Hai ricevuto un atto di precetto o un pignoramento e ti stai chiedendo se puoi opporti e quali motivi puoi far valere con l’opposizione all’esecuzione? Ti accusano di un debito che ritieni inesistente o prescritto, o stanno eseguendo un titolo che pensi sia invalido?
L’opposizione all’esecuzione è lo strumento giusto per bloccare o limitare un’esecuzione forzata illegittima. Ma non puoi usarla per qualsiasi cosa: servono precise cause ammesse dalla legge, che devono essere sostenute da prove chiare e circostanziate.
Quali sono le cause che puoi far valere con l’opposizione all’esecuzione?
– Inesistenza del titolo esecutivo (es. un decreto ingiuntivo non passato in giudicato, una sentenza non definitiva)
– Estinzione del debito (ad esempio, perché hai già pagato)
– Prescrizione del credito: il titolo è valido, ma è trascorso troppo tempo per poterlo far valere
– Nullità o inefficacia del titolo (es. una cambiale priva dei requisiti formali o un mutuo nullo)
– Difetto di notifica dell’atto presupposto, come la cartella o l’atto di precetto
– Incapacità giuridica o rappresentativa del creditore (es. chi agisce non ha titolo per farlo)
Quando si può proporre l’opposizione all’esecuzione?
– Entro 20 giorni dalla notifica dell’atto di pignoramento
– Se non hai ricevuto il titolo, puoi farla anche in fase più avanzata, appena vieni a conoscenza dell’esecuzione
– Va proposta davanti al giudice dell’esecuzione, con l’assistenza di un avvocato
Cosa si può ottenere con l’opposizione?
– La sospensione immediata dell’esecuzione, se il giudice ritiene fondate le ragioni
– L’annullamento totale o parziale del pignoramento o dell’intera procedura
– La limitazione delle somme pignorate, in caso di errori nel calcolo
– Il riconoscimento della prescrizione o estinzione del debito
Cosa NON puoi far valere con l’opposizione all’esecuzione?
– Contestazioni sul merito del debito già giudicato (es. non puoi rimettere in discussione una sentenza definitiva)
– Errori del creditore anteriori al titolo, se non li hai già fatti valere in tempo
– Questioni formali sull’atto di precetto, se non incidono sulla validità dell’esecuzione
Cosa NON devi fare mai?
– Ignorare il pignoramento o il precetto: l’esecuzione continua anche se è illegittima, se non ti opponi
– Presentare un’opposizione generica o senza prove: va costruita con motivi concreti e documentati
– Aspettare troppo: i termini per agire sono stretti e, se li perdi, non puoi più difenderti
– Confondere l’opposizione all’esecuzione con quella agli atti esecutivi o al titolo esecutivo: ognuna ha un ambito specifico
Se ritieni che l’esecuzione sia ingiusta o basata su un titolo non valido, puoi fermarla. Ma devi agire subito e con gli strumenti giusti.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in esecuzioni e opposizioni – ti spiega quali sono le cause che puoi far valere con l’opposizione all’esecuzione, quando puoi presentarla e come ottenere la sospensione del pignoramento.
Hai ricevuto un atto esecutivo e vuoi sapere se puoi opporti?
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Introduzione
Nel processo di esecuzione forzata in Italia, il debitore (o altri soggetti interessati) dispone di specifici strumenti giuridici per contestare la legittimità dell’azione esecutiva intrapresa dal creditore. Tali strumenti sono detti opposizioni esecutive e si suddividono in tre tipologie principali, disciplinate dal Codice di procedura civile (c.p.c.):
- Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.), con cui il debitore esecutato contesta il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata (si contesta dunque il fondamento sostanziale dell’esecuzione, ad esempio l’inesistenza del titolo esecutivo o l’avvenuto pagamento del debito).
- Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.), con cui una parte del processo esecutivo (debitore, creditore procedente o intervenuto) contesta la regolarità formale di uno specifico atto dell’esecuzione (es. vizi di notifica, errori procedurali, difetti di forma).
- Opposizione di terzo all’esecuzione (art. 619 c.p.c.), con cui un soggetto terzo, estraneo al rapporto fra creditore e debitore, rivendica la proprietà o un diritto reale sui beni pignorati, incompatibile con l’espropriazione in corso.
Queste opposizioni rappresentano delle “parentesi” di cognizione all’interno del processo esecutivo, volte a garantire la legalità e la correttezza dell’esecuzione. In altri termini, attraverso le opposizioni il debitore o altri soggetti possono far valere dinanzi al giudice dell’esecuzione o ad altro giudice competente le ragioni per cui l’esecuzione sarebbe ingiusta o viziata. Nelle sezioni seguenti esamineremo in dettaglio tutte le cause contestabili tramite opposizione all’esecuzione (in senso lato) dal punto di vista del debitore, analizzando le differenze tra le varie tipologie di opposizione, i motivi ammissibili, le più recenti novità normative (aggiornate a giugno 2025) e gli orientamenti giurisprudenziali più significativi emersi tra il 2024 e il 2025. Saranno fornite spiegazioni avanzate ma dal taglio divulgativo, corredate di fonti normative e sentenze aggiornate, oltre a tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione finale di domande e risposte frequenti.
Tipologie di opposizioni nell’esecuzione forzata
Come anticipato, il nostro ordinamento prevede tre forme principali di opposizione nel processo esecutivo civile. Ognuna ha presupposti e finalità proprie. In questa sezione delineiamo le caratteristiche generali di ciascuna opposizione, prima di approfondire i motivi specifici di contestazione che il debitore può far valere.
Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.)
Definizione e scopo: L’opposizione all’esecuzione è lo strumento con cui il debitore (o il terzo proprietario del bene pignorato, in alcuni casi) contesta il diritto del creditore di procedere all’esecuzione forzata. In altre parole, si mette in discussione la legittimità sostanziale dell’azione esecutiva, negando in radice che sussista un titolo esecutivo valido ed efficace o che il credito sia dovuto. È dunque un giudizio a cognizione piena sull’an dell’esecuzione: l’autorità giudiziaria dovrà accertare se il creditore aveva davvero il diritto di iniziare o proseguire l’esecuzione. L’opposizione all’esecuzione configura un ordinario giudizio di cognizione, sia pure inserito nel contesto esecutivo.
Cause opponibili (motivi di opposizione): Le cause tipiche che il debitore può far valere con opposizione all’esecuzione comprendono tutti i fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto del creditore che renderebbero illegittima l’esecuzione. I motivi più frequenti e rilevanti sono:
- Inesistenza o invalidità del titolo esecutivo: Ad esempio, si può eccepire che il titolo sia mancante, nullo o invalido (come un decreto ingiuntivo non ancora definitivo, un provvedimento privo di esecutorietà, o un errore sul soggetto obbligato). Tuttavia, va ricordato che se il titolo esecutivo è una sentenza passata in giudicato, non è ammesso rimettere in discussione fatti anteriori coperti dal giudicato stesso, data la intangibilità del titolo giudiziale (vedi oltre i limiti di ammissibilità).
- Efficacia sopravvenuta del titolo cessata: È opponibile l’estinzione sopravvenuta del diritto di credito dopo la formazione del titolo. Esempi tipici: il debitore ha pagato il debito integralmente (adempimento) oppure il creditore ha rilasciato una quietanza o una transazione dopo il titolo; ancora, il credito si è estinto per compensazione, remissione, novazione ecc., successivamente al titolo esecutivo. In tutti questi casi, il titolo, pur valido in origine, ha perso efficacia esecutiva perché il diritto sottostante non esiste più.
- Prescrizione del credito: Se il credito è caduto in prescrizione (totale o parziale) al momento in cui si procede ad esecuzione, il debitore può far valere tale circostanza in opposizione all’esecuzione. La prescrizione può essere maturata dopo il passaggio in giudicato del titolo oppure (nei casi di esecuzione intrapresa senza un preventivo accertamento giudiziale, come nelle esecuzioni basate su cartelle esattoriali o atti amministrativi) può essersi compiuta prima dell’esecuzione per difetto di atti interruttivi tempestivi. Ad esempio, la Corte di Cassazione ha chiarito che, in materia di sanzioni amministrative (multe stradali), l’eccezione di prescrizione del credito maturata tra la data dell’infrazione e la notifica del primo atto interruttivo è proponibile senza limiti di tempo con l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.. In tal caso, infatti, si contesta non la regolarità degli atti della riscossione, bensì l’esistenza stessa del credito, ovvero il diritto di procedere in via esecutiva, il che esula dall’opposizione agli atti e rientra nell’opposizione all’esecuzione. Importante è sottolineare che tale opposizione non è soggetta a termini di decadenza (non c’è un termine breve di 20 giorni, a differenza dell’opposizione agli atti – v. infra), salvo il limite dell’interesse ad agire: il debitore può far valere la prescrizione anche a distanza di tempo, purché esista un interesse concreto (ad es. un’esecuzione minacciata o in corso). Nel 2024 la Cassazione ha ribadito questo principio: il debitore può opporsi al pagamento di una cartella esattoriale non impugnata tempestivamente eccependo la prescrizione sopravvenuta del credito, senza che rilevi la mancata opposizione nei termini a quella cartella o agli atti successivi. La cartella non notificata (o non validamente notificata) funge solo da atto interruttivo ai fini prescrizionali, ma non preclude l’opposizione fondata su prescrizione del credito.
- Pignorabilità dei beni: Sebbene la pignorabilità attenga in parte al “quomodo” dell’esecuzione, le contestazioni sulla impignorabilità dei beni (per legge o per accordi) rientrano nel novero dell’opposizione all’esecuzione. Ad esempio, il debitore può opporre che il bene colpito da pignoramento è, per legge, impignorabile o parzialmente pignorabile (si pensi ai beni impignorabili ex art. 514 c.p.c., o alla casa di abitazione non pignorabile da Agenzia delle Entrate Riscossione in certe condizioni secondo il D.P.R. 602/1973). Oppure può eccepire che il bene era già oggetto di un fondo patrimoniale o di un trust che ne vincolava l’impignorabilità (nei limiti in cui tali vincoli siano opponibili ai creditori). Anche l’impignorabilità delle quote sociali o altri diritti può essere dedotta. Ad esempio, la Cassazione ha chiarito che in un’opposizione ex art. 615 c.p.c. i vari motivi (impignorabilità, inesistenza del titolo, ecc.) restano autonomi: la cessazione della materia del contendere su uno di essi (come riconoscere l’impignorabilità di un bene) non assorbe gli altri motivi sull’inesistenza o inefficacia del titolo.
Oltre a questi motivi principali, l’opposizione all’esecuzione può riguardare qualunque fatto estintivo o impeditivo del credito sopravvenuto o non dedotto in precedenza. Ad esempio, l’intervenuta sospensione della provvisoria esecutorietà di un titolo giudiziale di condanna (magari per effetto di un appello concesso con effetto sospensivo), oppure la perdita di efficacia del titolo (un decreto ingiuntivo caducato), o la mancata verifica di una condizione cui l’efficacia del titolo era subordinata. È importante notare che ciascun motivo di opposizione all’esecuzione costituisce un autonomo “fatto costitutivo” della contestazione del diritto a procedere: il giudice li valuterà separatamente e potrà accoglierne anche solo alcuni, con possibili esiti di soccombenza parziale.
Limiti di ammissibilità e principio di intangibilità del titolo: Non tutte le contestazioni relative al rapporto sottostante possono essere liberamente dedotte in sede esecutiva, specialmente se il titolo è costituito da una sentenza passata in giudicato. Vige infatti il principio dell’intangibilità del titolo esecutivo giudiziale per fatti anteriori o contemporanei alla sua formazione. Ciò significa che, se il creditore procede in forza di una sentenza definitiva, il debitore esecutato non può opporre motivi che attengono a pretese ingiustizie o errori di quella decisione (ad esempio eccepire che il giudice di merito ha erroneamente liquidato somme non dovute, o che il rapporto era nullo per ragioni non fatte valere in causa). Tali questioni dovevano semmai essere fatte valere nel giudizio di merito, davanti al giudice “naturale” che ha emesso il titolo. In opposizione all’esecuzione su titolo giudiziale, sono ammissibili solo: i) fatti estintivi o modificativi sopravvenuti al giudicato; ii) vizi radicali del titolo che ne determinino la inesistenza giuridica (situazioni eccezionali). La Cassazione (Sez. III, sent. n. 2785/2025) ha riaffermato con forza questo principio: nel giudizio di opposizione esecutiva non si possono ridiscutere questioni di merito coperte dalla sentenza, a meno che i vizi del provvedimento siano tali da renderlo giuridicamente inesistente; tutti gli altri vizi o ragioni di ingiustizia possono (se ancora possibile) essere fatti valere esclusivamente nel processo in cui il titolo si è formato. In pratica, una sentenza passata in giudicato fa stato tra le parti: il debitore non può più opporsi all’esecuzione adducendo fatti anteriori al giudicato (salvo appunto eventi come l’aliud pro alio o l’inesistenza del titolo). Ad esempio, se il titolo è una sentenza di condanna, il debitore non può in sede esecutiva invocare un pagamento avvenuto prima della sentenza (doveva dedurlo in quel giudizio), mentre potrà far valere un pagamento successivo al giudicato. In applicazione di ciò, la Cassazione ha escluso che in un’opposizione ex art. 615 su sentenza del lavoro il debitore potesse far valere l’aliunde perceptum relativo al periodo considerato in sentenza: tale riduzione del risarcimento andava dedotta nel giudizio di merito e non può essere introdotta dopo, se riferita a epoca anteriore al giudicato. Solo l’aliunde relativo al periodo successivo al passaggio in giudicato può semmai rilevare (in quel caso infatti il titolo viene ridimensionato da un fatto sopravvenuto). In sintesi, l’opposizione all’esecuzione non è un mezzo di impugnazione del titolo: è preclusa ogni contestazione che incida sul comando del titolo formatosi in via definitiva, mentre è consentito opporre fatti nuovi sopravvenuti e far valere eventi estintivi successivi che privano il titolo della sua efficacia esecutiva.
Procedura e termini: La forma e i tempi dell’opposizione all’esecuzione variano a seconda che l’esecuzione sia iniziata oppure no al momento in cui si propone opposizione.
- Opposizione a precetto (esecuzione non iniziata): Se il debitore intende opporsi prima che l’esecuzione abbia inizio (cioè dopo la notifica del precetto ma prima del pignoramento), l’opposizione all’esecuzione si propone con atto di citazione davanti al giudice competente per materia, valore e territorio ai sensi dell’art. 27 c.p.c.. Di solito, trattandosi di opposizione a precetto, la competenza per territorio coincide con il luogo dell’esecuzione minacciata (che, per crediti pecuniari, è il luogo in cui avrà sede l’espropriazione; spesso il foro del debitore). L’atto di citazione va notificato al creditore entro 20 giorni dalla notifica del precetto, se l’opponente intende anche ottenere la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo. In realtà, l’art. 615 c.p.c. non fissa un termine decadenziale per l’opposizione a precetto (diversamente dall’opposizione formale ex art. 617, v. infra) – si può proporre finché non inizi l’esecuzione – ma solo un termine per chiedere la sospensione urgente. In pratica però, il debitore interessato a bloccare l’azione esecutiva deve muoversi rapidamente. Effetti: L’opposizione a precetto apre un giudizio ordinario di cognizione (dinanzi al tribunale o al giudice di pace secondo il valore), nell’ambito del quale il debitore può chiedere al giudice la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo ex art. 615 co.1 c.p.c. In presenza di “gravi motivi”, il giudice dell’opposizione può sospendere l’efficacia esecutiva del titolo, impedendo temporaneamente al creditore di procedere. Questa sospensione cautelare del titolo ha natura analoga a un provvedimento d’urgenza e viene normalmente trattata in tempi brevi (talora in via d’urgenza). Se concessa, il precetto perde efficacia fino alla decisione finale della causa di opposizione.
- Opposizione a esecuzione iniziata: Se invece l’esecuzione è già stata avviata (cioè è stato notificato l’atto di pignoramento o altro atto di inizio), l’opposizione ex art. 615 si propone con ricorso al giudice dell’esecuzione (G.E.) davanti al quale pende il procedimento esecutivo. La legge Cartabia (D.lgs. 149/2022) ha confermato la forma del ricorso per tutte le opposizioni successive all’inizio dell’esecuzione, mantenendo la cd. bifasicità del rito (fase sommaria dinanzi al G.E. e fase di merito successiva, v. oltre). Il ricorso va depositato in cancelleria e poi notificato (unitamente al decreto di fissazione udienza) al creditore procedente entro il termine perentorio indicato dal G.E.. Tempistica: Anche in questo caso non esiste un termine fisso di decadenza (l’opposizione all’esecuzione “successiva” può essere proposta in qualunque momento durante la procedura, finché non siano verificati certi atti di avanzamento). Tuttavia, il nuovo testo dell’art. 615 c.p.c. introdotto dalle riforme ha posto un limite importante: nelle esecuzioni immobiliari o mobiliari, l’opposizione all’esecuzione non è ammissibile se proposta dopo che sia stata disposta la vendita o l’assegnazione dei beni pignorati, salve due eccezioni. In altri termini, il termine ultimo per proporre opposizione all’esecuzione (per motivi già esistenti) è l’udienza in cui il G.E. dispone la vendita all’asta o l’assegnazione ai creditori. Oltre tale momento, il debitore non può più sollevare contestazioni “tardive” sull’an dell’esecuzione, a meno che: 1) l’opposizione si fondi su fatti sopravvenuti (ad es. un pagamento avvenuto dopo, oppure la caducazione del titolo nelle more); 2) il debitore opponente dimostri che non ha potuto proporre tempestivamente l’opposizione per causa a sé non imputabile. Questa norma (introdotta per accelerare il processo esecutivo ed evitare opposizioni dilatorie all’ultimo momento) impone dunque al debitore di far valere subito tutti i motivi conosciuti, senza attendere la fase finale della vendita. Se, ad esempio, il debitore sapeva fin dall’inizio di aver già pagato il debito, non può aspettare che la casa venga venduta per opporsi; oltrepassata l’udienza di vendita, quella contestazione (non più “sopravvenuta”) sarebbe preclusa. Viceversa, se un fatto estintivo si verifica dopo la vendita (o poco prima impedendo materialmente di opporsi in tempo), il debitore potrà ancora proporre opposizione provando le circostanze che gli hanno impedito di farlo prima. Questa preclusione opera solo per le espropriazioni forzate (art. 615 co.2 ultima parte c.p.c.) e non ad esempio per l’esecuzione in forma specifica (rilascio, obblighi di fare) dove non c’è un’udienza di vendita. In ogni caso è un aspetto cruciale per il debitore: tempestività nell’azione.
Effetti e procedura bifasica: Il deposito del ricorso ex art. 615 c.p.c. in pendenza di esecuzione dà avvio a una fase sommaria davanti al giudice dell’esecuzione. Il G.E. fissa un’udienza di comparizione con decreto, indicando il termine per la notifica a controparte. All’udienza, il giudice verifica la sussistenza di “gravi motivi” e decide se sospendere o meno la prosecuzione dell’esecuzione (art. 624 c.p.c.). Questa è la cosiddetta fase cautelare o sommaria: il G.E. valuta in via preliminare il fumus dell’opposizione (cioè se i motivi appaiono fondati) e il periculum nella prosecuzione dell’esecuzione. Se ritiene che l’opposizione abbia probabile fondamento e che, proseguendo l’esecuzione, il debitore subirebbe un pregiudizio difficilmente riparabile, il G.E. sospende l’esecuzione (tutto o in parte). In caso contrario rigetta l’istanza di sospensione. Questa ordinanza (di accoglimento o rigetto della sospensione) viene emessa ex art. 624 c.p.c. ed è reclamabile al collegio (Corte d’Appello) entro 15 giorni, ma soprattutto contiene l’indicazione dei termini perentori entro cui la parte interessata deve iniziare la fase di merito dell’opposizione. Infatti, qualunque sia l’esito sulla sospensione, la legge prevede che l’opposizione prosegua nella sua fase di merito dinanzi al giudice competente (di regola, il tribunale in composizione monocratica, se non coincidente con il G.E.). Il G.E., con l’ordinanza pronunciata ai sensi degli artt. 616 (per opposizioni ex 615, 619) e 618 c.p.c. (per opposizioni ex 617), assegna un termine perentorio – spesso 60, 90 o 120 giorni – entro il quale la parte interessata deve iscrivere a ruolo la causa di opposizione a cognizione piena. La parte interessata a far proseguire il giudizio di merito sarà: se la sospensione è stata negata, generalmente il debitore opponente (che vorrà comunque vedere riconosciute le sue ragioni di merito nonostante l’esecuzione stia andando avanti); se la sospensione è stata concessa, sarà interesse del creditore procedente instaurare il giudizio di merito per evitare che la procedura resti bloccata e si estingua. In quest’ultimo caso, infatti, l’art. 624 co.3 c.p.c. stabilisce che se, a seguito di sospensione dell’esecuzione, il giudizio di merito non viene introdotto nel termine assegnato, il G.E. dichiarerà l’estinzione del processo esecutivo. Questa regola incentiva dunque il creditore a procedere nel merito dopo una sospensione subita. Il giudizio di merito si instaura con atto di citazione (salvo diverse indicazioni) e si svolge secondo le forme ordinarie del rito civile. Se il giudizio di merito non viene promosso tempestivamente dalla parte onerata, l’opposizione si considera abbandonata: l’esecuzione proseguirà se non era sospesa, oppure verrà estinta se era sospesa (come visto sopra). È fondamentale sottolineare che questa struttura bifasica è obbligatoria: un’opposizione all’esecuzione iniziata deve sempre passare per la fase sommaria dinanzi al G.E., prima di approdare, se del caso, al giudizio di merito, pena l’improponibilità della domanda. La Cassazione lo ha affermato chiaramente: la fase sommaria davanti al G.E. prevista dagli artt. 615 co.2, 617 co.2 e 619 c.p.c. è necessaria e inderogabile, posta a tutela non solo delle parti ma anche di ragioni pubblicistiche di economia processuale e buon andamento dell’esecuzione; se il debitore la salta e introduce direttamente la causa di merito, l’atto introduttivo è nullo e, in difetto di sanatoria, l’opposizione deve essere dichiarata improcedibile (v. Cass. civ. n. 6892/2024, che ha cassato una sentenza di merito confermando l’improponibilità di un’opposizione al rilascio avviata erroneamente con atto di citazione dopo il preavviso di rilascio, senza passare dal G.E.). Dunque il debitore deve curare che, se l’esecuzione è già pendente, la sua opposizione venga presentata con ricorso al G.E. rispettando il modello legale bifasico.
Esito e impugnazioni: L’opposizione all’esecuzione, in esito al giudizio di merito, viene decisa con sentenza dal tribunale competente (o giudice di pace per valori minori). Attualmente, diversamente da qualche anno fa, tale sentenza è ordinariamente appellabile secondo le regole generali. È utile ricordare che per un periodo (2015-2021 circa) l’art. 616 c.p.c. prevedeva l’inappellabilità della sentenza che definiva l’opposizione all’esecuzione (si poteva solo ricorrere in Cassazione). Tale limitazione è però stata rimossa: il legislatore ha soppresso la frase che rendeva non impugnabile la sentenza. Pertanto, oggi il debitore che veda rigettata la propria opposizione all’esecuzione può proporre appello entro i termini ordinari, salvo i casi in cui l’appello sia escluso per legge (es. cause sotto soglia del giudice di pace). Resta fermo che se l’opposizione era stata introdotta dopo l’inizio dell’esecuzione, la fase sommaria davanti al G.E. si conclude con un’ordinanza (sulla sospensione e sulle spese) che non è appellabile, ma solo reclamabile ex art. 624 c.p.c. (provvedimento cautelare) oppure ricorribile eventualmente per cassazione insieme alla sentenza finale. Nel prosieguo di questa guida forniremo ulteriori dettagli su questioni particolari relative all’opposizione all’esecuzione (ad esempio casi di inammissibilità, rapporti con altre azioni, ecc.), nonché esempi pratici e recenti sviluppi giurisprudenziali.
Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.)
Definizione e oggetto: L’opposizione agli atti esecutivi è il rimedio esperibile per contestare la legittimità formale o la regolarità procedurale degli atti del processo esecutivo. Si usa dire che essa attiene al quomodo dell’esecuzione, in contrapposizione all’opposizione all’esecuzione che attiene all’an. In altre parole, con l’opposizione ex art. 617 c.p.c. non si nega che il creditore abbia un diritto a procedere in executivis, ma si censurano specifici vizi di forma o di procedimento di uno o più atti compiuti nell’esecuzione (o nel precetto, che è atto precedente ma strumentale all’esecuzione). Questo strumento è aperto a tutte le parti coinvolte nel processo esecutivo a tutela del proprio interesse: il debitore innanzitutto, ma anche un creditore intervenuto o lo stesso creditore procedente possono proporre opposizione agli atti se ritengono che un atto del G.E. o dell’ufficiale giudiziario sia illegittimo e lesivo dei loro diritti. Ad esempio, un creditore insoddisfatto può opporsi al progetto di distribuzione finale dei fondi se lo ritiene erroneo; oppure il creditore procedente può opporsi a un’ordinanza del G.E. che, a suo avviso, violi le norme (si pensi a un’ordinanza di sospensione impropria, ecc.).
Atti impugnabili e motivi: Sono soggetti a opposizione ex art. 617 tutti gli atti del processo esecutivo (giudiziali o compiuti dagli ausiliari) affetti da vizi di forma, notifica o violazioni procedurali, eccetto quelli per i quali la legge preveda uno specifico diverso rimedio. In generale rientrano nell’ambito dell’opposizione agli atti:
- Atto di precetto: se si lamentano vizi formali del precetto o del titolo allegato (es. mancata o incompleta indicazione delle richieste, omessa allegazione del titolo esecutivo, difetti nella procura del difensore, ecc.), l’opposizione è qualificabile come opposizione agli atti esecutivi. Attenzione però: se con l’opposizione a precetto il debitore intende far valere ragioni di merito sul diritto a procedere (es. importo non dovuto), rientra in art. 615 c.p.c.; se invece denuncia un vizio di forma del precetto (es. irregolarità della notifica, errori di calcolo evidenti, difetto di procura dell’avvocato che l’ha firmato), è art. 617. La Cassazione ha confermato che ad es. la mancanza di procura alle liti in calce all’atto di precetto è un vizio formale che si deduce con opposizione agli atti esecutivi; in tal caso la sentenza emessa sull’opposizione non è appellabile (perché si applica il rito delle opposizioni esecutive, la cui sentenza era un tempo non appellabile), e tale inappellabilità è rilevabile d’ufficio in Cassazione (va notato però che oggi la legge consente appello, come detto, ma questa massima del 2024 evidenzia la qualificazione giuridica del vizio).
- Notifica del titolo esecutivo o del precetto: i vizi attinenti alla notifica del titolo esecutivo (quando richiesta, ad es. notifica della sentenza, del decreto ingiuntivo) o del precetto, quali l’inesistenza o nullità della notifica, costituiscono motivi di opposizione agli atti, salvo che abbiano determinato di fatto l’assenza stessa di un presupposto dell’esecuzione (ad es. titolo non notificato per nulla nel caso in cui fosse necessario potrebbe rendere inesistente il diritto a procedere, ma di regola si tratta di vizio formale sanabile).
- Atto di pignoramento: è forse l’atto più critico. Il pignoramento avvia l’espropriazione e deve contenere, a pena di nullità, determinati elementi (ingiunzione al debitore, indicazione del titolo, avvertimenti di legge, ecc.). Vizi nel contenuto o nella notifica del pignoramento (es. omissione di avvertenze obbligatorie, mancata indicazione del titolo, errori nell’ingiunzione, omessa notifica al debitore o al terzo nei pignoramenti presso terzi, mancato rispetto del termine minimo tra precetto e pignoramento) – tutti questi difetti si fanno valere con opposizione agli atti esecutivi. Alcuni di essi integrano vere e proprie cause di nullità dell’atto di pignoramento, che possono pregiudicare l’intera procedura se non tempestivamente sanati. Ad esempio, la Cassazione ha ritenuto nullo il precetto basato su assegno bancario quando il creditore non aveva riprodotto integralmente nel precetto il fronte/retro dell’assegno, impedendo al debitore di verificare la girata e la legittimazione del portatore: tale nullità incide sul diritto del debitore a un adempimento liberatorio certo, ed è quindi deducibile con opposizione agli atti esecutivi, senza necessità di provare uno specifico pregiudizio, trattandosi di vizio autosufficiente (Cass. civ. n. 13373/2024). Un altro esempio: l’omessa indicazione, nel pignoramento presso terzi, dell’indirizzo PEC del creditore e del difensore può costituire vizio formale; oppure, come affermato in giurisprudenza, la tardiva iscrizione a ruolo o trascrizione del pignoramento immobiliare determina un’estinzione anomala del processo esecutivo, e il provvedimento del G.E. che chiude anticipatamente la procedura (o si rifiuta di chiuderla) è impugnabile solo con opposizione agli atti, non con reclamo ex art. 630 c.p.c. (Cass. civ. n. 6873/2024).
- Atti del procedimento di vendita o distribuzione: Ad es. l’ordinanza di vendita o di delega, l’avviso di vendita, il verbale di aggiudicazione e soprattutto il decreto di trasferimento sono tutti atti potenzialmente impugnabili con opposizione ex art. 617 se affetti da vizi procedurali (si pensi a una violazione dei termini di avviso, oppure a un errore nell’individuazione del bene, o nella pubblicità, o un’omessa comunicazione a qualche creditore). In particolare, il provvedimento di approvazione del progetto di distribuzione finale è l’ultimo atto dell’espropriazione e chiude il processo esecutivo: la Cassazione ha chiarito che esso è impugnabile con opposizione agli atti esecutivi, anche se contestualmente il giudice dell’esecuzione dichiara chiusa la procedura; tale dichiarazione di chiusura ha natura meramente ricognitiva e non impedisce l’opposizione contro il riparto (Cass. civ. n. 23240/2024). Quindi il debitore (o un creditore) che contesti la ripartizione delle somme deve proporre opposizione atti entro i termini.
- Provvedimenti del giudice dell’esecuzione: Il G.E. emette varie ordinanze nel corso della procedura (es: ordinanza di sospensione o rigetto istanza di sospensione, ordinanza di estinzione, ordinanza di liberazione di un immobile pignorato, ordinanza di assegnazione crediti presso terzi, ecc.). Di regola, i provvedimenti del G.E. per i quali non sia previsto un particolare rimedio (come il reclamo ex art. 630 per talune estinzioni tipiche) sono impugnabili ex art. 617. Ad esempio, l’ordinanza di liberazione dell’immobile pignorato (ex art. 560 c.p.c.) – che dispone lo sgombero dell’immobile esecutato – non è un titolo esecutivo autonomo per il rilascio, ma un atto interno dell’esecuzione attuabile anche coattivamente; i soggetti coinvolti o pregiudicati da tale ordine di liberazione possono far valere le proprie ragioni esclusivamente tramite opposizione agli atti esecutivi (Cass. civ. n. 9670/2024). Ancora, in tema di esecuzione presso terzi, la ordinanza di assegnazione al creditore delle somme pignorate, se pronunciata sulla base della dichiarazione resa dal terzo debitore ex art. 547 c.p.c., può essere oggetto di opposizione atti da parte del terzo solo per denunciarne i vizi formali (es. contestare che il giudice abbia travisato la dichiarazione resa). La Cassazione ha infatti precisato che il terzo pignorato non può, con l’opposizione agli atti avverso l’ordinanza di assegnazione, rimettere in discussione l’esistenza del credito (ciò attiene al merito del rapporto tra terzo e debitore, quindi fuori dall’orizzonte dell’art. 617 una volta che il terzo abbia ammesso il debito); egli può solo dedurre un errore formale del giudice dell’esecuzione nell’aver interpretato come positiva una dichiarazione che positiva non era, facendo così valere l’illegittimità dell’assegnazione per mancanza di una effettiva dichiarazione di debito (Cass. civ. n. 13223/2024).
- Atti degli ausiliari del giudice: Ad esempio, i verbali dell’ufficiale giudiziario (pignoramento mobiliare, accesso ecc.) possono essere contestati per irregolarità formali; oppure gli atti del professionista delegato alla vendita immobiliare (che oggi svolge molte operazioni al posto del G.E.) se viziati. In proposito, la normativa speciale prevede un reclamo al G.E. contro gli atti del professionista delegato ex art. 591-ter c.p.c., da proporsi entro 20 giorni (termine allineato a quello dell’opposizione atti). Se il reclamante contesta la legittimità dell’atto del delegato, rientriamo concettualmente nell’opposizione atti, ma con la particolarità della sede di reclamo (su cui non ci dilunghiamo).
In generale, qualsiasi atto del procedimento esecutivo – esclusi atti meramente ordinatori privi di incidenza esterna – può essere oggetto di opposizione agli atti se vi è un vizio procedurale o di notifica o una violazione di legge formale. Ad esempio, la Cassazione ha ricompreso tra gli atti impugnabili ex art. 617 anche il provvedimento che neghi o conceda l’estinzione atipica della procedura per mancata iscrizione a ruolo o trascrizione tardiva: quello va contestato con opposizione atti perché non rientra nel reclamo ex art. 630 (riservato alle estinzioni tipiche).
Termini di proposizione: L’opposizione agli atti esecutivi è soggetta a stringenti termini di decadenza, posti a tutela della certezza e stabilità del procedimento esecutivo. L’art. 617 c.p.c. stabilisce un termine generale di 20 giorni per proporre l’opposizione, con decorrenze diverse a seconda dei casi. In particolare:
- Se l’atto da impugnare è il titolo esecutivo o il precetto (regolarità formale di essi) prima che l’esecuzione inizi: l’opposizione si propone al giudice competente con atto di citazione da notificarsi entro 20 giorni dalla notifica del titolo o del precetto. Questo è il caso dell’opposizione agli atti cd. “preventiva” (prima del pignoramento). Ad es., se il precetto presenta vizi formali e il debitore vuole farli valere, deve notificare l’atto di citazione in opposizione entro 20 giorni dalla data di notifica del precetto. Decorso tale termine senza azione, quei vizi formali si considerano sanati o comunque non più opponibili (salva l’ipotesi di nullità insanabile, teorica).
- Se l’opposizione riguarda atti che non è stato possibile oppugnare prima dell’inizio dell’esecuzione (o comunque atti compiuti dopo l’inizio): allora l’opposizione si propone con ricorso al G.E. entro 20 giorni dal compimento dell’atto viziato o dal giorno in cui la parte interessata ne ha avuto legale conoscenza. Nella formulazione vigente: le opposizioni relative a vizi della notifica del titolo o precetto, e ai singoli atti dell’esecuzione, vanno proposte entro 20 giorni dal primo atto di esecuzione (se riguardano vizi di titolo o precetto che non si potevano far valere prima) oppure dal giorno in cui i singoli atti furono compiuti (per gli atti dell’esecuzione). In pratica, se l’atto è stato compiuto in presenza della parte o comunque con partecipazione, il termine decorre da quel momento; se invece l’atto è soggetto a notifica (es. un avviso di vendita notificato al debitore) decorre dalla notifica; se è un atto di cui la parte non ha conoscenza immediata (es. un’ordinanza resa in udienza dove il debitore non compare), il termine decorre dalla legale conoscenza, cioè da quando l’interessato ne viene a conoscenza in modo ufficiale o anche di fatto, purché dimostrabile. A riguardo, la giurisprudenza ha chiarito che l’opponente ex art. 617 ha l’onere di indicare e provare il momento in cui ha avuto conoscenza, legale o di fatto, dell’atto che assume viziato, perché solo così il giudice può verificare se il ricorso è tempestivo entro 20 giorni (Cass. civ. n. 19932/2024). Ad esempio, se un debitore scopre per caso un atto dopo molto tempo, dovrà provare di non aver potuto saperlo prima; in un caso, la Cassazione ha confermato il rigetto di un’opposizione proposta due anni dopo l’atto, poiché il debitore non aveva giustificato tale inerzia e anzi risultava avesse fatto un’istanza di accesso atti già molto prima, facendo presumere la conoscenza.
In sintesi, 20 giorni è il termine chiave: estremamente breve, pensato per evitare che le irregolarità formali siano sollevate tardivamente compromettendo le operazioni già compiute. Se la parte lascia decorrere 20 giorni dall’atto senza opporsi, quell’atto diviene definitivo all’interno del processo esecutivo (principio di stabilità degli atti esecutivi). Va evidenziato che per alcuni atti finali (come il progetto di distribuzione) esistono termini specifici più brevi: ad es. l’art. 512 c.p.c. prevede 10 giorni per opporsi al progetto di distribuzione, ma quella è un’opposizione distributiva che tecnicamente rientra nell’art. 617. Comunque, come regola generale per il debitore: occorre reagire immediatamente ai vizi riscontrati negli atti, altrimenti subentra la decadenza.
Forma e procedura: Analogamente a quanto visto per l’opposizione ex art. 615, anche l’opposizione agli atti segue un rito differenziato a seconda del momento in cui si propone:
- Prima dell’esecuzione (atti di precetto o titolo): si propone con atto di citazione al giudice competente, da notificare entro 20 giorni dalla notifica dell’atto viziato. Ad esempio, il debitore che intende opporsi al precetto per un vizio di forma lo farà con citazione al giudice competente (tribunale normalmente) nei 20 giorni. Questo caso è relativamente raro, poiché spesso i vizi formali del precetto si accompagnano a contestazioni sostanziali e allora si preferisce qualificare ex art. 615, ma tecnicamente esiste.
- Dopo l’inizio dell’esecuzione: si propone con ricorso al giudice dell’esecuzione entro 20 giorni dall’atto. Il G.E. fisserà l’udienza in base all’art. 618 c.p.c., emetterà decreto di comparizione e la fase sommaria si svolgerà in modo analogo all’opposizione ex art. 615. Infatti, anche l’opposizione agli atti presenta natura bifasica quando interviene a esecuzione pendente: fase davanti al G.E. (che può sospendere il singolo atto impugnato ex art. 623 c.p.c., se del caso, e che poi fissa il termine per il giudizio di merito) e successiva fase di merito dinanzi al giudice competente. L’art. 618 c.p.c. richiede che il G.E., con l’ordinanza che decide sull’istanza cautelare, assegni un termine perentorio per iniziare la causa di merito. Se il termine decorre inutilizzato, l’opposizione viene meno (e l’atto impugnato resta fermo).
In pratica, le opposizioni agli atti preventive (prima del pignoramento) sono rare; quelle successive seguono sempre la trafila ricorso → GE → eventuale sospensione → termine per causa di merito (in tribunale).
Effetti dell’opposizione agli atti: Diversamente dall’opposizione all’esecuzione, che mira a paralizzare l’intero processo esecutivo (negando il diritto di procedere, infatti l’accoglimento la fa cessare), l’opposizione agli atti tende a incidere sul singolo atto viziato. Se accolta, l’atto impugnato viene annullato o dichiarato inefficace, ed eventualmente può essere rinnovato correttamente. L’accoglimento dell’opposizione agli atti, però, non necessariamente invalida tutti gli atti successivi: dipende dalla gravità del vizio e da come si innesta nella sequenza procedimentale. Ad esempio, se viene annullato il pignoramento per un vizio insanabile, tutti gli atti successivi privi di fondamento cadono e l’esecuzione si estingue. Se invece viene annullata, poniamo, un’ordinanza di vendita per vizio di notifica, quella potrà essere ripetuta sanando il difetto, senza estinguere la procedura. Il principio generale è che i vizi degli atti esecutivi sono sanabili se la parte non li eccepisce tempestivamente: trascorsi i 20 giorni senza opposizione, l’atto – anche se viziato – diventa intangibile all’interno del processo e non potrà più essere messo in discussione (salvo coinvolgimento di interessi di terzi incolpevoli). La ratio è garantire la stabilità dell’esecuzione: come affermato dalla Cassazione, il provvedimento conclusivo dell’esecuzione gode di stabilità proprio perché nel corso di essa le parti avevano a disposizione rimedi interni (opposizioni) per far valere eventuali illegittimità; se non l’hanno fatto, rebus sic stantibus il risultato raggiunto diventa definitivo. Addirittura, la Suprema Corte ha escluso che, chiusasi l’esecuzione con distribuzione, il debitore possa intentare un’autonoma azione di ripetizione d’indebito verso il creditore lamentando l’illegittimità dell’esecuzione: se riteneva l’esecuzione illegittima doveva proporre opposizione esecutiva durante la procedura (Cass. civ. n. 23283/2024).
Decisione e impugnazioni: L’opposizione agli atti, a differenza di quella all’esecuzione, è un rimedio che spesso viene deciso dallo stesso giudice dell’esecuzione con ordinanza resa in forma di sentenza a conclusione del procedimento incidentale (specie se la procedura esecutiva è in fase avanzata e le questioni sono di stretto diritto, il G.E. può decidere il merito in sede di fase sommaria). In generale però, dopo l’ordinanza sommaria, si apre un giudizio a cognizione piena e termina con sentenza, anch’essa oggi appellabile (anche qui, vale il discorso che il divieto di appello, un tempo esteso a tutte le opposizioni esecutive, è caduto; occorre tuttavia considerare che se la decisione in primo grado è stata resa con ordinanza ex art. 618 – forma atipica – la prassi interpretativa può variare). Ad ogni modo, si applicano le regole generali sulle impugnazioni, tenendo presente che: l’opposizione agli atti introdotta con citazione genera una causa ordinaria (sentenza appellabile); l’opposizione introdotta con ricorso, decisa con ordinanza ex art. 618, ha quella ordinanza equiparata a una sentenza ai fini dell’impugnazione. La Cassazione in alcune pronunce (es. Cass. 24927/2024) aveva ancora considerato inammissibile l’appello contro la sentenza su opposizione atti, richiamando la vecchia norma, ma con la riforma odierna l’appello è tendenzialmente ammesso.
Opposizione di terzo all’esecuzione (art. 619 c.p.c.)
Definizione e funzione: L’opposizione di terzo all’esecuzione è lo strumento con cui un terzo estraneo al titolo esecutivo e al rapporto obbligatorio dedotto fa valere un diritto proprio sui beni pignorati incompatibile con l’esecuzione in corso. In sostanza, serve a tutelare chi afferma: “il bene che il creditore sta pignorando non appartiene (o non appartiene interamente) al debitore, ma a me, terzo, o comunque su di esso ho un diritto reale che ostacola l’espropriazione”. Il tipico caso è il pignoramento di un bene in possesso del debitore ma di proprietà di un terzo: quest’ultimo agisce in opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. per far dichiarare l’illegittimità del pignoramento su quel bene. L’opposizione di terzo all’esecuzione è diversa sia dall’opposizione di terzo revocatoria di cui all’art. 404 c.p.c. (che è un rimedio straordinario contro sentenze pregiudizievoli emesse tra altre parti), sia dalla semplice difesa del terzo pignorato nel caso di esecuzione presso terzi (in cui il terzo dichiarante può opporsi ma con le forme dell’art. 548 o 549 c.p.c., a seconda). Qui ci riferiamo solo all’opposizione ex art. 619 c.p.c., che riguarda i beni pignorati nell’esecuzione mobiliare o immobiliare e la rivendicazione di diritti su di essi.
Soggetti legittimati: Solo un terzo (persona fisica o giuridica) diverso sia dal debitore esecutato sia dal creditore procedente, che allega un proprio diritto reale sui beni pignorati, può proporre opposizione ex 619. Il debitore non può fare opposizione ex 619 (lui userà 615 o 617); parimenti i creditori useranno altri strumenti se del caso. Il terzo opponente tipicamente è il proprietario non debitore: es. Tizio deve soldi a Caio, Caio pignora un macchinario presso l’azienda di Tizio, ma Sempronio sostiene che quel macchinario è di sua proprietà (perché magari glielo aveva venduto in leasing o glielo aveva dato in comodato). Allora Sempronio – terzo – fa opposizione di terzo all’esecuzione. Anche chi vanti altri diritti reali di godimento (es. usufrutto, uso, abitazione) o diritti reali di garanzia (ipoteca) su beni pignorati da altri potrebbe avere interesse a opporsi se l’esecuzione pregiudica i suoi diritti (in genere però il titolare di ipoteca preferisce intervenire per soddisfarsi, non opporsi). In dottrina, è pacifico che il diritto fatto valere debba essere incompatibile con il pignoramento; ad esempio, la semplice detenzione o un credito verso il proprietario non bastano, occorre un diritto che escluda il potere del debitore di disporre del bene pignorato (proprietà o analogo).
Motivi e ambito: L’opposizione ex 619 mira a far dichiarare che l’esecuzione non può procedere su determinati beni perché di proprietà (o in comproprietà) altrui, oppure gravati da un diritto altrui che ne impedisce la vendita libera. I motivi tipici:
- Proprietà esclusiva del terzo: Il terzo opponente afferma che il bene pignorato gli appartiene, dunque il pignoramento è illegittimo in quanto rivolto verso un bene estraneo al patrimonio del debitore. Questa rivendica di proprietà è la causa più frequente. Può riguardare beni mobili (anche denaro se individuato), crediti (meno frequente, perché per i crediti c’è la procedura dell’accertamento ex art. 549 c.p.c. in caso di terzi confliggenti) o immobili (es. il creditore pignora un immobile che risulta intestato al debitore ma in realtà un terzo sostiene di aver usucapito la proprietà, o di averne la proprietà per un titolo non trascritto).
- Comunione o contitolarità: Il terzo può opporre che il bene è in comunione col debitore solo pro quota, e se la legge vieta l’espropriazione parziale, rivendica la tutela della sua quota. (In generale tuttavia, se bene in comunione, la procedura prosegue ma il terzo ha diritto alla quota del ricavato, quindi potrebbe più che opporsi, intervenire; qui casi particolari).
- Diritti reali minori opponibili: Un terzo usufruttuario, ad esempio, potrebbe contestare la vendita del bene in pienezza di diritto senza considerare il suo usufrutto (anche se in realtà la vendita trasferirebbe il bene con usufrutto gravante: il problema è relativo). Oppure un titolare di servitù potrebbe far rilevare qualcosa. Spesso comunque questi diritti non impediscono la vendita, quindi non danno luogo a opposizione. L’ipoteca del terzo non impedisce il pignoramento (anzi semmai dà diritto di prelazione nella distribuzione), dunque un creditore ipotecario non farà opposizione 619, semmai interviene o contesta il progetto di distribuzione.
- Altri casi particolari: Opposizione di terzo può essere fatta valere ad esempio dal coniuge del debitore se viene pignorato un bene personale del coniuge o un bene ritenuto non incluso nella comunione legale; oppure dall’acquirente di un bene che però vede pignorarlo perché l’atto di acquisto non è stato trascritto prima del pignoramento (caso sfortunato: qui però il terzo perdente in base alle regole della pubblicità, quindi l’opposizione non gli gioverà se il creditore è ipotecario o comunque ha trascritto prima).
Onere della prova: Il terzo opponente deve provare il suo diritto sul bene pignorato. Questo aspetto è cruciale perché spesso il bene pignorato era nella disponibilità del debitore, facendo presumere la titolarità di quest’ultimo. Il codice civile (art. 621 c.p.c.) stabilisce che se il pignoramento ha ad oggetto beni mobili che si trovavano nella detenzione del debitore, si presumono di proprietà di lui fino a prova contraria. Quindi il terzo deve superare questa presunzione fornendo prova documentale o testimoniale convincente della sua proprietà. In ambito tributario (riscossione esattoriale), la legge impone addirittura limiti stringenti alla prova: l’art. 63 (già 65) del D.P.R. 602/1973 richiede che, per opporsi a pignoramenti fiscali, il terzo proprietario di beni mobili presenti atto pubblico o scrittura privata autenticata di data certa anteriore all’anno a cui si riferisce il credito tributario, oppure una sentenza passata in giudicato antecedente. La Cassazione nel 2024 ha confermato che questa norma speciale di salvaguardia (contro fittizie intestazioni postume) è applicabile: ad esempio, in un’esecuzione mobiliare promossa dall’agente della riscossione, un terzo asserito proprietario deve esibire uno di tali atti probatori altrimenti la sua opposizione verrà rigettata (Cass. civ. n. 16006/2024). In generale, pertanto, il terzo deve prepararsi con prove solide (fatture, contratti registrati, testimonianze) per vincere la presunzione di proprietà in capo al debitore.
Procedura e termini: L’opposizione di terzo assomiglia, quanto a forma, a un’opposizione all’esecuzione successiva al pignoramento. Va proposta con ricorso al giudice dell’esecuzione competente (lo stesso davanti a cui pende la procedura esecutiva). Deve essere proposta prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione dei beni pignorati. Ciò è analogo a quanto visto per l’opposizione ex 615: c’è un termine processuale “mobile” che preclude opposizioni tardive dopo che l’esecuzione è giunta alla fase finale. Se un terzo si facesse avanti solo dopo che il bene è già stato aggiudicato/venduto, la sua opposizione non sarebbe più ammissibile (salvo circostanze eccezionali, come l’ignoranza scusabile del pignoramento, ma in teoria l’opponente deve vigilare). Forma: Il ricorso va notificato, con il decreto di comparizione emesso dal G.E., alle parti (creditore procedente e debitore). Importante: nel giudizio di opposizione di terzo, sono parti necessarie sia il creditore che il debitore esecutato, configurandosi un litisconsorzio necessario a tre (creditore, debitore, terzo). Se il debitore non viene coinvolto, il giudizio è nullo per mancata integrazione del contraddittorio. La Cassazione (sent. n. 29629/2024) ha chiarito che la mancata partecipazione del debitore – litisconsorte necessario – nel giudizio di primo grado di un’opposizione di terzo rende nullo il processo; tale nullità può essere sanata in appello solo se il debitore pretermesso, intervenendo in grado d’appello, dichiara di accettare senza riserve la sentenza di primo grado. In caso contrario, la mancata citazione del debitore comporterà verosimilmente la rimessione in primo grado. Questo avviso è importante: il terzo opponente deve citare sia il creditore sia il debitore; se in primo momento cita solo il creditore (cosa che può capitare per errore), deve integrare la presenza del debitore altrimenti rischia l’invalidazione.
La procedura si svolge in modo simile alle altre opposizioni endoesecutive: il G.E. fissa l’udienza, e in quella sede può, se del caso, sospendere la vendita limitatamente ai beni controversi (normalmente, se la rivendica appare fondata, il G.E. sospenderà l’esecuzione su quei beni – il che equivale a sospendere la procedura limitatamente a essi). Se le parti trovano un accordo sulla proprietà (es. il creditore rinuncia a quei beni), il G.E. ne prende atto e regola l’eventuale prosecuzione su altri beni o dichiara l’esecuzione estinta su di essi. Altrimenti, il G.E. con ordinanza sommaria, ai sensi dell’art. 616 c.p.c., fissa il termine per il giudizio di merito, tenuto conto della competenza per valore della causa di opposizione. Infatti l’art. 619 rinvia all’art. 616: significa che dopo la fase davanti al G.E., il merito va portato davanti al giudice competente in base al valore del bene (di solito il tribunale se non altro). Quindi, esattamente come per l’opposizione del debitore, si apre un giudizio ordinario tra il terzo (attore opponente) e le controparti (creditore e debitore) sull’accertamento del diritto di proprietà o meno. Anche qui la fase sommaria è obbligatoria e la mancata osservanza rende improcedibile l’opposizione (stessa ratio: evitare cause parallele senza passare dal G.E.). Il giudizio di merito si conclude con sentenza, che accerterà se il bene pignorato appartiene al terzo. Se sì, in genere dichiarerà l’illegittimità dell’esecuzione su tale bene e ne disporrà lo stralcio dalla procedura (o se già venduto, potrebbe riconoscere al terzo il diritto sulle somme ricavate, ma questo è complicato: idealmente il terzo deve agire prima della vendita proprio per evitare la perdita del bene). Se invece il giudizio nega le ragioni del terzo, l’esecuzione prosegue regolarmente.
Impugnazioni: La sentenza sul merito dell’opposizione di terzo è appellabile secondo le regole ordinarie (non vigono preclusioni particolari). Anche qui, se la decisione è avvenuta con ordinanza non definitva, è reclamabile o trasformabile in sentenza. Di solito però si fa un giudizio ordinario a sentenza.
Effetti particolari e giurisprudenza recente: È opportuno segnalare alcune situazioni di rilievo in materia di opposizione di terzo:
- Un caso del 2025 (Cass. civ. n. 565/2025) ha affrontato la situazione di un usucapione da parte del terzo su un bene ipotecato dal creditore procedente. Il terzo aveva usucapito l’immobile e proponeva opposizione ex 619 contro l’esecuzione promossa dal creditore ipotecario, sostenendo di esserne divenuto proprietario e che l’ipoteca dovesse decadere. La Cassazione ha affermato un principio importante: l’usucapione non estingue l’ipoteca precedentemente iscritta sul bene e non ne provoca la caducazione, in quanto il diritto di garanzia non è incompatibile con l’acquisto per usucapione. In altre parole, l’usucapente subentra nella proprietà gravata dall’ipoteca esistente, che resta valida. Ne consegue che il terzo usucapente non può opporsi alla esecuzione ipotecaria vantando il suo acquisto a titolo originario, perché ciò non elimina il vincolo ipotecario a favore del creditore (che potrà espropriare comunque). Questo principio, avallato anche dalla Corte costituzionale nel 2024, delimita l’utilità dell’opposizione per l’usucapente: egli non ottiene la liberazione dall’ipoteca con la sola usucapione, e quindi l’esecuzione può procedere (salvo che paghi il debito per cancellare l’ipoteca).
- Si ricorda che l’opposizione di terzo esecutiva non va confusa con l’intervento del terzo nel processo esecutivo: un creditore terzo interviene per partecipare alla distribuzione; qui parliamo di un terzo rivendicante che vuole escludere il bene dall’esecuzione. Talvolta un terzo preferisce non opporsi ma attendere la vendita e poi agire sull’incasso (strada incerta). La via propria è opporsi subito.
- Opposizione del coobbligato o terzo interessato: se un terzo paga il debito per evitare l’esecuzione su un bene, non è questa la sede (lui ha diritto di regresso, non di opposizione).
- Nel caso specifico di pignoramento presso terzi, se un terzo diverso dal debitore e dal terzo pignorato rivendica la titolarità del credito pignorato, non c’è un’articolazione normativa chiara: dovrebbe intervenire nel subprocedimento di accertamento (ex art. 549) o, se escluso, potrebbe tentare un’opposizione ex 619 analogica, ma la giurisprudenza tende a risolvere nell’ambito dello stesso accertamento.
Sintesi: L’opposizione di terzo consente quindi al debitore non proprietario di evitare l’esecuzione su beni che non sono suoi e al proprietario non debitore di far valere i propri diritti. Dal punto di vista del debitore, è bene sapere che se egli possiede beni altrui che vengono pignorati, il vero proprietario deve muoversi con opposizione di terzo; se ciò non avviene, quei beni potrebbero essere venduti in sede esecutiva e il ricavato andare ai creditori (salvo poi controversie postume col terzo). Quindi anche il debitore ha interesse a segnalare tempestivamente al terzo la necessità di tutelarsi. D’altro canto, il debitore potrebbe essere coinvolto come litisconsorte e sostenere magari la tesi del terzo se gli conviene (ad es. se il terzo è un familiare).
Procedura unificata delle opposizioni endoesecutive (fase cautelare e fase di merito)
Prima di passare alle questioni speciali e alle casistiche particolari, giova ricapitolare in forma di tabella riepilogativa le caratteristiche procedurali delle varie opposizioni nel processo esecutivo, evidenziandone differenze e punti in comune (come richiesto, forniremo un quadro d’insieme per avvocati, privati e imprenditori interessati a comprendere il funzionamento di questi strumenti).
Tabella 1 – Confronto tra le diverse opposizioni esecutive (artt. 615, 617, 619 c.p.c.)
Tipo di opposizione | Chi può proporla | Cosa contesta (oggetto) | Termine di proposizione | Forma atto introduttivo | Giudice competente | Sospensione dell’esecuzione | Esito |
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Opposizione all’esecuzione(art. 615 c.p.c.) | – Debitore esecutato (sempre)– Terzo proprietario del bene pignorato (limitatamente a contestazioni su beni propri, di solito trattate però come opposizione di terzo ex 619) | Diritto del creditore di procedere, validità ed efficacia del titolo esecutivo, esistenza del credito, fatti estintivi/modificativi sopravvenuti, impignorabilità generale dei beni. | – Prima dell’inizio esecuzione: nessun termine di decadenza, ma per ottenere sospensione va proposta entro 20 gg. dalla notifica del precetto.– Dopo inizio (pignoramento avvenuto): entro l’udienza di vendita/assegnazione se i motivi erano già noti; oltre tale momento solo per fatti sopravvenuti o cause non imputabili all’opponente. (In pratica, al più tardi entro l’udienza ex art. 530, 552, 569 c.p.c.) | – Atto di citazione (se esecuzione non iniziata, opposizione a precetto).– Ricorso al G.E. (se esecuzione in corso). | – Prima dell’esecuzione: giudice competente per materia/valore (tribunale o GDP) del luogo esecuzione.– Durante esecuzione: Giudice dell’esecuzione (fase sommaria) e poi giudice del merito (di regola tribunale) ex art. 616 c.p.c.. | Possibile. Il giudice (tribunale in caso di precetto, G.E. in caso di esecuzione pendente) può sospendere l’esecuzione (sospensione dell’efficacia del titolo se prima, sospensione della procedura se dopo) in presenza di gravi motivi. (Art. 615 co.1 e art. 624 c.p.c.) | Sentenza di merito accerta se il diritto a procedere esiste o no:– Accoglimento: il titolo è dichiarato inefficace/inesistente e l’esecuzione cessa sul quel titolo; atti eventualmente già compiuti vengono travolti (es. pignoramento privo di effetto, procedura estinta).– Rigetto: l’esecuzione prosegue; l’opponente soccombente può dover rifondere le spese. Sentenza appellabile (regola attuale). |
Opposizione agli atti esecutivi(art. 617 c.p.c.) | – Debitore esecutato.– Creditore procedente (p.es. contro ordinanze del G.E. sfavorevoli).– Creditori intervenuti (p.es. contro atti di distribuzione o altri atti lesivi dei loro diritti). | Regolarità formale di atti del processo esecutivo o degli atti prodromici (titolo e precetto) – es. vizi di notifica, errori procedurali, nullità formali, violazioni di norme processuali nell’emanazione di provvedimenti. (Non il merito del diritto di procedere, salvo contestazioni formali di titolo/precetto.) | – Prima dell’inizio: 20 giorni dalla notifica del titolo o precetto (se si oppone la loro regolarità formale).– Dopo inizio: 20 giorni dal compimento dell’atto viziato o dalla sua comunicazione/notificazione/conoscenza. (Termine perentorio di decadenza). | – Prima dell’esecuzione: atto di citazione (come opposizione a precetto di natura formale).– Durante esecuzione: ricorso al G.E. entro 20 gg. | – Prima: giudice indicato da art. 480 c.p.c. co.3 (lo stesso del precetto, tribunale o GDP secondo valore, generalmente).– Dopo: Giudice dell’esecuzione (fase iniziale ex art. 618) e poi giudice competente per merito (ex art. 616 richiamato, tipicamente tribunale). | Possibile sospensione dell’atto impugnato. Il G.E. (o il giudice adito) può sospendere l’esecuzione limitatamente all’atto contestato o adottare provvedimenti cautelari per impedirne gli effetti, se vi sono gravi motivi (es. art. 623 c.p.c. per sospendere effetti dell’atto). In pratica, il G.E. può sospendere la vendita, revocare in via provvisoria un’ordinanza, etc., in attesa della decisione definitiva. | – Accoglimento: l’atto esecutivo impugnato viene annullato dal giudice (con effetti ex tunc se vizio radicale) o dichiarato inefficace. La procedura esecutiva viene riportata nello stato precedente a tale atto; se possibile, l’atto viziato può essere rinnovato correttamente (es. nuova notificazione, nuovo provvedimento).– Rigetto: l’atto impugnato è confermato valido; l’esecuzione prosegue normalmente. Opponente può essere condannato a spese e, se del caso, sanzioni per opposizioni pretestuose. Sentenza finale appellabile (ordinariamente), ma molti provvedimenti su atti sono decisi con ordinanza non definitiva reclamabile o con ricorso per cassazione a fine esecuzione. |
Opposizione di terzo all’esecuzione(art. 619 c.p.c.) | – Terzo (persona estranea al rapporto esecutivo) che rivendica la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati.(Es.: coniuge non debitore, proprietario diverso, socio per beni sociali, ecc.) | **Legittimità dell’esecuzione in relazione all’**oggetto: si contesta l’inclusione di uno specifico bene nell’esecuzione forzata, affermando un diritto incompatibile (proprietà, usufrutto, ecc.) del terzo su quel bene. In pratica: il bene non doveva essere pignorato perché non appartiene (o non interamente) al debitore. | – Deve essere proposta prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione dei beni pignorati. (Quindi entro l’udienza ex art. 530/569 c.p.c. per mobiliari/immobiliari).– Oltre tale momento, il terzo di regola perde la possibilità di far valere il proprio diritto in sede di opposizione (dovrebbe ricorrere ad altre azioni verso il ricavato, con efficacia minore).(Non è fissato un termine in giorni, ma un limite processuale: opposizione tempestiva nello svolgimento della procedura.) | – Ricorso al giudice dell’esecuzione competente, con indicazione dei beni e dei diritti vantati, da notificare a creditore e debitore (parti necessarie). | – Giudice dell’esecuzione (fase iniziale). Il G.E. esamina sommariamente la domanda ex art. 619 e art. 616 c.p.c., può adottare provvedimenti temporanei sui beni (es. sospendere la vendita di quei beni) e fissa i termini per la fase di merito.– Giudice di merito: tribunale competente per valore del bene (se diverso dal G.E.), dinanzi al quale il terzo attore deve introdurre la causa di accertamento (termine fissato dal G.E. perentorio). | Sì, in via provvisoria. Il G.E. in genere, se il terzo fornisce prima facie prova dei suoi diritti, sospende la vendita o comunque ferma la procedura limitatamente ai beni oggetto di controversia (questo per evitare che vengano alienati prima della decisione). La sospensione non è automatica ma concessa se il terzo mostra fumus boni iuris nel suo diritto e periculum (che ovviamente c’è, la perdita del bene). | – Accoglimento (sentenza): dichiara l’esecuzione improcedibile sui beni rivendicati dal terzo, riconoscendo la proprietà (o il diritto) del terzo. Il pignoramento su quei beni viene liberato (eventualmente il G.E. ordina cancellazione pignoramento o svincolo). Se i beni erano già venduti (caso estremo), il terzo potrebbe avere diritto a ricevere il ricavato o indennizzo, ma sono situazioni complesse da evitare agendo prima.– Rigetto: conferma che i beni pignorati erano legittimamente aggredibili come parte del patrimonio del debitore; l’esecuzione riprende sui medesimi beni. Terzo soccombente eventualmente condannato a spese. Sentenza appellabile. |
(Legenda: G.E. = Giudice dell’Esecuzione; GDP = Giudice di Pace.)
Come si evince dalla tabella, le tre forme di opposizione presentano alcune differenze ma anche un’impostazione comune: in particolare, le opposizioni introdotte dopo l’inizio dell’esecuzione hanno una struttura bifasica con un primo intervento sommario del giudice dell’esecuzione e poi un giudizio a cognizione piena. Il rispetto di questa struttura è di importanza capitale: introdurre l’opposizione con forme errate (ad es. citazione invece di ricorso quando serviva ricorso) può condurre all’invalidità dell’atto introduttivo e all’improcedibilità, come più volte sottolineato anche in Cassazione. Un altro elemento comune è la possibilità per il giudice di adottare misure cautelari (sospensive) durante il processo di opposizione per evitare che l’esecuzione, proseguendo, produca danni irreversibili. Tuttavia, tali sospensioni richiedono la sussistenza di “gravi motivi” (concetto analogo al periculum + fumus) e in alcuni casi sono circoscritte all’atto o ai beni contestati. Ad esempio, la sospensione ex art. 624 c.p.c. per opposizione del debitore blocca l’intera procedura esecutiva; la sospensione in opposizione di terzo blocca la vendita dei beni rivendicati; la sospensione ex art. 623 c.p.c. può sospendere singoli atti (ad es. rinviare una vendita in attesa di decisione su un vizio di avviso).
Infine, va evidenziato che l’effetto delle opposizioni, se accolte, è in generale eliminatorio o caducatorio: l’opposizione all’esecuzione elimina il titolo dall’equazione esecutiva (quindi l’intera esecuzione cade), l’opposizione agli atti elimina l’atto viziato (che spesso dev’essere rifatto, se possibile), l’opposizione di terzo elimina il bene contestato dalla disponibilità della procedura. Questi effetti migliorano la posizione del debitore perché ne tutelano i diritti (o tutelano i diritti del terzo, che indirettamente giovano al debitore riducendo il suo sacrificio). Se le opposizioni invece vengono respinte, l’esecuzione va avanti spedita e anzi il debitore può subire condanna alle spese e – in ipotesi di opposizione dilatoria o pretestuosa – anche al risarcimento del danno per lite temeraria. Ad esempio, un debitore che abbia opposto in malafede circostanze infondate solo per ritardare, può essere sanzionato (art. 96 c.p.c.).
Nel prossimo capitolo, esamineremo le opposizioni nell’ambito particolare dell’esecuzione tributaria, dove intervengono norme speciali (come l’art. 57 del d.P.R. 602/1973) e principi di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e tributario. Successivamente, affronteremo varie casistiche particolari, illustrando alcune pronunce giurisprudenziali del 2024-2025 di particolare interesse per situazioni specifiche (pignoramenti nulli, caso di esecuzione già chiusa, ecc.). In chiusura, sarà presentata una sezione di Domande e Risposte per consolidare i concetti chiave dal punto di vista pratico del debitore e degli altri soggetti coinvolti.
Opposizioni nell’esecuzione tributaria (riscossione esattoriale)
Un ambito peculiare in cui le opposizioni all’esecuzione assumono connotati specifici è quello della riscossione coattiva dei tributi (multe, imposte, contributi) affidata agli agenti della riscossione (come l’Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia). Qui intervengono disposizioni speciali che limitavano fortemente le opposizioni del debitore, nel tentativo di evitare che attraverso il giudice ordinario si potessero aggirare i termini e le forme proprie della giurisdizione tributaria. La norma cardine era l’art. 57 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, che fino a qualche anno fa disponeva: “Non sono ammesse: a) le opposizioni regolate dall’art. 615 c.p.c., fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni; b) le opposizioni regolate dall’art. 617 c.p.c. relative alla regolarità formale e alla notificazione del titolo esecutivo”. Ciò significava che, nel contesto di esecuzioni esattoriali (cioè basate su cartelle di pagamento, avvisi di addebito, ecc.), il contribuente-debitore non poteva proporre opposizione all’esecuzione se non per eccepire l’impignorabilità dei beni, né poteva proporre opposizione agli atti per vizi formali o notifica del titolo esecutivo tributario. In altre parole:
- Era preclusa la classica opposizione ex art. 615 per contestare l’esistenza del debito tributario o altri motivi, consentendola solo per questioni di impignorabilità.
- Era preclusa anche l’opposizione ex art. 617 per contestare cartelle o atti esecutivi esattoriali sul piano formale (ad es. notifica della cartella): il contribuente avrebbe dovuto usare i rimedi previsti dalle leggi tributarie (ricorso alle Commissioni Tributarie) e non l’opposizione in sede ordinaria.
Questa disciplina nasceva dall’idea che il debitore fiscale debba contestare i carichi tributari innanzi al giudice tributario (Commissione tributaria, ora denominata Corte di giustizia tributaria), entro termini perentori, e che in sede di esecuzione forzata non potesse più rimettere in discussione l’an del tributo. Tuttavia, un effetto collaterale eccessivo era che il debitore non poteva nemmeno opporsi se, dopo l’inizio dell’esecuzione tributaria (pignoramento), accadeva qualcosa che estingueva il debito o ne inficiava il titolo. Ad esempio, se dopo il pignoramento il debitore pagava o otteneva sgravio, secondo il tenore letterale dell’art. 57 non poteva proporre opposizione ex 615 nemmeno per far valere questo fatto sopravvenuto.
Intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 114/2018)
La rigidità dell’art. 57 è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale nel 2018. Precisamente, con sentenza n. 114 del 31 maggio 2018, la Consulta ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’art. 57, comma 1, lett. a) del DPR 602/73 nella parte in cui non prevede che, nelle controversie riguardanti atti dell’esecuzione forzata tributaria di competenza del giudice ordinario, sono ammesse le opposizioni all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.. In altre parole, la Corte ha aperto la porta all’opposizione all’esecuzione anche in ambito esattoriale per i casi di competenza del giudice ordinario, eliminando il divieto assoluto. La motivazione è che limitare l’opposizione all’esecuzione alle sole questioni di pignorabilità menomava il diritto di difesa del contribuente (art. 24 Cost.) e la tutela giurisdizionale effettiva, senza una giustificazione sufficiente. Dunque, dal 2018, il debitore esecutato per tributi può proporre opposizione ex art. 615 c.p.c. anche per cause diverse dall’impignorabilità, purché rientrino nella cognizione del giudice ordinario. Resta fermo che, se la contestazione riguarda la debenza del tributo in sé, la giurisdizione è tributaria (come vedremo), ma grazie a questa sentenza oggi il contribuente può ad esempio opporsi all’esecuzione per intervenuta prescrizione del debito tributario, o per avvenuto pagamento dopo la notifica della cartella, o per vizi della procedura successivi alla formazione del ruolo, senza incappare in un’irricevibilità automatica. La Corte Costituzionale non ha toccato invece la lettera b) dell’art. 57 (sulle opposizioni ex 617 relative a titolo e precetto): in linea di massima, per i vizi formali della cartella permane l’idea che vadano eccepiti col ricorso tributario entro 60 giorni dalla notifica della cartella stessa.
In sintesi, dopo il 2018, lo scenario è:
- Opposizione all’esecuzione ex 615 ammessa in ambito tributario, limitatamente a situazioni in cui l’esecuzione è contestata per fatti successivi alla formazione del titolo tributario (cartella/avviso) oppure comunque per questioni che non attengono alla “validità originaria” del credito tributario da far valere in Commissione.
- Opposizione agli atti ex 617 su cartella rimane vietata se si tratta di vizi di notifica della cartella o simili, che vanno sollevati davanti al giudice tributario. Non è invece preclusa l’opposizione atti contro atti successivi (es. pignoramento) per vizi propri procedurali, perché la lettera b) vieta solo quelle relative a titolo e precetto. Ad esempio, se nell’atto di pignoramento esattoriale c’è un vizio formale (errore nell’ingiunzione, ecc.), il contribuente potrebbe fare opposizione ex 617 (e infatti di prassi si fa).
Riparto di giurisdizione: giudice ordinario vs giudice tributario
Una questione fondamentale nelle esecuzioni tributarie è quale giudice sia competente a conoscere delle varie opposizioni. La materia è complicata dal fatto che il confine tra cosa spetti alla giurisdizione tributaria (Commissioni tributarie/Corti giustizia tributarie) e cosa al giudice ordinario è stato oggetto di oscillazioni. La Cassazione a Sezioni Unite è intervenuta più volte, da ultimo con pronunce nel 2017 e 2020, e successivamente con ordinanze di sezioni semplici nel 2024 che ne riprendono i principi.
In generale, si può sintetizzare così la ripartizione, alla luce degli ultimi orientamenti (Cass. SU n. 7822/2020 e ord. Sez. Trib. Cass. n. 22754/2024):
- Giudice tributario: conosce di tutte le questioni che attengono alla pretesa tributaria in sé, ovvero i fatti costitutivi, estintivi, modificativi del rapporto d’imposta fino al momento in cui il ruolo diventa esecutivo e l’atto di riscossione (cartella o intimazione) viene notificato. In pratica, se il contribuente vuole contestare l’esistenza o l’entità del tributo, o la prescrizione maturata fino alla notifica della cartella (se c’è stata) o fino all’inizio dell’esecuzione (se cartella non notificata), la giurisdizione resta tributaria. Ad esempio, eccepire che la cartella di pagamento non è mai stata notificata o è nulla e quindi il credito non può esigersi, attiene comunque al fatto estintivo/modificativo della pretesa (prescrizione, decadenza) per difetto di atti interruttivi: secondo la Cassazione, questo rientra nella giurisdizione del giudice tributario.
- Giudice ordinario: è competente per le questioni riguardanti la legittimità formale dell’atto esecutivo in sé (pignoramento, fermo, ipoteca) – a prescindere dall’esistenza/validità degli atti presupposti – e per i fatti estintivi/modificativi del credito sopravvenuti alla notifica della cartella (se avvenuta validamente) o sopravvenuti all’atto esecutivo in caso di cartella non notificata. In altre parole, tutto ciò che accade dopo che la cartella è divenuta definitiva e notificata spetta al giudice ordinario: ad esempio, se dopo la cartella (non impugnata in Commissione) il contribuente paga a rate e poi decade, oppure ottiene un provvedimento di sgravio, o il credito viene prescritto dopo, sono vicende successive di tipo sostanziale che il giudice ordinario può valutare in opposizione all’esecuzione (poiché la cartella era ormai definitiva). Parimenti, i vizi propri del pignoramento o altri atti esecutivi – es. errori di notifica del pignoramento – li conosce il giudice ordinario con opposizione agli atti, come in un’esecuzione normale, perché attengono alla regolarità di atti dell’esecuzione forzata.
La Cassazione (ord. n. 22754/2024) ha enunciato un criterio riassuntivo: la giurisdizione tributaria copre i fatti incidenti sulla pretesa tributaria (compresi quelli estintivi/impeditivi in senso sostanziale) verificatesi fino alla notificazione della cartella o intimazione (se valida), o fino all’atto esecutivo se quelle mancano; la giurisdizione ordinaria copre le questioni di legittimità formale dell’atto esecutivo e i fatti incidenti sulla pretesa successivi alla valida notifica della cartella/intimazione o successivi all’atto esecutivo (se la notifica era omessa o nulla), cioè dopo che l’atto esecutivo ha fatto conoscere la cartella al contribuente. Ecco due esempi pratici:
- Il contribuente riceve una cartella di €5.000 per IMU nel 2020, non fa ricorso (diventa definitiva). Nel 2025 l’agente gli notifica pignoramento. Egli eccepisce che dopo la cartella, nel 2023, è intervenuta prescrizione del credito (3 anni in assenza di solleciti, ipotesi). Questo fatto (prescrizione maturata dopo la cartella definitiva) secondo Cassazione rientra nella cognizione del giudice ordinario tramite opposizione all’esecuzione ex art. 615. Ed infatti, Cass. 18152/2024 ha ammesso l’opposizione all’esecuzione per prescrizione maturata dopo l’accertamento originario e prima dell’intimazione di pagamento. L’agente della riscossione non potrebbe eccepire difetto di giurisdizione, perché è un fatto successivo alla definitività del titolo.
- Il contribuente non ha mai ricevuto la cartella, scopre l’esecuzione solo dal pignoramento. Egli eccepisce che il credito era prescritto già prima, nel periodo tra l’accertamento e il pignoramento, non avendo avuto atti interruttivi validi. Questa questione – a rigore – riguarda un fatto estintivo (prescrizione) maturato fino al momento dell’atto esecutivo, in mancanza di notifica del titolo. In base ai criteri suesposti, apparterrebbe al giudice tributario. Ciononostante, la stessa Cassazione ha talora affermato che il debitore può farlo valere in opposizione all’esecuzione ordinaria, come visto (Cass. 13304/2024 ha ritenuto irrilevante la mancata opposizione alla cartella mai notificata, considerando l’opposizione 615 proponibile per prescrizione nonostante la mancata impugnazione della cartella inesistente). Si tratta di una zona grigia: formalmente sarebbe materia tributaria (la questione se la cartella fu notificata o no e se il credito è ancora esigibile), però in concreto, se il pignoramento è il primo atto conosciuto, il debitore può adire il giudice ordinario con opposizione all’esecuzione assumendo che quell’atto esecutivo vale come prima e unica conoscenza della cartella, e quindi eccepire la prescrizione maturata. Cass. 22754/2024 sembra dire: se la cartella non fu notificata, tutto fino al pignoramento resta sostanziale e andrebbe a tributario; però se il debitore non ha potuto attivare il giudice tributario perché ignorava la cartella, qualche rimedio in ordinario deve pur averlo. La soluzione coerente col sistema è che può proporre opposizione all’esecuzione in tribunale, ma il tribunale dovrà applicare la norma sostanziale tributaria e verificare la prescrizione.
In ogni caso, la Sezioni Unite (Cass. SU 7822/2020) hanno stabilito che solo gli atti successivi all’espropriazione – come gli atti della fase di vendita, assegnazione, distribuzione – sono di competenza esclusiva del giudice ordinario. Gli atti prima del pignoramento, come fermo amministrativo dell’auto o ipoteca su immobile per crediti tributari, non sono atti dell’esecuzione forzata, ma misure preventive: la giurisprudenza le considera impugnabili con i mezzi tipici del diritto tributario (ricorso al giudice tributario entro 60 gg) e non con opposizione ex 617 c.p.c.. Cass. civ. n. 6844/2024 lo ha ribadito: l’iscrizione di ipoteca fiscale e il fermo amministrativo di beni mobili registrati non rientrano tra gli atti esecutivi impugnabili ex art. 617 c.p.c., bensì sono oggetto di ordinaria azione di accertamento negativo (nel dubbio di giurisdizione, in genere se ne occupa il giudice tributario come controversie “concernenti iscrizione di ipoteca e fermo” ex art. 2 D.Lgs. 546/92). Quindi un debitore che voglia contestare un fermo auto non dovrebbe fare opposizione atti al tribunale, ma ricorso alla Corte tributaria (se il fermo riguarda tributi) o eventualmente, se crediti non tributari, un ricorso al giudice ordinario in via di diritto comune.
Opposizione all’esecuzione esattoriale: casi frequenti
Alla luce di quanto sopra, indichiamo alcune situazioni tipiche in cui, dal punto di vista del debitore contribuente, è possibile o necessario utilizzare gli strumenti di opposizione:
- Eccezione di pagamento o annullamento sopravvenuto: Se dopo la notifica della cartella (mai impugnata) il contribuente ha pagato il debito oppure ha ottenuto un provvedimento di sgravio/cancellazione dall’ente impositore, ma nonostante ciò viene avviata l’esecuzione (pignoramento), egli deve proporre opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. davanti al giudice ordinario, perché fa valere un fatto estintivo del debito successivo alla formazione del titolo. Questo rientra tra le opposizioni ora ammesse post sent. 114/2018. Ad esempio, se Equitalia pignora un conto per una cartella che era stata sospesa in autotutela o rateizzata e poi pagata, il contribuente chiederà al giudice dell’esecuzione di dichiarare non dovuta l’esecuzione producendo le prove del pagamento/sgravio. Tali vicende non possono più essere fatte valere al giudice tributario (i 60 gg erano per la cartella iniziale), quindi il tribunale ordinario è competente e può sospendere il pignoramento e dichiarare improcedibile l’esecuzione.
- Eccezione di prescrizione del debito tributario: La prescrizione dei tributi segue regole proprie (5 anni per la maggior parte, 10 per alcuni, 3 per sanzioni amministrative del CdS dopo titolo esecutivo, ecc.). Se la prescrizione è maturata dopo la notifica della cartella, quanto detto sopra vale: opposizione 615 al giudice ordinario è ammissibile. Caso concreto: multe stradali – che sono sanzioni amministrative – hanno prescrição 5 anni; Cass. 18152/2024 ha statuito che la prescrizione sopravvenuta tra accertamento e intimazione può essere eccepita in ogni tempo con opposizione esecuzione. Dunque il debitore può far valere che il credito è prescritto. Se invece la cartella non fu proprio notificata, come detto, teoricamente la prescrizione decorsa nel frattempo sarebbe questione tributaria; ma per non lasciare il contribuente senza tutela, la prassi è di proporre comunque opposizione in tribunale allegando la mancata notifica e la prescrizione maturata, magari confidando che il giudice ordinario decida lo stesso. E in effetti, Cass. 13304/2024 ha dato ragione a un contribuente che, non avendo mai ricevuto la cartella, aveva lasciato decorrere i 60 gg e poi in sede di intimazione (primo atto ricevuto) ha eccepito prescrizione: la Corte ha detto che la mancata impugnazione della cartella inesistente non preclude l’opposizione sulla prescrizione, poiché la cartella, se non notificata, vale solo come atto interruttivo e non come presupposto necessario.
- Impignorabilità di beni primari: L’art. 57 consentiva opposizione ex 615 proprio per impignorabilità. Esempio classico è la prima casa: attualmente, per i debiti fiscali inferiori a certe soglie e per l’unico immobile di residenza del debitore, la legge (D.L. 69/2013) prevede il divieto di espropriazione da parte dell’Agente della riscossione. Se malgrado ciò l’agente iscrive ipoteca o avvia pignoramento, il contribuente può opporsi – direi sia per 615 (difetto di diritto a procedere su bene impignorabile) sia per 619 (terzo no, è il debitore stesso, quindi in realtà è motivo ex 615: contestazione del diritto a procedere su bene perché impignorabile). Questo è proprio l’esempio di opposizione che l’art. 57 lasciava: concernente la pignorabilità dei beni. Ora, a maggior ragione dopo 2018, il debitore può farla valere. Quindi se Agenzia Entrate Riscossione pignora la casa di abitazione in violazione dei requisiti di legge, il debitore proporrà opposizione all’esecuzione e otterrà l’annullamento del pignoramento per impignorabilità.
Riassumendo, nel procedimento di esecuzione esattoriale il debitore deve:
- Distinguere se sta contestando il rapporto tributario (in tal caso, se è ancora in tempo, deve agire davanti al giudice tributario – es. impugnare la cartella entro 60 giorni dalla notifica –; se è fuori tempo, il credito è definitivo e non può in genere essere rimesso in discussione nel merito in sede ordinaria).
- Oppure se contesta fatti successivi o aspetti procedurali: in questo caso l’opposizione in sede ordinaria è percorribile.
- Verificare la giurisdizione: se il suo motivo rientra tra quelli riservati al giudice tributario, un’opposizione in tribunale verrà con tutta probabilità dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione. Ad esempio, contestare in sede esecutiva che la cartella è nulla per difetto di motivazione o notifica tardiva: per Cassazione è materia tributaria (doveva fare ricorso tributario). Mentre contestare che il pignoramento è nullo perché privo della relata di notifica della cartella è un vizio formale dell’atto esecutivo: su questo, alcuni giudici ordinari ritengono di poter intervenire (altri lo ricondurrebbero comunque a un problema di notifica cartella ergo tributario).
- Rispettare i termini: nell’esecuzione tributaria valgono gli stessi termini delle opposizioni ordinarie, salvo che l’art. 57 di fatto escludeva alcune opposizioni. Oggi un’opposizione all’esecuzione esattoriale va fatta anch’essa tempestivamente (non c’è un termine fisso, ma sempre meglio prima possibile e comunque prima della vendita) e un’opposizione agli atti esattoriali (es. contro un pignoramento per vizio di forma) va fatta entro 20 giorni dall’atto, come usuale.
Casistiche particolari e giurisprudenza aggiornata (2024-2025)
In questa sezione analizziamo alcune situazioni specifiche che possono presentarsi nell’ambito delle opposizioni esecutive, evidenziando come la giurisprudenza più recente (anni 2024-2025) le abbia affrontate. Questo permette di fornire al lettore un livello di approfondimento avanzato, utile sia all’avvocato specializzato sia al debitore o imprenditore coinvolto, per comprendere applicazioni concrete dei principi fin qui esposti.
Pignoramento nullo o viziato ab origine
Problema: Se l’atto di pignoramento – che è l’atto iniziale dell’espropriazione – presenta un vizio radicale (es. è completamente privo di un requisito essenziale previsto dalla legge, o è stato eseguito in violazione di norme inderogabili), come e quando può essere contestato? E quali effetti produce tale vizio sul processo esecutivo?
Analisi: Il pignoramento è l’atto che vincola i beni al soddisfacimento forzato del credito (c.d. effetto di “cristallizzazione” del patrimonio). Un pignoramento affetto da nullità insanabile comporta che tutta l’esecuzione sia inficiata, dato che senza un valido pignoramento non c’è stato un regolare inizio. Alcuni vizi possibili: mancanza dell’ingiunzione al debitore di astenersi da atti dispositivi (art. 492 c.p.c.), omessa indicazione del titolo esecutivo, mancata notifica al debitore (pignoramento mai portato a sua conoscenza), ecc.
In linea generale, i vizi formali del pignoramento vanno dedotti con opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. entro 20 giorni dal compimento dell’atto (o dalla conoscenza). Se il debitore era presente o comunque a conoscenza immediata del pignoramento (ad esempio nei pignoramenti mobiliari diretti, l’ufficiale giudiziario glielo notifica seduta stante), i 20 giorni decorrono da quel momento; se il pignoramento gli è stato notificato mentre non era presente (es. pignoramento mobiliare in sua assenza, poi notifica del verbale, oppure pignoramento immobiliare notificato via posta), i 20 giorni decorrono dalla notifica. Decorso inutilmente questo termine, anche un eventuale vizio di forma viene sanato (perché nessuno lo ha eccepito). Eccezione: Dottrina e giurisprudenza talora distinguono tra nullità relativa (che va eccepita nel termine) e inesistenza o nullità assoluta (che potrebbe essere rilevata d’ufficio anche oltre). Ad esempio, una giurisprudenza più risalente riteneva che un pignoramento completamente privo di notificazione al debitore fosse un atto inesistente, rilevabile anche oltre i 20 giorni, financo con opposizione ex art. 615 (perché in sostanza equivarrebbe a dire che l’esecuzione è iniziata senza atto). Oggi tuttavia la tendenza è di far rientrare qualunque vizio del pignoramento nel regime di cui all’art. 617, quindi soggetto a decadenza, salvo forse il caso estremo di pignoramento totalmente mancante.
Giurisprudenza recente: Cass. civ. n. 6892/2024 ha evidenziato che l’opposizione agli atti (617) e all’esecuzione (615) non sono fungibili: se il vizio concerne la forma dell’atto di pignoramento, non si può usare l’art. 615 aggirando il termine, ma va rispettato il modello dell’art. 617. In quel caso, un debitore, dopo aver ricevuto preavviso di rilascio (nel contesto di esecuzione per rilascio, cioè sfratto esecutivo), aveva proposto erroneamente opposizione a cognizione piena con citazione (quindi art. 615) invece di ricorso al G.E., e la Cassazione ha dichiarato improponibile l’opposizione proprio per violazione dell’obbligo di usare il ricorso endoesecutivo. Questo sottintende che anche i vizi del primo atto vanno contestati con la procedura corretta. Un altro esempio: Cass. civ. n. 6873/2024 ha affrontato l’omessa trascrizione del pignoramento immobiliare nei termini di legge (art. 555 c.p.c. prevede che la nota di trascrizione sia depositata entro 15 giorni, e l’art. 161 disp. att. c.p.c. impone la trascrizione entro 30 giorni dalla consegna al conservatore). La tardiva o omessa trascrizione causa la perdita di efficacia del pignoramento (è una causa di estinzione “atipica”). La Cassazione ha affermato che il provvedimento con cui il G.E. dichiara (o nega) la chiusura anticipata della procedura per questo motivo non è reclamabile ex art. 630 (perché non è una estinzione tipica), ma si impugna solo con opposizione agli atti esecutivi. Quindi il debitore, se il giudice erroneamente non estingue l’esecuzione nonostante trascrizione tardiva, deve fare opposizione ex 617. Se invece il giudice estingue e il creditore dissente, anch’egli deve fare opposizione atti. Il punto notevole è che la tardiva trascrizione (vizio iniziale) segue il regime dell’opposizione atti.
Effetti su esecuzione: Un pignoramento nullo – ad esempio perché notificato senza indicare il titolo, o privo di ingiunzione – se eccepito tempestivamente comporta normalmente l’annullamento del pignoramento da parte del giudice. L’annullamento travolge gli atti successivi (un pignoramento annullato è come se non fosse mai esistito): se ad es. c’era un’ordinanza di vendita, andrà revocata, ecc. In pratica la procedura esecutiva viene dichiarata improcedibile o estinta. Il Codice non disciplina espressamente l’“annullamento del pignoramento”, ma il giudice dell’opposizione atti potrebbe, con sentenza, dichiararne la nullità e ordinare la cancellazione della trascrizione (per immobili) e dello stato di pignoramento (per mobili). Con la riforma Cartabia, è previsto che l’estinzione atipica per tardiva trascrizione, se dichiarata, porti a cancellazione e spese a carico del creditore (art. 164-ter disp. att. c.p.c.).
Consiglio pratico (per il debitore): Appena ricevuto l’atto di pignoramento, farlo esaminare attentamente da un legale per individuare eventuali vizi formali. Se vi sono, agire entro 20 giorni con opposizione ex art. 617. Ciò può portare all’annullamento del pignoramento – risultato ottimo perché blocca l’esecuzione – oppure comunque a guadagnare tempo (qualora il giudice sospenda e poi si debba magari reiterare correttamente l’atto). Attenzione però a non confondere i piani: se il “vizio” è che il debitore non deve nulla, non è vizio formale ma sostanziale -> art. 615. Se il vizio è realmente formale (es. mancata indicazione di dati, notifica sbagliata), allora è art. 617.
Opposizione a esecuzione già conclusa
Problema: Se l’esecuzione forzata si è già conclusa (ad esempio con la vendita dei beni e la distribuzione del ricavato) senza che il debitore abbia proposto opposizioni durante il corso di essa, il debitore ha ancora rimedi per recuperare ciò che ha perduto? Ad esempio, può agire successivamente per far dichiarare l’esecuzione illegittima e ottenere la restituzione di quanto pagato?
Orientamento attuale: Una volta che il processo esecutivo si chiude con la soddisfazione dei creditori e la distribuzione delle somme, le eventuali doglianze del debitore sull’illegittimità dell’esecuzione avrebbero dovuto essere sollevate tempestivamente con le opposizioni esecutive. In difetto, il principio di stabilità dei risultati dell’espropriazione impedisce al debitore di riaprire la questione in separato giudizio. La Cassazione ha affermato che la chiusura del procedimento esecutivo, data la sua “tendenziale definitività”, preclude al debitore di esperire un’azione di ripetizione d’indebito contro il creditore per farsi restituire quanto questi ha riscosso in esecuzione, a meno che l’illegittimità dell’esecuzione non sia stata fatta valere con un’opposizione esecutiva accolta successivamente alla chiusura (Cass. civ. n. 23283/2024). Ciò significa: se il debitore non ha mai proposto opposizione e l’esecuzione è finita, non può poi citare in giudizio il creditore lamentando che l’esecuzione era ingiusta (magari perché il debito non era dovuto) e chiedere indietro i soldi: tale azione sarà rigettata perché avrebbe dovuto usare i rimedi esecutivi nel processo esecutivo stesso. Questo concetto rafforza l’onere per il debitore di attivarsi durante l’esecuzione. Invece, se il debitore aveva proposto opposizione e, poniamo, questa viene decisa a suo favore ma dopo che l’esecuzione era già chiusa, allora l’accoglimento dell’opposizione in sede di gravame può portare alla riapertura del processo esecutivo (per esempio, riaprire la distribuzione) o comunque a far sorgere il diritto restitutorio. Infatti la Cassazione dice “a meno che l’illegittimità non sia stata fatta valere con opposizione accolta successivamente”: in tal caso, c’è un titolo (la sentenza di accoglimento dell’opposizione) che consente la restituzione di quanto illegittimamente preso dal creditore.
In pratica, questo scenario si collega alla disciplina dell’art. 618-bis c.p.c. (per le opposizioni esecutive decise dopo la chiusura) e agli eventuali rimedi di revocazione del riparto ex art. 512 (non semplici). Ma il messaggio è chiaro: chi dorme perde, dunque il debitore non può aspettare che l’esecuzione finisca per poi lamentarsene. Deve reagire prima.
Caso pratico: supponiamo che il debitore abbia lasciato che gli venisse pignorata e venduta la casa, senza opporsi, perché ad esempio ignorava un vizio. Una volta incassato il prezzo e distribuito, egli scopre che il titolo era invalido. Non potrà con un’autonoma causa farsi ridare casa o soldi (salvo profili di responsabilità da errore giudiziario se fosse il caso, o se era confiscabile etc., ma non entriamo). Un rimedio possibile potrebbe essere l’opposizione di terzo revocatoria (art. 404 c.p.c.) se la vendita è stata disposta in sua assenza e con dolo tra altri – fattispecie molto remota.
Nota bene: se la procedura è chiusa per estinzione (non per soddisfazione creditori, ma per rinuncia, inattività, accordi), gli atti compiuti decadono dai loro effetti e in teoria il debitore torna libero. Ma se aveva pagato spontaneamente prima dell’estinzione, deve attivarsi subito per recuperare: comunque, se non l’ha fatto in corso di procedura, rischia preclusioni.
Cumulabilità e interferenza tra diversi motivi di opposizione
Spesso il debitore, in una singola opposizione, solleva più motivi eterogenei: ad esempio contesta sia il diritto di procedere (ex 615) sia la regolarità di un atto (ex 617). Oppure contesta più fatti estintivi. Ci si chiede: può farlo? E cosa succede se uno di questi motivi viene meno (ad esempio perché la situazione cambia)?
Pluralità di motivi in uno stesso giudizio: È ammesso che nell’atto di opposizione il debitore deduca contestualmente motivi afferenti sia all’an sia al quomodo dell’esecuzione. Sarà compito del giudice qualificare correttamente le opposizioni ed eventualmente disporre la trattazione congiunta o separata. La legge prevede (art. 616 ult. comma) che se nello stesso procedimento le contestazioni si configurano sia come opposizione all’esecuzione che agli atti, devono essere trattate unitariamente dal giudice dell’esecuzione e decise con un unico provvedimento (questo per evitare duplicazioni). Quindi il debitore non deve necessariamente fare due atti separati; può, per esempio, con un unico ricorso ex art. 615-617, dire: “A) il precetto è nullo perché manca la firma; B) comunque il debito non è dovuto perché ho pagato”. Il G.E. fisserà l’udienza, tratterà entrambi i motivi (uno di forma precetto – 617, uno di merito – 615). Probabilmente concederà o meno sospensione (in base al fumus di uno dei due), e poi nel merito il tribunale deciderà. Non c’è incompatibilità.
Effetti in caso di parziale cessazione materia del contendere: Come visto, Cass. civ. n. 18367/2024 ha precisato che in opposizione all’esecuzione ciascun motivo rappresenta un autonomo fatto costitutivo dell’inesistenza del diritto a procedere. Questo ha rilievo nel caso in cui alcuni motivi vengano meno. Nella fattispecie decisa, l’opponente aveva dedotto più motivi (tra cui l’impignorabilità di quote sociali e l’inesistenza del titolo per altre ragioni). Durante il giudizio, su una questione era cessata la materia del contendere (la questione dell’impignorabilità era stata risolta), ma ne restavano altre. La Cassazione ha detto: la cessazione su un motivo non assorbe gli altri, i quali vanno decisi e possono portare a impedire ulteriori azioni esecutive su quel titolo, con conseguenze sulle spese eventualmente di soccombenza reciproca. Quindi, se uno solleva più motivi, non è che se uno si risolve o viene rigettato, automaticamente perdi tutto; ogni motivo va valutato e deciso separatamente.
Interferenza opposizione all’esecuzione e agli atti: Una situazione particolare è quando un vizio formale (opposizione atti) è talmente grave da inficiare la validità stessa del titolo esecutivo o da implicare l’inesistenza del diritto a procedere. Ad esempio, si discuta: la mancata notifica del titolo esecutivo (quando obbligatoria) è vizio formale (617) o sostanziale (615)? La giurisprudenza propende per vizio formale (notifica titolo = presupposto formale, quindi art. 617, decadenza 20 gg), salvo considerare che se la notifica del titolo è condizione legale per eseguire, la sua mancanza vuol dire che al momento del precetto mancava un presupposto e andava eccepito allora. Dunque occhio a questi borderline: se sbagli opposizione (fai 615 invece di 617), rischi inammissibilità.
Esempio: Tizio riceve precetto accompagnato da copia di decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, ma in realtà quel decreto non gli era stato notificato entro 60 gg dalla pronuncia come richiesto: la legge dice che la notifica del DI entro 60 gg è condizione per esecuzione provvisoria (art. 647 c.p.c.). Allora Tizio potrebbe dire: titolo inefficace → opposizione 615, oppure dire: precetto viziato per irregolare notifica titolo → 617. La linea prevalente: è vizio formale del precetto/titolo, quindi art. 617 in 20 gg.
Conclusione: Il debitore può (e talvolta deve) articolare più motivi e tipi di opposizione insieme, ma deve osservare i termini più stringenti (in pratica quello dei 20 giorni se vi sono vizi atti) e rispettare le forme (un ricorso al G.E. che contenga sia questioni di legittimità formale sia di merito dell’esecuzione). Il giudice unico provvederà coerentemente.
Opposizione del terzo proprietario vs. intervento nel processo
Si è già trattata l’opposizione di terzo ex 619. Qui si aggiunge un chiarimento: se un bene è intestato al terzo ma pignorato come se fosse del debitore (magari perché la trascrizione del titolo di proprietà a favore del terzo è successiva a un’ipoteca del creditore), il terzo non ha scelta: deve fare opposizione di terzo se vuole evitare la vendita. Non è sufficiente che intervenga nel processo esecutivo. L’intervento volontario di un terzo nel processo esecutivo è ammesso solo per vantare diritti di credito sul ricavato, non per rivendicare la proprietà del bene (quello è proprio l’opposizione ex 619). Quindi, imprenditori e terzi interessati devono agire con lo strumento corretto. In passato qualcuno ha tentato di intervenire ex art. 111 c.p.c. sostenendo di aver acquistato il bene: ciò non ferma la procedura, serve opposizione di terzo.
Coordinamento con le procedure concorsuali
Un cenno: se il debitore è soggetto a fallimento o altra procedura concorsuale, le opposizioni esecutive cambiano scenario. Ad esempio, se un creditore esegue su un bene e poi il debitore fallisce, quell’esecuzione individuale viene travolta (e il curatore può intervenire). Le opposizioni vanno coordinate con le norme del fallimento (che ad es. spogliano il giudice dell’esecuzione della competenza). Non approfondiamo qui, ma è rilevante sapere che in caso di fallimento, eventuali opposizioni all’esecuzione pendenti proseguono innanzi al giudice fallimentare se del caso.
Esecuzione su obblighi di fare e opposizioni
Sinora abbiamo parlato quasi solo di espropriazione forzata (mobiliare, immobiliare, presso terzi). Esistono anche esecuzioni forzate in forma specifica (es. sfratto = esecuzione per rilascio, esecuzione per consegna beni, o esecuzione di obblighi di fare/non fare). Anche in tali procedure il debitore può opporsi: l’art. 615 e 617 valgono anche lì. Ad esempio, in un’esecuzione di rilascio immobile, se il titolo (es. ordinanza di convalida sfratto) è invalido, farà opposizione all’esecuzione; se c’è un vizio nella notificazione del preavviso di rilascio, farà opposizione agli atti. Cass. 6892/2024 riguardava proprio un’opposizione in esecuzione per rilascio, ribadendo che va introdotta con ricorso e fase sommaria. Inoltre, in tali esecuzioni non c’è vendita, quindi il limite “entro vendita” non si applica: il limite temporale potrebbe essere “prima che l’esecuzione sia completata” (cioè prima che l’immobile sia liberato).
Sentenze recenti di interesse (breve elenco)
- Cass. civ. Sez. Un. n. 41994/2021 (in tema di riparto giurisdizione esecuzioni tributarie, confermata da Cass. SU 7874/2020 citata): afferma come visto che le opposizioni sull’an debito pre-ruolo vanno al tributario, post-cartella al ordinario.
- Cass. civ. n. 1042/2025: massima correlata indicata in codice, la quale dice che non cessa la materia del contendere nelle opposizioni agli atti ancora pendenti se l’esecuzione termina con distribuzione, perché un eventuale accoglimento potrebbe riaprire il processo. Ciò a conferma di quanto detto: anche a esecuzione chiusa, se l’opposizione c’è ed è fondata, può far risorgere questioni (ad es. ridistribuire il riparto).
- Cass. civ. n. 19777/2024: chiarisce una questione pratica, cioè la decorrenza del termine per instaurare il giudizio di merito dell’opposizione quando il G.E. legge il provvedimento in udienza. Essa dice: se il G.E. all’udienza pronuncia l’ordinanza di rigetto della sospensione e contestaulmente fissa il termine per il merito, tale termine decorre da quella data d’udienza (art. 176 co.2 c.p.c.), anche se il giudice avesse scritto “decorrerà dalla comunicazione” – che sarebbe irrituale. Questa precisazione è utile al debitore per non confondersi: se il G.E. comunica a voce il provvedimento, da lì parte il termine per citar in merito (45 gg minimo per comparire). Quindi attenzione a non aspettare comunicazioni se già si sa.
- Cass. civ. n. 13151/2024: relativa a riconvenzionali tardive nelle opposizioni agli atti. Ha stabilito che una domanda riconvenzionale del creditore opposto, se spiegata oltre i 20 giorni dall’atto impugnato, è tardiva e inammissibile. Quindi il creditore, se vuole chiedere qualcosa (es. un accertamento a suo favore) nell’ambito dell’opposizione atti, deve farlo tempestivamente nella fase iniziale; non può aspettare la fase di merito per aggiungere pretese, perché ciò sanerebbe i vizi ex post. In quel caso la Cassazione ha cassato la sentenza che aveva ammesso una riconvenzionale del creditore formulata solo nel giudizio di merito (oltre i termini): se il creditore, ad esempio, volesse far valere in opposizione atti che il debitore ha abusato del processo chiedendo spese, deve dirlo subito, non dopo.
- Cass. civ. n. 9670/2024: su ordine di liberazione come visto, opp. atti unica tutela.
- Cass. civ. n. 16006/2024: su limiti probatori art. 63 DPR 602 in opposizione di terzo esattoriale (già discusso).
- Cass. civ. n. 565/2025: su usucapione e ipoteca (già discusso).
- Cass. civ. n. 18635/2024: riguardante la giurisdizione ordinaria per opposizione all’esecuzione promossa in forza di sentenza della Corte dei Conti. In pratica, un soggetto era stato condannato dalla Corte dei Conti e poi l’amministrazione procedeva a esecuzione (iscrizione a ruolo). La Cassazione ha confermato che l’opposizione all’esecuzione rientra comunque nella giurisdizione ordinaria, perché non si discute di presupposti della responsabilità erariale (questi coperti dal giudicato contabile) ma del diritto soggettivo a procedere esecutivamente. Quindi, anche in presenza di un titolo di organo contabile, il giudice ordinario è competente sull’opposizione esecutiva, escludendo che potesse considerarsi giurisdizione contabile o tributaria. Questo dà sicurezza che, salvo eccezioni strette di legge, le opposizioni esecutive spettano al giudice ordinario.
Con questo panorama, abbiamo toccato i punti salienti e più avanzati dell’istituto.
Di seguito, per fissare le idee in maniera accessibile, presentiamo alcune domande frequenti (FAQ) con risposte concise, mettendoci nei panni di un debitore esecutato che cerca chiarimenti sulle proprie possibilità di opposizione.
Domande Frequenti (FAQ)
- D: Ho ricevuto un atto di pignoramento ma il credito non è dovuto (ad esempio, avevo già pagato). Come posso difendermi?
R: In tal caso deve proporsi un’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., poiché si nega proprio il diritto del creditore di procedere. Se il pignoramento è già avvenuto, l’opposizione va presentata con ricorso urgente al giudice dell’esecuzione (presso il tribunale competente) chiedendo anche la sospensione. Dovrà provare l’avvenuto pagamento (ricevute, estratti conto) e – ottenuti i “gravi motivi” – il giudice potrà sospendere la procedura. In seguito, con il giudizio di merito, l’esecuzione sarà dichiarata improcedibile per intervenuto adempimento del debito. È importante agire tempestivamente, preferibilmente prima che i beni vengano venduti o assegnati, altrimenti l’opposizione potrebbe essere dichiarata tardiva. Se invece non è ancora partito il pignoramento ma Le è stato notificato solo un precetto, potrà fare opposizione al precetto (sempre ex art. 615) davanti al tribunale, entro 20 giorni dalla notifica, chiedendo la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo. - D: L’atto di pignoramento presenta errori formali (mancano delle informazioni obbligatorie o è stato notificato in modo irregolare). Posso contestarlo?
R: Sì. In presenza di vizi formali o errori procedurali del pignoramento (o di altri atti esecutivi), lo strumento corretto è l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.. Questa va proposta molto rapidamente: entro 20 giorni dal compimento dell’atto o dalla sua notificazione/conoscenza. Si deposita un ricorso al giudice dell’esecuzione evidenziando i vizi (es.: “il pignoramento è nullo perché manca l’ingiunzione al debitore” oppure “la notifica del pignoramento è inesistente perché fatta a un indirizzo sbagliato”). Il giudice fisserà l’udienza; se riterrà grave il vizio, potrà sospendere gli effetti dell’atto impugnato (ad es. sospendere la vendita in attesa di decidere). Nel merito, poi, il giudice dichiarerà l’atto nullo e ciò in genere farà venir meno l’intera procedura esecutiva, costringendo eventualmente il creditore a ripartire da capo se vuole ancora procedere. Attenzione: se ci si lascia sfuggire il termine di 20 giorni, l’atto – anche viziato – diventa definitivo e non più contestabile (salvo casi eccezionali di inesistenza assoluta). Quindi la tempestività è essenziale. - D: Un terzo (ad esempio mio marito/moglie) sostiene che un bene pignorato in casa nostra in realtà è di sua proprietà. Può fare qualcosa per evitarne la vendita?
R: Certamente. Il terzo proprietario deve proporre opposizione di terzo all’esecuzione ex art. 619 c.p.c.. È un ricorso da presentare al giudice dell’esecuzione in cui il terzo dichiara: “Quel bene pignorato appartiene a me, e non al debitore, ecco le prove…”. Questa opposizione va fatta prima che i beni siano venduti od assegnati, idealmente immediatamente dopo il pignoramento. Ad esempio, se durante un pignoramento mobiliare l’ufficiale giudiziario inventaria beni del coniuge non debitore, quest’ultimo deve attivarsi subito. Il giudice dell’esecuzione, vista la domanda, in genere sospende la vendita di quei beni contestati e rinvia le parti al giudizio di merito. Nel giudizio (contro il creditore e il debitore) il terzo dovrà provare la sua proprietà (esibendo fatture, atti di acquisto, testimonianze). Se ci riesce, il pignoramento su quei beni verrà dichiarato inefficace e i beni liberati. Se non ci riesce, l’esecuzione andrà avanti. È cruciale che il terzo fornisca prove solide: ad esempio, per i beni mobili è utile avere fatture intestate al terzo, oppure documenti con data certa da cui risulti che il bene era suo. In ambito fiscale, serve addirittura atto pubblico o scrittura autenticata anteriore al debito, altrimenti la legge non considera valida l’opposizione. Quindi consigliamo di raccogliere tutti i documenti di proprietà prima dell’udienza. Ricordate inoltre che nel giudizio devono partecipare tutte le parti interessate (creditore e debitore); omettere di chiamare in causa il debitore può rendere nulla la causa. - D: Mi è stata notificata una cartella esattoriale anni fa che non ho impugnato. Ora l’Agente della Riscossione ha pignorato il mio conto corrente. Posso ancora contestare qualcosa?
R: Dipende dai motivi. Se intende contestare la legittimità della cartella in sé (ad esempio perché il tributo non era dovuto o la cartella era viziata), purtroppo i termini sono scaduti: la cartella non impugnata nei 60 giorni dinanzi alla Commissione Tributaria è divenuta definitiva, e il giudice ordinario non può rimetterla in discussione. Tuttavia, se ci sono fatti successivi che hanno estinto il debito o ne hanno impedito la riscossione (ad es. prescrizione sopravvenuta, un provvedimento di sgravio emesso dall’ente creditore, oppure un vizio formale proprio del pignoramento), allora sì, può agire davanti al giudice ordinario con gli strumenti visti:- Per far valere l’estinzione/prescrizione del debito, propone opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. davanti al tribunale (giudice ordinario), spiegando che dopo la cartella (o in assenza di notifica valida di essa) è trascorso troppo tempo senza che il credito sia stato riscosso, per cui è prescritto. La Cassazione ha confermato che la prescrizione dei crediti di natura tributaria (es. sanzioni amministrative) è eccepibile in sede di opposizione all’esecuzione, anche se non si è fatto ricorso contro la cartella. Il giudice ordinario valuterà la prescrizione e, se il termine è decorso, dichiarerà nulla l’esecuzione. Attenzione: potrebbe esserci dibattito di giurisdizione, ma ormai l’orientamento la riconosce al giudice ordinario in simili casi.
- Per far valere un vizio formale del pignoramento esattoriale (es. l’atto di pignoramento presso terzi non conteneva le indicazioni richieste, o non è stata rispettata qualche formalità), può proporre opposizione agli atti ex art. 617 c.p.c. entro 20 giorni dall’atto, sempre al tribunale (giudice ordinario). Ad esempio, se l’atto di pignoramento omette la menzione che è decorso il termine di 60 giorni dalla notifica della cartella (come richiede l’art. 50 DPR 602/73), potrebbe essere un vizio. Il giudice ordinario è competente sulle regolarità formali degli atti esecutivi.
- Se invece sostiene di non aver mai ricevuto la cartella (notifica nulla o mai avvenuta), quella questione in teoria è “a cavallo” fra merito tributario e esecuzione. Spesso i tribunali ordinari ammettono opposizioni su ciò in chiave di art. 615 (presupposti dell’esecuzione), considerando la cartella non notificata alla stregua di un titolo inesistente. La Cassazione ha statuito che la mancata notifica della cartella non preclude l’opposizione in cui si eccepisce prescrizione. Quindi potrebbe eccepire in sede ordinaria la nullità/inesistenza della notifica e la prescrizione maturata nel frattempo. Prepari però la difesa anche davanti a possibili eccezioni di incompetenza, perché l’Agente di solito eccepisce la giurisdizione tributaria. In ogni caso, se riesce a dimostrare di aver avuto conoscenza del debito solo col pignoramento, il giudice ordinario dovrebbe riconoscerLe di poter opporsi.
- D: Il titolo esecutivo in base a cui mi pignorano è una sentenza passata in giudicato, ma secondo me era sbagliata (ad esempio, il giudice ha fatto un errore di calcolo). Posso farlo valere in opposizione?
R: No, non in sede di esecuzione. Se la sentenza è definitiva, eventuali errori o ingiustizie andavano corretti con gli strumenti di impugnazione (appello, revocazione, ecc.) entro i termini di legge. In fase di opposizione all’esecuzione non è ammesso contestare questioni di merito o vizi intrinseci della sentenza. Il principio di intangibilità del titolo giudiziale impedisce al giudice dell’esecuzione di rimettere in discussione il contenuto del giudicato. Pertanto, non può opporsi dicendo “la sentenza è ingiusta” o “il giudice ha sbagliato i conti”: questi sono fatti anteriori al giudicato e come tali preclusi. In opposizione all’esecuzione su sentenza, può semmai dedurre solo fatti successivi (es. il debito è stato pagato dopo la sentenza, oppure la sentenza è stata soddisfatta in parte, oppure il creditore ha rilasciato quietanza) o al limite vizi che rendano la sentenza inesistente (ipotesi rarissime, es. provvedimento emesso da un organo privo di potere giurisdizionale). Ad esempio, se la sentenza di condanna riguardava un rapporto e Lei poteva opporre una certa eccezione (tipo prescrizione del rapporto) ma non l’ha opposta in causa, non può farlo ora in esecuzione: è precluso. Un caso tipico è quello dell’aliunde perceptum nel lavoro: la Cassazione ha detto che se non è stato dedotto nel giudizio di merito, il debitore-condannato può dedurlo in opposizione all’esecuzione solo per il periodo successivo al giudicato, non per quello oggetto di giudizio. Quindi, come regola, la sentenza va accettata come è. L’opposizione serve solo per fatti nuovi (es. dopo la sentenza il creditore ha già riscosso parte, o Le ha condonato il debito, ecc.). In sintesi: non può usare l’opposizione esecutiva come “appello mascherato” della sentenza. - D: L’esecuzione è andata avanti e i miei beni sono stati venduti. Non ho fatto opposizioni per tempo. Posso adesso chiedere indietro qualcosa?
R: Di regola, no. Se l’esecuzione è conclusa con la distribuzione del ricavato ai creditori e Lei non ha sollevato opposizioni nel corso della procedura, non c’è un rimedio successivo per recuperare quanto pagato. Non può ad esempio citare il creditore per indebito sostanziale, dicendo che l’esecuzione era illegittima, perché la legge preclude tali azioni se non si è contestato durante l’esecuzione. L’unica ipotesi in cui potrebbe ottenere qualcosa è se aveva comunque instaurato un’opposizione durante l’esecuzione (anche se decisa dopo la chiusura) e questa opposizione viene accolta, magari in grado di appello: in tal caso, la sentenza favorevole costituirà titolo per riaprire la questione e farLe restituire il mal tolto. Ma senza un’opposizione pendente, la partita è chiusa: l’esecuzione conclusa è “definitiva” e i pagamenti restano dove sono. Questa situazione sottolinea l’importanza di non restare inerti: bisogna agire durante il processo esecutivo, altrimenti poi sarà troppo tardi. - D: Ho fatto opposizione agli atti entro 20 giorni ma il giudice l’ha dichiarata tardiva, dicendo che ho contato male i termini. Come si calcolano esattamente i 20 giorni?
R: I 20 giorni decorrono, per gli atti compiuti in udienza alla presenza delle parti, dal giorno dell’udienza; per gli atti che vanno comunicati o notificati, dalla data di comunicazione o notifica; per atti di cui Lei ha avuto solo conoscenza di fatto (ad es. mediante accesso agli atti), probabilmente dal momento in cui ha avuto tale conoscenza (ma deve provarlo). Il calcolo è a giorni liberi, e i termini processuali brevi sono sospesi nei periodi feriali solo se specificato (per le opposizioni esecutive, credo di no, quindi corrono anche ad agosto, attenzione). Nel dubbio, consideri 20 giorni di calendario dal giorno successivo a quello in cui ha saputo/dovuto sapere dell’atto. Ad esempio, se un’ordinanza del G.E. viene letta in udienza il 1 marzo, i 20 giorni partono dal 2 marzo e scadono il 21 marzo (salvo che sia festivo, si va al 22). Un consiglio: agisca sempre un po’ in anticipo rispetto al termine ultimo, per sicurezza. Cass. 19777/2024 ha chiarito che se il G.E. legge un provvedimento in udienza e fissa termine per il merito, tale termine decorre subito, a nulla rilevando che il provvedimento venga comunicato dopo. Questo principio vale analogicamente: non aspetti ulteriori comunicazioni se ha già conoscenza dell’atto; i 20 gg li conti dal momento in cui quell’atto è stato emesso/presentato davanti a Lei. - D: In caso di esito positivo dell’opposizione, chi paga le spese legali?
R: Se l’opposizione viene accolta, in genere il giudice pone le spese di lite a carico della parte soccombente, che può essere il creditore (se Lei aveva ragione nel contestare l’esecuzione). Ad esempio, se oppone che il debito era già pagato e lo prova, il creditore procedente perderà la causa e sarà condannato a rifonderLe le spese (avvocato, contributo unificato, etc.). Può anche essere condannato a rifondere eventuali danni se la sua azione esecutiva era manifestamente ingiusta. Viceversa, se l’opposizione viene rigettata, di solito condannano Lei, opponente, alle spese in favore del creditore. C’è però la possibilità, nelle opposizioni esecutive, di una compensazione totale o parziale delle spese se la situazione era incerta o se vi è soccombenza reciproca su vari motivi. Ad esempio, come da Cass. 18367/2024, può darsi che Lei vinca su un motivo e perda su un altro: in questo caso il giudice potrebbe compensare in tutto o in parte le spese, ritenendo che ognuno ha avuto ragione su qualcosa. In più, tenga presente: se l’opposizione era pretestuosa o dilatoria, il creditore può chiedere la condanna per lite temeraria (art. 96 c.p.c.), il che comporta un risarcimento aggiuntivo a Suo carico. Quindi soppesi bene con il suo legale la fondatezza delle opposizioni da proporre, per evitare di aggravare la Sua posizione economica. In molti casi, comunque, se il debitore porta elementi validi, le spese saranno addebitate al creditore procedente (o compensate se c’era buona fede dall’altra parte).
Conclusione: L’opposizione all’esecuzione è un tema complesso, ma cruciale per la tutela dei diritti del debitore e di eventuali terzi interessati, anche nell’ottica di evitare esecuzioni illegittime o eccessive. In questa guida sono state esaminate approfonditamente tutte le tipologie di opposizione (art. 615, 617, 619 c.p.c.) e le relative “cause” che si possono far valere, con l’ausilio di riferimenti normativi italiani aggiornati e delle più recenti sentenze (2024-2025) dei giudici nazionali. Si è cercato di fornire un linguaggio preciso ma comprensibile, adatto sia a professionisti del diritto (avvocati, giuristi) sia a privati cittadini e imprenditori che si trovino ad affrontare procedure esecutive, dal punto di vista del debitore.
Il messaggio fondamentale è: il debitore non è privo di difese durante un’esecuzione forzata, ma deve conoscere i mezzi giusti e i tempi stretti in cui attivarli. Ognuno degli strumenti delineati – dall’opposizione a precetto, all’opposizione al pignoramento o agli atti della procedura, fino all’opposizione di terzo – ha uno scopo ben preciso e un ambito rigoroso di applicazione. Usarli correttamente può fare la differenza tra subire passivamente un’espropriazione magari indebita, e vedere riconosciute le proprie ragioni o quantomeno assicurarsi il rispetto formale e sostanziale delle regole dell’esecuzione forzata.
Fonti e riferimenti (normativa e giurisprudenza)
- Codice di Procedura Civile, artt. 615, 616, 617, 618, 618-bis, 619 c.p.c. – Discipline delle opposizioni all’esecuzione, agli atti esecutivi e di terzo (testo aggiornato al 2025).
- D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 57 – Limitazioni alle opposizioni nell’esecuzione esattoriale (dichiarato parzialmente incostituzionale da Corte Cost. 114/2018).
- Corte Costituzionale, sentenza 31 maggio 2018 n. 114 – Illegittimità dell’art. 57 co.1 lett. a) DPR 602/73 nella parte in cui vietava le opposizioni all’esecuzione tributarie (violazione diritti difesa).
- Cass., Sez. Unite, 14 aprile 2020 n. 7822 – Criteri sul riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e tributario in tema di esecuzione forzata tributaria (confermati da SU 41994/2021 e ord. Cass. 22754/2024).
- Cass., Sez. Trib., ordinanza 13 agosto 2024 n. 22754 – Discrimine giurisdizionale in esecuzioni tributarie: giurisdizione tributaria su questioni riguardanti fatti fino alla notifica cartella/intimazione; giurisdizione ordinaria su vizi formali dell’atto esecutivo e fatti successivi.
- Cass., Sez. III, 2 luglio 2024 n. 18152 – Opposizione ex art. 615 in materia di multe stradali: eccepibile senza limiti di tempo la prescrizione del credito maturata tra accertamento e primo atto interruttivo (intimazione), poiché è contestazione sull’esistenza del diritto a procedere.
- Cass., Sez. III, 14 maggio 2024 n. 13304 – Opposizione a cartella non notificata: la prescrizione del credito per omessa notifica della cartella è motivo di opposizione all’esecuzione, irrilevante la mancata opposizione agli atti successivi; la cartella non notificata vale solo come atto interruttivo, non preclude l’opposizione.
- Cass., Sez. III, 4 febbraio 2025 n. 2785 – Principio di intangibilità del titolo giudiziale in opposizione: il debitore non può opporre fatti anteriori/coevi al giudicato; solo inesistenza del titolo o fatti sopravvenuti possono essere dedotti.
- Cass., Sez. III, 12 settembre 2024 n. 24471 – Esecuzione da sentenza del lavoro: non ammessa deduzione di aliunde perceptum per periodo antecedente il giudicato in opposizione ex art. 615; ammessa solo dal passaggio in giudicato in poi.
- Cass., Sez. III, 17 luglio 2024 n. 19777 – Decorrenza del termine per il giudizio di merito dell’opposizione esecutiva: se il G.E. legge l’ordinanza in udienza fissando il termine, questo decorre dall’udienza medesima (art. 176 c.p.c.), anche se il provvedimento prevede decorrenza dalla comunicazione.
- Cass., Sez. III, 19 luglio 2024 n. 19932 – Onere per l’opponente ex art. 617 di provare quando ha avuto conoscenza dell’atto viziato, per verificare la tempestività entro 20 giorni (opposizione proposta 2 anni dopo atto giudicata tardiva in mancanza di giustificazione).
- Cass., Sez. III, 15 maggio 2024 n. 13373 – Nullità del precetto su assegno non integralmente riprodotto: vizio essenziale (mancata trascrizione integrale dell’assegno) deducibile con opposizione atti, nullità dell’intimazione senza necessità di specifico pregiudizio (pregiudizio “auto-evidente”).
- Cass., Sez. III, 28 agosto 2024 n. 23283 – Chiusura esecuzione e azione di indebito: il provvedimento finale dell’esecuzione preclude l’azione di ripetizione d’indebito del debitore contro il creditore per quanto pagato, salvo illegittimità fatta valere con opposizione accolta successivamente.
- Cass., Sez. III, 23 marzo 2024 n. 7909 – Effetti del pignoramento e locazioni: il pignoramento “cristallizza” la situazione giuridica opponibile; per valutare canone vile di una locazione ante pignoramento, si guarda al momento del pignoramento (nel caso: confermato rigetto opposizione a ordine di liberazione, avendo giudice considerato assetto contrattuale alla data del pignoramento).
- Cass., Sez. III, 14 marzo 2024 n. 6892 – Necessaria bifasicità dell’opposizione successiva: l’opposizione dopo inizio esecuzione va sempre proposta con ricorso al G.E. e seguendo il modello bifasico, pena nullità dell’atto introduttivo e improponibilità del merito se non sanata (nella specie, opposizione a rilascio iniziata con citazione dichiarata improponibile).
- Cass., Sez. III, 14 marzo 2024 n. 6873 – Estinzione atipica per omessa trascrizione pignoramento: il provvedimento che chiude o si rifiuta di chiudere anticipatamente la procedura per tardiva trascrizione non è reclamabile ex art. 630 c.p.c., ma solo impugnabile con opposizione agli atti.
- Cass., Sez. III, 09 gennaio 2025 n. 565 – Usucapione vs ipoteca in opposizione di terzo: l’usucapione di un bene non estingue l’ipoteca anteriormente iscritta; opposizione ex 619 proposta dall’usucapente contro creditore ipotecario non può far caducare l’ipoteca, che convive col possesso usucapito.
- Cass., Sez. III, 07 giugno 2024 n. 16006 – Opposizione di terzo esecutiva in ambito tributario: il terzo usucapente deve rispettare le limitazioni probatorie dell’art. 63 DPR 602/73; occorre atto pubblico/scrittura autenticata ante anno del ruolo o sentenza passata in giudicato da data anteriore, altrimenti la prova dell’appartenenza del bene non è ammessa.
- Cass., Sez. III, 13 maggio 2024 n. 13151 – Decadenza domanda riconvenzionale in opposizione atti: la riconvenzionale del convenuto (creditore) in giudizio ex 617 è ammissibile solo se proposta entro il termine di 20 giorni dal fatto (dalla conoscenza dell’atto opposto); se introdotta tardivamente nella fase di merito, è inammissibile.
- Cass., Sez. III, 18 novembre 2024 n. 29629 – Litisconsorzio necessario debitore in opposizione terzo: la mancata partecipazione del debitore al giudizio di opposizione di terzo rende nullo il primo grado; se interviene in appello, la nullità si sana solo se il debitore dichiara di accettare senza riserve la sentenza di primo grado (altrimenti va rimessa).
- Cass., Sez. III, 08 luglio 2024 n. 18635 – Opposizione a esecuzione da sentenza Corte dei Conti: la cognizione spetta al giudice ordinario, perché si tratta del diritto di procedere in executivis, non dei presupposti della responsabilità erariale; esclusa giurisdizione contabile o tributaria.
Hai ricevuto un pignoramento? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Quando arriva un atto di pignoramento, un precetto o qualunque atto esecutivo, hai diritto a difenderti se il credito che ti viene richiesto non è legittimo o non più esigibile.
In questi casi puoi proporre un’opposizione all’esecuzione, uno strumento legale per bloccare o annullare l’azione forzata del creditore.
Cos’è l’opposizione all’esecuzione?
L’opposizione all’esecuzione è un ricorso al giudice per contestare il diritto del creditore a procedere esecutivamente contro di te.
Può essere utilizzata quando, per motivi sostanziali, l’esecuzione non è dovuta o non può essere portata avanti.
Quando puoi contestare l’esecuzione forzata?
Ecco i principali casi in cui puoi fare opposizione all’esecuzione:
- ❌ Debito già pagato prima dell’avvio della procedura
- 📉 Titolo esecutivo inesistente o inefficace (es. decreto ingiuntivo non definitivo, sentenza non passata in giudicato)
- ⏳ Prescrizione del credito, perché sono trascorsi i termini di legge senza interruzione
- 🛡️ Impignorabilità del bene colpito, come ad esempio pensione sotto la soglia minima o prima casa non ipotecata
- ⚠️ Errore nel calcolo dell’importo richiesto, con somme maggiorate illegittimamente
- 📄 Inesistenza o nullità del precetto, per mancanza di requisiti formali
- 💬 Accordo di pagamento o transazione precedente che il creditore non ha rispettato
Come funziona l’opposizione all’esecuzione?
L’opposizione deve essere presentata entro 20 giorni dalla notifica dell’atto esecutivo, tipicamente dal precetto o dal pignoramento.
Si presenta al giudice dell’esecuzione, che può:
- 🛑 Sospendere l’esecuzione
- ⚖️ Valutare le prove e le motivazioni
- ✅ Accogliere l’opposizione e dichiarare l’esecuzione non procedibile
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📂 Analizza il titolo esecutivo e i documenti notificati
📑 Verifica eventuali pagamenti, accordi o prescrizioni
✍️ Redige e presenta l’opposizione al giudice competente
⚖️ Ti difende in aula contro creditori che agiscono illegittimamente
🔁 Ti assiste anche in caso di pignoramenti su stipendio, pensione o beni immobili
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in esecuzioni forzate e opposizioni giudiziarie
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Esperto nella tutela del patrimonio personale e familiare
✔️ Consulente per privati, imprenditori e pensionati con debiti
Conclusione
Non sempre chi ti pignora ha davvero il diritto di farlo.
Con l’opposizione all’esecuzione, puoi fermare azioni illegittime, difendere i tuoi beni e far valere i tuoi diritti.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, hai al tuo fianco un professionista esperto in esecuzioni forzate e tutela debitori.
📞 Richiedi subito una consulenza riservata per bloccare l’esecuzione e contestare ciò che non è dovuto.