Padre Divorziato Con Debiti: Cosa Posso Fare

Hai accumulato debiti importanti dopo il divorzio e ti stai chiedendo come uscirne senza compromettere il rapporto con i tuoi figli, il tuo stipendio o la tua serenità? Sei un padre separato o divorziato che si trova sommerso tra assegni da pagare, spese legali, rate e creditori che incalzano?

Quando una separazione si intreccia con problemi economici, il rischio di precipitare nel sovraindebitamento è altissimo. Ma non tutto è perduto: anche se hai uno stipendio medio, arretrati da pagare o beni già pignorati, ci sono strumenti legali che ti permettono di ripartire e salvare ciò che conta davvero.

Quali sono i problemi più comuni per un padre divorziato con debiti?
Assegni di mantenimento troppo alti rispetto alle nuove entrate
Prestiti accesi prima della separazione, ma che ora pesano solo su di te
Spese straordinarie per i figli che si sommano alle spese fisse
Rate di mutui o finanziamenti non più sostenibili
Pignoramenti in corso, anche sullo stipendio
Perdita del tenore di vita precedente, con accumulo progressivo di debiti

Cosa puoi fare per uscirne?
– Valutare subito se sei in una condizione di sovraindebitamento: se le tue entrate non bastano a coprire le uscite essenziali, puoi accedere a misure di protezione
– Presentare un piano del consumatore o un accordo di ristrutturazione dei debiti, che consente di:

  • Tagliare i debiti in proporzione al reddito disponibile
  • Bloccare gli atti esecutivi in corso, come pignoramenti o decreti ingiuntivi
  • Pagare solo una parte del debito, secondo le tue reali possibilità
    – Se sei totalmente incapiente, valutare la procedura di esdebitazione: il giudice può liberarti da tutti i debiti non pagati, senza dover nulla ai creditori

E l’assegno di mantenimento? Si può ridurre?
– Se la tua situazione economica è cambiata radicalmente, puoi chiedere una revisione dell’assegno di mantenimento
– Devi dimostrare che il cambiamento non è volontario e che non sei in grado di sostenere l’importo attuale
– Il tribunale può rimodulare l’importo o sospenderlo temporaneamente, in base alle condizioni concrete
– È importante agire subito, perché gli arretrati si accumulano e diventano debiti esecutivi

Cosa NON devi fare mai?
– Accumulare ritardi senza agire: più aspetti, più cresce il debito
– Saltare i pagamenti a caso: il mantenimento ha priorità anche rispetto ai creditori
– Nascondere redditi o beni: ti esponi a responsabilità civili e penali
– Pensare che il fallimento personale sia impossibile: esistono strumenti anche per chi ha famiglia e lavoro

Essere un padre divorziato con debiti non significa essere finito. Ma serve un piano concreto, legale e su misura.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi da sovraindebitamento e diritto della famiglia – ti spiega cosa puoi fare se sei un padre separato con debiti, come proteggere il tuo stipendio e ripartire senza perdere la dignità.

Hai figli, spese da affrontare e i debiti ti soffocano?

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Introduzione

Un padre divorziato può trovarsi a fronteggiare obblighi economici onerosi verso la famiglia e una serie di debiti personali accumulati nel tempo. Dopo la separazione o il divorzio, infatti, restano in capo al genitore doveri inderogabili di mantenimento verso i figli (e talvolta verso l’ex coniuge) stabiliti dal giudice. Allo stesso tempo, possono esistere debiti di varia natura: mutui o finanziamenti bancari, debiti fiscali con l’erario, spese condominiali arretrate, prestiti personali, multe non pagate, ecc. Questa situazione può generare sovraindebitamento, ossia l’impossibilità di far fronte regolarmente a tutte le obbligazioni assunte, causando ansia, incertezza e conseguenze legali per il debitore.

Cosa può fare un padre divorziato indebitato? In questa guida avanzata esamineremo:

  • I principali obblighi familiari (assegno di mantenimento per figli e coniuge) e le conseguenze del loro mancato pagamento, sia civili che penali.
  • Le diverse tipologie di debiti personali (verso banche, Fisco, privati, ecc.) con i relativi rischi (pignoramenti di stipendio, casa, ecc.) e le tutele previste (es. limiti di pignorabilità).
  • Gli strumenti giuridici per gestire o ridurre i debiti, dai piani di rientro alle procedure di sovraindebitamento introdotte dalla normativa italiana (Legge 3/2012 e nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza), compresa l’esdebitazione (cancellazione dei debiti residui) e le recenti novità fino al 2025.
  • Consigli pratici su come comportarsi per proteggere i propri diritti di debitore senza incorrere in ulteriori sanzioni, mantenendo al contempo l’adempimento delle responsabilità familiari.

Obblighi di mantenimento familiare dopo il divorzio

Quando un matrimonio finisce, le disposizioni del tribunale (nella sentenza di separazione o divorzio) stabiliscono gli obblighi economici a carico di ciascun coniuge. In particolare, un padre divorziato tipicamente deve:

  • Contribuire al mantenimento dei figli, minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti, in misura proporzionale al proprio reddito (art. 337-ter Cod. Civ.). Ciò si concretizza spesso in un assegno mensile da versare al genitore collocatario dei figli, destinato a vitto, alloggio, istruzione, spese ordinarie dei minori. Inoltre, sono previsti oneri straordinari (spese mediche, scolastiche, sportive, ecc.) generalmente da concordare o divisi al 50% fra i genitori.
  • Versare un assegno di mantenimento all’ex coniuge, se previsto. Questo accade quando l’ex moglie (o marito) non ha mezzi adeguati o non può procurarseli per ragioni oggettive. In caso di divorzio si parla di assegno divorzile (che dal 2017 è basato sul criterio dell’indipendenza economica dell’ex coniuge, non più sul tenore di vita matrimoniale, salvo matrimoni molto lunghi). Non tutti i padri divorziati devono tale assegno: dipende dalla situazione economica comparativa dei coniugi e dalla presenza di figli.

Questi obblighi di natura alimentare hanno carattere prioritario e inderogabile: sono previsti dalla legge e vincolanti sino a quando il giudice non li modifichi. Il padre non può unilateralmente sospendere o ridurre il mantenimento deciso dal tribunale, neppure in caso di difficoltà economiche, senza incorrere in conseguenze legali. Se la situazione finanziaria del genitore peggiora drasticamente (es. perdita del lavoro, nuovi debiti importanti), l’unica strada è chiedere formalmente una revisione dell’assegno al tribunale, provando i “giustificati motivi” sopravvenuti (art. 9 L. 898/1970 per il divorzio, art. 337-quater c.c. per figli). In assenza di una modifica giudiziale, l’importo originario resta dovuto ogni mese.

Vediamo ora nel dettaglio cosa accade se il padre non riesce a pagare l’assegno di mantenimento nelle modalità stabilite, distinguendo le conseguenze civili (sul piano del recupero crediti e dei provvedimenti sul diritto di famiglia) dalle conseguenze penali (eventuale reato di violazione degli obblighi familiari).

Cosa succede se non pago l’assegno di mantenimento?

Conseguenze civili e strumenti di recupero

Sul piano civile, il mancato pagamento (o pagamento solo parziale) dell’assegno di mantenimento fa maturare un debito arretrato nei confronti del beneficiario (ex moglie o figli). Tale credito gode di particolare tutela e accelerazione nelle procedure esecutive. Le principali conseguenze e rimedi sono:

  • Decreto ingiuntivo e pignoramento: l’ex coniuge o l’altro genitore può ottenere rapidamente un decreto ingiuntivo per le somme arretrate di mantenimento e attivare il pignoramento dei beni del padre obbligato. In particolare, è frequente il pignoramento dello stipendio o del conto corrente. Poiché il credito per alimenti ha natura privilegiata, la legge consente di pignorare una quota maggiore del reddito rispetto ai creditori ordinari: fino a metà dello stipendio (50%) può essere trattenuta per soddisfare gli alimenti dovuti. In ogni caso, la somma totale di tutte le trattenute sullo stipendio non può superare il 50% del netto mensile. Ad esempio, se un padre ha uno stipendio netto di 1.500€, il massimo pignorabile complessivamente (considerando anche eventuali altri debiti) è 750€; e l’assegno di mantenimento ha priorità su altre trattenute.
  • Ordine di pagamento diretto del datore di lavoro: il nostro ordinamento prevede un meccanismo speciale per garantire tempestività nei versamenti familiari. Ai sensi dell’art. 156 c.c. (per la separazione) e dell’art. 8 L. 898/1970 (per il divorzio), se l’obbligato risulta inadempiente, il giudice può ordinare che l’assegno mensile venga pagato direttamente dal datore di lavoro o dall’ente pensionistico, prelevandolo alla fonte dalla retribuzione del padre. Tale provvedimento assicura che le somme future vengano corrisposte puntualmente. Va notato che tale ordine diretto si applica alle rate di mantenimento correnti, non automaticamente agli arretrati già accumulati (per i quali si procede con pignoramento).
  • Interessi moratori e sanzioni civili: sulle somme di mantenimento non pagate maturano interessi legali per il ritardo. Inoltre, con la riforma del “Processo Famiglia” (D.lgs. 149/2022, cd. Riforma Cartabia), il giudice può imporre al genitore inadempiente una penale pecuniaria per ogni giorno di ritardo nel pagamento. Si tratta di una misura di coercizione indiretta introdotta nel nuovo art. 473-bis.39 c.p.c. Ad esempio, il Tribunale di Verona nel 2025 ha sanzionato d’ufficio un padre fissando 100 euro di multa per ogni giorno di mancato versamento dell’assegno. Questo provvedimento – mai utilizzato prima – ha avuto effetto immediato: l’obbligato ha saldato le somme dovute per non aggravare ulteriormente il debito. Tali astreintes (penali di mora) mirano a dissuadere ritardi e inosservanze.
  • Possibili modifiche all’affidamento dei figli: l’inadempimento sistematico degli obblighi economici verso i figli può influire negativamente sulla valutazione dell’idoneità genitoriale. I tribunali hanno ritenuto che il mancato mantenimento costituisca una forma di grave inadempienza verso i doveri genitoriali. In casi estremi e reiterati, il giudice può disporre la sospensione o perdita della responsabilità genitoriale o modificare l’affidamento, passando da condiviso a esclusivo in favore dell’altro genitore. Ad esempio, la giurisprudenza ha sancito che non pagare regolarmente il mantenimento alla prole può giustificare l’affidamento esclusivo all’altro genitore (c.d. affidamento super-esclusivo), togliendo al padre inadempiente poteri decisionali data la sua condotta non responsabile.

In sintesi, dal lato civilistico è fondamentale prevenire gli inadempimenti: se prevedi di non riuscire a pagare, attivati subito legalmente. Le opzioni includono: rivolgersi al giudice per chiedere una riduzione o sospensione dell’assegno (motivati da nuovi fatti, ad es. perdita del lavoro, sopravvenuta malattia, ecc.), oppure trovare un accordo temporaneo con l’ex coniuge (comunque da omologare). Ciò che non è ammesso è decidere unilateralmente di non pagare o di “compensare” l’assegno con altre spese sostenute. Su questo punto la giurisprudenza è chiara: ad es. non si può sospendere il mantenimento sostenendo di aver pagato spese straordinarie per il figlio; l’assegno mensile non è compensabile con altre voci. Qualsiasi pretesa di modifica deve passare dal giudice.

Caso pratico: Tizio, padre divorziato, ritiene di non dover più pagare l’assegno di €300 al mese perché la figlia maggiorenne ha trovato un lavoro part-time. Errore da evitare: smettere di pagare di propria iniziativa. La strada corretta è presentare un ricorso per far dichiarare cessato l’obbligo di mantenimento (se ne ricorrono i presupposti di autosufficienza economica della figlia). Fino a nuova decisione, Tizio deve continuare i versamenti, altrimenti rischia – oltre all’accumulo di arretrati – azioni esecutive immediate, maggiorazioni per mora e possibili denunce. In generale, comunicare prontamente le difficoltà economiche all’ex coniuge e dimostrare buona fede (ad esempio versando anche importi parziali secondo le proprie possibilità) può evitare un irrigidimento legale immediato. Ma senza un provvedimento di modifica, l’obbligo originario rimane in vigore.

Di seguito, una tabella riepiloga le principali conseguenze civili del mancato pagamento dell’assegno familiare e le relative tutele per i creditori alimentari (moglie/figli):

Conseguenze civili dell’inadempimentoDescrizione e tutele
Esecuzione forzataL’ex coniuge può agire subito con decreto ingiuntivo per gli arretrati e pignorare beni del debitore. In particolare:Stipendio/Pensione – pignorabile fino a 1/2 per alimenti dovuti (anziché 1/5 per debiti ordinari), nel limite del 50% cumulado con altri pignoramenti.Conto corrente – pignoramento delle somme depositate (saldo disponibile al momento della notifica).Beni mobili/immobili – possibile, ma nella pratica l’azione tipica è sul reddito. Il credito per mantenimento ha privilegio generale sui mobili del debitore (art. 2751-bis n.4 c.c.).
Ordine al terzo (datore di lavoro)Previsto dall’art. 156 c.c. e norme speciali divorzio: il giudice può ordinare al datore di lavoro o ente pensione di versare direttamente una quota dello stipendio/pensione all’avente diritto. Garantisce i pagamenti futuri mensili, evitando ulteriore inadempimento. Non vale per il pregresso (che va recuperato via pignoramento).
Interessi e penali di moraSulle somme non pagate maturano interessi legali dall’esigibilità. Inoltre, con la riforma 2022, il tribunale può imporre d’ufficio una penale per ogni giorno di ritardo (art. 473-bis.39 c.p.c.): es. €100/giorno di ritardo. Ciò incentiva il rapido adempimento: in un caso a Verona 2025, il padre ha immediatamente saldato per evitare l’aggravio. La penale si aggiunge al dovuto e non sostituisce i normali interessi.
Ripercussioni sull’affidamentoL’inosservanza grave e prolungata degli obblighi di mantenimento può portare a revisioni nei provvedimenti sui figli. Il giudice tutelare o del divorzio può limitare la responsabilità genitoriale del debitore inadempiente, fino a disporre l’affidamento esclusivo all’altro genitore. Ciò avviene se la condotta omissiva denota mancanza di responsabilità tale da ledere l’interesse dei figli (es. costringendo l’altro genitore a supplire integralmente).

Profili penali: il reato di violazione degli obblighi familiari (art. 570-bis c.p.)

L’inadempimento dell’assegno di mantenimento non è rilevante solo in sede civile. Può configurare anche un reato penale, introdotto nel 2018 proprio per punire chi volontariamente elude i propri obblighi economici verso i familiari dopo una separazione o divorzio. Si tratta dell’art. 570-bis del Codice Penale, rubricato “Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o scioglimento del matrimonio”.

Secondo tale norma, commette reato l’ex coniuge che omette di versare l’assegno di mantenimento stabilito dal giudice (o concordato tra le parti) a favore dei figli o dell’altro coniuge. Le pene previste sono le stesse dell’art. 570 c.p. comma 2 n.2 (violazione degli obblighi di assistenza familiare generica): ovvero la reclusione fino a 1 anno o la multa fino a 1.032 €. Si tratta dunque di un reato contravvenzionale (punito alternativamente con arresto o ammenda) e procedibile d’ufficio, data la natura di tutela familiare.

La ratio della norma è chiara: estendere la punibilità a qualsiasi inadempimento delle disposizioni economiche legate a separazione/divorzio, senza più limitarsi alla vecchia fattispecie di far mancare i “mezzi di sussistenza”. In passato, infatti, l’art. 570 c.p. puniva solo chi abbandonava la famiglia facendo mancare il necessario per la vita, soglia interpretata in modo restrittivo (era penalmente rilevante il genitore che lasciava i figli nella miseria, non chi pagava meno dell’importo stabilito purché il minimo vitale fosse garantito). Con l’art. 570-bis c.p., ogni scostamento dalle statuizioni del giudice in materia di mantenimento familiare diventa penalmente sanzionabile. In altre parole, “ora ogni inosservanza acquista rilevanza penale”: se il giudice ha fissato 300€, pagare 0, 100 o 200 € è comunque violazione dell’ordine ed espone a incriminazione (a prescindere dal fatto che i figli abbiano o meno sofferto la fame).

Ecco i punti salienti da tenere presente sul piano penale:

  • Soglia di rilevanza e condotta: il reato si concretizza con la “omessa corresponsione” (anche parziale) di quanto dovuto secondo il provvedimento di separazione/divorzio. Non è richiesto che il beneficiario versi in stato di bisogno effettivo (differenza rispetto all’art. 570 c.p.). Basta la violazione dell’obbligo formalizzato. Sono compresi, come chiarito dalla Cassazione 2025, anche gli oneri straordinari per i figli posti a carico del genitore nel titolo: ad es. se l’accordo prevede che il padre paghi il 50% di spese mediche o scolastiche, il mancato versamento di tali importi integra il reato ex art. 570-bis. La Suprema Corte ha infatti affermato che rientrano negli “obblighi di natura economica in materia di affidamento dei figli” tutti i contributi previsti dal giudice o dagli accordi, non solo l’assegno periodico.
  • Soggetti tutelati: la norma parla di “ex coniuge” e pertanto si applica in modo diretto ai casi di separazione legale o divorzio. Per i figli nati fuori dal matrimonio, la giurisprudenza inizialmente si era interrogata sull’applicabilità (poiché tecnicamente i genitori naturali non sono “coniugi”). L’orientamento oggi prevalente è estensivo: l’art. 570-bis c.p. tutela anche i figli di coppie non coniugate, in quanto la tutela penale degli obblighi di mantenimento deve essere uguale per tutti i figli. La Cassazione ha infatti ricondotto anche questi casi alla fattispecie (superando alcune pronunce di merito discordanti del 2018). In sintesi, tutti i genitori obbligati a un assegno periodico (per decisione giudiziale) sono soggetti attivi potenziali del reato se non adempiono.
  • Elemento soggettivo (dolo e cause di esclusione): trattandosi di reato omissivo, è punito il dolo generico, ossia la volontà cosciente di non ottemperare al pagamento. Non è reato la mera impossibilità assoluta di pagare per mancanza di mezzi: tuttavia, l’onere della prova dell’impossibilità grava sull’imputato, e i giudici la valutano con estremo rigore. La Cassazione (Sez. VI, sent. 2098/2024) ha chiarito che l’“assoluta impossibilità” di adempiere, che escluderebbe il dolo, non si identifica con la semplice indigenza, ma va verificata concretamente considerando (tra l’altro) importo dell’assegno, redditi dell’obbligato, sforzi fatti per procurarsi un reddito, esigenze vitali sue e il contesto socioeconomico. In pratica, occorre bilanciare il diritto dei figli a essere mantenuti con il diritto dell’obbligato a “non rinunciare a condizioni di dignitosa sopravvivenza”. Se il padre prova che pagare avrebbe significato per lui togliersi il necessario per vivere dignitosamente, può essere escluso il dolo e dunque il reato. Ad esempio, in un caso deciso dal Tribunale di Potenza nel 2024, un padre separato che viveva in povertà documentata (reddito quasi nullo, disoccupazione prolungata) è stato assolto perché il fatto non sussiste: si è ritenuto che la sua grave e persistente incapienza economica escludeva la colpevolezza penale, specie in assenza di un impatto apprezzabile sul tenore di vita del figlio (il minore non era rimasto privo dei mezzi essenziali grazie all’altro genitore). Questa sentenza ribadisce che non vi è “responsabilità penale automatica” per il solo inadempimento materiale: serve accertare la colpevolezza, valutando se il mancato pagamento ha realmente compromesso il soddisfacimento dei bisogni primari del beneficiario e se l’omissione era evitabile dall’obbligato. Naturalmente, situazioni così estreme devono essere comprovate con puntiglio (dichiarazioni dei redditi, documenti attestanti disoccupazione, condizioni di salute, ecc.).
  • Procedura e sanzioni: il reato in questione è punito, come detto, con pena alternativa (arresto fino a 1 anno oppure multa fino a 1.032€). Nella prassi, in caso di condanna, il giudice spesso infligge una multa oppure una pena detentiva sospesa condizionalmente (se incensurato). La condanna comporta comunque l’iscrizione nel casellario (fedina penale sporca) e la condanna civile al risarcimento dei danni a favore della parte offesa, che tipicamente coincide con l’importo degli arretrati dovuti (o delle maggiori spese affrontate dall’altro genitore). Non sono rare formule come: 3 mesi di reclusione, pena sospesa, e pagamento di €X a titolo di risarcimento danni in favore della ex moglie. Va segnalato che se l’obbligato paga integralmente gli arretrati prima del giudizio, ciò non estingue automaticamente il reato (non è un reato estinguibile con condotta riparatoria spontanea), ma può incidere positivamente in sede di giudizio (ad esempio portando all’applicazione delle attenuanti generiche e a pene minime). In alcuni casi, il tempestivo pagamento può indurre la parte offesa a rimettere la querela se il procedimento era a querela: tuttavia, per l’art. 570-bis c.p. la procedibilità è d’ufficio, quindi la remissione di querela non rileva.

In definitiva, il messaggio chiave è: non pagare l’assegno di mantenimento è estremamente rischioso, perché espone a doppia responsabilità: civile (si accumula un debito coercibile con interessi, sanzioni e possibili misure sui figli) e penale (si rischia un procedimento che può portare a condanna). L’ordinamento tutela in modo stringente i creditori alimentari (figli e coniuge): l’ex coniuge che non ottiene il dovuto può sia agire esecutivamente sia sporgere denuncia. Dal punto di vista del padre debitore, se la difficoltà è reale e involontaria, la cosa migliore da fare è attivarsi subito legalmente per trovare una soluzione (chiedere modifica dell’assegno, spiegare al giudice la nuova situazione) prima che i mancati pagamenti degenerino in cause e denunce.

Di seguito, una tabella di confronto tra le conseguenze civili e penali dell’omissione del mantenimento familiare:

Inadempimento assegno: conseguenze civiliInadempimento assegno: conseguenze penali
Debito esigibile verso ex coniuge/figli per gli importi non pagati (con interessi).Reato ex art. 570-bis c.p., punito con reclusione fino a 1 anno o multa fino a €1.032. Procedibile d’ufficio; possibile condanna penale con fedina penale.
Esecuzione forzata immediata: pignoramento stipendio (fino metà), conto, ecc. Possibile ordine al datore per pagamenti futuri.Configurato per qualsiasi violazione degli obblighi economici di separazione/divorzio, anche parziale (non serve far mancare i mezzi di sussistenza). Comprende anche mancato rimborso di spese straordinarie per i figli.
Astreintes: penale da € X al giorno di ritardo (ex art. 473-bis.39 c.p.c.) a discrezione del giudice.Dolo richiesto: volontaria sottrazione all’obbligo. L’impossibilità assoluta incolpevole di pagare può escludere il reato, ma va provata rigorosamente caso per caso.
Rischio perdita affido condiviso: possibile affidamento esclusivo all’altro genitore per inadempienze gravi e protratte; valutazione di inidoneità genitoriale.No automatismi estintivi: il pagamento tardivo non estingue il reato (procedibilità d’ufficio), ma può influire sulla pena. Previsto risarcimento civile del danno alla parte offesa in caso di condanna.

Conclusione pratica: se un padre divorziato non è in grado di sostenere l’assegno stabilito, non deve aspettare di accumulare debiti e denunce. È consigliabile agire tempestivamente: documentare la propria situazione economica (es. perdita del lavoro, debiti sopravvenuti) e rivolgersi a un avvocato per presentare ricorso di modifica delle condizioni familiari. Nel frattempo, versare quanto più possibile secondo le proprie forze (anche importi parziali regolari) può dimostrare la buona volontà di contribuire e mitigare le conseguenze, oltre a ridurre l’ammontare dell’esposizione. L’atteggiamento collaborativo, unito al ricorso nelle sedi opportune, è l’unica strada per evitare di incorrere nelle severe sanzioni previste.

Altri debiti personali del padre divorziato: tipologie e rischi

Oltre agli obblighi di mantenimento, un padre divorziato può avere sulle spalle numerosi debiti di altra natura. Spesso la crisi familiare si accompagna a difficoltà finanziarie più ampie: pensiamo a chi, dopo il divorzio, deve sostenere spese abitative separate, magari ha perso il lavoro o l’attività d’impresa ha subito un calo, con conseguenti esposizioni verso banche e creditori vari. In questa sezione analizziamo i principali tipi di debito che una persona fisica può avere, e le rispettive conseguenze in caso di insolvenza. In particolare vedremo: debiti bancari, debiti fiscali (Erario e enti locali), debiti verso privati o fornitori, debiti condominiali, multe/sanzioni e altri eventuali. Comprendere la natura di ciascun debito è importante perché le procedure di recupero e le soluzioni possibili differiscono.

Ecco una panoramica delle categorie di debiti più comuni per un privato e cosa può succedere se non si paga:

  • Debiti bancari e finanziari: mutui ipotecari, prestiti personali, finanziamenti al consumo (es. cessione del quinto, carte di credito revolving). Le banche e finanziarie, in caso di mancato pagamento delle rate, possono innanzitutto inviare solleciti e segnalare il cliente come cattivo pagatore nelle banche dati creditizie. Sul piano legale, avvieranno un’azione di recupero crediti: spesso ottengono un decreto ingiuntivo e poi procedono con pignoramenti. Se c’è un mutuo ipotecario su un immobile (es. la casa di famiglia), il bene può essere pignorato ed espropriato: la banca, essendo creditore ipotecario, ha diritto di far vendere la casa all’asta per soddisfarsi sul ricavato. Va segnalato che la legge italiana offre alcune tutele per la prima casa solo nei confronti del Fisco (lo vedremo a breve), ma non protegge dal pignoramento della casa da parte di creditori privati o bancari: se smettiamo di pagare il mutuo, la banca può iscrivere ipoteca (se non già presente) e procedere all’esecuzione forzata dell’immobile indipendentemente dal fatto che sia l’unica casa o abitazione principale del debitore. Oltre alla casa, il creditore bancario può colpire redditi e conti: ad esempio un finanziamento non rimborsato può portare al pignoramento dello stipendio (fino al classico limite di 1/5 per i crediti ordinari, pari al 20% dello stipendio netto). Un caso comune: padri divorziati che hanno contratto prestiti per sostenere le spese familiari (arredare la nuova casa, liquidare la ex coniuge con una somma una tantum, ecc.) e poi, sopraffatti dalle rate, subiscono il pignoramento di parte dello stipendio da parte della finanziaria. Soluzioni possibili: con la banca/finanziaria si può tentare una rinegoziazione del mutuo (allungando i tempi per abbassare la rata) o una sospensione temporanea delle rate (alcune normative – es. moratorie ABI – lo consentono in certi casi, come perdita lavoro). Se l’insolvenza è definitiva, un accordo di saldo e stralcio (pagare un importo inferiore a saldo del debito) talvolta è negoziabile, specie su prestiti non garantiti. Altrimenti, come vedremo più avanti, i debiti bancari possono rientrare in un piano di sovraindebitamento per essere ristrutturati o parzialmente esdebitati.
  • Debiti verso il Fisco (Erario) e enti pubblici: includiamo qui imposte non pagate (IRPEF, IVA, IMU, ecc.), contributi previdenziali INPS, cartelle esattoriali dell’Agenzia Entrate Riscossione (AER, ex Equitalia), nonché sanzioni amministrative come multe stradali, tariffe rifiuti comunali e affini, che spesso confluiscono anch’esse in cartelle esattoriali. Questi debiti si caratterizzano per il fatto che il creditore è pubblico e la riscossione è affidata a un ente con poteri speciali (Agenzia Entrate Riscossione) che può agire senza dover ricorrere al tribunale. Se un padre divorziato ha, ad esempio, arretrati IRPEF o cartelle per mancato pagamento di contributi, cosa può succedere? L’AdER dopo la notifica della cartella esattoriale (o di un avviso di accertamento esecutivo) può procedere con misure cautelari ed esecutive proprie: il fermo amministrativo dei veicoli (iscrizione di un fermo sul PRA che impedisce di usare/vendere l’auto) per debiti anche relativamente modesti; l’ipoteca sugli immobili per debiti sopra €20.000; e infine il pignoramento di stipendi, conti, immobili. Per stipendio e pensione, tuttavia, esistono specifici limiti per AdER: sul conto corrente del debitore possono essere lasciate libere somme pari al triplo dell’assegno sociale (circa €1.500) se vi affluiscono pensione/stipendio, mentre sullo stipendio in corso di pignoramento si applicano aliquote progressive (10% per stipendi fino €2.500, 1/7 tra €2.500 e 5.000, 1/5 oltre €5.000). Inoltre, la pensione minima (il “minimo vitale”, circa €1.000 nel 2023) non è toccabile. Per quanto riguarda la prima casa, una tutela introdotta dal 2013 (D.L. 69/2013) impedisce all’Agente della Riscossione di pignorarla se: è l’unico immobile di proprietà del debitore, vi risiede anagraficamente, e il debito fiscale è inferiore a €120.000. In tal caso, l’AdER non può procedere alla vendita all’asta dell’immobile (potrà tutt’al più iscrivere ipoteca per cautela). Se però il debito supera €120.000 (e sussistono altre condizioni di legge), anche la prima casa può essere espropriata dal Fisco. Invece creditori privati (banche, ecc.) possono pignorare la prima casa senza quei limiti. Soluzioni per debiti fiscali: la legge prevede strumenti come la rateizzazione delle cartelle (fino a 72 rate mensili, o 120 rate in casi di grave e comprovata difficoltà) che si può chiedere direttamente ad AdER per importi anche alti, bloccando nel frattempo azioni esecutive. In periodi recenti, il legislatore ha varato misure di “definizione agevolata” (es. rottamazione delle cartelle), l’ultima nel 2023, che consentono di pagare il debito fiscale senza sanzioni e interessi di mora, in forma dilazionata. Se il padre debitore ha cartelle esattoriali, è importante verificare se può aderire a tali sanatorie quando sono aperte. Per debiti fiscali molto elevati e non sostenibili, l’inclusione in una procedura di sovraindebitamento (piano del consumatore o liquidazione) è possibile e spesso vantaggiosa, fermo restando che alcune componenti (es. interessi, sanzioni) possono essere falcidiate mentre il capitale dell’imposta va in linea di massima pagato almeno parzialmente, salvo diverse disposizioni. Va ricordato che alcuni debiti pubblici non sono “cancellabili” nemmeno con le procedure concorsuali minori: ad esempio le sanzioni amministrative (multe stradali) e le sanzioni penali pecuniarie non possono essere esdebitate (come vedremo, rientrano tra i debiti esclusi dall’esdebitazione).
  • Debiti verso privati (prestatori, fornitori, locatore, ecc.): qui rientrano tutte le obbligazioni contratte con soggetti privati non bancari. Ad esempio: debiti con fornitori se il padre era un piccolo imprenditore o professionista, canoni di affitto arretrati verso il proprietario di casa, denaro avuto in prestito da amici o parenti, bollette di utenze domestiche non pagate, ecc. Questi creditori, per recuperare, devono seguire la via giudiziale ordinaria (diffida, decreto ingiuntivo, pignoramento). Non hanno privilegi particolari (tranne casi specifici: il proprietario di casa ha privilegio per le ultime annualità di affitto sul contenuto dell’immobile affittato; il venditore di un bene ha privilegio sul bene venduto finché è in possesso del compratore, ecc.), quindi competono con gli altri crediti chirografari. Tuttavia, in caso di pignoramento dello stipendio, anche i privati concorrono nella quota di 1/5 salvo che non vi sia già un pignoramento alimentare. Esempio tipico: un padre che dopo il divorzio avvia una piccola ditta individuale accumula debiti con fornitori e non riesce a saldarli; i fornitori ottengono decreti e pignorano i suoi conti o la sua auto. Oppure, il padre lascia insolute diverse bollette: le società di servizi (telefono, luce) lo segnalano a società di recupero crediti che lo tempestano di chiamate e possono avviare causa se il debito è rilevante. Soluzioni: spesso i crediti privati non bancari si prestano a transazioni a saldo e stralcio – specie se il debitore non ha beni aggredibili facilmente. Si può cercare di negoziare uno sconto pagando qualcosa subito. Se la persona ha molti debiti di questo genere (diffusi e di importo variabile), ricorrere a una procedura di composizione della crisi (piano del consumatore o liquidazione) consente di gestirli in modo accentrato e sotto controllo del tribunale, evitando una pioggia di pignoramenti scoordinati.
  • Debiti condominiali e spese di casa: un padre divorziato spesso deve sostenere le spese di un nuovo alloggio. Se è proprietario di un appartamento in condominio, deve pagare le quote condominiali. Se in crisi, può accumulare morosità condominiale. Attenzione: i crediti del condominio hanno un regime di favore. L’amministratore può ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo per le quote non pagate (art. 63 Disp. Att. c.c.) e ha privilegio sugli immobili del condòmino moroso. Ciò significa che il condominio può iscrivere ipoteca ed eventualmente chiedere il pignoramento e la vendita dell’immobile per recuperare le somme dovute. Quindi, il rischio di perdere la casa esiste anche per “piccoli” debiti condominiali, se ignorati: l’asta viene evitata solo perché di solito interviene prima la banca (in caso di mutuo), ma se l’immobile è libero da ipoteche, anche 5-10 mila euro di quote condominiali insolute possono portare all’esecuzione. Se invece il padre è in affitto e non paga i canoni, il proprietario di casa potrà sfrattarlo (per morosità) e chiedere un decreto ingiuntivo per le mensilità arretrate, procedendo poi sul suo patrimonio. Prevenire: in situazioni di difficoltà, è consigliabile mettere al corrente l’amministratore o il locatore e trovare piani di rientro, perché queste figure tendono ad agire molto velocemente per tutelare gli altri condòmini o i propri interessi. Anche i debiti condominiali e locativi possono rientrare in piani di sovraindebitamento.
  • Debiti per cause legali, risarcimenti o garanzie: infine, il padre divorziato potrebbe trovarsi a dover pagare somme derivanti da sentenze o atti di garanzia. Ad esempio, se è stato condannato in una causa civile a risarcire danni (es. in seguito a un incidente stradale non coperto da assicurazione) oppure se aveva fatto da fideiussore per un debito altrui e il creditore escute lui. Queste situazioni producono debiti civili esigibili similmente agli altri. Se è un risarcimento per fatto illecito (es. incidente, lesioni, diffamazione), rientra tra i debiti non esdebitabili (non cancellabili) nelle procedure concorsuali, per espressa previsione di legge, a tutela delle vittime. Quindi, se anche ottiene l’esdebitazione, tali debiti per danni extracontrattuali restano comunque dovuti. Se ha prestato garanzia personale (fideiussione) per un debito altrui (es. per l’azienda della ex moglie, o per un parente) e questo non paga, il padre divorziato rischia di dover pagare lui: diventando obbligato in solido, subirà le stesse azioni che il creditore avrebbe fatto verso il debitore principale. Anche questi debiti possono essere oggetto di procedure di composizione, ma attenzione che l’esdebitazione non libera gli eventuali coobbligati che non partecipino alla procedura (art. 284 CCII mantiene il principio che la liberazione è solo per il debitore sovraindebitato, i fideiussori rimangono obbligati verso i creditori se non sono anch’essi parte dell’accordo).

Riassumiamo in una tabella le principali categorie di debiti personali e le loro caratteristiche in termini di azioni dei creditori e soluzioni:

Tipo di debitoAzioni dei creditori / Note principaliPossibili rimedi per il debitore
Debiti bancari e finanziari(mutuo casa, prestiti, carte di credito)Creditori: banche, finanziarie.Mancato pagamento rate → segnalazione CRIF (cattivo credito).Mutuo ipotecario: banca può pignorare l’immobile ipotecato e venderlo all’asta (nessuna impignorabilità per prima casa verso privati).Prestiti chirografari: azione monitoria e pignoramento di stipendio (max 1/5) e conti.Rinegoziazione: allungare il piano di ammortamento per ridurre la rata.- Moratoria: sospensione temporanea rate (se prevista da accordi ABI o normative emergenziali).- Saldo e stralcio: accordo transattivo per chiudere il debito a fronte di pagamento parziale immediato (spesso praticabile se il credito è in sofferenza).- Sovraindebitamento: inserire il debito in un piano del consumatore o liquidazione per ridurre importo e dilazionare con omologa del tribunale.
Debiti fiscali e contributivi(cartelle Agenzia Entrate Riscossione, tributi, INPS)Creditori: Erario (AE/AER), enti previdenziali, Comuni (multe, TARI).AER può agire senza giudice: fermo amministrativo auto, ipoteca immobili (>€20k), pignoramento stipendio (aliquote 1/10, 1/7, 1/5 a seconda importo) e conto, fino al 50% se concorre con alimenti.Prima casa: impignorabile da AER se unica e debitore vi risiede + debito < €120k (diverso se debito sopra soglia).Maturano interessi di mora e aggio riscossione.Prescrizioni brevi (5 anni di regola per tributi) ma interruzioni frequenti (notifiche).Rateizzazione AER: fino a 6 anni (72 rate) ordinaria; 10 anni (120 rate) straordinaria con requisiti. Evita azioni esecutive se concessa e rispettata.- Definizioni agevolate: verificare rottamazioni/condoni in vigore (es. stralcio automatico mini-cartelle <€1.000 antecedenti 2015, deciso dalla L. 197/2022).- Sovraindebitamento: possibile includere debiti fiscali in un accordo/piano; il capitale di imposta di solito va pagato almeno in parte, ma interessi e sanzioni possono essere falcidiati. Le multe e sanzioni pecuniarie non si cancellano con esdebitazione.- Contenzioso: se il debito fiscale è contestabile (vizi di notifica o merito), valutare ricorso tributario per ridurlo/annullarlo.
Assegni di mantenimento arretrati(obblighi familiari)Creditori: ex coniuge, figli (tutelati da rappresentante).Crediti alimentari privilegiati: pignoramento stipendio fino metà.Possibile ordine diretto a datore per pagamenti futuri.Interessi legali dal dovuto.NON compensabili con altre spese.NON soggetti a esdebitazione in procedure concorsuali: restano sempre dovuti.Rischio azione penale (art. 570-bis c.p.) se l’omissione è volontaria.Modifica condizioni: agire in tribunale per ridurre/sospendere l’assegno se sopravvenuta significativa diminuzione reddito.- Accordo transattivo col coniuge per dilazionare gli arretrati, magari evitando la querela (comunque il reato è d’ufficio, ma una vittima soddisfatta potrebbe non sollecitare oltre). Formalizzare sempre gli accordi dal giudice.- Priorità nei pagamenti: dare precedenza a questi debiti vitali rispetto ad altri (es. preferibile saltare una rata mutuo – negoziabile – che l’assegno figli, che ha conseguenze penali). Cercare supporto familiare temporaneo se possibile per onorare almeno in parte il mantenimento.
Debiti verso privati e fornitori(bollette, affitto, forniture, prestiti personali)Creditori: locatore, utenze (energia, telefono), fornitori vari, amici/parenti creditori, ecc.Azione ordinaria: decreto ingiuntivo, pignoramento beni (stessa procedura crediti comuni).No privilegi speciali (salvo eccezioni di legge su beni specifici es. locatore su mobilio affittato).Possibile cessione a società recupero crediti (che sollecitano pagamenti rateali).Saldo e stralcio: spesso praticabile perché il creditore privato preferisce incassare qualcosa subito. Negoziare con offerte ragionevoli (es. 50% del dovuto in un’unica soluzione se disponi di liquidità da terzi).- Piano di rientro bonario: ad es. rate mensili senza interessi, con scrittura privata, per evitare il giudizio.- Opposizione legale: verificare se il credito è certo ed esigibile; in alcuni casi ci sono vizi (prescrizione di bollette dopo 5 anni, difetti formali) per opporsi.- Sovraindebitamento: unire tutti questi debiti dispersi in un’unica procedura dove proporre il pagamento parziale secondo le possibilità.
Spese condominiali / Canoni locazioneCreditori: condominio (amministratore), proprietario di casa.Morosità condominiale: decreto ingiuntivo immediato, ipoteca su immobile, possibile pignoramento e vendita coattiva (credito con privilegio immobiliare).Affitto: sfratto per morosità (rilascio immobile in ~2-3 mesi dal ricorso) + decreto ingiuntivo per affitti scaduti; pignoramento beni dell’inquilino.Negoziazione: parlare con amministratore/locatore appena sorgono difficoltà; proporre un piano di rientro (es. condominio: spalmare arretrati su tot mesi). Spesso l’amministratore accetta se mostri serietà, per evitare costi legali ai condomini.- Fondo di garanzia: dal 2020 esiste un Fondo statale morosità incolpevole per affitti (perdita reddito >30%) – può aiutare a saldare alcune mensilità arretrate se rientri nei parametri ISEE.- Sovraindebitamento: include anche queste posizioni; il condominio come creditore partecipa al piano/accordo, evitando l’azione immediata.- Vendita volontaria immobile: se non riesci a sostenere mutuo + condominio, valutare di vendere la casa prima che venga pignorata: spesso si ottiene un prezzo migliore dell’asta e si saldano i debiti, evitando di perdere tutto l’equity.
Debiti da risarcimento danni o garanzie(cause civili, fideiussioni)Creditori: soggetti vittime di illeciti, banche/finanziarie per escussione di garanzie.Risarcimento danni: titolo esecutivo (sentenza) → pignoramenti come sopra. Non esdebitabile se danno extracontrattuale (es. delitti).Fideiussione: se debitore principale non paga, creditore escute il garante (padre) → azioni di recupero analoghe. Il garante ha diritto di regresso verso il debitore principale (spesso teorico se questi è insolvente).Transazione: con la vittima di un danno, talvolta si può negoziare un pagamento rateale o ridotto (specie se la persona offesa dubita della solvibilità del responsabile, potrebbe preferire un accordo subito).- Assicurazioni: verificare se esiste polizza che copre il sinistro (es. RC capofamiglia, etc.) per attivarla.- Sovraindebitamento: si può includere nel piano, ma il debito non verrà cancellato dall’esdebitazione per espressa legge: tuttavia una dilazione durante la procedura può essere concessa.- Coinvolgere coobbligati: se hai garanti o co-debitori, far sì che partecipino anche loro alla procedura (accordo di composizione o piano congiunto) in modo che anche loro siano liberati dai debiti residui.

Nota sui beni indispensabili: la legge tutela alcuni beni del debitore da qualsiasi pignoramento, a prescindere dal tipo di credito. Ad esempio, non si possono pignorare gli strumenti indispensabili al lavoro del debitore (in misura minima necessaria), né gli oggetti di stretta necessità per la vita quotidiana (letto, frigorifero, cucina, abiti, ecc. – art. 514 c.p.c.). Dunque, nessun creditore può portar via “tutto”: è garantito un minimo per la dignità. Anche una parte del salario è sempre salva – come visto, almeno il 50% deve restare al lavoratore anche sommando più pignoramenti, e per i pignoramenti fiscali addirittura di più sulle fasce basse. Questa protezione però, sebbene importante, non risolve il problema: evita l’azzeramento totale delle risorse, ma lascia comunque il debitore con una porzione di reddito decurtata che potrebbe non bastare a onorare tutti i debiti. Ecco perché, in caso di indebitamento pesante, è opportuno valutare strumenti più strutturati di composizione della crisi, come esamineremo ora.

Strumenti legali per gestire o ridurre i debiti

Affrontare una condizione di sovraindebitamento – quando i debiti superano la capacità di rimborso regolare – richiede un approccio strategico e l’utilizzo di strumenti legali adeguati. Esistono diverse soluzioni che un padre divorziato debitore può perseguire, a seconda della gravità della situazione:

  1. Accordi stragiudiziali con i creditori: prima di ricorrere ai tribunali, è spesso possibile tentare un accordo bonario con ciascun creditore. Ad esempio, con una banca si può rinegoziare il mutuo abbassando la rata e allungando la durata, oppure ottenere una temporanea moratoria (sospensione) delle rate per qualche mese in caso di perdita del lavoro. Con altri creditori privati si può proporre un piano di rientro dilazionato (pagare un po’ al mese) o un saldo e stralcio, cioè offrire una percentuale del debito (es. 30-50%) in unica soluzione se si trovano i fondi (magari aiutati da parenti) in cambio dell’abbuono del resto. Molte finanziarie e recuperatori crediti accettano stralci quando capiscono che il debitore è in forte difficoltà e l’alternativa è nulla. È importante in queste trattative agire per iscritto e, se possibile, con l’ausilio di un legale che sappia fin dove spingersi. Un accordo stragiudiziale ben fatto può cristallizzare il debito ridotto ed evitare procedure esecutive lunghe e onerose. Ovviamente ciò richiede di solito almeno una risorsa immediata (un piccolo capitale da offrire) o un reddito per sostenere le rate concordate.
  2. Piani di rientro e dilazioni formali: per i debiti fiscali e contributivi, come visto, esistono strumenti formali di dilazione che vanno richiesti all’ente creditore. Ad esempio, presentare istanza all’Agenzia Entrate Riscossione per rateizzare una cartella da 20.000€ in 72 rate mensili: se concesso, permette di pagare ~277€ al mese e nel frattempo AdER sospende fermi e pignoramenti. Similmente, molti Comuni permettono dilazioni per multe o tributi locali se il debitore le chiede in tempi utili. Anche alcuni creditori privati strutturati (es. società di utility per bollette) offrono piani di rateazione a cliente in difficoltà, purché li contatti spiegando la situazione. Importante: non attendere la fase esecutiva, ma cercare di negoziare appena il debito diventa esigibile e ci si rende conto di non poterlo pagare in unica soluzione. Ad esempio, se arriva una cartella esattoriale, entro 60 giorni si può chiedere la dilazione: se invece si lascia scadere, partiranno le misure forzose. Quindi tempestività è la chiave.
  3. Consolidamento debiti: è un’opzione finanziaria, non giuridica, che in certi casi può aiutare. Si tratta di ottenere un nuovo prestito per chiudere tutti i debiti esistenti e restare con un’unica rata più sostenibile. Ad esempio, se il padre ha 5 prestiti piccoli può rifinanziarli con un prestito unico a più lungo termine. Tuttavia, il consolidamento è praticabile solo se il debitore ha ancora un merito creditizio sufficiente (difficile se ci sono già insoluti) o garanzie da offrire (un immobile libero o un garante terzo). Inoltre, non risolve il problema di fondo, ma lo sposta: può essere utile quando il peso delle rate mensili separate è eccessivo, ma l’importo totale del debito è comunque ripagabile diluendolo. Se invece il problema è che non ci sono proprio le risorse per pagare, allora bisogna guardare ad altre soluzioni concorsuali, in cui parte del debito viene anche cancellata.
  4. Procedure di sovraindebitamento (Legge “salva-suicidi” e Codice della Crisi): questo è l’insieme di strumenti legali più potente per chiudere definitivamente una situazione debitoria insostenibile e ripartire da zero. Introdotte originariamente con la Legge 3/2012 (chiamata anche “legge salva suicidi”), tali procedure sono confluite dal 2020-2022 nel nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), che dedica una sezione ai debitori civili non fallibili. In sintesi, queste procedure consentono a privati, consumatori, professionisti e piccoli imprenditori non soggetti a fallimento di proporre ai creditori una soluzione concorsuale alla crisi: può essere un piano di ristrutturazione con pagamento parziale dei debiti, oppure la liquidazione di tutti i beni disponibili, al termine della quale il debitore ottiene la esdebitazione (cancellazione dei debiti residui non pagati). Si tratta di strumenti potentissimi perché permettono di ridurre l’ammontare complessivo del debito in base a ciò che il debitore può effettivamente dare, e soprattutto di avere un titolo esecutivo omologato dal Tribunale che impone ai creditori di accontentarsi di quanto stabilito (bloccando altre azioni). In pratica, è una “mini bancarotta” del privato, senza gli effetti stigmatizzanti del fallimento (che peraltro non si applica alle persone fisiche non imprenditori).

Vediamo le principali procedure di sovraindebitamento oggi disponibili, tenendo presente che con il Codice della Crisi le denominazioni sono leggermente cambiate rispetto alla legge 3/2012, ma la sostanza rimane simile:

  • Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (prima chiamato “piano del consumatore”): è riservato ai debitori persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale eventualmente svolta. In altre parole, chi ha solo debiti “personali” può accedere a questo strumento. Un padre divorziato che ha debiti per mutuo, prestiti familiari, carte, bollette, ecc. rientra in questa categoria di consumatore, anche se fosse un piccolo imprenditore, purché i debiti che inserisce nel piano non riguardino la sua attività d’impresa. Il grande vantaggio del Piano del consumatore è che non richiede l’approvazione dei creditori: il debitore, con l’ausilio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) e del suo legale, predispone un piano di pagamento sostenibile (ad esempio: pagherò il 30% di ogni debito in 5 anni, oppure pagherò solo alcuni creditori in percentuale maggiore se privilegiati e gli altri in minore) e lo presenta al Tribunale. Il giudice valuta la fattibilità e soprattutto la “meritevolezza” del debitore – ossia che non abbia colpe gravi o frodi nell’aver creato i debiti – e, se tutto è regolare, omologa il piano rendendolo obbligatorio per tutti i creditori, anche senza il loro consenso. Questo strumento quindi può imporsi ai creditori dissenzienti. Durante la procedura, appena depositato il ricorso, il giudice può sospendere tutte le azioni esecutive individuali (pignoramenti) in corso, congelando la situazione. Una volta eseguito il piano (ad esempio dopo i 5 anni di pagamenti previsti), il debitore ottiene la cancellazione di tutti i debiti residui non pagati: è la esdebitazione finale. Esempio: un padre ha €50.000 di debiti verso varie finanziarie; propone di pagarne €20.000 in 4 anni usando la sua capacità mensile eccedente il minimo vitale; il giudice approva; le finanziarie, volenti o nolenti, si accontentano di ricevere il 40% rateizzato; a fine piano il restante 60% (€30.000) viene cancellato per sempre.
  • Concordato minore (ex “accordo di composizione della crisi”): è la procedura analoga per chi esercita un’attività economica o ha debiti anche imprenditoriali, ma rientra nelle soglie di non fallibilità. In pratica riguarda piccoli imprenditori, professionisti, start-up, imprenditori agricoli, ecc., o anche persone fisiche miste (parte debiti da consumo, parte da attività) che non possono accedere al piano del consumatore puro. Nel concordato minore, il debitore elabora, sempre con l’OCC, una proposta di accordo ai creditori, che prevede la ristrutturazione dei debiti (ad esempio: pagamento parziale con percentuali e scadenze). Diversamente dal piano del consumatore, qui serve il voto favorevole dei creditori: il piano dev’essere approvato dai creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti totali ammessi al voto. È un meccanismo simile al concordato preventivo delle imprese, ma semplificato e per piccoli debitori. Una volta ottenute le maggioranze e verificata la regolarità, il tribunale omologa il concordato minore, rendendolo vincolante anche per i creditori dissenzienti (purché la maggioranza qualificata sia stata raggiunta). Anche qui, a fine esecuzione, il debitore ottiene l’esdebitazione dei crediti tagliati o non pagati completamente. Questo strumento è utile se si ha una parte di debito di natura professionale/aziendale o se comunque si preferisce coinvolgere i creditori attivamente (ad esempio in situazioni in cui si ha bisogno della collaborazione di alcuni creditori strategici). In genere il piano del consumatore è preferibile quando possibile, per evitare l’incognita del voto, ma il concordato minore copre quelle situazioni ibride.
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato (prima chiamata “liquidazione del patrimonio”): è la procedura da utilizzare quando il debitore non è in grado di proporre un piano di rientro che paghi in modo soddisfacente i creditori, oppure vuole semplicemente liberarsi dei debiti liquidando tutto il possibile subito. In questa procedura, il debitore mette a disposizione tutti i beni del suo patrimonio (eccetto quelli impignorabili per legge) in un “cono corso” liquidatorio gestito da un liquidatore nominato dal Tribunale. Il liquidatore vende i beni (immobili, auto, conti, ecc.) e distribuisce il ricavato ai creditori secondo le cause di prelazione (privilegi, ipoteche, ecc., come in un fallimento). Se il debitore ha anche un reddito da lavoro, di solito deve contribuire con la parte eccedente un minimo per un certo periodo (spesso 3 o 4 anni). La durata massima di questa procedura è 3 anni (o 4 anni se ci sono soli debiti del consumatore), secondo il Codice della Crisi. Finito questo periodo e liquidato tutto il liquidabile, il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione dei debiti eventualmente rimasti insoddisfatti. La liquidazione controllata non richiede voto dei creditori (è un procedimento giudiziale puro): il tribunale la apre verificati i presupposti, e i creditori possono solo insinuarsi e poi eventualmente contestare la chiusura se ci fossero irregolarità. È quindi una soluzione utile quando il debitore non ha molto da offrire in termini di percentuale ai creditori, ma possiede alcuni beni realizzabili. Esempio reale: un padre divorziato con debiti totali per €225.000 (mutuo residuo, spese condominiali e debiti col Comune) ha avviato una liquidazione controllata in cui ha messo in vendita due piccole proprietà immobiliari (quote di immobili ereditati) per circa €80.000 e si è impegnato a versare €100 al mese per 36 mesi. Il Tribunale di Pavia nel novembre 2024 ha approvato la procedura e, una volta liquidati i beni e pagati i creditori parzialmente, l’uomo ha ottenuto l’esdebitazione per il restante non pagato. In pratica, a fronte di ~€225mila di debiti, i creditori han ricevuto quanto ricavato (un totale stimato di circa €100mila) e €125mila sono stati cancellati. Un altro caso: un padre divorziato a Roma, oberato da €71.342 di debiti con finanziarie dopo aver perso il lavoro e dovendo pagare un alto mantenimento, ha attivato la liquidazione controllata mettendo a disposizione solo €100 al mese per 36 mesi e la vendita della sua auto (circa €19.000). Il Tribunale di Roma (sentenza 7 febbraio 2024) lo ha ammesso alla liquidazione ed esdebitato da tutti i debiti restanti. Ha quindi azzerato oltre €71mila di debiti offrendo in totale circa €23.600 (19k dall’auto + 3.6k dai ratei). Questi esempi mostrano come la liquidazione controllata possa dare un vero “fresh start” al debitore onesto ma sfortunato.
  • Esdebitazione del debitore incapiente (detta anche “esdebitazione a zero”): è una novità introdotta dal Codice della Crisi (art. 283 CCII) per i casi umani più disperati. Consente al debitore persona fisica meritevole, che non possiede alcun bene liquidabile né reddito aggredibile e non è in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, di ottenere comunque la cancellazione di tutti i debiti. In pratica è un’esdebitazione senza alcun pagamento. Questa procedura richiede che il debitore dimostri di trovarsi in assoluta incapienza patrimoniale e reddituale. Il tribunale, verificato che il debitore è in buona fede (ad es. non ha dilapidato attivi volontariamente) e che davvero non c’è nulla da liquidare, può concedere l’esdebitazione immediata. Ci sono però alcune condizioni: il debitore deve impegnarsi formalmente a pagare i creditori se nei 4 anni successivi dovesse sopravvenire un miglioramento rilevante della sua situazione economica. In altri termini, se vince alla lotteria nei 4 anni dopo l’esdebitazione, i creditori risorgono. Passati i 4 anni, ogni obbligo cessa definitivamente. Restano escluse da questa esdebitazione “a zero” alcune tipologie di debiti, per ragioni di ordine pubblico: gli alimenti e mantenimenti dovuti per legge, i debiti da risarcimento danni extracontrattuali e le multe penali/amministrative non vengono perdonati nemmeno qui. Ma per il resto (banche, fornitori, bollette, anche debiti fiscali in parte) si ottiene la liberazione. Questa misura è pensata per chi è poverissimo e non lo fa apposta: ad esempio un padre divorziato disoccupato, senza beni intestati, che vive magari in alloggio di fortuna – costui potrebbe chiedere di essere esdebitato dai suoi debiti pregressi per potersi reinserire senza la zavorra finanziaria. È una sorta di “grazia” economica per il debitore onesto ma completamente incapiente, già prevista in altri paesi e ora adottata anche in Italia dal 2021/2022 come extrema ratio di politica sociale.

Di seguito, una tabella riassume le procedure di sovraindebitamento e le loro caratteristiche chiave:

Procedura (sovraindebitamento)Chi può accedereCaratteristiche principali
Piano di ristrutturazione del consumatore(ex Piano del consumatore)Consumatori (debiti personali non professionali). Escluso chi ha debiti anche d’impresa (tranne socio per debiti personali).Nessun voto dei creditori: decide il giudice su proposta del debitore.- Richiede debitore meritevole (no colpa grave/frode).- Prevede pagamento parziale dei debiti secondo un piano sostenibile (es. percentuali su 5 anni).- Sospende pignoramenti durante la procedura.- Debiti residui cancellati a fine piano omologato, con liberazione completa.
Concordato minore(ex accordo di composizione)Imprenditori sotto soglie di fallibilità, professionisti, debitori con debiti misti (familiari+impresa) non ammessi al piano consumatore.Necessario voto creditori: serve ≥60% crediti favorevoli.- Possibilità di coinvolgere creditori in soluzioni miste (es. continuazione attività in parte, liquidazione in parte).- Può prevedere falcidia (riduzione) di alcuni debiti con accordo della maggioranza.- Omologato dal giudice, vincola anche dissenzienti una volta approvato.- Esdebitazione finale dei debiti non soddisfatti al termine.
Liquidazione controllata(del patrimonio del debitore)Qualunque debitore civile sovraindebitato (consumatore o no). Spesso usata se non vi sono i presupposti per un piano/accordo o su richiesta spontanea del debitore.Liquidazione totale dei beni non necessari: nominato un liquidatore che vende patrimoni e ripartisce ai creditori.- Il debitore può essere tenuto a versare ai creditori la parte di reddito mensile eccedente il minimo vitale per 3–4 anni (3 anni ord. estensibili a 4 se debiti solo consumatore).- Nessun consenso creditori richiesto: procedura giudiziale aperta dal tribunale su proposta debitore o creditori.- Al termine (dopo riparto dell’attivo), esdebitazione dei debiti residui su istanza del debitore “meritevole”.- Permette di chiudere la posizione in tempi relativamente brevi (3 anni), anche se i creditori non vengono pagati integralmente.
Esdebitazione del debitore incapiente(“a zero”)Persona fisica senza beni né redditi aggredibili, meritevole e non già beneficiata in passato da esdebitazione.Cancellazione totale dei debiti senza pagamento, su decreto del tribunale.- Debitore deve dimostrare assoluta incapienza e impegnarsi a segnalare miglioramenti economici nei 4 anni successivi (durante i quali, se ottiene guadagni insperati, dovrà pagare il dovuto ai creditori con sopravvenienze).- Eccezioni: non estingue obblighi alimentari (mantenimento coniuge/figli) né debiti per risarcimenti da illeciti o sanzioni pecuniarie, che restano comunque dovuti.- Rimedio di carattere straordinario: offre una “fresh start” per chi è totalmente sommerso dai debiti senza colpa ma anche senza alcuna capacità economica.

Tempistiche: le procedure di sovraindebitamento non sono istantanee, ma relativamente rapide rispetto a un fallimento tradizionale. In media, un piano del consumatore dall’istanza all’omologazione può richiedere 4-6 mesi; poi c’è l’esecuzione (piano che tipicamente dura dai 3 ai 5 anni). Una liquidazione controllata può durare anch’essa qualche mese per essere aperta e nominare il liquidatore, e poi resta aperta per il tempo di liquidare i beni e far decorrere il periodo di contribuzione (massimo 4 anni). L’esdebitazione incapiente è ancora più breve: è sostanzialmente un giudizio sommario sulla condizione del debitore, che potrebbe concludersi in pochi mesi con il decreto di esdebitazione se nessun creditore si oppone validamente. In ogni caso, come sottolineato anche da esperti, il Codice della Crisi prevede durate massime: ad esempio, la liquidazione non può durare più di 3 anni nella maggior parte dei casi, evitando procedure infinite.

Meritevolezza: concetto chiave in tutte le procedure (tranne forse il concordato minore dove conta il voto dei creditori). Significa che il debitore deve aver avuto comportamenti corretti: niente aumenti dolosi del debito, niente atti in frode (come nascondere beni ai creditori), nessun ricorso al credito spropositato con leggerezza quando già era chiaro che non poteva pagare. Ad esempio, se un padre si è indebitato per cause di forza maggiore (spese mediche, mantenimento figli oneroso, perdita lavoro) sarà considerato meritevole. Se invece ha contratto prestiti per gioco d’azzardo o lusso, potrebbe vedersi negare l’omologazione del piano per colpa grave. Tuttavia, la giurisprudenza post riforma è abbastanza comprensiva: tendono a concedere il beneficio salvo condotte realmente fraudolente o gravemente scorrette.

Debiti esclusi dall’esdebitazione: lo ribadiamo perché cruciale per il nostro caso. Anche dopo la conclusione positiva di una procedura di sovraindebitamento, rimangono comunque dovuti (non vengono cancellati) alcuni debiti “personali” per loro natura: in primis gli obblighi di mantenimento e alimentari verso coniuge e figli. Ciò significa che, se un padre aveva arretrati per assegni di mantenimento, non potrà liberarsene con queste procedure – dovrà pagarli integralmente, prima o dopo. Allo stesso modo, restano fuori le sanzioni amministrative (multe stradali) e le ammende penali, nonché i debiti da dolo extracontrattuale (es. risarcimenti per lesioni volontarie). Tutti gli altri, invece, possono essere cancellati: debiti bancari, commerciali, tributi (anche se per questi ultimi talvolta solo in parte), ecc. Ad esempio, se Tizio deve €10.000 di alimenti arretrati alla ex moglie e €50.000 alla banca, con la procedura potrà forse far stralciare i €50k della banca, ma i €10k alla ex resteranno a suo carico comunque (magari li dovrà pagare a rate successivamente, ma non saranno spazzati via dalla pronuncia di esdebitazione). Dunque il sovraindebitamento non risolve gli obblighi familiari, che vanno onorati separatamente; semmai agevola il loro pagamento liberando il debitore dagli altri debiti concorrenti.

Esempi concreti di sovraindebitamento riuscito: Abbiamo già citato alcuni casi di padri divorziati aiutati dalla legge: il caso di “Marco” a Roma (esdebitato da €71.000 debiti finanziari pagando una somma simbolica), quello di “Alessio” a Pavia (€225.000 di debiti azzerati dopo liquidazione di alcuni beni). Un altro esempio, raccontato in una recente pubblicazione (Avv. Madonna, 2025): un padre di famiglia titolare di una ditta individuale, travolto dalla crisi Covid, chiusa l’attività e tornato lavoratore dipendente con stipendio €2.200, accumula €97.000 di debiti. Con l’assistenza di un OCC, propone al Tribunale di Bergamo un piano di liquidazione controllata offrendo €440 al mese per 36 mesi + la tredicesima mensilità ogni anno. Così facendo, in 3 anni verserà €22.440 ai creditori, pari a circa il 23% del debito. Il tribunale approva la procedura: il 23% ai creditori e, al termine, cancellazione del restante 77% (€74.600). In pratica questo papà pagherà ciò che può in tre anni, dopodiché sarà libero dai debiti residui. Questi casi reali mostrano che una via d’uscita legale c’è, anche nelle situazioni più compromesse, purché si agisca con trasparenza e ci si affidi a professionisti competenti (OCC e avvocati specializzati).

Come accedere a tali procedure? Bisogna rivolgersi a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC). Gli OCC sono enti (presso gli Ordini dei Dottori Commercialisti, alcuni Comuni, oppure associazioni autorizzate dal Ministero) il cui compito è aiutare i debitori a predisporre le proposte e attestare la veridicità dei dati. In ogni provincia ci sono OCC attivi (spesso presso le Camere di Commercio). Il debitore presenta una domanda con l’elenco di tutti i debiti, creditori, redditi, patrimonio, e una proposta (nel caso di piano/accordo) oppure la richiesta di liquidazione. L’OCC verifica i documenti e li trasmette al Tribunale competente. Il procedimento è in camera di consiglio (non pubblico) e abbastanza semplificato, anche se serve preparare un piano economico serio. Per questo è opportuno farsi assistere anche da un avvocato esperto in sovraindebitamento, che possa interfacciarsi col giudice e tutelare il debitore.

Costi: le procedure hanno costi contenuti rispetto ai benefici. Gli OCC e i professionisti hanno diritto a un compenso che però è parametrato anche alle somme messe a disposizione: se il debitore è nullatenente, c’è la possibilità di ottenere il gratuito patrocinio o comunque di pagare cifre simboliche. Molti OCC nelle linee guida prevedono ad esempio che per l’esdebitazione “a zero” i costi siano quasi nulli (essendo il debitore incapiente). Insomma, anche il fattore costi non deve spaventare: non è come gestire un fallimento milionario.

In conclusione, un padre divorziato sovraindebitato dovrebbe considerare le procedure di sovraindebitamento come un “paracadute” legale per evitare di rimanere schiacciato dai debiti a vita. Dal punto di vista del debitore, queste procedure offrono un equilibrio tra il dare qualcosa ai creditori e poter tornare a una vita dignitosa senza debiti insostenibili entro pochi anni. Lo stesso legislatore le ha pensate per dare una seconda opportunità (second chance) alle famiglie strangolate dai debiti, evitando fenomeni estremi come usura o suicidi per disperazione. Naturalmente, vanno usate con correttezza e come ultima risorsa, ma sapere che esistono e che funzionano (alla luce delle tante sentenze positive) dà speranza e concrete opzioni di risanamento.

Cosa fare in pratica se ho troppi debiti? (Consigli al debitore)

Dopo aver analizzato obblighi e strumenti, è utile tracciare una sorta di roadmap pratica per il padre divorziato che si trovi in serie difficoltà economiche. Ogni situazione è unica, ma alcuni passi generali possono aiutare a riprendere il controllo:

1. Mappare tutti i debiti e le scadenze: prendi carta e penna (o un foglio elettronico) ed elenca tutti i tuoi debiti: chi è il creditore, importo dovuto, eventuali rate mensili, tassi di interesse, se sei in regola o in ritardo, se ci sono garanzie (ipoteche, fideiussioni), ecc. Non dimenticare i debiti verso familiari o amici, e soprattutto tieni conto degli obblighi di mantenimento futuri come se fossero “debiti” mensili fissi. Questo inventario ti serve per avere chiaro il quadro: ad esempio, sapere di avere €5.000 di arretrati con AdER in scadenza, €2.000 di bollette non pagate, €20.000 di carta di credito revolving, ecc. Solo conoscendo i numeri puoi fare scelte razionali. Verifica anche le prescrizioni: alcuni debiti potrebbero essere prescritti (ad esempio bollette elettriche dopo 5 anni, cartelle esattoriali notificate più di 5 anni fa senza atti successivi, ecc.) e quindi non più legalmente esigibili – un avvocato può aiutarti a individuarli ed eccepirli, eliminandoli dal conteggio.

2. Distinguere i debiti prioritari da quelli differibili: in situazione di crisi non potrai magari pagare tutto subito, quindi devi stabilire delle priorità. Prioritari assoluti sono i debiti il cui mancato pagamento comporta danni irreversibili per te e la tua famiglia: anzitutto il mantenimento dei figli (per evitare conseguenze penali e per dovere morale), l’affitto o il mutuo prima casa (per non perdere la casa o subire sfratto – avere un tetto è fondamentale), le utenze essenziali (luce, acqua, gas) per non vedersi sospendere i servizi. Anche le spese mediche necessarie e quelle scolastiche dei figli vanno sostenute se possibile. Al contrario, meno prioritari nell’immediato possono essere, ad esempio, i debiti verso finanziarie o banche non garantiti: se devi scegliere se pagare una rata del prestito o l’affitto, paga l’affitto. Questo non significa ignorare i primi – vanno gestiti negoziando o con altre misure, ma se le risorse sono limitate, va tutelata prima la sopravvivenza e la regolarità familiare. In pratica, crea due colonne: “debiti urgenti (conseguenze immediate gravi)” e “debiti rinviabili/negoziabili”. Ad esempio: arretrato mantenimento figli → urgente; cartella multa auto da €300 → forse differibile. Tieni però presente che accumulare interessi e more su troppi debiti “differiti” può farli crescere: è un equilibrio delicato.

3. Comunicare con i creditori (quando possibile): se prevedi un ritardo o un mancato pagamento, avvisa il creditore prima che diventi insoluto, spiegando la situazione e proponendo una soluzione temporanea. Molti creditori preferiscono trovare un accordo con te piuttosto che passare immediatamente alle vie legali costose. Ad esempio, se sai che il mese prossimo non riuscirai a pagare l’intera rata di mantenimento, parla con l’ex coniuge: offrile quel che puoi e dì che stai attivandoti per il resto. Se mostri serietà, magari eviti che lei vada subito dall’avvocato o dai carabinieri. Similmente, con la banca: se perdi il lavoro, segnala subito e chiedi una moratoria di 6 mesi sul mutuo (spesso concessa in caso di disoccupazione, legge 244/2007 e successive proroghe). Non sparire: il silenzio assoluto del debitore fa irrigidire le controparti, che penseranno tu sia in mala fede. Meglio un canale di dialogo aperto.

4. Tagliare il superfluo e proteggere il necessario: rivedi il tuo bilancio familiare mensile: ci sono spese eliminabili? Abbonamenti non essenziali (pay tv, palestra, ecc.), uscite voluttuarie, costi che puoi ridurre (ad es. passare a un’auto meno costosa da mantenere)? Ogni euro risparmiato può essere destinato ai debiti o al mantenimento. Valuta anche se hai beni vendibili (una seconda auto, moto, oggetti di valore) – meglio vendere tu spontaneamente e usare i proventi per ridurre debiti importanti, che farti pignorare tali beni all’asta (dove realizzeranno molto meno). Ad esempio, se hai un’auto di grossa cilindrata con leasing, puoi riconsegnarla o venderla e prenderne una utilitaria usata: risparmi su rate/bollo/assicurazione e magari ricavi qualcosa. Queste scelte possono essere dolorose, ma ricorda che sono temporanee finché non risani la situazione. Allo stesso tempo, tutela ciò che è essenziale: paga sempre l’affitto/mutuo corrente, anche a costo di saltare altri pagamenti, perché perdere la casa o l’energia elettrica peggiorerebbe la condizione tua e dei figli.

5. Cercare consulenza professionale: se i debiti sono tanti e la situazione complessa, non isolarti. Rivolgiti a un legale specializzato in diritto di famiglia e/o crisi da sovraindebitamento. Molti ordini forensi offrono sportelli di consulenza gratuita o a costo ridotto per chi è in difficoltà economica. Un avvocato potrà valutare se ci sono margini per impugnare alcune pretese (magari multe nulle, interessi usurai su prestiti, ecc.) e ti aiuterà a imbastire una strategia unitaria. Anche rivolgersi a associazioni di consumatori o enti antiusura può dare supporto e consigli. Se stai considerando la procedura di sovraindebitamento, contatta l’OCC locale: spesso fanno un colloquio preliminare gratuito in cui valutano se la tua posizione è ammissibile e conveniente. Diffida di chi ti promette miracoli facili (tipo società pseudo-legali che chiedono soldi in anticipo per “sistemare i debiti” senza basi giuridiche): affidati a professionisti qualificati (avvocati, commercialisti, OCC) verificando le credenziali.

6. Valutare l’accesso a procedure concorsuali (legge 3/2012 o Codice della Crisi): come abbiamo dettagliato, se il debito totale è davvero fuori portata e non risolvibile in pochi anni con i tuoi mezzi, le procedure di sovraindebitamento sono la via da percorrere. Il segnale che potresti aver bisogno di queste è quando, facendo due conti, nemmeno vendendo tutto e risparmiando riesci a ripagare il debito, oppure potresti ma in tempi lunghissimi (>10 anni) durante i quali faresti una vita indegna. Ad esempio: hai €200.000 di debiti e reddito €1.200/mese – è matematicamente impossibile pagare tutti, quindi devi pensare a un fresh start. Non aspettare troppo: più tempo passa, più gli interessi aumentano e più rischi pignoramenti disordinati. Aprire per tempo una procedura concorsuale congela la situazione e impedisce ai singoli creditori di sfidarsi nel prendere tutto loro (in danno magari degli alimenti). Con l’aiuto dell’OCC e di un legale, prepara la documentazione (stato dettagliato di famiglia, elenco di tutti i creditori e debiti, elenco beni, Redditi/ISEE, etc.) e scegli la procedura più adatta. Ad esempio, se hai un lavoro fisso e un po’ di margine mensile, un piano del consumatore potrebbe farti pagare una parte e cancellare il resto. Se invece hai una casa da sacrificare, la liquidazione controllata può vendere la casa e poi liberarti dai debiti residui. Se non hai proprio nulla, tenta l’esdebitazione da incapiente. Sono decisioni importanti che vanno prese con cognizione di causa, ma rappresentano vie d’uscita concrete. Tempismo: non ridurti al pignoramento della casa prima di agire; ad esempio, presentare la domanda prima che l’asta sia fissata può sospendere l’esecuzione.

7. Non contrarre nuovi debiti avventati: in situazioni disperate, è forte la tentazione di “fare altri debiti per pagare i debiti” – ad esempio rivolgersi a finanziarie con tassi altissimi, o peggio cadere vittima di usurai. È un circolo vizioso da evitare assolutamente. Aumentare l’indebitamento per guadagnare tempo raramente risolve, anzi aggrava (più interessi, più rischi). Se hai bisogno di liquidità immediata per impedire un danno (es. pagare arretrati per non essere denunciato), cerca prima aiuto nella tua rete familiare o amicale: spiegando la situazione, forse un parente può prestarti senza interesse qualcosa. Oppure verifica se hai diritto a prestiti agevolati (ad esempio il Fondo solidarietà ex coniugi istituito dallo Stato per anticipare in parte gli alimenti dovuti ai figli, anche se di solito aiuta il creditore, non il debitore, ma indirettamente può evitarti guai penali). In generale, contrai nuovi debiti solo se strettamente necessari e sostenibili. Evita di usare la carta di credito se non puoi estinguere il saldo, ecc.

8. Valuta soluzioni patrimoniali protettive (con cautela): alcuni pensano di proteggere i propri beni dai creditori con strumenti come il fondo patrimoniale o il trust. Un cenno: il fondo patrimoniale (art. 167 c.c.) è un vincolo su beni immobili o mobili registrati destinati ai bisogni della famiglia, che in teoria rende quei beni non aggredibili da crediti estranei ai bisogni familiari. Tuttavia, nel caso di divorziato, il fondo patrimoniale (se costituito durante il matrimonio) rimane in vita per i figli finché minori, ma i creditori possono facilmente attaccarlo dimostrando che i debiti riguardavano i bisogni della famiglia (molti debiti – es. mutuo casa, finanziamenti per spese famigliari – rientrano in questa categoria). Inoltre, se si costituisce il fondo quando i debiti sono già in essere e si è insolventi, si rischia che venga revocato come atto in frode ai creditori. Quindi, attenzione: non esiste un trucco magico per sfuggire ai debiti senza conseguenze. Meglio seguire vie legali trasparenti (come la composizione della crisi) che escogitare stratagemmi che potrebbero essere annullati dal giudice (o addirittura configurare reati, se si occultano beni volutamente).

9. Pianificare il futuro finanziario: una volta tamponata l’emergenza e avviato un percorso di risanamento (sia esso un piano di rimborso o una procedura concorsuale), prepara un budget realistico per il futuro. Considera tutte le tue entrate (stipendio, eventuali assegni familiari, ecc.) e tutte le uscite essenziali (mantenimento figli, affitto/mutuo, cibo, trasporti). Cerca di mantenere un tenore di vita commisurato alle nuove risorse – ad esempio, se ora vivi con metà stipendio perché l’altra metà va a pagare debiti, adegua le spese di conseguenza. Educare anche i figli (se grandi abbastanza) alla nuova situazione economica può essere utile: far capire che per un periodo si dovrà tirare la cinghia e che non è per mancanza di volontà ma per necessità. Spesso i figli, se coinvolti con sincerità (nel modo opportuno all’età), possono essere comprensivi e magari ridurre pretese consumistiche. L’obiettivo è evitare di ricadere in nuove morosità. Se hai ottenuto un’esdebitazione, fai tesoro della “seconda chance”: evita di riprendere finanziamenti a cuor leggero, tieni un piccolo fondo di emergenza (anche 500-1000€ da parte, appena possibile) per far fronte a imprevisti senza fare debiti. Insomma, adotta sane abitudini finanziarie.

10. Cura anche gli aspetti psicologici e familiari: l’indebitamento e i problemi economici sono fonti di forte stress, che possono minare la salute mentale e i rapporti con i figli e l’ex coniuge. Cerca supporto se ti senti sopraffatto: ci sono associazioni e centri d’ascolto per persone indebitate (in Italia anche Caritas offre consulenza anti-crisi). Mantenere un dialogo civile con l’ex partner è utile: se lei comprende che stai facendo il possibile, magari sarà meno incline a conflittualità aggiuntive (ad es. azioni penali). Fai capire che i figli restano la tua priorità e che stai lottando per rimetterti in carreggiata per loro. Il peso dei debiti può far sentire vergogna o fallimento: ricorda che capita a tantissime persone – tanto che il legislatore ha creato apposta la legge “salva suicidi”. Non esitare a cercare aiuto professionale anche psicologico se ti senti in grave disagio: meglio parlare con uno specialista che compia atti impulsivi. Non sei solo in questo percorso; con la giusta rete di supporto e gli strumenti legali adeguati, puoi venirne fuori.

In sintesi, dal punto di vista pratico del debitore divorziato, la parola d’ordine è proattività. Affrontare i problemi finanziari a testa alta, informarsi bene sui propri diritti e doveri, e usare le opportunità offerte dalla legge, è il modo migliore per tutelare sé stessi e la propria famiglia. Viceversa, inazione, negazione del problema o scorciatoie illegali portano quasi sempre a peggiorare la situazione (più interessi, più cause, possibili denunce).

Nel prossimo capitolo forniremo una sezione di Domande e Risposte frequenti, per riepilogare i dubbi più comuni in materia e fornire risposte mirate e aggiornate.

Domande frequenti (FAQ)

Domanda: Ho troppi debiti e non riesco a pagarli tutti. Posso finire in carcere per questo motivo?
Risposta: In linea di principio, no, non si va in carcere per essere indebitati in sé. L’ordinamento italiano (come la maggior parte dei paesi civili) non prevede il carcere per il semplice insolvenziario civile: il principio discende anche dall’art. 2740 c.c. e da norme costituzionali che vietano la detenzione per inadempimenti contrattuali. Tuttavia, fanno eccezione i casi in cui il mancato pagamento stesso integra un reato specifico. Nel nostro contesto, l’esempio tipico è il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento familiare, che come abbiamo visto è punito penalmente (art. 570-bis c.p.) e può portare (teoricamente) fino a 1 anno di reclusione. Altri esempi: il mancato pagamento di tributi come l’IVA o le ritenute previdenziali oltre certe soglie integra reati tributari (es. omesso versamento IVA se >€250k, art. 10-ter D.Lgs.74/2000), puniti con multa o reclusione. Oppure, contrarre debiti e sparire con i soldi può configurare truffa o insolvenza fraudolenta (art. 641 c.p., ma punita solo a querela e raramente applicata). Ma se parliamo di debiti civili comuni (prestiti, bollette, ecc.), nessuno può mandarti in galera per non aver pagato. Subirai semmai pignoramenti dei beni. Quindi stai tranquillo: nessuna prigione per debiti in quanto tale, salvo i casi particolari sopracitati (mantenimento familiare e poche altre eccezioni). Attenzione però: se vieni convocato dal giudice nell’ambito di un processo esecutivo (es. atto di citazione in un interrogatorio formale sul tuo patrimonio) devi comparire e dire la verità, altrimenti rischi sanzioni – ma è un aspetto procedurale. Il concetto chiave: un debitore civile onesto, per quanto insolvente, non è un criminale e non verrà privato della libertà personale per il solo fatto di avere debiti.

Domanda: Sono un padre separato in grosse difficoltà economiche; posso chiedere di ridurre l’assegno di mantenimento per i figli?
Risposta: Sì, la legge prevede la possibilità di chiedere una revisione dell’assegno di mantenimento quando vi siano “giustificati motivi” o cambiamenti nelle condizioni economiche delle parti (art. 337-quater Cod. Civ. per i figli; art. 9 L. 898/1970 per assegno divorzile all’ex coniuge). Dovrai presentare un ricorso al tribunale (meglio tramite avvocato) esponendo la tua nuova situazione: ad esempio perdita del lavoro, sopravvenienza di gravi debiti, riduzione stipendio, problemi di salute, ecc. e chiedere un ridimensionamento proporzionato dell’assegno. Il giudice valuterà comparativamente anche la situazione dell’altro genitore e dei figli (i bisogni dei minori restano prioritari). È importante allegare prove: buste paga attuali, certificati di disoccupazione, documenti attestanti i debiti (es. cartelle, decreti) e dimostrare che il precedente importo non è più sostenibile per cause indipendenti dalla tua colpa. Il tribunale può – se ritiene fondato – sia ridurre l’importo mensile, sia eventualmente sospendere temporaneamente l’obbligo o modularlo, in attesa che tu migliori la tua condizione. Va detto che la giurisprudenza è severa nel pretendere che il genitore si attivi per mantenere i figli: ad esempio, nemmeno la perdita del lavoro, senza prova di attiva ricerca di uno nuovo, basta per annullare l’assegno. Comunque, se la tua difficoltà è reale, vale senz’altro la pena chiedere l’adeguamento: finché non lo fai, l’importo originario rimane dovuto per intero. Dunque sì, agisci subito per domandare la revisione. Nel frattempo, continua a versare qualcosa: se proprio non riesci a pagare 300€, ma puoi 150€, versa quello e documenta al giudice che hai fatto il possibile. Ciò sarà valutato a tuo favore. Ricorda: la modifica avrà effetto solo dalla data della domanda in poi, non cancella gli arretrati eventualmente già maturati prima (su quelli magari puoi negoziare un saldo con l’ex coniuge, ma formalmente restano dovuti). Quindi prima presenti il ricorso, meglio è, per limitare l’accumulo di debito.

Domanda: Cosa succede se non pago per nulla l’assegno di mantenimento per i figli?
Risposta: Come approfondito, le conseguenze sono sia civili che penali. Sul piano civile, l’altro genitore può in tempi rapidi ottenere un provvedimento di pignoramento, aggredendo il tuo stipendio (fino al 50% della paga) o conto in banca, e il giudice può imporre penali pecuniarie giornaliere per il ritardo. Inoltre, potresti perdere l’affidamento condiviso se l’inadempimento è grave e prolungato, poiché verrebbe valutato come incapacità di prendersi cura dei figli. Sul piano penale, la tua ex potrebbe segnalare il fatto (ma il reato è procedibile d’ufficio, quindi può partire anche senza querela) e verresti indagato per il reato di violazione degli obblighi familiari ex art. 570-bis c.p. – punibile con multa o carcere fino a 1 anno. In un caso concreto, un padre che non aveva pagato 4 mesi di assegni (500€/mese) e neanche la metà delle spese extra è stato condannato sia in primo grado che in appello; la Cassazione (sentenza n. 2098/2024) ha confermato la condanna, chiarendo che anche solo 4 mesi di mancato versamento integrano il reato. Quindi non c’è una soglia temporale di tolleranza definita: anche pochi mesi di omissione possono farti condannare. Naturalmente, se dimostri che non potevi assolutamente pagare (es. zero reddito e nulla sul conto), potresti evitare la condanna penale per assenza di dolo, ma è un percorso difficile e comunque rimarresti con il debito civile da pagare. Dunque, non pagare affatto è la peggiore opzione. Molto meglio pagare almeno in parte e contestualmente chiedere la riduzione in tribunale, come detto prima. Se già ti trovi con arretrati pesanti, considera di proporre alla tua ex un piano di rientro (es.: “ti darò 100€ extra al mese finché non saldo”), magari mettendolo per iscritto: se lei accetta e confermate in tribunale, eviti pignoramenti e guadagni tempo. In caso contrario, preparati a fronteggiare le azioni legali descritte. Riassumendo: non pagare nulla = altissimo rischio di pignoramenti + possibili guai penali. Da evitare.

Domanda: Quanto del mio stipendio possono pignorare i creditori se ho già l’assegno di mantenimento da versare?
Risposta: Dipende dal tipo di credito. Se il pignoramento è attivato dall’ex moglie per ottenere l’assegno non pagato, possono trattenerti fino al 50% dello stipendio netto. Se invece i creditori sono ordinari (banche, finanziarie, fornitori) il limite normale è 1/5 (20%). Se hai più pignoramenti contemporanei, la somma delle quote non può superare metà dello stipendio. Facciamo un esempio: tu guadagni €1.500 netti al mese. L’ex moglie ottiene un ordine di pagamento diretto dal datore di lavoro di €300 (il tuo assegno) – tecnicamente non è un pignoramento, ma una trattenuta volontaria per mantenimento. A un certo punto una finanziaria ti pignora lo stipendio per un vecchio prestito: il tribunale fissa 1/5 (€300). Ora, €300 (assegno) + €300 (quinto) = €600, che è il 40% del tuo stipendio, quindi entro il limite del 50%. In tal caso, convivono entrambi. Ma se per ipotesi l’assegno fosse €500 (33%) e poi arriva un pignoramento da un altro creditore, la somma (€500 + €300 = €800) sarebbe circa 53%: il datore dovrà limitare il totale al 50%, dando priorità all’assegno alimentare. In pratica l’altro creditore prenderebbe un po’ meno (aggiustano le percentuali per rientrare nel tetto). Altro scenario: più creditori ordinari ti pignorano in serie: il primo ottiene 1/5, il secondo può attendere che il primo finisca o si accoda – ma il totale resta max 1/5 per i crediti ordinari sommati (salvo crediti di natura diversa, es. uno fiscale e uno bancario: in quel caso puoi avere due quinti, uno per ciascuna categoria, ma sempre con il tetto del 50%). Nota: se l’ex moglie non ti pignora perché stai pagando spontaneamente l’assegno, quell’importo non conta nel calcolo – però tu non puoi dedurre il mantenimento per evitare altri pignoramenti; i creditori ordinari guardano solo al netto ufficiale. Quindi, sintetizzando: massimo metà stipendio può essere forzatamente decurtato in totale, e l’eventuale quota di mantenimento familiare ha preferenza (può arrivare da sola al 50% se serve). Lo stipendio residuo, almeno il 50%, ti rimane sempre garantito per vivere.

Domanda: Possono pignorare la casa in cui vivo con i miei figli se ho debiti?
Risposta: Sì, è possibile in diversi casi, ma con alcune eccezioni. Se la casa è di tua proprietà ed è gravata da un mutuo ipotecario, la banca può espropriarla se tu non paghi le rate, come detto. Se la casa è tua senza mutuo, qualunque creditore privato con un credito importante può chiedere il pignoramento e la vendita all’asta. Nella pratica, di solito lo fanno per debiti sopra alcune decine di migliaia di euro, perché le procedure costano. Attenzione: se sei coniugato in comunione dei beni (non il nostro caso, tu sei divorziato), i creditori del singolo coniuge potevano aggredire solo la sua metà, ma dopo lo scioglimento della comunione (divorzio) tu hai la piena proprietà eventualmente della tua quota e quindi pignorabile. Per quanto riguarda i debiti fiscali con Agenzia Entrate Riscossione, come detto vige la tutela prima casa: AER non può pignorare l’unica casa di residenza se non superi €120.000 di debito e se non è un immobile di lusso. Quindi con il Fisco, sotto quella soglia sei salvo per la casa (possono però ipotecarla). Sopra tale soglia, oppure se possiedi altri immobili, AER può procedere. Infine, il condominio può spingere per la vendita in caso di morosità, con prelazione sul ricavato. Nota bene: non esiste alcuna protezione legale assoluta se il creditore è, ad esempio, una banca o un privato e il debito è rilevante: anche se è la casa dove vivono i tuoi figli minori, quel bene è aggredibile (al massimo, in sede di liberazione dell’immobile occupato il giudice delle esecuzioni può dare più tempo se ci sono minori, ma prima o poi la casa viene venduta). Unica difesa è se la casa era in un fondo patrimoniale valido costituito quando eri sposato: in tal caso, i creditori per debiti non riguardanti i bisogni familiari potrebbero non pignorarla; ma la giurisprudenza tende a considerare molti debiti come rientranti nei bisogni, quindi il fondo spesso non protegge dai creditori ordinari. Dunque, se temi la perdita della casa e vedi che non riesci a mantenere mutuo + debiti, valuta seriamente di venderla tu volontariamente prima che venga pignorata: in vendita libera prenderesti un prezzo più alto (all’asta spesso si vende al ribasso del 50% del valore), potresti estinguere il mutuo e magari accontentare gli altri creditori in parte. Potresti poi cercare una soluzione abitativa in affitto più economica o appoggiarti temporaneamente da parenti. So che è dura da accettare, ma a volte vendere la casa è la scelta più razionale per evitare di perderla in asta con maggior danno. Se invece i debiti sono gestibili, tieni presente la soglia AdER e cerca di non far accumulare oltre €120k col fisco. Infine, se la casa viene pignorata, non smettere di dialogare: puoi ancora, entro certi termini, trovare un accordo saldo e stralcio, o presentare un piano del consumatore in extremis che includa quel debito e blocchi l’asta (il giudice sovente sospende procedure esecutive se c’è prospettiva di risolvere col sovraindebitamento).

Domanda: Ho debiti con l’Agenzia delle Entrate (cartelle esattoriali). Ci sono modi per pagarli meno o farli annullare?
Risposta: Sì, negli ultimi anni il legislatore ha varato varie misure di sollievo fiscale. Ad esempio, con la Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) è stato disposto lo stralcio automatico dei debiti fino a €1.000 affidati all’Agente Riscossione dal 2000 al 2015: in pratica quelle cartelle di piccolo importo molto vecchie sono state annullate al 31/3/2023. Inoltre, c’è la “rottamazione-quater” per i debiti dal 2000 al 30/6/2022: puoi aderire (scadenza 30/6/2023, eventualmente prorogata) per pagare il solo capitale e interessi da ritardata iscrizione, eliminando sanzioni e interessi di mora. Il pagamento può essere dilazionato in 18 rate fino al 2027. Se non hai fatto in tempo, tieni d’occhio in futuro: spesso la rottamazione viene riaperta o prorogata. In generale, conviene sempre verificare se le tue cartelle rientrano in qualche norma agevolativa. Ad esempio: cartella per IRPEF 2018 di €5.000 – potresti rottamare pagando circa €4.000 senza sanzioni. Se invece nulla del genere si applica, rimane la via ordinaria della rateazione: con meno di €120.000 di debito totale, la rateazione ordinaria è concessa automaticamente (fino 72 rate), con moduli online sul sito AdER. Se hai perso il diritto a rate precedenti per decadenza, puoi in genere rientrare con nuove istanze (nel 2023 hanno facilitato anche questo). Tieni presente che in caso di rateazione accettata, decadono i fermi amministrativi già iscritti (li sbloccano dopo la prima rata) e non partono nuove procedure esecutive finché sei in regola. Quindi è un ottimo strumento per respirare. Quanto a far annullare i debiti: se credi che il tributo originario non fosse dovuto (es. accertamento fiscale errato) ma hai saltato i termini di ricorso, è dura. Però controlla aspetti formali: la cartella è stata notificata correttamente? (chiedi l’estratto di ruolo). Se trovi vizi, con un avvocato tributarista puoi fare ricorso per far dichiarare nullo l’atto. Ci sono anche casi di decadenza: AdER deve notificare l’intimazione prima di pignorare se la cartella è vecchia di oltre un anno dall’ultima notifica, ecc. Insomma, lato fiscale è materia tecnica: vale la pena far analizzare la tua posizione da un esperto per vedere se c’è margine di taglio legale. Infine, come ultima spiaggia: inserire i debiti fiscali in un procedimento di sovraindebitamento. Lì potrai proporre di pagare magari solo il 30-40% del totale, il resto stralciarlo. Lo Stato in molti casi accetta, purché tu versi almeno il capitale imposte se hai beni (ma non è un obbligo tassativo, ci sono state omologhe anche con taglio di imposte). Dopo l’omologa, sei a posto col Fisco per sempre su quei ruoli. Quindi sì, soluzioni per pagare meno le tasse arretrate ci sono, occorre scegliere quella più adatta al tuo caso specifico.

Domanda: Cosa succede ai miei debiti se io dovessi morire? Ricadono sui miei figli?
Risposta: Se tu venissi a mancare, i debiti (così come i crediti) rientrerebbero nell’eredità. I tuoi figli, in qualità di eredi, sarebbero chiamati a decidere se accettare l’eredità o rinunciarvi. Se accettano puramente e semplicemente, subentrano in tutti i tuoi rapporti patrimoniali, quindi dovrebbero pagare i debiti con il proprio patrimonio (ovviamente nei limiti di valore dell’eredità ricevuta, ma giuridicamente anche oltre se hanno accettato puro). Se invece rinunciano, non erediteranno né beni né debiti – è come se tu non avessi lasciato nulla a loro (il che è spesso la scelta fatta quando un genitore lascia solo passività). C’è anche la via intermedia dell’accettazione con beneficio d’inventario: gli eredi accettano ma distinguendo il patrimonio ereditario dal proprio; i debiti del defunto verranno pagati solo col patrimonio ereditato, senza intaccare quello personale degli eredi. È utile quando ci sono beni di valore ma anche debiti, e non si sa esattamente l’entità: con l’inventario i figli possono pagare i debiti solo fino a concorrenza del valore dei beni avuti, e se restano debiti oltre, non ne rispondono con soldi propri. Quindi, per rispondere chiaramente: no, i tuoi figli non sono obbligati ipso facto a pagare i tuoi debiti. Potranno sempre rinunciare all’eredità per non accollarsi i tuoi passivi. Il consiglio, se la tua situazione patrimoniale è negativa, è di informare gli eredi di come funziona e suggerire eventualmente la rinuncia o beneficio d’inventario. Nota però: se i figli sono minorenni al momento della tua morte, la rinuncia all’eredità necessita di autorizzazione del giudice tutelare ed è ammessa solo se l’eredità è nettamente passiva. Ma di solito, se ci sono troppi debiti, il giudice concede di rinunciare per tutelare il minore. C’è anche da dire: se tu possiedi beni (es. una casa) e debiti, i creditori possono aggredire quei beni ancor prima della successione; però alla morte se gli eredi rinunciano, la casa verrà usata per pagare i creditori, ma i figli non dovranno integrare nulla di tasca loro. Quindi moralmente i debiti potrebbero “mangiare” l’eredità, ma legalmente i figli possono evitare di dover ripianare situazioni debitorie dei genitori. Una considerazione aggiuntiva: alcuni debiti si estinguono con la morte del debitore, ad esempio le sanzioni amministrative pecuniarie (multe) non si trasmettono agli eredi. Anche le eventuali condanne penali pecuniarie (ammende) cessano. Restano invece i debiti civili, bancari, fiscali (tranne le multe stradali che, appunto, non passano agli eredi). In definitiva, un padre molto indebitato potrebbe – se non riesce a risolvere in vita – predisporre almeno un’informativa testamentaria: es. scrivere “Attenzione, lascio soli debiti, consiglio ai miei figli di rinunciare all’eredità”. I figli maggiorenni avranno 10 anni di tempo per decidere se accettare o no; i figli minorenni la ereditano solo col beneficio d’inventario obbligatorio per legge. Insomma, i tuoi figli non saranno incastrati dai tuoi debiti senza via di scampo: la legge consente loro di tutelarsi (anche se chiaramente dispiace dover magari rinunciare a beni di famiglia se i debiti li superano).

Domanda: Posso liberarmi dei debiti con una sorta di bancarotta personale?
Risposta: Sì, ed è proprio ciò che offrono le procedure di sovraindebitamento di cui abbiamo parlato (piano del consumatore, liquidazione controllata, ecc.). In Italia non esiste il “chapter 7” come negli USA per le persone fisiche, ma la legge 3/2012 (oggi confluita nel Codice della Crisi) di fatto consente anche a un privato di ottenere l’esdebitazione come avviene per un fallimento. Tecnicalmente, la persona fisica consumatore non viene dichiarata “fallita” (termine riservato agli imprenditori sopra soglia), ma può accedere a procedure concorsuali analoghe e ottenere la cancellazione dei debiti. Quindi il concetto di fresh start esiste. Molti, quando lo scoprono, restano sorpresi perché storicamente in Italia il fallimento civile non era previsto: un individuo insolvente restava inseguito dai creditori a vita. Oggi non è più così: se sei soffocato dai debiti, puoi depositare ricorso per la liquidazione controllata e in 3-4 anni max avrai pagato il possibile e ti verrà condonato legalmente il resto. Si potrebbe chiamare “bancarotta personale”, ma attenzione: non è una furbata per non pagare nulla – in genere devi dare ai creditori tutto il ragionevolmente ricavabile (o come minimo la tua buona fede e cooperazione). Se provi a barare, il beneficio salta. Però se sei onesto e semplicemente non ce la fai, la legge è dalla tua parte per darti un nuovo inizio. Unica eccezione: come detto, i debiti alimentari e simili rimangono comunque. Quindi se la maggior parte dei tuoi debiti sono di quel tipo (mantenimenti, multe per reati) la “bancarotta personale” non ti aiuterà molto perché comunque quelli rimarranno. Ma per tutti gli altri debiti (che di solito sono il grosso – finanziamenti, carte, fisco, fornitori) la risposta è sì: puoi azzerarli legalmente mediante procedura concorsuale. Informati presso un OCC locale o un avvocato: spesso chi ricorre a queste procedure viveva un dramma e ne esce sollevato psicologicamente oltre che economicamente. Tant’è vero che queste norme vengono anche definite di esdebitazione umanitaria.

Domanda: Un creditore mi perseguita con telefonate minacciose e pressioni a ogni ora. Cosa posso fare per farlo smettere?
Risposta: Le società di recupero crediti e talvolta gli stessi creditori possono essere molto insistenti, al limite del molesto. Sappi che ci sono regole precise: il Garante Privacy ha vietato telefonate a orari assurdi o sul posto di lavoro se creano imbarazzo, e il codice di condotta impone ai recuperatori di non usare toni ingiuriosi o minacciosi. Minacce tipo “andrà in carcere se non paga” sono illecite, perché ingannano il debitore e configurano violenza privata. Quindi, innanzitutto mantieni la calma e non farti terrorizzare: spesso questi operatori esagerano apposta per spingerti a trovare soldi ovunque. Se il comportamento è molesto, manda una diffida scritta (meglio tramite avvocato) intimando di cessare le chiamate indebite e di comunicare solo per iscritto. Puoi anche presentare un esposto all’Autorità Garante o all’AGCM per pratica commerciale scorretta, se esagerano. In molti casi, appena percepiscono che sei assistito da un legale, moderano i toni o preferiscono rivolgersi a lui. Ricorda: il creditore ha diritto di chiedere quanto dovuto, ma non di perseguitarti 10 volte al giorno o di divulgare i tuoi debiti a terzi. Se lo fa, puoi agire per farlo smettere e chiedere danni. Nei casi estremi, valuta il cambio numero di telefono per un periodo, comunicando un indirizzo email/PEC per contatti formali. Infine, ricorri a soluzioni concrete per risolvere il debito (accordo o procedura): quando c’è un procedimento aperto, i creditori devono canalizzare lì le pretese e non possono più scocciarti direttamente (ad es., in un piano del consumatore omologato non potranno più chiamarti, dovranno attendere i pagamenti come da piano).

Domanda: Entrerò in una procedura di sovraindebitamento. Posso includere anche i debiti verso la mia ex moglie (assegni arretrati) in quel piano per farli ridurre?
Risposta: Tecnicamente puoi inserirli nell’elenco dei crediti, ma quei debiti non verranno ridotti né cancellati. La legge (art. 282 co.3 CCII e prima art. 14-terdecies L.3/2012) esclude esplicitamente dall’esdebitazione i debiti alimentari e da mantenimento. Quindi, a fine procedura, quel debito rimarrà a tuo carico per intero. Può avere senso menzionarli nel piano giusto per far presente la tua situazione globale al giudice, ma sappi che dovrai comunque pagarli a parte. L’unico vantaggio indiretto: se risolvi gli altri debiti, avrai più risorse per saldare gli arretrati all’ex coniuge. Tieni anche presente che se la ex moglie acconsente, potresti fare un accordo extra-procedurale per definire gli arretrati (es. lei rinuncia a parte se tu paghi subito una quota). Ma se non c’è accordo, l’intero importo arretrato resta dovuto. L’Organo della Crisi probabilmente ti chiederà di escludere dal piano le somme di mantenimento, o al massimo inserirle come debiti da soddisfare integralmente fuori concorso. Quindi no, non puoi “scaricarti” degli obblighi familiari tramite la procedura. Quelli vanno gestiti separatamente con le azioni civili (dilazioni, accordi, richiesta di abbattimento al giudice). Se provassi a non pagarli, la ex potrebbe anche opporsi all’omologa del piano sostenendo che non sei meritevole. Dunque meglio essere in regola, o almeno aver concordato qualcosa, sul fronte mantenimento prima di intraprendere il percorso di sovraindebitamento.

Domanda: Sto pensando di fare una liquidazione controllata dei miei beni per chiudere i debiti. Questo inciderà sul mio lavoro o sui miei diritti civili (es. posso continuare a votare, a fare lavori pubblici, ecc.)?
Risposta: No, la liquidazione del sovraindebitato non è un fallimento giudiziale classico, quindi non comporta le stesse interdizioni che un fallimento comportava per gli imprenditori (nel vecchio regime i falliti non potevano gestire società, dovevano subire investigazioni sulla condotta, ecc.). Nelle procedure da sovraindebitamento la logica è diversa: sei tu stesso che chiedi di liquidare i beni per sistemare i debiti, non c’è un’iniziativa punitiva. Non perderai il diritto di voto, né risulterai in un registro dei protestati particolare (a parte le solite segnalazioni creditizie per i debiti insoluti). Continuerai a poter lavorare, anzi – se hai uno stipendio, contribuirai con una parte. Potresti avere qualche limitazione ad atti di straordinaria amministrazione sui tuoi beni: ad esempio, nominato il liquidatore, non potrai da solo disporre del tuo patrimonio senza il suo assenso. Ma la tua libertà personale e civile resta. Diciamo che l’effetto è simile a quello di un pignoramento generale: amministrerà i beni il liquidatore. Però tu non vieni bollato come “fallito” giuridicamente. Quando otterrai l’esdebitazione, quella verrà annotata nei registri e nei futuri rapporti di credito risulterà che hai avuto un’esdebitazione (le banche lo considereranno per qualche tempo, ma col passare degli anni potrai ricostruirti uno storico). Quindi, a differenza del fallimento (che per l’imprenditore comportava restrizioni a gestire attività economiche se non riabilitato), per il consumatore sovraindebitato non ci sono decadimenti di capacità. Potrai anche aprire una nuova attività in seguito (saranno i creditori a valutare se prestarti ancora, ma non c’è un divieto di legge). Il tuo nome potrebbe comparire sul Registro pubblico delle procedure di sovraindebitamento (il SICID o un portale apposito) durante la procedura, consultabile dagli addetti ai lavori. Ma al di fuori, non vieni additato pubblicamente. Quindi stai tranquillo: attivare la procedura non ti “marchia” a vita; anzi, ottenuta l’esdebitazione sei legalmente riabilitato e libero dai vincoli dei debiti pregressi – potrai ricominciare, magari con più prudenza finanziaria.

Domanda: Dopo l’esdebitazione, i creditori possono ancora chiedermi soldi se un giorno sto meglio economicamente?
Risposta: Dipende dal tipo di esdebitazione. Se hai completato regolarmente un piano del consumatore o un concordato minore o una liquidazione controllata, l’esdebitazione che ottieni a fine procedura è definitiva: i creditori per legge non possono più avanzare pretese per i debiti anteriori che non sono stati soddisfatti (sono estinti). Anche se tra 10 anni tu diventassi ricco, quei vecchi debiti rimangono cancellati: i creditori non possono “riaprirli”. Fa eccezione solo il caso in cui si scoprisse dopo che hai agito con dolo o frode (tipo hai nascosto un tesoro durante la procedura): in tal caso l’esdebitazione può essere revocata dal tribunale su istanza dei creditori entro un certo tempo. Ma se tutto è regolare, è definitiva. Diverso è l’esdebitazione del debitore incapiente: quella ha la condizione risolutiva dei 4 anni. Significa che se entro 4 anni dalla concessione tu ottieni “utilità rilevanti” (diciamo una somma che permetterebbe di pagare almeno il 10% di ogni credito, come linea guida), allora i creditori possono chiedere al giudice di revocare in tutto o in parte l’esdebitazione, cosicché tu paghi utilizzando il sopravvenuto miglioramento. Passati i 4 anni, sei libero definitivamente. Questa clausola serve a evitare che uno fa l’esdebitazione zero e magari 2 anni dopo riceve un’eredità milionaria: sarebbe ingiusto per i creditori. Però per le procedure “ordinarie” (piano, concordato, liquidazione) non c’è questa finestra temporale, perché in teoria i creditori hanno già avuto il meglio che potevano in quella sede. Quindi, se sei esdebitato nel 2025 dopo liquidazione, nel 2030 nessun vecchio creditore potrà più bussare reclamando qualcosa. Al massimo, come persona, per un po’ di anni potresti trovare meno facile ottenere credito (le banche vedono che sei stato insolvente), ma è un fatto di mercato, non legale. Puoi anche rifarti una vita creditizia iniziando con piccoli prestiti e ripagandoli, mostrando affidabilità nuova. Quindi la risposta è: no, dopo l’esdebitazione i creditori non possono reclamare nulla, salvo la condizione dei 4 anni se hai usato la procedura di incapienza. Se invece non hai fatto alcuna procedura e semplicemente i creditori hanno smesso di perseguitarti (magari i debiti sono prescritti), quello è un altro discorso – lì formalmente il debito esiste ancora finché non è prescritto o estinto; ma se hai l’esdebitazione giudiziale è proprio morto dal punto di vista giuridico.

Con questa serie di risposte speriamo di aver chiarito i principali dubbi. Affrontare debiti elevati in qualità di padre divorziato è certamente impegnativo, ma come abbiamo visto la legge offre sia protezioni (limiti di pignorabilità, fondo di solidarietà per i figli, ecc.) sia vie d’uscita (piani del consumatore, esdebitazione). Il punto cruciale è agire con consapevolezza, chiedere aiuto quando serve e non perdere di vista i doveri prioritari verso i propri figli. Con le informazioni corrette e il supporto giusto, anche una situazione apparentemente disperata può trovare soluzione o almeno migliorare sensibilmente nel tempo.


Fonti e riferimenti

  • Codice Penale, art. 570-bis: introdotto da D.Lgs. 21/2018, sanziona con reclusione fino a 1 anno o multa fino a €1.032 l’ex coniuge che omette il versamento dell’assegno stabilito in sede di separazione/divorzio.
  • Sistema Penale (Osservatorio Cassazione), Nota 06/06/2025: “Spese straordinarie e inadempimento obblighi familiari: Cassazione precisa confini art. 570-bis c.p.” – Cass. Pen. Sez. VI, 27/05/2025 n.19715 conferma rilevanza penale anche del mancato pagamento di spese straordinarie previste in provvedimento o accordo.
  • Tribunale di Potenza, sent. n.1128 dell’8/10/2024 – Assoluzione di imputato ex art. 570-bis c.p. per “insussistenza del fatto” in caso di indigenza documentata. Richiamato orientamento Cassazione: serve rigoroso vaglio su incidenza dell’omesso pagamento sui bisogni primari del beneficiario. Sintesi disponibile in Davide Tutino, “Omesso pagamento mantenimento e impossibilità economica: Tribunale di Potenza esclude automatismo di responsabilità penale”, 11/11/2024.
  • Cassazione Penale Sez. VI, sent. 17/01/2024 n.2098 (dep. 13/03/2024) – Principi in tema di impossibilità di far fronte all’assegno: l’assoluta incapacità economica esclude il dolo ma va distinta dalla mera indigenza; occorre valutare se l’obbligato potesse adempiere “senza rinunciare a una dignitosa sopravvivenza”, considerando importo dell’assegno, redditi, sforzi per procurarsi entrate, esigenze di vita, ecc. (Massimazione riportata in avvocatopenalista.org).
  • Codice di Procedura Civile, art. 473-bis.39 (introdotto da Dlgs 149/2022, riforma processo familiare) – Prevede misure coercitive contro il genitore inadempiente: astreinte (somma determinata per ogni violazione o ritardo) e altri provvedimenti d’ufficio del giudice. (Fonti: Studiodonne e test normativa).
  • Codice Civile, artt. 156 e 337-ter/quater – disciplina rispettivamente l’ordine di pagamento diretto da parte di terzi in caso di inadempimento dell’assegno (156 co.6 c.c.) e la modificabilità degli accordi di mantenimento per i figli al mutare delle condizioni (337-quater c.c.).
  • Normativa sovraindebitamento: Legge 3/2012 (abrogata e assorbita dal D.Lgs. 14/2019 – Codice della Crisi). Artt. 65-83 CCII sul piano di ristrutturazione consumatore e concordato minore; artt. 268-277 CCII sulla liquidazione controllata; art. 283 CCII su esdebitazione del debitore incapiente. Previsti limiti temporali (art. 269 CCII: durata liquidazione max 4 anni consumatore, 3 anni altri). Prevista esclusione esdebitazione per debiti alimentari e da malafede.
  • Codice Civile, art. 514 c.p.c. – Elenco beni assolutamente impignorabili (es. letto, frigo, abiti, utensili di casa e lavoro indispensabili). Art. 545 c.p.c. – Limiti di pignorabilità di stipendi e pensioni: minimo vitale impignorabile (assegno sociale aumentato della metà) e quota pignorabile (generalmente 1/5 per crediti ordinari, elevabile fino a metà per alimenti o concorso di cause alimentari).
  • Garante per la protezione dei dati personali – Provv. in materia di recupero crediti (2005 e succ. linee guida): vietate comunicazioni lesive della riservatezza o aggressive. (In riferimento alla FAQ su telefonate moleste).

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Cosa puoi fare se sei in difficoltà?

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🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto della crisi familiare e del sovraindebitamento
✔️ Difensore in casi di pignoramento dopo separazione o divorzio
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
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Conclusione

Essere un padre separato e pieno di debiti non significa essere senza via d’uscita. Hai il diritto di ricominciare, mantenere il tuo ruolo di genitore e tutelare il tuo futuro.
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