Locazioni Brevi Turistiche: Come Difendersi da un Accertamento

Hai ricevuto un accertamento fiscale per locazioni brevi turistiche e ti stai chiedendo cosa ha contestato l’Agenzia delle Entrate, quali rischi corri e come puoi difenderti? Hai affittato un appartamento su Airbnb, Booking o altre piattaforme e ora il Fisco ti chiede imposte non versate?

Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli sulle locazioni brevi, soprattutto quando vengono svolte in modo continuativo e senza una corretta dichiarazione dei redditi. Ma non ogni accertamento è fondato, e difendersi è possibile, se sai come muoverti e quali documenti fornire.

Quando scatta l’accertamento sulle locazioni brevi?
– Quando l’Agenzia riceve dati da piattaforme online (Airbnb, Booking, ecc.)
– Quando non hai dichiarato i canoni incassati o li hai indicati in modo incompleto
– Quando il numero degli affitti è elevato e fa sospettare un’attività d’impresa
– Quando non hai applicato la cedolare secca o hai omesso le ritenute come intermediario
– Quando ci sono incongruenze tra i dati fiscali e quelli comunicati dai portali

Cosa può contestarti l’Agenzia delle Entrate?
Omissione o infedele dichiarazione dei redditi da locazione
Applicazione errata del regime fiscale (ad esempio, cedolare secca quando non ammessa)
Mancato versamento delle imposte dovute
– In certi casi, se l’attività è considerata organizzata, può essere riqualificata come impresa, con tassazione IVA, IRPEF e contributi

Come puoi difenderti da un accertamento fiscale per locazioni brevi?
– Dimostrando che si tratta di locazioni saltuarie e non imprenditoriali
– Esibendo i contratti, le ricevute e i movimenti bancari per dimostrare l’importo effettivo incassato
– Verificando che le contestazioni non derivino da errori materiali o duplicazioni dei dati
– Provando di aver regolarmente dichiarato i redditi, anche se in un quadro diverso
– Se non hai presentato la dichiarazione, puoi valutare un ravvedimento operoso o una definizione agevolata prima che l’atto diventi definitivo

Quando l’attività non è considerata imprenditoriale?
– Quando non superi le 4 unità immobiliari locate nello stesso anno
– Quando non offri servizi aggiuntivi tipici dell’attività alberghiera (pulizia quotidiana, reception, colazione)
– Quando non hai una struttura organizzata o personale dipendente
– Quando gestisci direttamente gli affitti senza intermediazione professionale

Cosa NON devi fare mai?
– Ignorare l’avviso di accertamento: hai 60 giorni per reagire, poi diventa definitivo
– Presentarti senza documenti: la difesa si basa su tracciabilità e prove concrete
– Pensare che “tanto è un’attività secondaria”: il Fisco controlla anche i redditi minori
– Firmare un’adesione senza capire cosa stai accettando: potresti pagare più del dovuto

Affittare casa ai turisti non è illegale, ma va dichiarato correttamente. Se il Fisco sbaglia i calcoli, puoi reagire e difenderti.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in accertamenti fiscali su locazioni turistiche – ti spiega quando può partire un controllo, cosa può contestarti l’Agenzia delle Entrate e come preparare una difesa solida.

Hai ricevuto un accertamento per locazioni brevi e non sai come reagire?

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Introduzione

Le locazioni brevi a fini turistici – ad esempio gli affitti di case e appartamenti tramite piattaforme come Airbnb – sono oggetto di crescente attenzione da parte del Fisco e degli enti locali. Negli ultimi anni, il legislatore italiano ha introdotto nuove regole fiscali, obblighi burocratici e poteri di controllo più stringenti su questi affitti di breve durata (generalmente entro 30 giorni). Parallelamente, importanti sentenze hanno chiarito i limiti entro cui Comuni e altri soggetti possono intervenire in questo settore. Di conseguenza, molti proprietari e gestori di affitti brevi si trovano oggi a dover fronteggiare avvisi di accertamento per imposte non dichiarate (come l’IRPEF sui canoni percepiti) o per tributi locali non versati (come l’imposta di soggiorno comunale).

Questa guida – aggiornata a giugno 2025 – fornisce un’analisi completa e di livello avanzato su come difendersi da un accertamento in materia di locazioni brevi turistiche. L’approccio è dal punto di vista del debitore-contribuente (sia esso un privato proprietario, un imprenditore del settore o un “property manager”) e combina il rigore del linguaggio giuridico con uno stile chiaro e divulgativo. Verranno esaminati i riferimenti normativi più aggiornati, le sentenze recenti di rilevanza (Cassazione, Consiglio di Stato, giustizia tributaria), nonché esempi pratici, tabelle riepilogative e una sezione Domande & Risposte per chiarire i dubbi frequenti.

Nota iniziale: In questa trattazione non affronteremo profili di responsabilità penale (come i reati tributari), concentrandoci invece sugli aspetti amministrativi e tributari delle locazioni brevi. Si consideri infatti che, a seguito di interventi legislativi, molte condotte in passato rilevanti penalmente (ad es. il mancato versamento dell’imposta di soggiorno) sono state depenalizzate e ricondotte nell’alveo delle sanzioni amministrative. L’obiettivo è dunque fornire strumenti di difesa legale e tributaria al locatore che riceva un accertamento, indicando come valutare la legittimità della pretesa, quali rimedi attivare (dalla fase di contraddittorio fino al ricorso in Commissione Tributaria, oggi Corte di Giustizia Tributaria di primo grado) e come eventualmente regolarizzare la propria posizione con strategie deflattive (ravvedimento, acquiescenza, accertamento con adesione, ecc.).

Nei capitoli seguenti analizzeremo dapprima il quadro normativo delle locazioni brevi (definizione, requisiti, regime fiscale applicabile, nuove norme dal 2020 in poi), per poi esaminare i principali obblighi in capo ai locatori (comunicazioni, codici identificativi, sicurezza, imposta di soggiorno, ecc.). Successivamente affronteremo in dettaglio le varie tipologie di accertamento possibili:

  • Accertamenti fiscali dell’Agenzia delle Entrate per redditi da affitti brevi non dichiarati (IRPEF, addizionali, eventuale IVA/IRAP se l’attività è considerata imprenditoriale);
  • Accertamenti dei Comuni sull’imposta di soggiorno non versata o non dichiarata;
  • Altre sanzioni amministrative (ad es. violazioni di obblighi di registrazione, SCIA, Codice Identificativo, norme urbanistiche o di pubblica sicurezza).

Per ognuna di queste situazioni vedremo come difendersi efficacemente, individuando le possibili eccezioni da sollevare (decadenza dei termini, vizi formali, errori di calcolo, incompetenza dell’ente, illegittimità della norma locale, ecc.) e le strategie migliori (quando conviene pagare con riduzione delle sanzioni e quando invece è opportuno fare ricorso).

Al fine di rendere la trattazione più fruibile, troverete inoltre tabelle riepilogative (ad esempio sul confronto tra locazione breve occasionale e locazione in forma d’impresa, sulle scadenze e le sanzioni) e casi pratici simulati che illustrano scenari tipici (es: proprietario che non ha dichiarato i redditi Airbnb degli ultimi anni; gestore multato dal Comune per imposta di soggiorno evasa; ecc.), con indicazione delle possibili soluzioni. Infine, una sezione di Domande & Risposte (FAQ) chiarirà i dubbi più comuni in materia (numero massimo di immobili affittabili, obbligo di registrazione del contratto, come funziona il nuovo Codice Identificativo Nazionale, cosa fare se si riceve un avviso per annualità ormai “vecchie”, ecc.).


Normativa di riferimento e inquadramento delle locazioni brevi

Cos’è una locazione breve turistica: definizione e requisiti

Il termine “locazione breve” in ambito turistico identifica, ai sensi dell’art. 4 del D.L. 50/2017 (conv. in L. 96/2017), i contratti di affitto di immobili ad uso abitativo aventi durata non superiore a 30 giorni, stipulati da persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa. Rientrano nella definizione anche eventuali contratti che prevedano la fornitura di servizi accessori alla mera locazione, purché si tratti di servizi di natura non alberghiera – tipicamente, la pulizia dei locali e la fornitura di biancheria durante il soggiorno. Ciò significa che il proprietario può offrire al turista lenzuola pulite, asciugamani e la pulizia finale dell’alloggio, senza per questo trasformare l’affitto in un’attività ricettiva professionale. Diversamente, servizi tipici delle strutture alberghiere – come la colazione, la reception/portineria continua, il riassetto giornaliero delle camere, oppure servizi aggiuntivi (noleggio auto, guide turistiche, pasti, etc.) – esulano dalla locazione breve pura: la presenza di tali servizi configurerebbe un’attività più strutturata (affittacamere, B&B, casa vacanze in forma imprenditoriale) soggetta ad autorizzazioni e regime fiscale diversi (come vedremo a breve).

Riassumendo, perché un affitto turistico sia considerato “locazione breve” ai sensi della normativa fiscale vigente, occorrono tutti i seguenti requisiti di base:

  • Durata del contratto non superiore a 30 giorni – ad esempio il classico affitto per il weekend o per una o due settimane. Contratti più lunghi (oltre 30 gg) esulano dalla disciplina delle locazioni brevi e seguono le regole ordinarie degli affitti (con obbligo di registrazione del contratto, regime fiscale IRPEF ordinario o cedolare secca al 21% se uso abitativo, ma niente ritenuta 21% da parte di portali). Nel caso di locazioni brevi ripetute, conta la durata di ciascun singolo contratto con un determinato ospite; non c’è un limite massimo annuale di giorni affittabili complessivamente (salvo eventuali restrizioni locali), fermo restando il criterio che se l’attività diviene sistematica potrebbe configurare impresa (vedi oltre). Importante: non vi è obbligo di registrare i contratti brevi presso l’Agenzia delle Entrate se rimangono entro 30 giorni, proprio perché la legge li esenta dall’imposta di registro (come per le locazioni transitorie brevi). Si consiglia comunque di predisporre per iscritto un contratto o una lettera di conferma con gli ospiti, per definire termini e condizioni, sebbene non vi sia registrazione.
  • Locatore persona fisica che non agisce in attività d’impresa – il proprietario (o sub-locatore/comodatario) deve operare come privato. Se invece l’affitto è concluso da una società, o da una ditta individuale nell’ambito della sua attività, non si applica la disciplina fiscale “locazioni brevi” ma quella delle attività ricettive o della locazione di immobili d’impresa (i relativi canoni non sono redditi fondiari ma redditi di impresa). Ad esempio, se una S.r.l. possiede appartamenti che affitta per periodi brevi, i relativi proventi saranno reddito d’impresa e non potranno godere della cedolare secca; similmente un B&B imprenditoriale (gestito con Partita IVA) è escluso dal regime delle locazioni brevi. Circolare Agenzia Entrate n. 24/E del 2017 ha chiarito esplicitamente che formule come Bed & Breakfast o Case Vacanze in forma imprenditoriale non rientrano nelle “locazioni brevi” agevolate, essendo considerate attività commerciali a tutti gli effetti.
  • Immobile ad uso abitativo e destinato a finalità turistiche – l’alloggio locato deve essere una civile abitazione (categoria catastale A, con esclusione degli uffici A/10) e dev’essere affittato per soggiorni turistici o comunque transitori (svago, vacanze, lavoro temporaneo, studio, cure, ecc.). Non c’è un divieto per le locazioni brevi in città non turistiche: il termine “turistico” è ampio e include qualunque locazione di breve periodo per esigenze temporanee dell’inquilino. Gli immobili devono possedere i requisiti di abitabilità previsti dalle norme (sicurezza, igiene, urbanistica), ma non necessitano di classificazioni alberghiere. Nota: Possono essere affittate brevemente anche singole porzioni dell’immobile, ad esempio una stanza nella propria casa, o un piano della villa: il nuovo obbligo di CIN (Codice Identificativo Nazionale) e le norme di sicurezza dal 2025 si applicano anche se si loca una sola camera di un’unità immobiliare. In tal caso, però, attenzione alle norme di condominio (se in appartamento condominiale) e alla normativa regionale: affittare stanze con servizi aggiuntivi potrebbe sconfinare nella figura dell’“affittacamere” o B&B.
  • Assenza di servizi “alla persona” tipici degli hotel – come accennato, la fornitura di biancheria e la pulizia iniziale/finale sono consentite e anzi implicite nella locazione breve turistica (il turista si aspetta un alloggio pulito e dotato di lenzuola). Non costituiscono servizi alberghieri nemmeno la connessione internet Wi-Fi, l’aria condizionata, il riscaldamento, le utenze, ecc., in quanto elementi oramai basilari dell’immobile concesso in godimento. Questi servizi essenziali, anche se pubblicizzati nell’annuncio, non fanno scattare un’attività d’impresa. Viceversa, offrire agli ospiti la colazione o pasti, il riordino giornaliero delle stanze, transfers con autista, tour organizzati o altri servizi di ospitalità qualificano l’attività come ricettiva imprenditoriale (affittacamere, B&B, ecc.). In generale, il discrimine è la professionalità e l’organizzazione: secondo la giurisprudenza, “il proprietario che concede in locazione il proprio bene esercita il diritto di godimento tipico della proprietà, producendo reddito fondiario e non d’impresa”, soprattutto se la saltuarità dei soggiorni e la limitatezza del numero di contratti indicano che manca il requisito dell’organizzazione imprenditoriale. Ad esempio, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (sent. n. 4451/2019) ha escluso che un privato affittuario di 1 porzione della propria abitazione principale con 16 contratti annui potesse essere considerato imprenditore, sebbene avesse usato Airbnb: l’uso di piattaforme online è equiparato a semplici inserzioni, non a un’attività strutturata. Questo principio è importante: il mero utilizzo di Airbnb/Booking non trasforma di per sé il locatore in imprenditore. Conta invece il volume e la modalità dell’attività (vedi oltre il limite dei 4 immobili).

Regime fiscale delle locazioni brevi: cedolare secca e novità 2024-2025

Dal punto di vista fiscale, alle locazioni brevi private si applica, su opzione del locatore, il regime della cedolare secca sugli affitti – imposta sostitutiva che tassa il canone con aliquota fissa, in luogo dell’IRPEF e addizionali. La cedolare secca per le locazioni brevi è stata introdotta proprio dal D.L. 50/2017, art. 4, estendendo ai redditi da affitti brevi la stessa aliquota agevolata prevista per i normali affitti abitativi. Fino al 2023 l’aliquota era unica al 21%. Dal 1° gennaio 2024 è intervenuta una modifica importante: la legge n. 213/2023 (Legge di Bilancio 2024) ha previsto un’aliquota differenziata: 26% sui redditi da affitti brevi, ridotta al 21% solo sui redditi derivanti da un contratto relativo ad una sola unità immobiliare per periodo d’imposta (a scelta del contribuente). In pratica, chi affitta più di un immobile con contratti brevi nel corso dell’anno paga la cedolare al 26% su tutti, ma può individuare un immobile (tra quelli affittati brevemente) su cui mantenere la cedolare al 21%. Tale scelta va effettuata nella dichiarazione dei redditi, indicando quale immobile beneficia dell’aliquota ridotta.

Esempio: se nel 2025 affitto brevemente 3 appartamenti diversi, incassando €10.000 da ciascuno, potrò applicare il 21% su uno di questi (pagando €2.100 di cedolare su quel reddito) e il 26% sugli altri due (pagando €2.600 + €2.600). Senza l’opzione cedolare, quei €30.000 concorrerebbero al mio reddito IRPEF ordinario (con aliquote progressive fino al 43% oltre certe soglie) e sarebbero soggetti anche alle addizionali regionali/comunali; inoltre sarei tenuto a versare l’imposta di registro sul contratto (se registrato) e il bollo. La cedolare secca semplifica quindi il prelievo fiscale e di norma conviene al contribuente (specie se ha aliquote IRPEF marginali elevate). Va però ricordato che optando per la cedolare non si possono dedurre costi specifici (nemmeno la provvigione pagata al portale o spese di manutenzione): l’imposta sostitutiva si applica sull’intero canone percepito. Se invece si sceglie la tassazione IRPEF ordinaria, i canoni di locazione breve di immobili di proprietà sono considerati redditi fondiari (o redditi diversi se si tratta di sublocazione o comodato concesso dietro corrispettivo) e confluiscono nel reddito complessivo. Per i redditi fondiari da locazione di immobili abitativi, la legge prevede già una riduzione forfettaria del 5% (si dichiara il 95% del canone annuo, salvo altri forfait maggiori per particolari contratti agevolati); in alternativa se sono “redditi diversi” (es. il comodatario che affitta stanze) è possibile dedurre le spese specificamente inerenti (pulizie, utenze, biancheria, ecc.) dal totale percepito. Sono dettagli tecnici, ma significano che: 1) un proprietario che non opta per cedolare avrà tassazione IRPEF sul 95% dei proventi lordi; 2) un sublocatore/comodatario può abbattere il reddito imponibile presentando le spese vive sostenute per l’affitto breve (purché documentabili).

Esclusione della cedolare per attività d’impresa: Se l’attività di affitto breve assume carattere imprenditoriale (perché esercitata da società o da persona fisica con organizzazione e abitualità), la cedolare secca non è applicabile. In tal caso i redditi sono interamente tassati come reddito d’impresa (IRPEF o IRES) e vanno dichiarati nel quadro relativo ai redditi di impresa, con possibilità di dedurre i costi secondo le regole ordinarie. Ad esempio, un B&B in forma imprenditoriale potrà dedurre le spese di gestione (colazioni offerte, lavanderia, personale, ecc.) ma pagherà le imposte sugli utili netti a aliquote ordinarie; inoltre dovrà applicare (e versare) l’IVA sulle prestazioni rese agli ospiti (tipicamente aliquota IVA del 10% per le locazioni turistiche brevi con servizi aggiuntivi). Approfondiremo a breve quando scatta la qualifica di impresa. Importante: Nel regime privatistico delle locazioni brevi (non impresa), i canoni percepiti sono fuori campo IVA (operazione esente ai sensi dell’art. 10 DPR 633/72) e il locatore non deve emettere fattura, ma solo – se richiesto – una ricevuta non fiscale per attestare il pagamento (soggetta a bollo da €2 se l’importo supera €77,47). Non c’è obbligo di tenuta di registri contabili per il privato; ovviamente dovrà conservare traccia dei pagamenti ricevuti (anche solo l’estratto conto bancario o le ricevute prodotte dalla piattaforma).

Novità 2021: limite di 4 appartamenti e presunzione di impresa. Un punto cruciale da considerare per chi opera con affitti brevi è la disposizione introdotta dalla Legge n. 178/2020 (Bilancio 2021), art. 1 comma 595, in vigore dal 2021. Tale norma prevede che la disciplina fiscale delle locazioni brevi si applichi solo se il locatore destina a questa attività al massimo 4 appartamenti per ciascun periodo d’imposta. Oltre la soglia di 4 unità, a prescindere dalla forma giuridica del locatore, l’attività si presume svolta in forma imprenditoriale. Questo significa che, se un contribuente affitta brevemente 5 o più immobili (anche se in comuni diversi), dal quinto immobile in poi il Fisco considera l’insieme dell’attività come un’impresa (con tutti gli adempimenti connessi: apertura Partita IVA, niente cedolare, tassazione d’impresa, ecc.). La soglia dei “quattro appartamenti” è quindi un parametro di legge per distinguere attività occasionale vs business.

Va notato però che questo parametro non è l’unico elemento: la stessa Agenzia delle Entrate ha chiarito (Risp. interpello n. 278/2020) che anche al di sotto di 4 immobili può esservi attività d’impresa se ricorrono altri elementi di professionalità, come ad esempio la presenza di una struttura organizzata o la fornitura di servizi aggiuntivi non meramente accessori. In particolare, vengono citati la somministrazione di pasti, il noleggio di veicoli agli ospiti, l’organizzazione di escursioni/guide, oppure la presenza di personale dipendente o di un ufficio dedicato all’attività di gestione degli affitti brevi. Questi fattori indicano che ci si sta muovendo oltre la gestione “domestica” dei propri immobili e si sta offrendo un servizio simile a un’attività alberghiera, con conseguente qualificazione come impresa. Quindi un host con 2 case, ma che offre servizi completi ai turisti, potrebbe comunque essere considerato imprenditore dal Fisco.

Ricapitolando sul punto impresa vs privato:

  • Se affitti fino a 4 immobili e fornisci solo alloggio (con pulizia/lenzuola), di regola sei considerato privato, redditi fondiari (o diversi) e cedolare secca applicabile.
  • Se affitti 5 o più immobili brevi: scatta la presunzione assoluta di impresa (reddito d’impresa, obbligo IVA, ecc.).
  • Anche con 1-3 immobili, puoi essere impresa se operi con modalità organizzate (es. un’agenzia di gestione case vacanze, con tanto di dipendenti e servizi turistici).
  • Le regioni inoltre spesso considerano “casa vacanze non imprenditoriale” chi gestisce fino a 3 appartamenti, richiedendo la forma imprenditoriale oltre i 3 – questa soglia regionale (3) può differire leggermente da quella fiscale (4), ma serve per le autorizzazioni locali. In pratica: fino a 3 case vacanze puoi fare SCIA non imprenditoriale in molte regioni; con 4 sei borderline (fiscalmente ok, localmente magari già richiesto passaggio a impresa); con 5 sei sicuramente impresa su entrambi i fronti.

Obblighi per intermediari e piattaforme (Airbnb, Booking, etc.)

Una caratteristica peculiare della disciplina delle locazioni brevi in Italia è il coinvolgimento attivo degli intermediari immobiliari e dei portali telematici (come Airbnb, Booking, Vrbo, etc.) nel monitoraggio fiscale. La legge impone infatti obblighi a carico di questi soggetti, in parte per reperire le informazioni sui contratti conclusi, in parte per garantire a monte il prelievo fiscale sui canoni pagati.

In particolare, l’art. 4 del D.L. 50/2017 prevede due obblighi principali per chi “mette in contatto” locatori e conduttori di locazioni brevi, quando interviene nel pagamento dei canoni:

  1. Comunicazione dei dati dei contratti – Gli intermediari (agenzie immobiliari tradizionali o portali online) devono trasmettere all’Agenzia delle Entrate i dati relativi ai contratti di locazione breve conclusi per il loro tramite. Ciò include informazioni come: nome e codice fiscale del locatore, durata del soggiorno, importo del canone, indirizzo dell’immobile, nominativi dei conduttori, ecc. Questa comunicazione avviene annualmente (tramite modello specifico da inviare telematicamente) ed è fondamentale per consentire all’Amministrazione finanziaria di incrociare i dati con le dichiarazioni dei redditi dei locatori.
  2. Applicazione della ritenuta fiscale del 21% – Se l’intermediario incassa o interviene nel pagamento del canone (come fanno i portali che gestiscono i pagamenti online), esso è tenuto ad applicare, all’atto dell’accredito al locatore, una ritenuta del 21% sull’importo del canone. Questa ritenuta ha natura di acconto d’imposta: in pratica il portale trattiene il 21% di quanto dovuto al proprietario e lo versa allo Stato, e poi rilascia al locatore una Certificazione Unica (CU) dell’importo trattenuto. Il locatore potrà scomputare tale importo dalle tasse dovute in dichiarazione (e se ha optato per cedolare secca, quella ritenuta del 21% è proprio l’imposta sostitutiva definitiva). Se il locatore non opta per cedolare, la ritenuta resta un acconto IRPEF: se l’IRPEF effettiva risulta più alta, pagherà la differenza, se è più bassa può andare a credito.

Queste misure sono entrate in vigore il 1° giugno 2017. Tuttavia, la loro effettiva attuazione sulle piattaforme estere è stata travagliata: portali come Airbnb inizialmente si sono opposti, sollevando questioni di diritto UE (libera prestazione di servizi, ecc.) e rifiutando di fungere da sostituti d’imposta. Ne è nato un contenzioso, nel quale il TAR Lazio prima (sent. 2207/2019) confermò la legittimità della “tassa Airbnb”, poi il Consiglio di Stato sospese e rinviò alla Corte di Giustizia UE la questione. La Corte di Giustizia si è espressa a fine 2022 confermando in sostanza la compatibilità delle misure italiane con il diritto UE. Quindi, con sentenza n. 9188 del 24/10/2023, il Consiglio di Stato ha chiuso il caso: ha confermato l’obbligo per i portali di comunicare i dati e operare la ritenuta fiscale, mentre ha annullato solo la parte del provvedimento che imponeva ai portali non residenti di nominare un rappresentante fiscale in Italia. L’obbligo di designare un rappresentante fiscale (art. 4, co.5-bis DL 50/2017) è stato infatti ritenuto una restrizione sproporzionata alla libera prestazione di servizi transfrontalieri. Ma ciò non esonera le piattaforme estere dal rispettare gli adempimenti: semplicemente possono gestirli direttamente, senza bisogno di un rappresentante locale.

In sintesi: dal 2023 in poi tutti i principali portali OTA (Online Travel Agencies) che operano in Italia devono agire da sostituto d’imposta. I soggetti residenti o con stabile organizzazione in Italia già lo facevano (es. agenzie italiane, o portali che avevano filiali); i soggetti non residenti senza stabile org. ora sono comunque tenuti a trattenere il 21% come responsabili d’imposta e a trasmettere i dati. La mancata nomina del fiscal representative non li esime: difatti, subito dopo la sentenza 2023, la Guardia di Finanza ha agito. Airbnb (Airbnb Ireland UC) è finita sotto inchiesta per omessa dichiarazione e mancato versamento delle ritenute 2017-2021, con un sequestro preventivo di oltre 779 milioni di euro disposto dal GIP di Milano. Tale importo corrisponde proprio al 21% dei canoni raccolti via Airbnb in Italia in quegli anni (3,7 miliardi) e non versati al Fisco. Ciò significa che ora lo Stato mira a recuperare quelle somme direttamente da Airbnb, senza però sollevare i singoli host dal dovere di dichiarare i redditi: se infatti la piattaforma paga in qualità di sostituto, il contribuente eviterebbe sanzioni per omesso versamento, ma resterebbe comunque tenuto a dichiarare il reddito (sul quale la ritenuta eventualmente verrà imputata).

Dal 2024 in avanti, dunque, è lecito attendersi che portali come Airbnb e Booking applichino regolarmente la ritenuta 21% su tutti i pagamenti ai host privati e trasmettano i dati fiscali all’Agenzia delle Entrate. Questo comporta che i redditi percepiti tramite queste piattaforme saranno in gran parte già tracciati e tassati alla fonte. Attenzione: se il locatore è un host imprenditore con P.IVA, la piattaforma non applicherà la ritenuta (che si applica solo ai privati) ma comunque comunicherà i dati dei contratti; starà poi all’imprenditore autofatturare il portale per le commissioni ed emettere ricevuta/fattura all’ospite con IVA, ecc.

Nuovi obblighi 2024-2025: Codice Identificativo Nazionale (CIN) e sicurezza antincendio

Oltre agli obblighi fiscali sin qui descritti, recenti interventi normativi hanno introdotto ulteriori adempimenti amministrativi per chi offre locazioni brevi. Due novità spiccano in particolare:

  • L’istituzione di un Codice Identificativo Nazionale (CIN) per le locazioni turistiche;
  • L’obbligo di dotare gli immobili destinati ad affitti brevi di dispositivi di sicurezza (rilevatori gas/fumo e estintori).

Il CIN è stato previsto dall’art. 13-quater del Decreto-Legge 18 novembre 2022 n. 176 (c.d. Decreto Aiuti-quater), poi ripreso e integrato nel D.L. 145/2023. Dopo lo sviluppo di una Banca Dati nazionale delle strutture ricettive e immobili destinati a locazione breve, il Ministero del Turismo ha reso operativa la piattaforma per il rilascio dei codici nel 2024. Dal 2 novembre 2024 il sistema è entrato in funzione, e il termine per munirsi di CIN è stato fissato al 1° gennaio 2025. In pratica, dal 1° gennaio 2025 chiunque affitti un immobile (o porzione) a fini turistici deve ottenere un Codice Identificativo Nazionale attraverso il portale del Ministero e indicarlo in ogni annuncio o comunicazione, nonché esporlo presso l’immobile. Il codice serve a identificare univocamente la struttura e ad incrociare i dati con quelli fiscali e statistici. Va sottolineato che il CIN non sostituisce gli eventuali codici identificativi locali/regionali (i vari CIR introdotti da alcune Regioni negli anni scorsi). Se una Regione o Comune già richiede un proprio codice, il locatore dovrà avere entrambi i codici e mostrarli (ad esempio, in Lombardia c’è un CIR regionale: dal 2025 si aggiungerà il CIN nazionale). Sono esentati dall’obbligo solo alcune categorie particolari, come le case religiose senza scopo di lucro che offrono ospitalità gratuita (donazioni volontarie escluse). Gli agriturismi invece, pur essendo disciplinati da leggi regionali agrituristiche, dovranno comunque acquisire il CIN se affittano alloggi, poiché la norma nazionale li include.

La sanzione per chi violi queste disposizioni è significativa: da 800 a 8.000 euro di multa amministrativa per chi pubblica annunci senza indicare il CIN o non espone il codice all’esterno. La stessa sanzione si applica anche per chi non richiede affatto il codice. Queste misure mirano a far emergere tutte le strutture ricettive abusive o irregolari: un annuncio online senza codice sarà facilmente individuabile e sanzionabile. Pertanto, chi esercita locazioni brevi deve tempestivamente registrarsi sulla piattaforma ministeriale BDSR e ottenere il CIN, compilando anche una dichiarazione sostitutiva dove attesta il possesso dei requisiti di sicurezza richiesti.

Parallelamente, infatti, la normativa ha introdotto requisiti minimi di sicurezza antincendio e anti-fughe di gas per tutti gli immobili dati in locazione breve, anche in forma non imprenditoriale. Il D.L. 145/2023 (art. 13-ter, comma 7) prevede che ogni unità affittata brevemente sia dotata di rilevatori di gas combustibili e di monossido di carbonio funzionanti, nonché di estintori portatili a norma. Il DM 6/10/2021 aveva già imposto analoghi obblighi per le strutture ricettive professionali di piccole dimensioni, ma ora l’obbligo viene esteso anche al privato che affitta occasionalmente. Le FAQ ministeriali (aggiornate a novembre 2024) chiariscono che tali requisiti valgono anche se si affitta una sola stanza della propria casa. Dunque, ad esempio, se affitto anche saltuariamente la cameretta per brevi periodi, devo comunque installare un rilevatore di monossido e avere almeno un estintore.

La norma tecnica stabilisce che deve esserci almeno un estintore per piano dell’unità immobiliare e comunque un estintore ogni 200 m² di superficie, o frazione. Esempio: un appartamento su un piano di 80 m² => 1 estintore; un appartamento di 250 m² su due piani => almeno 1 estintore per piano (quindi 2) perché ogni piano deve averne uno, e il piano >200 m² ne richiede un secondo sullo stesso piano. Inoltre, i dispositivi devono essere a norma e mantenuti efficienti (manutenzione periodica secondo le istruzioni). Oltre a ciò, rimane fermo l’obbligo di rispetto delle normali regole edilizie e igienico-sanitarie per abitazioni (per es., se per affittare una taverna seminterrata c’è bisogno di certi requisiti di aerazione, questi vanno comunque rispettati). Tuttavia – come ha evidenziato il Consiglio di Stato – l’eventuale mancanza di requisiti edilizi non può essere usata dal Comune per vietare a priori la locazione breve, ma solo per sanzionare la violazione edilizia in sé.

Infine, ricordiamo un obbligo preesistente ma fondamentale in tema di sicurezza: la comunicazione delle generalità degli alloggiati alla Questura (Polizia di Stato). Ai sensi dell’art. 109 T.U.L.P.S., chiunque dia alloggio a soggetti non residenti (in alberghi, B&B, locazioni, ecc.) deve comunicarne online i dati entro 24 ore dall’arrivo. Per i soggiorni brevissimi (inferiori a 24 ore) la comunicazione va fatta entro 6 ore. Questo adempimento di pubblica sicurezza – da effettuare tramite il portale Alloggiati Web della Polizia – riguarda anche i locatori privati di case vacanze e locazioni brevi: l’omissione comporta sanzioni amministrative e, in casi reiterati, può configurare reati (ma su questo non ci dilunghiamo qui). È comunque parte integrante degli obblighi di chi affitta a turisti e spesso viene controllato sia dalla Questura che dal Comune in sede di accertamento. Dunque, oltre a “difendersi” dagli accertamenti fiscali, l’host deve giocare d’anticipo curando questi adempimenti per non incorrere in provvedimenti sanzionatori: un inatteso controllo può infatti partire anche da un incrocio dati tra Alloggiati Web e imposta di soggiorno o tra Alloggiati Web e inserzioni online.


L’imposta di soggiorno: obblighi verso il Comune e difesa dagli accertamenti locali

Oltre alle imposte statali sui redditi, chi affitta alloggi a turisti deve rapportarsi con le normative fiscali locali, in primis la tassa di soggiorno (o contributo di soggiorno) istituita da molti Comuni turistici. Esamineremo i doveri del locatore in merito a questa imposta e come comportarsi se il Comune notifica un accertamento per somme non versate.

Come funziona l’imposta di soggiorno e chi deve pagarla

L’imposta di soggiorno è un tributo locale che alcuni Comuni (soprattutto città d’arte, località turistiche, città capoluogo, ecc.) applicano ai turisti alloggiati nelle strutture ricettive del territorio comunale. Introdotta a livello nazionale dal D.Lgs. 23/2011, fu inizialmente pensata per alberghi e strutture “ufficiali”, ma col tempo è stata estesa anche alle locazioni brevi e in genere a qualsiasi pernottamento a pagamento in strutture extra-alberghiere. Oggi oltre 1.100 Comuni italiani applicano la tassa di soggiorno, con tariffe che variano (di solito pochi euro a notte per ospite) stabilite da regolamenti locali.

Chi paga materialmente la tassa? La imposta ricade sul turista alloggiato (onere economico sul consumatore), il quale è tenuto a versare l’importo dovuto per ogni notte di soggiorno, fino a un massimo di notti (stabilito dal Comune, ad es. i primi 5 o 7 giorni). Ad esempio, se il Comune prevede €2 a notte a persona, un ospite che soggiorna 3 notti pagherà €6 di tassa. Tuttavia, il turista non paga direttamente al Comune: paga il gestore della struttura presso cui alloggia al momento del check-out, dopodiché sarà il gestore a versare tali somme al Comune. In questo meccanismo, il gestore funge da “intermediario fiscale obbligato”: riscuote l’imposta dal cliente e la riversa all’ente.

La legge ha chiarito che il gestore è responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno verso il Comune, con diritto di rivalsa sugli ospiti. Questa definizione – introdotta dal D.L. 34/2020, art. 180 (L. 77/2020) che ha aggiunto il comma 1-ter all’art. 4 D.Lgs. 23/2011 – ha risolto un vecchio equivoco: prima il ruolo del gestore non era definito con precisione, tanto che alcuni giudici lo consideravano un agente contabile (incaricato di maneggiare denaro pubblico), ipotizzando reati di peculato in caso di mancato versamento. Dal 2020 invece è chiaro che il gestore è un responsabile d’imposta (figura del diritto tributario) e le sue inadempienze si puniscono con sanzioni amministrative tributarie, non penali. Per di più, con D.L. 146/2021 si è reso questo inquadramento retroattivo anche per gli anni precedenti (fatti antecedenti al 19/5/2020), così da chiudere definitivamente la porta a conseguenze penali per le evasioni pregresse dell’imposta di soggiorno (salvando molti albergatori e host da accuse di peculato).

Chi è soggetto all’obbligo? Tutte le tipologie di strutture che offrono alloggio a pagamento possono essere assoggettate all’imposta di soggiorno se il Comune l’ha istituita. Ciò include gli hotel (ovvio), i B&B (sia in forma imprenditoriale che quelli a gestione familiare), gli affittacamere, le case vacanze e appartamenti ammobiliati ad uso turistico (quindi gli alloggi in locazione breve), oltre ad agriturismi, campeggi, ostelli, ecc. In pratica, anche il privato che affitta la sua casa su Airbnb in un Comune con tassa di soggiorno è soggetto all’obbligo di riscuotere e versare l’imposta.

I regolamenti comunali spesso prevedono esenzioni per alcune categorie di ospiti (es. minorenni, residenti nel Comune, malati che soggiornano per cure, accompagnatori di disabili, forze dell’ordine in servizio, autisti di comitive, etc.). Il gestore deve informare gli ospiti dell’applicazione della tassa (cartelli informativi in struttura, note nell’inserzione), riscuoterla al momento del pagamento del soggiorno, certificarla con ricevuta separata o in fattura (indicandola come operazione fuori campo IVA), e poi procedere al versamento secondo le scadenze previste.

Adempimenti del gestore: dichiarazione annuale e versamenti periodici

Su impulso dello Stato, dal 2020 è stata introdotta una dichiarazione annuale dell’imposta di soggiorno: tutti i gestori devono, entro il 30 giugno di ogni anno, inviare per via telematica una dichiarazione riepilogativa dell’imposta di soggiorno riferita all’anno precedente. Questa dichiarazione, valida su tutto il territorio nazionale, si trasmette attraverso un portale ministeriale dedicato (sul sito del Ministero dell’Economia) utilizzando SPID o credenziali. Vi si indicano, per l’anno solare precedente: numero di pernottamenti imponibili, imposta totale dovuta, eventuali esenzioni applicate, importi versati al Comune, ecc. Lo scopo è centralizzare il monitoraggio e incrociare i dati tra Comuni e Stato. La prima dichiarazione annuale è stata fatta nel 2022 (riferita al 2021). Chi gestiva locazioni brevi nel 2021, ad esempio, ha dovuto presentare entro 30/6/2022 la dichiarazione con i dati di quell’anno, anche se li aveva già comunicati al Comune (questo doppio livello sta generando un po’ di confusione, ma per ora entrambi sono richiesti).

Il gestore inoltre deve effettuare i versamenti periodici al Comune delle somme incassate dai turisti. Le modalità e la frequenza variano da Comune a Comune: alcuni richiedono il versamento mensile (es. Roma, che lo pretende entro il 15 del mese successivo), altri trimestrale, altri ancora semestrale o addirittura annuale. Tipicamente, la scadenza è indicata nel regolamento comunale o nelle istruzioni comunicate dal settore tributi. Ad esempio, un Comune potrebbe stabilire: versamento entro il 16 del mese successivo al trimestre (quindi 16 aprile per il 1º trim., 16 luglio per 2º, ecc.). In mancanza di indicazioni, il principio generale sarebbe di versare subito dopo l’incasso, ma quasi tutti i Comuni hanno fissato finestre temporali. È fondamentale rispettare queste scadenze, usando le modalità di pagamento previste (F24 per alcuni grandi Comuni, oppure bonifico con causale, o sistemi telematici dedicati).

Riepilogo obblighi (vedi Tabella 1 in seguito per schema):

  • Riscossione dell’imposta: al check-out, raccogliere l’importo dovuto dall’ospite e rilasciare quietanza. L’omessa riscossione (cioè non chiedere la tassa al cliente) non esime dal doverla poi versare: se non l’hai chiesta, dovrai pagarla di tasca tua comunque, e subisci sanzione.
  • Versamento al Comune: nei termini previsti (mensile/trimestrale, ecc.), tramite i canali indicati.
  • Dichiarazione annuale: entro il 30 giugno, online, riepilogativa di tutto l’anno precedente.
  • Conservazione documenti: conviene tenere un registro (anche informale, tipo file Excel) con tutte le presenze, le imposte riscosse, eventuali esenzioni firmate dall’ospite, ricevute rilasciate e copia dei versamenti effettuati. Questo sarà utile in caso di contestazioni.

Sanzioni per omesso versamento o omissioni dichiarative (imposta di soggiorno)

In caso di violazioni, sono previste sanzioni amministrative tributarie, stabilite a livello nazionale dal D.Lgs. 23/2011 (art. 4, comma 1-ter come modificato nel 2020) richiamando le norme generali del D.Lgs. 471/1997:

  • Omesso o tardivo versamento dell’imposta di soggiorno: si applica la sanzione pari al 30% dell’importo non versato, ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 471/1997. Questa è la stessa percentuale prevista per omessi versamenti di qualsiasi tributo. Ad esempio, se non ho versato 1.000 € di imposta di soggiorno, posso essere multato per 300 € (oltre all’obbligo di versare comunque i 1.000 € dovuti). La sanzione può essere ridotta se ci si ravvede (vedi oltre).
  • Omessa o infedele dichiarazione annuale: sanzione dal 100% al 200% dell’importo non dichiarato. In pratica, se in dichiarazione annuale dimentico di dichiarare 500 € di imposta, la multa va da 500 € a 1.000 €. Questa sanzione è autonoma rispetto a quella per il mancato versamento. Dunque un gestore che non ha né versato né dichiarato una certa somma può subire due sanzioni cumulate: 30% per il mancato pagamento e 100-200% per la mancata dichiarazione. Ovviamente, se aveva versato ma non dichiarato, pagherà solo la seconda; se dichiarato ma non versato, solo la prima (più eventuali interessi di mora).
  • Omessa comunicazione degli ospiti alla Questura: non è una sanzione tributaria ma di pubblica sicurezza, e può comportare una multa fino a qualche centinaio di euro per ogni violazione; per recidiva può scattare la denuncia penale (questo secondo l’art. 109 TULPS e normative antiterrorismo). Si cita per completezza, benché non strettamente “accertamento” tributario.

Va evidenziato che, essendo il gestore “responsabile d’imposta”, egli rimane obbligato a versare il tributo anche se non lo ha incassato dall’ospite. Quindi dire “il turista non me l’ha pagata” non è una giustificazione opponibile al Comune: il Comune chiederà comunque quei soldi al gestore (che semmai potrà rivalersi civilmente sul cliente, anche se difficile nella pratica se costui è ripartito).

Dopo la riforma del 2020, come accennato, la legge ha depenalizzato le condotte di omesso versamento: in passato alcuni casi gravi venivano perseguiti come peculato (specie se un albergatore tratteneva decine di migliaia di euro di tasse di soggiorno incassate); ora invece queste situazioni ricadono nel diritto tributario e nel giudizio avanti le Commissioni Tributarie (rinominate Corti di Giustizia Tributaria dal 2023) o al più avanti la Corte dei Conti per danno erariale (anche questo punto è in evoluzione, come vedremo).

Ravvedimento operoso: trattandosi di tributi, il gestore che si accorge di non aver versato o dichiarato può spontaneamente rimediare con il ravvedimento operoso. Ad esempio, se ho saltato la dichiarazione annuale 2023 (che andava fatta entro 30/6/2024), posso presentarla tardivamente e pagare una sanzione ridotta (1/10 del minimo se entro 90 giorni, ecc.); se non ho versato entro la scadenza trimestrale, posso versare con pochi giorni di ritardo applicando la sanzione ridotta (1,5% entro 15 giorni, 1,67% entro 30 giorni, 3,75% entro 90 giorni, etc.). È un’ottima strategia per sanare prima di essere scoperti: se infatti il Comune contesta prima di un tuo ravvedimento, non potrai più ravvederti e pagherai la sanzione piena.

Termini di accertamento per i Comuni: fino a quando possono chiedere il dovuto

I Comuni hanno dei limiti temporali (termini di decadenza/prescrizione) entro cui notificare gli avvisi di accertamento per imposta di soggiorno non versata. La regola generale – confermata dalla prassi – è quella quinquennale: gli avvisi devono essere notificati entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuto il soggiorno. Ad esempio:

  • Soggiorni nell’anno 2020 (imposta dovuta per il 2020): il Comune può notificare accertamento fino al 31/12/2025;
  • Soggiorni nel 2021: accertamenti fino al 31/12/2026;
  • E così via.

Questo vale sia in caso di dichiarazione annuale omessa che presentata infedelmente: infatti l’imposta di soggiorno, pur avendo la dichiarazione annuale, non rientra tra i tributi con termini ridotti in caso di dichiarazione presentata. Quindi anche se hai presentato la dichiarazione 2021 (magari dichiarando zero ma dovevi dichiarare 100 €), il Comune ti può correggere fino al 31/12/2026 lo stesso.

Se l’anno non è stato dichiarato affatto, teoricamente potrebbe applicarsi un termine più ampio (in analogia con i tributi erariali, dove omessa dichiarazione = 7 anni). Tuttavia, i regolamenti comunali in genere mantengono il termine di 5 anni anche per omissione. Di fatto, dopo cinque anni il diritto del Comune di accertare e riscuotere l’imposta si prescrive/decade, salvo atti interruttivi notificati nel frattempo. Ciò significa che, se nel 2025 ricevo un avviso per mancati versamenti del 2017, posso eccepire la decadenza (essendo oltre il termine). Questa eccezione – sollevabile in sede di ricorso – porta all’annullamento dell’atto per tardività, indipendentemente dal merito.

Nota COVID: I termini 2020 sono stati parzialmente “congelati” a causa della sospensione dei termini tributari durante l’emergenza pandemica. In pratica, il 2020 non conta appieno nel computo e c’è uno slittamento di alcuni mesi per gli atti relativi a periodi d’imposta precedenti (84 giorni di proroga). Nel 2025 tuttavia questo ha impatto solo su eventuali residui 2015-2016 (che interessano poco le locazioni brevi, essendo la tassa spesso introdotta dal 2018 in molti comuni). Possiamo dunque assumere la regola del quinto anno come valida generale.

Accertamenti esecutivi e riscossione forzata

Dal 2020 in avanti, per effetto della riforma della riscossione locale (L. 160/2019), i Comuni emettono avvisi di accertamento “esecutivi” anche per i tributi locali (tra cui l’imposta di soggiorno). Ciò significa che l’atto di accertamento stesso costituisce titolo esecutivo: se trascorrono 60 giorni senza che il contribuente abbia pagato né presentato ricorso, l’ente può procedere direttamente alla riscossione forzata (pignoramenti, fermi auto, ipoteche) senza dover prima iscrivere a ruolo e notificare una cartella esattoriale o ingiunzione. In pratica sull’avviso c’è già l’intimazione di pagamento entro 60 giorni, decorso il quale l’importo è iscrittO a ruolo e può essere eseguito coattivamente. Dunque l’host che riceve l’accertamento comunale ha 60 giorni per agire: o paga (eventualmente ottenendo la riduzione sanzioni se prevista dal regolamento in caso di acquiescenza) o fa ricorso, chiedendo magari la sospensione dell’atto per evitare che durante il processo parta la riscossione. Questo è un elemento cruciale: se si ignora l’avviso, dopo 2 mesi ci si può trovare l’agente della riscossione che notifica direttamente intimazioni di pagamento o preleva dal conto.

I Comuni oggi dispongono di diversi strumenti per scovare chi non ha pagato la tassa di soggiorno: incrociano i dati delle piattaforme (che in molti casi collaborano, come Airbnb che in certe città riscuote direttamente la tassa per conto del Comune), i dati della Polizia di Stato (Alloggiati Web) e i controlli della Guardia di Finanza. L’Osservatorio Nazionale sul gettito ha rilevato un +27% di recupero nel 2023 rispetto al 2022, segno di controlli intensificati. Alcuni casi: a Napoli nel 2024 hanno individuato 8.000 strutture abusive su 12.000 (solo 4.000 in regola) e avviato accertamenti a tappeto; a Roma nell’autunno 2023 sono stati notificati avvisi massivi per un totale stimato di 30-40 milioni di euro evasi, colpendo circa l’85% delle strutture ricettive, salvo poi scoprire che molte richieste erano errate (le famose “cartelle pazze”) e dover fare marcia indietro. Questo indica che l’azione di controllo c’è, a volte in modo “grezzo” e indiscriminato, ma il furbetto seriale difficilmente la fa franca a lungo.


Difendersi da un accertamento comunale per l’imposta di soggiorno

Scenario tipico: arriva a mezzo raccomandata o PEC un “Avviso di Accertamento” dal Comune, che contesta al gestore di una locazione turistica il mancato pagamento dell’imposta di soggiorno per determinati periodi, richiedendo il pagamento del tributo evaso più le sanzioni e gli interessi. Come procedere? Vediamo i passi consigliati.

1. Verifiche preliminari sull’atto ricevuto

Appena notificato l’accertamento, occorre leggerlo con attenzione e verificare una serie di elementi chiave:

  • Termini temporali: Controllare quali annualità sono contestate e se sono ancora accertabili. Come visto, se viene richiesto un anno ormai oltre il quinquennio, si può eccepire la decadenza. Ad esempio, se nel 2025 il Comune pretendesse importi del 2017, l’atto sarebbe fuori termine. Attenzione: a volte l’atto arriva entro i 5 anni ma non lo si ritira e diviene “irreperibile”, in tal caso può essere depositato agli atti comunali e comunque valido. Bisogna considerare la data di spedizione/notifica legale.
  • Soggetto legittimato: L’avviso deve provenire dall’Ufficio Tributi comunale (o da chi ne ha la delega) ed essere sottoscritto da un funzionario abilitato. Errori di competenza o firma possono invalidare l’atto, ma sono rari (es. atto firmato da chi non ha la qualifica necessaria).
  • Motivazione e calcoli: L’atto deve motivarè la pretesa, indicando come si è arrivati agli importi dovuti. Tipicamente contiene una tabella con: numero di pernottamenti non dichiarati, imposta dovuta, sanzione X%, interessi. Verificare i numeri:
    • Il totale dei pernottamenti contestati corrisponde a quanto realmente accaduto? Se il Comune ha basato i conteggi su dati AlloggiatiWeb o su controlli online, potrebbero esserci errori (es. ti imputano arrivi che erano esenti, o partenze doppie). Se la richiesta è del tutto generica (“non hai versato X euro”), il difetto di motivazione potrebbe essere motivo di nullità dell’atto.
    • Esenzioni non considerate: Controllare se tra i pernottamenti addebitati ce ne sono di soggetti che erano esenti dall’imposta (minori, ecc.). In tal caso prepara la documentazione (registri firme, documenti d’identità) che lo prova.
    • Pagamenti già effettuati: Forse hai versato parte di quelle somme ma il Comune non le ha abbinate. Recupera le quietanze di pagamento. Ci sono stati casi in cui il Comune non ha riconosciuto versamenti regolarmente fatti (es. Roma invió avvisi “pazzi” a strutture in regola al 100%). Se puoi dimostrare di aver versato, l’accertamento per quella parte è infondato.
    • Sanzioni applicate: Devono essere in linea con quelle di legge (30% sul non versato, 100-200% su non dichiarato). Se il Comune ne applica di proprie difformi, attenzione: la legge 2020 ha uniformato le sanzioni a livello nazionale, quindi eventuali vecchie sanzioni previste da regolamenti comunali non sono più valide. Ad esempio, alcuni comuni avevano penali forfettarie o diverse percentuali – oggi si segue il D.Lgs. 471/97.
  • Presenza della dicitura di esecutività: Verifica se l’atto avverte che “trascorsi 60 giorni diventa esecutivo ex L.160/2019” e contiene l’intimazione di pagare entro tale termine. Se manca questa indicazione potrebbe non essere un accertamento esecutivo ma un semplice invito (poco probabile). In caso di dubbio, meglio agire comunque entro 60 giorni.
  • Modalità di impugnazione: L’avviso dovrebbe indicare a piè pagina le informazioni su come e dove proporre ricorso (Commissione Tributaria Provinciale, ora Corte Giustizia Trib. di I grado, entro 60gg) e sull’eventuale possibilità di definizione agevolata (spesso i Comuni offrono il minimo edittale se paghi entro tot giorni, ad esempio riducendo la sanzione del 1/3 in acquiescenza). Se tali indicazioni mancano, l’atto è viziato da carenza di motivazione sulle modalità di tutela del contribuente.

2. Valutare se pagare o fare ricorso

Di fronte all’accertamento, il contribuente ha due scelte fondamentali:

  • Pagare (in tutto o in parte): se la pretesa è corretta e vuoi evitare contenziosi, puoi pagare entro 60 giorni. Alcuni Comuni prevedono, in caso di pagamento integrale entro questo termine, una riduzione delle sanzioni (ad esempio pagamento con sanzione minima). Questo è assimilabile all’acquiescenza in ambito tributario. Verifica se nell’avviso c’è scritto qualcosa tipo “Se paghi entro tot giorni, la sanzione è ridotta a 1/3” – spesso succede per avvisi erariali, i Comuni possono applicarlo per analogia. Il pagamento chiude la partita (ma attento: se riguarda più anni, a volte servono pagamenti distinti per ogni annualità con corretta imputazione).
  • Presentare ricorso: se ci sono motivi validi per contestare (vedi step 3), conviene predisporre un ricorso alla Commissione Tributaria competente entro 60 giorni. Il ricorso va preceduto da un tentativo di mediazione/reclamo se l’importo contestato è di modesta entità (oggi soglia €50.000). Molti accertamenti di soggiorno superano però facilmente quella soglia se pluriennali. In parallelo, potresti anche valutare di chiedere un accertamento con adesione al Comune prima di ricorrere, per vedere se trovate un accordo (alcuni comuni lo consentono in via analogica). Sappi però che i Comuni difficilmente fanno sconti se il dovuto è chiaro; l’adesione può servire se c’è un errore palese e vuoi definirlo senza sanzioni piene.
  • Pagare parzialmente e ricorrere sul resto: è possibile ad esempio pagare la quota imposta non contestata e fare ricorso solo sulla sanzione o su una parte. Il ricorso infatti può anche riguardare solo le sanzioni (chiedendo annullamento per buona fede, errore scusabile, ecc.). Se paghi l’imposta, riduci anche gli interessi maturandi. Nel ricorso specificherai che hai già versato X.

In ogni caso, se presenti ricorso, chiedi al giudice la sospensione dell’esecuzione dell’atto, soprattutto se l’importo è elevato e il Comune minaccia misure cautelari. Puoi farlo con un’istanza ad hoc nel ricorso, motivando che il pagamento immediato causerebbe danno grave e che il ricorso non è pretestuoso. Il giudice tributario entro 180 giorni deciderà sulla sospensiva (nel frattempo il Comune di solito attende). Questa è una tutela importante per evitare che durante il processo arrivi la cartella esattoriale.

3. Motivi di ricorso e difese sostanziali

Vediamo ora su quali basi è possibile contestare un accertamento sull’imposta di soggiorno. I motivi di difesa più frequenti sono:

  • Decadenza del potere accertativo: come detto, se l’anno è prescritto (oltre 5 anni) si eccepisce la decadenza. È un motivo preliminare potente: il giudice, rilevato ciò, annulla l’atto senza entrare nel merito. Assicurati di contare bene gli anni (tenendo conto delle sospensioni Covid). La decadenza è rilevabile anche d’ufficio dal giudice, ma meglio esplicitarla chiaramente.
  • Errore sul numero di pernottamenti imponibili: contestare nel merito che la pretesa è infondata perché i pernottamenti indicati dal Comune non corrispondono al vero. Qui serve produrre documenti: registro presenze, copie dei documenti d’identità degli ospiti, ricevute, modulistica di esenzione firmata dagli ospiti, e possibilmente le dichiarazioni annuali inviate (se le avevi inviate). Ad esempio, se il Comune dice che in un certo mese hai avuto 10 ospiti non dichiarati, e tu dimostri che 3 erano minori (esenti) e 2 erano soggiorni pagati ma poi annullati, puoi far ridurre o annullare l’importo. Questa difesa in pratica attacca la fondatezza fattuale della richiesta.
  • Documentazione mancante o irregolare del Comune: il Comune in giudizio dovrà provare i fatti costitutivi (ovvero che ci sono state tot presenze tassabili non dichiarate). Di solito portano i dati del portale AlloggiatiWeb o delle loro banche dati. Puoi verificare se tali prove sono complete e se c’è corrispondenza. Se hai registri firma ospiti fatti sottoscrivere, questi faranno fede contro eventuali disallineamenti informatici. Se il Comune non prova adeguatamente la sua pretesa (es. produce solo stime o un elenco non validato), il giudice potrebbe dargli torto. È raro, ma ad esempio a Venezia in un caso la Commissione ha ridotto le sanzioni in via equitativa valutando la buona fede del gestore e il fatto che il Comune non aveva considerato alcune riduzioni stagionali previste da regolamento.
  • Mancata considerazione di versamenti effettuati: se puoi provare di aver già versato (anche in ritardo) parte di quanto richiesto, quell’importo non è dovuto. Allegare le ricevute di pagamento con F24 o bonifico effettuato all’epoca. Chiedi quindi l’annullamento parziale per errore sui conteggi.
  • Vizi formali dell’atto: ad esempio mancanza di motivazione sufficiente, difetto di sottoscrizione, notifica irregolare. Questi possono portare all’annullamento pro cedura. Va detto però che i giudici tributari sono a volte restii ad accogliere ricorsi fondati su soli vizi formali, se nel merito c’è evidenza dell’evasione; ma la legge impone la motivazione chiara. Se l’atto era generico (tipo “non hai versato 5000€” senza spiegazione di come), potresti farlo annullare per difetto di motivazione. Tuttavia il Comune potrebbe riemetterlo corretto entro l’anno successivo: occhio quindi che a volte vincere per vizio formale non chiude definitivamente la questione.
  • Doppia punizione (“ne bis in idem” sanzionatorio): come visto, omesso versamento e omessa dichiarazione sono puniti separatamente. Ci si potrebbe chiedere se ciò configuri una duplicazione sanzionatoria sul medesimo fatto. La giurisprudenza tende a dire di no, perché sono violazioni diverse: una verso l’obbligo di pagare, l’altra verso l’obbligo di dichiarare, e perseguono finalità diverse. Tentativi di far valere il ne bis in idem (nessuno può essere punito due volte per lo stesso fatto) finora non hanno avuto successo in ambito simile (es. IVA: sanzione per omesso versamento e sanzione per infedele dichiarazione convivono). Comunque, in alcuni casi Corte dei Conti e Commissioni Tributarie hanno evitato doppi addebiti esagerati modulando le sanzioni. È più probabile ottenere una riduzione equitativa delle sanzioni se si dimostra la buona fede o la collaborazione.
  • Buona fede ed errore scusabile: se l’evasione non è frutto di dolo ma di disordine amministrativo, ignoranza della norma o caos normativo (specialmente per gli anni iniziali o durante il COVID), si può chiedere al giudice di applicare l’art. 6, comma 5-bis D.Lgs. 472/97 che consente di non applicare sanzioni se la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza normativa. Nel caso dell’imposta di soggiorno, i primi anni c’era confusione sul ruolo del gestore, poi la dichiarazione annuale è stata introdotta di recente: un gestore potrebbe dire “pensavo bastasse versare, non sapevo della dichiarazione annuale” o simili. Non è garantito, ma in alcuni giudizi le sanzioni sono state ridotte per riconoscimento di buona fede (ad es. CTP Venezia ha ridotto sanzioni dove ha ravvisato buona fede e collaborazione).
  • Giurisdizione della Corte dei Conti: prima della riforma 2020, alcune Procure regionali Corte dei Conti citavano i gestori per danno erariale (in parallelo all’azione comunale). Ora che è responsabile d’imposta, in teoria la Corte dei Conti non dovrebbe più intervenire, poiché non c’è agente contabile. Tuttavia, c’è un dibattito se per il pregresso possano ancora farlo. La Cassazione a SS.UU. nel 2022 (sent. 4444/2022) ha indicato che, per fatti prima del 2020, la Corte dei Conti conserva giurisdizione contabile. Quindi un host potrebbe trovarsi, se non versa tanti soldi, anche una citazione contabile (ad esempio per danno d’immagine o simili). Questo scenario è raro per piccoli host, più frequente per grossi evasori (hotel). In ogni caso, per difendersi in Corte dei Conti la logica è diversa (dimostrare che non c’era dolo grave, magari proporre risarcimento parziale). Non approfondiamo oltre qui, ma è bene sapere che se arriva un invito dalla Corte dei Conti, va attivato un avvocato abilitato a quelle giurisdizioni.

4. Esempi di difesa in alcune grandi città

Le strategie di difesa devono poi adattarsi alle peculiarità locali. Alcuni cenni basati su esperienze:

  • Roma: nel 2023 ha inviato migliaia di avvisi spesso errati. Qui è cruciale aver tenuto registri impeccabili e rispondere immediatamente anche a eventuali comunicazioni bonarie. Molti host romani hanno ricevuto “lettere di compliance” prima degli avvisi: conviene fornire subito prova dei versamenti effettuati, perché il Comune stesso ha riconosciuto errori e rettificato (i casi noti di “cartelle pazze” romane). Se arriva l’avviso formale, si può confidare che, presentando la documentazione completa in ricorso, il Comune possa persino desistere in giudizio. Sempre a Roma, c’è da sapere che Airbnb già dal 2017 riscuote e versa la tassa di soggiorno per gli host: se tu affitti tramite Airbnb a Roma, la piattaforma ha incassato dal turista €3,50/notte e li ha versati al Comune per tuo conto. Eppure Roma ha erroneamente chiesto a molti host quelle somme come non versate. Quindi la difesa era facile: prova che le prenotazioni erano via Airbnb (screenshot, estratti conto) e evidenzia doppia imposizione. Il Comune romano ha dovuto annullare in autotutela diversi atti.
  • Milano: notoriamente efficiente, Milano ha anche integrato i portali (Airbnb versa la tassa anche qui). Se c’è un errore e lo dimostri con ricevute/estratti (es. ricevute Airbnb dei versamenti), spesso il Comune riconosce subito e annulla in via amministrativa senza attendere la sentenza. La Commissione Tributaria di Milano ha avuto già casi su imposta di soggiorno e si è dichiarata competente, respingendo argomenti del Comune che a volte provavano a dire che era materia da Corte dei Conti (non più).
  • Firenze: Firenze ha tariffa alta e controlli. Se contestano pernottamenti non dichiarati, devi mostrare i registri firme e documenti: gli ospiti esenti (minori, disabili) vanno provati con documenti di identità o certificati, e se avevi inserito i dati sul portale comunale (alcuni comuni hanno portali dedicati) fai screenshot come prova (ci sono stati bug informatici talvolta). Per host con più appartamenti, Firenze solitamente era tra i primi a obbligare a codice identificativo (CIR Toscana) dal 2019, quindi potrebbero contestare anche la mancata esposizione del codice regionale: questo è altro tipo di sanzione amministrativa (non tributaria) che potrebbe essere contestata in parallelo. La difesa su questo è limitata (o avevi il codice o no).
  • Venezia: La Commissione di Venezia tende a essere severa se c’è “evasione conclamata”, dando ragione al Comune e magari condannando alle spese. Ma ha anche mostrato equità nel ridurre sanzioni se il contribuente prova buona fede e qualche giustificazione. Ad esempio, se dimostri di aver male interpretato una norma, potrebbero ridurre la sanzione al minimo. Sempre importante evidenziare se il Comune non ha applicato ravvedimento operoso: a volte l’host magari ha tardivamente versato prima dell’accertamento e il Comune gli mette comunque sanzione piena; il giudice può riconoscere il ravvedimento e abbatterla.
  • Napoli: Napoli nel 2024 ha fatto un’azione massiva su migliaia di B&B e case vacanze. Probabilmente molte contestazioni erano generiche. Qui conviene cercare un contraddittorio con l’ufficio se rientri tra quei casi collettivi, perché il Comune stesso sa che sta “ripulendo” un settore con molti abusivi, ma magari in quella rete sei finito anche tu che eri in regola parzialmente. In sede di contraddittorio potresti regolarizzare subito (pagando spontaneamente il dovuto prima che arrivi l’avviso) per evitare le sanzioni più grosse, magari concordando sul ritiro dell’atto (alcuni Comuni accettano un pagamento del dovuto + sanzione minima e annullano l’accertamento per evitare contenziosi di massa).

Nota: dal 2023 le Commissioni Tributarie si chiamano Corti di Giustizia Tributaria. Il processo però rimane in gran parte lo stesso. Se l’importo > €3.000, per impugnare serve fare versamento di un contributo unificato di €X (variabile col valore). Se l’importo > €50.000, la costituzione in giudizio del ricorrente deve essere fatta con PEC e firma digitale da un avvocato tributarista abilitato. Sotto tale soglia è ancora ammesso il reclamo/mediazione: si invia il ricorso al Comune chiedendo la mediazione, e se il Comune non risponde favorevolmente in 90 gg, allora il ricorso prosegue in Commissione. Spesso i Comuni ignorano il reclamo e lasciano decidere al giudice.

Ingiunzioni e fermi amministrativi dopo l’accertamento: se malauguratamente scopri l’accertamento tardi (magari perché non hai ritirato la raccomandata ed è passato il termine) e il Comune ha già iscritto a ruolo il dovuto, potresti ricevere ingiunzioni di pagamento o trovarti un fermo auto per il debito. In questi casi non puoi più discutere il merito (l’atto è definitivo), ma puoi tuttavia:

  • Chiedere una rateizzazione all’ente riscossore (Agenzia Entrate Riscossione o concessionario locale) per diluire il pagamento se non riesci in unica soluzione.
  • Se c’è stata una notifica nulla o viziata dell’originario accertamento (es. inviata a indirizzo sbagliato), potresti tentare un’opposizione tardiva in Commissione per far valere che non ne eri a conoscenza e bloccare il ruolo (ma è complicato, serve assistenza legale).
  • In estrema ipotesi, se sei proprio impossibilitato a pagare, alcuni Comuni aderiscono alle definizioni agevolate nazionali (es. Stralcio debiti fino €1.000 o Rottamazione cartelle): verifica se il tuo debito rientra e se puoi chiederne la definizione agevolata (taglio sanzioni e interessi). Nel 2023 c’era la rottamazione-quater, in futuro chissà.

Riassumendo, per difendersi efficacemente da un accertamento sulla tassa di soggiorno bisogna agire tempestivamente (entro 60 gg), raccogliere tutte le prove utili a smontare o ridurre la pretesa, e conoscere le regole del gioco tributario. L’intervento di un avvocato esperto o commercialista è consigliabile, data la tecnicità della materia e la necessità di navigare tra norme tributarie e prassi comunali. L’inerzia o gli errori procedurali possono pregiudicare irrimediabilmente la posizione del contribuente.

Ricorda sempre che l’onere di dimostrare esenzioni e pagamenti è in capo tuo (perché solo tu hai i documenti degli ospiti), mentre l’onere di provare che non hai versato certi importi è del Comune. Nella pratica, la difesa vincente è spesso quella di presentare un quadro chiaro al giudice: “Comune mi chiede 100, in realtà dovevo pagare 60 e li ho pagati (vedi bonifici), i restanti 40 riguardano 20 pernottamenti esenti (minori, allego carte d’identità) e 20 che ammetto di aver dimenticato per ignoranza, per i quali chiedo applicazione minima sanzione in ragione della buona fede”. Una presentazione così documentata metterà il giudice nelle condizioni di accogliere in gran parte il ricorso o comunque ridurre sensibilmente la sanzione, chiudendo la vicenda in modo equo.


Accertamenti fiscali dell’Agenzia delle Entrate sui redditi da affitti brevi

Oltre ai controlli dei Comuni sull’imposta di soggiorno, un host può essere soggetto a verifiche fiscali statali relative ai redditi percepiti con gli affitti brevi. Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza hanno avviato ampie operazioni di controllo su questo fronte, soprattutto per scovare chi non ha dichiarato i compensi incassati tramite Airbnb, Booking e simili, o chi li ha dichiarati in modo incompleto (ad esempio senza applicare la tassazione corretta). In questa sezione vediamo come si svolgono questi accertamenti e come difendersi.

Controlli incrociati e raccolta dei dati dalle piattaforme

Grazie alla normativa del 2017 e agli sviluppi più recenti, l’Amministrazione finanziaria oggi dispone di una mole enorme di dati sugli affitti brevi effettuati in Italia. In particolare, come accennato, dal 2023 Airbnb ha fornito i dati delle prenotazioni e dei pagamenti relativi agli anni 2017-2021 (nell’ambito di una transazione fiscale globale da 576 milioni di euro con lo Stato). Booking.com dal canto suo ha trasmesso dati sulle transazioni degli anni 2016-2019, a seguito di un contenzioso sull’IVA conclusosi con un accordo da 94 milioni nel 2023. Inoltre, a regime, le piattaforme trasmettono annualmente i dati ex DL 50/2017. Questo significa che l’Agenzia delle Entrate possiede ora informazioni dettagliate sulle prenotazioni (date, importi, immobili) di milioni di soggiorni turistici.

Nel 2025 è in corso un’imponente operazione di controllo congiunta Agenzia Entrate – Guardia di Finanza che interessa oltre 600.000 strutture in tutta Italia, tra cui case vacanze, B&B, affittacamere, ecc., presenti sulle principali OTA. Le verifiche riguardano sia persone fisiche (privati proprietari) sia imprese del settore extra-alberghiero e property manager che gestiscono immobili per conto terzi. Nel mirino ci sono vari profili di possibile evasione:

  • Redditi non dichiarati o dichiarati parzialmente: ad esempio host privati che hanno affittato tramite Airbnb ma non hanno riportato quei redditi nella loro dichiarazione annuale (né in cedolare né in IRPEF ordinaria). Questi soggetti spesso non hanno ricevuto le CU (perché Airbnb non le ha emesse fino a tempi recenti), ma ora l’Agenzia ha i dati e può ricostruire i redditi percepiti.
  • IVA non assolta e redditi d’impresa non dichiarati: casi di host o società che di fatto gestivano un’attività ricettiva (magari con più appartamenti) ma senza aprire Partita IVA né versare IVA sui corrispettivi. Le contestazioni qui riguardano sia l’IVA evasa sia l’IRPEF/IRES non dichiarata come reddito d’impresa. Ad esempio, Booking.com nella sua operazione con Agenzia Entrate ha accettato di pagare l’IVA dovuta sul periodo passato, implicando che quell’IVA non era stata riscossa né versata prima (questo ha riflessi su host che usavano Booking? In teoria l’IVA su provvigioni di Booking, che era il nocciolo del loro contenzioso, e l’IVA sui servizi di intermediazione su cui c’è reverse charge – tema complicato, ma comunque ora risolto con la transazione).
  • IRAP dovuta: se un’attività di affitti brevi è condotta in modo abituale e con organizzazione, potrebbe essere soggetta anche a IRAP (Imposta regionale sulle attività produttive), specie per property manager o società. L’operazione in corso sembra considerare pure l’eventuale IRAP sui ricavi presunti.
  • Intermediari e property manager: particolare attenzione viene data ai property manager e gestori professionali. L’Agenzia controlla se questi ultimi hanno distinto nelle loro fatture e contabilità i compensi propri (commissioni di gestione) dalle somme incassate per conto dei proprietari. Se non l’hanno fatto chiaramente, c’è rischio che il Fisco attribuisca tutto il reddito a loro e lo tassi in capo al property manager. Ad esempio, un property manager che incassava €100 dal turista e ne girava €80 al proprietario, tenendo €20 di commissione, avrebbe dovuto fatturare solo i €20 come ricavo proprio e trattare gli €80 come partite di giro. Se non lo ha fatto, l’Agenzia potrebbe vedere €100 come ricavo imponibile dell’intermediario, con gravi conseguenze fiscali (IVA e tasse su importi non effettivi). Questa è una criticità specifica per agenti immobiliari e società di gestione (un errore di impostazione contrattuale può costare caro). In tali casi, la difesa consisterà nel dimostrare con contratti e movimenti bancari che gli €80 erano incassati per conto terzi e subito girati, e quindi non reddito del manager.

Le contestazioni fiscali vengono notificate tramite avvisi di accertamento dall’Agenzia delle Entrate (per IRPEF, IVA, etc.) oppure tramite PVC (processi verbali di constatazione) dalla Guardia di Finanza seguiti da accertamenti dell’Agenzia. Spesso, prima di arrivare all’atto formale, l’Agenzia invia lettere di compliance (inviti al contraddittorio o segnalazioni di anomalie) al contribuente, dando la possibilità di ravvedersi. Ad esempio, molti host hanno ricevuto un “invito a regolarizzare” segnalando che “dai dati in nostro possesso risulta che ha percepito redditi da locazioni brevi per € XX non dichiarati, voglia presentare dichiarazione integrativa”. Questo è tipico dell’Agenzia: preferisce l’adempimento spontaneo se possibile.

Se il contribuente ignora l’invito o non fornisce chiarimenti convincenti, arriva l’accertamento vero e proprio con il ricalcolo delle imposte dovute. Data la mole di dati e soggetti coinvolti, queste operazioni spesso partono dagli importi più grandi o dai casi più macroscopici di evasione. Ma gradualmente possono arrivare anche ai piccoli host.

Nel 2025, le notizie riportano che grazie ai dati forniti dai portali, l’Agenzia sta recuperando imposte retroattivamente su diversi anni di mancati incassi dichiarati. Questo può generare per il contribuente importi elevati, perché somma più annualità e relative sanzioni.

Contenuto di un avviso di accertamento fiscale e somme richieste

Un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate relativo a redditi da locazioni brevi conterrà in genere:

  • Reddito non dichiarato accertato: l’importo dei canoni che secondo l’Ufficio non risultano dichiarati. Questo è ricavato dai dati dei portali al netto delle eventuali ritenute subite (se negli anni 2021-22 Booking avesse fatto ritenute, quell’importo comparirebbe nella CU; ma ricordiamo che fino al 2023 Airbnb non le ha fatte, quindi di solito saranno redditi lordi).
  • Imposta dovuta: se il contribuente non aveva presentato dichiarazione, l’Agenzia liquida l’IRPEF (e addizionali) su quel reddito come se fosse tassato ordinariamente (ipotizzando la sua aliquota marginale in base agli altri redditi noti). Oppure, se risulta che aveva altri redditi dichiarati, aggiunge questi e ricalcola l’IRPEF complessiva. Cedolare secca: se il contribuente avrebbe avuto diritto alla cedolare (rispettando i requisiti) ma non ha presentato l’opzione in dichiarazione, spesso l’Agenzia applica comunque l’IRPEF ordinaria, negando d’ufficio la cedolare (che è un’opzione da esercitare esplicitamente). Ciò può essere contestato: vi sono stati casi di contribuenti che hanno poi ottenuto in autotutela l’applicazione della cedolare retroattiva dimostrando i requisiti, ma formalmente l’opzione tardiva non è ammessa, quindi attenti. Se invece aveva presentato dichiarazione ma omesso di includere quei redditi, e la dichiarazione sarebbe modificabile, c’è chi ha provato a integrarla tardivamente per optare per cedolare. È un tecnicismo da vedere caso per caso.
  • Sanzione per infedele/omessa dichiarazione: a seconda dei casi, viene applicata la sanzione amministrativa prevista dal D.Lgs. 471/97:
    • Dichiarazione omessa (non presentata affatto per quell’anno nonostante redditi dovuti): sanzione dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, con minimo €250.
    • Dichiarazione infedele (presentata ma con redditi in meno): sanzione dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta. Se i redditi locativi erano stati proprio dimenticati, si applica questa. Spesso l’Agenzia sta su percentuali intorno al 100-120%, che possono essere ridotte in caso di definizione agevolata o conciliazione.
    • Sanzione IVA: se contestano anche IVA (nel caso considerato impresa), la sanzione è tipicamente il 90% dell’IVA evasa. Ma per i privati che affittavano non c’è IVA da contestare, a meno che l’Agenzia non ritenga che dovessero essere operatori IVA e allora recupera l’IVA. Attenzione: se un host privato con 5 case viene considerato impresa, l’Ufficio potrebbe pretendere l’IVA sui canoni incassati (al 10%) per gli anni accertati, oltre a sanzione e interessi su quell’IVA. Questo è un punto delicato: l’host ignaro non ha addebitato l’IVA ai turisti, quindi se deve versarla ora la versa di tasca propria erodendo i suoi incassi. È importante eventualmente contestare che non vi era obbligo IVA se si ritiene che la riqualificazione è sbagliata (vedi strategie di difesa più avanti).
  • Interessi di mora: calcolati sulle imposte non versate, dal giorno in cui erano dovute (es. saldo 2018 dal 1/7/2019) fino alla data dell’accertamento, al tasso legale annuo.
  • Eventuale riqualificazione del reddito: se l’Agenzia ritiene che i redditi andavano dichiarati come reddito d’impresa (perché magari supera 4 immobili o vede elementi di professionalità), nell’accertamento lo scriverà, contestando ad esempio l’indebita fruizione della cedolare secca (se uno l’aveva pure indicata) e il necessario assoggettamento a tassazione d’impresa. Questo comporta: niente abbattimento 5%, niente cedolare, e soprattutto se *ditta individuale occultà – come considerano uno che di fatto faceva impresa senza P.IVA – possono irrogare anche la sanzione per omessa presentazione dichiarazione IVA, e per omessa dichiarazione IRAP (anche se su IRAP vi è dibattito se spetta o no: se l’attività ha lavorato in autonomia personale senza dipendenti, uno potrebbe sostenere che non c’è autonoma organizzazione e quindi IRAP non dovuta; l’Agenzia però tende a chiederla e starà al contribuente contestarla).
  • Addizionali regionali/comunali IRPEF: se emergono maggiori IRPEF 2018-2019 ecc., l’accertamento includerà anche il calcolo di addizionale regionale e comunale dovute su quei redditi.

Da notare che il disegno dell’Agenzia in questo momento è spesso quello di far emergere i redditi e incassare le imposte dovute con sanzioni ridotte per chi collabora. Non a caso invitano al contraddittorio: se il contribuente accetta di fare un verbale di adesione, in sede di adesione la sanzione può essere ridotta fino a 1/3 del minimo. Inoltre pagando entro 20 giorni dall’adesione si ha anche sconto sulle sanzioni. Quindi l’Agenzia incoraggia a definire bonariamente. Se invece si lascia decadere e si va in contenzioso, l’Ufficio di solito applica la sanzione piena (magari 100% o 120%) confidando di vincere.

Esempio pratico (accertamento IRPEF): Mario Rossi ha affittato nel 2018 e 2019 due appartamenti via Airbnb incassando €15.000 in totale, ma non ha dichiarato nulla. L’Agenzia incrocia i dati Airbnb 2018-19 e gli contesta €15.000 di redditi fondiari non dichiarati. Mario aveva un lavoro dipendente con reddito €30.000, quindi con €15.000 aggiuntivi avrebbe avuto uno scaglione IRPEF al 27% su parte di essi. L’Agenzia ricalcola IRPEF dovuta in più per circa €3.500 (supponiamo), addizionali €300, e sanzione 120% = €4.560, più interessi. In totale gli chiede magari ~€8.500. Mario può con adesione ottenere sanzione al 1/3 (40%) cioè €1.520, quindi pagherebbe circa €5.500 tutto incluso. Se va in giudizio e perde, rischia di pagare l’intero e anche le spese di giudizio.

Come si vede, importi anche non altissimi di redditi possono portare a somme significative per via delle sanzioni. Figurarsi chi non ha dichiarato 5 anni di Airbnb: si sommano e la batosta cresce. Per questo motivo per molti operatori minori conviene sfruttare la via del ravvedimento operoso appena ricevuta la lettera di compliance: presentare dichiarazioni integrative per gli anni aperti, versare le imposte con sanzioni ridotte (il ravvedimento per dichiarazione infedele permette di ridurre la sanzione del 90% a 1/6 se fatto dopo controllo formale ma prima di notifica di accertamento, oppure 1/5 se dopo PVC ma prima dell’accertamento). Così la sanzione effettiva scende attorno al 15-18% dell’imposta, contro il 90-120% in caso di accertamento definitivo. Certo, bisogna avere la liquidità per versare tutto il dovuto spontaneamente.

Difendersi da un accertamento fiscale sui redditi da locazione breve

Passiamo ora alle possibili difese e strategie in ambito di accertamenti fiscali. Qui entrano in gioco concetti tributari generali (onere della prova, contraddittorio, ecc.) ma anche specificità del settore locazioni brevi.

1. Verifica della legittimità formale dell’atto: Come sempre, controllare che l’accertamento sia stato notificato nei termini di decadenza. Per le imposte sui redditi, i termini (modificati dalla L. 208/2015) sono:

  • 5 anni dalla presentazione della dichiarazione (31/12 quinto anno successivo);
  • 7 anni se la dichiarazione è stata omessa per quell’anno.

Ad esempio, per redditi 2018 dichiarazione doveva essere presentata nel 2019: se fu presentata ma incompleta, termine accertamento 31/12/2024; se omessa, termine 31/12/2025. Tenere conto di eventuale raddoppio termini per reati tributari, ma dal 2016 in poi il raddoppio non si applica più in generale (valeva solo fino periodo imposta 2015). Quindi ad oggi l’Agenzia ha al massimo 7 anni per i casi di omessa dichiarazione. Se vi notificano qualcosa oltre, eccepire decadenza.

Verificare anche la motivazione: di solito gli accertamenti sono ben motivati riportando i dati riscontrati e la normativa violata. Se così non fosse, anche qui si può eccepire vizio di motivazione. Ma è raro con modelli standard. Più utile vedere se hanno applicato correttamente le norme (es. se uno aveva solo quell’immobile e avrebbe potuto fare cedolare al 21%, magari si può eccepire che l’Ufficio doveva applicare quella aliquota e non tassare al 43%. Ci sono discussioni in corso: di recente la Cassazione ha aperto alla cedolare per contratti con soggetti diversi da persone fisiche – ad es. affitto a società – affermando il principio di neutralità. Questo però non riguarda l’opzione omessa. Diciamo che formalmente l’opzione cedolare va esercitata nella dichiarazione; se uno l’ha saltata rischia di perderla, ma tentar non nuoce nel contenzioso, specie se palese che rientrava nei requisiti e non c’è danno erariale perché avrebbe pagato 21% comunque).

2. Onere della prova dei redditi non dichiarati: Normalmente, i dati forniti dalle piattaforme sono considerati fonti attendibili. Airbnb e Booking hanno consegnato elenchi di transazioni. Questo è già un quadro probatorio. In giudizio, l’Agenzia può produrli e a quel punto spetta al contribuente contestarne l’accuratezza se possibile. Esempi di contestazione fattuale:

  • Doppie contabilizzazioni: controllare che la stessa prenotazione non sia stata contata due volte (magari un check-in/out a cavallo d’anno? improbabile).
  • Cancellazioni e rimborsi: se un soggiorno è stato cancellato dal turista e rimborsato, i dati grezzi potrebbero includerlo. L’host può evidenziare che non ha percepito quell’importo alla fine. Quindi può chiedere di espungerlo dal calcolo del reddito. Occorrono le email di cancellazione o l’estratto conto Airbnb che mostra rimborso.
  • Commissioni di servizio: uno dei temi è se i portali hanno comunicato gli importi lordi pagati dal turista o quelli netti girati all’host. Spesso hanno dati di entrambe. Per calcolare il reddito del locatore conta il netto percepito dall’host, non ciò che il turista ha pagato includendo la fee del portale (la commissione del portale non è reddito del locatore). Quindi, se Airbnb mostra “ospite ha pagato 100, host ricevuto 97 (perché 3 di fee)”, l’Agenzia dovrebbe tassarti su 97. Assicurati che nei conteggi dell’Ufficio abbiano considerato il giusto importo. Se han preso i valori lordi, va fatto presente e documentato.
  • Spese deducibili eventuali: se l’host era ad esempio un sublocatore (non proprietario) e ricava redditi diversi, allora lui può dedurre le spese specifiche (affitto pagato al proprietario, costi di pulizia, etc.). Deve portare le prove delle spese. Questo scenario è particolare ma possibile (es. uno prende in affitto un appartamento annuale e lo subaffitta su Airbnb: guadagna la differenza, ma può dedurre il suo costo di affitto).
  • Non imponibilità di alcune somme: potrebbe capitare che nel transato dei portali ci siano importi per cauzioni restituite o penali addebitate all’host, ecc. Quelli non sono reddito (la cauzione poi restituita, o una penale che Airbnb ha trattenuto per reclamo ospite). Se cose così emergono, vanno spiegate.

3. Contestare la riqualificazione come attività d’impresa (se applicata a sproposito): come detto, se l’Ufficio ti tratta da impresa ma tu ritieni di non esserlo (es. avevi 3 case, nessun servizio extra, quindi entro soglia 4 e nessuna organizzazione), puoi fare leva sui riferimenti normativi:

  • La legge 178/2020 consente regime privato fino a 4 immobili.
  • Le circolari AE dicono: oltre soglia sempre impresa, sotto soglia valutazione caso per caso in base a organizzazione. Quindi puoi argomentare che la tua situazione concreta (descrivendo l’attività senza servizi, gestione famigliare, niente dipendenti) non integrava un’attività imprenditoriale come definita dalla norma e dall’AE stessa.
  • Puoi citare giurisprudenza come la CTR Lombardia 2019 che esclude imprenditorialità in caso di attività saltuaria anche se su Airbnb. Anche la sentenza del Consiglio di Stato 2025 (pur in ambito amministrativo) ribadisce che fino a 3 unità sei non imprenditoriale in sede di case vacanze regionali, e fiscalmente addirittura fino a 4. Questo può convincere che l’attività era esercizio del diritto di proprietà e non impresa.
  • Se l’Agenzia ti ha contestato IVA e IRAP in base alla riqualificazione, insistere che: la locazione di immobile abitativo è esente IVA ex art. 10 DPR 633/72 salvo opzione (che tu non hai esercitato); e che offrivi solo alloggio senza servizi para-alberghieri, quindi l’operazione è esclusa da IVA. Cita magari la Risoluzione AE n. 88/E 2019 che chiarì che le locazioni brevi senza servizi aggiuntivi non sono soggette a IVA perché non costituiscono prestazioni di tipo alberghiero. Questo punto è un po’ borderline giuridicamente, perché se ti classificano impresa forse implicano che stavi fornendo servizi di tipo ricettivo. Ma se tu dimostri di no (nessuna colazione, etc.), allora di per sé la tua impresa di locazione immobiliare potrebbe rientrare nell’esenzione IVA delle locazioni di fabbricati abitativi. (In genere una società che loca appartamenti senza servizi non applica IVA sui canoni abitativi).
  • Quanto a IRAP: un piccolo locatore senza organizzazione (nessuna struttura autonoma) può sostenere di non essere soggetto a IRAP per mancanza del requisito di “autonoma organizzazione” (Cass. in varie sentenze ha escluso IRAP per chi gestisce immobili senza dipendenti e mezzi eccedenti l’opera personale). Certo, se avevi 5 case e le pulivi tu, potrebbe passare come “imprenditore individuale” ma senza organizzazione significativa, dunque IRAP non dovuta. Va valutato, e in ricorso lo puoi far valere con i criteri della Corte (nessun dipendente, capitale modesto investito, attività non eccedente le capacità personali).
  • Catasto D/2 e implicazioni: l’Agenzia del Territorio nella nota 2009 citata ha detto che un immobile abitativo usato in modo continuativo come ricettivo andrebbe accatastato D/2 (alberghiero). Se nel tuo caso questo non è stato fatto, il Fisco potrebbe dire: stavi usando immobili abitativi per impresa ricettiva, avresti dovuto cambiarne il catasto, ergo stavi nell’irregolarità. Però attenzione: questo è rilevante per il catasto/IMU (un D/2 paga IMU diversa ecc.), ma l’Agenzia Entrate stessa non è detto contesti la categoria catastale in un accertamento redditi. Potrebbe però utilizzare quell’argomento per dire che la destinazione di fatto era alberghiera quindi soggetta a IVA. Comunque come difesa potresti dire che quell’indicazione del 2009 è rivolta a situazioni di attività abituale con requisiti simili a albergo – se tu affittavi stagionalmente e poi l’immobile restava tua seconda casa per altri periodi, non c’era necessità di riclassarlo D/2. Sono argomenti un po’ di contorno, ma li citiamo.

4. Ravvedimento operoso e definizioni agevolate post-notifica: se l’accertamento è già arrivato, il ravvedimento operoso ordinario non è più consentito (vale solo prima dell’accertamento). Tuttavia, puoi ancora definire in acquiescenza l’avviso pagando entro 60 gg con sanzioni ridotte ad 1/3. Oppure puoi aderire all’accertamento se l’ufficio ti convoca o se fai istanza: l’adesione sospende i termini e puoi ottenere un abbattimento sanzione a 1/3 del minimo (quindi sanzione scende dal 90% al 30%). Inoltre si può rateizzare il dovuto fino a 8 rate (se supera certi importi). Se le posizioni non sono chiare e vuoi evitare giudizio, questa è una via. Chiaramente rinunci a far valere ragioni che avresti: di solito conviene aderire se le prove del fisco sono solide e le uniche discussioni sarebbero su aspetti marginali, oppure se hai diritto a riduzioni e l’ufficio è disposto a recepirle (magari se porti documenti di spese deducibili, l’ufficio potrebbe riconoscertele in adesione rimodulando il reddito).

5. Ricorso in Commissione Tributaria (Corte Giustizia Tributaria): se si decide di fare ricorso, come visto, ci sono 60 giorni dalla notifica. Si può far da soli se la causa < €3.000, altrimenti serve l’assistenza di un difensore abilitato (dottore commercialista o avvocato tributarista). Nel ricorso si elencano i motivi: tipici saranno:

  • Nullità dell’atto per decadenza (se applicabile).
  • Illegittimità della ripresa per insussistenza del presupposto d’imposta su alcuni importi (es. importi già tassati o non spettanti).
  • Erronea qualificazione del reddito (fondiario vs d’impresa, imponibile IVA vs esente).
  • Doppia imposizione: se, poniamo, Airbnb poi versa quelle ritenute per gli anni passati (a seguito del sequestro GdF), una difesa possibile del contribuente è dire: “lo Stato sta recuperando quell’imposta già da Airbnb, non può chiederla a me, al più mi può chiedere la differenza se avrei dovuto pagare IRPEF oltre il 21%”. Questo è un argomento nuovo e delicato. In teoria, quando Airbnb pagherà quei 779 milioni, starà assolvendo la cedolare secca del 21% per conto degli host. Lo Stato però non li accrediterà automaticamente agli host, li terrà come sostituto inadempiente. Il contribuente host formalmente è ancora obbligato in solido per l’imposta. Ma in equità un giudice potrebbe considerare che pretendere di nuovo dagli host la medesima imposta genererebbe un doppio incasso per lo Stato. È materia complessa, potrebbe evolvere in contenziosi futuri. Per ora, l’host potrebbe almeno chiedere di scomputare quell’importo del 21% dalle somme richieste (in quanto ritenuta che Airbnb avrebbe dovuto operare). Ad esempio, se il Fisco chiede IRPEF al 35% su quell’affitto, l’host dirà: ok, ma Airbnb doveva trattenermi il 21%, quindi io eventualmente devo solo il 14% differenziale. L’Agenzia in alcuni casi ha già operato così: infatti afferma che per i privati i redditi su cui i portali hanno operato ritenuta d’acconto hanno margini di contenzioso ridotti, lasciando intendere che se la ritenuta c’è stata, quell’importo è a posto. Nel nostro contesto 2017-21 Airbnb non ha trattenuto, ma se ora versa, è come se tardivamente l’avesse fatto. Questo scenario è complicato ma merita attenzione come linea difensiva creativa.
  • Richiesta di applicazione integrale della cedolare secca alle annualità contestate: qualora l’Agenzia ti abbia liquidato IRPEF ordinaria ma tu eri nei requisiti per cedolare (ad esempio affittavi a persone fisiche, immobile abitativo ecc.), potresti chiedere al giudice di riconoscerti l’imposta sostitutiva del 21% in luogo del calcolo IRPEF. Ci sono state pronunce della Cassazione (es. ord. n. 228/2022) che in casi di omessa opzione cedolare hanno negato di poterla applicare ex post, ma non è detto in assoluto. Se la differenza è notevole, tentare potrebbe convenire: “il carico fiscale corretto era 21%, la sanzione semmai va su quella base”.
  • Circostanze attenuanti sulle sanzioni: analogamente al discorso di buona fede di prima, si può chiedere al giudice tributario di ridurre la sanzione al minimo edittale o anche di non applicarla (in rari casi) invocando l’art. 7 D.Lgs. 472/97 (riduzione discrezionale valutate le circostanze). Ad esempio, se il contribuente può dimostrare di aver fatto affidamento su un consulente che gli ha erroneamente detto che Airbnb versava già le tasse (qualcuno poteva crederlo), o che c’era oggettiva incertezza sulla normativa (ma dopo 2017 è difficile sostenerlo, è abbastanza chiara), si può tentare di ottenere la sanzione minima (90% ridotta a 90% stesso, quindi non raddoppiata). Vista la prassi delle Commissioni, è più facile ottenere la riduzione in sede di conciliazione giudiziale: se durante il ricorso trovi un accordo con l’ufficio (magari riconoscono alcune deduzioni e tu accetti di pagare il resto) si può chiudere con sanzione ridotta a 1/3 per conciliazione (art. 48 D.Lgs. 546/92). Questo è un ottimo strumento: consente di chiudere la lite in primo grado con sanzioni ridotte ulteriormente e un po’ di risparmio. Molti contenziosi si risolveranno così probabilmente, perché l’Agenzia stessa punta a incassare l’imposta base e a lasciar stare parte delle sanzioni per evitare lunghe cause.

6. Caso dei “redditi Airbnb non dichiarati” – considerazioni finali: La miglior difesa è la prevenzione. Chi non ha ancora subito controlli e sa di avere scheletri nell’armadio fiscali per redditi da affitti brevi, farebbe bene a valutare subito un ravvedimento. Nel 2023-2024 il governo ha peraltro introdotto delle definizioni agevolate: ad esempio la Sanatoria delle irregolarità formali che con 200€ consente di chiudere violazioni formali (non adatta alla mancata dichiarazione redditi però), oppure la Ravvedimento speciale nella L.197/2022 che permetteva di regolarizzare infedeltà dichiarative 2019-2021 pagando imposta + sanzione ridotta 1/18. Molti hanno usato quest’ultimo per sanare redditi da affitti brevi non dichiarati: se l’hai fatto, l’Agenzia non può accertare quegli anni, eventualmente dovrà riconoscerlo.

In assenza di definizioni agevolate attuali, resta il ravvedimento operoso ordinario: se l’Agenzia non ti ha ancora notificato nulla e disponi dei dati (ad esempio sai dal portale quanto hai incassato nei vari anni), puoi presentare dichiarazioni integrative per gli ultimi 5 anni (2018-2022, e 2017 se dichiarazione era stata presentata allora – omessa 2017 è già decaduta a fine 2024) e versare imposta + sanzioni ridotte. Questo chiude la posizione (salvo eventuale omessa dichiarazione 2017 che se era omessa – non presentata – può essere ancora sanzionabile fino al 31/12/2024 per omessa, ma se ravvedi paghi 1/10 di 120% per quell’anno, tanto per dire).

Se invece l’accertamento è arrivato, come abbiamo visto, ci sono varie leve difensive nel merito e nella procedura. Il suggerimento è di predisporre un dossier documentale completo: stampe dall’extranet Airbnb/Booking dei guadagni per anno, evidenza di eventuali costi, eventuali comunicazioni avute col fisco (compliance letter) e risposte date, etc. Mostrare di essere contribuente collaborativo (anche se in ritardo) può aiutare a negoziare sanzioni più basse.

Per chi gestisce professionalmente immobili altrui, la difesa su accertamenti potrebbe includere anche elementi contrattuali: far valere che i redditi contestati non erano suoi ma dei proprietari (fornendo i contratti di mandato o sublocazione). Questo può spostare l’imposizione sugli effettivi titolari. Ovviamente l’Agenzia poi li inseguirà, ma quantomeno tu property manager eviti di pagare tasse su soldi altrui. In parallelo però, se non avevi separato quei flussi, potresti beccarti sanzioni per violazioni contabili (dichiarazione infedele IVA, registri, ecc.), quindi anche qui la difesa è delicata e va calibrata.

In sintesi, difendersi da un accertamento fiscale su affitti brevi significa spesso negoziare le condizioni di resa più che ottenere annullamenti totali. Raramente infatti potrai dimostrare che non dovevi nulla (a meno di errori totali del fisco); più frequentemente punterai a: ridurre la base imponibile (sottraendo ciò che non era reddito imponibile), ottenere il regime fiscale più favorevole (cedolare vs IRPEF, esenzione IVA se possibile, niente IRAP) e ridurre le sanzioni al minimo applicabile. Una difesa ben impostata può far risparmiare decine di migliaia di euro rispetto a subire passivamente l’atto. Valuta però costi e benefici: se la differenza ottenibile è poca, potrebbe convenire aderire subito e chiudere evitando ulteriori spese e stress. Ogni caso ha la sua storia, perciò quanto esposto va adattato alla situazione concreta.


Altre contestazioni e profili di illegittimità: regolamenti comunali, condomini, TARI, ecc.

In aggiunta agli accertamenti tributari, chi opera con locazioni turistiche potrebbe incappare in contestazioni di altro tipo: ad esempio sanzioni amministrative per mancanza di requisiti o contravvenzione a regolamenti locali, oppure azioni civili da parte del condominio. Vediamo brevemente questi aspetti e come tutelarsi.

Regolamenti comunali restrittivi: i limiti ai poteri dei Comuni (Consiglio di Stato 2025)

Negli ultimi anni molti Comuni, preoccupati dal fenomeno degli affitti brevi (o spinti dalle lobby alberghiere), hanno tentato di emanare regolamenti per limitarne la diffusione: ad esempio, introducendo limiti al numero di giorni affittabili, distanze minime tra case vacanze, zone vietate (centri storici “saturi”), obbligo di licenze preventive, o addirittura divieti generali di affitto breve non imprenditoriale. Queste iniziative locali hanno dato luogo a contenziosi, poiché interferiscono con diritti di proprietà e libertà contrattuali garantiti da norme di rango nazionale.

Un punto fermo importante è stato messo dal Consiglio di Stato, Sez. V, con sentenza n. 2928 del 20/03/2025. Questa pronuncia, riguardante il regolamento del Comune di Sirmione (BS) che imponeva restrizioni alle locazioni turistiche, ha sancito che i Comuni non possono introdurre divieti o limitazioni generalizzate alle locazioni brevi svolte in forma non imprenditoriale, in assenza di un’apposita base normativa statale o regionale che le autorizzi. In particolare, il CdS ha distinto nettamente la locazione breve puramente abitativa (senza servizi alla persona) – che è espressione del diritto di proprietà e della libertà contrattuale del privato – dall’attività turistico-ricettiva imprenditoriale soggetta a regime autorizzatorio. La locazione breve “pura” non richiede SCIA né altre autorizzazioni ai sensi della L. 241/1990 (art. 19, atti soggetti a SCIA). Quindi i Comuni non possono emanare regolamenti urbanistici o di polizia locale che di fatto inibiscano la stipula di contratti di locazione breve, salvo che intervenga una legge regionale che disciplini la materia dando loro tale potere.

Nel caso specifico, il Comune di Sirmione aveva imposto un limite di 90 giorni annui e altre condizioni per gli affitti brevi. Il Consiglio di Stato ha annullato quel regolamento, affermando che la normativa statale (art. 1, co. 597 L. 178/2020) ha riconosciuto la gestione non imprenditoriale fino a 4 unità e dunque quell’attività è lecita e non soggetta a licenze. I Comuni possono intervenire solo se c’è una legge regionale successiva alla L. 178/2020 che attribuisce loro specifici poteri (nel caso, citava una ipotetica “legge 105/2024” forse intesa come legge regionale Lombardia, ma non esiste una 105/2024 nazionale se non un D.Lgs su altro; probabilmente un refuso, forse volevano riferirsi all’art. 5 L. 178/2020). Comunque, la ratio è chiara: lo Stato con la normativa sulle locazioni brevi ha regolamentato esaustivamente la materia fiscale e di definizione dell’attività, quindi i Comuni non possono contraddirla con norme locali non allineate.

Questa sentenza è una vittoria per i piccoli proprietari (UPPI, Unione Piccoli Proprietari Immobiliari, si era costituita). In pratica, stabilisce un principio generale valido per tutti i contenziosi in corso in materia: le ordinanze o regolamenti comunali che vietano totalmente gli affitti brevi ai privati sono illegittimi, e vanno annullati. Resta salva la possibilità per i Comuni di adottare misure più mirate per esigenze specifiche (ad esempio, alcune città d’arte vogliono introdurre un numero minimo di notti per evitare mordi-e-fuggi, oppure limitare nuove aperture di B&B in centro per preservare residenti – queste misure potrebbero essere consentite se supportate da normative regionali o nazionali di settore). Ma divieti arbitrari come “nel mio Comune affitti brevi solo se sei residente” o “massimo X case in tutto il centro” senza base legale superiore sono destinati a cadere in giudizio.

Pertanto, se un host riceve dal Comune un ordine di cessazione attività o una multa per aver violato un regolamento comunale restrittivo, conviene esaminarne la legittimità alla luce di questa giurisprudenza. Spesso la difesa consisterà nel impugnare l’atto davanti al giudice amministrativo (TAR) per violazione di legge, citando proprio il CdS 2928/2025 e la disciplina statale prevalente. Nel frattempo, in sede di confronto con il Comune, si può far presente la cosa e chiedere l’annullamento in autotutela del provvedimento illegittimo.

Un’altra situazione: alcuni Comuni hanno fissato il numero massimo di ospiti in affitti brevi o richiesto standard come i metri quadri minimi per persona. Questi rientrano nella sfera igienico-sanitaria e urbanistica, su cui il CdS ha detto: se mancano requisiti edilizi o igienici previsti dalle norme generali, il Comune può sanzionare quella carenza (ad esempio dichiarare inagibile un monolocale di 10 mq che ospita 4 persone). Però non può usare tali carenze per vietare di affittare: può semmai imporre di non superare certe capienze e multare se uno le supera. Ma la locazione in sé non può essere inibita ex ante.

In conclusione, dal punto di vista del debitore/gestore che subisca un provvedimento comunale restrittivo, la linea difensiva è:

  • Verificare se c’è legge regionale che lo supporta. In mancanza, molto probabile l’illegittimità.
  • Impugnare al TAR entro 60 gg o fare ricorso straordinario al Presidente Repubblica entro 120 gg.
  • Nel ricorso, sostenere contrasto con art. 1 L. 431/1998 (libera locazione per usi transitori), con art. 1571 c.c. e 41 Cost. (libertà contrattuale), e con la normativa locazioni brevi (DL 50/2017 e L. 178/2020) che prevale su regolamenti urbanistici precedenti non adeguati.
  • Chiedere sospensiva se l’atto impugnato ti blocca l’attività (il CdS ha mostrato di essere sensibile a evitare che misure comunali creino “alberghi diffusi clandestini”: meglio regolare che proibire, ha detto in sostanza).
  • Se hai preso sanzioni pecuniarie, puoi impugnarle in sede amministrativa se previste come atti endoprocedimentali, o anche in Commissione Tributaria se il Comune maldestramente le ha notificate come ingiunzioni (ma in genere in questo ambito è giurisdizione amministrativa, tranne che la sanzione venga contestata come violazione regolamento comunale economico – allora giudice ordinario, ma è raro).

Condominio e opposizione dei vicini (clausole anti-B&B)

Un altro fronte di possibili grane per chi fa affitti brevi è il rapporto con gli altri condomini. Spesso gli affittuari brevi possono creare disagi (rumore, maggior uso ascensore, ricambio continuo estranei). Cosa dice la legge?

Il condominio, come ente, non può vietare ai singoli proprietari di affittare la propria unità. Tuttavia, la giurisprudenza di Cassazione ha chiarito che, se nel regolamento condominiale contrattuale (approvato all’unanimità e inserito nei rogiti) è presente una clausola che vieta di destinare gli appartamenti ad uso diverso da civile abitazione o attività ricettive, tale clausola è valida e vincolante. In pratica, se nel regolamento c’è scritto “è vietato adibire gli appartamenti a pensioni, affittacamere, B&B”, il proprietario che volesse farlo non può, perché ha accettato quel vincolo contrattuale acquistando. La Cassazione con sentenza n. 7875/2019 e poi n. 4899/2022 ha confermato questa possibilità: il condominio (all’unanimità) può limitare gli usi particolari delle proprietà esclusive se ciò serve a tutelare esigenze comuni (tranquillità, sicurezza). Attenzione: se invece la clausola è generica del tipo “solo uso abitativo” senza menzionare affitti brevi, c’è dibattito se l’affitto breve sia comunque “uso abitativo” (il turista ci abita temporaneamente). Le sentenze paiono orientate a considerare che affittare a turisti non viola il divieto di uso diverso, perché l’uso rimane abitativo (solo non stabile). Ma se specificano “no bed & breakfast”, quello è chiaro. La sentenza 4899/2022 (Cass. II sez.) ad esempio ha ritenuto valido il divieto nel reg. contrattuale di destinare l’unità ad affittacamere, respingendo il ricorso del proprietario.

Quindi, un vicino infastidito potrebbe:

  • Se c’è clausola contrattuale violata, agire in tribunale civile chiedendo l’inibitoria dell’attività e il risarcimento danni eventualmente. E avrebbe buone chance di vincere se la clausola è chiara e approvata da tutti.
  • Se non c’è clausola, il vicino può comunque agire per far cessare comportamenti molesti degli ospiti (art. 844 c.c. sulle immissioni, art. 7 legge condominio su uso delle cose comuni, etc.). Ad es. se gli ospiti fanno schiamazzi notturni, può chiamare polizia o fare causa al proprietario per omessa vigilanza e chiedere di limitare gli orari check-in o presenza di un responsabile. Non è semplice ma possono provarci.
  • L’assemblea condominiale non può con maggioranza semplice vietare gli affitti brevi: qualsiasi delibera in tal senso sarebbe nulla. Solo un regolamento contrattuale (unanime) può farlo.

Per difendersi: se ti citano per violazione regolamento, verifica se era contrattuale (firmato da tutti) o solo assembleare. Se non era contrattuale, eccepisci che non ha valore cogente per limitare i diritti individuali. Se era contrattuale e lo stai violando, la difesa è difficile: puoi tentare di sostenere che l’affitto breve non costituisce attività di B&B se per es. non dai servizi (quindi è locazione pura, “civile abitazione” a tutti gli effetti seppur temporanea). In qualche caso tribunali di merito hanno fatto differenze sottili: ad es. affittare stanze con colazione è B&B (vietato), affittare l’intero appartamento senza servizi è locazione (forse non vietata). Dipende dal testo del divieto.

Un’altra difesa: se il condominio tollera altre attività (es. studi professionali, case vacanze di altri) e colpisce solo te, potresti invocare un principio di parità di trattamento. Ma è complesso, ogni caso a sé.

In generale, punto di vista del proprietario: prima di iniziare affitti brevi, controlla il regolamento condominiale. Se c’è divieto chiaro, conviene non contravvenire o cercare di far modificare il regolamento (impresa ardua, serve unanimità). Altrimenti rischi ingiunzioni in tribunale.

Se sei già in causa: puoi provare a limitare i danni proponendo misure mitigative (es. limiterò numero ospiti, ore check-in diurni, numero di soggiorni, installerò tappeti per rumore, etc.) per convincere il giudice che non arrechi particolare disturbo. Ma se c’è clausola esplicita, purtroppo la spunteranno i vicini.

Tassa rifiuti (TARI) e riclassificazione catastale

Abbiamo toccato questo prima: alcuni comuni hanno cercato di applicare una tariffa TARI non domestica (alberghiera) agli appartamenti usati per affitti brevi. Il caso menzionato di Milano: un proprietario affittava brevemente parte della propria abitazione, e il Comune gli aveva chiesto la TARI come “utenza non domestica – albergo senza ristorante”. Ebbene, la CTR Lombardia (sent. 4451/2019) gli ha dato ragione, annullando quella pretesa. Ha stabilito che l’attività svolta non era un’impresa ricettiva ma semplice esercizio del diritto di godimento, quindi la destinazione d’uso dell’unità rimane residenziale e la TARI va calcolata con tariffa domestica. La CTR ha anche sottolineato che servizi minimi come biancheria, utenze, internet non mutano la natura dell’uso abitativo.

Dunque, se un Comune vi recapitasse un avviso di pagamento TARI maggiorata per “attività Airbnb”, sappiate che potete difendervi sostenendo che:

  • la locazione breve non trasforma l’abitazione in locale commerciale;
  • la categoria TARI deve restare “domestica” perché il presupposto è l’uso abitativo dei locali e la produzione di rifiuti assimilabile a quella di normali residenti (in realtà a volte il via vai turistico produce più rifiuti, ma non è previsto differenziarla);
  • eventuali regolamenti comunali TARI che equiparano case affitti brevi ad alberghi potrebbero essere contestati per eccesso di potere.

La difesa si fa davanti alla Commissione Tributaria (la TARI è tributo locale). Nel caso citato, in primo grado il contribuente aveva perso, in appello ha vinto. Ora, molte città (Roma, Firenze, etc.) trattano B&B e case vacanze imprenditoriali come utenze non domestiche. Ma per locazioni saltuarie di privati è più discutibile. Quindi c’è margine per far valere che, se non hai Partita IVA, la TARI non domestica non si applichi.

Diverso è se affitti tutta la casa tutto l’anno a turisti: qui il Comune potrebbe dire che di fatto hai cessato l’uso “domestico” familiare e la usi come struttura ricettiva. È una zona grigia. Alcuni scelgono prudentemente di intestare la Tari come utenza non domestica se fanno casa vacanze full-time. Ma non è obbligo di legge finora.

Quanto alla categoria catastale D/2 (alberghi): il Comune può farlo tramite l’Agenzia delle Entrate – Territorio. Se uno stesso soggetto possiede 10 appartamenti in un edificio e li affitta come residence, l’Agenzia può pensare di riclassarli D/2. Se succede, implicazioni:

  • IMU passa dall’aliquota seconda casa (es. 1.06%) a aliquota beni merce o D (spesso simile, a volte 0.86% a seconda comune).
  • I valori catastali possono cambiare (D/2 spesso ha rendita basata su reddito potenziale e può essere alta).
  • Sarà poi incoerente continuare con cedolare, perché D/2 è immobile strumentale non abitativo (cedolare non applicabile). Quindi attenti: se vi sollevano quell’eccezione, un argomento è “i miei appartamenti restano accatastati A/2, A/3, segno che la destinazione d’uso non è mutata in attività ricettiva, quindi non serve variazione catastale, ergo non è impresa in senso strutturale”.

Conclusione: gestire affitti brevi comporta districarsi tra normative tributarie nazionali e locali. Dal punto di vista difensivo, il locatore deve conoscere i suoi diritti per:

  • Respingere pretese illegittime o eccessive del Fisco (ad esempio applicazioni errate di imposta o sanzioni).
  • Rivendicare la libertà di utilizzare la propria casa, nei limiti delle norme, contro tentativi di compressione ingiustificata (da parte di Comuni o condomini).
  • Al contempo, deve essere consapevole dei propri obblighi per evitare di trovarsi in posizione debole (meglio adempiere, ove possibile, così si potrà mostrare buona fede e collaborazione in caso di contestazioni).

Nel prossimo capitolo proponiamo alcune Domande & Risposte sintetiche per chiarire i dubbi più ricorrenti; seguiranno dei casi pratici simulati e delle tabelle riepilogative utili come prontuario.


Domande Frequenti (FAQ)

D: Qual è la differenza tra locazione breve occasionale e attività di impresa nel settore turistico?
R: La locazione breve occasionale è quella svolta da un privato, senza organizzazione imprenditoriale, su un numero limitato di immobili (fino a 3-4 all’anno) e senza offrire servizi tipicamente alberghieri. Si configura come semplice godimento del proprio immobile mediante contratti di affitto di durata ≤30 giorni. I proventi sono dichiarati come redditi fondiari (se proprietario) o redditi diversi (se sublocatore/comodatario) e il locatore può optare per il regime fiscale della cedolare secca al 21-26%. L’attività d’impresa sussiste invece quando la gestione assume carattere professionale: ad esempio se si affittano più di 4 appartamenti nello stesso anno, oppure se anche con meno immobili si mettono in campo una struttura organizzata e servizi aggiuntivi al cliente (colazioni, servizio quotidiano, escursioni, presenza di personale assunto, etc.). In tal caso l’attività è qualificata come impresa turistico-ricettiva (affittacamere, casa vacanze imprenditoriale, B&B imprenditoriale) e richiede apertura di Partita IVA con relativo regime fiscale (niente cedolare, obbligo fatturazione con IVA al 10%, tenuta contabilità, iscrizione registro imprese, contributi INPS se dovuti, ecc.). Spesso la discriminante risiede nel numero di immobili (norma 4 appartamenti) e nel tipo di servizi offerti: se ci si limita a dare alloggio (anche tramite Airbnb) senza servizi aggiuntivi e in modo saltuario, si resta nell’ambito dell’attività occasionale non imprenditoriale. Viceversa, superati certi limiti quantitativi o qualitativi, si entra nel perimetro imprenditoriale. È bene valutare caso per caso: la legge dà parametri (4 immobili, eventuali servizi), ma l’Amministrazione può considerare impresa anche chi, con pochi immobili, opera però con modalità business (ad es. fa marketing, ha un ufficio, delega gestione a property manager). In dubbio, consultare un esperto e considerare eventualmente di regolarizzare come impresa per evitare sanzioni future.

D: Posso applicare la cedolare secca sugli affitti brevi? Quali sono le aliquote nel 2025?
R: Sì, se sei un privato e rispetti i requisiti della locazione breve (contratto ≤30 gg, fuori attività d’impresa), puoi scegliere la cedolare secca per tassare i canoni. Fino al 2023 l’aliquota era 21% su tutti i redditi da affitti brevi. Dal 1° gennaio 2024 la Legge di Bilancio 2024 ha introdotto due aliquote: il 26% come aliquota ordinaria per i redditi da locazioni brevi, ridotta al 21% solo per i redditi riferiti ad una unità immobiliare locata brevemente, a scelta del contribuente. In pratica, se affitti più di un immobile, potrai indicare in dichiarazione quale immobile beneficia dell’aliquota 21% e sui redditi degli altri si applicherà il 26%. Se affitti un solo immobile breve, nulla cambia: avrai cedolare al 21%. Queste aliquote valgono per il 2024 e confermate per il 2025. Ricorda: la cedolare va “opzionata” nella dichiarazione dei redditi (quadro LC del 730 o RB del Modello Redditi PF). Se non esprimi l’opzione, quei redditi confluiranno nell’IRPEF ordinaria. Inoltre cedolare implica rinuncia ad aggiornamenti ISTAT del canone e a dedurre spese specifiche (paghi sul 100% del canone). Se hai dubbi su convenienza, fatti fare un calcolo dal commercialista confrontando IRPEF vs cedolare. Per la maggior parte dei contribuenti la cedolare conviene (specie col nuovo 26% comunque flat, rispetto ad aliquote IRPEF che già oltre ~€28k reddito vanno al 35%).

D: Cosa succede se affitto più di quattro case per brevi periodi?
R: Come accennato, la normativa fiscale prevede che destinare più di 4 appartamenti alle locazioni brevi in un anno fa scattare la presunzione di attività svolta in forma imprenditoriale. Ciò significa che, dal punto di vista del Fisco, se nel 2025 tu (persona fisica) affitti brevemente 5 o più unità abitative, verrai considerato un imprenditore. Le conseguenze sono: non potrai utilizzare la cedolare secca, ma dovrai dichiarare i redditi come reddito d’impresa (quadro RG o RF, con relative deduzioni di costi se documentati). Inoltre, dovresti aprire una Partita IVA e adempiere come impresa (fatturazione, IVA 10% sui corrispettivi se offri servizi para-alberghieri; se ti limiti all’affitto potresti rientrare in esenzione IVA, ma andando sul pratico, con 5 case è facile che offra almeno pulizia e biancheria, servizi che la legge considera comunque accessori consentiti ai privati, quindi arguibile esenzione IVA; tuttavia l’AE potrebbe spingerti a trattare la cosa come affittacamere con IVA). Dal punto di vista giuridico-amministrativo, con 5 case locazioni brevi stai di fatto gestendo un’attività ricettiva: molte regioni imporrebbero di presentare una SCIA come “casa vacanze in forma imprenditoriale” o agenzia di intermediazione immobiliare, e di rispettare i requisiti strutturali e di sicurezza come tali. Quindi, superare la soglia dei 4 immobili è un passo delicato: conviene pianificarlo formalmente, magari costituendo una piccola impresa (ditta individuale o società) per gestirli, onde evitare in futuro contestazioni di esercizio abusivo di attività d’impresa. In sintesi: con più di 4 unità affittate a turisti rischi accertamenti che riqualifichino tutti i redditi come d’impresa (con recupero di IVA e tassazione ordinaria) e possibili sanzioni per mancata apertura IVA. Meglio optare volontariamente per la gestione imprenditoriale una volta superato quel limite.

D: Devo registrare il contratto di una locazione breve turistica?
R: No, non c’è obbligo di registrazione per i contratti di locazione di durata non superiore a 30 giorni complessivi nell’anno con lo stesso inquilino. Questo vale per qualsiasi affitto breve (non solo turistico): l’art. 13 della Legge 431/1998 esenta dalla registrazione i contratti sotto i 30 giorni. Quindi non devi pagare imposta di registro né fare registrazione telematica. È comunque consigliabile redigere un contratto scritto o ricevuta contenente i dati delle parti, l’immobile, il periodo e l’importo pagato, firmato dal conduttore, per avere prova della transazione (anche ai fini di eventuali controlli di pubblica sicurezza). Molti utilizzano un semplice modulo di ricezione da far firmare all’arrivo, che contiene anche la dichiarazione degli ospiti di aver pagato l’imposta di soggiorno. Se utilizzi piattaforme come Airbnb, spesso c’è già un accordo digitale che l’ospite accetta, ma averne una copia firmata può aiutare. In caso di controlli fiscali, non ti sarà contestata la mancata registrazione se il contratto rientrava nei 30 giorni; tuttavia, se avevi più contratti consecutivi con lo stesso ospite che superano i 30 gg totali annui, l’Agenzia Entrate potrebbe eccepire che andavano registrati (ma capita di rado, scenario più da affitti transitori di 3-4 mesi con rinnovi frazionati per evitare registro – pratica scorretta). Conclusione: per gli affitti turistici brevi, niente registrazione, ma conserva la documentazione (contratto, scambi email, ricevute) per dimostrare durate e importi in caso di verifica.

D: Quali obblighi ho verso il Comune per l’imposta di soggiorno?
R: Se affitti in un Comune che ha istituito l’imposta di soggiorno, hai i seguenti obblighi principali:

  1. Informare gli ospiti dell’importo dovuto per la tassa e riscuoterlo da loro al momento dovuto (di solito check-in o check-out). Esporre cartelli informativi o note nell’annuncio è buona prassi.
  2. Rilasciare ricevuta al turista per l’importo pagato a titolo di imposta di soggiorno. Può essere una voce separata nella ricevuta/fattura dell’affitto (fuori campo IVA) oppure una ricevuta a parte nominativa.
  3. Versare al Comune le somme riscosse, con la frequenza prevista: può essere mensile, trimestrale, etc. Controlla il regolamento comunale o il portale tributario del Comune per le scadenze. Ad esempio, molti chiedono i versamenti trimestrali entro il 15 o 16 del mese successivo al trimestre.
  4. Presentare la dichiarazione annuale dell’imposta di soggiorno entro il 30 giugno dell’anno successivo, tramite il portale online del Ministero (dichiarazione cumulativa annuale). L’adempimento è nazionale, quindi anche se l’hai già fatto al Comune su base mensile, devi farlo comunque annualmente a fini statali.
  5. Conservare la documentazione: registro delle presenze, copie dei documenti per eventuali esenzioni (es. se dichiari tot esenti per minori, devi avere copie carte d’identità a supporto), ricevute dei pagamenti al Comune (F24 o contabile bonifico), eventuale estratto conto di piattaforme se hanno versato per tuo conto (Airbnb in alcune città versa direttamente la tassa: verifica, e in tal caso tu devi comunque dichiarare gli importi come versati dalla piattaforma).

In pratica: incassa, dichiara, versa. Le sanzioni in caso di omissioni sono pesanti: 30% dell’importo non versato e 100-200% dell’imposta non dichiarata, oltre all’obbligo comunque di pagare il dovuto. Dal 2020 sei formalmente responsabile d’imposta, quindi se non paghi tu, il Comune può rivalersi su di te (anche se non avevi materialmente incassato dal turista). Non dimenticare inoltre l’obbligo di registrazione al portale Alloggiati Web della Polizia per comunicare i dati degli ospiti entro 24h (non è verso il Comune ma spesso i Comuni collaborano con la Questura per controlli incrociati). Molti Comuni offrono un portale telematico dove caricare periodicamente i dati di presenze e generare bollettini di pagamento: utilizza questi strumenti se disponibili, semplificano la gestione e lasciano traccia (es. a Milano c’è il sistema turismo5, a Roma c’è un portale contributo di soggiorno, ecc.). Riassumendo: verifica sul sito del tuo Comune la sezione imposta di soggiorno, registrati come gestore e segui istruzioni per pagamenti e dichiarazioni.

D: Airbnb e Booking pagano già le tasse per me (sui redditi o sulla tassa di soggiorno)?
R: Dipende. Sul fronte tassa di soggiorno: alcune piattaforme collaborano con i Comuni per riscuoterla. Ad esempio, Airbnb riscuote la tassa di soggiorno automaticamente in molte città italiane (Roma, Firenze, Venezia, Milano, Bologna e altre) e la versa ai Comuni. Se la tua città rientra, Airbnb mostra all’ospite l’importo della tassa dovuta e lo aggiunge al totale pagato; tu come host ricevi la tariffa al netto di quella tassa e non devi versarla (lo fa Airbnb trimestralmente). Tuttavia: devi comunque includere quelle presenze e importi nella dichiarazione annuale al Comune e statale, segnalandoli come versati dal portale. Quindi non sei esonerato dal dichiarare, ma solo dal materialmente incassare/versare per quelle prenotazioni (funziona da sostituto per la tassa di soggiorno). Non tutti i portali lo fanno: Booking.com ad esempio in genere non riscuote la tassa (tranne in casi rari); quindi in quel caso tocca a te. In sintesi, verifica sul sito del portale o del Comune: se la piattaforma riscuote l’imposta, tu non devi chiederla all’ospite per quelle prenotazioni. Rimane l’obbligo di dichiararla.

Sul fronte tasse sui redditi (IRPEF): fino a fine 2023, le piattaforme non versavano le imposte per conto degli host (eccetto eventuali ritenute su cedolare in rarissimi casi sperimentali). Da fine 2023 in poi, grazie alla conclusione del contenzioso, Airbnb e altre piattaforme saranno tenute a trattenere il 21% su ogni pagamento agli host privati. In pratica, se un turista paga €100 di affitto, Airbnb trattiene €21 e li versa come acconto d’imposta allo Stato italiano, dandoti €79 (meno la sua commissione) e consegnandoti a fine anno una Certificazione Unica di €100 reddito e €21 ritenuta versata. Ma attenzione: questo vale se sei un privato senza P.IVA. Se hai P.IVA, il portale non trattiene nulla (perché presuppone che fatturerai tu con IVA). Dunque per i privati, , dal 2024 in teoria Airbnb/Booking inizieranno a comportarsi come sostituti d’imposta (o responsabili d’imposta) e verseranno quelle tasse. Fino al 2023 però la maggior parte non lo faceva (causa contenzioso legale poi risolto nel 2023). Quindi per gli anni passati, se non hai dichiarato i redditi, non è che Airbnb li abbia pagati per te (infatti lo Stato li sta recuperando ora sia da Airbnb stesso sia da te con accertamenti). E per gli anni futuri, la trattenuta del 21% non esonera dal dichiarare: dovrai comunque indicare i redditi in dichiarazione, ma potrai detrarre la ritenuta subita come acconto (se opti per cedolare, quella ritenuta coincide col 21% definitivo dovuto; se non opti, quella ritenuta è anticipo IRPEF). In sintesi: nessuno paga le tue tasse al posto tuo, piuttosto alcuni (portali) fungono da esattori trattenendo imposte e trasferendole allo Stato, ma resti tu il soggetto tenuto a dichiarare e a pagare eventuali differenze. Un equivoco comune è pensare “Airbnb mi versa i guadagni già tassati del 21%, quindi non devo più nulla”: vero solo se formalizzi col fisco quell’opzione (cedolare) e solo se quel 21% è l’intera imposta dovuta. Se per caso hai scaglioni IRPEF superiori e non hai scelto cedolare, il 21% era un acconto e dovrai integrare pagando di più. Quindi, tieni la contabilità: a fine anno procurati le Certificazioni Uniche che i portali ti forniranno e usale per compilare correttamente la dichiarazione.

D: Cosa rischio se non dichiaro i redditi da affitti brevi?
R: Rischi un accertamento fiscale con richiesta delle imposte evase, sanzioni e interessi. L’Agenzia delle Entrate sta intensificando i controlli incrociati sui redditi percepiti tramite portali OTA a partire dal 2017. Se non hai dichiarato (o hai dichiarato solo in parte) i proventi, l’Agenzia prima o poi potrebbe individuare l’anomalia e inviarti un accertamento. Le conseguenze economiche sono: pagamento dell’IRPEF evasa (o cedolare se spettava) per ciascun anno, più una sanzione amministrativa che va dal 90% al 180% dell’imposta non pagata (dichiarazione infedele), o dal 120% al 240% se addirittura non hai presentato la dichiarazione affatto (omessa dichiarazione). Più gli interessi di mora. Ad esempio, su €10.000 di redditi non dichiarati per un anno, se avresti dovuto pagare €2.100 di cedolare, potresti vederti richiedere quei €2.100 + circa €1.890 di sanzione (90%) + interessi. In totale quasi il doppio delle imposte originarie. Se i redditi erano alti e su più anni, le cifre si sommano e possono superare facilmente decine di migliaia di euro. In casi estremi, c’è anche il rischio di sanzioni penali per omessa dichiarazione (se l’imposta evasa supera €50.000 in un anno, scatta il reato di omessa dichiarazione ai sensi D.Lgs. 74/2000; o se superi €100k di imposta evasa, dichiarazione infedele rilevante penalmente). Abbiamo premesso di non trattare il penale, ma è un rischio per chi ha evaso molto. Inoltre, se i redditi erano di entità e modalità tali da configurare attività d’impresa e tu non hai aperto P.IVA, potresti subire sanzioni anche per omessa dichiarazione IVA (se dovuta) e contributi. Senza contare le possibili indagini bancarie: il Fisco può chiedere gli estratti conto e vedere entrate da Airbnb, confrontarle con dichiarato, ecc. In concreto, l’Agenzia ha parlato di controlli su 600mila locazioni brevi e sta già inviando lettere di compliance e accertamenti. Non dichiarare quindi è altamente sconsigliato. Meglio mettersi in regola spontaneamente col ravvedimento operoso (presentando dichiarazioni integrative e pagando il dovuto con sanzioni ridotte) prima di ricevere la visita del fisco. Oltre all’aspetto monetario, c’è il disagio e spesa di dover poi difendersi in un contenzioso tributario. Dunque, il rischio concreto è di pagare molto di più in futuro, con aggravio di possibili procedimenti se l’evasione è significativa. Vale la pena regolarizzare quanto prima e in futuro dichiarare puntualmente questi redditi (anche perché con l’obbligo di ritenuta dei portali, ormai il Fisco saprà tutto).

D: Ho ricevuto un avviso di accertamento per redditi Airbnb di alcuni anni fa: è valido o è prescritto?
R: Dipende dall’anno in questione e dalla tempistica. In generale, l’Agenzia delle Entrate ha tempo fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione per notificare un accertamento (periodi d’imposta dal 2016 in poi). Se la dichiarazione per quell’anno non è stata presentata (omessa), il termine si estende al 31 dicembre del settimo anno successivo. Esempi pratici:

  • Redditi 2017 (dichiarazione che avresti dovuto presentare nel 2018): se hai presentato dichiarazione (anche se incompleta), l’accertamento doveva arrivare entro 31/12/2023. Se non hai proprio presentato dichiarazione 2018, il termine è 31/12/2024. Quindi un avviso per il 2017 notificato nel 2025 sarebbe fuori termine e potresti farlo annullare per decadenza.
  • Redditi 2018 (dichiaraz. 2019): termine accertamento 31/12/2024 (se dichiarazione presentata) o 31/12/2025 (se omessa).
  • Redditi 2019: termine 31/12/2025 (dich. presentata) o 31/12/2026 (omessa).
  • Redditi 2020: 31/12/2026 o 31/12/2027.
  • 2021: 31/12/2027 o 31/12/2028, e così via.

Quindi, se ad esempio nel 2025 ti arriva un accertamento per redditi 2018 non dichiarati, verifica: se tu avevi presentato il 730/Unico 2019 (magari omettendo quei redditi), allora l’accertamento avrebbe dovuto essere notificato entro fine 2024. Notificato nel 2025 sarebbe tardivo, dunque nullò per decadenza. Se invece non avevi proprio presentato la dichiarazione per il 2018, l’accertamento entro fine 2025 è ancora nei termini. Dovrai quindi pagarlo o impugnarlo nel merito ma non potrai farlo annullare per prescrizione. Per capire bene: l’avviso si considera notificato in tempo se la consegna al tuo indirizzo (o PEC) è avvenuta entro il 31/12 di quell’anno. A volte l’Agenzia spedisce a fine dicembre e arriva a gennaio: in tal caso fa fede la data di spedizione/posta (se per raccomandata) o invio PEC. Quindi occhio alle date. Se pensi sia fuori termine, è una delle prime eccezioni da sollevare nel ricorso ed è risolutiva (il giudice annulla senza entrare nel merito). Tieni presente che nel conteggio dei termini c’è stata la sospensione Covid di 84 giorni nel 2020 che ha esteso un po’ i termini per gli anni precedenti; quindi per scrupolo aggiungi 84 giorni se l’anno in questione è al limite. Ma per semplificare: i controlli sui redditi Airbnb riguardano essenzialmente 2017-2021 (per 2016 e precedenti c’era poco, la norma parte dal 2017). Nel 2025 saranno ancora accertabili 2019-2021 (2018 solo se omessa dich.; 2017 ormai no se dich. presentata, e se omessa solo fino a fine 2024). Quindi un avviso nel 2025 per il 2017 quasi certamente potrai contestarlo come tardivo. Valuta però: se ti contestano più anni insieme (es. 2017-2018-2019 in un unico atto, possibile con adesione ai risultati di indagini), l’atto potrebbe essere valido per i secondi e decaduto per 2017. In sede di ricorso puoi far annullare la parte 2017 e mantenere il resto.

In sintesi, controlla la tabella termini o chiedi al tuo consulente. Se l’avviso è prescritto, hai un’ottima via di scampo semplicemente facendo valere la decadenza (cosa che il giudice tributario rileva anche d’ufficio se evidente).

D: Quali sanzioni si rischiano per l’imposta di soggiorno non versata o non dichiarata?
R: Le sanzioni amministrative previste (dopo la riforma 2020) sono:

  • Omesso versamento: sanzione pari al 30% dell’importo dell’imposta di soggiorno non versata. Se hai versato in ritardo, la sanzione è ridotta dal ravvedimento (ad es. 1,5% entro 15 giorni di ritardo, 1,67% entro 30gg, 3,75% entro 90gg, 4,29% entro 1 anno, 5% entro 2 anni, 6% oltre 2 anni ma prima di accertamento).
  • Omessa o infedele dichiarazione annuale: sanzione dal 100% al 200% dell’imposta non dichiarata. Questo vuol dire che se ad esempio nel 2022 hai incassato €500 di tassa e non hai proprio inviato la dichiarazione entro 30/6/23, il Comune potrebbe multarti da €500 a €1000. In genere tenderanno al minimo (100%) se poi versi spontaneamente, ma se scoprono occultamento con malizia possono anche raddoppiare.
  • Omessa istituzione/rendicontazione del registro: alcune normative locali richiedevano registro incassi, ecc. Ora con la dich. annuale nazionale queste sanzioni locali decadono. Oggi conta la dich. annuale.
  • Inosservanza di regolamenti: se il Comune lo prevede, potrebbero esserci sanzioni ulteriori di carattere amministrativo. Ad esempio, alcuni comuni puniscono con piccole multe la mancata comunicazione periodica delle presenze (oltre alla dichiarazione annuale). Occorre vedere il regolamento: molte di queste sanzioni locali “formali” però sono state superate dall’obbligo di dichiarazione nazionale e non sono più applicabili (DL 34/2020 ha uniformato).
  • Peculato (penale): per fatti dal 2020 in poi non si applica. Per quelli precedenti, di principio no perché la legge li ha depenalizzati retroattivamente. Dunque oggi la conseguenza è solo amministrativa (e contabile eventualmente). In casi di somme ingenti trattenute magari antecedenti il 2020, qualche Procura aveva avviato processi; con la retroattività 2021 di DL 146/21, dovrebbero decadere.
  • Danno erariale: la Corte dei Conti in teoria può ancora chiedere il risarcimento del danno per gli importi non versati, considerandoli danno alle casse pubbliche. In pratica, se hai omesso 1000€, ti verrà chiesto dal Comune comunque (quindi niente danno residuo); la Corte dei Conti di solito perseguiva i casi grossi con danno d’immagine. Oggi credo si concentrerà su casi di importi elevati e circostanze di particolare gravità (es. amministratori pubblici coinvolti).

Quindi, per un host medio che ha magari saltato di versare tot euro: la sanzione principale è 30% su quell’importo. Se inoltre non aveva fatto la dichiarazione, altra sanzione uguale all’importo (100%). In totale può arrivare al 130% del tributo evaso. Va detto però che se uno vuole rimediare, può fare ravvedimento operoso prima di ricevere accertamento e ridurre molto queste sanzioni (ad es. omessa dichiarazione ravveduta spontaneamente = sanzione minima 100% ridotta a 1/10 = 10% dell’imposta, più 0,2% al mese se ravvedi tardivamente; omesso versamento ravveduto entro un anno = sanzione 3,75%). Quindi si passa da 130% potenziale a magari <10%. Vale la pena ravvedersi. Se invece arriva l’accertamento e risulti inadempiente, pagherai probabilmente il 30% + 100% = 130% del tributo, oltre a doverlo comunque versare. Esempio: hai incassato €1.000 di tassa soggiorno e non li hai versati né dichiarati – rischi una multa di €300 + €1.000 = €1.300 e ovviamente devi comunque versare i €1.000 dovuti, totale esborso €2.300 (più interessi modesti). Confronta con: se li avessi versati e dichiarati regolarmente, pagavi €1.000 e basta. Quindi direi, conviene davvero adempiere o almeno sanare spontaneamente.

D: Cos’è il Codice Identificativo Nazionale (CIN) e come ottenerlo?
R: Il CIN è un codice alfanumerico univoco assegnato ad ogni immobile destinato a locazione breve o struttura ricettiva, introdotto dal Ministero del Turismo per uniformare la registrazione di queste attività a livello nazionale. Serve a identificare in modo certo ogni alloggio turistico e contrastare l’abusivismo (gli annunci online dovranno riportarlo, facilitando i controlli). Per ottenerlo bisogna registrarsi sulla piattaforma BDSR (Banca Dati Strutture Ricettive) del Ministero del Turismo e inserire i dati richiesti sull’immobile e sulla tipologia di attività. Contestualmente va compilata una dichiarazione sostitutiva dove si attesta di essere in regola con i requisiti di sicurezza e urbanistici (la piattaforma guida attraverso domande). Una volta completata la procedura, il sistema assegna il CIN. Dal 1° gennaio 2025 diventa obbligatorio esporre il CIN all’esterno dell’edificio (in prossimità dell’ingresso dell’appartamento o del B&B) e indicarlo in ogni annuncio o pubblicità (online e offline). Se già hai un codice regionale (CIR) perché la tua regione lo prevedeva, il CIN nazionale si aggiunge e non lo sostituisce. Entrambi andranno mostrati. La registrazione al portale ministeriale BDSR richiede SPID o CIE per autenticarti. Dopo il login, compili i form con: dati anagrafici, indirizzo immobile, tipologia (locazione turistica non imprenditoriale, affittacamere, B&B, ecc.), estremi SUAP se imprenditoriale (SCIA), numero di camere, posti letto, estremi catastali. Alcune info servono per generare il codice e fungono anche da comunicazione ufficiale della tua attività al Ministero. Una volta fatto, potrai scaricare il certificato con il tuo CIN. Il Decreto ministeriale 6/6/2024 ha specificato i dettagli tecnici. In caso di mancata richiesta del CIN entro i termini (ora prorogato al 1/1/2025) o mancata esposizione/indicazione del medesimo, la sanzione amministrativa va da €800 a €8.000. Quindi è fondamentale adeguarsi: il consiglio pratico è di procedere per tempo (già dal novembre 2024 quando la piattaforma è partita) per evitare intoppi last-minute. Oltre al codice, l’iter ti farà anche riflettere sui requisiti di sicurezza (ad es. dovrai dichiarare di aver installato i rilevatori e gli estintori richiesti). Il sistema infatti è integrato con quelle FAQ sicurezza aggiornate al 27/11/2024 che dicono di dotare l’immobile di dispositivi antincendio, etc.. Una volta ottenuto il codice, inserirlo negli annunci (Airbnb, Booking, siti propri): probabilmente le piattaforme stesse adegueranno i form per prevedere un campo “CIN” obbligatorio, come già fecero con i codici regionali dove vigenti. In sintesi, il CIN diventa il “numero di licenza” universale per le locazioni brevi. Ottenendolo, la tua struttura entra nel database nazionale, e questo potrebbe interfacciarsi con Agenzia Entrate, Questure e Comuni. È uno strumento di trasparenza: chi è in regola non ha nulla da temere, chi operava in nero invece verrà facilmente individuato se privo di codice.

D: Sono obbligato ad avere estintori e rilevatori di fumo/gas in casa se affitto ai turisti?
R: Sì, dal 2024-2025 la legge ha introdotto requisiti di sicurezza antincendio anche per le strutture affittate in forma non imprenditoriale. In particolare, è obbligatorio dotare l’unità:

  • Di almeno un rilevatore di gas combustibili (se c’è impianto a gas) e di monossido di carbonio funzionante.
  • Di estintori portatili dimensionati: la regola è un estintore ogni 200 m² di superficie o frazione, e almeno uno per piano. Quindi minimo uno anche in piccolo appartamento (anche se <200mq). Se la casa è su 2 piani, uno per piano.
    Questi obblighi derivano dall’art. 13-ter comma 7 del D.L. 145/2023, collegato al CIN, e dalle specifiche tecniche diffuse dal Ministero nelle FAQ. In più, è sempre raccomandato avere anche rilevatori di fumo/incendio, sebbene la norma parli esplicitamente di rilevatori gas e CO (molte normative regionali già richiedevano rilevatori di fumo per B&B). Il Ministero precisa che anche un B&B è soggetto a questi obblighi di base (estintori e rilevatori) se rientra nella definizione ex art. 13-ter; in verità la FAQ dice che l’obbligo ex lege riguarda solo chi affitta in locazione breve ai sensi DL 50/2017 o locazione turistica senza servizi aggiuntivi. Quindi un B&B vero e proprio in teoria non rientra perché offre colazione (servizio aggiuntivo), ma comunque un B&B avrà altre norme regionali antincendio da seguire. In sostanza, per un appartamento Airbnb ora servono: rilevatore gas (se hai cucina gas o scaldabagno), rilevatore CO (se c’è caldaia o apparecchi a fiamma libera), e uno o più estintori. Gli estintori vanno a polvere da 6 kg (i classici) o equivalenti, e vanno manutenuti (controllo annuale). Il rilevatore CO e gas devono essere a norma, installati correttamente e con batterie efficienti. È un costo modesto e un grande aumento di sicurezza per te e gli ospiti. Dunque, sì: se intendi affittare nel 2025, devi procurarti questi dispositivi. Quando fai la procedura per il CIN, dovrai dichiarare di averli installati (non ti chiederanno prove in quel momento, ma ovviamente potresti essere soggetto a controlli e in caso di incidenti sei responsabile se non li avevi messi nonostante l’obbligo). Questi obblighi valgono anche se affitti solo una stanza di casa tua. Non sono richiesti se l’ospitalità è a titolo gratuito (es. ospiti non paganti). Ricorda infine che resta l’obbligo generale di comunicare gli ospiti alla Questura (il rilevatore di ospiti in AlloggiatiWeb potresti considerarlo un “rilevatore di intrusi” scherzosamente, ma è per dire: oltre a sicurezza antincendio, c’è sicurezza pubblica da curare: segnalare sempre i dati degli ospiti entro 24h). In conclusione: sì, devi adeguare l’immobile con base sicurezza, e la legge lo ha reso obbligo formale dal 2024.

D: Il mio condominio può impedirmi di fare locazioni turistiche?
R: In linea generale, no, il condominio non può vietare le locazioni delle proprietà private. Ogni proprietario è libero di affittare il proprio appartamento, anche per brevi periodi, senza dover chiedere permesso all’assemblea condominiale. Questo perché la locazione è un atto di esercizio del diritto di proprietà e non costituisce di per sé un’attività “diversa” (l’immobile resta abitativo). Tuttavia, c’è un’importante eccezione: se nel regolamento di condominio contrattuale (quello approvato all’unanimità e allegato ai rogiti) è presente una clausola che limita gli usi delle unità (ad es. vieta di adibirle a pensione, affittacamere, ecc.), allora quella restrizione è vincolante per i condomini. La Cassazione ha stabilito che una clausola così formulata può legittimamente proibire a un proprietario di utilizzare l’alloggio come struttura ricettiva (B&B, casa vacanze) se i condomini originariamente lo hanno concordato all’unanimità. Quindi, se esiste nel tuo condominio un regolamento che espressamente vieta affitti a uso turistico o attività di ospitalità, allora i vicini potrebbero chiederti di attenerti e, in caso di violazione, agire in giudizio per far cessare l’attività. Se invece non c’è un tale divieto specifico, il condominio non può opporsi legalmente. Delibere assembleari a maggioranza che tentino di introdurre un divieto simile sono nulle (serve unanimità). Possono tutt’al più stabilire regole di gestione (es. check-in in orari consentiti, registrazione ospiti al portiere, contributo extra per pulizia scale se si sporcano spesso, ecc.), ma non proibire l’attività. Dunque: controlla il regolamento. Se c’è scritto genericamente “destinazione solo civile abitazione”, spesso i giudici hanno interpretato che l’affitto breve è civile abitazione (se l’uso rimane di soggiorno, seppur temporaneo, non è ufficio né laboratorio). Alcune cause su questo punto han dato ragione ai proprietari, altre ai condomini a seconda della formulazione. Ad esempio, Cass. 7875/2019 ha ritenuto che “uso esclusivamente abitativo” preclude anche l’uso come B&B (perché c’è attività commerciale di alloggio dietro). Il confine è sottile. In pratica, se offri solo locazione breve senza servizi (nessun bed&breakfast, solo affitti) potresti argomentare che rispetti comunque la destinazione abitativa (solo che sono abitanti temporanei). Ma non c’è certezza: c’è chi considera Airbnb alla stregua di un’attività ricettiva mini. Se non c’è alcun divieto, puoi procedere con gli affitti, fermo restando che devi far rispettare il regolamento condominiale ai tuoi ospiti (quiete, raccolta differenziata, uso aree comuni). I vicini se disturbati possono comunque chiamare forze dell’ordine o lamentarsi. Non possono mandarti via gli ospiti legalmente, ma possono renderti la vita difficile se succedono problemi. Quindi, per buon vicinato, tieni informato l’amministratore se affitti, chiedi ai tuoi ospiti di osservare regole (magari inserisci nel house manual: silenzio in certe fasce orarie, ecc.). In conclusione: solo un regolamento contrattuale unanime può impedirtelo. In mancanza, il condominio non ha potere di vietare affitti brevi, purché l’attività non si traduca in molestie o abuso delle parti comuni. Eventuali controversie finiscono in sede civile: se succede, valuta con un avvocato la validità di eventuali clausole e la condotta degli ospiti. Prevenire con buoni rapporti condominiali è la scelta migliore (talvolta i condomini temono maggior usura o insicurezza: potresti rassicurarli mostrando che selezioni gli ospiti, magari limitando il numero, etc., per evitare attriti).

D: Devo comunicare alla Polizia i dati degli ospiti? Cosa rischio se non lo faccio?
R: Sì, è obbligatorio per legge (art. 109 TULPS) comunicare entro 24 ore dall’arrivo (o entro 6 ore se soggiorno <24h) le generalità di ogni persona alloggiata presso di te. Questo vale per tutte le strutture ricettive e anche per le locazioni di breve periodo, come chiarito da circolari Ministero Interno. La comunicazione avviene telematicamente tramite il portale Alloggiati Web della Polizia di Stato, al quale devi registrarti (presso la Questura locale, ufficio alloggiati) ottenendo credenziali (username e una chiavetta o certificato digitale). Molti host fai-da-te trascurano questo obbligo, ma è molto importante: è pensato per finalità di pubblica sicurezza e antiterrorismo (sostanzialmente è l’equivalente della scheda che gli hotel fanno firmare e inviano alla questura). Se non comunichi i dati degli ospiti entro i termini, commetti un’violazione amministrativa punita di regola con una sanzione pecuniaria che va da circa €100 a €500 per ogni omessa comunicazione (il D.L. 53/2019 ha inasprito il quadro, prevedendo anche sanzioni più alte per recidiva). In passato l’omissione era considerata anche reato contravvenzionale, ma attualmente si tende a sanzionare in via amministrativa salvo casi gravi. Comunque, se reiteri l’omissione, potresti incorrere in chiusura dell’attività da parte del Questore (lo prevede l’art. 109 TULPS come possibilità) e in teoria anche nell’accusa di favoreggiamento (estremo, se ospitassi persone irregolari senza segnalare). Insomma, è un obbligo da prendere sul serio. Per cui, rispondiamo: Sì, devi sempre comunicare i dati alla Polizia quando hai ospiti non residenti (anche amici paganti teoricamente, ma il confine con l’ospitalità gratuita è labile. Se è un affitto, sicuramente sì). Rischi multe per ogni mancata segnalazione, e se proprio ignorassi sistematicamente la legge, potresti avere guai maggiori (revoca del permesso di affittare, ecc.). Dal punto di vista pratico, il portale alloggiatiweb è un po’ macchinoso all’inizio, ma una volta installato funziona bene e puoi caricare online i documenti (alcune piattaforme, come Booking, hanno integrato nei loro sistemi strumenti per facilitare questo invio, oppure ci sono software gestionali che si interfacciano). Non vale la pena rischiare: anche perché se un ospite compie un reato o c’è un controllo incrociato col comune, la prima cosa che verificano è se avevi mandato la schedina alloggiati. Se manca, si aprono contenziosi. Quindi la raccomandazione è: registrati al più presto al portale Alloggiati (se non l’hai già fatto tramite altra struttura), assolvi questo compito (che è rapido, si tratta di inserire nome, cognome, doc, ecc. oppure caricare file), e dormi sonni tranquilli. Le sanzioni per chi ha già un precedente per omissione possono diventare penali (reato di cui all’art. 17 TULPS se commesso da chi è tenuto come obbligo di ufficio – i giuristi dibattono sull’applicabilità ai privati, ma meglio non scoprirlo). Quindi il rischio è principalmente economico (multa) e di vedersi segnalati come inadempienti alla Questura. Nel contesto di un accertamento, il Comune potrebbe segnalare alla Questura l’elenco di ospiti non dichiarati incrociando con imposta soggiorno, e la Questura a quel punto potrebbe sanzionare per quelle mancate segnalazioni. In definitiva: comunicali sempre. È facile attualmente incrociare i dati (ci sono convenzioni Polizia-Comune).


Casi Pratici e Simulazioni

Di seguito presentiamo alcuni casi pratici simulati, ispirati a situazioni reali, con l’analisi di come un contribuente (debitore) può difendersi o risolvere la questione.

Caso 1: Accertamento dell’Agenzia delle Entrate per redditi Airbnb non dichiarati
Scenario: Luigi è un privato che possiede 2 piccoli appartamenti a uso investimento. Dal 2018 li affitta saltuariamente tramite Airbnb, incassando mediamente €12.000 all’anno. Non avendo ben chiara la normativa, Luigi non ha mai indicato questi redditi nella dichiarazione dei redditi (pensava fossero “coperti” dalla commissione di Airbnb). Nel marzo 2025 Luigi riceve una lettera dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale, che lo invita a presentarsi per esibire documentazione in relazione ai redditi percepiti dalle locazioni brevi 2018-2021. Allegato alla lettera c’è un prospetto con le somme incassate via Airbnb in quegli anni (dati forniti dalla piattaforma) per un totale di €48.000. Luigi è molto preoccupato: teme di dover pagare tutto insieme e magari subire conseguenze penali. Si rivolge a un commercialista/avvocato tributarista per assistenza.

Come difendersi e risolvere: Innanzitutto, la lettera ricevuta è un invito al contraddittorio (compliance), non ancora un accertamento formale. Luigi ha qui la chance di collaborare e sistemare le cose con sanzioni ridotte. Con l’aiuto del professionista, verifica i dati: risultano corretti (Luigi ritrova gli estratti conto di Airbnb che combaciano). Il consulente nota che Luigi per quegli anni avrebbe potuto optare per la cedolare secca, quindi l’imposta dovuta sarebbe il 21% di €48.000 = €10.080. Se l’Agenzia procedesse in modo “punitivo”, potrebbe chiedere IRPEF ordinaria (aliquote progressive: Luigi ha anche redditi di pensione, quindi quei 48k andrebbero in parte al 38% e 41%) più sanzioni 90%. Per evitare il peggio, il consulente consiglia a Luigi di fare un ravvedimento operoso speciale: presentare subito le dichiarazioni integrative per 2018-2021 includendo i redditi degli affitti con cedolare secca. Per gli anni 2018-2019 (i cui termini di accertamento scadono a fine 2024/2025) potrebbe ancora rientrare nella definizione agevolata (ad esempio, se fosse ancora possibile, la “ravvedimento speciale” della L.197/2022, ma nel 2025 è scaduta; comunque può fare ravvedimento normale). Luigi quindi compila i modelli Redditi integrativi aggiungendo i redditi fondiari con cedolare secca. Calcola le imposte dovute per ciascun anno: supponiamo €2.500 per 2018, €2.500 per 2019, €2.600 per 2020, €2.480 per 2021 (aliquota 21%). Totale imposte €10.080 come previsto. Calcola poi le sanzioni ridotte: siccome la lettera di compliance è arrivata prima dell’accertamento, il ravvedimento è ancora ammesso (anche se tecnicamente dopo PVC sarebbe precluso, qui siamo a invito). Le sanzioni per infedele dichiarazione (90% di ogni annualità) possono essere ravvedute a 1/5 perché l’invito al contraddittorio può essere equiparato a constatazione, oppure comunque l’ufficio può concordare di applicare la sanzione minima. Luigi versa quindi: €10.080 di imposte + circa €1.814 di sanzioni (1/5 del 90% di 10.080) + interessi. Totale sui €12.000 circa. Si presenta al contraddittorio munito delle ricevute dei F24 pagati e delle nuove dichiarazioni inviate telematicamente. L’Agenzia, preso atto, archivia la posizione (nessun accertamento emesso) e al limite invia un esito di adesione spontanea. Risultato: Luigi ha dovuto pagare una somma cospicua, ma ha evitato sanzioni piene (~€9.000 che avrebbero potuto richiedere) e soprattutto ha sanato 4 annualità senza contenzioso né conseguenze penali (l’imposta evasa annua era sotto soglia penalità, e comunque ravvedendosi estingue l’illecito). D’ora in avanti Luigi dichiarerà correttamente i proventi, e grazie al ravvedimento non gli verranno irrogati ulteriori provvedimenti.

Analisi: Questo caso mostra come agire quando il Fisco non ha ancora emesso atto definitivo: collaborare, ravvedersi e pagare conviene. Se Luigi avesse ignorato l’invito, quasi certamente avrebbe ricevuto un accertamento con €10k imposte + ~€9k sanzioni + interessi, per tot ~€20k, e avrebbe dovuto fare ricorso. Con la compliance, ha risolto con ~€12k e niente contenzioso. Ha comunque sborsato retroattivamente le tasse risparmiate indebitamente, ma evitando aggravi extra.

Caso 2: Avviso di accertamento del Comune per imposta di soggiorno non versata
Scenario: Maria gestisce un piccolo B&B familiare (senza P.IVA) nel Comune di Verona. Nel 2022, a causa di problemi personali, non ha versato al Comune l’imposta di soggiorno riscossa in vari mesi, accumulando un debito di €1.500. Inoltre, presa dalla confusione, non ha presentato la dichiarazione annuale 2022 a giugno 2023. A ottobre 2024 il Comune le notifica un “Avviso di accertamento esecutivo” per imposta di soggiorno 2022, contestando omesso versamento di €1.500 e omessa dichiarazione annuale. Le viene richiesto: €1.500 di tributo, €450 di sanzione 30%, €1.500 di sanzione dichiarazione (100%), più interessi €50, totale circa €3.500, da pagare entro 60 giorni. Maria, che nel frattempo ha regolarizzato tutto per il 2023, si spaventa perché non dispone immediatamente di 3.5k euro. Vorrebbe anche capire se quella sanzione doppia è equa.

Come difendersi e risolvere: Maria ha due strade: 1) pagare entro 60 giorni €3.500 e chiudere; 2) contestare l’atto in Commissione Tributaria per cercare di ridurre sanzioni. Poiché conosce la situazione (sa di non aver versato né dichiarato), non può negare il fatto. Ma nota due cose: a) il Comune ha applicato la sanzione dichiarativa al 100% (il minimo), poteva essere peggio ma anche meglio; b) il Comune non menziona possibilità di definizione agevolata. Maria contatta un avvocato tributarista. Questi verifica che l’atto è stato notificato il 20/10/2024, quindi nei termini (2022 accertabile fino a 31/12/2027). Niente decadenza. Consiglia però di presentare ricorso puntando su: la non proporzionalità complessiva delle sanzioni (130% sommate) e la buona fede di Maria (magari circostanze esimenti, es. ricoveri in ospedale nel 2023 l’hanno fatta dimenticare dichiarazione). Si può chiedere quantomeno di applicare la sanzione del 100% in cumulo giuridico col 30% (talune Commissioni lo fanno, anche se tecnicamente trattasi di violazioni diverse). Inoltre, Maria ha già versato dopo la notifica €1.000 dei 1.500 dovuti (per mostrare ravvedimento). Il legale prepara ricorso alla Commissione Tributaria di Verona, chiedendo: l’annullamento della sanzione del 100% per dichiarazione omessa, o in subordine la sua riduzione al minimo edittale ulteriore o in via equitativa. Propone, ad esempio, che la Commissione riduca la sanzione totale al 100% del tributo invece che 130%, evidenziando che Maria non ha trattenuto quei soldi per lucro ma per difficoltà temporanea, e che li sta versando (infatti allegano ricevute per 1.000 versati spontaneamente e piano per i restanti 500). Al contempo, chiedono la sospensione dell’atto (per evitare che dopo 60gg parta la riscossione coattiva), allegando documentazione del reddito modesto di Maria e spese mediche (per dimostrare il “danno grave” nel pagare subito 3.5k). La Commissione, valutate le prove, concede la sospensione provvisoria e fissa l’udienza. In udienza, il Comune si presenta e, preso atto che Maria ha già versato tutto il tributo (nel frattempo ha racimolato i restanti 500€), propone una conciliazione: ridurre le sanzioni complessive da 1.950 (450+1500) a €900 forfettari (circa il 60% del tributo, in pratica il doppio della sanzione minima 30%). Maria accetta per evitare ulteriori spese legali. Viene redatto verbale di conciliazione: Maria si impegna a pagare €900 entro 20 gg. Così la controversia si chiude. Alla fine Maria avrà pagato: i €1.500 di tassa dovuta + €900 di sanzioni conciliate + interessi modesti + spese legali (diciamo €500). Totale intorno a €2.900, risparmiando circa €600 rispetto ai €3.500 iniziali (e potendo pagare a rate il tributo nel mentre). Più che il risparmio monetario, Maria ottiene tranquillità: evitando il percorso coattivo, e difendendo la propria onorabilità (niente accusa penale, ecc.). E soprattutto, impara a rispettare puntualmente gli obblighi futuri per non ricadere in errori.

Analisi: In questo caso, il ricorso è servito a negoziare una riduzione sanzioni. Forse avrebbe potuto ottenere qualcosa anche dal giudice senza conciliazione – alcune Commissioni applicano l’art. 7 D.Lgs 472/97 e dimezzano sanzioni per buona fede. Ma con la conciliazione c’è certezza e nessun appello. Il ragionamento è: se sai di aver torto nel merito (non hai versato), punta a mitigare le penalità. Pagare subito in acquiescenza avrebbe comportato 1.950 di sanzioni; con la difesa Maria l’ha abbassata a 900. Certo ha dovuto scomodare avvocato e attendere mesi, quindi uno con importi minori potrebbe non valerne la pena. Qui era una cifra medio-alta (sanzioni 1950 euro). Si nota inoltre come pagando tributo prima e mostrando volontà di rimediare, l’ente sia stato più ben disposto. Anche la sospensione ottenuta è stata importante: se Maria avesse ignorato l’atto, dopo 60 giorni sarebbe scattata la ingiunzione e magari un fermo amministrativo sull’auto.

Caso 3: Contestazione del Comune per attività ricettiva non autorizzata (regolamento comunale)
Scenario: Fabio possiede un trilocale a Firenze, in pieno centro storico, e lo affitta a turisti come “casa vacanze” dal 2022. Non ha P.IVA perché affitta come privato (solo quell’immobile). La Regione Toscana però prevede che anche per locazioni turistiche non imprenditoriali il proprietario faccia una comunicazione di inizio attività al SUAP e ottenga un codice identificativo regionale (CIR). Fabio ignorava questa procedura e ha iniziato ad affittare tramite Airbnb senza nessuna comunicazione. Nel luglio 2023 riceve un verbale dalla Polizia Municipale – Ufficio Annonaria del Comune, che a seguito di un sopralluogo ha constatato che Fabio esercitava attività di locazione turistica senza aver presentato la SCIA prevista dall’art. X del Regolamento comunale. Gli contestano la violazione amministrativa con una sanzione di €1.600 (importo previsto dal regolamento). Inoltre, ingiungono di regolarizzare la posizione presentando la SCIA entro 30 giorni, pena ulteriori sanzioni. Fabio è perplesso: affermano che doveva fare una SCIA come se fosse un’attività, ma lui sta solo affittando casa propria. Si chiede se la sanzione sia legittima e come reagire.

Come difendersi e risolvere: Dopo consulto legale, emerge che in Toscana effettivamente una legge regionale (L.R. Toscana 86/2016) richiede ai locatori turistici di comunicare al Comune l’inizio dell’attività di locazione. La mancata comunicazione è sanzionabile (fino a €500 e possibilità di inibire l’attività). I vigili però hanno erroneamente qualificato come “SCIA” qualcosa che per legge regionale è una semplice “comunicazione”. Comunque, Fabio era in difetto formale. Strategia: Fabio decide di regolarizzare immediatamente: entro i 30 giorni presenta al SUAP la comunicazione tardiva di locazione turistica, ottenendo il codice identificativo regionale. Con questo, invia una memoria difensiva all’ufficio che ha elevato il verbale, spiegando che ha sanato la situazione e chiedendo l’annullamento o quantomeno la riduzione della sanzione, evidenziando che: 1) la norma regionale prevede sanzione max €500, mentre a lui ne chiedono €1600 rifacendosi a un vecchio regolamento comunale antecedente alla legge; 2) l’attività era stata avviata ignorando l’obbligo, ma senza arrecare danno (ha pagato tassa soggiorno, ecc.); 3) ora è pienamente in regola (allega ricevuta comunicazione SUAP). L’ufficio legale del Comune valuta la memoria: in effetti c’è un incongruenza normativa (regione vs regolamento). Decide di archiviare il verbale, notificando a Fabio l’annullamento in autotutela, considerando la buona fede e la regolarizzazione. Fabio quindi non paga nulla, continua la sua attività ora formalizzata e d’ora in poi adempierà a tutti gli obblighi. Caso risolto con esito positivo grazie a un’azione tempestiva di conformazione e difesa tecnica sugli aspetti normativi.

Analisi: Questo caso riflette situazioni reali in cui i Comuni a volte eccedono le proprie competenze regolamentari. Il privato, se ben consigliato, può far leva su eventuali conflitti di norme (qui regolamento comunale vs legge regionale) e sulla prassi di favor partecipationis (se regolarizzi spontaneamente, l’ente può chiudere un occhio). Non sempre va così liscio: se Fabio fosse stato in una città più rigida, forse avrebbe dovuto pagare una multa ridotta. Ma comunque, presentare memorie entro 30gg dal verbale è fondamentale: se si lasciano scadere, diventa ordinanza ingiunzione e poi devi pagarla o impugnarla in Tribunale Civile. Quindi mai ignorare i verbali amministrativi, cercare di argomentare e sanare. Ora Fabio inoltre sa che dal 2025 dovrà aggiungere anche il CIN nazionale e dispositivi sicurezza, ma avendo un codice regionale e SUAP attivo, si allineerà facilmente.


Tabelle riepilogative

Tabella 1 – Confronto Locazione breve occasionale vs Attività ricettiva imprenditoriale

AspettoLocazione breve (privato)Attività ricettiva (impresa)
Soggetto esercentePersona fisica senza P.IVA (proprietario, usufruttuario, inquilino che subaffitta, comodatario)Ditta individuale, società o persona fisica con P.IVA (impresa familiare, etc.)
Numero di immobili gestitiFino a 4 immobili/anno in locazione breve (sopra scatta presunzione di impresa)In genere nessun limite (oltre 4 obbligatoriamente impresa). Anche 1 immobile può essere impresa se gestito professionalmente (es. B&B con servizi)
Durata contratti≤ 30 giorni ciascuno (oltre 30 gg non è “breve”) – oltre i 30gg si esce dalla disciplina breve e l’attività rischia di essere considerata affittacamere se reiterata.Può fare contratti di qualsiasi durata (anche 1-2 giorni). Oltre 30gg spesso stipula contratti transitori o turistici comunque.
Servizi offertiSolo alloggio + eventuali servizi accessori minimi (pulizia finali, biancheria). No servizi alla persona (niente pasti, reception, tour, etc.).Possono offrire servizi aggiuntivi tipici (colazione, rifacimento camere, transfer) come parte del servizio ricettivo.
Regime fiscale redditiRedditi da locazione tassati come “redditi fondiari” (se proprietario) o “redditi diversi” (se sublocatore/comodatario). Opzione cedolare secca 21%-26% (dal 2024) oppure IRPEF ordinaria su 95% canoni (proprietario) o su canone meno spese (sublocatore).Redditi d’impresa: dichiarazione nel quadro RF/RG. Tassazione IRPEF/IRES ordinaria sugli utili (ricavi – costi). Cedolare secca NON ammessa. Possibile regime forfettario (5% o 15% su ricavi) se requisiti PMI. Assoggettati a IRAP se sussiste autonoma organizzazione.
IVAEsente IVA ex art. 10 DPR 633/72 (locazioni abitative esenti). Nessun obbligo di fatturazione né registri IVA. (Se sublocatore: tecnicamente fornisce servizio? AE equipara a locazione breve comunque esente).Se fornisce solo locazione di abitativi, può optare per esenzione IVA (ma di solito l’attività ricettiva comporta servizi assimilabili a attività alberghiera => IVA 10% sui corrispettivi). Deve emettere fattura o ricevuta fiscale per ogni operazione e tenere registri IVA. Può detrarre IVA sugli acquisti (beni/servizi) inerenti.
Imposta di SoggiornoGestore responsabile d’imposta: deve riscuotere e versare al Comune, presentare dichiarazione annuale. Sanzioni 30% omesso versamento, 100-200% omessa dichiarazione.Identico obbligo (imposta di soggiorno si applica a tutte le strutture ricettive, anche imprenditoriali). Il titolare (impresa) è responsabile d’imposta e adempie negli stessi modi del privato (dichiarazione annuale, etc.). In più, se soggetto professionalmente organizzato, può delegare adempimenti a un rappresentante, ma rimane responsabile.
Obblighi amministrativi localiDi solito richiesta CIR (Codice Identificativo Regionale) o comunicazione al Comune. Nessuna licenza, ma spesso va fatta segnalazione d’inizio attività (SCIA) non imprenditoriale presso SUAP comunale, per fini statistici e turistici (dipende da Regione). Dal 2025: obbligo Codice Identificativo Nazionale (CIN) e esposizione; obbligo dispositivi sicurezza (rilevatori e estintori) anche per un solo alloggio. Comunicazione ospiti alla Questura obbligatoria (AlloggiatiWeb) in 24h.SCIA amministrativa presso SUAP obbligatoria per aprire un’attività ricettiva imprenditoriale (classificata come affittacamere, casa vacanze, B&B, ecc., a seconda norme regionali). Necessità di conformità a requisiti edilizi (es. destinazione d’uso idonea, categoria catastale corretta – a volte D/2 per case vacanze impr.). Ottenimento di eventuale classificazione (stelle) dove previsto. Dal 2025 valgono comunque obbligo CIN (anche per imprenditoriali) e dispositivi di sicurezza (anche se per B&B già c’erano normative simili). AlloggiatiWeb pure obbligatorio. Possesso di Partita IVA, posizione INPS (se ditta individuale) e eventuale agibilità come struttura ricettiva.
Ritenuta d’acconto portaliSì, i portali (Airbnb & co.) trattengono 21% sui pagamenti ai privati e li versano allo Stato. Il locatore riceve importo netto e avrà CU dell’importo lordo/ritenuta.No, se fornisci P.IVA al portale come soggetto business, questo non applica ritenute. Il portale però comunica comunque i tuoi dati e ricavi all’Agenzia Entrate. Sarai tu a emettere fattura al cliente (il portale spesso fa solo intermediazione).
Regime contributivoNessuno contributo previdenziale dovuto sui redditi da locazione breve (sono redditi di capitale/fondiari, non lavoro).Se ditta individuale: iscrizione gestione commercianti INPS (per affittacamere, case vacanze imprend.) con pagamento contributi fissi+% sul reddito eccedente minimale. Se società, gestione separata per soci lavoratori, ecc. B&B a conduzione familiare spesso esonerati da INPS in alcune regioni se reddito secondario.
Responsabilità giuridicaAttività considerata esercizio del diritto di proprietà; eventuali controversie con ospiti trattate come controversie contrattuali civili (foro del consumatore). Nessuna tutela speciale se l’ospite arreca danni: consigliata assicurazione RC locatore. Nessun obbligo di sorveglianza continua.Attività d’impresa soggetta a normative consumeristiche: obbligo di rispettare Codice del Turismo, pratiche commerciali corrette, etc. Ospite = consumatore con possibili tutele extra (reclami a Autorità, ecc.). Maggiori doveri di sicurezza (DVR se dipendenti, formazione). Più esposizione fiscale (verifiche GdF mirate alle aziende).
Esempi tipiciProprietario affitta su Airbnb la seconda casa al mare per i weekend estivi; persona che affitta stanze della propria abitazione sporadicamente a turisti; erede che subaffitta casa ereditata per brevi periodi, senza altra organizzazione.Piccolo affittacamere con 5 camere in città d’arte, gestito come ditta; Casa vacanze imprenditoriale con più appartamenti e P.IVA (magari ex privato oltre soglia 4); B&B professionale che offre colazioni e servizi, registrato come impresa individuale. Anche società di property management che affitta per conto terzi (in quel caso reddito d’impresa per l’attività di intermediazione).

Tabella 2 – Termini di accertamento e prescrizione

Tipo di imposta/violazioneAnnualità 2020 (es.)Annualità 2021Annualità 2022Note
IRPEF (redditi locazioni) – Dichiarazione presentata (anche infedele)Accertabile entro 31/12/2026Entro 31/12/2027Entro 31/12/2028Termine = 5° anno successivo a quello dichiarativo. (Covid ha “sospeso” 2020 per 84gg, prorogando di fatto al 25/3/2027, ecc.).
IRPEF – Dichiarazione omessaEntro 31/12/2027Entro 31/12/2028Entro 31/12/2029Termine = 7° anno successivo a quello di scadenza presentazione.
IVA (se soggetto IVA) – Dich. presentata/omessa2020: 31/12/2026 (presentata) o 31/12/2027 (omessa)2021: 31/12/2027 o 31/12/20282022: 31/12/2028 o 31/12/2029Stesse regole imposte dirette post-2016. Se soggetto non presentava dichiarazione IVA ma doveva (caso di attività impresa occulta), 7 anni.
Imposta di Soggiorno (Comune) – dichiarazione non rilevante ai fini decadenzaEntro 31/12/2025 (per soggiorni 2020)Entro 31/12/2026 (2021)Entro 31/12/2027 (2022)Termine = 5° anno successivo all’anno del soggiorno. Non conta se dichiarazione presentata o no (di regola i Comuni applicano sempre 5 anni). Eccezione: alcuni sostengono 7 anni se omissione dichiarativa, ma norma locale spesso limita a 5.
Sanzioni amministrative (non tributarie, es. violazione regolamento)VariabileVariabileVariabileDipende da legge applicabile. Verbale va contestato entro 30gg, altrimenti diventa ingiunzione. Prescrizione credito sanzionatorio = 5 anni da violazione se non notificato.
Penale – reato omessa dichiarazione (art.5 D.Lgs 74/2000)Non punibile se imposta evasa < €50kRischio se evasi >€50k IRPEFRischio se evasi >€50k IRPEFPer redditi locazioni difficilmente si superano soglie penali su un anno, a meno di importi >€200k non dichiarati. Comunque prescrizione penale 6 anni estendibili a 7.5.

Legenda: “Dichiarazione presentata” significa che quell’anno hai comunque presentato il Modello Redditi/730, anche se magari privo dei redditi di affitto (incompleto). “Omessa” vuol dire non hai proprio presentato nulla entro i termini di legge.

Tabella 3 – Principali sanzioni e sconti

ViolazioneSanzione baseRiduzioni possibiliRiferimenti
Redditi fondiari non dichiarati (infedele dich.)90% – 180% dell’imposta evasa. Minimo elevato a 100% se imposta evasa > 3k e % omessa >10% dichiarato.Ravvedimento: riduce a 1/8 (entro 90gg) fino 1/5 (dopo PVC) del minimo 90%. Esempio: 90% → 18% con ravvedimento entro un anno.– Adesione/acquiescenza: sanzione ridotta a 1/3 del minimo (es. 90% → 30%).– Conciliazione giudiziale: 1/3 del minimo.Art. 1 c.2 D.Lgs 471/97; Art. 13 D.Lgs 472/97 (ravv.); Art. 7 D.Lgs 472/97 (equità); Art. 50 D.Lgs 546/92 (concil.).
Omessa dichiarazione (nessun Mod. Redditi)120% – 240% dell’imposta dovuta (min €250). Se dichiarazione presentata entro 90gg tardivamente, sanzione ridotta a 60% – 120%.Ravvedimento: se presenti spontaneamente dichiarazione omessa (entro 90gg con ravv., sanzione 1/10 del min=12%). Oltre 90gg non puoi ravvedere omessa dichiarazione a contenuto imponibile (interpretazione AE, ma alcuni applicano 1/6).– Adesione/acquiescenza: 1/3 del minimo (120% → 40%).Art. 1 c.1 D.Lgs 471/97; Circ. AE 42/2016 sul ravv. omessa dich.
Omesso/tardivo versamento imposte (IRPEF, cedolare)30% di ogni importo non versato nei termini (ridotto a metà se pagamento entro 90gg tardivo spontaneo).Ravvedimento: 0,1% per ogni giorno di ritardo <14gg; 1,5% se entro 30gg; 1,67% entro 90gg; 3,75% entro 1 anno; 4,29% entro 2 anni; 5% oltre 2 anni ma prima accert.– Adesione/acquiesc.: in genere non prevista riduzione sul 13 del 471, ma AE spesso riduce a 10% in adesione su tardivi per chiusura integrale.Art. 13 D.Lgs 471/97; Art. 13 D.Lgs 472/97 (ravv. microritardi).
Imposta di soggiorno – omesso versamento30% dell’imposta non versata.Ravvedimento: 1/10 del 30% = 3% entro 30gg; 1/8 = 3,75% entro 1 anno; 1/5 = 6% oltre 2 anni (prima accert.).– Comuni a volte applicano ridotto 15% se paghi entro 60gg dall’avviso (acquiescenza su tributi locali).Art. 13 D.Lgs 471/97 richiamato da art. 4 c.1-ter D.Lgs 23/2011 (introd. da L. 77/2020).
Imposta di soggiorno – omessa dichiarazione annuale100% – 200% dell’importo non dichiarato (minimo = importo stesso).Ravvedimento: (Annuale 2021 omessa) se fai dichiarazione entro 30gg con ravv, sanz. 1/10 = 10%; entro 90gg 1/9 ≈11%; entro 1 anno 1/8 =12,5%; oltre 1 anno 1/7 ≈14%.– Accertamento con adesione: molti comuni riducono a 1/3 = 33% per definizione bonaria, ma formalmente non disciplinato.Art. 4 c.1-ter D.Lgs 23/2011 richiama art. 11 c.1 D.Lgs 471/97 (dich. tributi locali).
Mancata comunicazione ospiti (AlloggiatiWeb)Arresto fino 3 mesi o ammenda fino €206 (art. 17 TULPS) oppure sanzione amm.va circa €100-500 a persona (variabile per Questura).– Spesso per prima violazione applicano sanzione amministrativa (ex art.109 TULPS, importo deciso Prefetto).– Ravvedimento non previsto (è illecito amm.vo/penale). Collaborare subito con Questura se dimenticato (inviare appena possibile anche se tardivo, spiegando motivo).Art. 109 TULPS e succ. mod. (DL 53/2019 ha aggravato per <24h=6 ore). Art. 17 TULPS cornice penale.
Altro: Omessa SCIA/comunicazione attivitàVariabile per legge region: es. Toscana mancata comunicazione locazione turistica sanz. €250-1500.– Spesso sanare tardivamente induce l’ente a ridurre al minimo.– Possibile definizione in misura ridotta 1/3 se paghi entro tot (per sanzioni amm.ve).Leggi e regolamenti regionali/comunali. Ad es. L.R. Toscana 86/2016 art.70 ter: sanz €500.

Nota: Le riduzioni come adesione/acquiescenza si applicano se si paga entro i termini indicati nell’avviso o atto di adesione (tipicamente 20 gg). Ravvedimento operoso non è applicabile dopo notifica di accertamento (salvo nei 90gg fra PVC e accertamento). Conciliazione giudiziale riduce sanzioni di 1/3 (art.48 D.Lgs 546/92). Inoltre, le Commissioni Tributarie possono disapplicare sanzioni se errore scusabile (art.6 co.5-bis 472/97) o ridurle per equità (entro i limiti legali).


Fonti

  • Agenzia delle Entrate – Guida “Locazioni brevi: la disciplina fiscale e le regole per gli intermediari” (agg. agosto 2024), contenente normativa DL 50/2017 e novità L. 213/2023.
  • Legge 21 giugno 2017 n.96, conversione DL 50/2017 art.4: definizione di locazioni brevi e regime fiscale (cedolare secca 21%, obblighi intermediari).
  • Legge 30 dicembre 2020 n.178 (Bilancio 2021), art.1 co.595: soglia dei 4 appartamenti per imprenditorialità locazioni brevi.
  • Legge 29 dicembre 2023 n.213 (Bilancio 2024), art.1 co.62-64: nuova aliquota cedolare 26% dal secondo immobile in poi.
  • Ministero del Turismo – Avviso G.U. 3/9/2024 e portale BDSR: entrata in funzione Codice Identificativo Nazionale (CIN) e obblighi correlati.
  • Ministero del Turismo – FAQ 27/11/2024 su sicurezza locazioni brevi: dispositivi obbligatori (rilevatori gas/CO, estintori) e applicazione a tutte le unità.
  • Corte di Giustizia UE, sentenza C-83/19 del 22/9/2022: legittimità normativa italiana su obblighi di piattaforme (caso Airbnb).
  • Consiglio di Stato, sentenza Sez. IV n.9188 del 24/10/2023: caso Airbnb – conferma obbligo ritenuta 21% e dati, annulla obbligo rappresentante fiscale per piattaforme non stabilite.
  • Guardia di Finanza – Sequestro preventivo Airbnb (ordinanza GIP Milano 2023): omessa dichiarazione come sostituto d’imposta 2017-2021, €779 milioni sequestrati.

Hai ricevuto un accertamento per locazioni brevi? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Se affitti uno o più immobili tramite portali come Airbnb, Booking o simili, potresti ricevere un accertamento fiscale da parte dell’Agenzia delle Entrate.
L’Amministrazione può ritenere che i tuoi guadagni da locazioni turistiche non siano stati dichiarati correttamente, oppure che tu stia svolgendo un’attività professionale non dichiarata. Ma puoi difenderti.


Perché l’Agenzia delle Entrate ti contesta la locazione breve?

Le contestazioni più frequenti riguardano:

  • 📄 Omissione totale o parziale dei redditi percepiti da affitti brevi
  • 🏢 Superamento dei 30 giorni per singolo contratto o delle 4 unità affittate, che fa presumere attività imprenditoriale
  • 🧾 Regime fiscale non corretto (cedolare secca invece che IRPEF ordinaria)
  • 📊 Disallineamento tra i dati dei portali online e le dichiarazioni fiscali
  • ⚠️ Mancata presentazione del modello 730 o Redditi

Quali sono le conseguenze di un accertamento?

L’Agenzia delle Entrate può:

  • 💰 Recuperare le imposte evase (IRPEF, addizionali, cedolare secca)
  • 📅 Applicare sanzioni fino al 240% delle somme non dichiarate
  • 🔍 Contestare l’esercizio abusivo di attività imprenditoriale
  • 🧾 Presumere l’esistenza di un’attività economica anche in mancanza di partita IVA
  • ⚖️ Attivare controlli bancari, accessi o verifiche documentali

Come difendersi da un accertamento su locazioni brevi?

La strategia difensiva deve essere mirata e tempestiva:

  1. 📂 Verifica la documentazione: contratti, ricevute, prenotazioni, pagamenti
  2. 📑 Dimostra la natura occasionale e privata della locazione
  3. 🧾 Correggi eventuali omissioni con ravvedimento operoso, se possibile
  4. ✍️ Presenta memoria difensiva o ricorso, se l’accertamento è viziato
  5. ⚖️ Se il Fisco ti contesta un’attività d’impresa, prova l’assenza di organizzazione e continuità

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Analizza l’avviso di accertamento e i documenti contestati
📑 Ricostruisce la tua posizione fiscale e la natura delle locazioni
✍️ Redige il ricorso contro l’Agenzia delle Entrate e ti rappresenta nel contenzioso
⚖️ Ti assiste nella gestione della fase precontenziosa (adesione, accertamento con adesione)
🔁 Ti supporta nella scelta del regime fiscale corretto e nella prevenzione di nuovi accertamenti


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Esperto in fiscalità immobiliare e accertamenti da locazioni brevi
✔️ Consulente per contenziosi per redditi non dichiarati da Airbnb, Booking, Vrbo
✔️ Iscritto come Gestore della crisi al Ministero della Giustizia


Conclusione

Un accertamento sulle locazioni brevi può colpire anche i piccoli proprietari. Ma se dimostri la reale natura dell’attività e documenti tutto con precisione, puoi tutelarti da sanzioni e danni fiscali.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi affrontare l’Agenzia delle Entrate con una difesa solida e professionale.

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Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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