Quanto Tempo Ha L’Agenzia Delle Entrate Per Rispondere A Un Interpello?

Hai presentato un interpello all’Agenzia delle Entrate e ti stai chiedendo quanto tempo ha per rispondere, cosa succede se non risponde in tempo e quali sono i tuoi diritti durante l’attesa? Vuoi sapere se puoi agire subito oppure se devi aspettare la risposta ufficiale?

Conoscere i termini precisi di risposta dell’Agenzia è fondamentale per pianificare correttamente ogni operazione fiscale. Ma attenzione: i tempi variano in base al tipo di interpello e la mancata risposta può avere effetti molto diversi a seconda dei casi.

Quanto tempo ha l’Agenzia delle Entrate per rispondere a un interpello?
– Il termine ordinario è di 90 giorni, che decorrono dalla data di presentazione dell’interpello completo
– Se mancano documenti essenziali, l’Agenzia può richiedere integrazioni, e il termine viene sospeso fino alla consegna
– In casi particolarmente complessi, il termine può essere prorogato fino a ulteriori 60 giorni, con comunicazione motivata

Cosa succede se l’Agenzia non risponde entro il termine?
– In caso di interpello ordinario, probatorio, antiabuso o disapplicativo, il silenzio equivale a silenzio-assenso: puoi considerare accolta la soluzione proposta nell’istanza
– Per l’interpello sui nuovi investimenti, invece, non vale il silenzio-assenso: devi attendere la risposta espressa
– Se il Fisco non risponde e tu hai agito secondo la soluzione proposta, sei protetto da sanzioni e contestazioni, salvo dolo o colpa grave

Cosa puoi fare se la risposta tarda ad arrivare?
– Verificare se hai effettivamente presentato l’interpello in modo completo e corretto
– Inviare una sollecitazione all’ufficio competente, segnalando il termine decorso
– In caso di silenzio-assenso applicabile, agire sulla base della tua soluzione proposta, purché fondata e documentata

Come evitare ritardi nella risposta dell’Agenzia?
– Presenta un interpello tecnicamente fondato, chiaro, ben motivato e completo di ogni allegato necessario
– Usa canali ufficiali (PEC o servizi telematici) e conserva la prova dell’avvenuta presentazione
– Verifica che la tua istanza sia ammissibile: in caso contrario, la risposta non arriverà mai perché l’interpello sarà rigettato

Cosa NON devi fare mai?
– Agire in autonomia senza conoscere se il tuo interpello prevede o meno il silenzio-assenso
– Confondere il termine di 90 giorni con quello di validità della risposta: una volta ricevuta, la risposta vincola anche in futuro
– Trascurare la comunicazione di richiesta di integrazione: se non rispondi, l’interpello diventa improcedibile
– Fidarti di interpelli presentati in modo generico: servono motivazioni tecniche, documenti e chiarezza normativa

Conoscere i tempi dell’interpello ti permette di agire con sicurezza e tutelarti da accertamenti futuri.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati tributaristi esperti in difesa preventiva – ti spiega entro quando l’Agenzia deve rispondere, cosa succede se non lo fa e come comportarti in attesa della risposta o in caso di silenzio.

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Introduzione

L’interpello tributario è uno strumento con cui il contribuente, in qualità di “debitore d’imposta”, può ottenere un parere ufficiale dall’Agenzia delle Entrate su come applicare correttamente una norma fiscale a un caso concreto e personale. Si tratta di un istituto di collaborazione preventiva previsto dall’art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente (Legge 212/2000), pensato per ridurre l’incertezza normativa e prevenire potenziali controversie. In pratica, “nel dubbio, meglio chiedere prima, che difendersi dopo”. Dal punto di vista del contribuente (sia esso privato cittadino, imprenditore o anche un professionista che assiste un cliente), l’interpello è un presidio di tutela: consente di evitare sanzioni e contestazioni future seguendo le indicazioni fornite dal Fisco, oppure di consolidare una posizione qualora l’Agenzia condivida tacitamente la soluzione proposta (silenzio-assenso).

Ma quanto tempo ha l’Agenzia delle Entrate per rispondere a un interpello? La risposta, come dettagliato in questa guida, è disciplinata per legge: attualmente sono previsti 90 giorni dalla presentazione, salvo sospensioni (ferie di agosto, richieste di integrazioni o pareri esterni). Se l’Agenzia non risponde entro il termine previsto, il silenzio vale assenso, ossia l’interpretazione fornita dal contribuente si intende accettata. Questa guida – aggiornata a giugno 2025 – esaminerà in dettaglio la disciplina dell’interpello tributario, con particolare attenzione ai termini di risposta dell’amministrazione finanziaria, tenendo conto delle recenti riforme normative del 2023/2024 e delle più recenti pronunce giurisprudenziali. Verranno illustrate tutte le tipologie di interpello oggi esistenti, i tempi e gli effetti della risposta (o della mancata risposta) dell’Agenzia, nonché gli obblighi e i diritti del contribuente istante. Inoltre, includeremo tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di domande e risposte frequenti, in modo da offrire una trattazione completa e di livello avanzato, ma con un linguaggio chiaro e accessibile anche ai non addetti ai lavori.

Quadro normativo e recenti riforme

L’istituto dell’interpello tributario trova la sua base nell’art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente (L. 27 luglio 2000, n. 212). Tale articolo, intitolato “Diritto di interpello”, è stato radicalmente riformato nel corso degli anni per ampliare e razionalizzare le ipotesi di interpello e per accelerarne i tempi di risposta. In particolare:

  • Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 – In attuazione della delega fiscale 2014, ha riscritto l’art. 11 L.212/2000 e introdotto quattro tipologie di interpello (ordinario, probatorio, anti-abuso, disapplicativo). Ha fissato termini differenziati di risposta: 90 giorni per l’interpello ordinario (e per quello “qualificatorio”) e 120 giorni per le altre tipologie. Inoltre, con questo decreto e con il D.Lgs. 128/2015 (che ha introdotto la disciplina dell’abuso del diritto), sono state delineate meglio le condizioni e gli effetti degli interpelli. Ad esempio, venne previsto espressamente il regime del silenzio-assenso trascorsi i termini di legge senza risposta (silenzio = assenso alla soluzione del contribuente) e la nullità degli atti emessi in difformità dalle risposte dell’Agenzia.
  • Legge 9 agosto 2023, n. 111 (Legge Delega di riforma fiscale) – Ha conferito al Governo il compito di rivedere lo Statuto del Contribuente, incluso l’istituto dell’interpello, con finalità di “razionalizzazione” e di riduzione del ricorso eccessivo a questo strumento. L’obiettivo era limitare l’ipertrofia di prassi e interpelli, garantendo maggior certezza del diritto e riducendo gli oneri amministrativi.
  • Decreto legislativo 30 dicembre 2023, n. 219 – Entrato in vigore il 18 gennaio 2024, ha dato attuazione alla delega sopra citata, modificando nuovamente l’art. 11 dello Statuto. Le novità principali di questo intervento (che possiamo definire “Riforma 2023/2024 dell’interpello”) sono:
    • Unificazione dei termini di risposta: 90 giorni per tutte le tipologie di interpello, eliminando il precedente termine più lungo di 120 giorni per alcuni interpelli speciali. Adesso ogni istanza di interpello, di qualunque tipo, deve essere evasa entro 90 giorni salvo sospensioni.
    • Introduzione di un contributo obbligatorio: la presentazione dell’istanza di interpello è ora subordinata al pagamento di un contributo, la cui misura verrà stabilita con apposito decreto ministeriale (parametrato alla tipologia di contribuente, al volume d’affari/ricavi e alla complessità della questione). Questo “interpello a pagamento” mira a disincentivare il ricorso strumentale o massivo allo strumento, riservandolo ai casi di reale incertezza.
    • Limitazioni e razionalizzazioni delle tipologie di interpello: è stata chiarita la facoltatività dell’interpello disapplicativo (prima considerato l’unico interpello “obbligatorio”); è stata circoscritta la possibilità di interpello probatorio ai soli soggetti in regime di adempimento collaborativo o ai casi di nuovi investimenti rilevanti; ed è stata introdotta formalmente una nuova categoria per l’interpello sui neo-residenti ex art. 24-bis TUIR (c.d. “flat tax” per i residenti esteri facoltativamente assoggettati a imposta sostitutiva).
    • Effetti delle risposte difformi: gli atti dell’Amministrazione finanziaria emanati in difformità da una risposta (esplicita o tacita) all’interpello del contribuente non sono più “nulli” in senso assoluto, bensì annullabili. Questa modifica tecnica, apparentemente minima, comporta effetti processuali importanti: mentre la nullità può essere fatta valere in ogni tempo (anche d’ufficio dal giudice), l’annullabilità richiede un’impugnazione tempestiva da parte del contribuente. In altre parole, se il Fisco emette un atto contrario a una soluzione che aveva avallato (esplicitamente o per silenzio-assenso), tale atto dovrà essere impugnato dal contribuente nei termini di legge per chiederne l’annullamento, non essendo più automaticamente inesistente.
    • Non impugnabilità delle risposte dell’Agenzia: viene esplicitato ora che la risposta all’istanza di interpello non è impugnabile. Questo principio, già affermato in generale dalla giurisprudenza (tranne casi particolari, come vedremo), è ora legge scritta all’art. 11 comma 7. Il contribuente non può dunque fare ricorso diretto contro una risposta sfavorevole; la sua tutela si realizza eventualmente impugnando l’atto impositivo conseguente.
    • Altre innovazioni: il D.Lgs. 219/2023 ha introdotto anche istituti paralleli per migliorare il dialogo Fisco-contribuente, ad esempio la consultazione semplificata e la consulenza giuridica per associazioni e enti collettivi. Inoltre, è stato istituito il Garante nazionale del contribuente (in sostituzione dei precedenti garanti regionali). Tali aspetti esulano però dall’ambito specifico di questa guida, che rimane focalizzata sull’interpello individuale.

Fonti normative principali: per un approfondimento testuale si segnala l’art. 11 L.212/2000 come modificato (sostituito integralmente) dall’art. 1, comma 1, lett. n) del D.Lgs. 219/2023, nonché il Decreto MEF 26 aprile 2001 n. 209 (regolamento attuativo originario sugli interpelli, ancora in parte rilevante per la procedura) e il D.Lgs. 156/2015 (artt. da 2 a 6 in materia di interpello). Anche le circolari dell’Agenzia delle Entrate hanno fornito istruzioni in materia (es. Circ. AE 9/E del 1° aprile 2016 dopo la riforma del 2015), specie riguardo la procedura e i casi di inammissibilità, come vedremo. Passiamo ora a definire le varie tipologie di interpello previste, poiché il “tempo per rispondere” può dipendere anche dalla categoria di interpello in questione.

Tipologie di interpello tributario

L’art. 11 dello Statuto del contribuente, nella sua formulazione vigente, prevede sei diverse tipologie di interpello (lettere a fino f del comma 1), che si differenziano per presupposti e finalità. Di seguito le illustriamo singolarmente:

  • Interpello interpretativo (ordinario) – È il caso più comune e “generale”. Viene utilizzato quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione di disposizioni tributarie. In altre parole, se una norma fiscale risulta poco chiara in relazione a una specifica situazione del contribuente, questi può chiedere all’Agenzia come va intesa e applicata. È previsto dall’art. 11, comma 1, lett. a) L.212/2000 e può essere presentato da qualsiasi contribuente (persona fisica o soggetto giuridico) per casi che lo riguardano direttamente. Esempio: un privato che deve applicare una nuova detrazione fiscale ma non è sicuro se rientra nelle condizioni previste, oppure un’impresa che ha dubbi interpretativi su una norma antielusiva può proporre interpello ordinario per ottenere un chiarimento ufficiale.
  • Interpello qualificatorio – Introdotto espressamente dalla riforma del 2015 (comma 1 lett. b), riguarda la corretta qualificazione giuridico-tributaria di una fattispecie. Qui l’incertezza non è tanto sulla norma in sé, quanto su come inquadrare un certo fatto ai fini fiscali. Ad esempio, si potrebbe dubitare se un’operazione configuri una cessione di azienda o una cessione di quote, oppure se un reddito debba qualificarsi come reddito d’impresa o reddito diverso, con differenze di regime fiscale. In tali casi “qualificatori” il contribuente può interpellare l’amministrazione per evitare di adottare una qualificazione che il Fisco potrebbe poi contestare. Questa categoria, pur essendo autonoma nella norma, è molto vicina all’interpello interpretativo e infatti tradizionalmente soggiaceva agli stessi tempi di risposta (90 giorni) già prima della riforma 2023. Esempio: un contribuente chiede se un certo provento vada qualificato come dividendo tassabile o restituzione di riserve (operazione che inquadra diversamente l’evento ai fini fiscali).
  • Interpello anti-abuso – Previsto dalla lett. c) (inserita dopo l’introduzione del principio generale di divieto di abuso del diritto, art. 10-bis L.212/2000). Questo interpello è finalizzato a chiarire se una specifica operazione che il contribuente intende porre in essere costituisca o meno abuso del diritto ed elusione fiscale. In altre parole, serve a ottenere dall’Agenzia una valutazione preventiva sulla non abusività di un’operazione potenzialmente elusiva. È uno strumento importante, introdotto dal 2015, perché consente ai contribuenti di evitare di incorrere ex post nella sanzione dell’art. 10-bis (che prevede la disregarded transaction, cioè l’operazione viene riqualificata dal Fisco se considerata abusiva, con recupero delle imposte). Esempio: una società vuole realizzare una riorganizzazione societaria complessa (fusioni, scissioni, conferimenti) che potrebbe essere vista dal Fisco come fatta solo per risparmio d’imposta; tramite interpello anti-abuso può ottenere conferma che l’operazione ha valide ragioni economiche e non sarà colpita dalla norma anti-elusione.
  • Interpello disapplicativo – Previsto dalla lett. d), consente di chiedere la disapplicazione di specifiche norme tributarie antielusive che, in situazioni particolari, risulterebbero impropriamente penalizzanti. È il caso, ad esempio, delle cosiddette “società non operative” (società di comodo): la legge presume alcuni redditi minimi e limita deduzioni/crediti se una società risulta non operativa, ma consente di disapplicare tali disposizioni se la società prova che vi sono oggettive situazioni straordinarie che giustificano il mancato conseguimento di ricavi (art. 30 L.724/1994). Originariamente questo interpello era obbligatorio: la società doveva presentarlo per ottenere la disapplicazione, pena subire automaticamente il regime punitivo. Oggi non è più così. La Corte di Cassazione già nel 2021 ha chiarito che l’interpello disapplicativo non costituisce una condizione obbligatoria per la tutela del contribuente in giudizio. La riforma del 2023 ha recepito tale orientamento, rendendo facoltativa la presentazione dell’istanza: l’assenza di interpello non preclude al contribuente di far valere comunque le proprie ragioni e le circostanze esimenti direttamente davanti al giudice tributario. In altre parole, l’interpello disapplicativo rimane uno strumento consigliabile (specie per evitare il contenzioso), ma non è più l’unica via per ottenere ragione: il contribuente può scegliere di non presentarlo e poi, in sede di eventuale accertamento, dimostrare ex post la sussistenza delle condizioni per la disapplicazione della norma antielusiva. Esempio: una società immobiliare risulta “non operativa” in un anno perché non ha locato né venduto immobili (evento straordinario di mercato); può chiedere in interpello la disapplicazione della disciplina delle società di comodo, oppure – se non lo fa – potrà comunque contestare un’eventuale cartella di pagamento dimostrando a posteriori le cause giustificative. Si noti che l’interpello disapplicativo era definito “obbligatorio” proprio in relazione a tali discipline antielusive speciali; ora è corretto parlare di interpello facoltativo anche in questi casi, come confermato da Cassazione.
  • Interpello probatorio – Previsto dalla lett. e), riguarda la verifica della sussistenza di condizioni e l’idoneità di elementi di prova richiesti dalla legge per accedere a determinati regimi fiscali opzionali o agevolativi, nei casi espressamente previsti. In passato rientravano qui, ad esempio, le istanze per verificare i requisiti di accesso al regime degli impatriati, alla Patent box, all’ACE (Aiuto alla Crescita Economica), o altre agevolazioni che richiedevano al contribuente di dimostrare determinate condizioni soggettive/oggettive. La riforma 2023 ha ridimensionato l’ambito soggettivo di questo interpello: ora la legge riserva formalmente l’interpello probatorio solo “ai soggetti che aderiscono al regime di adempimento collaborativo e ai soggetti che presentano le istanze di interpello di cui all’articolo 2 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147”. In pratica:
    • Possono avvalersi di questo interpello le imprese in regime di cooperative compliance (grandi contribuenti ammessi al regime di adempimento collaborativo, ex D.Lgs.128/2015).
    • Possono altresì presentare interpello probatorio i soggetti che intendono effettuare “nuovi investimenti” di particolare rilevanza in Italia (rif. D.Lgs. 147/2015, art. 2). L’interpello sui nuovi investimenti – introdotto nel 2016 – aveva lo scopo di attrarre investitori esteri offrendo la possibilità di conoscere ex ante il trattamento fiscale di investimenti significativi (inizialmente definiti come ≥ 30 milioni di euro, poi soglia ridotta a 20 milioni) con importanti ricadute occupazionali. Questo interpello “nuovi investimenti” di fatto rientra ora nella categoria probatoria e segue le stesse regole.
    • Restano esclusi invece i contribuenti minori o i casi ordinari: ad esempio, dopo il 2023, una PMI non può più presentare un interpello probatorio per verificare i requisiti di una certa agevolazione (dovrà eventualmente accontentarsi dell’interpello ordinario interpretativo, se c’è incertezza normativa, oppure assumersi il rischio). In tal senso si parla di “parziale abrogazione” dell’istituto probatorio per i soggetti diversi da quelli indicati, al fine di concentrare le risorse dell’Agenzia sui casi più complessi.
      Esempio: un gruppo multinazionale intende investire 50 milioni in Italia in un nuovo stabilimento; può presentare interpello probatorio per ottenere dall’Agenzia un parere sul trattamento fiscale complessivo dell’operazione (es. applicabilità di incentivi, regime di tassazione dei dividendi ecc.). Un contribuente aderente al regime di adempimento collaborativo potrebbe usare lo stesso strumento per chiarire dubbi probatori su una specifica operazione nel corso del dialogo preventivo con il fisco.
  • Interpello sui nuovi residenti (imposizione sostitutiva ex art. 24-bis TUIR) – Previsto dalla nuova lett. f) introdotta nel 2023, è un interpello specifico rivolto alle persone fisiche facoltizzate ad optare per il regime fiscale speciale dei “neo domiciliati” in Italia (cosiddetta flat tax da €100.000 sui redditi esteri, ex art. 24-bis TUIR). In pratica, individui che trasferiscono la residenza in Italia e intendono aderire a questo regime possono interpellare l’Agenzia per ottenere una valutazione circa la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge e sull’idoneità degli elementi probatori forniti per dimostrare, ad esempio, la precedente residenza estera pluriennale e l’assenza di domicilio fiscale in Italia nei periodi d’imposta richiesti. Questa tipologia, prima gestita in via amministrativa, è ora formalizzata tra gli interpelli. Esempio: un cittadino straniero ricco che vuole sfruttare la flat tax per nuovi residenti potrebbe interpellare l’Agenzia per confermare di possederne i requisiti (anni di residenza estera, investimenti, etc.) e magari per chiarire se determinati redditi esteri rientreranno o meno nell’imposta sostitutiva.

Le suddette tipologie di interpello condividono una procedura di base comune, ma differiscono per presupposti. In tutti i casi, l’interpello permette di ottenere chiarezza preventiva su questioni fiscali potenzialmente controverse, “riducendo così il rischio di incorrere in violazioni tributarie”.

Nota: Accanto agli interpelli “codificati” nell’art. 11 L.212/2000, l’Agenzia delle Entrate offre altri strumenti di interlocuzione: ad esempio la consulenza giuridica (rivolta però ad enti, ordini professionali, associazioni di categoria, per quesiti di carattere generale), oppure la consultazione telematica semplificata per persone fisiche e piccole imprese, tramite una banca dati con documenti di prassi e soluzioni già adottate. Tali strumenti non producono effetti vincolanti pari all’interpello e non sospendono termini, ma vale la pena menzionarli come parte del quadro di “compliance cooperativa” rafforzato dalla riforma 2023. In ogni caso, il canale principe per un contribuente che cerca una risposta vincolante su un caso personale rimane l’interpello ex art. 11.

Procedura di presentazione dell’istanza di interpello

Chi può presentare l’interpello: in termini generali, “tutti i soggetti che abbiano un interesse personale, concreto e attuale” possono presentare interpello sulle norme tributarie che li riguardano. Non vi sono limitazioni soggettive: persone fisiche residenti o non residenti (per questioni fiscali che li coinvolgono in Italia), persone giuridiche (società di capitali, di persone, enti pubblici e privati). È fondamentale però che il quesito riguardi una situazione reale e personale del richiedente, non casi ipotetici o generali. L’interpello non può essere anonimo né astratto: va sempre riferito a un contribuente identificato e a fatti specifici che lo coinvolgono. Il contribuente può firmare e presentare personalmente l’istanza oppure farlo tramite un rappresentante (es. il proprio commercialista, avvocato tributarista o altro procuratore); in caso di invio tramite rappresentante, va allegata apposita procura (come per gli atti tributari in generale).

Quando presentarlo: l’interpello ha per sua natura funzione preventiva, dunque va presentato prima che il contribuente ponga in essere il comportamento fiscale rispetto al quale chiede chiarimenti. Ad esempio, se il dubbio riguarda una detrazione nella dichiarazione dei redditi, l’istanza va inviata prima di presentare la dichiarazione; se riguarda la classificazione di un’operazione straordinaria, va presentata prima di effettuare l’operazione o gli atti oggetto di dubbio. Non esiste un termine fisso di scadenza per presentare l’interpello (salvo quanto richiesto dalla natura “preventiva” appena detta): la Cassazione ha affermato che non c’è una norma che imponga un termine minimo prima dell’evento, né una sanzione di inammissibilità per interpelli tardivi, purché anteriori al comportamento del contribuente. Ad esempio, è stato considerato valido un interpello disapplicativo presentato il giorno prima della scadenza della dichiarazione dei redditi, su cui l’Agenzia eccepiva tardività: la Corte ha confermato l’inesistenza di un termine legale e la validità dell’istanza last-minute. Dunque, in linea di principio, l’interpello può essere presentato fino al giorno prima dell’adempimento fiscale o dell’operazione di cui si chiede il trattamento (certo presentarlo con eccessivo ritardo riduce le chance di ottenere risposta in tempo utile). Se il contribuente ha già adottato un comportamento e chiede dopo lumi, l’Agenzia normalmente dichiarerà inammissibile l’istanza perché non vi è più incertezza preventiva ma solo un tentativo di sanatoria a posteriori. Allo stesso modo, se la questione è già oggetto di accertamento o di contenzioso, l’interpello non è ammesso: una delle condizioni da dichiarare nell’istanza è proprio di non aver ricevuto un atto di accertamento né avviato un contenzioso sulla medesima questione. Questa clausola serve a impedire che l’interpello sia usato strumentalmente quando ormai la partita è già in gioco.

Forma e contenuto dell’istanza: l’istanza di interpello si presenta in carta libera (non ci sono moduli prestabiliti, ma esistono formule di rito). Non è dovuta imposta di bollo. Deve essere indirizzata all’ufficio competente dell’Agenzia delle Entrate: generalmente la Direzione Regionale competente per il domicilio fiscale del contribuente; in alcuni casi specifici (grandi contribuenti con volume d’affari >100 mln, soggetti non residenti senza domicilio in Italia, istanze su materie catastali, interpelli anti-abuso particolarmente complessi) può essere competente la Divisione Contribuenti – Direzione Centrale a Roma. L’Agenzia ha reso disponibili gli indirizzi PEC di tutte le Direzioni regionali proprio per l’invio degli interpelli telematici. I canali consentiti di presentazione sono: consegna a mano presso l’ufficio (con protocollo di ricezione), spedizione postale con raccomandata A/R, invio via PEC (Posta Elettronica Certificata) oppure via email ordinaria (posta elettronica libera) nei casi autorizzati. L’invio telematico è oggi la modalità preferibile e più tracciabile.

Elementi essenziali dell’istanza: la legge e i regolamenti attuativi richiedono che l’istanza contenga:

  • I dati identificativi e il codice fiscale del contribuente (persona o entità) e dell’eventuale rappresentante firmatario.
  • L’indicazione della tipologia di interpello che si sta proponendo (interpretativo, qualificatorio, ecc., anche se talvolta la distinzione può essere implicita nel contenuto).
  • L’esposizione dettagliata della situazione di fatto concreta che ha dato origine al dubbio. È cruciale descrivere accuratamente i fatti, operazioni, rapporti da cui scaturisce il quesito fiscale, perché la risposta dell’Agenzia sarà vincolante solo nei limiti dei fatti rappresentati.
  • La specifica delle disposizioni di legge di cui si chiede l’interpretazione/applicazione o disapplicazione. Bisogna cioè citare le norme tributarie rilevanti rispetto ai fatti descritti.
  • La soluzione interpretativa proposta dal contribuente, ovvero la risposta che il contribuente ritiene corretta al suo quesito. Questo è un punto qualificante: l’interpello non può essere una domanda generica (“cosa devo fare?”) ma deve contenere la propria idea di soluzione. Ad esempio: “Secondo l’istante, la norma X va interpretata nel senso che… e pertanto il trattamento fiscale corretto sarebbe…”. L’Agenzia infatti può rispondere confermando o meno tale soluzione.
  • L’elenco della documentazione allegata a supporto (contratti, bilanci, perizie, ecc., se utili a illustrare la fattispecie).
  • Una dichiarazione sull’assenza di situazioni preclusive: in particolare, come già detto, dichiarare che sulla questione l’istante non ha già ottenuto pareri dall’Agenzia in precedenti interpelli (evitando interpelli reiterati su stessi temi salvo nuovi elementi) e che non vi sono accertamenti o controversie pendenti sul medesimo oggetto.
  • La sottoscrizione dell’istante o del suo legale rappresentante/procuratore. Se firmato dal difensore o consulente esterno, va allegata la procura (salvo firma digitale su PEC che la implicitamente conferisce).

Oltre a questi requisiti formali, l’istanza deve rispettare alcuni requisiti sostanziali di ammissibilità: non dev’essere, ad esempio, troppo generica o formulata su casi astratti. L’Agenzia delle Entrate può dichiarare inammissibile un interpello se manca la rappresentazione di un caso concreto personale, se mancano elementi essenziali (ad es. non è indicata alcuna soluzione proposta), se il quesito riguarda norme non tributarie o materie estranee (l’interpello può vertere solo su tributi di competenza Agenzia Entrate; esistono interpelli doganali e di altri enti per altre materie), oppure se l’istanza ripropone questioni su cui il contribuente ha già ottenuto risposta in passato (salvo che prospetti nuovi elementi di fatto o diritto sopravvenuti). Un caso tipico di inammissibilità “permanente” è l’interpello presentato per sanare condotte già poste in essere: come detto l’interpello è preventivo, quindi se l’operazione è conclusa e magari scoperta da un accertamento, non è ammessa una sorta di interpello tardivo per chiedere clemenza (in tali frangenti la via è solo il contenzioso o altri istituti deflativi se disponibili).

Contributo per la presentazione (interpello a pagamento): per la prima volta, dal 2024 è richiesto un pagamento per poter presentare l’istanza. La legge (art. 11, comma 3 Statuto) stabilisce che l’istanza è “subordinata al versamento di un contributo, destinato a finanziare la formazione del personale delle agenzie fiscali”, e demanda ad un decreto del MEF la determinazione dell’importo e delle modalità di pagamento, graduati in base al tipo di contribuente, al volume d’affari/ricavi e alla complessità della questione. In assenza, per ora, del decreto attuativo, non possiamo indicare cifre precise (si parla ufficiosamente di importi variabili da poche centinaia fino a diverse migliaia di euro per i casi più complessi, con possibili esenzioni per le persone fisiche), ma è certo il principio: l’interpello non è più gratuito. Questo rappresenta un cambiamento notevole rispetto al passato (quando bastava carta semplice e spedizione). Lo scopo dichiarato è quello di “selezionare” le istanze, scoraggiando quelle di scarso rilievo: solo chi ha un dubbio importante sarà disposto a pagare per risolverlo. Restano comunque escluse dal contributo eventuali spese di bollo (comunque non dovute sull’istanza in sé) o costi vivi di trasmissione. Al momento (giugno 2025) si attende il decreto ministeriale con la tabella dei contributi, che potrebbe introdurre 6 fasce di costo a seconda della natura del soggetto e dell’interpello. È importante che il contribuente tenga conto di questo aspetto nel decidere se presentare interpello: ad esempio, un piccolo imprenditore potrebbe valutare se vale la pena sostenere il costo per un chiarimento, mentre per un’azienda grande il costo sarà commisurato ma probabilmente affrontabile.

Assegnazione e pubblicazione delle risposte: dopo la presentazione, l’istanza viene esaminata dall’ufficio competente. La Direzione regionale può, nei casi più complessi o di incertezza interpretativa, inoltrare la pratica alla Divisione Contribuenti centrale (a Roma) che fornisce supporto specialistico o emette direttamente la risposta. Molte risposte di interpello, depurate dei dati personali, vengono pubblicate dall’Agenzia delle Entrate in apposite raccolte (es. “Risposte ad interpello” numerate) sul proprio sito, specie quelle di interesse generale o nuovi casi. Questo avviene ai sensi dell’art. 11 comma 6 Statuto: la pubblicazione delle risposte (in forma anonima) contribuisce a formare “documenti di prassi” utili anche per altri contribuenti in situazioni analoghe. Ad esempio, è frequente vedere nelle circolari e risoluzioni dell’Agenzia richiami a “Risposta a interpello n. XYZ/Anno” come chiarimento ufficiale su un tema. Dunque il singolo interpello individuale spesso produce un effetto benefico di prassi generale. Tuttavia, come chiarito dalla nuova formulazione dell’art. 11 comma 4, se l’Agenzia ha già pubblicato una soluzione a fattispecie corrispondenti, non sussiste obiettiva incertezza e quindi non ricorrono i presupposti per l’interpello. In pratica, prima di presentare un interpello, il contribuente dovrebbe verificare se magari una circolare, risoluzione o risposta ad interpello recente abbia già chiarito la questione: in tal caso l’Agenzia potrebbe rispondere dichiarando l’istanza inammissibile perché la questione è di fatto già risolta dalle “prassi” esistenti. Questo per evitare duplicazioni; resta ferma però la possibilità per il contribuente di insistere se ritiene che la sua situazione presenti elementi particolari non affrontati nelle soluzioni generali.

Passiamo ora al tema centrale: i termini di risposta dell’Agenzia delle Entrate e cosa accade se tali termini non vengono rispettati.

Termini di risposta dell’Agenzia delle Entrate

La legge stabilisce in modo puntuale quanto tempo ha l’Agenzia delle Entrate per fornire la risposta a un interpello. Attualmente, a seguito della riforma del 2023, il termine generale è di 90 giorni dalla presentazione dell’istanza, valido per tutte le tipologie di interpello. Esaminiamo nel dettaglio questa tempistica, includendo le cause di sospensione, le eventuali proroghe e le conseguenze del mancato rispetto.

  • Termine ordinario: 90 giorni. L’art. 11, comma 5 Statuto, come riformulato, recita che l’Amministrazione finanziaria “risponde alle istanze di interpello nel termine di novanta giorni”. Il dies a quo (inizio del conteggio) è la data di presentazione dell’istanza all’ufficio competente, ossia quando l’interpello perviene formalmente all’Agenzia (fa fede il timbro di protocollo o la ricevuta PEC). Entro i successivi 90 giorni di calendario l’Agenzia deve far pervenire la propria risposta scritta e motivata al contribuente. Se la risposta viene comunicata entro questo termine, che cosa succede lo vedremo tra poco (in sintesi: il contribuente conoscerà la posizione ufficiale del Fisco e potrà conformarsi ad essa se favorevole, oppure valutare il da farsi se sfavorevole).
  • Sospensione feriale di agosto. La norma prevede espressamente che il termine di 90 giorni è sospeso (cioè congelato) “tra il 1° e il 31 agosto” di ogni anno. Questa sospensione feriale dei termini ricorda quella vigente nel processo civile e tributario per il compimento di atti processuali, ed è stata applicata agli interpelli per tenere conto della pausa estiva. In pratica, se il periodo di 90 giorni ricade sull’estate, il conteggio si interrompe durante il mese di agosto. Ad esempio, se presento un interpello il 1° luglio, i giorni da 1 a 31 agosto non contano: la scadenza dei 90 giorni slitterà di un mese (quindi anziché scadere il 29 settembre circa, andrà a fine ottobre). Questa previsione evita che il decorso del termine in un mese in cui tradizionalmente le amministrazioni rallentano possa danneggiare il contribuente in attesa di risposte, e di fatto concede all’Agenzia più tempo se l’istruttoria cade d’estate.
  • Sospensione per pareri obbligatori di altre Amministrazioni. Sempre l’art. 11 comma 5 aggiunge che il termine è sospeso “ogni volta che è obbligatorio chiedere un parere preventivo ad altra amministrazione”. Ciò si riferisce a quei casi in cui la questione posta dall’interpello coinvolge competenze di altre autorità. Ad esempio, alcuni interpelli potrebbero richiedere un parere vincolante del Ministero dello Sviluppo Economico, o della Banca d’Italia, o di un ente regolatore, prima che l’Agenzia delle Entrate possa rispondere (si pensi a interpelli in materie di agevolazioni che richiedono anche l’input di altre agenzie). In tali situazioni la procedura prevede che l’Agenzia chieda il parere all’ente terzo; il termine dei 90 giorni si sospende in attesa di tale riscontro. Tuttavia, per evitare stalli indefiniti, la norma dispone che “Se il parere non è reso entro sessanta giorni dalla richiesta, l’amministrazione [finanziaria] risponde comunque all’istanza”. Quindi l’Agenzia non può attendere oltre 60 giorni il parere altrui: decorsi i quali, deve decidere con le proprie forze e fornire comunque una risposta al contribuente nei termini (probabilmente aggiungendo i giorni residui al termine, una volta esaurita la sospensione). Questa clausola incentiva anche le altre amministrazioni a dare pareri tempestivi.
  • Interruzione per integrazione documentale. Una causa di sospensione (o meglio interruzione) del termine, non esplicitata nel nuovo testo di legge ma disciplinata dal D.Lgs. 156/2015 (art. 4) e tuttora valida, è la richiesta di documentazione integrativa da parte dell’Agenzia. In pratica, se l’ufficio esaminando l’istanza ritiene che manchino documenti o chiarimenti necessari a valutare il caso, può – una sola volta – richiedere al contribuente di integrare la documentazione. Questa richiesta interrompe il decorso del termine iniziale. Dopo che il contribuente ha fornito quanto richiesto, un nuovo termine di 60 giorni decorre dalla data di ricezione, da parte dell’ufficio, della documentazione integrativa. Dunque, la dinamica è: presento interpello (T0); l’Agenzia entro i primi, poniamo, 30 giorni si accorge che servono altri documenti – invia una richiesta di integrazione; i termini si fermano; il contribuente risponde fornendo i documenti (poniamo dopo 15 giorni dalla richiesta); a quel punto l’Agenzia ha 60 giorni da quella consegna per emettere la risposta. I 30 giorni trascorsi iniziali non si contano più – è come se ripartisse un tempo nuovo, ma ridotto a 60 giorni. Questa procedura evita che l’Agenzia debba respingere l’istanza per carenza di elementi: viene data una chance di integrare. È importante notare che la richiesta di integrazione deve essere motivata e relativa a elementi esistenti al momento dell’istanza (non può trasformarsi in un ping-pong infinito); inoltre sospende completamente i termini fino alla data di consegna dei documenti integrativi. Se l’istante non fornisce quanto richiesto, l’Agenzia deciderà con gli elementi a disposizione (spesso dichiarando impossibile fornire risposta per incompletezza, quindi inammissibilità o risposta negativa di default). Per il contribuente conviene quindi rispondere sollecitamente e in modo completo a eventuali integrazioni per far ripartire il countdown dei 60 giorni. (N.B.: l’indicazione “prorogabili a 120 giorni se è necessario richiedere integrazioni” che talvolta si trova nelle guide semplificate deriva dal fatto che 90 + 30 = 120 – ma in verità, come spiegato, non è un’aggiunta lineare di 30 giorni, bensì un meccanismo di interruzione e nuovo termine di 60 giorni. Tuttavia, tipicamente se l’Agenzia chiede integrazione verso la fine del periodo iniziale, il risultato è che la risposta può arrivare anche 150 giorni dopo l’istanza originaria. Ad esempio: interpello presentato il 1° gennaio; richiesta integrazione il 15 marzo (dopo ~74 giorni); consegna integrazione il 20 marzo; nuovo termine 60 giorni da tale data → scadenza risposta 19 maggio, quindi ~139 giorni totali dal 1° gennaio).
  • Proroga per festività: se il termine ultimo di risposta cade di sabato o giorno festivo, è prorogato automaticamente al primo giorno lavorativo successivo. Questa è una regola generale di chiusura, applicabile in rarissimi casi (dipende da quando è partito il computo; es. interpello consegnato il 1° giugno scade 90 gg dopo il 30 agosto – prorogato di un giorno essendo 30 agosto un sabato immaginando, ecc.).

Ricapitolando: normalmente 90 giorni, ma si fermano ad agosto, si interrompono se c’è richiesta di integrazione (poi 60 gg dal completamento), e si sospendono se bisogna sentire un altro ente (max 60 gg, poi comunque l’Agenzia decide).

Tabella riepilogativa dei termini di risposta

EventoCalcolo del termine di risposta
Presentazione interpello (giorno 0)90 giorni decorrenti dal giorno successivo (giorno 1 = t0).
Richiesta documenti integrativiInterruzione del termine in corso. Dal ricevimento integrazione, decorrono 60 giorni nuovi.
Periodo 1–31 agostoSospensione del decorso. I giorni di agosto non si contano.
Parere obbligatorio di altro enteSospensione del decorso fino a max 60 giorni. Dopo 60 giorni senza parere, l’Agenzia riprende e risponde comunque.
Scadenza cade di sab./festivoProroga al primo giorno feriale successivo.
Mancata risposta entro il termineSilenzio-assenso: l’interpretazione del contribuente si considera accolta.

Esempio pratico: un interpello ordinario presentato il 10 giugno 2025 farà scadere il termine il 8 ottobre 2025 (considerando 90 gg dal 11 giugno). Se però l’Agenzia il 30 luglio richiede integrazioni, il conteggio si ferma al 30 luglio (dove mancavano 69 giorni). Ipotizziamo che il contribuente fornisca i documenti integrativi il 20 settembre: da questa data l’Agenzia ha 60 giorni → scadenza 19 novembre 2025. Inoltre agosto è in mezzo: dal 1° al 31/8 il tempo era sospeso, ma siccome la richiesta è arrivata il 30/7, di fatto l’Agenzia ha “evitato” di consumare il mese di agosto. In ogni caso entro il 19 novembre dovrà rispondere. Se non lo fa, scatta il silenzio-assenso.

Effetti della risposta (o mancata risposta): vincolatività e silenzio-assenso

Una volta che l’Agenzia delle Entrate fornisce la propria risposta all’interpello – oppure trascorsi i termini senza risposta – si producono specifici effetti giuridici sia per il Fisco che per il contribuente. Vediamoli:

Risposta dell’Agenzia entro i termini

La risposta dell’Agenzia delle Entrate viene comunicata per iscritto (generalmente con le stesse modalità scelte dal contribuente per l’istanza: PEC, raccomandata, ecc.) ed è un documento motivato che espone la soluzione interpretativa dell’Amministrazione al quesito posto. La risposta, come dispone la legge, vincola ogni organo dell’amministrazione finanziaria con riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitamente al richiedente. In altri termini, l’Agenzia e i suoi uffici (centrali e periferici) non potranno emanare atti impositivi o sanzionatori in contrasto con la soluzione data in quella risposta, nei confronti di quel contribuente e in relazione ai fatti descritti nell’istanza. Si tratta di un vincolo forte: se, ad esempio, l’interpello chiedeva “posso applicare l’aliquota IVA ridotta al mio prodotto X?” e la risposta è “Sì, lo può fare perché rientra tra i beni agevolati”, allora in futuro nessun ufficio potrà contestare al contribuente l’applicazione di quella aliquota per quel prodotto (sempre che i fatti siano gli stessi). Attenzione: la risposta non ha portata generale, vincola solo “limitatamente al richiedente” su quella questione. Altri contribuenti non possono invocarla come fosse legge (possono però trarne spunto se la risposta è pubblicata, ma l’Agenzia in teoria potrebbe rispondere diversamente a un altro contribuente se ritiene differente la situazione).

Dal lato del contribuente, invece, la risposta non lo vincola ad adeguarsi. Egli “può anche decidere di non seguirla”, soprattutto se è una risposta negativa o diversa da quanto sperato. L’interpello infatti tutela il contribuente ma non lo obbliga: se l’Agenzia risponde in senso sfavorevole, il contribuente non è tenuto ad agire secondo quel parere (magari perché lo ritiene giuridicamente errato), fermo restando che se agirà difformemente si esporrà a possibili accertamenti. Diversamente, se la risposta è favorevole, chiaramente il contribuente ha tutto l’interesse a uniformarsi, e lo farà. Conformarsi alla risposta offre un ombrello di protezione importante: seguendo il parere dell’Agenzia, il contribuente “non può essere sanzionato né sottoposto ad accertamento sul punto”. In pratica, l’Agenzia non potrà successivamente cambiare idea e colpire il contribuente per quel comportamento conforme al responso dato. Il contribuente acquisisce un affidamento legittimo pieno: anche se in seguito dovesse emergere che la soluzione era giuridicamente errata, nessuna sanzione amministrativa o penale potrà colpirlo, e in genere l’Agenzia non recupererà la maggiore imposta (fatte salve alcune eccezioni di revoca per comportamenti futuri, v. oltre). Questo deriva anche dal generale principio di tutela dell’affidamento di cui all’art. 10, comma 2 Statuto: “Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente […] qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria”. La risposta all’interpello è proprio un atto su cui il contribuente può fare affidamento pieno.

Riassumendo: risposta favorevole – il contribuente segue quel parere e sarà al riparo da sanzioni e verifiche contrarie; risposta sfavorevole – il contribuente può scegliere: uniformarsi (rinunciando al vantaggio sperato) oppure procedere ugualmente sulla propria strada disattendendo il parere, consapevole però che l’Agenzia quasi certamente gli contesterà la scelta (a quel punto la questione verrà decisa da un giudice in caso di contenzioso).

Mancata risposta entro i termini: silenzio-assenso

Se l’Agenzia non risponde entro il termine previsto (90 giorni + eventuali sospensioni/interruzioni come visto), la legge prevede il meccanismo del silenzio-assenso. Il comma 5 dell’art. 11 Statuto stabilisce infatti che “Quando la risposta non è comunicata al contribuente entro il termine previsto, il silenzio equivale a condivisione della soluzione prospettata dal contribuente”. Dunque, il silenzio della PA si considera come risposta positiva: la soluzione interpretativa indicata dal contribuente nell’istanza viene automaticamente accolta. Gli effetti sono sostanzialmente gli stessi di una risposta esplicita favorevole: l’interpretazione del contribuente diventa vincolante per l’Amministrazione finanziaria, che non può emanare atti impositivi contrari (pena invalidità di tali atti). In particolare, gli atti difformi dal responso tacito dell’interpello sono viziati da annullabilità (in passato si parlava di nullità assoluta, la sostanza comunque è che il contribuente potrà farli annullare in giudizio poiché emessi in violazione dell’affidamento creato dal silenzio-assenso). Il silenzio-assenso è quindi uno strumento potente a tutela del contribuente: trascorsi i termini senza risposta, egli può legittimamente comportarsi secondo quanto proposto nell’istanza, come se avesse ottenuto un via libera.

Va rilevato che il silenzio-assenso opera solo se l’istanza era ammissibile e completa. Se l’Agenzia non risponde ma l’interpello in realtà era carente (ad es. mancava la firma, o verteva su materia non consentita), formalmente non dovrebbe maturare un assenso. Tuttavia, queste situazioni borderline sono rare: generalmente l’Agenzia in caso di inammissibilità risponde (entro 90 gg) dichiarando l’istanza inammissibile. Se resta in silenzio totale, si presume che l’istanza fosse valida e dunque il silenzio vale accettazione.

Importante: il contribuente che ha ottenuto silenzio-assenso deve comunque poter provare la data di presentazione dell’interpello e lo spirare dei termini. In caso di futuri controlli, dovrà esibire copia dell’istanza e la ricevuta (protocollo, ricevuta PEC etc.) da cui si evinca che l’Agenzia l’ha ricevuta in tale data. Poiché l’Agenzia pubblica molte risposte, potrebbe accadere che una risposta tacita su un interpello particolare non venga mai ufficializzata in alcun documento pubblico; ma ciò non inficia il diritto del contribuente – semplicemente la sua “pezza d’appoggio” resterà la documentazione privata.

È bene sottolineare che il silenzio-assenso vincola l’Agenzia allo stesso modo di una risposta esplicita. In passato c’era dibattito se valesse in ugual misura, ma la legge ora lo afferma chiaramente. Un atto impositivo emanato in difformità rispetto alla soluzione che ha ricevuto assenso tacito è annullabile su ricorso del contribuente, come confermato dall’art. 11 comma 5 riformato. Ad esempio, Cassazione aveva in passato parlato di tali atti come affetti da “nullità”, e tali principi restano sostanzialmente applicabili (con la modifica terminologica in “annullabilità”).

Efficacia temporale e rettifica delle risposte

Un aspetto spesso domandato è: per quanto tempo vale la risposta dell’interpello? E l’Agenzia può cambiare idea successivamente? La risposta (gioco di parole inevitabile) è articolata:

  • La risposta (o il silenzio-assenso) vale per i fatti e periodi d’imposta cui si riferisce l’istanza. Se l’istanza riguarda un’operazione una tantum, esaurita quella, la copertura è limitata ad essa. Se invece riguarda, poniamo, il trattamento fiscale di un contratto di locazione pluriennale, la risposta vincolerà l’Agenzia anche per gli anni successivi finché la situazione di fatto e normativa rimane la stessa. Il comma 5 ultimo periodo specifica che “Gli effetti della risposta si estendono ai comportamenti successivi del contribuente riconducibili alla fattispecie già oggetto di interpello”, salvo che l’amministrazione rettifichi la soluzione interpretativa per il futuro. Significa che il contribuente non deve presentare nuovamente interpello ogni anno se la questione è identica: può continuare ad applicare quanto ottenuto, e il Fisco sarà vincolato (es.: se ho chiesto nel 2024 se un reddito X è esente da IVA e l’Ade ha detto sì, potrò considerarlo esente anche nel 2025, 2026, ecc., senza rifare l’interpello).
  • L’Agenzia può però emettere, col tempo, una rettifica della soluzione interpretativa data, con valenza solo per il futuro. Questa è una clausola che consente al Fisco, in presenza magari di evoluzioni normative o giurisprudenziali o di ripensamenti interni, di modificare il proprio orientamento. Se la rettifica avviene, ovviamente non tocca i comportamenti già tenuti dal contribuente in buona fede sulla base della precedente risposta. Ad esempio, l’Agenzia risponde nel 2025 ad un interpello dando luce verde ad un certo trattamento fiscale; nel 2027 si accorge (magari per sentenze della Cassazione contrarie) che quell’interpretazione era sbagliata e invia al contribuente una rettifica della risposta: da quel momento in poi, per gli anni 2027 e seguenti, il contribuente non potrà più fare affidamento sulla risposta originaria ma dovrà adeguarsi alla nuova interpretazione. Tuttavia per il 2025-2026 nulla potrà essergli contestato, poiché era coperto dal parere originario (principio di affidamento). Questo meccanismo era già previsto nella prassi (Circ. 9/E/2016) ed è ora sostanzialmente confermato.

Inoltre, se i fatti reali differiscono da quelli rappresentati nell’istanza, la risposta non produce effetti vincolanti. Il vincolo opera “sempre nel presupposto che i fatti accertati coincidano con quelli rappresentati”. Se durante un controllo l’Agenzia scopre che il contribuente non aveva fornito informazioni complete o che la situazione concreta era diversa, la protezione dell’interpello cade. Ad esempio, un contribuente descrive nell’istanza certe condizioni (omettendo magari un dettaglio rilevante) e ottiene una risposta favorevole; se in realtà la realtà era diversa e quel dettaglio avrebbe cambiato la soluzione, l’Agenzia può legittimamente disconoscere la validità di quella risposta per mancanza di corrispondenza con i fatti.

Impugnabilità della risposta dell’Agenzia

La regola generale attuale è chiara: la risposta dell’Agenzia alle istanze di interpello non è impugnabile autonomamente. Non trattandosi di un atto impositivo o di un provvedimento che incide direttamente sulla sfera patrimoniale, la risposta (sia essa positiva o negativa) non rientra tra gli atti elencati nell’art. 19 D.Lgs. 546/1992 (elenco degli atti ricorribili dinanzi alle Commissioni Tributarie). Il contribuente dunque, se riceve una risposta sfavorevole, non può ricorrere immediatamente al giudice per contestarla. La tutela del contribuente si estrinseca diversamente: egli potrà eventualmente compiere il comportamento da lui ritenuto corretto in disaccordo col parere dell’Agenzia e poi, se l’Agenzia emetterà un avviso di accertamento o altro atto impositivo basandosi sul suo diniego, impugnare quell’atto e far valere le proprie ragioni in giudizio. In tale sede, il giudice non è vincolato dalla risposta dell’interpello (che vincola l’Amministrazione, ma non il giudice né formalmente il contribuente): il giudice valuterà la questione di merito potendo anche smentire l’interpretazione del Fisco. Del resto, se il contribuente invece si adegua alla risposta sfavorevole, non vi sarà controversia (ma avrà rinunciato al potenziale beneficio).

Eccezione – Interpello disapplicativo negativo: in passato, la giurisprudenza ha costruito un’eccezione per le risposte negative in ambito di interpello disapplicativo (quello sulle società di comodo e norme antielusive similari). Poiché in tali casi la mancata disapplicazione comportava immediatamente l’applicazione di un regime fiscale punitivo (es. maggior tassazione), alcune sentenze di Cassazione hanno ritenuto l’atto di diniego dell’interpello disapplicativo autonomamente impugnabile, pur non essendo incluso nell’art. 19 D.Lgs. 546. Già a partire dal 2011 la Corte (Sez. V n. 8663/2011) affermò questo principio, poi reiterato più volte. L’idea era che negare l’interpello obbligatorio equivaleva a imporre un onere tributario, e quindi il diniego aveva natura provvedimentale lesiva. Ad esempio, Cass. n. 12150/2019 confermò l’impugnabilità del rifiuto di disapplicazione, così come numerose altre pronunce ricordate in Cass. 1317/2020. In pratica, alcuni contribuenti hanno impugnato direttamente la risposta negativa dell’Agenzia (senza attendere la cartella di pagamento) e i giudici hanno ammesso tale ricorso “preventivo”. Questa giurisprudenza nasceva nel regime in cui l’interpello disapplicativo era considerato obbligatorio. Oggi, con la facoltatività di tale interpello sancita dalla legge, perde di rilevanza. Il D.Lgs. 219/2023 stabilendo la non impugnabilità delle risposte in generale supera quelle interpretazioni giurisprudenziali: l’intento del legislatore è chiaramente uniformare il regime (nessuna risposta è ricorribile, nemmeno quelle su interpello disapplicativo). D’altra parte, avendo reso non obbligatorio l’interpello, il contribuente può direttamente contestare in dichiarazione la norma antielusiva e, in caso di accertamento, far valere le sue ragioni in giudizio, senza essere precluso dall’aver omesso di impugnare il diniego. Anzi, la Cassazione nel 2021 ha affermato che il contribuente può “discostarsi dalla risposta negativa all’interpello […] potendo comunque impugnare gli atti successivi […] e dimostrare in sede giurisdizionale, senza preclusioni, la sussistenza delle condizioni per la disapplicazione”. Quindi la linea attuale è: non serve (né è ammesso) impugnare la risposta di interpello; la difesa delle proprie ragioni avverrà eventualmente contro l’atto impositivo conseguente, con pieno sindacato del giudice sulle questioni di merito.

Conclusione sul punto: il contribuente non ha un diritto soggettivo a farsi dare ragione dal Fisco in sede di interpello, ma ha il diritto di avere una risposta (o un silenzio-assenso) entro i termini. Se la ottiene ed è favorevole, bene. Se è sfavorevole o non soddisfacente, il contribuente resta libero di agire come crede e poi far valere le proprie ragioni in contenzioso; il parere negativo del Fisco non fa stato assoluto (il giudice potrebbe anche smentirlo, e in diversi casi è accaduto).

Domande frequenti (FAQ) sull’interpello e i tempi di risposta

Q1: Che cos’è esattamente un interpello tributario?
A: È una richiesta formale che il contribuente rivolge all’Agenzia delle Entrate per conoscere in anticipo la corretta interpretazione di una norma fiscale rispetto a un caso concreto che lo riguarda. In pratica, è un’istanza di consulenza vincolante: il contribuente espone la situazione e il dubbio applicativo e propone la sua soluzione, chiedendo conferma ufficiale. Serve per prevenire incertezze e assicurarsi di operare conforme alla legge.

Q2: Chi può presentare un’istanza di interpello all’Agenzia delle Entrate?
A: Qualsiasi soggetto titolare di un interesse personale e concreto può presentare interpello. Ciò include persone fisiche (cittadini, anche non residenti per questioni fiscali italiane), imprese individuali, società di persone e di capitali, enti pubblici e privati, associazioni, ecc. Non vi sono limitazioni per categoria economica o dimensione: conta solo che ci sia un dubbio interpretativo genuino su norme tributarie applicabili al caso del richiedente. Anche un contribuente estero che interagisce col fisco italiano può proporre interpello (ad esempio, un non residente che deve pagare un’imposta in Italia e ha un dubbio interpretativo). L’istanza può essere presentata direttamente dall’interessato o tramite un rappresentante (es. un professionista delegato).

Q3: In quali casi è utile o consigliabile usare l’interpello?
A: L’interpello conviene quando il contribuente si trova di fronte a un’incertezza normativa rilevante che potrebbe comportare un rischio fiscale significativo. Ad esempio: operazioni societarie straordinarie (fusioni, scissioni) con importanti conseguenze fiscali; accesso a regimi fiscali agevolati (nuove start-up innovative, superbonus edilizi) dove i requisiti applicativi sono dubbiosi; operazioni con l’estero (transfer pricing, dividendi esteri) che potrebbero avere implicazioni antielusive; casi in cui si vuole disapplicare norme antielusive (come nel caso delle società in perdita sistemica o di comodo). In generale, quando c’è in gioco una somma elevata di imposte o sanzioni potenziali, l’interpello offre certezza preventiva. Al contrario, per questioni di poco conto o già chiaramente risolte dalla legge o da prassi, non vale la pena attivare la procedura (anche perché ora è a pagamento).

Q4: L’interpello va presentato prima o dopo aver fatto l’operazione/dichiarazione?
A: Sempre prima. L’interpello è preventivo per definizione. Bisogna presentarlo prima di eseguire il comportamento fiscale di cui si chiede lumi (prima di presentare la dichiarazione, prima di stipulare l’atto, ecc.). Se lo si presenta dopo, quando magari il Fisco ha già contestato qualcosa, l’istanza verrà dichiarata inammissibile. Nel dubbio, quindi, meglio non effettuare l’operazione senza aver ricevuto risposta (o senza che siano decorsi i 90 giorni per il silenzio-assenso). In alcuni casi concreti, come visto, i giudici hanno accettato interpelli presentati all’ultimo momento (es. il giorno prima della dichiarazione), ma resta fondamentale che l’istanza preceda il comportamento. Dopo, non serve.

Q5: Quanto tempo ha l’Agenzia delle Entrate per rispondere all’interpello?
A: Il termine ordinario è di 90 giorni dalla presentazione. Questo termine può allungarsi se intervengono sospensioni/interruzioni: in particolare, il periodo 1–31 agosto non conta (sospensione feriale); se l’Agenzia chiede documenti integrativi, il conteggio si interrompe e riparte con 60 giorni dall’integrazione fornita; se è necessario un parere di un altro ente, il termine resta sospeso fino a max 60 giorni in attesa di tale parere. In pratica, nella maggior parte dei casi la risposta arriva entro 3 mesi; se la questione è complessa e richiede integrazioni o cade d’estate, può slittare di alcuni mesi in più (4-5 mesi). Oltre questi limiti, scatta il silenzio-assenso.

Q6: Cosa succede se l’Agenzia non risponde entro i termini (90 giorni + eventuali sospensioni)?
A: Si forma il silenzio-assenso vincolante. Cioè, la legge considera come se l’Agenzia avesse risposto accogliendo la soluzione proposta dal contribuente. Il silenzio vale quindi approvazione tacita. Questo mette il contribuente al sicuro: potrà seguire la propria interpretazione senza temere sanzioni, e se il Fisco in futuro provasse a contestarla avrebbe torto (gli atti contrari sarebbero annullabili per violazione di legge). Dunque, l’assenza di risposta equivale a una vittoria del contribuente (purché la sua soluzione fosse espressa chiaramente nell’istanza, altrimenti il silenzio-assenso copre ciò che è stato prospettato). È sempre bene, comunque, avere prova della data di presentazione e calcolarsi con precisione la scadenza dei 90 giorni (tenendo conto di agosto etc.), per sapere da quando si può considerare valido l’assenso implicito.

Q7: La risposta dell’Agenzia è sempre vincolante?
A: Per l’Agenzia sì, per il contribuente no. La risposta (scritta o tacita) vincola l’Amministrazione finanziaria a rispettarla nei confronti di quel contribuente e di quella fattispecie. Invece, il contribuente non è obbligato a seguire la risposta se non la condivide. Ovviamente se la risposta gli dà ragione, sarà ben felice di seguirla; se invece è sfavorevole, il contribuente può decidere di ignorarla e comportarsi come ritiene giusto, ma in tal caso rischia un contenzioso (sarà poi un giudice a decidere chi aveva ragione). In sintesi: la risposta vincola il Fisco (che non può agire in contrasto con essa) e protegge il contribuente se questi la segue, ma non lo obbliga a conformarsi (lo fa a suo rischio).

Q8: Posso impugnare (fare ricorso contro) una risposta sfavorevole dell’Agenzia?
A: In linea generale no, non è possibile ricorrere direttamente contro la risposta. La risposta all’interpello non è un atto impugnabile autonomamente in Commissione Tributaria. L’unica eccezione ammessa in passato riguardava le risposte negative su interpelli “disapplicativi obbligatori”, che alcune sentenze hanno ritenuto impugnabili subito, ma oggi l’interpello disapplicativo è facoltativo e la nuova normativa preclude esplicitamente l’impugnabilità delle risposte in ogni caso. Quindi, se l’Agenzia ti risponde negativamente, non puoi fare immediatamente ricorso. Potrai però agire in due modi: o ti adegui (e allora niente ricorso perché non c’è atto impositivo), oppure procedi per conto tuo (ignori il parere) e aspetti che eventualmente il Fisco ti contesti qualcosa con un avviso di accertamento o altro atto formale. Quello sarà impugnabile e in quella sede potrai sostenere che la tua interpretazione era corretta, chiedendo al giudice di disapplicare l’interpretazione del Fisco. In pratica il giudizio avverrà solo dopo che il Fisco avrà (eventualmente) agito contro di te per non aver seguito il suo parere. Questa situazione peraltro non si verifica se segui il parere (perché allora non ci sarà nessun contenzioso). Nota: se l’Agenzia ti risponde oltre il termine (quindi tecnicamente fuori tempo massimo), quella risposta tardiva non ha efficacia – si considera come se fosse intervenuto già il silenzio-assenso. Qualora l’Agenzia cercasse di far valere una risposta tardiva a sé favorevole, il contribuente potrebbe eccepirne la irrilevanza perché il termine era scaduto (su questo esistono pronunce: la CTR Liguria ad es. ha parlato di risposta tardiva come di un “revirement” dell’amministrazione, inidoneo a incidere su un assenso tacito già formato e quindi atto nullo). In sintesi, la difesa del contribuente contro un interpello negato si gioca a valle, sul provvedimento impositivo eventualmente emesso.

Q9: L’Agenzia può cambiare idea dopo aver dato una risposta favorevole?
A: Può farlo solo per il futuro. La legge le consente di rettificare la risposta data, ma con efficacia limitata ai comportamenti futuri del contribuente. Ciò significa che se hai ricevuto una risposta favorevole e ti sei comportato di conseguenza, il Fisco non può smentirti per quel periodo. Tuttavia, potrebbe notificarti (ad esempio) nel 2025 che a partire dal 2026 quella interpretazione non vale più (magari perché è cambiata la legge o perché hanno rivisto la posizione). Da quel momento in poi tu non sarai più coperto dall’originaria risposta. Questo in realtà è abbastanza raro e di solito avviene attraverso circolari generali o cambi di normativa. Finché nulla cambia, la risposta rimane valida. Se invece cambiano i presupposti di fatto – ovvero la situazione concreta non è più identica a quella descritta – la risposta perde efficacia automaticamente in quanto riferita a fattispecie diverse. Dunque è consigliabile, in caso di mutamenti significativi nella propria situazione, valutare se l’interpello precedente copra ancora il nuovo scenario, altrimenti potrebbe servire un nuovo interpello.

Q10: Quanto è “sicuro” il silenzio-assenso? Posso fidarmi a non ricevere nulla?
A: Il silenzio-assenso ha pieno valore legale, pari ad una risposta scritta positiva. Dunque, sì, è “sicuro” tanto quanto una risposta esplicita. Naturalmente dal punto di vista psicologico può lasciare un po’ di incertezza al contribuente non ricevere nulla: “avranno ricevuto la mia istanza? avrò contato bene i giorni?”. Ma questi dubbi si risolvono con buona organizzazione: conservi la prova di ricezione (ricevuta PEC o AR), segni la data e calcoli 90 giorni + sospensioni. Se ad esempio hai presentato l’istanza e sai che scade il 10 dicembre il termine, dal giorno 11 dicembre sei coperto da assenso. Potresti anche provare a sollecitare informalmente l’ufficio prima della scadenza, ma formalmente non serve. È importante ricordare che se anche dopo il termine l’Agenzia ti inviasse una risposta tardiva (mettiamo il 15 dicembre nell’esempio), tu potrai considerarla come priva di effetti, perché il silenzio-assenso si è già formato. Se la risposta tardiva ti è favorevole, tanto meglio (hai una conferma scritta tardiva); se è sfavorevole, potrai replicare che ormai valeva il silenzio-assenso e quella è solo un’opinione non vincolante. In pratica, conviene annotare bene la data di scadenza e, una volta superata, comportarsi come se si avesse avuto risposta positiva.

Q11: L’interpello costa qualcosa?
A: Da gennaio 2024 in poi sì, è previsto un contributo obbligatorio per presentare l’istanza. Al momento (giugno 2025) non sono ancora noti gli importi precisi, in attesa del decreto attuativo, ma si sa che varieranno in base al tipo di contribuente e complessità del quesito. Questo contributo sarà da versare anticipatamente e probabimente dovrà essere documentato nell’istanza (ad esempio allegando l’F24 o quietanza di pagamento). In passato invece l’interpello non aveva costi (salvo la raccomandata o PEC). Resta comunque esente da imposta di bollo e non soggetto a diritti vari la presentazione in sé. Il contributo è destinato per legge alla formazione del personale fiscale, non è un tributo in senso classico ma una sorta di fee di servizio. Naturalmente, se l’istanza viene dichiarata inammissibile o non dà esito favorevole, quel contributo non viene restituito.

Q12: Cosa devo fare se nella mia situazione di dubbio c’è già una circolare o una risposta ad interpello pubblicata che tratta un caso simile?
A: In tal caso occorre valutare se davvero la tua situazione è perfettamente sovrapponibile a quella già chiarita dalla prassi. Se sì, allora formalmente non ci sono le condizioni di obiettiva incertezza richieste per l’interpello. L’Agenzia potrebbe risponderti in modo sintetico rinviando alla circolare esistente o addirittura dichiarare l’istanza inammissibile perché il dubbio non è legittimo (c’è già una soluzione ufficiale). Quindi, se ad esempio è già uscita una circolare ministeriale che spiega come trattare fiscalmente una certa operazione, non avrebbe senso chiedere di nuovo un interpello sulla stessa questione. Tuttavia, se il tuo caso presenta particolarità non affrontate nella circolare, puoi evidenziarle nell’istanza in modo da giustificare il perché c’è ancora incertezza. In sintesi: la presenza di prassi precedente sul tema potrebbe farti risparmiare l’interpello (basta applicare quella), ma se ritieni che non si applichi perfettamente a te, puoi comunque presentare interpello specificando cosa c’è di diverso. Ricorda che l’art. 11 ora esclude l’incertezza oggettiva quando l’amministrazione “ha fornito, mediante documenti di prassi o risoluzioni, la soluzione per fattispecie corrispondenti”. “Corrispondenti” è la parola chiave: se non sono proprio corrispondenti, lo spazio per l’interpello rimane.

Q13: Quali sono gli errori da evitare nella presentazione di un interpello?
A: Errori comuni: non descrivere bene il caso concreto (un interpello generico o teorico sarà rigettato); non proporre una soluzione (se poni solo domande senza dire la tua interpretazione, l’istanza è inammissibile); dimenticare di allegare documenti fondamentali (contratti, bilanci) che provano la situazione; fare domande su aspetti non fiscali o chiedere consulenza extra-tributaria (verrebbe scartato); presentare interpello dopo aver già ricevuto un avviso di accertamento su quel tema (a quel punto è “troppo tardi” e va affrontato in contenzioso, l’interpello non può sanare). Inoltre, banalmente, errori formali: non firmare l’istanza, o indicare un recapito errato per la risposta, potrebbero crearti problemi. Per questo si consiglia di farsi assistere da un tributarista esperto nella redazione: un interpello ben impostato può valere molto in termini di risparmio futuro e tranquillità.

Q14: Cosa succede se presento l’interpello e nel frattempo devo comunque rispettare una scadenza (es. invio dichiarazione)?
A: L’art. 11 comma 6 Statuto chiarisce che la presentazione dell’istanza di interpello non incide sulle scadenze tributarie né sospende termini di decadenza o prescrizione. Significa che non è che perché hai chiesto interpello puoi non presentare la dichiarazione in attesa di risposta. Devi comunque adempiere. Se però l’incertezza riguarda proprio cosa indicare in dichiarazione, hai due opzioni: 1) Chiedere una proroga dell’adempimento, se possibile, motivando con l’attesa dell’esito (ma normalmente non è previsto rinvio per questo, a meno di ottenere accordi particolari); 2) presentare la dichiarazione adottando la tua interpretazione favorevole (quella prospettata nell’interpello). Se poi la risposta dell’Agenzia (che arriverà dopo) ti dà torto, potrai fare una dichiarazione integrativa per correggere evitando sanzioni (perché avrai avuto l’affidamento fino ad allora). Se invece ti dà ragione o non risponde, la tua dichiarazione era corretta. Insomma, l’interpello non blocca le scadenze: il contribuente deve gestirsi il rischio in attesa di esito. In tal senso la consultazione preventiva della banca dati (la nuova “consultazione semplificata” ex art. 10-nonies Statuto) può aiutare a orientarsi nel frattempo.

Q15: L’interpello copre anche eventuali responsabilità penali tributarie?
A: Domanda sofisticata. In linea generale, se un comportamento è sostenuto da un parere favorevole dell’Agenzia, manca l’elemento soggettivo del reato (dolo) perché il contribuente ha agito confidando nella legittimità. Inoltre molti reati tributari sono costruiti sul “dovuto e non versato” o sull’“indebita compensazione”, ecc. Se fiscalmente un atto non è dovuto (perché l’interpello ha detto che quell’imposta non era dovuta), non c’è neppure reato. Quindi sì, l’interpello tutela anche sul versante penale, come riflesso del legittimo affidamento. Attenzione però: se il contribuente ha taciuto fatti o rappresentato falsamente la situazione nell’istanza, la protezione cade e in teoria potrebbero profilarsi contestazioni (es. dichiarazioni mendaci all’amministrazione). In pratica, se l’interpello è veritiero e il fisco avalla, non ci sarà illecito penale per le condotte conformi a quel responso.

Conclusioni

L’interpello è un istituto centrale nel rapporto Fisco-contribuente, soprattutto in un sistema tributario complesso come quello italiano. Dal punto di vista del contribuente (debitore d’imposta), offre uno strumento di difesa preventiva: permette di evitare contenziosi seguendo la via interpretativa tracciata dall’Agenzia delle Entrate, oppure di consolidare la propria posizione con il silenzio-assenso. Con le riforme recenti, l’interpello è divenuto più oneroso (a pagamento) e in parte più ristretto nei soggetti ammessi per talune tipologie, ma resta comunque un’ancora di salvezza in situazioni di obiettiva incertezza. È importante che il contribuente ne faccia un uso strategico e consapevole: data anche l’introduzione del contributo economico, l’interpello va usato per questioni sostanziali, dove il beneficio di una risposta certa supera il costo e l’attesa. Un interpello ben presentato, con tutti i crismi, può far risparmiare migliaia se non milioni di euro di imposte o sanzioni potenzialmente contestabili, oltre a dare serenità fiscale a chi deve intraprendere operazioni delicate. In caso di dubbi importanti, “meglio chiedere prima, che difendersi dopo” rimane un adagio valido, tenendo però a mente i tempi e le modalità con cui questo “chiedere” deve avvenire.

Dal lato dell’Agenzia delle Entrate, il rispetto dei termini di risposta e la chiarezza nelle soluzioni proposte sono fondamentali per mantenere la fiducia nel sistema. La riduzione generalizzata a 90 giorni per tutte le risposte di interpello, introdotta dalla riforma, è un segnale positivo di attenzione ai tempi del contribuente. Anche la formalizzazione del silenzio-assenso e dei vincoli connessi rafforza la posizione del contribuente, bilanciata però dall’onere del contributo da pagare.

In conclusione, l’Agenzia delle Entrate ha 90 giorni di tempo (salvo sospensioni) per rispondere a un interpello e, se non lo fa, “chi tace acconsente”. Questa guida ha analizzato cosa significa in pratica questa tempistica, come gestirla e quali diritti ne discendono per il contribuente. Conoscere bene le regole dell’interpello – termini, effetti, limiti – è cruciale sia per i professionisti del settore tributario, sia per imprenditori e cittadini che vogliano navigare con sicurezza nelle acque spesso agitate del fisco italiano.


Fonti e riferimenti normativi (aggiornati a giugno 2025)

  1. Statuto dei diritti del contribuente – Art. 11, L. 27 luglio 2000 n. 212: testo vigente dopo le modifiche del D.Lgs. 219/2023, che disciplina il diritto di interpello (tipologie, termini di risposta, effetti).
  2. Decreto Legislativo 24 settembre 2015, n. 156: riforma degli interpelli e del contenzioso tributario (attuativo della Delega Fiscale 2014) – ha introdotto le categorie di interpello qualificatorio, probatorio ecc., e previsto termini di 90/120 gg per le risposte.
  3. Decreto Legislativo 30 dicembre 2023, n. 219: attuazione Delega Fiscale 2023, recante modifiche allo Statuto del contribuente – ha unificato a 90 giorni i termini per tutte le risposte, introdotto il contributo per le istanze, reso facoltativo l’interpello disapplicativo, limitato l’interpello probatorio, dichiarato non impugnabili le risposte, ecc. (Entrato in vigore 18/01/2024).
  4. Provvedimento Min. Finanze 26 aprile 2001 n. 209 – Regolamento sugli interpelli: (ancora vigente per aspetti procedurali) definisce modalità di presentazione e obbligo di integrazione documentale; art. 4 di tale DM regola l’interruzione dei termini per richiesta di documenti integrativi.
  5. Circolare Agenzia Entrate 1° aprile 2016 n. 9/E: fornì chiarimenti sulla nuova disciplina d’interpello post-D.Lgs. 156/2015, ad es. sulla possibilità di rettifica delle risposte e sugli effetti delle risposte tardive.
  6. Corte di Cassazione – Sez. Trib. – ord. 15 ottobre 2021 n. 28251: ha sancito che l’interpello disapplicativo non costituisce condizione obbligatoria di tutela, potendo il contribuente far valere in giudizio le circostanze esimenti anche senza interpello (società di comodo).
  7. Corte di Cassazione – Sez. Trib. – sent. 22 gennaio 2020 n. 1317: ha confermato l’impugnabilità del diniego di interpello disapplicativo (regime ante 2015) e l’inesistenza di un termine minimo per presentare tale interpello (valido anche se inviato il giorno prima della dichiarazione).
  8. Corte di Cassazione – orientamento 2011–2019 sulle risposte a interpello disapplicativo: vedi Cass. 8663/2011, 17010/2012, 13963/2017, 12150/2019 ecc., tutte richiamate in Cass. 1317/2020, circa l’autonoma impugnabilità del diniego di disapplicazione (principio ora superato dalla norma).
  9. Normativa correlata: Art. 10-bis L.212/2000 (abuso del diritto); Art. 30 L.724/1994 (società non operative); D.Lgs. 128/2015 (cooperative compliance); DPR 600/1973 art. 37-bis comma 8 (vecchia norma interpello anti-elusione, abrogata); Art. 24-bis TUIR D.P.R. 917/86 (regime nuovi residenti). Queste norme definiscono il contesto sostanziale di molti interpelli speciali.

Hai presentato un interpello all’Agenzia delle Entrate? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Se hai inviato un’istanza di interpello per chiarire dubbi fiscali o pianificare un’operazione complessa, è fondamentale sapere entro quanto tempo deve arrivare la risposta dell’Agenzia delle Entrate.
La normativa prevede termini certi, superati i quali puoi far valere il silenzio-assenso o ottenere tutela legale.


Interpello: cosa succede dopo l’invio?

Una volta trasmesso l’interpello in via telematica:

  • L’Agenzia protocolla la tua richiesta
  • Analizza la completezza della documentazione
  • Può chiedere ulteriori chiarimenti o integrazioni
  • Emette una risposta scritta e motivata entro i termini previsti dalla legge

Quanto tempo ha l’Agenzia delle Entrate per rispondere?

Il termine generale è di 90 giorni, che decorrono:

  • 📅 Dal giorno in cui la tua istanza è completa e regolarmente ricevuta
  • 🕒 In caso di richiesta di integrazioni, il termine si sospende e riprende solo alla ricezione della documentazione mancante

📌 Eccezione: per gli interpelli sui nuovi investimenti, il termine può estendersi fino a 120 giorni.


E se l’Agenzia non risponde nei termini?

Se l’Agenzia delle Entrate non risponde entro i termini previsti:

  • ✅ Si applica il principio del silenzio-assenso, nei casi previsti (soprattutto per interpello ordinario e disapplicativo)
  • ⚖️ Il contribuente può considerare valida la propria interpretazione
  • 🛡️ In caso di controllo, potrà opporsi ad accertamenti facendo valere l’effetto vincolante dell’interpello non evaso

Attenzione: il silenzio non ha sempre effetto favorevole, per questo è fondamentale farsi assistere nella corretta formulazione dell’istanza.


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📑 Redige un interpello completo e conforme alle norme vigenti
📂 Gestisce le eventuali richieste di chiarimento da parte dell’Agenzia
✍️ Tiene monitorati i termini di risposta e fa valere il silenzio-assenso ove previsto
⚖️ Ti difende in caso di risposte negative, evasive o in ritardo
🔁 Ti assiste in caso di successivo accertamento o contenzioso


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Consulente per interpelli, fiscalità preventiva e contenzioso tributario
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per imprese, lavoratori all’estero e start-up


Conclusione

L’Agenzia delle Entrate ha 90 giorni per rispondere a un interpello. Se non risponde nei tempi e la tua istanza è stata corretta, puoi far valere il silenzio-assenso.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi presentare un interpello efficace, ottenere tutela legale e difenderti da accertamenti ingiusti.

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