (quindi il reddito non sarebbe da qualificare come “da lavoro dipendente” per definizione), dall’altro lo si tassa comunque come reddito di lavoro dipendente (sebbene in regime meno favorevole, ovvero senza esenzione totale ma solo con franchigia). Come ha osservato un professionista coinvolto, “Se non esiste la subordinazione, non può esserci una classificazione di reddito di lavoro dipendente, né come frontaliere di fascia, né fuori fascia”. In effetti, la posizione dell’Agenzia potrebbe in teoria portare a considerare quel reddito come reddito diverso (o di lavoro autonomo) tassabile per intero in Italia senza franchigia; tuttavia, parificando ai “fuori fascia” si concede la franchigia di legge e si rimane nell’ambito del lavoro dipendente. Probabilmente questa scelta è dettata dal fatto che, almeno formalmente, il contribuente ha percepito uno stipendio dalla Sagl (sottoposto a tassazione alla fonte in CH come tale); pertanto l’Ufficio, per semplicità operativa, preferisce ricondurlo alla categoria redditi di lavoro dipendente ai fini dell’imposta (negandogli solo lo status di frontaliere esente). Resta comunque una questione controversa, che nel contenzioso potrà essere sollevata: coerenza della riqualificazione giuridica. Se il giudice ritenesse insussistente il rapporto di lavoro, potrebbe conseguentemente riclassificare il reddito non come lavoro dipendente (neanche “fuori fascia”), ma ad esempio come reddito da attività libero-professionale o d’impresa. In tal caso, si porrebbero problemi di diversa qualificazione convenzionale (es. se considerato “utile di impresa” della Sagl imputato per trasparenza, si sconfinerebbe nell’ambito CFC/esterovestizione; se considerato reddito professionale, bisognerebbe valutare dove fosse la base fissa dell’attività, etc.). Insomma, il tema è tecnicamente complesso. L’Agenzia per ora ha scelto una linea più semplice: tassare in Italia con l’IRPEF i salari dei frontalieri-soci, revocando l’esenzione integrale e applicando loro le regole ordinarie (franchigia e credito).
Numerosità dei casi e primi esiti delle verifiche
Come detto, le prime indagini hanno riguardato una ventina di contribuenti. Di questi, la maggior parte ha scelto di definire la propria posizione spontaneamente o in fase pre-contenziosa. In particolare, molti – ricevuto il verbale o avuta notizia dell’indagine – si sono affrettati ad aderire alla definizione agevolata prevista dalla Legge n. 197/2022 (Legge di Bilancio 2023), ossia il ravvedimento operoso speciale. Questa misura straordinaria consentiva, fino al 31 marzo 2023, di regolarizzare errori od omissioni dichiarative fino all’anno d’imposta 2021 con il pagamento della sola imposta dovuta, interessi e una sanzione ridotta ad 1/18 del minimo. Alcuni frontalieri interessati, avendo percepito che la GdF stava effettuando controlli sul loro caso, hanno utilizzato il ravvedimento speciale per integrare le dichiarazioni dei redditi pregresse inserendo i compensi esteri non dichiarati e versando quanto dovuto con sanzioni ridotte. In questo modo hanno evitato sul nascere l’emissione di avvisi di accertamento con sanzioni piene (90% e oltre). Altri, invece, hanno atteso l’avviso di accertamento e poi presentato istanza di accertamento con adesione (ex D.Lgs. 218/1997), riuscendo a concordare col Fisco gli importi dovuti. L’adesione consente infatti una riduzione delle sanzioni a 1/3 del minimo e la possibilità di rateizzare il dovuto. Secondo i dati forniti in sede parlamentare, la maggior parte dei casi si è chiusa tramite ravvedimento speciale o accertamento con adesione, con pagamento delle imposte, interessi e sanzioni dovute. Solo un numero limitato di contribuenti (4 casi) ha deciso di intraprendere la via del contenzioso, presentando ricorso contro gli avvisi di accertamento. Di questi ricorsi, uno ha già avuto un primo esito: la Corte di giustizia tributaria di I grado (nuova denominazione delle Commissioni Tributarie Provinciali dal 2023) adita in uno dei casi ha emesso sentenza favorevole all’Agenzia delle Entrate, confermando la legittimità dell’operato del Fisco e la riqualificazione del reddito. Altri giudizi sono pendenti (alcuni in primo grado, altri forse già in appello). Non sono esclusi sviluppi contrastanti: trattandosi di materia nuova e complessa, è possibile che alcuni giudici tributari di merito possano accogliere le tesi dei contribuenti in determinati casi, soprattutto laddove emergano elementi specifici (ad es. composizione societaria non totalmente controllata, presenza effettiva di un amministratore esterno con reali poteri, etc.). Ad esempio, in un caso concreto riportato dalla stampa specializzata, due soci italiani ciascuno al 50% di una Sagl ticinese – dunque nessuno dei due con partecipazione di maggioranza individuale – hanno fatto ricorso sostenendo di non avere singolarmente il potere di auto-nominarsi amministratori e quindi di subire una certa subordinazione reciproca; ebbene, in quel caso risulterebbe che la Corte di giustizia tributaria abbia dato ragione ai contribuenti, riconoscendo che la ricostruzione italiana portava a una doppia imposizione contraria alle finalità dei trattati (purtroppo i dettagli della sentenza non sono pubblici al momento della stesura). È probabile che nei prossimi mesi e anni la questione arrivi all’attenzione delle Corti superiori (Corte di Giustizia Tributaria di II grado e infine Corte di Cassazione), che dovranno esprimersi in via definitiva sui principi di diritto applicabili. Nel frattempo, il contesto per il contribuente resta incerto e rischioso: l’Amministrazione sta portando avanti gli accertamenti e non ha mostrato intenti conciliativi a livello politico-istituzionale. In un’interrogazione parlamentare presentata in Italia (Camera dei Deputati) nell’ottobre 2024, alcuni onorevoli avevano chiesto di sospendere gli accertamenti e aprire un tavolo con la Svizzera, vista la delicatezza del tema. La risposta ufficiale del Governo è stata però ferma: non vi è alcun obbligo di consultazione preventiva con autorità estere per svolgere accertamenti fiscali, e si ritiene che le verifiche riguardino contribuenti che hanno “erroneamente applicato il regime agevolato frontalieri”, senza che ciò configuri alcuna discriminazione od irretroattività illegittima. Anzi, il Governo ha chiarito che non intende sospendere l’attività di controllo né avviare (almeno per ora) negoziati specifici con la Svizzera su questa materia.
La posizione del Fisco italiano e i profili giuridici contestati
Analizziamo ora nel dettaglio la posizione giuridica adottata dall’Agenzia delle Entrate e i conseguenti problemi legali, sia sul piano interno che internazionale.
Violazione del vincolo di subordinazione (art. 49 TUIR)
Come visto, il fulcro della tesi italiana è che manca un effettivo rapporto di lavoro dipendente tra il frontaliere e la società svizzera di cui è socio. Di conseguenza, il reddito percepito non rientrerebbe tecnicamente nell’art. 49 TUIR (redditi di lavoro dipendente), e pertanto il suo trattamento fiscale non può essere quello riservato ai redditi di lavoro dipendente esteri (in particolare non può godere dell’esenzione/franchigia frontalieri). L’Agenzia delle Entrate ha formalizzato questa posizione anche in sede ufficiale: nella risposta al question time in Commissione Finanze (Camera) n. 5-02237 del 15 ottobre 2024, il Ministero dell’Economia ha chiarito che non possono fruire del regime agevolato frontalieri i soggetti residenti in Italia che detengono partecipazioni qualificate in Sagl svizzere e vi svolgono attività lavorativa, mancando i requisiti per qualificarli come lavoratori dipendenti. La risposta richiama espressamente l’art. 49 co.1 TUIR e sottolinea che per aversi reddito da lavoro dipendente la prestazione deve avvenire sotto la direzione di altri, condizione che “non sussiste tra socio e società ogniqualvolta il socio abbia, in virtù della quota di partecipazione, poteri tali da incidere sulla nomina e revoca degli amministratori”. Questa affermazione ribadisce la regola generale: un socio con controllo (di norma chi ha >50% del capitale o comunque influenza dominante in assemblea) non può essere considerato subordinato alla società stessa.
È importante precisare che tale principio, pur essendo logico, in astratto non discende da una norma anti-elusiva specifica, ma da un concetto giuridico sostanziale di subordinazione. Non si tratta quindi formalmente di applicare la norma sull’abuso del diritto (art. 10-bis L. 212/2000) o la disciplina anti-esterovestizione delle società (che vedremo infra): l’Agenzia sta semplicemente dicendo che non c’è un certo presupposto di fatto (subordinazione) e dunque non si applica un certo regime (quello dei frontalieri). In altre parole, non serve nemmeno invocare l’abuso o la simulazione: per il Fisco il contratto di lavoro c’è ma non è qualificabile come tale ai fini fiscali perché privo dei requisiti sostanziali. In pratica, l’Agenzia tratta quel contratto come inefficace fiscalmente e riqualifica il reddito secondo la “sua vera natura”. Qual è questa vera natura? Non viene esplicitato del tutto: potrebbe essere reddito di lavoro autonomo oppure – più probabilmente – reddito di lavoro dipendente privo delle agevolazioni speciali (cioè tassato in Italia come ordinario). Questa seconda ipotesi è quella seguita nei calcoli e appare come una sorta di “compromesso”: ti tolgo lo status di frontaliere esente, ma continuo a considerare il tuo reddito come da lavoro dipendente, semplicemente lo includo nell’imponibile IRPEF italiano.
Dal punto di vista del contribuente, potrebbe esserci spazio per contestare questa operazione concettuale. In particolare, si potrebbe sostenere che l’Agenzia avrebbe dovuto seguire la procedura di legge per disregardare il contratto di lavoro o per contestare un abuso. Ad esempio, l’art. 10-bis dello Statuto del Contribuente (L. 212/2000) prevede che per contestare un abuso del diritto (operazione priva di sostanza economica volta a ottenere un vantaggio fiscale indebito) l’Ufficio debba attivare specifiche garanzie procedurali, notificare un apposito avviso in cui espone le ragioni e le norme anti-elusive violate, e soprattutto l’operazione contestata non deve avere sostanza economica diversa dal risparmio d’imposta. Nel caso in esame, è innegabile che l’operazione societaria abbia anche sostanza economica: la Sagl esiste realmente, produce reddito e la scelta di costituirla può essere motivata non solo dal minor carico fiscale ma anche da ragioni legali (p.es. ottenere licenze, operare con responsabilità limitata, inserirsi meglio nel contesto imprenditoriale ticinese). Quindi accusare di abuso puro non sarebbe scontato. L’Agenzia furbescamente ha evitato di parlare esplicitamente di abuso del diritto e si è limitata a dire: “quello non è lavoro dipendente vero e quindi ti tolgo l’esenzione”. Dal suo punto di vista, non introduce nuove norme né retroagisce su nulla: applica solo la definizione di reddito da lavoro dipendente già esistente e rilegge i fatti alla luce di essa. Questo la mette al riparo dall’accusa di violare il principio di legalità o di retroattività delle norme tributarie (infatti ha replicato in Parlamento che non c’è lesione del principio di irretroattività, in quanto non sono state applicate nuove disposizioni in modo retroattivo, ma solo norme vigenti interpretate correttamente secondo l’Amministrazione).
In sostanza, il Fisco italiano afferma di stare semplicemente rettificando un errore del contribuente: quest’ultimo avrebbe erroneamente applicato il regime frontalieri, presumendo di essere un lavoratore dipendente, mentre non lo era. Quindi, la tassazione recuperata è presentata come la normale tassazione che sin dall’origine sarebbe spettata, non una nuova regola. Questa impostazione secca, tuttavia, non risolve i contrasti con la dimensione internazionale della vicenda, che vedremo a breve (doppia imposizione e accordi violati), e lascia aperti interrogativi sulla qualificazione del reddito ai fini convenzionali.
Un ulteriore elemento: l’Agenzia, in sede di risposta parlamentare, ha tenuto a precisare che la propria azione non viola il principio di non discriminazione contenuto nell’art. 25 par.1 della Convenzione Italia-Svizzera. Tale principio impone di non trattare i cittadini dell’altro Stato contraente in modo deteriore rispetto ai propri in situazioni analoghe. L’Italia sostiene che qui non c’è discriminazione verso cittadini svizzeri, in quanto la riqualificazione riguarda i propri residenti e applica la nozione domestica di reddito di lavoro dipendente indipendentemente dalla cittadinanza. In altri termini, se un cittadino italiano e un cittadino svizzero fossero entrambi residenti in Italia e soci-lavoratori di Sagl estera, verrebbero trattati allo stesso modo (tassati in Italia). Questo argomento è piuttosto formale ma serve a respingere l’accusa, sollevata da alcuni, che si stia penalizzando chi ha cittadinanza svizzera. In realtà i frontalieri colpiti sono italiani, quindi la questione discriminazione non è centrale, mentre lo è quella della doppia imposizione.
Doppia imposizione e accordi bilaterali: il conflitto aperto
Il profilo forse più spinoso è quello internazionale. La mossa italiana, di fatto, incide su un terreno coperto da accordi bilaterali vigenti all’epoca dei fatti: l’Accordo del 1974 e la Convenzione del 1976. Secondo tali accordi (come recepiti nelle rispettive legislazioni), quei redditi non dovevano essere tassati in Italia per i frontalieri di fascia. L’Italia, senza consultazione alcuna con l’altra parte, ha deciso unilateralmente che in questi casi specifici l’Accordo del 1974 non si applica perché – a suo dire – non ricorrono i presupposti di fatto (non c’è un vero rapporto di lavoro dipendente da inquadrare nell’accordo). Questo approccio è stato criticato sia in Svizzera che da alcuni operatori italiani come una potenziale violazione degli accordi vigenti e un atto lesivo della fiducia reciproca tra Stati.
Vediamo i punti critici:
- Secondo l’Italia, non si applica l’Accordo sui frontalieri del 1974 perché quel testo si riferisce ai “lavoratori dipendenti” frontalieri. Se un soggetto non è un vero lavoratore dipendente, cade fuori dall’ambito soggettivo di applicazione dell’accordo. In tal caso, dice l’Agenzia, si applicano le norme convenzionali ordinarie (la Convenzione contro le doppie imposizioni): e lì l’art. 15 prevede che il reddito di lavoro dipendente sia tassabile anche nello Stato di residenza, salvo il caso specifico dei frontalieri disciplinati dall’accordo speciale. Una volta negato che questi siano frontalieri ex accordo, l’Italia esercita la tassazione come Stato di residenza con credito d’imposta. Formalmente, questo ragionamento sembra filare: se tu non sei un frontaliere ai sensi dell’accordo, l’esenzione dell’accordo non vale per te. Tuttavia resta da chiarire un aspetto: come qualificare convenzionalmente il reddito di un socio-lavoratore? È proprio reddito di lavoro dipendente oppure no? Le convenzioni contro le doppie imposizioni (come quella del 1976) distinguono varie categorie: redditi di lavoro dipendente (art. 15), redditi di lavoro autonomo (art. 14, nei trattati vecchio modello OCSE, anche se oggi spesso confluisce in impresa), utili di impresa (art. 7), compensi di amministratore (art. 16) ecc. Se il socio ricopre anche cariche amministrative, la remunerazione potrebbe rientrare nell’art. 16 (“compensi dei membri del Consiglio di amministrazione”), che attribuisce il diritto di tassazione allo Stato della società (qui la Svizzera) senza esclusività, quindi comunque tassabile anche in Italia come reddito estero con credito. Se invece si considera il socio come lavoratore autonomo, l’art. 14 del vecchio trattato prevedeva l’imponibilità esclusiva nello Stato di residenza salvo presenza di base fissa nell’altro Stato. Un socio-lavoratore potrebbe avere una base fissa (la sede della società) in Svizzera, il che renderebbe imponibile in Svizzera il reddito autonomo derivante dall’attività professionale svolta per la società; ma in quel caso spetterebbe anche all’Italia tassarlo in base alla residenza, con obbligo di evitare la doppia imposizione (credito). In nessuna ipotesi, comunque, il reddito sfugge a doppia tassazione: a seconda di come lo qualifichi, la Svizzera ha già tassato (come stipendio o come utile societario), e ora l’Italia tassa pure lei. I trattati però in teoria obbligano a eliminare la doppia imposizione. L’Italia eliminerebbe la doppia imposizione concedendo il credito d’imposta per le imposte svizzere pagate su quel reddito. Il problema è: riconosce pienamente tale credito? Se l’Italia considera il reddito come lavoro dipendente “fuori fascia”, allora sì, riconosce il credito per la ritenuta svizzera (che è stata prelevata proprio come imposta su reddito dipendente). Ma se lo considerasse come reddito autonomo o d’impresa, potrebbe eccepire che la tassazione subita in Svizzera (come stipendio) non è un’imposta della stessa natura su reddito della stessa categoria, e potrebbe negare il credito integrale. Formalmente, la categoria convenzionale viene scelta dall’Italia pro domo sua (per facilitare il calcolo). Finora parrebbe che l’Agenzia tratti comunque la tassazione svizzera come credito d’imposta ammissibile, quindi almeno sul piano del principio di evitare la doppia imposizione giuridica cerca di rispettare il trattato (non c’è doppia imposizione giuridica se si dà credito). Tuttavia, c’è un’altra forma di doppia imposizione, quella economica, che qui emerge fortemente: il contribuente finisce per pagare molte più imposte di quante ne avrebbe pagate se uno solo Stato lo tassasse secondo regole chiare. Un caso estremo: poniamo un contribuente che in 5 anni ha pagato complessivamente 50.000 CHF di imposte in Svizzera, e ora l’Italia gli chiede 100.000 € di imposte arretrate. Anche con il credito per quei 50k CHF (diciamo €45k equivalenti), gli restano da pagare altri €55k all’Italia: totale imposte pagate su quei redditi in 5 anni = circa €100k equivalenti, qualcosa che non sarebbe successo se l’accordo fosse stato applicato (avrebbe pagato solo 50k CHF). Quindi di fatto il sistema di crediti non neutralizza affatto la doppia imposizione sostanziale, perché gli scaglioni e le aliquote IRPEF italiane portano ad un carico aggiuntivo netto. Questo scenario configura una doppia imposizione in senso lato, che appare contraria allo spirito delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, le quali mirano a far sì che un reddito sia tassato una sola volta in via integrale (o per lo meno che l’onere totale non superi quello più alto tra i due Stati). Qui invece il contribuente paga quasi il massimo in entrambi i paesi. Non a caso, la Svizzera ha protestato: il Consiglio Federale svizzero ha segnalato che, se l’Italia insiste a tassare retroattivamente questi frontalieri, Berna potrà chiedere la restituzione dei ristorni versati negli ultimi anni per tali contribuenti. La logica: se l’Italia considera che quei redditi erano imponibili (anche) in Italia, allora la Svizzera ha versato indebitamente i ristorni su di essi (perché i ristorni erano dovuti solo sui redditi tassati esclusivamente in Svizzera). Dunque la Svizzera rivuole indietro quei soldi. Si parla di importi significativi: ad esempio, la somma totale dei ristorni versati da Ticino, Grigioni e Vallese all’Italia nel 2023 era circa 116 milioni di franchi. Chiaramente solo una parte riguarda i soggetti in questione, ma il gesto sarebbe politicamente rilevante. Inoltre, la Svizzera potrebbe invocare la clausola di negoziazione amichevole prevista dal trattato (art. 26 della Convenzione) per risolvere le difformità interpretative. Tale clausola consente ai contribuenti, o direttamente agli Stati, di sottoporre il caso alle autorità competenti di entrambi i paesi affinché si consultino e trovino un accordo che eviti la doppia imposizione non prevista. In mancanza di una soluzione, però, l’unico rimedio sarebbe un eventuale arbitrato internazionale (che però l’attuale Convenzione Italia-Svizzera del 1976 non contempla espressamente se non tramite protocolli aggiuntivi più recenti).
La situazione configurata dagli accertamenti italiani ha quindi una dimensione di frizione diplomatica. Da un lato l’Italia afferma che nessun accordo è stato violato, perché secondo lei quei soggetti non rientravano nei parametri dell’accordo e perché comunque concede i crediti d’imposta (evitando duplicazioni giuridiche). Dall’altro, la Svizzera considera disatteso lo spirito e la lettera dell’intesa: l’Italia sta tassando redditi di persone che formalmente erano frontalieri a tutti gli effetti, e lo sta facendo retroattivamente, generando iniquità e penalizzazioni economiche forti. Dal punto di vista svizzero, inoltre, “si sta disconoscendo un rapporto di lavoro in uno Stato estero per richiamare in Italia capitali da tassare quando l’Italia su quei redditi incassa già una quota di ristorni”, come ha sottolineato un commercialista ticinese. In più, nota la Svizzera, così facendo l’Italia mette questi contribuenti in una posizione peggiore rispetto a se avessero semplicemente dichiarato i redditi frontalieri come tali: li trasforma in evasori retroattivi. Tali persone infatti non avevano dichiarato i salari in Italia perché (ed essendo convinti che) non erano imponibili per accordo internazionale. Non è un caso di evasione classica dove volutamente si nascondono redditi: tutti sapevano che i frontalieri di fascia non dichiaravano in Italia lo stipendio svizzero per legge. Ora l’Italia ribalta questa certezza ex post, presentando quei redditi come non dichiarati dovuti e sanzionandoli. C’è chi parla perciò di violazione dell’affidamento e retroattività sostanziale. L’Italia rigetta l’accusa di retroattività affermando di non aver cambiato le regole a posteriori, ma di fatto sta reinterpretando in modo innovativo (e peggiorativo) una situazione pregressa, e su questo il dibattito è aperto.
Rischio di esterovestizione e altri profili
Un aspetto correlato da menzionare è il rischio che l’Agenzia delle Entrate spinga ancora oltre la sua impostazione, arrivando a contestare la “esterovestizione” della società estera. L’esterovestizione è la fittizia localizzazione all’estero di una società che in realtà ha la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale in Italia (art. 73, co.5-bis TUIR). Se venisse provato che la Sagl svizzera è di fatto amministrata in Italia dal socio (e magari ha come principale mercato l’Italia), l’Agenzia potrebbe sostenere che la società va considerata residente fiscalmente in Italia, con tutte le conseguenze del caso: tassazione in Italia degli utili societari (IRES), obblighi dichiarativi in Italia, ecc., e persino riqualificazione dei redditi distribuiti come utili occulti da società estera controllata. Al momento, nei casi noti, non risulta che l’Agenzia sia arrivata a tanto. Probabilmente perché l’impianto probatorio e concettuale sarebbe più complicato e di competenza delle Direzioni centrali (il contenzioso sull’esterovestizione spesso coinvolge grandi imprese e richiede autorizzazioni). Invece, la riqualificazione del reddito di lavoro dipendente in capo alla persona fisica è apparsa una strada più immediata e mirata. Tuttavia, i frontalieri soci di società estere devono essere consapevoli che, in linea teorica, esiste anche questo ulteriore rischio: se l’Amministrazione ravvisasse indizi forti (riunioni societarie svolte sempre in Italia, contratti firmati in Italia, assenza di personale o ufficio vero in Svizzera, ecc.), potrebbe imbastire un’accusa di esterovestizione della società. In tal caso, si aprirebbe un fronte ancora più complesso: la persona fisica diventerebbe amministratore di fatto di una società considerata italiana, con relativi reati contabili eventualmente (dichiarazione infedele di società, omessa dichiarazione IVA, ecc.). Fortunatamente, fin qui non sembra questo l’orientamento operativo. Ma è bene saperlo per avere un quadro completo dei profili fiscali coinvolti.
Cosa fare: strumenti e tutele dal punto di vista del contribuente
Passiamo ora al punto di vista pratico del contribuente (il debitore d’imposta potenziale): quali passi intraprendere se ci si trova in questa situazione? Quali strumenti normativi esistono per regolarizzare la propria posizione o per difendersi dalle pretese del Fisco? La strategia dipende molto dallo stadio in cui ci si trova: se il contribuente non è ancora stato oggetto di controlli, se invece ha già ricevuto un PVC o un avviso di accertamento, oppure se è già in fase di contenzioso. Di seguito esamineremo le varie opzioni.
Verifica della propria posizione e monitoraggio
Prima di tutto, chi si riconosce nel profilo del frontaliere socio di Sagl/SA dovrebbe rivedere criticamente la propria posizione fiscale:
- Ho adempiuto agli obblighi dichiarativi minimi? Ad esempio, anche se non dichiaravo il reddito di lavoro estero perché credevo esente, ho dichiarato nel quadro RW la partecipazione estera? Molti infatti ignorano l’obbligo di monitoraggio fiscale per le quote di società non residenti. L’omessa dichiarazione RW può comportare sanzioni (3-15% del valore non dichiarato per anno). È importante quindi verificare se negli anni passati si è compilato il quadro RW segnalando la quota di capitale della Sagl posseduta e gli eventuali conti correnti esteri intestati. Se ciò non è stato fatto, si potrebbe già valutare un ravvedimento operoso mirato quantomeno per sanare il quadro RW, indipendentemente dalla questione redditi.
- Sto ancora percependo redditi in Svizzera con questo schema? Se sì, occorre considerare come comportarsi per l’anno in corso e futuri. Dopo il 2024, come visto, il regime è cambiato: un nuovo frontaliere socio dovrà comunque dichiarare in Italia il reddito (con franchigia 10k). Continuare a non dichiarare sarebbe rischiosissimo. Quindi per il 2024 in poi, quantomeno, è opportuno uniformarsi alle nuove regole (dichiarare il reddito da frontaliere e pagare l’eventuale IRPEF eccedente). Ciò non toglie che resti il problema del pregresso (fino al 2023).
- Valutare la sostanza del proprio rapporto con la società estera: ad esempio, se si è soci di minoranza (es. 30%) e non amministratori, si potrebbe essere in grado di sostenere che c’era effettiva subordinazione verso altri soci o verso un amministratore di maggioranza. In questi (rari) casi, la posizione fiscale potrebbe essere più difendibile nel merito.
Ravvedimento operoso (ordinario)
Se finora l’Agenzia delle Entrate non vi ha ancora contestato nulla, ma vi riconoscete in questa situazione (soci frontalieri che non hanno dichiarato nulla in Italia), agire spontaneamente prima di subire l’accertamento potrebbe essere la mossa più saggia per limitare i danni. Il ravvedimento operoso è l’istituto che consente al contribuente di correggere spontaneamente violazioni tributarie versando le imposte dovute con sanzioni ridotte (art. 13 D.Lgs. 472/1997). Nel caso di omessa o infedele dichiarazione di redditi esteri, il ravvedimento ordinario permette di sanare le annualità ancora accertabili pagando la sanzione minima del 90% ridotta in base al tempo trascorso dalla violazione: ad esempio, se si rimedia oltre 2 anni dalla violazione, la sanzione è ridotta a 1/6 (quindi 15% circa). Bisogna però fare attenzione: il ravvedimento è ammesso solo finché non siano iniziate “attività di accertamento” nei confronti del contribuente (ad esempio notifica di un PVC, di un avviso di accertamento o di un invito al contraddittorio). Dunque, se siete ancora “sconosciuti” al Fisco su questo tema, potete affrettarvi a ravvedervi. Il ravvedimento speciale previsto nel 2023 (sanzione 1/18) purtroppo è scaduto a marzo 2023; rimane il ravvedimento ordinario. In pratica, occorre presentare una dichiarazione dei redditi integrativa per ciascun anno da regolarizzare, includendo i redditi esteri non dichiarati, e versare la maggiore imposta dovuta su essi oltre interessi e sanzioni ridotte.
Facciamo un esempio pratico di simulazione: il Sig. Rossi, residente a Varese, socio unico e dipendente della Rossi Sagl in Ticino, non ha dichiarato in Italia i €50.000 annui di stipendio percepiti negli anni 2019-2020-2021-2022 (supponiamo fosse frontaliere di fascia, esente in base all’accordo). Nel 2023 apprende dei controlli in corso. Decide nel 2024 di ravvedersi per gli anni ancora ravvedibili (2019-2022; il 2018 è prescritto a fine 2024, quindi potrebbe ravvederlo entro fine 2024 se volesse). Per ciascun anno calcola l’IRPEF dovuta su €50.000 (ipotizziamo circa €12.000 di IRPEF dopo franchigia e credito, variabile a seconda dell’imposta CH pagata), e vi aggiunge la sanzione ridotta. Per un anno come il 2019 (dichiarazione 2020), siamo oltre 2 anni di ritardo quindi la sanzione è 90%/6 = 15% circa dell’imposta evasa. Su €12.000 evasi, fa €1.800. Per anni più recenti la riduzione sarebbe maggiore (ad esempio 1/7 se ravvedimento oltre 90 giorni ma entro 2 anni, quindi ~12.85%). In totale, il Sig. Rossi potrebbe pagare intorno a €50.000 tra imposte e sanzioni per sistemare i 4 anni. Non poco, ma comunque meno di quanto pagherebbe se aspettasse l’accertamento: in quel caso infatti subirebbe una sanzione piena del 90% per ogni anno (ossia €10.800 per anno invece di €1.800) più il rischio di aggravio per recidiva, interessi di mora più elevati, e nessuno sconto. Inoltre, col ravvedimento si evita la “nota di demerito” di un accertamento. Va però sottolineato: il ravvedimento qui non elimina il problema del conflitto con la Svizzera. Se Rossi paga tutto in Italia, poi potrebbe trovarsi sovra-tassato perché la Svizzera non gli restituirà nulla di quanto pagato là. Di fatto si autoinfligge la doppia imposizione per chiudere il debito italiano. È una scelta di costo/beneficio: si paga per comprare certezza ed evitare guai peggiori (ad esempio sanzioni altissime o denunce penali).
Chi valuta il ravvedimento dovrebbe farsi seguire da un fiscalista esperto, anche perché vanno ricalcolati i crediti d’imposta spettanti e si può cercare di ottimizzare il calcolo (ad esempio, sfruttare eventuali oneri deducibili o detraibili non indicati, per abbassare l’imponibile, se consentito in integrativa). Inoltre va valutato se ravvedere tutte le annualità o solo alcune: teoricamente l’Agenzia può controllare fino a 5 anni indietro (2018 se l’atto viene emesso entro fine 2023, e così via), quindi coprire i 5 anni più recenti sarebbe prudente.
Un’ultima avvertenza: il ravvedimento operoso non è più possibile se l’Amministrazione ha già avviato accessi, ispezioni, verifiche o altre attività accertative formali nei confronti del contribuente relative a quella violazione. Dunque, se avete già avuto contatti (ad esempio vi è stato notificato un questionario o l’invito a esibire documenti), potrebbe essere tardi per ravvedersi su quell’anno specifico. In tal caso, si può tentare il ravvedimento per anni precedenti non coperti dall’azione in corso (ad esempio se GdF ha consegnato un PVC per 2018-2022, l’anno 2023 potete ancora ravvederlo prima che vi accertino anche quello). Però va valutato con cura caso per caso.
Difesa in sede di accertamento: adesione e ricorso
Se invece siete già oggetto di un avviso di accertamento (o ne riceverete uno a breve), la strategia cambia. Innanzitutto, appena notificato l’atto, è possibile presentare istanza di accertamento con adesione all’Ufficio competente (entro 15 giorni dalla notifica). L’adesione sospende i termini per proporre ricorso e apre la porta a un confronto con l’Agenzia per eventualmente concordare una definizione. Nel nostro caso, però, c’è poco da negoziare sul principio (l’Agenzia vorrà comunque tassare quel reddito). Si può tuttavia negoziare su alcuni dettagli quantitativi: per esempio, l’importo del credito d’imposta estero spettante (ci sono talvolta dubbi su come calcolare la quota di imposta svizzera relativa), o eventuali riduzioni sanzionatorie ulteriori, oppure la non applicazione di cumulo di sanzioni se ci sono più violazioni, ecc. Come già evidenziato, alcuni frontalieri hanno scelto la via dell’adesione con successo. Vantaggi: si ottiene subito lo sconto di 1/3 delle sanzioni per legge (in adesione si applica il 90% ridotto di 1/3 = 60% dell’imposta, invece che 90%), e si chiude la partita senza causa. Inoltre, l’importo definito si può pagare anche in otto rate trimestrali se supera certa soglia, dando respiro finanziario.
Se l’adesione non va a buon fine o se si decide di contestare nel merito, l’unica via è il ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale). Il ricorso va presentato entro 60 giorni (prorogati di 90 se si è fatta istanza di adesione) dalla notifica dell’atto impositivo. In sede contenziosa, quali sono le possibili linee difensive?
Le principali argomentazioni a favore del contribuente potrebbero essere:
- Rispettare gli accordi internazionali: sottolineare che il contribuente aveva diritto al regime frontalieri secondo gli accordi Italia-Svizzera all’epoca, e che la riqualificazione operata dall’Agenzia lo priva retroattivamente di un trattamento convenzionale. Si può invocare l’art. 169 della Costituzione (prevalenza dei trattati internazionali ratificati) e l’art. 75 del D.P.R. 600/73 (le convenzioni prevalgono sulle norme interne in caso di contrasto). In sostanza: il contribuente ha applicato l’Accordo del 1974, l’Agenzia reinterpreta la situazione in modo da non applicarlo; il giudice potrebbe invece ritenere che quell’accordo andasse comunque applicato e che l’Italia non possa disapplicarlo unilateralmente senza consenso svizzero. È però una via incerta, perché l’Agenzia argomenterà che l’accordo non si applica per difetto di subordinazione – e il giudice nazionale potrebbe dare peso alla definizione interna.
- Principio di capacità contributiva e buona fede: si può far leva sul fatto che il contribuente ha agito secondo le regole note e la prassi consolidata (tutela dell’affidamento ex Statuto del Contribuente). Ad esempio, citando la Risoluzione 38/E del 2017 in cui la stessa Agenzia ribadiva che i redditi dei frontalieri di fascia sono imponibili solo in Svizzera. Il contribuente si è affidato a tali indicazioni ufficiali. Non c’era alcuna comunicazione dell’Agenzia che eccezioni come quella del socio dipendente fossero escluse. L’applicazione improvvisa di una diversa interpretazione potrebbe essere ritenuta in contrasto con i principi dello Statuto dei Diritti del Contribuente (L. 212/2000), che all’art. 10 tutela la buona fede e all’art. 3 vieta la retroattività delle norme tributarie e, implicitamente, delle interpretazioni peggiorative senza preventiva conoscenza. È vero che l’Agenzia ribatte di non aver cambiato regole, ma il contribuente può replicare che di fatto sta applicando ora in modo restrittivo una norma mai così applicata prima a questi casi. Un giudice particolarmente sensibile potrebbe riconoscere che non si possono chiedere 5 anni arretrati con sanzioni a un soggetto che seguiva la prassi comune, senza almeno limitare l’intervento al futuro. In alcuni ambiti (es. certe deduzioni fiscali) i giudici tributari hanno talvolta disapplicato sanzioni per obiettiva incertezza normativa o buona fede. Qui c’era effettivamente obiettiva incertezza: se la stessa Svizzera e il regime pattizio li considerava frontalieri, come poteva il contribuente prevedere che l’Italia li avrebbe considerati non frontalieri?
- Fattispecie concreta di subordinazione: in fatto, provare che di fatto c’era un vincolo di subordinazione, malgrado la partecipazione societaria. Ciò è difficile se il socio è unico. Ma se, poniamo caso, il socio italiano aveva solo il 50% e l’altro 50% era di un socio svizzero che faceva da amministratore, allora si può argomentare che il nostro contribuente fosse effettivamente sottoposto alle direttive dell’altro socio/amministratore. Ogni caso quindi ha sue peculiarità: chi può sostenere che davvero non comandava in azienda, deve provarlo (verbali assemblee, decisioni prese da altri, deleghe). Va detto però che in moltissimi casi target il socio frontaliere era unico o maggioritario e l’amministratore locale un fiduciario con ruolo limitato, quindi qui la difesa fattuale è debole.
- Contestare il metodo di calcolo del Fisco: come già accennato, l’Agenzia ha tassato come “fuori fascia” con franchigia €7.500 e credito. Ebbene, il contribuente potrebbe – in via subordinata – eccepire che se proprio andava tassato, allora andava considerato reddito di lavoro autonomo o d’impresa, e la modalità di calcolo è sbagliata. Oppure contestare l’importo del credito estero riconosciuto: magari la Svizzera ha prelevato più imposte di quante l’Italia ha riconosciuto. Ad esempio, su 50k reddito, la Svizzera può aver trattenuto 5k, ma se la franchigia 7.5k in Italia esentava quell’importo, l’Italia potrebbe aver riconosciuto credito solo su parte. Ci sono tecnicismi in cui si può cercare un vantaggio, almeno per ridurre l’importo dovuto.
- Sproporzione sanzionatoria e scudo penale: chiedere quantomeno la disapplicazione o riduzione delle sanzioni per buona fede. E se pendesse un procedimento penale (non risultano ad ora denunce penali, perché le imposte evase annualmente forse non superano soglie penali, ma se ci fossero) far valere le esimenti di particolare tenuità o errore scusabile.
La difesa in giudizio va calibrata caso per caso e possibilmente orchestrata con l’ausilio di un tributarista esperto di convenzioni internazionali. Non c’è una garanzia di vittoria: i primi esiti sembrano favorevoli all’Agenzia, ma la partita è lunga.
Una considerazione pratica: se l’importo richiesto dall’Agenzia è molto elevato e la si vuole contestare, conviene valutare la richiesta di sospensione in sede giudiziale. Il ricorso in Commissione (C.G.T.) può essere accompagnato da un’istanza di sospensione dell’esecuzione, da presentare entro 60 giorni. Se si dimostra che l’esecuzione (pagamento) immediato dell’avviso di accertamento arrecherebbe un danno grave (es. rovina economica) e che il ricorso non è pretestuoso (fumus boni iuris), il giudice può sospendere la riscossione fino alla decisione. Questo evita che Equitalia (oggi Agenzia Entrate Riscossione) avvii misure cautelari o esecutive in pendenza di causa. Nel nostro caso, dato che spesso le cifre sono alte (5 anni di redditi), potrebbe essere opportuno chiedere la sospensione per non dover pagare subito decine di migliaia di euro in attesa del verdetto.
Interpello all’Agenzia delle Entrate
L’interpello è uno strumento che consente al contribuente di chiedere un parere ufficiale all’Agenzia delle Entrate sull’interpretazione di una norma applicabile al proprio caso (art. 11 L. 212/2000 e D.Lgs. 156/2015). Nel contesto dei frontalieri-Sagl, onestamente, l’interpello ha un’utilità limitata. In teoria, chi fosse incerto sul trattamento fiscale da applicare ai propri redditi transfrontalieri potrebbe presentare un interpello ordinario prospettando la situazione e chiedendo se ha diritto al regime dei frontalieri. Tuttavia, alla luce della posizione già pubblicamente espressa dall’Agenzia (question time, circolari interne), con altissima probabilità la risposta sarebbe negativa: confermerebbe che il soggetto non è considerato frontaliere ai fini fiscali e deve dichiarare tutto in Italia. Difficilmente l’Agenzia, su interpello del singolo, smentirebbe sé stessa e direbbe “no, va bene non dichiarare”. Quindi l’interpello servirebbe solo ad avere nero su bianco la tesi del Fisco (che però già conosciamo). Inoltre, l’interpello non è ammissibile su questioni oggetto di accertamento o verifiche già iniziate: se siete già sotto controllo, l’interpello verrebbe dichiarato improcedibile. Può aver senso invece se un contribuente sta pensando ad una ristrutturazione della propria posizione per il futuro: ad esempio, “se trasferisco la sede effettiva della mia Sagl all’estero o riduco la mia quota al 49%, potrò beneficiare del regime frontalieri?” – ma anche qui, difficilmente l’Agenzia si sbilancerà a favore.
In conclusione, l’interpello su questo tema appare più che altro un passaggio formale e di scarsa utilità per difendersi. Più efficaci sono ravvedimento e (se necessario) ricorso.
Procedura amichevole (MAP) tra Italia e Svizzera
Una strada extra-giudiziale ma sul piano internazionale è la già menzionata Mutual Agreement Procedure (MAP) prevista dall’art. 26 della Convenzione Italia-Svizzera. Questa procedura si attiva su istanza del contribuente (o d’ufficio) quando egli ritiene che una misura impositiva di uno o di entrambi gli Stati comporti una tassazione non conforme alla Convenzione. In tal caso può presentare il caso all’autorità competente del proprio Stato di residenza (per l’Italia, il Ministero dell’Economia – Dip. Finanze, Dir. Normativa, Uff. Accordi Internazionali). L’autorità esamina il caso e, se lo giudica fondato, avvia un confronto con l’autorità fiscale dell’altro Stato per trovare una soluzione concordata. Nel caso dei frontalieri-Sagl, un contribuente tassato due volte potrebbe attivare la MAP sostenendo che l’Italia, tassandolo, ha disapplicato l’accordo frontalieri vigente negli anni oggetto di doppia imposizione, e che ora la Svizzera non compensa quella tassazione aggiuntiva. L’autorità svizzera con tutta probabilità supporterebbe il contribuente, essendo anch’essa critica verso la condotta italiana. Le procedure amichevoli però richiedono tempo e non sempre si concludono con successo: dipende dalla volontà politica di accordo. In questo momento, considerato che l’Italia ufficialmente ritiene di non aver violato la Convenzione, non è detto che ammetta una soluzione di compromesso. Tuttavia, la MAP può mettere pressione alle autorità per negoziare un esito equo ed evitare lunghe controversie anche diplomatiche. Ad esempio, potrebbero concordare che l’Italia rinunci a sanzioni e a una parte degli arretrati in cambio del mantenimento dei ristorni, oppure che la Svizzera rimborsi ai frontalieri una quota delle imposte pagate in eccesso se l’Italia non cede, o altre forme transattive. Dal punto di vista del contribuente, la MAP è percorribile in parallelo al contenzioso interno: spesso si fa ricorso e contestualmente domanda di procedura amichevole. Se la MAP risolve, si può chiudere il contenzioso per cessata materia del contendere. Purtroppo è una strada non immediata e fuori dal controllo diretto del contribuente, ma in casi di duplice tassazione evidente vale la pena considerarla, specie se le cifre sono cospicue.
Giurisprudenza e scenari futuri
Poiché la vicenda è recente, non esistono ancora sentenze di legittimità (Corte di Cassazione) sul punto specifico. Tuttavia, vi sono riferimenti giurisprudenziali utili sui principi generali:
- La Corte di Cassazione in passato ha affermato chiaramente il principio per cui un socio di maggioranza non può essere contemporaneamente dipendente in senso genuino, soprattutto quando di fatto autogestisce la società. Ad esempio in materia di lavoro (Cass. lav. n. 1793/1996) e in materia previdenziale (ex INPDAI, rapporti amministratore-dipendente). Tali precedenti, pur non riferiti al fisco internazionale, corroborano la tesi italiana.
- Sul fronte opposto, la giurisprudenza tributaria potrebbe guardare ad alcune pronunce relative al trust o ad altre figure in cui l’Agenzia ha riqualificato rapporti e la Cassazione ha chiesto di valutare la sostanza economica effettiva. Ci si potrebbe ispirare al ragionamento che, se la sostanza economica (svolgere un lavoro all’estero) c’è, l’Agenzia non possa ignorare totalmente la realtà. Ma è un argomento debole contro un tenore letterale di legge (art. 49 TUIR).
- Rilevante sarà vedere se nei contenziosi in corso emergerà la questione dell’interpellanza parlamentare svizzera presentata dal deputato ticinese Fonio nel febbraio 2024 dal titolo emblematico “Quali possibilità d’intervento contro misure unilaterali fiscali dell’Italia?”. Questo evidenzia il clima politico: la Svizzera sta cercando canali per reagire. Se entro il 2025 Italia e Svizzera troveranno un’intesa politica (magari in sede di ratifica finale del nuovo accordo frontalieri, ancora pendente in alcune parti), potrebbero decidere di sanare in modo coordinato la faccenda (ad esempio con un accordo integrativo che escluda la retroattività delle nuove interpretazioni).
Per ora, i contribuenti interessati devono navigare in acque incerte, consapevoli che la linea ufficiale italiana al momento è inflessibile. Da gennaio 2024, come abbiamo spiegato, de iure i nuovi frontalieri soci sarebbero comunque tassati in Italia, quindi il problema dei future cases non si pone: semmai dovranno dichiarare e pagare, senza più zone grigie. Il grosso problema resta per il pregresso fino al 2023 dei vecchi frontalieri-soci. L’evoluzione dipenderà anche dagli esiti dei primi ricorsi. Se l’Agenzia dovesse incassare vittorie in serie in Commissione tributaria, potrebbe intensificare ulteriormente i controlli (sapendo di avere copertura giurisprudenziale). Viceversa, se qualche pronuncia di secondo grado o Cassazione dovesse dare torto al Fisco, non è escluso che l’Amministrazione – invece di insistere col contenzioso – scelga soluzioni transattive più aperte (ad esempio applicare solo per il futuro la nuova prassi e “graziando” il passato con magari un condono o un accordo bilaterale di chiusura).
Da tenere d’occhio è anche il ruolo del Parlamento italiano: nel question time alla Camera (deputato Butti, ottobre 2024) la risposta fu negativa a sospendere le verifiche. Ma non è detto che in futuro iniziative politiche (specie di parlamentari delle zone di confine, per esempio la Lega in Lombardia) non possano portare a una qualche norma ad hoc. Ad esempio, un’ipotesi di sanatoria mirata per questi frontalieri – magari facendogli pagare il dovuto senza sanzioni o con sanzioni minime, riconoscendo la loro buona fede – potrebbe essere messa sul piatto. D’altronde, nel 2023 si è fatto un ravvedimento speciale aperto a tutti; in futuro nulla vieta di inserire un’altra norma di pacificazione fiscale se la questione esplode mediaticamente.
In parallelo, dal lato svizzero, se l’Italia non cede, potrebbero effettivamente scattare misure di ritorsione economica (blocco dei ristorni, revisione di collaborazioni). Ciò creerebbe un conflitto diplomatico che potrebbe indurre il Ministero dell’Economia italiano a rivedere le istruzioni date all’Agenzia (ricordiamo che l’Agenzia delle Entrate, pur avendo autonomia, risponde agli indirizzi del MEF). Non a caso la Commissione Esteri del Senato italiano sta seguendo la questione frontalieri in generale nell’ambito della ratifica del nuovo accordo. Si ricordi che il nuovo accordo 2020 Italia-Svizzera è finalizzato proprio a “eliminare le doppie imposizioni sui salari dei frontalieri”: è ironico che proprio mentre si ratifica un accordo per evitare doppie imposizioni future, ne stia sorgendo una retroattiva sul passato. Probabilmente le diplomazie dovranno trovare un equilibrio.
Domande frequenti (FAQ)
D: Sono un frontaliere residente in Italia, socio e lavoratore della mia Sagl in Svizzera. Devo pagare le tasse in Italia su quello che guadagno?
R: Secondo la recente posizione dell’Agenzia delle Entrate sì, se lei detiene una partecipazione qualificata (di controllo) nella Sagl e contemporaneamente vi lavora, non può usufruire dell’esenzione fiscale prevista per i frontalieri. Il reddito va dichiarato in Italia e assoggettato a tassazione IRPEF ordinaria, con le agevolazioni eventualmente spettanti (franchigia, credito per imposte estere). In passato molti tali redditi non venivano dichiarati perché ritenuti esenti in base all’Accordo italo-svizzero del 1974; oggi l’Agenzia lo contesta e sta recuperando le imposte arretrate. Quindi la regola pratica è: meglio dichiarare questi redditi in Italia per evitare guai. Se però la sua partecipazione è minoritaria e lei non ha controllo sulla società, la questione è più sottile: formalmente la posizione del Fisco riguarda i soci con poteri di controllo. Un socio al 20-30% potrebbe sostenere di non essere nella stessa situazione; ma è bene valutare caso per caso con un esperto.
D: In Svizzera ho già pagato le tasse sul mio stipendio. Così dovrei pagarle due volte?
R: Il rischio di doppia imposizione effettiva c’è. L’Italia, tassando questi redditi ora, in genere riconosce un credito d’imposta per quanto già pagato in Svizzera, in modo da evitare una doppia imposizione “giuridica” sullo stesso reddito. Ciò significa che dall’imposta italiana dovuta si detrae l’importo dell’imposta alla fonte svizzera (fino a concorrenza). Tuttavia, poiché in passato l’imposta svizzera era molto bassa (spesso 5-10%) e l’IRPEF italiana su quegli importi è ben più alta (anche 30-40%), di fatto il contribuente finisce per pagare in totale molto più di prima. Ad esempio, su €50.000 di reddito: se in CH ha pagato €5.000 e in Italia dovrebbe pagarne €15.000, dopo credito pagherà €10.000 aggiuntivi in Italia. Quindi sì, pagherà di più. Non proprio il doppio integrale, ma quasi (in questo esempio, €5k + €10k = €15k totali, rispetto ai €5k iniziali). Inoltre, la Svizzera non rimborserà quanto trattenuto. Questo è appunto il problema spinoso di cui parliamo: si sta creando una doppia imposizione economica che prima gli accordi evitavano. Per ora, l’unica via per non pagarle due volte sarebbe un accordo tra gli Stati o un esito favorevole in giudizio. Fintantoché ciò non c’è, il contribuente è chiamato a pagare la differenza all’Italia.
D: Ho ricevuto un Processo Verbale di Constatazione (PVC) dalla Guardia di Finanza che mi contesta 5 anni di redditi da lavoro in Svizzera non dichiarati. Cosa devo fare adesso?
R: Il PVC non è ancora un atto impositivo definitivo, ma anticipa che l’Agenzia delle Entrate emetterà probabilmente un avviso di accertamento sulla base di esso. A questo punto ha alcune opzioni:
- Valutare un ravvedimento operoso per chiudere la questione pagando spontaneamente (ma attenzione: se il PVC è già stato notificato, formalmente la violazione è constatata e il ravvedimento potrebbe non essere più ammesso per quegli anni, salvo interpretazioni; comunque può ancora ravvedere eventuali altri periodi non menzionati).
- Prepararsi all’accertamento con adesione: attendere l’avviso e poi chiedere adesione per trattare sulle sanzioni e importi. Spesso conviene, perché consente sconto sanzioni (1/3) e pagamento rateale.
- Iniziare a raccogliere documentazione per un eventuale ricorso: ad esempio prove che il suo ruolo era effettivamente subordinato, consulenze legali a supporto della tesi che l’accordo frontalieri andava applicato, etc.
Consiglio: far visionare subito il PVC a un tributarista e studiare la convenienza di aderire o ricorrere. In alcuni casi, specie se gli importi non sono enormi, potrebbe convenire definire in adesione e chiudere (per non accumulare spese legali e incertezze). In altri, se le cifre e i principi in gioco lo giustificano, prepararsi alla battaglia legale.
D: A quanto possono arrivare le sanzioni e c’è il rischio di reato?
R: Le sanzioni amministrative per omessa/infedele dichiarazione di redditi esteri vanno dal 90% al 180% dell’imposta dovuta per ciascun periodo d’imposta (D.Lgs. 471/97, art.1). L’Agenzia tende ad applicare il minimo edittale (90%) in questi casi. In sede di definizione (ravvedimento, adesione, acquiescenza) le sanzioni si riducono: ad esempio ravvedimento dopo molto tempo è 90% ridotto a 15%; accertamento con adesione è 90% ridotto a 60%. Se si fa ricorso e si perde, si paga 90% più interessi. Inoltre, c’è la sanzione per quadro RW non compilato (3-15% degli importi non dichiarati, per anno). Questa a volte viene irrogata, ma se il contribuente aderisce spesso l’Agenzia la “condona” nell’ambito dell’accordo (è negoziabile). Sul fronte penale, il reato di dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000) scatta se l’imposta evasa supera €100.000 per anno, oppure se i redditi non dichiarati superano il 10% del totale e comunque €2 milioni. Molti frontalieri rientrano sotto queste soglie (es. imposta evasa €20-30k l’anno, comunque significativa ma sotto 100k). Quindi generalmente non c’è denuncia penale. Se però qualcuno avesse redditi molto alti e imposta evasa oltre 100k in anche solo un anno, allora sì, potrebbe incorrere in un procedimento penale. In quel caso conviene assolutamente regolarizzare prima o definire appena possibile per evitare la segnalazione. Da notare: se uno paga tramite ravvedimento o adesione tutte le imposte dovute, il reato di dichiarazione infedele viene meno (perché il pagamento integrale estingue il debito e rende difficile sostenere l’intento fraudolento, e comunque la soglia va valutata su imposta definitivamente evasa). Quindi definire velocemente conviene anche per stare tranquilli penalmente.
D: La Svizzera cosa dice? Posso farmi aiutare dal fisco svizzero o da avvocati in Svizzera?
R: Le autorità svizzere hanno espresso disappunto, ma ufficialmente non possono interferire con l’accertamento italiano (ogni Stato è sovrano nel tassare i propri residenti). Il Consiglio Federale ha dichiarato di aver avviato discussioni con l’Italia e che, se l’Italia proseguirà su questa linea, valuterà misure compensative (come chiedere la restituzione dei ristorni già versati). Hanno anche segnalato il problema in sedi diplomatiche. Questo però non offre un aiuto immediato al singolo contribuente di fronte alla cartella esattoriale. Un contribuente può tuttavia coinvolgere i propri consulenti svizzeri (fiduciario, commercialista) per raccogliere documenti utili: ad esempio far attestare dal fiduciario che effettivamente l’amministrazione della società era esercitata in loco, che il socio seguiva le direttive svizzere, etc. Inoltre, si può valutare – come detto – di attivare la procedura amichevole tra Stati: in tal caso bisognerà presentare un’istanza sia al Ministero italiano che all’Amministrazione federale svizzera, eventualmente con l’assistenza di un legale anche in Svizzera. Studi legali svizzeri (specie in Ticino) stanno seguendo la vicenda da vicino, alcuni hanno organizzato convegni e diffuso articoli informativi. Quindi può essere utile avere un referente anche in Svizzera, ma attenzione: il contenzioso formale va fatto in Italia, davanti ai giudici italiani, perché è un tributo italiano. Un avvocato svizzero non può patrocinare in Commissione Tributaria italiana (serve un difensore abilitato in Italia). Tuttavia, un coordinamento Italo-Svizzero del team difensivo può giovare, sia per lo scambio di informazioni, sia perché magari un’azione congiunta (es. tanti contribuenti fanno ricorso e contemporaneamente fanno pressione diplomatica tramite rappresentanti svizzeri) potrebbe portare a una soluzione politica.
D: Ho sentito parlare di esterovestizione e CFC: c’entrano qualcosa con il mio caso?
R: Sono concetti collegati ma diversi. Esterovestizione significa che una società estera viene considerata fiscalmente residente in Italia perché sede amministrativa o oggetto principale sono in Italia. L’Agenzia potrebbe teorizzarlo per la sua Sagl, sostenendo che in realtà è gestita da lei dall’Italia. Se lo facesse, tasserebbe tutti i profitti societari come se fossero italiani e la porrebbe di fronte a maggiori problemi (ad esempio IVA, obblighi contabili italiani). Al momento, negli accertamenti sui frontalieri questo non risulta contestato: si sono “accontentati” di tassare i redditi personali. Non si può escludere totalmente, ma sarebbe un livello successivo. CFC (Controlled Foreign Company) è un’altra normativa anti-elusiva (art. 167 TUIR) che prevede, semplificando, che se un residente controlla una società estera a bassa fiscalità, i profitti di quella società possano essergli imputati per trasparenza e tassati in Italia anche se non distribuiti. Per la Svizzera, oggi, molti cantoni non sono considerati a fiscalità talmente privilegiata da far scattare CFC (bisogna pagare meno del 50% delle imposte che pagherebbe in Italia; con aliquote cantonali intorno al 18-20% spesso non si rientra nella definizione). Inoltre, se la società svolge un’attività economica effettiva, c’è una esimente. Quindi direi che la normativa CFC di per sé non è la chiave usata in questi accertamenti. Non viene detto “applico CFC e ti tassiamo l’utile della Sagl”, bensì “non riconosco che il tuo stipendio fosse esente e te lo tassiamo come reddito da lavoro”. CFC potrebbe semmai entrare in gioco se uno smettesse di prendersi lo stipendio e lasciasse gli utili in Sagl per non dichiararli: a quel punto, se la Sagl paga pochissime imposte e accumula utili, l’Agenzia potrebbe valutare l’applicazione di CFC. In sintesi: per ora esterovestizione e CFC fanno da sfondo. Il contribuente però deve stare attento a non scoprirsi su altri fronti: se, ad esempio, per difendersi dice “io la mia Sagl la gestivo interamente dall’Italia”, potrebbe autogolarsi sull’esterovestizione. Meglio evitare affermazioni categoriche del genere; piuttosto insistere che la Sagl aveva sostanza e attività in CH, solo che lui come socio lavoratore era un caso particolare.
D: Dopo questi guai, mi conviene chiudere la Sagl e magari farmi assumere da una ditta terza?
R: È una valutazione di business personale. Molti frontalieri stanno effettivamente ripensando il proprio modello operativo. Alcuni scenari possibili:
- Continuare con la Sagl ma ridurre la partecipazione del frontaliere sotto il 50%, coinvolgendo un socio svizzero di maggioranza che effettivamente amministri. Questo darebbe più forza nel sostenere il vincolo di subordinazione, ma implica perdere il controllo dell’azienda – non sempre accettabile.
- Trasferire la residenza in Svizzera: soluzione drastica, comporta emigrare in Svizzera. In tal caso l’Italia non potrebbe tassare il suo reddito (se diventa residente svizzero, semmai avrebbe poi l’inverso se ha redditi in Italia). Però comporta rinunciare allo status di residente italiano, con tutte le conseguenze sociali, e per di più il nuovo Accordo 2020 ha introdotto clausole di reciprocità (se diventasse frontaliere “inverso” – svizzero in Italia – verrebbe tassato in Svizzera come residente su mondiale e l’Italia su base fonte, scenario diverso).
- Chiudere la Sagl e farsi assumere da un’altra azienda svizzera non propria: se esiste questa possibilità nel suo campo, diventerebbe un normale frontaliere dipendente senza partecipazioni – quindi indiscutibilmente dentro le regole. Tuttavia, perderebbe i benefici imprenditoriali (utili, controllo). È una scelta di vita: alcuni potrebbero preferire evitare grane fiscali e lasciare l’attività imprenditoriale.
- Mantenere la Sagl ma cambiare il trattamento fiscale da ora in poi: ad esempio, iniziare a dichiarare i redditi in Italia come lavoro dipendente (nuovo accordo) ed evitare di generare situazioni di elusione. In pratica, accettare che si pagherà più tasse e incamerarlo nei costi.
Dal punto di vista strettamente fiscale futuro, notiamo che col nuovo regime dal 2024, anche i frontalieri veri pagheranno qualcosa in Italia (IRPEF al netto franchigia). Quindi avere la Sagl propria non dà più quell’enorme vantaggio di prima. Anzi, uno stipendio da Sagl propria sarà tassato un po’ qui un po’ là come qualunque altro. L’unico risparmio residuo potrebbe essere sul versante contributivo: finché resta dipendente di società svizzera, paga i contributi sociali in Svizzera (AVS) che spesso sono più bassi di quelli italiani e danno comunque copertura pensionistica ecc. Quindi qualcuno potrebbe mantenere la struttura per ragioni contributive o di lifestyle, accettando però di essere tassato su due fronti.
D: Ho letto che nel 2024 è entrata in vigore la “tassa sulla salute” per i vecchi frontalieri. Riguarda anche noi?
R: La cosiddetta “tassa sulla salute” è un contributo che l’Italia vorrebbe richiedere ai frontalieri esentati (vecchi frontalieri) per finanziare il Servizio Sanitario Nazionale, dal momento che questi lavoratori non pagano IRPEF in Italia ma usufruiscono comunque del sistema sanitario italiano. La legge di Bilancio 2020 aveva previsto una misura in tal senso (una quota forfettaria annua per frontaliere esente), ma la sua attuazione è stata sospesa e rinviata perché richiede la collaborazione della Svizzera nel fornire i dati nominativi di questi frontalieri, collaborazione che finora è mancata. Al momento (metà 2025) questa tassa non è operativa – Lombardia aveva minacciato un “piano B” se la Svizzera non avesse dato i dati, ma è tutto in stallo. In ogni caso, si tratterebbe di un contributo di entità limitata (si parlava di circa €1.200 l’anno per lavoratore) e non è specifico per i frontalieri-Sagl, bensì per tutti i frontalieri in regime di esenzione. Se venisse attuata, aggiungerebbe un ulteriore onere, ma non risolve l’altro problema (tassazione redditi). È più che altro indice del tentativo italiano di ottenere comunque qualcosa anche dai vecchi frontalieri fino al 2033. Quindi allo stato attuale, se lei era un frontaliere esente, non deve pagare nessuna tassa sanitaria aggiuntiva, finché le Regioni non la implementano (e servono i dati che la Svizzera sta negando). Concentratevi piuttosto sul tema delle imposte sui redditi, che è concreto e attuale.
D: In definitiva, cosa consigliate di fare ai frontalieri titolari di Sagl?
R: Non esiste una risposta unica, ma riassumendo:
- Prevenire è meglio che curare: se non siete ancora incappati nei controlli, prendete in seria considerazione di regolarizzare volontariamente le posizioni pregresse tramite ravvedimento operoso, specialmente se le somme non sono impossibili da pagare. Questo vi mette al riparo da sanzioni pesanti e possibili rischi penali. Valutate anche con un legale la possibilità di fare un accordo con l’Agenzia (adesione) se vi hanno già contattato informalmente. L’obiettivo è ridurre il danno economico e chiudere la questione rapidamente, se possibile.
- Se decidete di combattere: preparatevi a un contenzioso lungo. Solo se ritenete di avere argomenti solidi (e magari vi unirete ad altri casi analoghi in un ricorso pilota) e potete sostenere i costi, optate per la via giudiziaria. In tal caso, non cedete a compromessi prima di vedere se i giudici vi danno ragione. Ricordate però che in primo grado potreste comunque dover pagare (a meno di sospensive).
- Guardare avanti: per il futuro, adeguatevi al nuovo scenario. Ciò significa: dichiarate i redditi frontalieri correnti, oppure modificate la struttura societaria se cercate ancora ottimizzazione fiscale (ma attenzione a non cadere dalla padella alla brace con l’esterovestizione). In pratica, non date per scontato che simili schemi reggeranno ancora. L’Italia sta monitorando più attentamente i movimenti finanziari con l’estero (lo scambio automatico di informazioni dal 2017 con la Svizzera segnala conti e redditi) e adesso ha anche normative stringenti come l’art. 5-octies D.L. 167/90 che punisce l’omessa dichiarazione di attività estere.
- Consulenza professionale integrata: fatevi seguire da professionisti sia italiani sia svizzeri di fiducia. La materia è interdisciplinare (fiscale internazionale, diritto societario, diritto del lavoro transfrontaliero). Un commercialista o avvocato tributarista italiano può interagire con il vostro fiduciario svizzero per ricostruire il quadro e individuare margini di manovra (ad esempio, se la vostra Sagl poteva essere considerata “società di gestione patrimoniale” con redditi da investimenti e non da lavoro… ipotesi remote ma ogni dettaglio conta).
- Seguite gli aggiornamenti normativi: la vicenda è in divenire. Tenete d’occhio eventuali sviluppi legislativi (una legge di sanatoria, circolari dell’Agenzia, esiti parlamentari). Ad esempio, se il Parlamento italiano ratificando l’accordo 2020 dovesse inserire una qualche norma interpretativa per i periodi precedenti, ciò potrebbe impattare i contenziosi. Lo stesso dicasi se Italia e Svizzera stipulassero un memorandum di intesa per risolvere retroattivamente questa specifica querelle (non impossibile: es. accordi su lavoratori transfrontalieri sono stati fatti anche con altri paesi su questioni minori).
In definitiva, per quanto comprensibilmente amara, la realtà 2025 è che i frontalieri titolari di Sagl/SA devono accettare che quell’epoca d’oro di quasi esenzione fiscale è terminata. L’Italia reclama la sua parte di imposta e non sembra intenzionata a fare sconti generalizzati. Conviene dunque agire razionalmente: minimizzare i danni per il passato (negoziando o sanando) e aggiustare il tiro per il futuro (in modo da non trovarsi più in difetto). Ogni scelta (pagare subito, pagare a rate, fare causa, cambiare struttura) ha pro e contro, da valutare col supporto di consulenti legali e fiscali.
Tabelle riepilogative
Tabella 1 – Confronto trattamento fiscale: frontaliere dipendente vs frontaliere socio (scenario pre-2024)
Elemento | Frontaliere dipendente (no partecipazioni) | Frontaliere socio/amministratore Sagl |
---|---|---|
Status giuridico | Lavoratore subordinato vero, datore di lavoro terzo. | Socio di controllo, pseudo-dipendente della propria società. |
Regime fiscale applicato fino al 2023 | Accordo 1974 frontalieri: reddito tassato solo in CH (se residente in fascia); esente in Italia (o franchigia se fuori fascia). | (Dovrebbe essere uguale in teoria) – Effettivamente trattato come frontaliere, quindi non dichiarava in Italia. Oggi l’Italia lo nega e recupera IRPEF arretrata. |
Motivazione vantata dall’Italia | – (nessuna contestazione, è legittimo) | Mancanza di subordinazione: “nessuno è subordinato a se stesso”. Contratto simulato per risparmio d’imposta. |
Azione del Fisco italiano (dal 2023) | Nessuna (regolare) | Accertamento per 5 anni: recupero IRPEF + sanzioni 90%. Riqualifica reddito come lavoro autonomo/amm. (ma tassato come dip. fuori fascia). |
Conseguenze economiche | Tassa solo in CH (es. 5-10% del reddito). In Italia zero IRPEF. | Tassa in CH (~5-10%) + ora tassa in IT (fino a ~30-40% con credito). Totale >30%. Sanzioni fino al 90% imposta evasa IT. |
Rischio sanzionatorio/penale | Nessuno (in regola) | Sanzione amm. 90% per anno (riducibile). Penale se imposta evasa >€100k/anno (raro). |
Tabella 2 – Strumenti e opzioni per il contribuente (fase e beneficio)
Fase della vicenda | Opzione disponibile | Benefici/Caratteristiche |
---|---|---|
Prima di accertamento (volontario) | Ravvedimento operoso ordinario | Sanzioni ridotte (da 1/8 a 1/5 del minimo, a seconda del tempo). Niente contenzioso, chiusura veloce. Pagamento imposte + interessi + sanzioni ridotte. Evita aggravio e possibili reati. |
(Ravvedimento operoso speciale – scaduto) | Sanzione ultra ridotta (1/18), ma disponibile solo fino a 31/3/2023 per anni fino al 2021. Ora non più fruibile salvo proroghe future. | |
Dopo avviso accertamento | Accertamento con adesione | Sanzioni ridotte a 1/3 (es. 90% → 30% in meno). Possibile discutere su importi (es. crediti). Pagamento rateale fino a 8 rate. Chiude la lite senza ricorso. |
Acquiescenza (pagamento entro 60 gg) | Sanzioni ridotte a 1/3 (come adesione), ma senza trattativa. Utile se non si vuole/può discutere. Rateazione limitata (max 6 rate). | |
Ricorso in C.T. (contenzioso) | Si contestano i principi, chance di annullamento parziale/totale. Tempi lunghi. Possibile sospensione pagamento. Costi legali. Incertezza. Se si perde: sanzioni piene (90%). Se si vince: nulla dovuto (o rimborso). | |
Fase di contenzioso | Procedura Amichevole (MAP) | Procedura parallela Stato-Stato. Se esito positivo, Stati trovano accordo (es. Italia rinuncia a parte imposte, etc.). Non garantita, tempi medio-lunghi. Può portare a eliminazione doppia imposizione in eccesso. |
Post-litigio (eventuale) | Definizione agevolata liti pendenti | Se il legislatore la prevede (es. condono liti), possibilità di chiudere pagando una percentuale. Nel 2023 c’era definizione liti su cause pendenti, chissà in futuro. |
Nota: Le strategie non si escludono a vicenda. Ad esempio, si può fare ricorso e contestualmente aderire ad una procedura amichevole internazionale. Oppure si può ravvedere alcuni anni e litigare su altri. È fondamentale valutare i costi-benefici di ciascuna opzione nel proprio caso specifico.
Tabella 3 – Cronologia semplificata eventi normativi e operativi
Data/Periodo | Evento/Norma | Descrizione rilevante |
---|---|---|
3 ott. 1974 | Accordo Italia-Svizzera frontalieri | Esenzione Italia per frontalieri italiani in CH di confine. Ristorno 40% all’Italia. |
1978 | Convenzione doppie imposizioni in vigore | Art. 15: redditi lavoro dip. tassabili in entrambi gli Stati salvo accordi speciali. |
2014 | Franchigia €7.500 (L. 147/2013 modificata) | Introdotta esenzione primi 7.500 per frontalieri fuori fascia. |
2017 | Risoluzione AE 38/E | Chiarisce regime: frontalieri fascia esenti in Italia (confermando prassi). |
2017-2018 | Scambio info finanziarie CH-IT | Parte CRS: AE riceve dati conti esteri (utile per scovare redditi non dichiarati). |
23 dic. 2020 | Firma nuovo Accordo frontalieri + Protocollo | Prevista reciprocità e doppia tassazione con franchigia e credito. |
2021 | D.M. MEF 7/12/2021 | Definisce comuni di confine e modalità applicative nuovo accordo (anticipando entrata vigore). |
2022 | Guardia di Finanza indaga (pilot) | Prime indagini su frontalieri-soci (segrete). |
2023 (gen) | L. 197/2022 – “tregua fiscale” | Ravvedimento speciale 1/18 entro 31/3/2023; definizione liti e PVC (non applicata a 2023). |
17 lug. 2023 | Entrata in vigore nuovo Accordo (ratifiche) | Da questa data accordo efficace, applicazione da 1/1/2024 per redditi. |
Autunno 2023 | Operazione GdF Olgiate | Controlli serrati su frontalieri-Sagl a Como/Varese. |
Ott 2023 | Notifiche PVC e primi ravvedimenti speciali | Contribuenti colti di sorpresa, alcuni usano ravvedimento speciale ultimo minuto. |
02 mag. 2024 | Svizzera media news (“Fisco italiano mira frontalieri”) | Media ticinesi riportano minaccia ristorni e misure Svizzera. |
15 ott. 2024 | Interrogazione parlamentare Camera (5-02237) | MEF conferma linea dura: no subordinazione, tassazione retroattiva lecita. |
Fine 2024 | Sentenze C.G.T. I grado | Prime decisioni: alcune pro-Fisco (Como), altre pro-contribuente (altre province) – voci non confermate ufficialmente. |
2025 (in corso) | Ratifica protocollo telelavoro (DDL Senato) | Parlamento approva DDL accordo 2020 con protocollo 2024 (telework). Nessun cenno però a sanatorie su issue Sagl. |
2025 (atteso) | Possibile accordo/ministro bilateral | Sviluppi incerti – da monitorare eventuali comunicati congiunti. |
(La cronologia illustra come si è arrivati alla situazione attuale. Da notare che l’azione italiana è partita prima che il nuovo accordo 2024 fosse operativo, puntando sui periodi scoperti.)
Conclusioni
La questione degli accertamenti fiscali sui frontalieri titolari di Sagl/SA in Svizzera rappresenta un caso emblematico di come l’evoluzione delle normative e l’inasprimento della cooperazione internazionale stiano chiudendo spazi che in passato consentivano risparmi d’imposta leciti (o tollerati). Dal punto di vista del contribuente, trovarsi oggi in questa situazione significa dover affrontare, pur in buona fede, un cambiamento delle regole del gioco a posteriori, con inevitabili conseguenze economiche e legali.
Abbiamo visto come il Fisco italiano abbia inquadrato tali schemi come meri artifici elusivi finalizzati all’abbattimento delle imposte, negando la qualifica di lavoro dipendente e rivendicando la tassazione in Italia dei redditi prodotti all’estero. Ciò, sebbene basato su ragioni giuridiche (mancanza di subordinazione ai sensi dell’art. 49 TUIR), comporta uno strappo rispetto al quadro pattizio preesistente e genera doppi prelievi. La posizione ufficiale italiana è per ora inflessibile: si procede con gli accertamenti senza consultare la Svizzera, ritenendo di essere nel giusto e di non violare né accordi né Statuto del Contribuente. La posizione svizzera, per quanto indirettamente percepibile, è di forte contrarietà: vede in questa mossa una violazione dello spirito di cooperazione e un danno per i propri lavoratori (e per i propri interessi finanziari, visti i ristorni).
In attesa che a livello governativo maturi magari una soluzione condivisa, il singolo contribuente deve agire con prudenza e cognizione. Questa guida ha delineato i possibili passi da compiere: dal ravvedimento operoso – raccomandato per chi intende sistemare le omissioni con il minimo delle penalità – alle strade deflative (adesione) o, se necessario, il ricorso ai giudici tributari per far valere le proprie ragioni. Abbiamo anche indicato la possibilità, in caso di doppia imposizione subita, di attivare una procedura amichevole tra Stati, benché i suoi esiti siano incerti.
Il punto di vista del “debitore” in queste vicende è comprensibilmente angosciato: persone che per anni hanno operato apertamente, convinte di rispettare le regole vigenti, si vedono ora presentare conti salati e insinuazioni di comportamento elusivo. È importante sottolineare che non si tratta di criminali incalliti né di evasori totali occulti, ma di contribuenti che hanno sfruttato un regime particolare frutto di accordi internazionali e differenze di sistemi fiscali. Il diritto tributario, però, è un terreno in cui anche i cambi di interpretazione possono avere effetti retroattivi devastanti. La lezione che se ne trae è la necessità di mantenersi aggiornati e conformi: ciò che era valido ieri potrebbe non esserlo più oggi. Per chi svolge attività oltre confine, è fondamentale avere sempre un costante dialogo con consulenti esperti nei due ordinamenti, per evitare di trovarsi esposti a sorprese.
In conclusione, il nostro consiglio dal taglio pratico è: non sottovalutare la situazione, ma nemmeno farsi prendere dal panico. Valutate con lucidità costi e benefici di ciascuna opzione che avete davanti. Se decidete di regolarizzare, fatelo al più presto, traendo vantaggio dalle riduzioni sanzionatorie ancora possibili. Se decidete di resistere, preparate una robusta difesa documentale e giuridica, consapevoli che farete in qualche modo da “pionieri” in un ambito giurisprudenziale nuovo. E soprattutto, per il futuro, adeguate la vostra pianificazione fiscale: l’era delle doppie non imposizioni sta tramontando, e una compliance intelligente è la miglior strategia per dormire sonni tranquilli.
Questa guida, aggiornata a giugno 2025, verrà ulteriormente integrata qualora intervenissero novità significative (normative, giurisprudenziali o diplomatiche) su questa materia. Nel frattempo, chi dovesse trovarsi coinvolto in queste situazioni è invitato a far valere i propri diritti con gli strumenti giuridici illustrati e, se necessario, a unirsi ad altri nella stessa condizione per far sentire la propria voce presso le istituzioni competenti, affinché si giunga ad una soluzione equa e bilanciata rispettosa sia delle norme sia della buona fede dei contribuenti.
Fonti e riferimenti normativa (Italia e accordi internazionali)
- Agenzia delle Entrate – Risoluzione n. 38/E del 28 marzo 2017, “Trattamento fiscale dei redditi da lavoro dipendente prodotti in Svizzera da soggetti residenti in Italia – franchigia per i lavoratori frontalieri”. (Richiamata in: Risposta Interpello 956-39/2017).
- Accordo tra la Repubblica Italiana e la Confederazione Svizzera del 3 ottobre 1974 sul trattamento fiscale dei lavoratori frontalieri, ratificato con L. 26 luglio 1975 n. 386.
- D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) – Art. 49, comma 1: Definizione di reddito di lavoro dipendente e requisito della subordinazione.
- Convenzione tra Italia e Svizzera per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio, firmata a Roma il 9 marzo 1976 (ratifica L. 23 dic. 1978 n. 943) – Art. 15 (Redditi da lavoro dipendente) e Art. 25 (non discriminazione).
- L. 27 dicembre 2013 n. 147, comma 175 (Legge di stabilità 2014) e L. 23 dicembre 2014 n. 190, comma 690 – Franchigia fiscale per lavoratori frontalieri, importo €7.500 (poi modificato).
- L. 13 giugno 2023 n. 83 – Ratifica ed esecuzione del nuovo Accordo Italia-Svizzera 2020 sull’imposizione dei frontalieri. (Innalza franchigia a €10.000 dal 2024).
- Nuovo Accordo tra Italia e Svizzera del 23 dicembre 2020 (con Protocollo) relativo all’imposizione dei lavoratori frontalieri – Entrata in vigore 17 luglio 2023, applicazione dal 1° gennaio 2024. Prevede regime reciproco e fase transitoria per “vecchi frontalieri” fino al 2033.
- Ministero Economia e Finanze – Decreto 7 dicembre 2021: Individuazione dei comuni italiani di frontiera (fascia 20 km) ai fini applicazione nuovo Accordo frontalieri.
- D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, art. 13 – Ravvedimento operoso (sanzioni ridotte in base al tempo).
- L. 29 dicembre 2022 n. 197 (Legge di Bilancio 2023), art. 1 commi 174-178 – Ravvedimento operoso speciale (sanzioni 1/18) e Definizione P.V.C. (non retroattiva su 2023).
- Parlamento Italiano – Interrogazione a risposta immediata 5-02237 On. Braga e altri (seduta VI Commissione Finanze Camera, 15/10/2024) e relativa risposta del Sottosegretario Barretta (chiarimenti su regime frontalieri-soci Sagl, posizione AE).
- Camera di Commercio di Varese – Convegno 11 aprile 2024 su fiscalità transfrontaliera (relazioni di esperti, tra cui dott. Stefano Noro) – evidenziati aspetti controversi e posizione GdF.
- Consiglio Federale Svizzero, Interpellanza 23.3287 Fonio (febbraio 2024) – “Quali possibilità di intervento contro misure unilaterali dell’Italia in materia fiscale?” (Discussione in corso, preoccupazione per frontalieri).
- Codice Civile Svizzero – Codice delle Obbligazioni (CO), art. 772 e segg. – disciplina della Società a garanzia limitata (Sagl). (Per inquadramento giuridico comparato).
- Prassi Agenzia delle Entrate e GdF (non pubblica): Verbali GdF 2023, casi Olgiate Comasco – contestazione “operazione meramente artificiosa” e aliquota ridotta 6% in CH vs esenzione in IT.
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In particolare, se sei titolare, amministratore o socio di una SAGL o SA svizzera, potresti ricevere accertamenti per:
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Conclusione
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