Hai ricevuto un accertamento induttivo per stabile organizzazione occulta e ti stai chiedendo cosa significa, quali sono le conseguenze fiscali e come puoi difenderti? L’Agenzia delle Entrate ti accusa di avere in Italia una struttura nascosta che genera redditi imponibili, anche se la tua impresa ha sede all’estero?
Questo tipo di accertamento è tra i più insidiosi: si basa su presunzioni gravi e concordanti e può colpire imprese straniere che operano in Italia senza una sede formale. Il Fisco ritiene che, dietro l’apparenza estera, ci sia una vera e propria attività italiana non dichiarata. Ma la stabile organizzazione occulta non si presume automaticamente. Serve provarla punto per punto. E spesso le contestazioni si possono smontare.
Cos’è una stabile organizzazione occulta?
– È una sede fittizia all’estero con attività effettivamente svolta in Italia
– Può riguardare società con sede legale fuori dall’Italia ma funzioni essenziali svolte nel nostro Paese
– Il Fisco può individuare la stabile organizzazione anche senza locali, uffici o personale, se esiste un nucleo operativo stabile in Italia
– Viene definita “occulta” perché non è formalmente dichiarata, ma ritenuta esistente di fatto
Quando scatta l’accertamento induttivo?
– Quando l’Agenzia delle Entrate non ha accesso diretto a scritture contabili complete
– Quando emergono presunzioni forti, come pagamenti, attività commerciali, contratti, clienti o decisioni gestionali localizzate in Italia
– Quando si rileva che la sede estera è solo apparente, e il vero centro decisionale o operativo è italiano
– Quando vi sono rapporti sospetti tra la sede estera e soggetti italiani, come amministratori, dipendenti, consulenti o fornitori
Cosa ti può contestare il Fisco?
– Sottrazione di redditi all’imposizione italiana
– Omessa dichiarazione dei redditi e IVA non versata
– Utilizzo distorto delle norme internazionali per finalità elusive
– Applicazione retroattiva delle imposte per più annualità, con sanzioni pesanti
Come puoi difenderti da un accertamento per stabile organizzazione occulta?
– Dimostrando che l’attività svolta in Italia è solo ausiliaria o preparatoria
– Provando che la sede estera ha una struttura autonoma, con funzioni, mezzi, personale e rischio economico propri
– Contestando le presunzioni con documenti, testimonianze, bilanci, email, contratti, prove di operatività estera
– Facendo valere le Convenzioni contro le doppie imposizioni e i principi dell’OCSE in tema di “permanent establishment”
Cosa NON devi fare mai?
– Ignorare l’accertamento: dopo 60 giorni diventa definitivo
– Tentare di giustificare le attività italiane con argomentazioni vaghe: serve una ricostruzione precisa, tecnica e documentata
– Accettare accordi senza una strategia: puoi riconoscere involontariamente la stabile organizzazione
– Pensare che basti la sede legale estera per evitare la tassazione in Italia: quello che conta è la sostanza, non la forma
L’accertamento per stabile organizzazione occulta può essere ribaltato. Ma serve una difesa tecnica, documentale e internazionale.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario internazionale e contenzioso fiscale – ti spiega cosa significa stabile organizzazione occulta, quando può essere contestata, come funziona l’accertamento induttivo e come difenderti con efficacia.
Hai ricevuto un accertamento e ti contestano una stabile organizzazione non dichiarata?
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Introduzione
L’accertamento induttivo legato a una stabile organizzazione occulta è un tema di grande rilevanza nel diritto tributario italiano e internazionale, specialmente per imprese e professionisti che operano su scala transnazionale. Quando il Fisco italiano sospetta che un soggetto non residente stia di fatto svolgendo attività d’impresa in Italia senza aver dichiarato una “stabile organizzazione”, può ricorrere a metodi di ricostruzione del reddito basati su indizi e presunzioni (metodo induttivo). Questo comporta conseguenze fiscali significative – dall’attribuzione di utili imponibili in Italia all’applicazione di sanzioni amministrative e perfino profili penali in caso di omessa dichiarazione. In questa guida avanzata, destinata a avvocati, imprenditori e contribuenti esperti, esamineremo in dettaglio:
- La definizione di stabile organizzazione (occulta e non) secondo la normativa italiana ed internazionale.
- Le caratteristiche dell’accertamento induttivo e quando può essere utilizzato dal Fisco.
- Come si intersecano l’accertamento induttivo e la contestazione di una stabile organizzazione occulta (casi tipici, iter procedurale, metodologie di calcolo del reddito).
- Le conseguenze fiscali e sanzionatorie derivanti dall’individuazione di una stabile organizzazione occulta (imposte dovute, sanzioni amministrative fino al 120%-240% dell’imposta evasa, e possibili sanzioni penali ai sensi del D.Lgs. 74/2000).
- Le strategie difensive per contestare sia l’esistenza della stabile organizzazione occulta sia il merito dell’accertamento (ad esempio contestazione delle presunzioni o della quantificazione del reddito).
- Una sezione Domande e Risposte (FAQ) con i quesiti più frequenti sul tema.
- Tabelle riepilogative che schematizzano i punti chiave (tipologie di accertamento, differenze tra stabile organizzazione occulta e altri fenomeni affini, principali normative e sentenze di riferimento, ecc.).
- Esempi pratici di contestazioni e simulazioni di casi reali in ambito italiano, per comprendere meglio come si applicano le regole al “caso concreto” dal punto di vista del contribuente (debitore).
L’obiettivo è fornire un quadro completo aggiornato a giugno 2025, con riferimenti puntuali a norme e giurisprudenza recente, in un linguaggio tecnicamente accurato ma dal taglio divulgativo. Importante: le fonti utilizzate sono elencate in fondo alla guida, nella sezione di riferimenti, per consentire ulteriori approfondimenti e verifiche.
Cos’è una Stabile Organizzazione Occulta
Per affrontare il tema, occorre prima chiarire cosa si intende per stabile organizzazione e, in particolare, per stabile organizzazione occulta. La nozione di stabile organizzazione (in inglese permanent establishment) trova origine nelle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni e viene recepita nell’ordinamento tributario italiano all’art. 162 del TUIR (D.P.R. 917/1986). Ai sensi di tale articolo, una stabile organizzazione è “una sede fissa di affari per mezzo della quale un’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività” in Italia. Sono esempi tipici di stabile organizzazione materiale luoghi come una sede di direzione, succursali, uffici, officine, laboratori, cantieri, ecc., purché vi sia continuità e stabilità di attività.
Accanto a forme “materiali” di presenza, la legge contempla anche ipotesi di stabile organizzazione “personale”: ad esempio quando un soggetto – diverso dall’impresa estera stessa – opera in Italia concludendo contratti o negoziando affari in nome dell’impresa estera (il cosiddetto agente dipendente). In tal caso, se l’agente non è indipendente e opera abitualmente per la casa madre estera, può configurarsi una stabile organizzazione personale in Italia. Di contro, l’attività svolta da un intermediario indipendente (come un mediatore o commissionario che agisce nell’ambito della propria attività ordinaria) non costituisce di per sé una stabile organizzazione del soggetto estero. La distinzione tra agente dipendente e indipendente è dunque cruciale: la Cassazione ha ribadito che non sussiste stabile organizzazione se l’impresa non residente opera in Italia solo tramite un mediatore o commissionario indipendente, che agisce nel corso della sua attività ordinaria.
Definizione di “Occulta”
Si parla di stabile organizzazione occulta quando la presenza economica dello straniero sul territorio è di fatto paragonabile a una stabile organizzazione, ma non è dichiarata formalmente al Fisco. In altre parole, l’impresa estera nasconde l’esistenza di una propria base fissa in Italia, evitando di registrarsi come soggetto passivo residente o di presentare dichiarazioni fiscali italiane. L’ordinamento italiano prevede espressamente questa possibilità: “Ai sensi dell’articolo 162 TUIR, è possibile individuare la presenza di una stabile organizzazione occulta sul territorio dello Stato italiano.”.
Le situazioni tipiche riconducibili a fenomeni evasivi/elusivi di stabile organizzazione occulta sono due:
- Caso 1: Soggetto non residente con base occulta in Italia (Inbound) – Un’impresa estera opera stabilmente in Italia attraverso una sede fissa d’affari non dichiarata, per mezzo della quale svolge attività d’impresa evasendo le imposte dovute nel nostro Paese (IRES, IRAP, IVA). Ad esempio, una società straniera che gestisce in Italia uffici, personale e affari come se avesse una filiale, ma senza aver mai aperto una partita IVA italiana né presentato dichiarazioni dei redditi qui, realizzando così profitti “nascosti” al fisco italiano.
- Caso 2: Soggetto residente con base occulta all’estero (Outbound) – Un’impresa italiana occulta l’esistenza di una propria stabile organizzazione all’estero, al fine di evitare che i redditi prodotti oltreconfine siano tassati in Italia secondo il principio del world wide income (che prevede la tassazione su base mondiale dei residenti). In questo scenario, la società italiana svolge attività in un altro paese attraverso una sede fissa non dichiarata al fisco italiano, così da non dichiararne i relativi utili nel proprio imponibile in Italia.
In entrambi i casi, l’elemento comune è la “non visibilità” fiscale della stabile organizzazione: essa non risulta dalle registrazioni ufficiali (niente codice fiscale italiano o partita IVA, nessuna dichiarazione presentata) e quindi il Fisco ne è ignaro fino a quando non la scopre tramite attività di controllo. Proprio per questo, la stabile organizzazione occulta viene spesso associata alla figura dell’evasore totale in ambito internazionale, in quanto l’entità economica che opera in Italia non adempie ad alcun obbligo tributario, come se fosse invisibile.
Da notare che prima del 2011 la giurisprudenza aveva qualche incertezza sul soggetto passivo dell’obbligazione tributaria in questi casi: nella celebre vicenda Philip Morris (Cass. n. 7682/2002) si era ritenuto che il soggetto obbligato a presentare la dichiarazione dei redditi fosse comunque la società estera (casa madre) e non la società italiana riqualificata come stabile organizzazione. Tuttavia, questo orientamento è stato poi superato: la Corte di Cassazione con sentenza n. 16106/2011 ha affermato che la stabile organizzazione occulta costituisce un autonomo centro di imputazione fiscale di diritto interno. Ciò significa che il Fisco può emettere l’avviso di accertamento direttamente nei confronti della società (o entità) presente in Italia dove si “annida” la stabile organizzazione occulta. Ad esempio, se una società estera opera in Italia tramite una società italiana formalmente distinta ma usata come base occulta, l’avviso potrà essere intestato a quest’ultima, riqualificandola come stabile organizzazione della straniera.
Evoluzione normativa: la “significativa presenza economica” (digitale)
Nel 2018 il legislatore italiano ha aggiornato la definizione domestica di stabile organizzazione per catturare anche forme di presenza digitale o comunque prive di apparati fisici tradizionali. Con la Legge 205/2017 (Bilancio 2018), è stata introdotta nell’art. 162 TUIR la lettera f-bis, che include tra le ipotesi di stabile organizzazione “una significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato, costruita in modo tale da non far risultare una sua consistenza fisica nel territorio stesso”. Questo ampliamento mira chiaramente alle attività dell’economia digitale (ad esempio grandi imprese del web) che realizzano volumi d’affari rilevanti in Italia senza una presenza fisica tangibile (niente uffici o personale formalmente presenti), sfruttando la tecnologia. In tali casi, se la presenza economica è stabile e significativa, l’amministrazione finanziaria può comunque contestare l’esistenza di una stabile organizzazione in Italia, pur in assenza di locali o strutture fisiche. Va notato, tuttavia, che questa previsione interna deve conciliarsi con le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni: queste ultime infatti, essendo fonti di rango primario, prevalgono sulla norma interna difforme. Ciò significa che se l’applicazione dell’art. 162 TUIR (come modificato dal 2018) portasse a qualificare come stabile organizzazione una situazione che invece la Convenzione col paese estero non considererebbe tale, prevale la Convenzione (in virtù anche del principio stabilito dall’art. 75 del DPR 600/1973). Di conseguenza, la “presenza economica digitale” è certamente un concetto innovativo nel diritto interno, ma la sua effettiva efficacia dipenderà dall’adeguamento o dall’interpretazione delle convenzioni internazionali vigenti caso per caso. È comunque un segnale della volontà del legislatore di contrastare fenomeni di stabile organizzazione occulta nell’economia digitale.
Rilevanza ai fini IVA e imposte sul reddito
La stabile organizzazione ha implicazioni sia per le imposte dirette (redditi d’impresa, IRES/IRPEF e IRAP) sia per l’IVA. Dal lato delle imposte sui redditi, l’art. 23, comma 1, lett. e) del TUIR stabilisce che i redditi d’impresa di soggetti non residenti sono tassati in Italia se derivano da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante una stabile organizzazione. In pratica, se un’impresa estera ha una stabile organizzazione (anche occulta) in Italia, gli utili ad essa attribuibili diventano imponibili in Italia.
Dal lato IVA, una stabile organizzazione in Italia fa sì che il soggetto estero diventi un soggetto passivo stabilito nel territorio, tenuto a tutti gli adempimenti IVA (apertura della partita IVA, fatturazione, liquidazioni periodiche, dichiarazioni annuali). Ad esempio, nel caso di vendite di beni: se la stabile organizzazione occulta di una società UE viene scoperta, le cessioni di beni effettuate in Italia tramite essa non saranno più considerate intracomunitarie (esenti IVA) ma cessioni interne da assoggettare a IVA italiana. Lo stesso vale per le prestazioni di servizi: la presenza di una struttura stabile in Italia inciderebbe sul luogo di tassazione dei servizi ai sensi delle norme IVA UE (si pensi alla definizione di stabile organizzazione ai fini IVA nel Regolamento UE 282/2011).
Riassumendo, l’individuazione di una stabile organizzazione occulta comporta che quella porzione di attività economica “emersa” venga trattata come un’entità fiscale italiana a tutti gli effetti, sia per le imposte dirette (reddito d’impresa tassato in Italia, con obbligo di tenuta delle scritture contabili ex art. 14, c.5, DPR 600/1973) sia per l’IVA (obbligo di identificazione e versamento dell’imposta in Italia).
Tabella 1: Stabile Organizzazione Occulta – Caratteristiche Principali
Aspetto | Descrizione |
---|---|
Definizione (art. 162 TUIR) | Sede fissa d’affari tramite cui un’impresa non residente svolge attività in Italia. Include anche agenti dipendenti che concludono contratti per l’impresa. |
Occulta | Non dichiarata al Fisco. Operatività di fatto in Italia senza posizione fiscale aperta. L’impresa estera evita di palesare la presenza per sottrarsi a imposizione. |
Tipologie | Materiale (es. ufficio, stabilimento non dichiarato); Personale (agente/società locale che opera per l’estero oltre attività ausiliarie); Digitale (presenza economica significativa senza base fisica). |
Norme rilevanti | Art. 162 TUIR (definizione + lett. f-bis per presenza digitale); Convenzioni internazionali (art. 5 Modello OCSE); Art. 23 TUIR (tassazione redditi non residenti con S.O.); Art. 14 DPR 600/1973 (contabilità S.O.); Norme IVA (art. 17 e 35-ter DPR 633/72 su identificazione non residenti). |
Implicazioni fiscali | IRES/IRAP dovute in Italia sugli utili attribuibili alla S.O.; IVA dovuta sulle operazioni locali (cessioni considerate interne). Obbligo dichiarazioni fiscali e contabilità come un soggetto italiano. |
Evasione/Evasione | Configurabile come evasione totale (nessuna dichiarazione). Sanzioni per omessa dichiarazione (120-240% imposta evasa) e possibili profili penali (art. 5 D.Lgs. 74/2000) se superate soglie di punibilità. |
L’Accertamento Induttivo: Presupposti e Caratteristiche
Accertamento induttivo è il termine con cui si indica una modalità di determinazione del reddito (o del volume d’affari) da parte dell’Amministrazione finanziaria basata su criteri indiretti, ossia su presunzioni, indizi, dati extracontabili, in luogo delle risultanze della contabilità ufficiale del contribuente. Si tratta di uno strumento particolarmente invasivo, poiché il Fisco ricostruisce artificialmente i ricavi e i redditi, anche in assenza di dati certi o dichiarazioni, e spesso applicando parametri o medie riscontrate in situazioni simili. Proprio per questo la legge lo riserva a situazioni ben definite: non può essere usato liberamente, ma solo quando ricorrono specifici presupposti di inaffidabilità o mancanza delle scritture contabili del contribuente.
In ambito di imposte dirette, la disciplina cardine è contenuta nell’art. 39, comma 2 del DPR 600/1973. Per l’IVA, l’analoga previsione è l’art. 55 del DPR 633/1972. Inoltre, l’art. 41 del DPR 600/1973 regola il cosiddetto accertamento d’ufficio, applicabile nei casi di omessa dichiarazione, che è una forma estrema di accertamento induttivo dove il Fisco gode di poteri ampliati di presunzione.
Quando scatta l’accertamento induttivo?
Le condizioni tipiche che abilitano l’Ufficio ad abbandonare l’accertamento “analitico” basato sui dati dichiarati, e a procedere invece in via induttiva, includono:
- Omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e/o IVA per l’anno d’imposta (assenza totale di dichiarazione).
- Contabilità inattendibile o gravemente irregolare: ad esempio, tenuta inesistente, incompleta o distrutta, oppure irregolarità formali e sostanziali così gravi e ripetute da rendere i libri contabili nel complesso inaffidabili.
- Omissioni sistematiche di documentazione fiscale: mancata emissione di fatture o scontrini, sotto-fatturazione, doppie contabilità, ecc., che inducano a ritenere che parte dei ricavi sia nascosta.
- Scostamenti e incongruenze rilevanti tra i dati dichiarati e quelli risultanti da controlli incrociati o da banche dati (ad esempio: movimenti bancari non giustificati rispetto ai ricavi dichiarati, magazzino incoerente con le vendite, indicatori ISA molto al di sotto della media, etc.).
- Indizi di ricavi non dichiarati: presenza di elementi esterni – come segnalazioni, verbali ispettivi, liste clienti/fornitori – che suggeriscono maggiori ricavi rispetto a quelli contabilizzati, purché tali indizi abbiano requisiti di gravità, precisione e concordanza (presunzioni qualificate) oppure, in talune ipotesi, anche privi di tali requisiti se ci si trova nell’accertamento d’ufficio per omessa dichiarazione (vedremo a breve).
In presenza di tali situazioni, l’amministrazione finanziaria può ignorare in tutto o in parte i dati risultanti dalle scritture del contribuente e procedere a stimare il reddito attraverso elementi indiretti. In pratica, il Fisco “deduce” il reddito servendosi di tutti gli elementi a disposizione: potrebbe utilizzare studi di settore o indici ISA applicati al settore del contribuente, il redditometro (per le persone fisiche), i movimenti bancari non giustificati, le percentuali di ricarico medio di quel settore, liste clienti/fornitori segrete, consumi di materie prime, e così via. Nel fare ciò, quando siamo nell’alveo dell’art. 39 (accertamento induttivo ordinario) le presunzioni utilizzate devono essere gravemente, precise e concordanti (art. 2729 c.c.), mentre nell’accertamento d’ufficio ex art. 41 (tipicamente per omessa dichiarazione) la giurisprudenza ammette che il Fisco possa basarsi anche su presunzioni cosiddette “supersemplici”, ossia prive dei requisiti di cui sopra. Questo perché, in caso di dichiarazione mancante, si ritiene che l’Ufficio abbia un ampio margine di ricostruzione pur di evitare che l’evasione resti impunita.
Differenza tra accertamento analitico, analitico-induttivo e induttivo puro: È utile distinguere questi concetti:
- Nell’accertamento analitico (art. 39 comma 1 DPR 600/73) l’Ufficio rettifica singole poste della dichiarazione basandosi su dati certi o presunzioni semplici su specifici componenti (es. ripreso a tassazione un costo ritenuto indeducibile).
- Nell’accertamento analitico-induttivo (art. 39 comma 1 lett. d) DPR 600/73) l’Ufficio può utilizzare presunzioni anche semplici per rettificare il reddito, ma restando ancorato alle risultanze contabili attendibili. In pratica si fa un ragionamento analitico sulle poste note, integrandolo con presunzioni per colmare lacune o incongruenze limitate. Ad esempio, se alcune scritture sono regolari ma si trovano documenti extra-contabili di ricavi non registrati, si ricostruisce il reddito aggiungendoli, ritenendo comunque valida la contabilità per il resto.
- Nell’accertamento induttivo puro (art. 39 comma 2 DPR 600/73 e art. 41 per omessa dichiarazione), l’intera contabilità è ignorata perché totalmente assente o inficiata. Il reddito d’impresa viene ricostruito da zero sulla base di dati esterni e con complete presunzioni. In tal caso spesso si parla di ricostruzione “extracontabile”. Ad esempio, trovata un’agenda segreta delle vendite o riscontrata l’assenza di inventari di magazzino, l’Ufficio può stimare i ricavi complessivi dell’anno partendo dai consumi di materie prime o dai versamenti bancari, ecc., applicando margini standard e altre inferenze. In questa modalità, poiché la contabilità ufficiale è gettata interamente in dubbio, l’onere di provare la correttezza di eventuali dati spetta in larga parte al contribuente.
Conseguenze dell’accertamento induttivo: Quando scatta, l’accertamento induttivo può avere effetti pesanti per il contribuente: non solo si vedrà richiedere maggiori imposte (con interessi e sanzioni), ma spesso l’ufficio ricalcola il reddito per più anni, se ritiene che le irregolarità si protraggano su più esercizi. Inoltre, come anticipato, il ricorso all’induttivo comporta un parziale spostamento dell’onere della prova: di fronte ad un reddito presunto determinato dal Fisco, è il contribuente che in giudizio dovrà dimostrare che tale ricostruzione è errata o esagerata (ad esempio esibendo documentazione che il Fisco riteneva mancante, o provando che alcuni movimenti bancari contestati non erano ricavi occulti, ecc.). Questo rende la difesa più ardua, perché non ci si può limitare a criticare passivamente: occorre fornire alternative credibili alle presunzioni dell’Ufficio.
Nota: Il contribuente ha comunque strumenti di tutela. Può, ad esempio, contestare la legittimità dell’accertamento induttivo se mancano i presupposti di legge (ad esempio, se l’ufficio lo ha applicato pur in presenza di una contabilità sostanzialmente regolare – il che sarebbe ultra vires). Oppure può attaccare le presunzioni utilizzate, dimostrandone l’infondatezza o l’incoerenza coi dati reali. Vedremo nella sezione difensiva come tali strategie si applicano al caso della stabile organizzazione occulta.
Accertamento induttivo d’ufficio per omessa dichiarazione
Un caso particolare di accertamento induttivo è l’accertamento d’ufficio ex art. 41 DPR 600/73, tipicamente avviato quando il contribuente non ha presentato la dichiarazione. In questa situazione estrema, la legge consente al Fisco di prescindere totalmente non solo dalle scritture, ma addirittura di utilizzare qualsiasi elemento a disposizione, anche presunzioni semplici privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. La logica è che l’omessa dichiarazione costituisce una violazione così grave (annulla la base di partenza) che l’Ufficio può “tirar fuori” il reddito dovuto con ogni mezzo ragionevole. Naturalmente, anche in questo caso resta fermo il limite del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.): come vedremo fra poco, la giurisprudenza ha imposto che pure negli accertamenti d’ufficio più spinti si tengano conto dei costi affinché non venga tassato un reddito fittizio lordo superiore a quello effettivo.
Tabella 2: Tipologie di Accertamento e Presupposti
Tipo di accertamento | Presupposti | Base di calcolo | Norma |
---|---|---|---|
Analitico (art. 39 c.1 DPR 600) | Dichiarazione presente; contabilità regolare (salvo rettifiche puntuali). | Si basa sui dati dichiarati, rettificando singole voci con prove certe o presunzioni semplici (limitate). | Art. 39 co.1 DPR 600/73 |
Analitico-induttivo | Contabilità formalmente regolare ma con indizi di inattendibilità parziale (es. documenti extra-contabili, incongruenze non devastanti). | Usa dati contabili attendibili + stime induttive per le parti inattendibili. Presunzioni semplici ammissibili. | Art. 39 co.1 lett. d) DPR 600/73 |
Induttivo puro (art. 39 c.2) | Contabilità gravemente inattendibile o inesistente. Omissioni gravi (es. libri mancanti, irregolarità estese). | Prescinde in tutto o parte dai libri. Reddito ricostruito da zero con presunzioni (devono avere gravità, precisione, concordanza di regola). | Art. 39 co.2 DPR 600/73 (imposte reddito); Art. 55 DPR 633/72 (IVA) |
D’ufficio (omessa dich.) | Omessa dichiarazione dei redditi (o IVA). | Ricostruzione integrale con presunzioni anche semplicissime (“supersemplici”). L’ufficio può utilizzare qualsiasi indizio, anche isolato, invertendo l’onere della prova. | Art. 41 DPR 600/73 (redditi); Art. 55 DPR 633/72 (IVA, caso di mancata dich. IVA) |
Nota: In ogni caso di accertamento induttivo (incluso d’ufficio) il Fisco deve comunque rispettare il principio per cui il reddito da tassare è quello netto, non potendo quindi ignorare in modo assoluto l’esistenza di costi deducibili correlati ai ricavi accertati, come meglio spiegato oltre.
Accertamento Induttivo e Stabile Organizzazione Occulta
Dopo aver delineato i due concetti separatamente (stabile organizzazione occulta e accertamento induttivo), analizziamo come essi si combinano nella prassi: come avviene un accertamento fiscale quando il Fisco scopre una stabile organizzazione occulta? Quali sono gli step, le metodologie e le criticità dal punto di vista del contribuente coinvolto?
Scoperta della S.O. occulta e attività preparatoria
La contestazione di una stabile organizzazione occulta di solito origina da attività di verifica fiscale sul territorio. Spesso interviene la Guardia di Finanza, che attraverso controlli (ispezioni, pedinamenti, esami documentali, segnalazioni) individua indizi di una presenza economica stabile non dichiarata. Già in una circolare del Comando Generale GdF del 2008 si sottolineava come le forme di evasione più insidiose relative alle stabili organizzazioni siano proprio quelle in cui un’impresa estera opera in Italia tramite una stabile organizzazione non formalmente costituita (occulta), oppure un’impresa italiana dispone all’estero di stabili organizzazioni non dichiarate. I verificatori sono quindi addestrati a raccogliere tutti gli elementi probatori che comprovino il centro di imputazione fiscale dell’attività in Italia, in base ai criteri dell’art. 162 TUIR e dell’art. 5 del Modello OCSE.
Tra gli indizi tipici che possono portare a ipotizzare l’esistenza di una S.O. occulta, possiamo citare:
- Presenza di personale o strutture in Italia riconducibili all’impresa estera: ad esempio uffici operativi, magazzini, sale mostra, personale assunto localmente o distaccato che svolge mansioni chiave. Se tali elementi non sono stati dichiarati come filiali o sedi secondarie, possono indicare una base occulta.
- Contratti conclusi o negoziati in Italia: se la società estera risulta stipulare contratti con clienti italiani mediante rappresentanti o agenti in Italia, specie se questi agenti dipendono gerarchicamente dalla società estera o operano esclusivamente per essa, ciò è un segnale forte.
- Società italiane correlate: spesso la S.O. occulta si annida in una società residente formalmente distinta ma sostanzialmente controllata dall’estero (ad es. la società italiana agisce come “service provider” esclusivo della casa madre estera). Se il corrispettivo per tali servizi risulta sottostimato (non a valore di mercato) e l’attività reale va oltre il mero supporto, l’ipotesi è che la società italiana sia di fatto una stabile organizzazione occulta (come nel caso esaminato dalla Cassazione n. 2581/2021, v. oltre).
- Volumi d’affari in Italia: l’analisi delle operazioni commerciali – ad esempio tramite interscambio doganale, pagamenti internazionali, flussi di fatture – può far emergere che un soggetto estero realizza un giro d’affari significativo con controparti italiane. Se ciò avviene senza stabile organizzazione dichiarata, l’ufficio potrebbe approfondire per capire come gestisce tali vendite: se emergono figure di riferimento stabili sul territorio (promotori, venditori, assistenza post-vendita, ecc.), cresce il sospetto di S.O. occulta.
- Ausiliarietà vs attività principale: un elemento chiave è distinguere se la presenza in Italia ha natura preparatoria o ausiliaria (nel qual caso, anche se vi fosse una sede fissa, non costituirebbe stabile organizzazione ai sensi di legge) oppure se si tratta di core business. Ad esempio, un ufficio italiano che si limita a pubblicità o raccolta informazioni di mercato per la casa madre può rientrare nelle esimenti convenzionali (attività ausiliarie); viceversa, se quell’ufficio prende decisioni commerciali sostanziali (es. negozia prezzi, conclude ordini, coordina produzione/vendite), allora non è più ausiliario. I verificatori cercheranno quindi di capire la natura effettiva delle attività svolte in Italia.
Una volta raccolti indizi e prove (documenti, email aziendali, testimonianze, ecc.), la Guardia di Finanza o l’Agenzia delle Entrate stende un Processo Verbale di Constatazione (PVC) in cui contesta formalmente la presenza della stabile organizzazione occulta, descrivendo i fatti e le ragioni giuridiche. Ad esempio, nel caso della Cassazione 7202/2024 (affare relativo a una multinazionale USA con branch in Italia), la verifica fiscale aveva rilevato che la sede secondaria italiana – formalmente incaricata solo di promozione e assistenza clienti – in realtà concordava con i distributori italiani elementi essenziali dei contratti (sconti, obiettivi di vendita), esercitando un potere negoziale ben oltre il ruolo ausiliario. Da ciò l’Amministrazione finanziaria concluse che la branch non era un semplice ufficio di supporto, ma agiva come stabile organizzazione in Italia della casa madre estera, con conseguente imputazione in Italia dei ricavi sulle vendite effettuate nel nostro territorio.
Emissione dell’Avviso di Accertamento
Terminata la fase istruttoria, l’Agenzia delle Entrate (spesso tramite il Centro Operativo per i controlli sui non residenti) emette un Avviso di Accertamento indirizzato al soggetto ritenuto responsabile in Italia. Come detto, può trattarsi della società estera stessa (se identificabile e destinataria di un proprio codice fiscale italiano, talvolta attribuito d’ufficio) oppure di una società/persona italiana ritenuta essere la “base” occulta. L’avviso normalmente conterrà due profili:
- Contestazione della stabile organizzazione occulta – Ovvero la motivazione giuridica per cui si ritiene che l’attività in Italia configuri una S.O. ai sensi dell’art. 162 TUIR e della Convenzione applicabile. Si farà leva sugli elementi di fatto raccolti (es. contratti conclusi da agenti locali, stabile sede d’affari, mancanza di autonomia giuridica dell’agente, esclusività del rapporto, etc.), richiamando i concetti chiave della normativa. Spesso l’Ufficio citerà anche precedenti giurisprudenziali a sostegno. Ad esempio, nel caso 7202/2024 la Cassazione ha riconosciuto come corretta – in linea generale – l’impostazione secondo cui l’accertamento dell’esistenza di una S.O. deve avvenire sul piano sostanziale, verificando stabilità di presenza e autonomia funzionale dell’attività locale rispetto alla casa madre. In quella vicenda concreta però i giudici di merito avevano escluso la S.O. perché l’ufficio non aveva fornito prova sufficiente di una sede fissa di affari in Italia né del superamento del ruolo ausiliario (i prezzi e le decisioni promozionali restavano accentrati all’estero). Il ricorso dell’Agenzia fu rigettato in Cassazione, confermando che in mancanza di tali prove una branch locale non può essere riqualificata come stabile organizzazione. Questo sottolinea che l’onere iniziale della prova circa l’esistenza della S.O. spetta al Fisco: servono elementi concreti, non supposizioni.
- Determinazione induttiva del reddito imputabile – Una volta affermato che c’era una stabile organizzazione non dichiarata, l’atto di accertamento quantifica i redditi (e il volume d’affari IVA) che si presumono sottratti a tassazione. Qui entra in gioco l’accertamento induttivo vero e proprio: poiché la S.O. occulta non ha presentato dichiarazioni né tenuto contabilità separata, l’Agenzia ricostruisce il reddito con metodi indiretti. Ad esempio, può partire dai ricavi delle vendite realizzate in Italia che erano state fatturate dalla casa madre estera direttamente ai clienti italiani. Tali ricavi, in base alla riqualificazione, andrebbero attribuiti alla stabile organizzazione e quindi tassati in Italia. Spesso l’ufficio dispone di questi dati dai controlli incrociati (elenchi di clienti, fatture estere verso italiani, dati IVA di rappresentanti fiscali, ecc.). A quei ricavi l’ufficio applicherà un certo utile netto (o li considererà addirittura interamente come reddito imponibile, ipotesi che come vedremo è contestabile) per calcolare l’IRES e l’IRAP evase. Allo stesso modo, per l’IVA verranno considerate imponibili le operazioni come vendite interne anziché non imponibili. Quando non vi sono dati precisi su ricavi, il Fisco potrà usare altre basi: ad esempio, spese identificate (come costi della struttura italiana) e poi applicare ricarichi standard per stimare i ricavi; oppure utilizzare le risultanze di bilanci esteri attribuendo una quota all’Italia in proporzione all’attività locale.
È fondamentale evidenziare che, anche in questa fase, l’ufficio deve attenersi ai principi di corretta determinazione del reddito. Un errore comune – che è stato oggetto di censura da parte dei giudici – è quando il Fisco presume che tutto il fatturato realizzato in Italia dalla casa madre equivalga a reddito imponibile della S.O., senza dedurre alcun costo. Questo approccio “fatturato = utile” è stato giudicato illegittimo. La Corte Costituzionale (sent. n. 225/2005) e successivamente la Cassazione hanno chiarito che, anche in caso di accertamento induttivo puro per omessa dichiarazione, l’amministrazione deve determinare (anche solo in via presuntiva) i costi correlati ai maggiori ricavi accertati, pena la violazione del principio di capacità contributiva. Non si può tassare un profitto lordo teorico senza considerare che per realizzarlo vi sono stati dei costi d’impresa. Questo principio è stato applicato proprio in materia di stabile organizzazione occulta dalla Cassazione n. 2581/2021: in quel caso una società egiziana, ritenuta avere una S.O. occulta in Italia nel settore immobiliare, si era vista ricostruire il reddito imponibile considerando praticamente l’intero ammontare delle vendite di immobili come base tassabile, senza alcuna deduzione delle spese sostenute. La Cassazione ha cassato in parte l’accertamento, affermando il principio di diritto che in sede di determinazione del reddito di una stabile organizzazione occulta, in assenza di dichiarazione, è legittimo utilizzare presunzioni prive dei requisiti (accertamento d’ufficio ex art. 41 DPR 600/73), ma devono essere riconosciuti i costi inerenti riscontrati o, se mancanti, ricostruiti in via presuntiva/percentuale. In altri termini: l’ufficio deve stimare un ragionevole ammontare di costi deducibili, ad esempio applicando una percentuale di margine di profitto, invece di pretendere imposte sul 100% dei ricavi. Anche le fonti di prassi dell’Agenzia supportano questo: la Circolare 32/E/2006 dell’Agenzia delle Entrate raccomanda, in caso di accertamenti d’ufficio, di non trascurare una quota di costi presunti a fronte dei ricavi accertati, determinandoli in via percentuale. Nel caso di Cass. 2581/2021 sopra citato, la Corte ha rinviato la causa proprio perché i giudici di merito non avevano applicato tali principi, accettando acriticamente l’accertamento che equiparava fatturato a reddito.
Dunque, un avviso di accertamento per S.O. occulta ben impostato dovrebbe:
- Attribuire alla stabile organizzazione i ricavi realizzati in Italia (o la quota di essi imputabile all’attività locale).
- Sottrarre o comunque tenere conto dei costi di competenza di tali ricavi, in mancanza rilevati in via induttiva. Ciò può includere: costi operativi sostenuti in Italia (se noti, es. spese personale, affitti, logistica), costo del venduto (se si tratta di beni ceduti, almeno il costo di produzione/acquisto di quei beni, magari basato su listini o su dati di bilancio estero) e spese generali imputabili. Spesso si applica un utile percentuale: ad esempio, si potrebbe presumere che la S.O. operasse con un margine del, poniamo, 5-10% sui ricavi lordi, quindi tassare solo quella parte come utile.
- Calcolare l’IRES evasa su tale base imponibile netta, l’IRAP (se applicabile, calcolata sul valore della produzione netta locale) e l’IVA evasa (sulle operazioni prima non assoggettate).
- Irrogare le sanzioni amministrative per omessa/infedele dichiarazione: tipicamente, per omessa dichiarazione dei redditi la sanzione è dal 120% al 240% dell’imposta dovuta; per omessa dichiarazione IVA similmente. Se invece qualche dichiarazione c’era (es. la società italiana presentava una dichiarazione minima, ma è considerata infedele perché non includeva i redditi della S.O.), la sanzione per infedele dichiarazione è dal 90% al 180% della maggior imposta. In ogni caso, l’atto dovrà motivare le ragioni delle sanzioni e l’eventuale cumulo.
- Segnalare la violazione per i profili penali, ove superate le soglie: in caso di omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000), è reato non presentare una dichiarazione dei redditi ove l’imposta evasa superi €50.000 per singola imposta. La pena prevista è la reclusione da 1 anno e 6 mesi fino a 4 anni. Nel contesto di S.O. occulta inbound, se la casa madre estera non ha presentato dichiarazione in Italia, questa condotta rientra perfettamente nella fattispecie (il “soggetto tenuto” a presentare la dichiarazione può essere considerato il rappresentante/responsabile in Italia una volta accertata la S.O.). L’ufficio normalmente trasmette rapporto alla Procura in tali casi. Da notare che se invece trattasi di stabile organizzazione occulta outbound (società italiana con branch estera non dichiarata), l’omissione riguarda la mancata indicazione di redditi esteri in dichiarazione: anche qui potenzialmente configura reato di dichiarazione infedele od omessa, a seconda dei casi, se le soglie di imposta evasa sono superate.
Profili IVA e altri tributi
Un capitolo a parte merita l’IVA: l’accertamento induttivo per S.O. occulta riguarderà anche l’IVA sulle operazioni effettuate. Riprendendo l’esempio, se beni sono stati venduti da una società olandese (consociata UE di una multinazionale) a clienti italiani, trattandosi formalmente di cessioni intracomunitarie, in origine erano non imponibili IVA in Italia (acquirente italiano integrava con reverse charge). Ma se si dimostra che in realtà c’era una stabile organizzazione in Italia che “interveniva” nelle vendite, allora quelle cessioni diventano interne: il cedente effettivo diviene la stabile organizzazione italiana. Di conseguenza, l’IVA andava applicata e versata in Italia dal cedente. L’accertamento richiederà dunque l’IVA evasa su tali vendite, con relative sanzioni (generalmente sanzione del 90% dell’imposta non versata, salvo concorso con sanzione da omessa dichiarazione annuale IVA). Attenzione: in alcuni casi si potrebbe discutere se l’acquirente italiano, avendo assolta l’IVA con il reverse charge, debba effettivamente altro; ma tipicamente il Fisco tenderà a sanzionare la società estera per non aver identificato una stabile organizzazione e presentato dichiarazioni IVA. Vi sono tuttavia orientamenti secondo cui, in assenza di frode, il fatto che l’IVA sia stata comunque assolta dal cliente con il reverse charge può evitare una duplicazione d’imposta – tuttavia le sanzioni formali restano per non essersi identificati correttamente (questa è materia complessa, su cui la giurisprudenza è in evoluzione).
Lo stesso schema può applicarsi ad altre imposte: ad esempio, se la S.O. occulta riguarda attività rilevanti ai fini di imposte doganali o accise, la sua scoperta potrebbe portare ad accertamenti anche in quei campi (ma è più raro e dipende dal tipo di business).
Caso di studio semplificato: Una società statunitense, XYZ Corp, vende software online a clienti italiani senza sede in Italia. XYZ afferma di operare solo dagli USA. Tuttavia, il Fisco scopre che esiste una società di diritto italiano controllata (XYZ Srl) con personale tecnico e commerciale che cura localmente l’assistenza clienti e promuove le vendite. I contratti di licenza software con i clienti italiani vengono formalmente conclusi online con XYZ Corp, ma emergono email in cui i dipendenti di XYZ Srl negoziano prezzi e condizioni personalizzate per i grandi clienti, e fatture emesse dalla corp USA con IVA erroneamente non applicata (trattandole come fuori campo IVA). L’Agenzia delle Entrate contesta che XYZ Srl è una stabile organizzazione occulta di XYZ Corp in Italia (la struttura locale non svolge mera pubblicità ma funzioni essenziali di vendita con poteri decisionali). Conseguentemente, ricalcola il reddito imponibile attribuendo, ad esempio, il 30% dei ricavi globali UE di XYZ Corp al mercato italiano e quindi alla stabile organizzazione. Su tale importo applica un margine di utile del 20% (tenendo conto che il settore software ha costi di sviluppo elevati all’estero, viene lasciato un margine operativo del 20% in Italia per le funzioni svolte). Viene quindi accertato un reddito imponibile di, poniamo, 5 milioni € per vari anni, con imposte IRES dovute e relative sanzioni. Inoltre viene contestata IVA non versata sulle licenze vendute ai clienti italiani (che finora avevano autofatturato con reverse charge, data la non imponibilità invocata da XYZ Corp). XYZ Srl (in solido con la Corp estera) si vede recapitare avvisi per IRES, IRAP e IVA evase. Questo scenario ricalca dinamiche attuali, specie in ambito digitale, ed evidenzia come l’accertamento induttivo serva a quantificare la materia imponibile in mancanza di contabilità separate.
Conseguenze per il Contribuente (Debitore)
Dal punto di vista del debitore d’imposta – ossia del contribuente che si vede contestare la stabile organizzazione occulta – le conseguenze possono essere molto impattanti. È importante conoscerle per valutare il da farsi e le possibili strategie di risposta.
Imposte dovute e base imponibile
Come già spiegato, il risultato dell’accertamento sarà la richiesta di pagamento di:
- Imposte sui redditi (IRES o IRPEF a seconda della natura del soggetto estero, e addizionale regionale IRAP se dovuta) sugli utili attribuiti alla S.O. occulta. L’aliquota IRES attuale è 24%. La base imponibile, se l’ufficio ha operato correttamente, dovrebbe corrispondere all’utile netto della stabile organizzazione per ciascun anno. Se il contribuente ritiene che l’ufficio abbia esagerato (ad esempio tassando redditi lordi), potrà contestare, ma intanto l’accertamento richiederà quelle somme.
- IVA non versata sulle operazioni interne non dichiarate. Qui bisogna fare attenzione: l’IVA evasa, se addebitata, potrebbe essere parzialmente detraibile dai clienti, ma per l’Amministrazione è come se la S.O. avesse effettuato cessioni senza applicare l’imposta. Quindi, addebita l’IVA dovuta più interessi e sanzioni. Talvolta l’ufficio può “scontare” l’IVA già assolta dai clienti (reverse charge) evitando duplicazioni, ma spesso inizialmente contesta tutto e lascia al contribuente l’onere di dimostrare eventuali detrazioni a valle.
- Altre imposte indirette: ad esempio, se i redditi della S.O. occulta riguardavano canoni o interessi che sarebbero stati soggetti a ritenuta in Italia, potrebbe esserci richiesta di ritenute non operate. Oppure, in caso di branch occulta italiana di società estera, c’è il tema della Branch tax (introdotta nel 2017, che tassa al 26% gli utili della branch se non rimessi alla casa madre, ma questo si applica solo se la branch è dichiarata, quindi è dubbio per branch occulta). In generale, però, il fulcro rimane IRES/IRAP/IVA.
- Sanzioni amministrative tributarie: come visto, omessa o infedele dichiarazione comporta sanzioni molto elevate (dal 90% al 240% dell’imposta evasa, a seconda dei casi). Se sono coinvolte più imposte (redditi e IVA) si avranno sanzioni distinte. Ad esempio, omessa dichiarazione redditi e IVA per un dato anno comporta due sanzioni cumulate, ciascuna minimo 120% imposta evasa. Va segnalato che in sede contenziosa è possibile far valere l’eventuale non punibilità per obiettiva incertezza normativa (art. 6 co.2 D.Lgs. 472/97) se il contribuente può dimostrare che vi era oggettiva incertezza sulla portata delle norme (per esempio, se la qualifica di S.O. era dubbia secondo prassi e giurisprudenza). Tuttavia, nei casi di strutture complesse volte al risparmio fiscale volontario, è difficile invocare l’errore scusabile.
- Interessi di mora sulle imposte non versate, calcolati dal momento in cui erano dovute (di solito, a saldo dell’anno in questione) fino al pagamento.
Sanzioni penali
Se l’ammontare delle imposte evase supera le soglie di rilevanza penale, il contribuente (tipicamente i rappresentanti legali coinvolti) rischia anche un procedimento penale tributario. I reati ipotizzabili:
- Omessa dichiarazione dei redditi o IVA (art. 5 D.Lgs. 74/2000) – scatta se l’imposta evasa > €50.000 per ciascun tributo. Per ogni anno in cui la dichiarazione è stata omessa a causa della S.O. occulta si configurerebbe un reato. La pena, come detto, va da 18 mesi a 4 anni di reclusione.
- Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000) – se la S.O. occulta era di un soggetto residente (caso outbound) che ha presentato dichiarazione omettendo di inserirvi i redditi esteri, potrebbe configurarsi questo reato se l’imposta evasa > €100.000 e l’ammontare sottratto > 10% del reddito o > €2 milioni. Pena da 2 a 4 anni e 6 mesi.
- Altri reati eventuali: qualora per occultare la S.O. si siano usate fatture false o altri artifici, potrebbero concorrere altre fattispecie (es. dichiarazione fraudolenta). Ma nel tipico caso di S.O. occulta, di solito è omessa dichiarazione.
Dal punto di vista pratico, il contribuente, una volta ricevuto l’avviso di accertamento, non viene immediatamente perseguito penalmente: l’Agenzia trasmette notizia di reato alla Procura, che avvierà le indagini. È importante a quel punto coordinare la difesa tributaria con quella penale, cercando se possibile soluzioni (ad esempio, il pagamento del dovuto e delle sanzioni può attenuare il trattamento penale, anche se per omessa dichiarazione non è prevista causa di non punibilità integrale).
Effetti civilistici e patrimoniali
Infine, l’accertamento comporta l’iscrizione a ruolo delle somme dovute: se il contribuente non paga entro i termini, l’Agente della Riscossione potrà procedere con la riscossione coattiva (cartelle esattoriali, fermi, ipoteche, pignoramenti). Questo può colpire sia la società estera (ma se non ha sede legale in Italia, escutere l’estero è complesso a meno di accordi internazionali) sia, più concretamente, la stabile organizzazione in Italia. Ad esempio, se la S.O. è annidata in una società italiana, quella società sarà chiamata al pagamento in solido. Oppure se c’è un rappresentante fiscale nominato, anch’egli può essere responsabile per l’IVA. Perciò, l’impatto patrimoniale può essere notevole: pensiamo a un avviso che chieda svariati milioni di euro di imposte e sanzioni, la società italiana (o le disponibilità localizzate in Italia del gruppo estero) rischiano misure cautelari.
Il contribuente “debitore” può comunque attivare strumenti come la sospensione della riscossione (chiedendo al giudice tributario di sospendere l’esecutività dell’atto in pendenza di giudizio, dimostrando il pericolo di un danno grave e la fondatezza delle proprie ragioni). Inoltre, se ritiene di non poter sostenere l’intero importo, potrebbe valutare gli istituti deflativi del contenzioso (es. accertamento con adesione, definizione agevolata se prevista da norme temporanee, rateizzazioni). Ne parleremo più avanti nelle strategie difensive.
Strategie Difensive e Come Contestare l’Accertamento
Dal punto di vista del contribuente (che improvvisamente si trova accusato di avere una stabile organizzazione occulta e di dover pagare imposte evase magari per anni pregressi), è fondamentale approntare una difesa strutturata. Le linee di difesa sono generalmente due, che possono agire in parallelo: contestare la qualificazione di stabile organizzazione e contestare il merito quantitativo dell’accertamento induttivo (ammontare del reddito/tasse). Vediamole separatamente.
Contestare l’esistenza della stabile organizzazione (profilo qualitativo)
Questa è la difesa principale: se si riesce a demolire la premessa che vi fosse una S.O. occulta, cade l’intero accertamento (nessuna base imponibile in Italia). I possibili argomenti difensivi includono:
- Mancanza di una “sede fissa di affari” in Italia: se l’ufficio non ha prove concrete di un luogo d’affari a disposizione dell’impresa estera sul territorio, si può sostenere che non c’è stabile organizzazione materiale. Ad esempio, se gli agenti operavano da un ufficio proprio e non ceduto in uso all’impresa estera, o se l’attività era itinerante e non riconducibile a una sede definita. La giurisprudenza richiede una certa stabilità e disposizione di locali o strutture. Nel caso Cass. 7202/2024 citato, la difesa ha avuto successo anche evidenziando che mancava la prova di una sede fissa d’affari in Italia riferibile alla casa madre (la branch c’era, ma operava nei limiti ausiliari).
- Attività di natura preparatoria o ausiliaria: è un classico scudo previsto sia dalla norma interna (art. 162 co.5 TUIR, previgente, ora abrogato e sostituito da criteri simili nel Modello OCSE) sia dai trattati. Se le attività svolte in Italia erano limitate a funzioni ausiliarie (pubblicità, ricerca di mercato, mera assistenza preparatoria), non configurano stabile organizzazione anche se c’era una sede. Nel nostro esempio, la branch italiana affermava di fare solo marketing e supporto, rientrando quindi nell’esenzione convenzionale. Bisogna quindi enfatizzare tutto ciò che prova il carattere ausiliario dell’attività locale: mancanza di poteri decisionali, necessità di approvazione dalla casa madre per ogni operazione sostanziale, attività di supporto e non di gestione principale. Documenti utili: organigrammi che mostrano che le decisioni partono dall’estero, job description del personale locale limitate a ruoli di assistenza, ecc. Anche pronunce della Corte di Giustizia UE (come il caso Berlin Chemie, 2022 e Cabot Plastics, 2023) confermano che mettere a disposizione mezzi umani e tecnici tramite una consociata per attività di supporto non implica automaticamente una stabile organizzazione della società estera, se la struttura locale non ha autonomia per operazioni principali. Tali riferimenti possono essere citati a sostegno.
- Agente indipendente: se la contestazione si basa su un agente italiano (persona o società) che secondo il Fisco agiva come dipendente, la difesa può consistere nel dimostrare l’indipendenza di tale soggetto. Cioè: l’agente svolgeva la sua attività per più preprincipal, non era legato da istruzioni stringenti, assumeva su di sé il rischio d’impresa, operava come una realtà autonoma e non come un’emanazione della casa madre. Ad esempio, presentare contratti da cui risulta che l’agente italiano poteva vendere prodotti anche di altre società, o che non aveva potere di firmare a nome della casa madre ma solo di segnalare clienti. Se l’agente è indipendente, niente S.O. per definizione. La Cassazione 992/2024 ha proprio ribadito che la presenza di un agente indipendente in Italia non configura stabile organizzazione della società estera.
- Assenza di continuità: si può provare che l’attività in Italia era episodica, non “stabile” nel tempo. Ad esempio, l’impresa estera ha svolto un progetto temporaneo, meno di 6 mesi, senza lasciare una presenza stabile. Le convenzioni spesso prevedono un periodo minimo (come 12 mesi per cantieri) per definire stabile la presenza. Se applicabile, sottolineare che i tempi non superavano le soglie convenzionali.
- Soggetto italiano operava in proprio: se la S.O. occulta viene identificata in una società italiana, una linea difensiva è affermare che quella società era un soggetto autonomo e distinto, che operava per conto proprio e non come “braccio” della straniera. Magari aveva un contratto di service con la casa madre, ma ciò rientra in normali rapporti commerciali infragruppo e non significa che fosse “stabile organizzazione”. Si può far leva su elementi come: la società italiana aveva un’attività anche verso terzi? Sopportava il rischio imprenditoriale (ad es., veniva remunerata a costo pieno + mark-up, quindi non rimaneva profitto occulto)? La governance era distinta? Più si riesce a dipingere la società italiana come indipendente, meno convincente sarà la tesi dell’ufficio.
- Applicazione della Convenzione Internazionale: è essenziale valutare la Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia e il paese di residenza della società estera. Se questa contiene definizioni più stringenti di stabile organizzazione o eccezioni specifiche, vanno fatte valere perché prevalgono sul TUIR. Ad esempio, se la Convenzione USA-Italia (come nel caso del 2024) definisce stabile organizzazione in termini simili all’OCSE, si useranno quelle clausole per argomentare che nel caso concreto i criteri non sono soddisfatti. Nella sentenza 7202/2024 la Cassazione ha attribuito grande importanza alla Convenzione Italia-USA del 1999, evidenziando come la CTR avesse correttamente interpretato la situazione alla luce di essa, escludendo la S.O. perché l’attività rientrava nelle eccezioni (pubblicità, raccolta informazioni, ecc.). L’utilizzo del Commentario OCSE e della prassi internazionale può rafforzare la difesa, dato che molte contestazioni di S.O. occulta nascono in contesti transnazionali.
In sintesi, la strategia qualitativa punta a smentire almeno uno degli elementi costitutivi della stabile organizzazione: sede fissa, stabilità temporale, attività non ausiliaria, dipendenza dell’agente, potere di concludere contratti, ecc. Se anche uno manca, la definizione non è integrata. L’onere della prova su questi aspetti in teoria grava sull’Amministrazione (deve provare che esiste la S.O.), ma il contribuente deve fornire al giudice elementi contrari chiari. È spesso utile produrre perizie di parte, documenti societari, contratti, testimonianze dei funzionari esteri su come realmente avvenivano i processi decisionali. È anche importante evidenziare eventuali contraddizioni o lacune probatorie dell’ufficio: ad esempio, se l’ufficio si basa su mere presunzioni fragili (dando per scontato un ruolo attivo della sede locale senza evidenze), si contesterà che quelle non bastano (presunzioni troppo deboli, inidonee a superare la soglia della prova tributaria se non supportate da gravità, precisione e concordanza, salvo che sia omessa dichiarazione dove la prova può essere più leggera ma comunque deve esserci una base logica).
Contestare la quantificazione induttiva (profilo quantitativo)
Se, nonostante gli sforzi, la qualificazione di S.O. appare difficilmente smontabile (o in via prudenziale ci si difende anche sul merito), allora occorre concentrarsi sul quantum dell’accertamento. Spesso le somme pretese possono essere ridotte sensibilmente attaccando il modo in cui il Fisco ha calcolato il reddito e l’IVA.
Argomenti difensivi su questo fronte:
- Mancato riconoscimento dei costi deducibili: come già approfondito, se l’accertamento ha ignorato i costi, si deve eccepire la sua illegittimità per violazione dell’art. 53 Cost. e fare leva sulla giurisprudenza (Cass. 2581/2021, Cass. 1506/2017, CC 225/2005) che impone la deduzione dei costi anche in via induttiva. In giudizio, portare evidenza di quali costi avrebbero dovuto essere considerati. Ad esempio: presentare documenti di spesa che si riferiscono all’attività italiana (anche se non contabilizzati ufficialmente come tali). Oppure se questi mancano, proporre un calcolo alternativo del reddito basato su un ragionevole margine. Una strategia comune è produrre una perizia economico-contabile che determini, sulla base di prassi di settore o bilanci comparabili, quale sarebbe stato l’utile della S.O. Occulta. Se il Fisco ha tassato €10 milioni come reddito (pari al 100% di ricavi) ma la perizia mostra che il margine netto nel settore è magari del 10%, l’utile contestabile sarebbe €1 milione, riducendo enormemente l’imposta dovuta. Già in appello o in Cassazione questo può portare almeno a una riduzione.
- Errori nella stima dei ricavi: verificare se i ricavi attribuiti all’Italia sono effettivamente quelli generati qui. Spesso l’ufficio può includere vendite che in realtà non competono alla S.O. (magari vendite estere o a clienti non italiani). Oppure può aver doppio-conteggiato alcune voci. Il contribuente dovrebbe controllare i numeri: ad esempio, se l’ufficio ha preso i dati di fatturato da un certo report, si può mostrare che quel report includeva anche vendite in altri paesi.
- Periodo accertato: contestare eventuali decadenze. L’ufficio può accertare entro termini precisi (in caso di omessa dichiarazione il termine è più ampio – fino all’ottavo anno successivo). Bisogna verificare se gli anni contestati sono tutti ancora accertabili. Se no, eccepire la decadenza per quelli più remoti.
- Applicazione di normative errate: controllare se l’ufficio ha applicato correttamente le aliquote e le norme. Ad esempio, se ha tassato come IRES un soggetto che magari avrebbe avuto regime diverso, o se ha preteso IRAP in un caso in cui l’attività poteva non essere soggetta (questo è raro, ma ad esempio se l’attività locale non costituiva organizzazione autonoma di mezzi si potrebbe discutere IRAP).
- Proporzionalità delle sanzioni: nel merito quantitativo rientra anche chiedere, in sede di giudizio, la riduzione delle sanzioni. Il giudice tributario può ridurre le sanzioni se ritiene la misura eccessiva, anche d’ufficio, soprattutto se c’è stata cooperazione o incertezza. Ad esempio, argomentare che l’assetto era frutto di una interpretazione (sbagliata) ma in buona fede di norme poco chiare, potrebbe indurre almeno una riduzione delle sanzioni (quando non l’annullamento per non colpevolezza, cosa però difficile come detto).
- Non debenza di IVA per operazioni già assoggettate a reverse charge: sul fronte IVA, una difesa è sostenere che l’IVA è stata comunque assolta dai clienti via reverse charge, quindi non c’è danno erariale. In giurisprudenza italiana a volte questo ha portato a escludere il reato di omessa dichiarazione IVA e ridurre sanzioni, qualificando la vicenda come errata modalità di assolvimento ma non evasione. Nel contenzioso tributario si può chiedere di non applicare doppia imposta ma solo sanzioni formali.
- Trattative e adesione: come strategia, non dimentichiamo gli strumenti pre-contenzioso. Se l’accertamento è ricevuto, il contribuente ha 60 giorni per fare ricorso; in quel termine può presentare istanza di accertamento con adesione, che sospende i termini e apre un contraddittorio con l’Ufficio. In sede di adesione, si può cercare un compromesso magari limitato al quantum: ad esempio, riconoscere la stabile organizzazione ma discutere sull’importo dei redditi. L’ufficio potrebbe accettare di ridurre l’imponibile in cambio di chiudere la vertenza, soprattutto se il caso è complicato da dimostrare in giudizio. Ciò va ponderato attentamente (spesso in questioni così tecniche l’adesione non è facile, ma tentar non nuoce).
- Sospensione e tutela cautelare: parallelamente, se le somme sono ingenti, conviene chiedere al più presto la sospensione dell’atto al giudice tributario (si deve fare contestualmente al ricorso o separata istanza, entro 30 gg dal ricorso). Si dovrà dimostrare che pagare creerebbe un danno grave all’azienda e che il caso ha fumus boni iuris (cioè che la tesi difensiva non è campata in aria). Ad esempio, un fumus potrebbe essere proprio l’aver ignorato i costi: un giudice potrebbe sospendere in attesa di decidere perché vede che almeno su quel punto il ricorso ha fondamento (giurisprudenza chiara a favore). O un altro fumus potrebbe essere una sentenza favorevole in un caso analogo recente.
- Aspetti procedurali: verificare se l’ufficio ha rispettato tutte le garanzie procedurali: ad esempio, se c’è stato un PVC da Guardia di Finanza, la legge 212/2000 Statuto Contribuente art. 12 impone di attendere 60 giorni prima di emettere l’accertamento (salvo casi d’urgenza) per dar modo al contribuente di presentare osservazioni. Se l’atto è stato emesso in fretta senza attendere, si può eccepire la nullità relativa (in alcuni casi le CTP annullano per questo). Oppure verificare la notifica corretta dell’avviso all’estero o in Italia, eventuali vizi formali.
In definitiva, la miglior difesa è spesso affidarsi a consulenti esperti in fiscalità internazionale e contenzioso, che possano predisporre sia argomentazioni giuridiche solide sia analisi contabili alternative. Dal punto di vista del contribuente-debitore, ogni elemento (anche transattivo) va considerato: se la pretesa è fondata ma eccessiva, potrebbe essere sensato cercare una conciliazione in giudizio (istituto della conciliazione giudiziale) per ottenere un abbattimento di sanzioni o imponibili e chiudere la questione con meno danni e certezza sul futuro.
Giurisprudenza e Prassi Rilevanti (Aggiornate al 2025)
In questa sezione elenchiamo alcune sentenze chiave e documenti di prassi sul tema “stabile organizzazione occulta e accertamento induttivo”, con un breve commento del loro contributo principale:
- Cassazione Civ. Sez. V, n. 7202/2024 (depositata il 16 marzo 2024) – Ha affrontato il caso di una branch italiana di multinazionale USA accusata di essere stabile organizzazione occulta. Principio: ribadisce che la verifica va fatta sul piano sostanziale, richiedendo una presenza stabile e autonoma in Italia; conferma che attività preparatorie/ausiliarie (come marketing) non configurano S.O. se rimangono tali. In concreto, la Cassazione ha confermato la decisione di merito che escludeva la stabile organizzazione, perché l’Agenzia non aveva provato l’esistenza di una sede fissa di affari né il superamento del ruolo ausiliario (prezzi e sconti erano determinati dalla casa madre). Importante anche il riferimento alle pronunce UE (Berlin Chemie) che rafforzavano la non configurabilità di S.O. in quel caso.
- Cassazione Civ. Sez. V, n. 992/2024 (depositata il 10 gennaio 2024) – Caso di agente italiano di società estera. Principio: “Non costituisce stabile organizzazione il solo fatto che l’impresa non residente eserciti la propria attività per mezzo di un mediatore, commissionario generale o altro intermediario indipendente”. La sentenza sottolinea la distinzione tra agente dipendente (che può creare S.O.) e agente indipendente (che esclude la S.O.). Ha rigettato il ricorso dell’Agenzia che pretendeva di ravvisare una S.O. solo per la presenza di un agente in Italia, evidenziando che quest’ultimo godeva di autonomia.
- Cassazione Civ. Sez. V, nn. 1709/2023 e 2597/2023 – Queste due pronunce (gennaio e febbraio 2023) hanno anch’esse trattato la materia delle stabili organizzazioni occulte. Confermano la linea per cui serve stabilità di organizzazione e capacità produttiva autonoma in Italia per configurare la S.O.. Ribadiscono che l’onere di provare i presupposti (luogo fisso, durata, attività non preparatoria) spetta al Fisco e che semplici relazioni d’affari o presenza di un intermediario non bastano.
- Cassazione Civ. Sez. V, n. 21693/2020 – Sentenza che ha fatto il punto sui requisiti: presenza incardinata nel territorio, dotata di stabilità, sede di affari idonea a produrre reddito e attività autonoma rispetto alla casa madre. Viene citata spesso come riferimento generale.
- Cassazione Civ. Sez. V, n. 2581/2021 (ordinanza del 04/02/2021) – Caso della società egiziana con vendite di multiproprietà, S.O. occulta in Italia. Principio: in accertamento d’ufficio per omessa dichiarazione, l’Amministrazione può usare presunzioni anche semplici, con onere probatorio a carico contribuente, ma deve comunque determinare induttivamente i costi relativi ai ricavi accertati, per tassare il solo reddito netto. La Corte ha cassato perché i giudici di merito non avevano dedotto costi. Rilevante anche il richiamo all’art. 7 §3 del Modello OCSE e art. 7 §3 Convenzione Italia-Egitto, che espressamente prevedono la deducibilità delle spese nel determinare l’utile della stabile organizzazione. Questa sentenza è un pilastro sul diritto del contribuente ad avere riconosciuti i costi, ed è stata seguita da altre (Cass. 1506/2017 cit., ecc.).
- Cass. n. 36679/2022; Cass. n. 30140/2019; Cass. n. 23984/2016 – Sentenze che hanno rafforzato il principio di prevalenza delle Convenzioni internazionali sulle norme interne, e chiarito che le definizioni convenzionali di S.O. prevalgono in caso di difformità. Ciò è importante specie alla luce dell’art. 162 TUIR modificato nel 2018: se la convenzione col paese estero non contempla la “significativa presenza economica” come S.O., quella definizione interna rimane inefficace verso quel paese.
- Corte Costituzionale n. 225/2005 – Già citata, afferma il principio costituzionale che dai ricavi presuntivamente accertati vanno dedotti i costi corrispondenti (nel caso specifico di accertamento bancario induttivo). È un faro in materia di capacità contributiva.
- Circolare Guardia di Finanza n. 1/2008, Vol. III, Parte VI, Cap.7 – Documento di prassi investigativa che fornisce linee guida sulla verifica delle stabili organizzazioni occulte e individua le situazioni più a rischio (imprese estere operanti in Italia senza stabile dichiarata; imprese italiane con branch estere occulte). Importante perché conferma un approccio sistematico della GdF nella caccia a tali fenomeni.
- Circolare Agenzia Entrate n. 32/E/2006 – In tema di accertamenti da indagini finanziarie, paragrafo rilevante che raccomanda di stimare un’incidenza percentuale di costi presunti a fronte dei ricavi accertati, per evitare tassazione del solo volume d’affari. Citata anche in Cass. 2581/2021, è utile menzionarla per dare forza alla richiesta di deduzione costi.
- Circolare Agenzia Entrate n. 9/E/2015 – Linee guida su vari temi di accertamento; il §2 ribadisce concetti simili sulla necessità di considerare i costi emergenti e la percentuale di ricarico medio, anche per chi è evasore totale.
Questa rassegna di fonti dimostra che, nel 2025, l’impianto normativo e giurisprudenziale sul tema è abbastanza ben definito: la linea di confine tra ciò che costituisce stabile organizzazione e ciò che non lo è è tracciata da criteri sostanziali (stabilità, autonomia, non ausiliarità), con tendenza dei giudici a richiedere prove solide al Fisco e a non penalizzare situazioni dubbie. Sul fronte accertativo, c’è attenzione a garantire che gli accertamenti induttivi riflettano il reddito effettivo e non un importo arbitrario. Il contribuente, dal canto suo, può beneficiare di questi orientamenti per montare difese efficaci.
Domande Frequenti (FAQ)
D: Che cos’è in parole semplici una “stabile organizzazione occulta”?
R: È una presenza economica stabile ma non dichiarata di un’azienda straniera in Italia. In pratica, l’azienda estera opera in Italia come se avesse una filiale (uffici, personale, affari continuativi), però non ha aperto una partita IVA né risulta ufficialmente come soggetto fiscale italiano. È “occulta” perché il Fisco non la vede finché non la scopre tramite controlli. Un esempio classico: una società estera vende prodotti in Italia tramite un ufficio locale e staff dedicato, ma formalmente dice di non avere nulla in Italia e fattura tutto dall’estero.
D: Qual è la differenza tra stabile organizzazione occulta e esterovestizione?
R: Sono due concetti diversi, anche se correlati dall’obiettivo di evasione internazionale. La stabile organizzazione occulta riguarda un’impresa estera che nasconde una base in Italia (evasione inbound); l’esterovestizione invece è il caso di una società che finge di essere estera ma in realtà è gestita dall’Italia, quindi dovrebbe essere considerata fiscalmente residente in Italia. In altre parole, nell’esterovestizione l’intera società viene riqualificata come italiana (tassandone tutti i redditi ovunque prodotti) perché la sede dell’amministrazione è in Italia; nella S.O. occulta la società resta estera, ma le si attribuisce un “pezzo” di attività tassabile in Italia (i redditi prodotti qui tramite la base occulta). Entrambi sono stratagemmi: l’esterovestizione simula la residenza estera di ciò che è italiano, la S.O. occulta nega la presenza italiana di ciò che si dichiara tutto estero. Le conseguenze fiscali differiscono: con l’esterovestizione si recuperano tutte le imposte come se la società fosse italiana (potenzialmente ovunque abbia guadagnato, salvo crediti d’imposta esteri), con la S.O. occulta si tassano “solo” i redditi attribuibili alla stabile organizzazione in Italia.
D: L’Agenzia delle Entrate quando può utilizzare l’accertamento induttivo?
R: Può farlo solo in situazioni eccezionali previste dalla legge, tipicamente quando il contribuente non ha presentato la dichiarazione o la sua contabilità è talmente irregolare/inaffidabile da non permettere una ricostruzione analitica. Ad esempio, se non hai tenuto i registri obbligatori, o se hai tenuto due contabilità parallele, o se ci sono grossi movimenti bancari non spiegati, il Fisco può ignorare i dati forniti e “indurre” il tuo reddito da indizi. Nel caso della stabile organizzazione occulta, spesso il motivo è l’omessa dichiarazione: la base non era dichiarata, quindi il Fisco va con metodo induttivo d’ufficio.
D: Cosa significa che l’accertamento è “induttivo” o “d’ufficio”?
R: Significa che il Fisco stima il reddito presunto invece di basarsi sulle dichiarazioni (che mancano o non sono attendibili). “D’ufficio” è un caso di accertamento induttivo particolare che avviene quando non hai presentato la dichiarazione: in tal caso l’ufficio può usare anche presunzioni molto semplici, magari un solo elemento, e poi sta a te contribuente provare che ha torto. In concreto, induttivo vuol dire che il Fisco guarda cosa hai fatto (entrate in banca, volume d’affari, consumi, ecc.) e da lì deduce quanto avrai guadagnato. Ad esempio, se scopre che hai venduto merce per 1 milione € non dichiarato, può presumerci un certo utile su e tassarlo. Non può però chiederti le tasse sull’intero milione come se fosse tutto guadagno: deve togliere i costi, almeno in maniera forfettaria.
D: Se mi contestano una stabile organizzazione occulta, cosa rischio in pratica?
R: Rischi: (1) di dover pagare le imposte arretrate (IRES/IRAP, IVA, ecc.) su tutti i redditi che secondo il Fisco hai prodotto in Italia e non hai dichiarato, possibilmente per più anni. (2) Il pagamento di sanzioni tributarie molto alte: per omessa dichiarazione l’aliquota della sanzione va dal 120% al 240% dell’imposta evasa, dunque se ti contestano, ad esempio, €100.000 di IRES evasa, la sola sanzione può essere da €120.000 a €240.000, oltre all’imposta e interessi! (3) Interessi moratori, che si accumulano nel tempo. (4) Potenziale processo penale per omessa dichiarazione (se l’imposta evasa per ogni anno supera 50k euro) con rischio di reclusione fino a 4 anni. (5) Azioni di riscossione coattiva sul tuo patrimonio in Italia (fermi, ipoteche, pignoramenti) se non paghi volontariamente. In sintesi: un salasso economico e possibili guai giudiziari. E ovviamente dovrai metterti in regola per il futuro (aprire posizioni fiscali, ecc., se vuoi continuare ad operare).
D: Come posso difendermi se non sono d’accordo con l’accertamento?
R: Hai vari strumenti. Anzitutto, puoi presentare ricorso entro 60 giorni all’autorità giudiziaria tributaria (Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, ex Commissione Tributaria) e far valere le tue ragioni. In parallelo puoi chiedere un incontro di accertamento con adesione per trovare un accordo (interrompe i termini del ricorso intanto). Nel merito, le difese tipiche sono: negare che esista la stabile organizzazione (dimostrando che in Italia facevi solo attività preparatorie o che i tuoi agenti erano indipendenti, ecc.), oppure contestare i calcoli (mostrare che il reddito presunto è troppo alto, che non hanno considerato costi, che alcune vendite non erano tassabili qui, ecc.). Puoi portare documenti, testimonianze e perizie di esperti a supporto. Inoltre puoi eccepire vizi procedurali (notifiche errate, termini scaduti…). È altamente consigliato farti assistere da un professionista esperto in diritto tributario internazionale per impostare al meglio la difesa, perché la materia è complessa.
D: L’onere della prova di una stabile organizzazione occulta su chi ricade?
R: In prima battuta è sull’Amministrazione finanziaria: deve portare elementi concreti che provino la presenza in Italia con le caratteristiche di una S.O. (non basta un semplice sospetto). Tuttavia, se l’Agenzia porta indizi seri (es. contratti firmati in Italia, personale locale, ecc.), questi costituiscono presunzioni e il contribuente deve controbatterli con prove contrarie. Nella fase di accertamento d’ufficio per omessa dichiarazione, l’onere si sposta sensibilmente: il Fisco può usare anche presunzioni basiche e sta al contribuente poi provare che non è vero o che è diverso. In giudizio, in sostanza, funziona così: il Fisco produce il suo dossier di indizi, tu produci il tuo dossier per smentirli; il giudice valuta. Se rimane in dubbio serio, il dubbio gioca a favore del contribuente (in dubio pro contribuenti, soprattutto su elementi costitutivi dell’obbligo tributario). In pratica però, meglio non restare passivi: più prove porti tu (es. che l’ufficio italiano non concludeva contratti, o che aveva altre attività ausiliarie, ecc.), più chance hai.
D: Ma se in Italia facevo solo attività di marketing e raccolta ordini, possono comunque dirmi che avevo una stabile organizzazione?
R: Dipende. Se davvero le tue attività erano solo di marketing, pubblicità, supporto preliminare – e non intervenivi nella conclusione degli affari – in base alle regole convenzionali sarebbero attività ausiliarie che non configurano una stabile organizzazione. Quindi in teoria no, non dovrebbero tassarti i ricavi, perché saresti rientrato nell’esenzione. Il problema nasce se l’Agenzia ritiene (e riesce a dimostrare) che in realtà facevi di più del semplice marketing: ad esempio, se chi sta in Italia in realtà negoziava prezzi, firmava contratti, gestiva clienti in autonomia, allora quello non è più “solo marketing”, diventa attività essenziale. In Cassazione ci sono molti casi su questo sottile confine. Diciamo che se tu in Italia avevi un ufficio anche piccolo, ma quel personale aveva potere decisionale sul business locale, il Fisco potrà sostenerlo. Tu dovrai allora provare che invece tutte le decisioni importanti le prendeva la sede centrale e che l’ufficio italiano era vincolato a istruzioni e non concludeva nulla in proprio.
D: Come incide la nuova definizione di “presenza economica digitale” introdotta in Italia?
R: L’Italia, come detto, ha inserito dal 2018 la nozione di stabile organizzazione anche senza base fisica, se c’è una significativa e continuativa presenza economica digitale. Questo vuol dire che, in teoria, anche se operi solo online (es. un sito web estero che vende molto in Italia senza server né personale qui), il Fisco italiano potrebbe provare a contestarti una stabile organizzazione occulta, basandosi sul volume d’affari e altri indicatori (traffico, numero clienti italiani, etc.). Tuttavia, bisogna vedere le Convenzioni internazionali: molte non contemplano esplicitamente questa ipotesi (è un concetto nuovo non ancora diffuso nei trattati, se non quelli più recenti post-BEPS). Quindi l’efficacia potrebbe essere limitata se c’è un trattato in mezzo. In pratica, l’Agenzia potrebbe comunque utilizzarla come leva negoziale: ad esempio, i colossi digitali spesso preferiscono accordarsi (vedi Google, Facebook che hanno iniziato a dichiarare di più in Italia) piuttosto che fare causa su questo terreno incerto. Per un’azienda più piccola, se non c’è convenzione (es. paese black list) potrebbero applicarla direttamente. Insomma, è un tema in evoluzione: la legge c’è, ma la sua applicazione concreta dipende dai casi e dai rapporti internazionali.
D: Quali sono gli errori da evitare per non incorrere in queste contestazioni?
R: Se sei un’azienda estera che opera in Italia, evita di:
- Sottovalutare la tua presenza: se hai personale o uffici stabili qui, considera seriamente di aprire una filiale ufficiale o stabile organizzazione dichiarata. È meglio pagare qualche tassa in più che rischiare sanzioni enormi dopo.
- Avere agenti “monomandatari” non trasparenti: se il tuo agente italiano lavora solo per te e in pratica fa tutto come se fosse “te”, allora formalizza una branch. Se vuoi mantenere agente indipendente, assicurati che sia indipendente (più mandati, autonomia).
- Documentazione opaca: redigi contratti chiari che delimitino le attività in Italia come ausiliarie, se così deve essere. Evita side letter o istruzioni che contraddicono i contratti. Ricorda: se qualcosa può apparire come decisione presa in Italia, l’Agenzia lo userà contro di te.
- Non rispondere alle richieste: se il Fisco fa domande o parte un controllo, reagisci con trasparenza (ovviamente con l’assistenza di un fiscalista). Il muro di gomma o lo spostare tutto l’archivio all’estero non funziona: anzi, peggiora la posizione.
- Non considerare i trattati: se operi dall’estero, conosci la convenzione tra l’Italia e il tuo paese. Segui le regole: ad esempio, se la convenzione dice “niente S.O. se non concludi contratti qui”, allora non concluderli qui davvero (neanche per email). Fai in modo che l’ultima firma sia all’estero, che formalmente la sede centrale si riservi approvazione finale, ecc. Sono formalismi, ma aiutano a dimostrare che hai rispettato la convenzione.
D: Ci sono esempi di vittorie dei contribuenti in questi casi?
R: Sì, ce ne sono. Oltre al caso citato della Cass. 7202/2024 dove il contribuente ha vinto (nessuna S.O.), possiamo ricordare accordi come quello di Philip Morris anni fa (anche se lì poi il legislatore cambiò le carte in tavola). E diverse commissioni tributarie hanno dato ragione a imprese che dimostravano di non avere presenza stabile (o che l’agente era indipendente). Ad esempio, Commissione Regionale Lombardia in passato su casi analoghi ha annullato accertamenti se l’Agenzia non provava bene il “fisso” dell’organizzazione. Quindi sì, non è affatto detto che il Fisco vinca sempre: dipende dalle prove. E soprattutto, anche quando il contribuente non vince totalmente, spesso riesce a ridurre il carico (es. ottenendo riconoscimento di costi, o limitando alle annualità non coperte da convenzione, ecc.). L’importante è non arrendersi e strutturare bene la difesa.
D: Dopo quanti anni prescrive la possibilità di controllo su queste cose?
R: Attualmente, se non hai presentato dichiarazione (omessa), l’azione di accertamento si prescrive il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello in cui avresti dovuto dichiarare. Ad esempio, per redditi 2018 (dichiarazione che andava presentata nel 2019) il termine scade al 31/12/2027. Se invece avevi presentato dichiarazione (magari incompleta), il termine è il 5° anno. Dunque, l’Agenzia può guardare abbastanza indietro nel caso di S.O. occulta, proprio perché c’è omessa dichiarazione. Inoltre, ogni anno è autonomo: se hai operato occultamente per 10 anni, teoricamente possono farti 10 avvisi (nei limiti della prescrizione, certo). Tieni presente che se interviene un PVC della Guardia di Finanza, i termini possono prorogarsi di un anno. E che eventuali condoni o sanatorie (come ce ne sono stati nel 2023) potrebbero chiudere alcune annualità.
Conclusione
L’accertamento induttivo per stabile organizzazione occulta rappresenta una materia di confine tra fiscalità domestica e internazionale, dove le regole tecniche (articoli di legge, trattati, prassi) si intrecciano con valutazioni di fatto molto concrete (cosa succedeva quotidianamente nell’attività del contribuente). Questa guida ha esaminato i principali aspetti da conoscere, ponendo l’accento sul punto di vista del contribuente che deve difendersi. Si è visto che:
- La definizione di stabile organizzazione occulta è ampia e adattabile a vari schemi d’impresa, e il legislatore l’ha ulteriormente estesa al digitale.
- L’Amministrazione dispone di strumenti potenti come l’accertamento induttivo d’ufficio per colpire queste situazioni, ma deve pur sempre rispettare principi fondamentali (capacità contributiva) e oneri probatori minimi.
- Le conseguenze, in caso di soccombenza, sono severe in termini economici e legali, per cui la difesa non può essere improvvisata.
- Esistono solide basi normative e giurisprudenziali su cui impostare la contestazione, sia negando la sussistenza della stabile organizzazione, sia riducendone la portata economica.
- Ogni caso ha le sue peculiarità: dalla tipologia di attività, al paese coinvolto, alla documentazione disponibile. Di conseguenza, non esiste una ricetta universale; occorre applicare i principi generali al caso concreto con l’ausilio di esperti.
- La strategia difensiva deve essere a 360 gradi: fattuale (prove), giuridica (norme e sentenze), procedurale (rispetto regole del gioco), e di negoziazione (valutare accordi).
In un’epoca di globalizzazione e digitalizzazione, l’Amministrazione finanziaria italiana è sempre più attenta a stanare basi imponibili occulte sul territorio. I contribuenti internazionali devono quindi essere consapevoli dei rischi e agire con trasparenza e correttezza, o quantomeno essere pronti a far valere le proprie ragioni qualora si vedano attribuire un’attività economica “nascosta” in Italia. Conoscere cosa sapere – normative, sentenze aggiornate, diritti e doveri – è il primo passo per affrontare con successo (o ancor meglio, prevenire) un accertamento induttivo per stabile organizzazione occulta.
Fonti e Riferimenti Normativi/Giurisprudenziali
- D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U.I.R.), art. 162 – Definizione di stabile organizzazione (inclusa lett. f-bis introdotta da L. 205/2017).
- Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni, art. 5 – Definizione di permanent establishment; art. 7 – Attribuzione dei profitti alla stabile organizzazione.
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 – Accertamento induttivo (comma 2); art. 41 – Accertamento d’ufficio in caso di omessa dichiarazione; art. 14, c.5 – Obblighi contabili delle stabili organizzazioni di non residenti; art. 75 (ora 109 TUIR) – Norme su deducibilità dei costi (richiamato in Cass. 2581/2021).
- D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 17 – Soggetti obbligati ad adempimenti IVA (identificazione di non residenti); art. 35-ter – Identificazione diretta ai fini IVA di soggetti non residenti; art. 55 – Accertamento induttivo IVA (omessa dichiarazione, contabilità inattendibile).
- D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 5 – Sanzione per omessa dichiarazione (120% – 240% imposta, min €250); art. 1 – Sanzione per dichiarazione infedele (90% – 180%).
- D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5 – Reato di omessa dichiarazione (soglia €50.000 imposta evasa, pena 1½-4 anni); art. 4 – Reato di dichiarazione infedele (soglie €100.000 e 10%, pena 2-4½ anni).
- Cassazione Civile, Sez. V, 25 maggio 2002, n. 7682 (Philip Morris) – Prime affermazioni sul soggetto passivo nelle S.O. occulte (superate nel 2011).
- Cassazione Civile, Sez. V, 22 luglio 2011, n. 16106 – Riconosce soggettività fiscale interna della stabile organizzazione occulta, consentendo accertamento diretto verso entità italiana connessa.
- Cassazione Civile, Sez. V, 20 novembre 2019, n. 30140 – Sul rapporto legge interna/trattato: convenzioni come fonte primaria ex art. 10 e 117 Cost..
- Cassazione Civile, Sez. V, 7 aprile 2022, n. 36679 – Convenzioni internazionali prevalgono su norme interne in materia di imposte sui redditi (evitare doppia imposizione).
- Cassazione Civile, Sez. V, 10 gennaio 2024, n. 992 – Caso agente indipendente; esclude stabile organizzazione per presenza di intermediario indipendente (principio conforme a art. 5 par. 6 Mod. OCSE).
- Cassazione Civile, Sez. V, 16 gennaio 2023, n. 1709 – Requisiti di stabilità e autonomia per configurare S.O.; onere probatorio in capo al Fisco.
- Cassazione Civile, Sez. V, 10 febbraio 2023, n. 2597 – Simili principi della n.1709/2023; conferma approccio sostanzialistico e anti-formale nell’individuare S.O.
- Cassazione Civile, Sez. V, 21 ottobre 2020, n. 21693 – Elenca le condizioni (presenza stabile, attività non ausiliaria, ecc.) per S.O.; richiama Cass. 30033/2018.
- Cassazione Civile, Sez. V, 4 febbraio 2021, n. 2581 – Fondamentale su accertamento induttivo S.O. occulta: obbligo di dedurre costi dai ricavi accertati (richiama Corte Cost. 225/2005).
- Cassazione Civile, Sez. V, 2 febbraio 2017, n. 1506 – Principio analogo a Cass. 2581/2021: in caso di omessa dichiarazione, determinare induttivamente anche i costi per rispettare capacità contributiva.
- Corte Costituzionale, 21 giugno 2005, n. 225 – Sancisce incostituzionalità di accertamenti presuntivi che non considerino i costi (nel caso, prelievi bancari considerati ricavi al 100%).
- CGUE, 7 aprile 2022, causa C-333/20 (Berlin Chemie )** – In ambito IVA, la presenza di una consociata che fornisce servizi esclusivi (marketing, pubblicità, rappresentanza) non implica che la società estera abbia una stabile organizzazione in quello Stato, se manca propria struttura (mezzi umani e tecnici).
- CGUE, 29 giugno 2023, causa C-232/22 (Cabot Plastics)** – Sempre su nozione di stabile organizzazione IVA: un soggetto extra-UE che riceve servizi in uno Stato membro non ha ivi stabile org. solo perché il prestatore (giuridicamente distinto) gli dedica in esclusiva risorse; serve comunque una struttura propria del destinatario.
- Circolare GdF n.1/2008 – Istruzioni sulle verifiche fiscali: identifica le ipotesi di stabile organizzazione occulta e indirizza i militari a ricercare elementi probatori sul “centro di imputazione fiscale” in Italia.
- Circolare Agenzia Entrate n.32/E del 2006 – Par. su accertamento da indagini finanziarie: raccomanda di riconoscere costi presunti proporzionali ai ricavi accertati in caso di evasori totali.
- Circolare Agenzia Entrate n.9/E del 2015 – §2: linee guida sugli accertamenti, conferma che negli accertamenti induttivi globali va sempre ricostruito il reddito al netto delle spese emerse o presunte.
Accertamento per stabile organizzazione occulta? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Se l’Agenzia delle Entrate sospetta che un’impresa estera stia operando in Italia attraverso una struttura fittizia o non dichiarata, può procedere con un accertamento induttivo per contestare l’esistenza di una stabile organizzazione occulta.
In questo caso, l’intera attività potrebbe essere riqualificata come soggetta a tassazione in Italia, con conseguenze economiche e penali rilevanti. Ma è possibile difendersi.
Cos’è una stabile organizzazione occulta?
La stabile organizzazione è una sede fissa attraverso cui un’impresa estera esercita in tutto o in parte la sua attività in Italia.
Quando questa sede non viene dichiarata, si parla di stabile organizzazione “occulta”.
L’Agenzia delle Entrate può contestarla se rileva:
- 🏢 Presenza fisica in Italia (uffici, magazzini, dipendenti, agenti)
- 📦 Vendite o attività economiche dirette verso il mercato italiano
- 🤝 Contratti formalmente stipulati all’estero ma eseguiti o gestiti in Italia
- 💼 Funzioni decisionali e operative svolte nel territorio italiano
Perché l’accertamento è “induttivo”?
L’Agenzia può ricorrere all’accertamento induttivo quando ritiene che vi siano gravi inattendibilità o omissioni nella contabilità.
In caso di stabile organizzazione occulta:
- 📊 Ricostruisce i ricavi in base a indizi, indicatori economici o confronti con soggetti simili
- 📂 Utilizza dati bancari, flussi finanziari e indagini su clienti o fornitori
- ⚖️ Presume ricavi imponibili in Italia anche in assenza di scritture contabili regolari
Cosa rischia l’impresa estera?
Se l’Agenzia delle Entrate accerta l’esistenza di una stabile organizzazione occulta:
- 💰 Deve versare imposte, sanzioni e interessi in Italia per i redditi attribuiti
- 📅 Può subire accertamenti retroattivi fino a 5–7 anni
- ⚖️ Rischia contestazioni penali per dichiarazione infedele o omessa
- 🧾 Viene iscritta a ruolo e può subire pignoramenti in Italia
- 🌍 Subisce ripercussioni nei rapporti internazionali e nei crediti IVA intracomunitari
Come difendersi da un accertamento induttivo per stabile organizzazione occulta?
Una difesa efficace richiede:
- 📑 Verifica dettagliata del trattato contro le doppie imposizioni tra Italia e Paese estero
- 📂 Prove dell’effettiva autonomia operativa e fiscale dell’impresa estera
- 🏢 Documentazione su struttura, personale e luogo di direzione dell’attività
- 🧾 Dimostrazione che l’impresa non ha base fissa né funzioni esecutive in Italia
- ⚖️ Ricorso tempestivo per contestare metodologia, presunzioni e violazioni procedurali
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📂 Analizza l’accertamento e verifica la presenza (o meno) dei requisiti di stabile organizzazione
📑 Valuta l’applicabilità dei trattati internazionali e della disciplina OCSE
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✍️ Ti rappresenta anche in sede penale, in caso di denuncia per evasione
🔁 Ti assiste nella pianificazione fiscale internazionale e nella regolarizzazione spontanea
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Esperto in fiscalità internazionale e contenzioso su stabili organizzazioni
✔️ Consulente per procedimenti per accertamenti induttivi e violazioni IVA transfrontaliere
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per aziende estere
Conclusione
Un accertamento induttivo per stabile organizzazione occulta può mettere a rischio l’intera struttura fiscale di un’impresa estera. Ma con la documentazione corretta e l’assistenza legale adeguata, è possibile difendersi.
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