Accertamento Fiscale A Pensionato All’Estero: Cosa Fare

Hai ricevuto un accertamento fiscale pur essendo un pensionato residente all’estero e ti stai chiedendo perché l’Agenzia delle Entrate italiana ti chiede imposte, se vivi fuori dall’Italia e percepisci la pensione lì? Ti contestano di essere ancora fiscalmente residente in Italia o di non aver dichiarato i redditi percepiti?

Negli ultimi anni il Fisco italiano ha intensificato i controlli sui pensionati italiani trasferiti all’estero, in particolare in Paesi con agevolazioni fiscali. Ma essere pensionati all’estero non significa automaticamente essere esonerati dalle imposte in Italia. Difendersi è possibile, ma è fondamentale conoscere i criteri della residenza fiscale e le regole delle convenzioni internazionali.

Perché l’Italia può contestare imposte a un pensionato che vive all’estero?
– Perché l’iscrizione all’AIRE da sola non basta a dimostrare il trasferimento effettivo della residenza fiscale
– Perché se percepisci una pensione pubblica, spesso rimane imponibile in Italia, anche se vivi altrove
– Perché l’Agenzia può ritenere che tu abbia mantenuto il centro degli interessi personali e familiari in Italia
– Perché può sostenere che non hai correttamente dichiarato i redditi esteri (come pensioni integrative o immobiliari)

Cosa può contestarti l’Agenzia delle Entrate?
Omessa dichiarazione di redditi (pensione, affitti, capitali)
Finta residenza estera, con conseguente tassazione di tutti i redditi mondiali in Italia
Mancata compilazione del quadro RW, se possiedi conti o attività finanziarie all’estero
Applicazione retroattiva delle imposte per gli ultimi cinque anni, con sanzioni salate

Come puoi difenderti da un accertamento fiscale se sei un pensionato all’estero?
– Dimostrando con documenti concreti che la tua residenza fiscale si è effettivamente spostata all’estero
– Esibendo contratti di affitto o proprietà, bollette, conto corrente estero, iscrizione AIRE, legami familiari e sociali
– Verificando la tipologia della pensione (pubblica o privata), perché cambia il regime fiscale applicabile
– Applicando la convenzione contro le doppie imposizioni in vigore tra l’Italia e il Paese estero, che spesso risolve il conflitto

Quando la tua pensione è tassata solo all’estero?
– Se sei fiscalmente residente all’estero e percepisci una pensione privata
– Se la convenzione tra Italia e il tuo Paese prevede la tassazione esclusiva nel Paese di residenza
– Se non mantieni legami economici o familiari rilevanti in Italia
– Se dimostri di vivere effettivamente all’estero per più di 183 giorni all’anno

Cosa NON devi fare mai?
– Ignorare l’accertamento: se non reagisci, diventa definitivo e ti arrivano cartelle esattoriali
– Pensare che basti aver fatto il cambio di residenza anagrafica: serve dimostrare il trasferimento fiscale
– Continuare ad avere casa, famiglia o attività in Italia come se nulla fosse: il Fisco usa anche i social per ricostruire la tua vita reale
– Pagare senza controllare: in molti casi puoi evitare o ridurre la tassazione con una corretta difesa

Un pensionato può essere tassato solo all’estero, ma solo se dimostra in modo rigoroso il cambio di residenza fiscale.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in residenza fiscale e contenzioso internazionale – ti spiega quando il Fisco italiano può accertare un pensionato estero, come difendersi e quali documenti servono per provare la tua nuova residenza.

Hai ricevuto un accertamento pur essendo pensionato all’estero?

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Introduzione

Per molti cittadini italiani la prospettiva di trasferirsi all’estero dopo la pensione rappresenta un’opportunità allettante: un costo della vita magari inferiore, un clima migliore e, non da ultimo, una pressione fiscale più leggera sul trattamento pensionistico. Trasferire la residenza fiscale all’estero per godersi la pensione è del tutto lecito – non esiste alcun divieto di legge nel cercare condizioni più vantaggiose in un altro Paese – ma occorre fare attenzione. L’Agenzia delle Entrate italiana monitora con estrema attenzione questi trasferimenti per individuare eventuali residenze fittizie, cioè casi in cui il pensionato si dichiara residente all’estero solo sulla carta al fine di ottenere benefici fiscali, ma in realtà continua a vivere in Italia o a mantenervi il centro dei propri interessi. I controlli fiscali, dunque, sono molto rigorosi e mirati a verificare se un pensionato che percepisce redditi (in primis la pensione) sia effettivamente residente fuori dall’Italia o se, di fatto, debba considerarsi ancora residente in Italia ai fini tributari.

Questa guida intende fornire un quadro aggiornato a giugno 2025 su cosa fare in caso di accertamento fiscale nei confronti di un pensionato che si è trasferito all’estero. Verranno esaminati gli aspetti normativi più recenti (comprese le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 209/2023 in vigore dal 2024 sulla definizione di residenza fiscale), le convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni rilevanti per i redditi di pensione, le differenze di trattamento fiscale tra pensioni pubbliche e private, nonché i profili di contenzioso tributario e le strategie di difesa nel merito. Il tutto sarà esposto da un punto di vista pro-contribuente (il pensionato “debitore” nei confronti del Fisco), con un taglio avanzato ma dal linguaggio chiaro e divulgativo, utile sia ai professionisti del diritto tributario sia ai privati e imprenditori coinvolti. Troverete inoltre tabelle riepilogative, esempi pratici riferiti al contesto italiano, e una sezione di domande e risposte per chiarire i dubbi più frequenti.

In sintesi, se siete pensionati italiani residenti (o aspiranti residenti) all’estero e avete ricevuto una contestazione dal Fisco italiano – ad esempio un questionario sulla vostra residenza oppure un vero e proprio avviso di accertamento che vi considera residenti in Italia – questa guida vi aiuterà a capire la normativa applicabile, i vostri diritti e doveri, e le azioni da intraprendere per difendervi. Affronteremo dapprima i criteri che determinano la residenza fiscale secondo la legge italiana e le convenzioni internazionali, per poi esaminare come si svolge l’accertamento fiscale e quali prove sono richieste. Infine, vedremo come impostare la vostra difesa nel contenzioso tributario, quali sono le sanzioni in gioco e come prevenirle, il tutto supportato dalle più recenti fonti normative e giurisprudenziali disponibili.

Indice dei contenuti:

  • La residenza fiscale in Italia: criteri e novità normative
  • Trasferirsi all’estero e pensione italiana: effetti fiscali generali
  • Convenzioni contro le doppie imposizioni: tassazione delle pensioni private vs pubbliche
  • Accertamenti fiscali sui pensionati all’estero: come funzionano
  • Conseguenze di una contestazione fiscale: imposte e sanzioni
  • Difesa del contribuente: strumenti e strategie per contestare l’accertamento
  • FAQ – Domande frequenti
  • Fonti e riferimenti normativi

La residenza fiscale in Italia: criteri e novità normative

Per capire quando un pensionato che si trasferisce oltre confine può essere ancora considerato residente in Italia dal Fisco (con conseguente tassazione in Italia dei suoi redditi mondiali), è fondamentale conoscere i criteri legali di residenza fiscale previsti dal nostro ordinamento. La definizione di residente fiscale per le persone fisiche è contenuta nell’art. 2 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR, D.P.R. 917/1986). Dopo una recente riforma entrata in vigore dal 2024, tale disposizione recita – per la parte rilevante – quanto segue:

Art. 2, comma 2, TUIR (come modificato dal D.Lgs. 209/2023): Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno la residenza ai sensi del codice civile o il domicilio nel territorio dello Stato ovvero sono ivi presenti. […] Salvo prova contraria, si presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo d’imposta nelle anagrafi della popolazione residente.

In parole semplici, una persona fisica è fiscalmente residente in Italia se, per più di metà dell’anno (183 giorni, oppure 184 giorni in caso di anno bisestile), si verifica almeno uno di questi tre criteri (considerati in modo alternativo):

  1. Iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente di un Comune italiano (in altri termini, se il soggetto non si è cancellato dall’anagrafe italiana ed eventualmente iscritto all’AIRE, come vedremo a breve). Questo è un criterio formale.
  2. Residenza ai sensi del codice civile in Italia. La residenza civilistica è definita dall’art. 43, comma 2, c.c. come il luogo in cui la persona ha la dimora abituale. Si tratta di un criterio sostanziale, legato alla presenza fisica continuativa in un luogo e all’intenzione di abitarvi stabilmente.
  3. Domicilio ai sensi del codice civile in Italia. Il domicilio civilistico (art. 43, comma 1, c.c.) è definito come la sede principale degli affari e interessi di una persona. È anch’esso un criterio sostanziale, che attiene al centro degli interessi vitali del soggetto, intendendo con tale espressione sia gli interessi economico-patrimoniali sia le relazioni personali e familiari.

È sufficiente che anche uno solo di questi requisiti si verifichi per la maggior parte dell’anno, affinché la persona sia considerata residente fiscale in Italia. Questo implica, ad esempio, che un cittadino italiano iscritto all’AIRE ma che mantenga in Italia il proprio “domicilio” (centro di interessi economici e affettivi) potrebbe essere comunque ritenuto residente dal Fisco, e viceversa un soggetto formalmente ancora iscritto all’anagrafe italiana ma che abbia trasferito all’estero sia la dimora abituale che il centro dei propri legami personali ed economici, potrebbe far valere la propria residenza estera.

Occorre inoltre sottolineare due principi importanti sanciti dalla normativa e dalla prassi:

  • Il calcolo dei “183 giorni” include ora espressamente anche le frazioni di giorno di presenza sul territorio italiano. Questa novità, introdotta dalla riforma del 2023-2024, significa che ogni giorno in cui il soggetto ha soggiornato anche solo parzialmente in Italia conta come presenza ai fini del computo (in passato le frazioni di giorno erano considerate solo per i giorni trascorsi all’estero, secondo una Circolare ministeriale del 1997; ora la legge ufficializza il conteggio rigoroso anche delle ore di presenza in Italia). In pratica, bisogna prestare estrema attenzione al numero di giorni (o porzioni di giorno) trascorsi in Italia: se essi raggiungono 183 o più, il soggetto è considerato residente per tutto l’anno d’imposta di riferimento. Non è previsto nel nostro ordinamento interno un meccanismo di split year (frazionamento dell’anno fiscale in caso di trasferimento) – salvo quanto possa risultare da Convenzioni internazionali bilaterali, come vedremo più avanti. Dunque, ad esempio, se un pensionato si trasferisce all’estero ad agosto di un certo anno, avendo trascorso in Italia i primi 7 mesi abbondanti, per la legge italiana sarà comunque tassato come residente per l’intero anno (anche sui redditi percepiti dopo il trasferimento), fermo restando eventuali tutele offerte da una Convenzione contro le doppie imposizioni vigente con l’altro Stato.
  • Fino al 2023 esisteva una presunzione legale assoluta di residenza in Italia per i cittadini italiani non iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) e contemporaneamente iscritti nell’anagrafe della popolazione residente in Italia. In altre parole, la mancata iscrizione all’AIRE, combinata col fatto di risultare anagraficamente residente in un Comune italiano, veniva considerata ipso iure prova sufficiente di residenza fiscale italiana, senza possibilità per il contribuente di provare il contrario. La Corte di Cassazione aveva spesso applicato in modo rigoroso tale principio formale, negando rilievo alla residenza effettiva all’estero se non vi era stata la formale cancellazione anagrafica in Italia. Un orientamento giurisprudenziale del 2018, ad esempio, affermava che “si considerano in ogni caso residenti in Italia le persone iscritte nelle anagrafi della popolazione residente, e il trasferimento all’estero non rileva finché non risulti la cancellazione dall’Anagrafe di un Comune italiano”. Questa impostazione, molto penalizzante per i contribuenti, è cambiata con la riforma recente: dal 1° gennaio 2024 la presunzione legata all’iscrizione anagrafica è divenuta relativa, cioè ammette prova contraria. Ora, l’art. 2 comma 2 TUIR (come visto sopra) presume sì residenti le persone iscritte nelle anagrafi comunali per la maggior parte dell’anno, “salvo prova contraria”. Ciò significa che anche chi non si è iscritto all’AIRE (per distrazione o altro) non è più automaticamente considerato residente fiscale in Italia senza appello, ma può dimostrare di avere in realtà la residenza all’estero. Si tratta di una modifica di buonsenso, che supera un formalismo eccessivo del passato. Resta ovviamente fortemente consigliato iscriversi all’AIRE non appena si trasferisce la dimora all’estero, anche perché la Legge di Bilancio 2024 ha introdotto sanzioni amministrative pecuniarie per chi omette di iscriversi (da 200 a 1.000 euro per ogni anno di ritardo, fino a un massimo di 5.000 euro). In ogni caso, dal 2024 in poi la posizione dei pensionati non iscritti all’AIRE in sede di controlli fiscali è meno compromessa in partenza: la forma cede il passo alla sostanza, e conterà dimostrare dove si trovi effettivamente il centro della propria vita.
  • Una presunzione (questa vigente anche in passato e tuttora operante) riguarda invece chi si trasferisce in determinati Paesi esteri a fiscalità privilegiata (i cosiddetti Paradisi Fiscali). L’art. 2, comma 2-bis TUIR prevede che gli italiani emigrati in Stati o territori inclusi nella black list (individuata dal DM 4 maggio 1999) si presumono residenti in Italia salvo prova contraria. In questo caso vi è un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente: sarà il pensionato trasferito in un paradiso fiscale a dover dimostrare di aver lì stabilito la dimora e il domicilio in modo effettivo, altrimenti scatterà la presunzione (rafforzata) di residenza italiana. In altre parole, se un pensionato sposta la residenza (magari solo cartolare) in un Paese a tassazione nulla o molto bassa, l’Agenzia delle Entrate partirà dal presupposto che il trasferimento sia fittizio e considererà comunque il soggetto residente in Italia, a meno che quest’ultimo non fornisca elementi convincenti sul fatto che la sua vita si svolge realmente in quel Paese estero. È dunque necessaria massima cautela in operazioni del genere: non solo per le implicazioni fiscali, ma anche perché la scelta di trasferirsi in Stati “black list” attira comprensibilmente l’attenzione del Fisco con controlli approfonditi.

In definitiva, dal punto di vista normativo un pensionato italiano per essere considerato fiscalmente non residente in Italia deve:

  • aver trasferito all’estero la propria dimora abituale (residenza civilistica) e il centro dei propri rapporti personali ed economici (domicilio civilistico);
  • aver trascorso meno di 183 giorni in Italia nel corso di ciascun anno;
  • preferibilmente, aver formalizzato il trasferimento tramite l’iscrizione all’AIRE, specialmente se il Paese di destinazione non è a fiscalità privilegiata (in tal caso l’onere probatorio iniziale rimane in capo al Fisco, che dovrà fornire elementi “gravi, precisi e concordanti” di una permanenza in Italia).

Nel prosieguo vedremo quali prove concrete possano dimostrare tali circostanze. Prima, però, inquadriamo brevemente cosa comporta – in termini di tassazione – l’essere considerati residenti o meno in Italia, con specifico riguardo ai pensionati all’estero.

Trasferirsi all’estero e pensione italiana: effetti fiscali generali

Qual è il vantaggio fiscale di trasferirsi all’estero per un pensionato italiano? La differenza principale risiede nel principio della worldwide taxation vigente in Italia. Un soggetto residente fiscale in Italia infatti è tassato dall’Italia su tutti i redditi ovunque prodotti nel mondo (principio del reddito mondiale, art. 3, comma 1 TUIR). Al contrario, un soggetto non residente in Italia è tassato dall’Italia solo sui redditi prodotti in Italia (principio della fonte territoriale).

  • Dunque, se un pensionato rimane residente fiscale in Italia, dovrà dichiarare nel nostro Paese l’insieme dei suoi redditi, includendo sia la pensione sia eventuali altri proventi esteri, beneficiando eventualmente di crediti d’imposta per le imposte pagate all’estero (per evitare doppie imposizioni). In pratica però, la sua pensione percepita all’estero sarà comunque sottoposta all’IRPEF italiana (aliquote progressive fino al 43% oltre alle addizionali), salve esenzioni o detrazioni applicabili, e anche gli altri redditi esteri dovranno essere dichiarati in Italia (con riconoscimento di un credito per le imposte pagate nel Paese estero, se c’è capienza). Inoltre, dovrà compilare il Quadro RW della dichiarazione dei redditi per monitorare eventuali attività estere (conti correnti, immobili, investimenti) detenute fuori d’Italia.
  • Viceversa, se il pensionato diventa (o viene riconosciuto) non residente in Italia, il Fisco italiano non potrà tassare i suoi redditi “esteri”. In particolare, la pensione erogata dall’Italia potrebbe non subire la normale tassazione IRPEF alla fonte: infatti, se esiste una Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia e il Paese di residenza estera, spesso tale accordo prevede che la pensione sia tassata solo nel Paese di residenza del beneficiario (nel caso delle pensioni private, come vedremo). In questi casi l’INPS o l’ente pensionistico italiano, su richiesta e presentazione della documentazione di residenza estera, eroga la pensione lorda senza applicare le ritenute IRPEF italiane, lasciando la tassazione al Paese estero. Così, ad esempio, un pensionato italiano residente in Portogallo (Paese con cui l’Italia ha una convenzione) può percepire la pensione dall’INPS senza ritenute, e sarà poi il Portogallo a tassarla secondo la propria (mite) aliquota del 10% o addirittura 0% in base al regime fiscale locale. Se invece il Paese estero non ha alcuna convenzione fiscale con l’Italia, può verificarsi una doppia tassazione: l’Italia continuerà a prelevare imposta alla fonte sulla pensione (trattandola come reddito prodotto in Italia, ancorché il beneficiario sia all’estero) e anche il Paese di residenza potrebbe tassare quel reddito in base alle proprie leggi interne. In tali casi, il pensionato non residente potrà comunque beneficiare di alcune tutele: ad esempio, l’ordinamento italiano riconosce ai non residenti la possibilità di chiedere il rimborso delle imposte italiane subìte su redditi (come la pensione) che, in base a normative interne o accordi bilaterali, dovevano essere tassati solo all’estero, oppure – se rimane la doppia tassazione – il Paese di residenza solitamente concede un credito d’imposta per quanto versato in Italia. È comunque una situazione complessa che si cerca di evitare stipulando trattati bilaterali.

Va poi considerato il trattamento specifico delle pensioni pubbliche (erogate dallo Stato italiano o da enti pubblici) rispetto alle pensioni private (erogate da enti previdenziali per lavoro nel settore privato). La distinzione rileva soprattutto in sede di convenzioni internazionali e incide su chi abbia il potere di tassare il reddito pensionistico. Approfondiamo questo aspetto nel prossimo paragrafo, perché un pensionato pubblico all’estero potrebbe dover subire comunque la tassazione in Italia anche se è residente fuori, a differenza di un pensionato privato.

Prima di procedere alle convenzioni, facciamo un breve riepilogo schematico di cosa comporta, in termini fiscali, essere residente o non residente in Italia per un pensionato:

Profilo fiscaleResidente fiscale in ItaliaNon residente fiscale in Italia
Tassazione pensione italianaAssoggettata a IRPEF italiana (aliquote progressive) con eventuale credito per imposte estere se la pensione è tassata anche all’estero.Di regola esente da IRPEF italiana se esiste Convenzione che attribuisce tassazione esclusiva allo Stato estero di residenza. Se non c’è Convenzione, l’Italia applica imposta alla fonte (salvo rimborso) e si rischia doppia tassazione con credito nel Paese estero.
Tassazione altri redditi esteriImpostati in Italia (dichiarazione dei redditi) con credito per eventuali imposte pagate all’estero (evitando doppia imposizione).Non imponibili in Italia (lo Stato italiano tassa solo redditi prodotti nel suo territorio). Eccezione: eventuali redditi di fonte italiana rimangono tassati in Italia (es: affitto di immobile in Italia, interessi bancari in Italia, etc.).
Obblighi dichiarativi in ItaliaDichiarazione dei redditi annuale includendo tutti i redditi esteri. Quadro RW per monitoraggio di attività finanziarie e patrimoniali estere (conto estero, casa all’estero, investimenti).Nessuna dichiarazione dei redditi da presentare in Italia, se non si percepiscono redditi di fonte italiana. In caso di redditi italiani (es. una casa affittata in Italia), va presentata dichiarazione solo per quei redditi. Nessun obbligo di Quadro RW per attività estere se non si è residenti.
Successione e donazioneI residenti in Italia sono soggetti all’imposta di successione/donazione su beni ovunque situati nel mondo.I non residenti sono soggetti a successione/donazione in Italia solo per i beni che si trovano in Italia. (Profilo extratributario, ma utile da notare in ottica pianificazione).

(Tabella: Differenze fiscali tra pensionato residente vs non residente in Italia.)

Convenzioni contro le doppie imposizioni: tassazione delle pensioni private vs pubbliche

L’Italia ha stipulato oltre 100 Convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni (DTA, Double Taxation Agreements) con altrettanti Paesi, basate in gran parte sul Modello OCSE di Convenzione fiscale. Tali accordi prevedono criteri univoci per stabilire a quale Stato spetti la potestà impositiva sui vari redditi, tra cui le pensioni. Lo scopo è evitare che uno stesso reddito venga tassato due volte (dallo Stato della fonte e dallo Stato di residenza) e risolvere i conflitti di residenza fiscale.

Due articoli chiave del Modello OCSE – ripresi sostanzialmente in quasi tutte le convenzioni italiane – riguardano le pensioni:

  • Articolo 18 (Pensioni private): disciplina le pensioni (e altre remunerazioni analoghe) pagate in relazione ad un impiego nel settore privato. La regola generale del Modello OCSE è che queste sono tassabili esclusivamente nello Stato di residenza del beneficiario (quindi nello Stato estero se il pensionato vi risiede), a meno che la specifica convenzione bilaterale preveda diversamente. Ciò significa che, se ad esempio un cittadino italiano percepisce una pensione INPS derivante da lavoro dipendente in un’azienda privata e si trasferisce in uno Stato convenzionato, quell’pensione non potrà essere tassata in Italia, ma solo nel nuovo Stato di residenza. Questa è la situazione più frequente per i pensionati italiani all’estero: la maggior parte ha pensioni contributive da lavoro privato (INPS o fondo pensione) e pressoché tutte le convenzioni attribuiscono la tassazione al Paese di residenza (fanno eccezione rarissimi casi con clausole particolari). Ad esempio, un ex impiegato di un’azienda privata italiana residente in Portogallo beneficerà della tassazione esclusiva in Portogallo della pensione, con aliquota agevolata locale (spesso 10%) e nessuna imposizione in Italia. Se invece il Paese di residenza non ha una convenzione con l’Italia conforme al modello OCSE o prevede regole differenti, può accadere – come accennato – che la pensione sia tassata in entrambi i Paesi. In assenza di accordo, l’Italia considera comunque imponibile la pensione italiana, e lo Stato estero potrebbe fare altrettanto in base alla propria legge domestica. In tali frangenti si dovrà ricorrere ai meccanismi unilaterali di sollievo dalla doppia imposizione (tipicamente, credito per le imposte pagate all’estero in uno dei due Paesi). Esempi di pensioni private: rientrano in questa categoria i trattamenti pensionistici erogati dall’INPS per lavoro dipendente privato, le pensioni derivanti da fondi pensione integrativi, le pensioni per aver esercitato arti o professioni come lavoratore autonomo, etc..
  • Articolo 19 (Pensioni pubbliche): riguarda le pensioni e le remunerazioni pagate da uno Stato o da un suo ente locale per servizi resi nella funzione di dipendente pubblico (esclusi i pagamenti per la previdenza sociale obbligatoria ordinaria, che rientrano nell’art. 18). Il principio generale è che tali pensioni pubbliche sono tassabili solo nello Stato che le eroga, ossia lo Stato datore di lavoro pubblico (l’Italia, nel nostro caso), salvo il caso in cui il beneficiario sia residente e cittadino dell’altro Stato e non cittadino dello Stato erogante. Questa eccezione significa, ad esempio, che se un ex dipendente pubblico italiano (supponiamo un ex insegnante statale) si trasferisce in Francia e acquisisce la cittadinanza francese (rinunciando o perdendo quella italiana), e ovviamente è residente fiscale in Francia, allora la sua pensione potrà essere tassata solo in Francia (perché si verificano entrambe le condizioni di eccezione: è cittadino e residente dell’altro Stato e non è più cittadino dello Stato erogante). In tutti gli altri casi, però – e in particolare per chi rimane cittadino italiano – la regola standard è che la pensione pubblica resta imponibile esclusivamente in Italia. Dunque un ex dipendente pubblico italiano sarà in linea di massima sempre tassato in Italia sulla propria pensione, anche dopo il trasferimento all’estero, con poche eccezioni legate alle specifiche convenzioni bilaterali. Alcune Convenzioni più recenti o con determinati Paesi introducono eccezioni leggermente diverse; ad esempio, la Convenzione Italia-Tunisia prevede al paragrafo 2 dell’art. 19 che alcune pensioni pubbliche possano essere tassate anche in Tunisia, e disposizioni analoghe si trovano nella Convenzione con il Senegal (art. 19(2)), con l’Australia (che tratta diversamente le pensioni pubbliche locali assimilando alcune all’art. 18) e con la Costa d’Avorio. Si tratta però di eccezioni: la stragrande maggioranza degli accordi riflette il modello OCSE puro. Esempi di pensioni pubbliche: vi rientrano le pensioni erogate dallo Stato italiano o da enti pubblici ai propri ex dipendenti. Ad esempio: pensioni di ex insegnanti, militari, forze di polizia, magistrati, dipendenti ministeriali o di enti locali, e in genere di chiunque abbia lavorato nella pubblica amministrazione italiana. Attenzione: la pensione INPS di un lavoratore privato non diventa “pubblica” solo perché erogata dall’INPS – ciò che conta è la natura del datore di lavoro originario. Dunque l’assegno di un ex impiegato Fiat rimane pensione privata (INPS settore privato); l’assegno di un ex vigile urbano è pensione pubblica (ex dipendente pubblico). Spesso anche le pensioni dei liberi professionisti (casse professionali) seguono il regime delle private, poiché non sono corrisposte dallo Stato per servizi pubblici.

Riepilogo in tabella – Tassazione delle pensioni nelle Convenzioni:

Tipo di pensioneRegola generale (Modello OCSE)Applicazione pratica
Pensione privata (da lavoro privato o contributi previdenziali generali)Tassazione esclusiva nello Stato di residenza del beneficiario (art. 18).La pensione italiana NON è tassata in Italia, ma solo nel Paese estero di residenza, salvo diversa previsione della Convenzione. Esempio: Pensione INPS ex metalmeccanico residente in Portogallo ⇒ tassazione solo in Portogallo (10%), esente da IRPEF italiana. Se il Paese estero non ha Convenzione, possibile doppia tassazione con rimedi unilaterali.
Pensione pubblica (erogata dallo Stato/ente pubblico per servizio pubblico)Tassazione esclusiva nello Stato pagatore (Stato che eroga la pensione), ossia in Italia per pensioni pubbliche italiane (art. 19). Eccezione: se beneficiario residente e cittadino dell’altro Stato e non cittadino dello Stato erogante, allora tassazione nello Stato di residenza (art. 19(2)).La pensione ex pubblico impiego italiano è di norma tassata solo in Italia, anche se il pensionato vive all’estero. Esempio: Pensione di ex insegnante statale residente in Spagna ⇒ tassata in Italia (IRPEF), nessuna imposizione in Spagna (la Convenzione Italia-Spagna segue art. 19 Mod. OCSE). Esempio eccezione: Ex funzionario italiano emigrato in Australia, divenuto cittadino australiano ⇒ soddisfa le condizioni per tassazione solo in Australia (come da Convenzione Italia-Australia, art. 18, equiparata a pensione privata).

(Tabella: Regime di tassazione delle pensioni in base alle Convenzioni internazionali, confronto pensioni private vs pubbliche.)

Oltre agli articoli specifici sulle pensioni, le Convenzioni contengono un articolo fondamentale per risolvere i casi di doppia residenza fiscale (art. 4 del Modello OCSE, par. 2). Può capitare infatti che, secondo le leggi interne, un pensionato risulti residente in due Stati contemporaneamente (ad esempio, primo anno di espatrio: l’Italia lo considera residente perché iscritto all’anagrafe fino a settembre, l’altro Stato lo considera residente perché presente lì oltre metà anno). In tali frangenti intervengono le cosiddette tie-breaker rules, criteri successivi di prevalenza stabiliti dalla Convenzione, applicati in ordine gerarchico:

  1. prevale lo Stato in cui la persona ha un’abitazione permanente a disposizione;
  2. se ha un’abitazione in entrambi gli Stati (o in nessuno), prevale lo Stato in cui si trovano le relazioni personali ed economiche più strette (definito appunto “centro degli interessi vitali”);
  3. se ancora non si risolve, si guarda al soggiorno abituale (dove la persona soggiorna più a lungo nel corso del tempo);
  4. poi alla cittadinanza;
  5. infine, in extrema ratio, le autorità fiscali dei due Stati si accordano amichevolmente per decidere.

Queste regole di collegamento convenzionali diventano cruciali nella difesa del contribuente: se il Fisco italiano contesta la residenza in Italia ma esiste una Convenzione con tie-breaker che, applicata ai fatti, attribuisce la residenza all’altro Stato, il contribuente può far valere la preminenza della norma convenzionale su quella interna. La Suprema Corte ha affermato in alcuni casi recenti che le disposizioni delle Convenzioni internazionali – una volta ratificate – prevalgono sul diritto interno in caso di contrasto, in virtù anche dell’art. 75 della Costituzione (che equipara i trattati internazionali alle fonti primarie interne). Dunque, ad esempio, se per l’ordinamento italiano Tizio risulta residente (magari perché non si era cancellato dall’anagrafe in tempo) ma applicando il tie-breaker della Convenzione con la Svizzera emerge che Tizio ha l’abitazione permanente e il centro degli interessi in Svizzera, Tizio va considerato residente in Svizzera agli effetti fiscali e l’Italia non potrà tassarlo come residente né pretendere imposte sulla sua pensione oltre quanto eventualmente le compete come Stato della fonte. Nel seguito, vedremo come la giurisprudenza italiana si sia evoluta su questo tema e come invocare correttamente la Convenzione in sede di accertamento e contenzioso.

Accertamenti fiscali sui pensionati all’estero: come funzionano

Come anticipato, l’Agenzia delle Entrate dedica particolare attenzione ai pensionati che si sono trasferiti all’estero, per individuare eventuali “falsi emigrati”. L’obiettivo dichiarato è di evitare trasferimenti fittizi di residenza con il solo scopo di ottenere risparmi d’imposta. Ma concretamente, quali controlli effettua il Fisco e come avviene un accertamento di questo tipo?

Motivi tipici di contestazione e indicatori di residenza in Italia

L’Amministrazione finanziaria ha sviluppato una serie di indicatori e segnali di allarme che possono far scattare verifiche nei confronti di un pensionato residente all’estero. In sintesi, le situazioni che il Fisco mira a scoprire sono:

  • Residenza fiscale non effettiva: il soggetto risulta formalmente residente all’estero (ad esempio è iscritto all’AIRE), ma trascorre la maggior parte dell’anno in Italia. Un pensionato che passa più tempo in Italia che all’estero, pur avendo dichiarato di essersi trasferito, è il primo candidato a subire accertamenti.
  • Mantenimento di legami economici o familiari rilevanti in Italia: il contribuente continua ad avere in Italia interessi importanti, ad esempio possiede proprietà immobiliari, ha un conto corrente bancario di importo significativo, mantiene attività d’impresa o cariche sociali in società italiane, oppure ha la famiglia (coniuge e figli) che risiede ancora in Italia. Questi elementi indicano che il suo centro di interessi potrebbe ancora essere in Italia.
  • Utilizzo di servizi pubblici italiani (sanitari e non): un classico esempio è la richiesta e utilizzo della tessera sanitaria italiana, l’accesso frequente a cure mediche rimborsate dal Servizio Sanitario Nazionale, o anche iscrizioni a servizi pubblici riservati ai residenti. Un pensionato che di fatto usufruisce regolarmente del sistema sanitario italiano dà un chiaro segnale di presenza stabile nel Paese.
  • Flussi finanziari sospetti da/verso l’estero: movimenti bancari anomali, come frequenti prelievi o bonifici esteri effettuati sul territorio italiano, spese con carte di credito estere effettuate di continuo in negozi italiani, utilizzo di bancomat esteri in Italia, ecc. possono rivelare una presenza fisica abituale in Italia del soggetto nonostante la residenza dichiarata altrove. Analogamente, un’elevata movimentazione di denaro dall’Italia verso conti esteri potrebbe far sorgere sospetti di operazioni elusive.

A questi elementi si aggiungono le situazioni specifiche già menzionate: il trasferimento in Paesi “black list” accende automaticamente un faro sull’ex residente; la mancata iscrizione AIRE (specie per annualità anteriori al 2024) può anch’essa attivare il controllo immediato.

In pratica, l’Agenzia incrocia una molteplicità di banche dati per raccogliere queste informazioni preliminari. I principali archivi consultati includono:

  • l’Anagrafe Tributaria (dichiarazioni fiscali pregresse, atti del registro, contratti, utenze, ecc.);
  • i registri dell’AIRE (elenchi degli italiani ufficialmente residenti all’estero);
  • i dati finanziari dell’Anagrafe dei conti correnti e rapporti finanziari (movimenti bancari, investimenti);
  • le segnalazioni della IV Direzione (antiriciclaggio) su trasferimenti di denaro;
  • le informazioni sui transiti di frontiera e viaggi aerei (liste passeggeri, controlli di frontiera Schengen in ingresso/uscita, utilizzo del passaporto o carta d’identità ai varchi);
  • l’utilizzo di carte di pagamento (grazie al monitoraggio dei circuiti elettronici, POS, ATM che possono indicare dove vengono spesi i soldi);
  • eventuali dati forniti da INPS o altri enti (ad esempio, l’INPS potrebbe segnalare chi ha richiesto l’esenzione da imposte italiane sulla pensione per residenza estera, fornendo al Fisco un elenco di pensionati “esentati” su cui vigilare).

Già da questi incroci la posizione del pensionato viene profilata: se emergono incongruenze (per esempio risultano utenze attive e consumi elevati su una casa in Italia nonostante l’interessato asserisca di vivere a Tenerife, oppure il soggetto appare in Italia da tabulati di frontiera per 10 mesi l’anno), l’ufficio procede con l’attività successiva.

La procedura di accertamento: fasi e tempi

Un accertamento fiscale sulla residenza si sviluppa tipicamente in più fasi:

  1. Segnalazione e analisi preliminare: come detto, l’ufficio elabora una segnalazione interna a seguito dell’analisi dei dati disponibili (AIRE, INPS, banche, ecc.) o di indicatori di anomalia. Questa è una fase “silenziosa” in cui il contribuente ancora non viene coinvolto. Potrebbe durare diversi mesi, durante i quali il Fisco raccoglie elementi e valuta se vi siano sufficienti indizi di residenza in Italia.
  2. Richiesta di informazioni al contribuente: se i sospetti sono fondati, l’Agenzia delle Entrate passa a una fase attiva inviando al pensionato una comunicazione ufficiale. Spesso si tratta di un questionario oppure di un invito a comparire presso gli uffici. Nel questionario vengono poste domande precise circa la residenza (da quando vive all’estero, dove, con chi, che attività svolge, quante volte è tornato in Italia, ecc.) e richiesto di fornire documentazione a supporto. L’invito a comparire può essere alternativo o successivo: è un colloquio in cui il contribuente (eventualmente assistito da un professionista) espone la propria situazione e può giustificare l’effettiva residenza estera. Questa fase è cruciale: le risposte e i documenti forniti qui possono indirizzare l’esito dell’accertamento. È importante dunque rispondere accuratamente, senza omissioni o inesattezze, perché false risposte potrebbero aggravare la posizione.
  3. Verifica documentale e istruttoria: l’ufficio esamina le informazioni ricevute e spesso procede a ulteriori verifiche. Ad esempio, può controllare i consumi delle utenze (per capire quanta elettricità/acqua viene consumata nell’abitazione italiana, segno di presenza o meno), i tabulati Telepass o pedaggi autostradali (in alcuni casi, come in un famoso contenzioso giunto in Cassazione, i movimenti Telepass hanno provato che il contribuente attraversava quotidianamente il confine per lavorare, dimostrando che la dimora era all’estero), l’uso di carte di credito (dove e quando sono state usate), i registri comunali (per vedere se magari risultano iscrizioni di figli a scuole italiane, o accessi a servizi sanitari locali), ecc. Se il contribuente ha fornito contratti di affitto esteri, bollette estere, iscrizioni all’anagrafe estera, questi verranno valutati e – se ritenuto opportuno – le autorità fiscali estere potrebbero essere coinvolte per verificarne l’autenticità o ottenere informazioni integrative (grazie allo scambio di informazioni internazionale). Questa fase istruttoria può includere anche sopralluoghi in Italia (es. una verifica che l’abitazione italiana del pensionato sia effettivamente sfitta o data in locazione ad altri, e non occupata da familiari o dal pensionato stesso). Tutto quanto emerge viene messo insieme a formare il quadro probatorio.
  4. Conclusione dell’accertamento: all’esito dell’analisi, se l’ufficio ritiene provato che il pensionato non ha realmente trasferito all’estero la residenza fiscale, procederà a qualificare il soggetto come residente in Italia per i periodi d’imposta contestati e ne trarrà le conseguenze fiscali. In pratica verrà emesso un avviso di accertamento con cui si recuperano le imposte ritenute evase (tipicamente IRPEF sulle pensioni per gli anni non prescritti) e si applicano le relative sanzioni e interessi. Se invece la documentazione fornita dal contribuente convince l’ufficio della legittimità del trasferimento (o comunque non si raggiunge la prova sufficiente per contestare la residenza italiana), l’indagine potrà essere archiviata senza conseguenze per il pensionato. Nella prassi, l’Agenzia tende a procedere con l’accertamento formale solo quando ha raccolto vari elementi consistenti a proprio favore; raramente “lascia andare” un caso dubitando, perché preferisce eventualmente far decidere al giudice in sede contenziosa. È quindi più probabile ricevere un avviso di accertamento se la posizione presenta diverse criticità e se il contribuente non è riuscito a dissipare i dubbi nella fase di contraddittorio.

Tempi: I termini di decadenza per l’accertamento fiscale variano a seconda che il contribuente abbia presentato o meno le dichiarazioni dei redditi negli anni contestati. Nel caso di residenza estera, spesso il pensionato non presenta affatto la dichiarazione in Italia (ritenendo di non doverlo fare): ciò configura un’omessa dichiarazione. Per l’omessa dichiarazione, il Fisco può notificare accertamenti entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello in cui la dichiarazione sarebbe dovuta (termine raddoppiato rispetto ai 4 anni ordinari) – ad esempio, per l’anno d’imposta 2018 non dichiarato, c’è tempo fino al 31/12/2026. Questo spiega perché l’avviso di accertamento può riguardare fino a 8 anni addietro. In genere, infatti, vengono contestati vari anni insieme (una “serie” di annualità non prescritte). Se invece il contribuente presentava la dichiarazione (magari indicando solo alcuni redditi italiani e omettendo il resto), il termine è il quarto anno successivo (ad es. redditi 2018 dichiarati parzialmente -> accertamento fino al 31/12/2023). In ogni caso, quando arriva un avviso questo copre spesso tutte le annualità accertabili ancora aperte.

Esempi pratici di accertamenti

Per fissare le idee, immaginiamo alcuni scenari tipici:

  • Esempio 1: Mario, ex dirigente d’azienda in pensione, si trasferisce nel 2019 a Dubai (Emirati Arabi, Paese a fiscalità nulla, black list). Non si iscrive all’AIRE e continua a tornare spesso in Italia dove ha casa e famiglia. Nel 2025 riceve un questionario dall’Agenzia delle Entrate. La sua posizione presenta vari “red flag”: Paese black list (onere della prova invertito), mancata iscrizione AIRE (per gli anni fino al 2023 era presunzione assoluta), proprietà e moglie rimaste in Italia. Mario risponde tardivamente e in modo poco documentato. L’ufficio, incrociando i dati, scopre che Mario risultava in Italia per oltre 200 giorni ogni anno (grazie ai timbri sul passaporto e ai transiti aeroportuali) e che spendeva in Italia con la carta di credito grosse somme. Verrà quindi emesso accertamento dichiarandolo residente in Italia dal 2019 in poi, con recupero IRPEF sulla sua pensione estera (che Mario non aveva mai dichiarato in Italia credendosi esente) e relative sanzioni.
  • Esempio 2: Lucia, ex insegnante pubblica, si trasferisce nel 2020 in Spagna. Si iscrive all’AIRE regolarmente e vive stabilmente a Valencia, dove ha comprato casa. Torna in Italia solo 2 settimane l’anno per visitare parenti. La sua pensione pubblica continua ad esserle pagata dall’Inps con ritenute IRPEF (non avendo diritto all’esenzione da convenzione). Nel 2024 riceve un questionario. Lucia, con l’aiuto di un consulente, fornisce copia del rogito della casa in Spagna, certificati di residenza spagnoli, bollette spagnole e biglietti aerei attestanti la permanenza lì per circa 340 giorni l’anno, dichiarazioni dei vicini in Spagna, ecc. L’Agenzia, verificati i dati (anche tramite l’Agencia Tributaria spagnola), non riscontra appigli per contestare la residenza italiana e archivia il caso. Lucia rimarrà quindi non residente fiscalmente in Italia (ma comunque paga le imposte italiane sulla pensione pubblica, perché la convenzione lo prevede).
  • Esempio 3: Franco, ex operaio, si trasferisce nel 2017 in Portogallo aderendo al regime per pensionati esteri (aliquota 10% per 10 anni). Si iscrive all’AIRE e ottiene dall’INPS la pensione lorda senza IRPEF italiana, presentando il certificato di residenza fiscale portoghese. Nel 2023 però l’Agenzia delle Entrate lo convoca perché da controlli è emerso che Franco possiede ancora la sua casa in Italia (sebbene chiusa) e soprattutto ha un’attività di rappresentanza commerciale in Italia aperta a suo nome nel 2019. Franco effettivamente è tornato spesso per seguire questa attività. Non avendo dichiarato i redditi d’impresa in Italia (ritenendo erroneamente di non doverlo fare, ma l’attività essendo in Italia andava dichiarata), ora gli viene contestata la residenza in Italia per gli anni 2019-2022. Pur avendo famiglia e dimora a Lisbona, il suo coinvolgimento in un business stabile in Italia e la prolungata presenza per lavoro fanno propendere il Fisco per considerarlo domiciliato in Italia. Franco dovrà affrontare un contenzioso per dimostrare che la gestione dell’attività era marginale e non riportava il centro dei suoi interessi in Italia.

Conseguenze di una contestazione fiscale: imposte e sanzioni

Se l’accertamento si conclude in senso sfavorevole al pensionato, dichiarandolo di fatto residente in Italia per i periodi in esame, le conseguenze possono essere economicamente molto pesanti. Vediamo i principali effetti:

  • Recupero delle imposte non pagate: l’Agenzia ricalcola le imposte dovute applicando la normativa italiana come se il contribuente fosse sempre stato residente. Tipicamente verrà richiesta l’IRPEF sulle pensioni percepite all’estero in quegli anni, sottraendo solo quanto eventualmente già pagato in Italia. Ad esempio, se il pensionato aveva ottenuto la pensione lorda senza ritenute (credendosi esente per convenzione) e non ha versato nulla all’Italia, dovrà ora l’intero importo IRPEF per ogni anno (calcolato sugli scaglioni di reddito). Se invece qualche imposta era stata pagata (es. nel caso di pensione pubblica già tassata alla fonte in Italia o di acconti versati), verrà imputato il conguaglio. L’orizzonte temporale, come detto, può arrivare fino a 8 anni addietro, quindi il debito può cumularsi su molte annualità.
  • Sanzione per omessa dichiarazione dei redditi: poiché nella maggior parte dei casi il pensionato all’estero non aveva presentato la dichiarazione dei redditi in Italia (ritenendo di non doverlo fare da non residente), la condotta contestata configura l’omessa dichiarazione dei redditi imponibili. La sanzione amministrativa prevista dal D.Lgs. 471/1997 per omessa dichiarazione (quando comporta imposta evasa) è dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, con un minimo di 250 euro. L’Agenzia in genere applica almeno il 120% dell’imposta evasa. Ciò significa, ad esempio, che se su una pensione X il contribuente avrebbe dovuto pagare 10.000 € di IRPEF l’anno e non l’ha fatto, per ciascun anno gli verranno irrogate sanzioni per circa 12.000 € (oltre ai 10.000 di imposta da versare). È evidente come in 5-6 anni questo possa tradursi in decine di migliaia di euro di sole sanzioni. Per i periodi più recenti, se il contribuente aveva invece presentato la dichiarazione ma infedele (omettendo alcuni redditi), si applicherebbe la sanzione da infedele dichiarazione (90% dell’imposta evasa per imposte sui redditi).
  • Interessi di mora: sulle somme dovute (imposte) si calcolano anche gli interessi legali maturati dal giorno in cui le imposte sarebbero state da versare (16 giugno dell’anno successivo per saldo IRPEF, tipicamente) fino al pagamento. Il tasso d’interesse legale è variato negli anni (recentemente è stato al 1,25% annuo per il 2020, 1,5% nel 2021, 4% nel 2023, 5% nel 2024 ecc. – viene aggiornato di anno in anno). Gli interessi, pur non essendo punitivi, aggiungono qualche punto percentuale al debito complessivo.
  • Sanzioni da monitoraggio fiscale (Quadro RW): aspetto spesso trascurato ma potenzialmente assai oneroso. Se il soggetto, ritenendosi non residente, non ha compilato il Quadro RW per segnalare le attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero (conto corrente estero, casa all’estero, investimenti), e ora viene considerato residente, formalmente ha violato gli obblighi di monitoraggio per quegli anni. La sanzione per l’omessa compilazione del quadro RW va dal 3% al 15% del valore degli asset finanziari esteri non dichiarati, per ciascun anno. Se gli asset si trovano in Paesi black list (non collaborativi), le sanzioni raddoppiano al 6%-30%. Questo può raggiungere cifre altissime: ad esempio, un conto estero con 100.000 € non dichiarato per 5 anni potrebbe subire 15.000€ * 5 = 75.000 € di multa (oltre alle imposte eventualmente dovute sugli interessi). Va detto che spesso, nei casi di residenza contestata, il Fisco tende a concentrare le energie sulle imposte principali; tuttavia nulla vieta che applichi anche queste sanzioni accessorie. In alcuni accertamenti, specie se importi di conto elevati o immobili esteri di valore, le multe RW possono superare persino le imposte evase.
  • Profili penali tributari: non vanno nemmeno dimenticate le possibili conseguenze penali. L’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi costituisce reato ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. 74/2000 se l’imposta evasa supera 50.000 € per ciascun anno. In molti casi di pensionati all’estero la soglia potrebbe non essere raggiunta annualmente (specie se la pensione non era altissima); ma qualora lo fosse, l’Agenzia delle Entrate dopo l’accertamento segnala la notizia di reato alla Procura. La pena per omessa dichiarazione è la reclusione da 2 a 5 anni (ed è unificata per più annualità omesse se commesse con più atti esecutivi di un medesimo disegno). Anche il riciclaggio e autoriciclaggio potrebbero ipotizzarsi qualora grosse somme sottratte a tassazione fossero state occultate. In sintesi, uno scenario da evitare: è sempre preferibile regolarizzare spontaneamente o contestare in via amministrativa, piuttosto che arrivare al penale.

In definitiva, se l’Agenzia dimostra che il pensionato era in realtà un residente “mascherato”, il malcapitato si troverà a dover pagare le imposte arretrate per tutti gli anni contestati, con un aggravio di sanzioni molto alto (minimo 1,2 volte l’imposta) più interessi, e con il rischio di sanzioni aggiuntive su eventuali asset esteri non dichiarati. Ad esempio, un pensionato che non ha pagato 10.000 € l’anno per 5 anni potrebbe vedersi chiedere 50.000 € di imposte, 60.000 € di sanzioni, qualche migliaio di interessi, per un totale intorno a 115-120 mila euro, oltre la tassazione corrente che comunque dovrà riprendere in Italia. È facile comprendere come queste cifre possano mettere in seria difficoltà economica un soggetto. Per questo è fondamentale, da un lato, prevenire tali situazioni (trasferirsi cum grano salis, lasciando meno possibili appigli al Fisco) e, dall’altro, conoscere le strategie di difesa per contestare un eventuale accertamento ingiusto.

Difesa del contribuente: strumenti e strategie per contestare l’accertamento

Dal punto di vista del pensionato destinatario di un accertamento sulla residenza, è essenziale sapere cosa fare e come tutelare i propri diritti. In questa sezione ci poniamo dalla parte del contribuente (il debitore delle imposte contestate) e analizziamo le possibili strategie difensive, sia in fase pre-contenziosa (nei confronti dell’ufficio) che contenziosa (davanti ai giudici tributari). Ricordiamo che il punto di vista è quello di chi ha effettivamente trasferito all’estero la residenza in buona fede e si vede ingiustamente contestare la residenza in Italia; non tratteremo l’ipotesi del contribuente colto in palese simulazione dolosa (in quel caso, le possibilità di successo sono ovviamente scarse, se l’evidenza è contro di lui).

Prepararsi sin da subito: il “dossier” di trasferimento

Una buona difesa comincia prima ancora che sorga la lite. Chi si trasferisce all’estero farebbe bene a predisporre e conservare accuratamente un dossier documentale che attesti tutti gli elementi chiave del cambiamento di residenza. Questo fascicolo di prove potrà poi essere immediatamente esibito in caso di controlli, spesso dissuadendo l’ufficio dal procedere ulteriormente. Le prove principali da raccogliere e tenere pronte sono:

  • Contratto di locazione estero o atto di acquisto dell’abitazione all’estero. Dimostrare di avere un’abitazione permanente nel Paese estero è fondamentale. Se in affitto, copie del contratto registrato e delle ricevute di pagamento dell’affitto; se di proprietà, copia dell’atto notarile di acquisto e visura catastale locale.
  • Utenze domestiche estere e spese quotidiane. Bollette di luce, gas, acqua, internet intestate al contribuente presso l’indirizzo estero, scontrini e fatture di spese mediche effettuate all’estero, iscrizione al medico di base locale, iscrizione a palestre o circoli, ecc. Tutto ciò serve a “dimostrare la presenza all’estero” nella vita di tutti i giorni. Più le bollette estere mostrano consumi compatibili con un’abitazione vissuta regolarmente (e magari le bollette italiane mostrano consumo zero), più la tesi della residenza estera è credibile.
  • Estratti conto bancari. Se il pensionato ha conti bancari nel Paese estero, gli estratti conto possono provare che lì riceve la pensione, che lì effettua le spese correnti (supermercato, utilities, ecc.), corroborando la presenza stabile. Anche estratti di carte di credito possono evidenziare dove vengono fatte le spese.
  • Prove sui giorni di permanenza. Biglietti aerei, carte d’imbarco, timbri sul passaporto, ricevute di hotel in Italia, Telepass, pedaggi, etc., possono essere usati per conteggiare i giorni di effettiva presenza in Italia. Ad esempio, conservare tutte le carte d’imbarco dei voli di rientro in Italia e ritorno all’estero aiuta a ricostruire quante settimane all’anno si è stati in Italia (idealmente < 183 giorni). Oggi con gli strumenti digitali si può facilmente annotare sul calendario ogni ingresso e uscita.
  • Iscrizione AIRE e documenti consolari. Ovviamente il certificato di iscrizione all’AIRE con la data, e qualsiasi corrispondenza col Consolato (ad esempio, l’iscrizione al registro elettorale degli italiani all’estero, o l’aggiornamento dell’indirizzo) è utile a provare la volontà di trasferimento stabile.
  • Trasferimento del nucleo familiare. Se anche il coniuge e i figli si sono trasferiti, raccogliere i certificati di iscrizione AIRE di costoro, eventuali iscrizioni a scuole estere per i figli, contratto di lavoro del coniuge all’estero, etc. Questo è un elemento potentissimo: una famiglia ricongiunta all’estero è indizio quasi incontestabile di spostamento del centro vitale. Nel caso contrario (famiglia rimasta in Italia) la difesa è molto più ardua, perché il Fisco tenderà a dire che il domicilio è rimasto in Italia.

Costruire un dossier organico con questi documenti e tenerlo aggiornato di anno in anno significa farsi trovare pronti in caso di controlli, potendo rispondere al questionario iniziale in modo completo e convincente. Ciò può evitare persino l’emissione dell’accertamento.

Fase pre-contenziosa: interloquire con l’ufficio

Se arriva un questionario o un invito a comparire, il consiglio è di non sottovalutarlo e di non adottare atteggiamenti ostruzionistici. Ignorare la richiesta, o rispondere con superficialità, quasi certamente porterà all’emissione dell’avviso di accertamento. Conviene invece, possibilmente con l’ausilio di un professionista esperto di fiscalità internazionale, predisporre una memoria difensiva da inviare all’ufficio insieme ai documenti richiesti. In tale memoria si dovrà:

  • Elencare cronologicamente i fatti: data di espatrio, iscrizione Aire, indirizzo estero, lavoro eventualmente svolto all’estero, ecc.
  • Elencare i motivi per cui il centro degli interessi è all’estero: ad es. “ho acquistato casa in Francia dove vivo con mia moglie; tutta la mia vita sociale è lì; in Italia torno solo per brevi periodi di vacanza; ho chiuso la mia partita IVA in Italia, ho venduto la casa italiana (o l’ho affittata a terzi); il mio medico di base è francese; non ho interessi economici in Italia se non l’incasso della pensione” e così via, adattando alla situazione concreta.
  • Allegare in calce un indice dei documenti giustificativi allegati (contratti, bollette, certificati, ecc. come sopra).
  • Rispondere puntualmente ad ogni domanda del questionario fornendo i dati richiesti (es. indicare con precisione quanti giorni si è stati in Italia anno per anno, e allegare magari un prospetto riepilogativo dei viaggi).

Questa risposta strutturata servirà anche come base documentale in caso di successivo ricorso in Commissione Tributaria (ora Corte di Giustizia Tributaria). Si noti infatti che, se l’ufficio nonostante tutto emana l’accertamento, nel ricorso si allegheranno nuovamente e si ribadiranno le stesse prove; dunque il lavoro fatto nella fase amministrativa non è sprecato, anzi anticipa la linea difensiva.

Parallelamente, quando si riceve un avviso di accertamento (che è l’atto formale con cui il Fisco chiede le somme), è possibile valutare l’utilizzo di alcuni strumenti deflattivi del contenzioso:

  • Presentare una istanza di accertamento con adesione: si tratta di una procedura che sospende per un massimo di 90 giorni i termini per fare ricorso, e dà la chance di discutere con l’ufficio per eventualmente raggiungere un accordo. Nei casi di residenza fiscale, l’adesione potrebbe portare – ad esempio – a un “compromesso” su alcuni anni sì e altri no, oppure a una riduzione di sanzioni. Tuttavia, se il contribuente ha ragione piena (effettiva residenza estera), difficilmente accetterà di pagare anche solo in parte. Questo strumento è più utile quando ci sono zone grigie e si vuole evitare il contenzioso (es. situazioni miste). Nota: presentare l’istanza è semplice (basta un’istanza in carta libera prima che scadano i 60 giorni del ricorso) e automaticamente sposta in avanti i termini di ricorso di 90 giorni; può essere usato anche solo per guadagnare tempo.
  • Valutare una definizione agevolata se prevista dalla legge in quel momento (ad esempio, negli ultimi anni il legislatore ha talvolta aperto finestre di definizione delle liti pendenti o di conciliazione con sanzioni ridotte). Al giugno 2025, non risulta una sanatoria specifica attiva per queste fattispecie, ma è bene informarsi (es. la legge di Bilancio 2023 aveva introdotto una definizione delle controversie tributarie pendenti, estesa poi al 2024).

Il contenzioso tributario: ricorso in Commissione (Corte di Giustizia Tributaria)

Se l’Agenzia conferma la propria posizione e notifica l’atto di accertamento (magari dopo avere ricevuto le controdeduzioni ma senza accoglierle), al contribuente non resta che la strada del ricorso al giudice tributario per far valere le proprie ragioni. Ecco i punti salienti del contenzioso:

  • Termini: il ricorso va presentato (depositato presso la segreteria della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, ex Commissione Tributaria Provinciale) entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento. Questo termine può essere esteso di 30 giorni in caso di tentativo di adesione come visto sopra (in pratica 60+90).
  • Competenza territoriale: trattandosi di imposte erariali, la competenza è determinata dal luogo dell’ufficio che ha emesso l’atto. Spesso è la Direzione Provinciale dell’Agenzia relativa all’ultimo domicilio fiscale in Italia del contribuente.
  • Valore della lite e difesa tecnica: se l’importo contestato (imposta + sanzioni) supera 3.000 euro, il contribuente deve farsi rappresentare da un difensore abilitato (avvocato, commercialista o esperto tributario). Dato che in queste controversie i valori sono quasi sempre alti, di fatto serve un professionista. Vista la complessità del diritto internazionale tributario, è opportuno sceglierne uno con esperienza specifica in materia di residenza fiscale.
  • Pagamento provvisorio: la notifica dell’accertamento normalmente comporta l’obbligo di pagare 1/3 delle imposte accertate entro 60 giorni, salvo che si presenti ricorso con richiesta di sospensione. Infatti, l’esecutività degli atti tributari è solo parziale in pendenza di giudizio: in caso di ricorso, l’Agenzia può iscrivere a ruolo provvisoriamente il 50% delle imposte contestate (non delle sanzioni). Quindi potrebbe arrivare una cartella di pagamento per tale importo prima che il giudizio sia deciso. Il contribuente può chiedere al giudice tributario una sospensione dell’esecutività se dimostra sia fumus boni iuris (ragioni fondate del ricorso) sia periculum (il pagamento causerebbe danno grave). Nei casi di pensionati esteri spesso il fumus c’è (se ben documentato) ma il periculum va dimostrato magari con la modesta capacità economica del pensionato rispetto all’esborso richiesto. Ottenere la sospensione evita di pagare nell’immediato.
  • Argomentazioni nel merito: nel ricorso, la linea difensiva si impernia sul contestare puntualmente le affermazioni dell’ufficio e sul far valere la diversa realtà fattuale supportata da prove. In particolare, bisognerà evidenziare che nessuno dei tre criteri dell’art. 2 TUIR era integrato in Italia (per la maggior parte dei giorni) negli anni in oggetto. Quindi: il contribuente era iscritto all’AIRE (o comunque la mancata iscrizione va intesa come presunzione superabile, specie per 2024 e segg.); non aveva residenza ai sensi c.c. in Italia (dimora abituale trasferita all’estero); non aveva domicilio ai sensi c.c. in Italia (centro affari e interessi spostato all’estero). Quest’ultimo punto è spesso il più controverso: l’Agenzia tende a dire che c’erano ancora legami in Italia (es. immobili, famiglia) quindi il domicilio era qui; il contribuente deve dimostrare che quei legami erano secondari rispetto ai prevalenti interessi all’estero. A supporto, si citerà la giurisprudenza di legittimità che interpreta il domicilio fiscale come “la sede principale degli affari e interessi economici nonché delle relazioni personali”: se si prova che tale sede era all’estero (es. famiglia e patrimonio principale all’estero), non può dirsi domiciliato in Italia.
  • Convenzione contro le doppie imposizioni: se applicabile, è un asso importante. Bisogna verificare se il Paese estero ha una convenzione con l’Italia e, in caso affermativo, far valere l’art. 4 (residenza) e l’articolo sulle pensioni. Ci sono due approcci possibili, da usare in via subordinata: (a) Contestare la residenza stessa in base alla Convenzione – cioè sostenere che, applicando i criteri convenzionali di tie-breaker, il soggetto va considerato residente solo dell’altro Stato. Questo implica che l’Italia non può trattarlo da residente né tassarlo sui redditi mondiali. Si citeranno precedenti come la Cassazione n. 18009/2022, la quale ha affermato che un iscritto AIRE “non può considerarsi fiscalmente residente in Italia in ragione del domicilio se il centro dei propri interessi vitali […] è fissato all’estero”, anche se mantiene un lavoro in Italia. In quella vicenda la Cassazione ha riconosciuto che il contribuente (residente in Svizzera con famiglia) non era residente fiscale in Italia, nonostante facesse il pendolare per lavoro in un’azienda italiana. (b) In via ancora subordinata, anche qualora fosse considerato residente, invocare l’articolo sulle pensioni per dire: “ok, ero residente, ma la Convenzione stabilisce che la pensione privata è tassabile solo all’estero, quindi l’accertamento sulle imposte della pensione è comunque illegittimo”. Questo secondo argomento vale solo per pensioni private; per quelle pubbliche purtroppo la Convenzione di solito dà ragione all’Italia.
  • Prova contraria e onere della prova: giuridicamente, la difesa deve anche far leva sul principio generale che spetta all’Amministrazione provare la fittizietà del trasferimento. La Cassazione ha più volte ribadito che “in fase di accertamento fiscale sui pensionati, l’onere della prova spetta all’Amministrazione finanziaria, che deve individuare elementi gravi, precisi e concordanti di mantenimento della residenza in Italia”. Solo per i Paesi a fiscalità privilegiata l’onere si inverte in capo al contribuente. Pertanto, se non siamo in ambito black list, il ricorso deve mettere in luce l’eventuale carenza o debolezza delle prove fornite dall’Agenzia. Ad esempio: l’ufficio ha basato la contestazione su accessi ai servizi sanitari, ma il contribuente dimostra che erano occasionali (e comunque compatibili col fatto che, essendo cittadino italiano, aveva diritto a cure urgenti in vacanza); oppure il Fisco cita la proprietà di una casa in Italia, ma il contribuente prova che l’abitazione era data in affitto a terzi (quindi non a sua disposizione). Se l’Agenzia non ha raccolto prove solide (es. ha solo la mancata iscrizione AIRE, che ora è prova relativa), il ricorso può far leva su questo: “nessun elemento grave e concordante è emerso a dimostrare che il centro vitale fosse in Italia”. In mancanza di prova adeguata da parte del Fisco, il giudice dovrebbe dare prevalenza alla sostanza della residenza estera.
  • Giurisprudenza favorevole: citare sentenze analoghe può aiutare a convincere il giudice. Negli ultimi anni, come accennato, l’orientamento si sta spostando dal formalismo alla sostanza. Ad esempio, la Cass. 18 marzo 2021 n. 7621 ha chiarito che il concetto di domicilio fiscale va valutato globalmente e tenendo conto sia degli interessi economici che di quelli personali, con una valutazione complessiva degli indizi. La Cass. 10 novembre 2017 n. 26638 ha addirittura affrontato il tema dell’“abitazione permanente” convenzionale, riconoscendo che se un contribuente vive abitualmente in casa del partner all’estero, quella può considerarsi sua abitazione permanente ai fini del tie-breaker. Inoltre, in passato, alcune Commissioni Tributarie hanno dato ragione ai contribuenti riconoscendo la prevalenza della Convenzione internazionale sulla norma interna (ad esempio in casi riguardanti residenti in Svizzera iscritti Aire). Citare queste pronunce – soprattutto di Cassazione – fornisce autorevolezza alla tesi difensiva e mostra al giudice di primo grado la strada già tracciata dalla Corte Suprema.
  • Aspetti formali: non dimenticare di controllare se l’accertamento notificato rispetta tutti i requisiti formali di legge (motivazione adeguata, indicazione del calcolo dei giorni, menzione delle prove in possesso, ecc.). In alcuni casi si possono rilevare vizi di notifica (es. atto notificato a un vecchio indirizzo). Anche se queste sono eccezioni procedurali, vanno sollevate subito nel ricorso perché, se fondate, potrebbero far annullare l’atto senza nemmeno entrare nel merito.

Il contenzioso si svolgerà quindi su questi fronti. La sentenza di primo grado potrà confermare l’accertamento (respingendo il ricorso) oppure annullarlo, integralmente o parzialmente. In caso di sconfitta in primo grado, il contribuente può appellare alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex Commissione Regionale) entro 60 giorni. Spesso queste vicende arrivano fino in Corte di Cassazione, vista l’importanza e la interpretazione di norme anche internazionali. La Cassazione, come abbiamo visto, ha a volte sposato la tesi del Fisco formalista (in passato) ma negli ultimissimi anni ha emesso decisioni più favorevoli ai contribuenti sostanzialisti. Ad esempio, nell’ordinanza n. 18009/2022 citata, la Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia che insisteva sul domicilio fiscale in Italia, riconoscendo invece la validità della valutazione della CTR secondo cui gli interessi vitali del contribuente erano in Svizzera.

(N.B.: In realtà l’ordinanza 18009/2022, pur affermando il principio favorevole, ha cassato con rinvio la sentenza per un vizio di motivazione; ma ciò non toglie che il Supremo Collegio abbia sancito quel principio di diritto. Altre pronunce, come Cass. 32958/2018 e Cass. 27019/2018, avevano invece in passato dato prevalenza al criterio formale AIRE, ma ora tale giurisprudenza va riletta alla luce delle novità normative e della tendenza evolutiva.)

In conclusione, dal punto di vista del pensionato “debitore”, la difesa efficace consisterà nel dimostrare in fatto la propria residenza estera (con ogni elemento possibile) e nel far valere in diritto i principi della prevalenza della sostanza sulla forma e dell’eventuale norma convenzionale. Se si riesce a convincere il giudice che il centro della vita era all’estero, l’accertamento verrà annullato. È un percorso non semplice, che richiede preparazione e spesso un lungo iter processuale, ma le possibilità di successo aumentano sensibilmente se fin dall’inizio – cioè dal momento del trasferimento all’estero – il contribuente ha agito in modo coerente e trasparente, lasciando tracce documentali della sua buona fede.

FAQ – Domande frequenti

Di seguito una raccolta di domande comuni con risposte sintetiche, relative al tema degli accertamenti fiscali per pensionati all’estero.

D: Se mi trasferisco all’estero devo necessariamente iscrivermi all’AIRE?
R: Sì, l’iscrizione all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) è un obbligo di legge per il cittadino italiano che sposta la residenza fuori dall’Italia per più di 12 mesi. Fino al 2023 la mancata iscrizione comportava una presunzione assoluta di residenza in Italia, senza possibilità di prova contraria. Dal 2024, tale presunzione è divenuta relativa (si può provare il contrario), ma rimane comunque fondamentale iscriversi sia per ragioni anagrafiche (diritti civili, voto all’estero, assistenza consolare) sia per ridurre il rischio di problemi col Fisco. Inoltre, la Legge di Bilancio 2024 ha introdotto sanzioni amministrative pecuniarie (200€–1.000€ per anno, fino a 5.000€) per chi non si iscrive all’AIRE nei termini. In breve, iscrivetevi all’AIRE entro 90 giorni dal trasferimento all’estero per mettervi in regola.

D: Sono un ex dipendente pubblico in pensione; se trasferisco la residenza all’estero, pagherò le tasse sulla pensione lì o in Italia?
R: Le pensioni pubbliche italiane (erogate dallo Stato o enti pubblici) restano in linea generale tassate in Italia anche dopo il trasferimento del pensionato all’estero. Quasi tutte le Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia stabiliscono che queste pensioni sono imponibili solo nello Stato che le eroga (Italia), salvo casi particolari in cui il pensionato acquisisca anche la cittadinanza dell’altro Stato e non abbia più cittadinanza italiana. Quindi, ad esempio, un ex insegnante, ex carabiniere, ex dipendente comunale italiano trasferito all’estero continuerà a subire l’IRPEF italiana sulla propria pensione, e il Paese estero normalmente non tasserà quella pensione (evitando così la doppia tassazione). Ci sono eccezioni limitate: alcune convenzioni (Tunisia, Senegal, ecc.) prevedono una ripartizione diversa, ma sono casi specifici. È sempre opportuno consultare la Convenzione tra Italia e Paese X per l’articolo sulle pensioni pubbliche (di solito l’art. 19) e capire il trattamento preciso.

D: Sono un pensionato del settore privato (INPS) e risiedo all’estero in un Paese convenzionato: devo pagare le tasse in Italia sulla pensione?
R: In genere no, le pensioni private seguono la regola opposta rispetto alle pubbliche: la Convenzione tipo OCSE prevede che siano tassate solo nello Stato di residenza del pensionato. Pertanto l’INPS, su richiesta e presentazione di un certificato di residenza fiscale estera, eroga la pensione senza applicare IRPEF italiana (pensione “lorda all’estero”). Il pensionato pagherà le imposte nel Paese dove vive secondo le aliquote di quel Paese (molti Stati hanno regimi molto vantaggiosi per i pensionati esteri: es. Portogallo 10%, Grecia 7%, Tunisia 80% di detassazione, ecc.). È importante espletare le pratiche con l’INPS: occorre compilare un modulo (ad es. Modulo EP-I per attestare la residenza fiscale estera) e farlo validare dall’autorità fiscale locale, per ottenere la detassazione alla fonte in Italia. Se invece il Paese estero non ha convenzione, l’INPS dovrà per legge trattenere l’IRPEF in Italia, e il pensionato rischia una doppia imposizione (risolvibile solo tramite credito d’imposta eventualmente concesso dallo Stato estero). In sintesi, per i pensionati privati all’estero: niente tasse italiane se c’è convenzione (tranne casi rarissimi in cui la convenzione stessa preveda imposizione concorrente), sì tasse italiane se non c’è convenzione.

D: L’Agenzia delle Entrate mi ha inviato un questionario sulle mie abitudini di vita all’estero: devo rispondere?
R: Assolutamente . Ignorare il questionario fiscale o rispondere in modo evasivo/non veritiero è controproducente. Il questionario è il primo step dell’accertamento: l’Agenzia sta raccogliendo informazioni e probabilmente ha già alcuni dati. È nell’interesse del contribuente collaborare e fornire tutte le prove della propria effettiva residenza estera. Si consiglia di rispondere per iscritto nei termini indicati (di solito 30 giorni), allegando la documentazione richiesta: contratto casa estera, bollette, attestati di iscrizione Aire, conti bancari esteri, ecc.. Se la situazione è chiara e ben documentata, spesso l’ufficio potrebbe fermarsi al questionario. Se non rispondete, quasi certamente vi arriverà l’avviso di accertamento vero e proprio presuntivo, contro cui poi dovrete fare ricorso. Quindi conviene prevenire fornendo le spiegazioni ora. Ricordate che rispondere falsamente costituisce eventualmente reato (false dichiarazioni al Fisco), quindi massima sincerità e trasparenza. In caso di dubbi, fatevi assistere da un professionista nella redazione della risposta.

D: Ho mantenuto la casa in Italia dopo essermi trasferito all’estero. Questo può farmi considerare ancora residente in Italia?
R: La semplice proprietà di una casa in Italia non basta da sola a qualificare una persona come residente fiscale in Italia, se per il resto la sua vita è all’estero. Tuttavia, è un elemento che il Fisco guarda con sospetto. Se la casa in Italia è vuota o affittata a terzi stabilmente, inciderà poco (anzi, affittarla a terzi è un punto a favore del trasferimento genuino, perché indica che non la tenete a vostra disposizione). Se invece la casa rimane a disposizione e magari la usate spesso, ciò può suggerire che abbiate mantenuto un pied-à-terre importante. Dovrete allora provare che la vostra abitazione permanente è all’estero (esibendo contratto/bollette esteri) e che in Italia soggiornate solo temporaneamente. La Cassazione ha chiarito che ai fini convenzionali conta dove la persona ha l’abitazione permanente e il centro degli interessi. Avere un immobile in Italia è normale (molti non vendono per ragioni affettive o di investimento), ma bisogna dimostrare che non costituisce il centro della propria vita. In pratica: sì, potete mantenere la casa in Italia, ma assicuratevi di non trascorrervi più di 183 giorni l’anno, valutate di affittarla o comunque di non avere consumi anomali, e preparatevi a spiegare all’Agenzia che quella è solo una casa vacanze.

D: Quanto a lungo può perseguitarmi il Fisco italiano dopo che sono espatriato?
R: L’Agenzia può controllare e accertare la residenza fino ai termini di decadenza dell’accertamento per i singoli anni fiscali. Se non presentate dichiarazioni in Italia dopo l’espatrio (scenario tipico), il termine è l’ottavo anno successivo a ciascun anno d’imposta. Ciò significa che, ad esempio, per l’anno in cui siete espatriati (supponiamo il 2020) l’azione accertativa si prescrive a fine 2028. Di conseguenza, fino a 7-8 anni dopo il trasferimento potreste ricevere controlli su quegli anni. Passato quel periodo, per legge non siete più accertabili (salvo ipotesi di reati tributari, ma è un altro discorso). In pratica il Fisco spesso avvia controlli incrociati un paio d’anni dopo: ad esempio, molti pensionati trasferiti nel 2018-2019 hanno ricevuto accertamenti nel 2022-2023. Ricordate inoltre che se continuate a percepire redditi in Italia (es. affitti) sarete accertabili su quelli anche come non residenti entro i termini ordinari (5 anni). Insomma, la “spada di Damocle” di un controllo può pendere per diversi anni, ma non indefinitamente.

D: Cosa succede se risulto fiscalmente residente in due Paesi contemporaneamente?
R: Giuridicamente non è impossibile – anzi succede spesso in base alle leggi interne – che due Stati vi considerino entrambi residenti ai fini fiscali nello stesso periodo. Per evitare la doppia tassazione, interviene la Convenzione tra i due Stati (se esiste) che, tramite le tie-breaker rules, stabilisce la residenza fiscale unica ai fini dell’accordo. I criteri in ordine sono: abitazione permanente, centro interessi vitali, soggiorno abituale, cittadinanza. Quindi, se Italia e altro Stato vi reputano entrambi residenti, dovrete analizzare questi criteri: di solito il conflitto si risolve ai primi passi – ad esempio avete la casa permanente e famiglia all’estero, quindi la residenza convenzionale va all’estero. A quel punto, l’Italia dovrà trattarvi da non residente in virtù della Convenzione, evitando doppie imposte. Se non c’è Convenzione, potreste subire doppia tassazione e dover ricorrere a procedure di rimborso o a negoziati (non semplici). È sempre raccomandato, in caso di trasferimento, verificare l’esistenza di un trattato fiscale tra Italia e il Paese di destinazione e, se sì, farsi rilasciare dal Paese estero un certificato di residenza fiscale per ogni anno, da usare in caso di contestazioni.

D: L’Agenzia delle Entrate sostiene che non ho davvero “trasferito il centro degli interessi” all’estero. Cosa significa esattamente centro degli interessi?
R: Il centro degli interessi vitali è un concetto che comprende sia gli interessi economici (patrimonio, affari, fonti di reddito) sia gli interessi personali e familiari (famiglia, legami affettivi, sociali). È sostanzialmente equivalente al domicilio in senso civilistico. Quindi, quando il Fisco dice che secondo loro non avete trasferito il centro degli interessi, intende che avete mantenuto in Italia la parte principale delle vostre relazioni economiche e/o personali. Per esempio: continuate a gestire un’azienda in Italia, oppure la vostra famiglia è rimasta in Italia, oppure avete 90% del patrimonio ancora in Italia, ecc. Per ribattere, dovrete dimostrare che invece il cuore dei vostri interessi batte all’estero: magari avete comprato casa là, avete spostato i risparmi su banche estere, la moglie e i figli vivono con voi all’estero, vi siete integrati nella comunità locale (iscrizione club, attività sociali), non avete più business in Italia e così via. È una valutazione globale: nessun singolo elemento è decisivo da solo, conta l’insieme. La Cassazione ha richiesto al giudice di merito di fare proprio una “valutazione indispensabile complessiva degli indizi” riguardo al domicilio. Quindi, per vincere la disputa sul centro interessi, dovete fornire al giudice un quadro coerente e completo della vostra nuova vita all’estero, che sovrasti per importanza i residui legami italiani.

D: Quali sono le sanzioni in caso di esito sfavorevole dell’accertamento? Posso negoziare su quelle?
R: Le sanzioni principali, come visto, sono quella per omessa dichiarazione (dal 120% al 240% dell’imposta) e quelle per mancato monitoraggio (3-15% degli asset esteri non dichiarati). In sede di adesione o conciliazione, è possibile ottenere una riduzione delle sanzioni. Ad esempio, l’adesione comporta per legge la riduzione delle sanzioni a 1/3 del minimo. Anche una eventuale conciliazione giudiziale in appello potrebbe ridurle. Se invece andate a sentenza, il giudice non ha potere di ridurre discrezionalmente le sanzioni (se non applicare il minimo edittale). Un aspetto importante: se riconoscete le vostre colpe e volete sanare, potreste valutare il ravvedimento operoso prima che l’accertamento sia definitivo, ma in casi di contestazione residenza il ravvedimento è poco praticabile perché presuppone presentare dichiarazioni integrative (difficile farlo “a metà”). In sintesi, sulla sanzione per omessa dichiarazione il minimo è 120%: raramente l’Agenzia scende sotto (se aderite, scende a 40%). Quella da RW è talora negoziabile evitando il raddoppio per black list se fate emergere gli asset. Ogni caso è a sé, ma in una trattativa con l’ufficio puntare a ridurre sanzioni e interessi è spesso l’unica leva (le imposte in sé non possono essere eliminate se siete considerati residenti). Va detto che in alcuni casi, se l’importo è alto e la situazione non fraudolenta, l’Agenzia stessa può preferire chiudere con sanzioni medie per incassare più agevolmente.

D: Dopo quanti anni di residenza all’estero mi posso “sentire al sicuro” da contestazioni dell’Italia?
R: Non c’è un numero magico di anni dopo il quale il Fisco si dimentica di voi. Se avete fatto un trasferimento genuino, dovreste essere al sicuro sin da subito – ma il punto è che l’Agenzia potrebbe accorgersi in ritardo di qualcosa. Diciamo che statisticamente, se nei primi 5-6 anni non vi hanno contestato nulla e la vostra posizione era abbastanza nota (AIRE, pensione lorda erogata, ecc.), è probabile che non abbiano trovato elementi contro di voi. Dopo 8 anni, scadono i termini per accertare gli anni iniziali; e man mano, più passa il tempo, più diventa difficile per loro recuperare prove. Tuttavia, anche a 10 o 15 anni di distanza potrebbero, in teoria, contestare una residenza relativa ad anni più recenti (es. se improvvisamente scoprono che nel 2030 c’è stato un rientro di capitali sospetto, potrebbero indagare e far emergere che in realtà non eravate davvero espatriati in quei periodi). Insomma, la sicurezza non dipende tanto dagli anni trascorsi, quanto dalla solidità della vostra situazione: se avete costruito tutto regolarmente all’estero, potete stare ragionevolmente tranquilli; se c’erano aspetti oscuri, il timore di un controllo può sempre aleggiare. In ogni caso, dopo 5-8 anni la maggior parte delle posizioni viene prescritta o chiarita, quindi di solito il “fiato sul collo” si concentra nei primi anni post-trasferimento.

D: Vivo all’estero e non presento dichiarazione in Italia; devo comunque fare qualcosa in Italia ogni anno (es. comunicazioni)?
R: Se sei effettivamente non residente e non hai redditi di fonte italiana, non devi presentare nulla al Fisco italiano ogni anno. L’obbligo dichiarativo cessa con l’ultima dichiarazione da residente. È però buona norma conservare ogni anno un certificato di residenza fiscale rilasciato dal tuo Paese estero (serve anche per eventuali richieste di esenzione pensione alla fonte). Inoltre, se l’INPS ti ha erogato pensione senza ritenute, è solito chiedere ogni anno un’attestazione di esistenza in vita e residenza (specie per i pagamenti all’estero). Tieni a mente anche di aggiornare l’AIRE e il Consolato se cambi indirizzo estero. Dal punto di vista fiscale italiano, quindi, nessuna dichiarazione annuale. Fa’ attenzione però se ricevi qualche reddito italiano: ad esempio, ti viene pagato un compenso per collaborazione in Italia, oppure vendi una casa italiana – in questi casi specifici dovrai presentare dichiarazione per quei redditi o pagare imposte sostitutive (plusvalenza). Ma la sola pensione italiana, se tassata esclusivamente all’estero per convenzione, non va dichiarata in Italia. Alcuni pensionati scelgono di presentare un modello Redditi “a zero” per scrupolo: non è necessario e talvolta può ingenerare confusione (es. l’Agenzia vede una dichiarazione senza la pensione e pensa l’abbiate occultata). Meglio evitare comunicazioni ridondanti: se non c’è obbligo, non fare nulla.

Fonti e riferimenti normativi

  • Codice civile italiano, art. 43 (definizione di domicilio e residenza) – Rilevante per comprendere i concetti di domicilio (sede principale affari e interessi) e residenza (dimora abituale) richiamati dal TUIR.
  • D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (TUIR), art. 2 commi 2 e 2-bis – Definizione di residente fiscale e presunzione per emigrati in Paesi a fiscalità privilegiata. Testo aggiornato dal D.Lgs. 209/2023 (fractions of day, criterio della presenza fisica, prova contraria per iscrizione anagrafica).
  • Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni, art. 4 (residenza fiscale), art. 18 (pensioni private) e art. 19 (pensioni pubbliche) – Standard internazionale recepito nelle Convenzioni italiane, base per attribuzione potestà impositiva sulle pensioni.
  • Cassazione Civile, Sez. V, ordinanza 6 giugno 2022 n. 18009 – Caso emblematico di pensionato residente in Svizzera: la Suprema Corte afferma che l’iscrizione AIRE con centro interessi estero esclude la residenza fiscale italiana, pur con lavoro in Italia.
  • Cassazione Civ., Sez. V, sentenza 18 marzo 2021 n. 7621 – Definisce il domicilio fiscale come sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali, richiedendo valutazione unitaria di tali elementi.
  • Cassazione Civ., Sez. V, sentenza 1 marzo 2019 n. 6081 – Rientra nel filone giurisprudenziale sulla residenza, sottolineando irrilevanza della sola iscrizione Aire ai fini della prova, e ribadendo che il domicilio va valutato sul centro degli interessi (precedente richiamato da Cass. 2022).
  • Circolare Agenzia Entrate n. 25/E del 18 agosto 2023, par. sulla residenza – Documento di prassi che ha anticipato alcuni criteri poi formalizzati dal D.Lgs. 209/2023 (conteggio frazioni di giorno, conferma che smart working dall’estero non sposta di per sé la residenza).
  • Normativa monitoraggio fiscale (Quadro RW) – D.L. 167/1990 e succ. mod., sanzioni D.Lgs. 471/97 art. 5: obblighi per residenti di dichiarare attività estere e relative sanzioni (3-15% valore, doppio in paradisi fiscali).

Sei un pensionato residente all’estero e hai ricevuto un accertamento fiscale dall’Italia? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Molti pensionati italiani decidono di trasferire la propria residenza all’estero per motivi fiscali, climatici o di qualità della vita. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate può avviare un accertamento se sospetta che la residenza estera sia solo formale e che il centro degli interessi rimanga in Italia.
In questi casi, è fondamentale difendersi con prove concrete, per evitare che ti venga attribuita una residenza fiscale italiana e una doppia imposizione.


Quando l’Italia può contestare la tua residenza estera?

L’Agenzia delle Entrate può ritenere che tu sia ancora fiscalmente residente in Italia se:

  • 🏠 Hai legami familiari o affettivi prevalenti sul territorio italiano
  • 💳 Le tue spese, conti bancari e proprietà principali risultano in Italia
  • 📍 Hai un’abitazione disponibile in Italia e la utilizzi in modo stabile
  • 🗓️ Trascorri più di 183 giorni l’anno in Italia, anche non consecutivamente
  • ❗ Risulti iscritto nei registri anagrafici italiani e non iscritto correttamente all’AIRE

Cosa rischi in caso di accertamento?

Se l’Agenzia contesta la tua residenza all’estero e ritiene che tu debba essere tassato in Italia:

  • 💰 Dovrai pagare imposte sui redditi percepiti all’estero (comprese le pensioni)
  • 📅 L’Agenzia può retrodatare la residenza fiscale in Italia fino a 5 anni
  • ⚠️ Potresti ricevere sanzioni e interessi di mora molto elevati
  • 🧾 Ti verrà richiesto di compilare il quadro RW per il monitoraggio degli investimenti esteri

Come difendersi da un accertamento fiscale se sei pensionato all’estero?

Puoi opporti all’accertamento dimostrando la tua residenza effettiva all’estero. Servono:

  • 🧾 Contratto di affitto o proprietà di un’abitazione all’estero
  • 📂 Bollette, utenze, iscrizione a servizi sanitari o assistenziali locali
  • 🛫 Prove dei giorni trascorsi all’estero (biglietti, timbri, tracciamento spese)
  • 📝 Certificato di iscrizione all’AIRE e cancellazione anagrafica in Italia
  • 🧮 Documentazione sulla percezione e tassazione estera della pensione

⚖️ Puoi inoltre impugnare l’accertamento davanti alla Commissione Tributaria o valutare l’adesione per chiudere il contenzioso con sanzioni ridotte.


🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📑 Verifica la legittimità dell’accertamento e dei presupposti contestati
📂 Ricostruisce la tua residenza effettiva all’estero con documentazione solida
✍️ Redige il ricorso tributario o l’adesione per risolvere la controversia
⚖️ Ti assiste anche in caso di accessi, verifiche e contestazioni bancarie
🔁 Ti guida nella corretta gestione fiscale della pensione all’estero


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Esperto in residenza fiscale e contenzioso tributario internazionale
✔️ Consulente per casi di esterovestizione e residenza contestata a pensionati
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per pensionati AIRE, italiani all’estero e fiscalità previdenziale


Conclusione

Se sei un pensionato residente all’estero e ricevi un accertamento fiscale italiano, non è detto che tu debba pagare. Puoi difendere la tua posizione con documenti e argomentazioni solide.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi far valere la tua residenza effettiva all’estero e chiudere il contenzioso con professionalità.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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