Quali Sono I Limiti Per Il Doppio Pignoramento Dello Stipendio?

Hai ricevuto un secondo atto di pignoramento sullo stipendio e ti stai chiedendo se è legittimo, quali sono i limiti previsti dalla legge e cosa puoi fare per difenderti? Hai già una trattenuta in busta paga e ora un nuovo creditore vuole prelevare un’ulteriore quota?

Il doppio pignoramento dello stipendio è possibile, ma solo entro limiti precisi. Se vengono superati, puoi impugnare l’atto e chiedere la riduzione o l’annullamento delle trattenute. Vediamo cosa prevede la legge e come tutelarti.

Quanti pignoramenti possono coesistere sullo stipendio?
– Possono coesistere più pignoramenti, ma la somma complessiva delle trattenute non può mai superare il 50% del netto mensile percepito
– La percentuale varia in base alla natura del credito:
20% per crediti ordinari (prestiti, fatture, cartelle)
Fino al 30% per crediti alimentari (mantenimento figli o ex coniuge)
Fino al 10% per crediti tributari se c’è già un altro pignoramento in corso
Il giudice può modulare le quote in base alla tua situazione personale e familiare

Cosa succede se i pignoramenti superano il limite del 50%?
– Le trattenute sono illegittime e puoi presentare opposizione al giudice dell’esecuzione
– Il secondo pignoramento può essere sospeso o ridotto, in modo da rispettare il limite massimo
– Puoi anche chiedere la rateizzazione o la ristrutturazione dei debiti per evitare il blocco dello stipendio

Come vengono gestiti più pignoramenti sullo stesso stipendio?
Il primo pignoramento ha priorità, i successivi si mettono in coda
– L’ufficio paghe accantona le somme per ordine cronologico, fino al raggiungimento del limite massimo
– Se hai anche una cessione del quinto, questa ha priorità assoluta sulle altre trattenute

Come puoi difenderti da un doppio pignoramento?
– Verifica subito la tua busta paga, le percentuali trattenute e la natura dei crediti
– Presenta un’opposizione al giudice se i pignoramenti cumulati superano il 50% del netto
– Chiedi al giudice una modifica della ripartizione tra i creditori in base alla tua capacità economica
– Valuta con un legale esperto l’accesso a una procedura di sovraindebitamento per bloccare tutte le esecuzioni

Cosa NON devi fare mai?
– Ignorare il secondo atto pensando che sia illegittimo: potrebbe essere già operativo
– Lasciare che il datore di lavoro effettui trattenute senza verificare i limiti di legge
– Rinunciare a difenderti: con una strategia ben costruita puoi ridurre o bloccare le trattenute
– Confondere la cessione del quinto con il pignoramento: sono due cose diverse con regole distinte

Anche in caso di doppio pignoramento, la legge ti tutela. Ma devi agire subito per evitare trattenute eccessive e dannose.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in esecuzioni e tutela del reddito – ti spiega quali sono i limiti al pignoramento multiplo dello stipendio, cosa succede con più creditori e come puoi difenderti in modo efficace.

Hai ricevuto un secondo pignoramento sullo stipendio e temi che superi i limiti?

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Introduzione

Il pignoramento dello stipendio è una procedura esecutiva attraverso cui un creditore ottiene direttamente dal datore di lavoro una parte della retribuzione del debitore, al fine di soddisfare un debito non pagato. In altre parole, il datore di lavoro (definito terzo pignorato) è tenuto a trattenere una quota dello stipendio del dipendente debitore e versarla al creditore, in base a un provvedimento del giudice o – in certi casi particolari – a un atto notificato da un ente pubblico creditore. Questa forma di esecuzione forzata è disciplinata dal Codice di Procedura Civile (artt. 543 e seguenti) e da leggi speciali, e mira a bilanciare due esigenze contrapposte:

  • Da un lato, il diritto del creditore a recuperare il proprio credito.
  • Dall’altro, la tutela del debitore, assicurando che una parte dello stipendio gli rimanga per vivere dignitosamente (il cosiddetto minimo vitale).

In questa guida esamineremo in dettaglio i limiti di pignorabilità dello stipendio imposti dalla legge italiana – con particolare attenzione al caso di doppio pignoramento, ovvero la presenza contemporanea di più pignoramenti sul medesimo stipendio. Verranno analizzate le percentuali massime pignorabili in base alla natura del credito, le restrizioni quando intervengono più creditori, le novità normative e giurisprudenziali aggiornate a giugno 2025, nonché le strategie difensive dal punto di vista del debitore.

Nota sul linguaggio: Il taglio della trattazione sarà avanzato ma divulgativo, adatto sia a professionisti legali sia a privati e imprenditori interessati all’argomento. Verranno incluse domande e risposte frequenti, tabelle riepilogative e simulazioni pratiche, esclusivamente relative all’ordinamento italiano.

Fonti normative principali: la materia è regolata anzitutto dall’art. 545 del Codice di Procedura Civile, che stabilisce le quote pignorabili di stipendi e altre indennità da lavoro, nonché eventuali limiti cumulativi. A queste si affiancano varie disposizioni speciali – ad esempio, per debiti tributari con l’erario (D.P.R. 602/1973, art. 72-ter) o per crediti alimentari (assegni di mantenimento) – e interventi legislativi recenti che hanno innalzato le soglie di impignorabilità (ad es. Decreto Aiuti-bis 2022 per le pensioni minime) e accelerato le procedure esecutive (es. riforme PNRR 2023-2025). La giurisprudenza, in particolare diverse sentenze della Corte di Cassazione nel 2024, ha ulteriormente chiarito l’interpretazione di queste norme, soprattutto riguardo al cumulo di più pignoramenti e alla tutela del debitore. Le fonti utilizzate in questa guida sono elencate in una sezione dedicata al termine del documento.

Quadro normativo: somme pignorabili e impignorabili

Prima di affrontare il caso del doppio pignoramento, è essenziale comprendere quali sono i limiti generali imposti dalla legge sul pignoramento dello stipendio. Tali limiti variano a seconda della natura del credito per cui si procede e servono a garantire che al debitore rimanga sempre una parte del reddito per le esigenze di vita primarie.

Limiti generali di pignorabilità (Art. 545 c.p.c.)

L’art. 545 c.p.c., al quarto comma, stabilisce la regola generale secondo cui stipendi, salari e altre indennità relative al rapporto di lavoro (incluse indennità di licenziamento, TFR, ecc.) possono essere pignorati nella misura massima di un quinto del loro ammontare. Ciò vale “per ogni altro credito”, ovvero per la generalità dei debiti civili (prestiti bancari, finanziamenti, risarcimenti, fatture non pagate, ecc.). Dunque, un creditore ordinario non può mai ottenere oltre il 20% dello stipendio netto mensile del debitore. Ad esempio, su uno stipendio netto di €1.500, la trattenuta massima per un debito comune (non privilegiato) sarà di €300 al mese.

Crediti alimentari: Fanno eccezione i crediti alimentari, ossia tipicamente gli assegni di mantenimento dovuti a coniuge separato o divorziato e ai figli. In tal caso interviene il terzo comma dell’art. 545 c.p.c., il quale prevede che stipendi e simili possano essere pignorati “nella misura autorizzata dal presidente del tribunale”. In pratica, non vige il limite fisso di un quinto: la quota viene stabilita caso per caso dal giudice, tenendo conto sia delle necessità del creditore alimentare sia delle condizioni economiche del debitore. Il giudice può autorizzare anche un pignoramento superiore al 20% in presenza di bisogni rilevanti (ad esempio per garantire un adeguato sostentamento ai figli minori). In genere, la giurisprudenza ritiene che per i crediti di mantenimento la trattenuta possa arrivare fino a circa un terzo o addirittura alla metà dello stipendio, nei casi più gravi. Come vedremo, in presenza di concorrenti pignoramenti la Cassazione ha chiarito che il giudice può persino superare il limite del 50% se strettamente necessario per garantire il mantenimento del coniuge o dei figli a carico. Si tratta ovviamente di ipotesi eccezionali, soggette a rigoroso controllo di proporzionalità da parte del tribunale.

Debiti fiscali e verso enti pubblici: Per i debiti erariali (come imposte, tasse, contributi previdenziali non versati, cartelle esattoriali di Agenzia delle Entrate-Riscossione) l’art. 545 c.p.c. parifica, in linea di principio, il trattamento agli altri crediti, prevedendo la pignorabilità “nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni”. Tuttavia, una norma speciale sopravvenuta ha introdotto limiti più favorevoli al debitore in caso di esecuzione da parte del Fisco: si tratta dell’art. 72-ter del D.P.R. 602/1973 (come modificato dal D.L. 16/2012), il quale modula la percentuale pignorabile in base all’ammontare dello stipendio. Attualmente (valori 2025) le soglie specifiche per pignoramenti esattoriali sono:

  • Stipendi netti fino a €2.500 mensili: pignorabile al massimo 1/10 (10%).
  • Stipendi netti tra €2.500 e €5.000: pignorabile al massimo 1/7 (circa 14,3%).
  • Stipendi netti oltre €5.000: pignorabile al massimo 1/5 (20%).

Esempio: con stipendio netto di €2.400, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione potrà pignorare al massimo il 10%, cioè €240 al mese. Su €3.000 netti, potrà trattenere fino al 14,3%, cioè circa €429. Oltre i 5.000 (es. stipendio €6.000) la trattenuta massima torna al 20% (€1.200). In nessun caso, comunque, il prelievo per debiti fiscali può superare le suddette frazioni.

Queste percentuali ridotte per gli stipendi medio-bassi intendono salvaguardare maggiormente il debitore fiscale. Va sottolineato che tali soglie si applicano solo al pignoramento avviato da enti pubblici (Agenzia Riscossione, INPS, ecc.), mentre per i creditori privati vale sempre la regola generale del quinto. Dunque, se un istituto di credito pignora lo stipendio per un mutuo non pagato non beneficerò di aliquote agevolate: potrà chiedere fino al 20% indipendentemente dall’importo della retribuzione. Viceversa, se il creditore è l’Erario (es. IRPEF non pagata), e lo stipendio è modesto, l’Erario dovrà accontentarsi di una quota minore (1/10 o 1/7) secondo le soglie sopra viste.

Eccezioni ulteriori: Restano infine ferme eventuali limitazioni particolari previste da altre leggi speciali. Ad esempio, per i debiti del lavoratore verso lo Stato in qualità di dipendente pubblico responsabile di danno erariale, la legge consente pignoramenti fino a un terzo dello stipendio (art. 545, comma 4, c.p.c., ultima parte); per alcune indennità di invalidità civile o sussidi per maternità, malattia e funerali, vige l’assoluta impignorabilità (art. 545, comma 2). Allo stesso modo, gli assegni familiari e le somme destinate a specifiche finalità di sostegno non rientrano nel reddito pignorabile. Ad esempio, la Cassazione ha chiarito che bonus straordinari o indennità emergenziali erogate per il sostegno al reddito non possono essere conteggiate come stipendio pignorabile, trattandosi di somme finalizzate a scopi assistenziali ben precisi. In pratica, non tutte le voci in busta paga sono aggredibili: voci come assegni per il nucleo familiare, rimborsi spese, indennità di trasferta, ecc., restano escluse dal calcolo del quinto.

Soglia di impignorabilità assoluta (minimo vitale)

Il legislatore ha stabilito alcune soglie monetarie al di sotto delle quali lo stipendio (o la pensione) non può essere toccato, per garantire al debitore un minimo di sopravvivenza economica. A differenza di quanto vedremo per le pensioni, per gli stipendi non esiste una cifra fissa “valida per tutti” che sia totalmente impignorabile: il minimo vitale viene determinato caso per caso dal giudice, tenendo conto delle condizioni del debitore. Ad esempio, un lavoratore con stipendio molto basso (poco sopra la soglia di povertà) potrebbe ottenere – su sua istanza – una riduzione della quota pignorata, anche sotto il limite ordinario del quinto. È il principio del “minimum vitale”, non codificato in una cifra esatta ma spesso ricondotto all’importo dell’assegno sociale. Nel 2025 l’assegno sociale è pari a circa €538,69 mensili (valore fissato da INPS, che corrisponde a €7.002,97 annui). I tribunali, in assenza di altri parametri, considerano talvolta come minimo vitale una somma pari all’assegno sociale oppure al suo multiplo. Ad esempio, in passato alcune pronunce indicavano come intangibile un importo pari a 1,5 volte l’assegno sociale (circa €808), ma interventi normativi recenti hanno innalzato le tutele soprattutto per le pensioni (come si dirà più avanti).

Per le pensioni infatti oggi la legge prevede espressamente una soglia di impignorabilità fissa: esse “non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell’assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro. Questo significa che il pensionato deve sempre conservare almeno due volte l’assegno sociale mensile (che nel 2025 è circa €538,69 × 2 = €1.077,38), e comunque mai meno di €1.000. Ad esempio, nel 2024 la doppia cifra dell’assegno sociale era €1.068,82, quindi prevaleva questa (essendo > €1.000) come quota impignorabile. Queste soglie vengono adeguate annualmente all’aumento dell’assegno sociale. Pertanto, una pensione fino a ~€1.077 al mese è oggi totalmente al riparo da pignoramento, e solo l’eventuale eccedenza può essere aggredita nei limiti di legge. Per fare un esempio: con pensione di €1.200, rimane impignorabile la parte fino a €1.077,38; sulla differenza (~€122) può applicarsi la trattenuta del quinto se dovuta, che sarebbe circa €24 (un quinto di 122). Ne risulta che il pensionato in ogni caso conserva ~€1.176 (ossia €1.152 + €24 trattenuti), coerente col dettato normativo. Se la pensione è superiore (es. €1.500), la parte eccedente €1.077 può essere pignorata nelle misure ordinarie: su €423 eccedenti, un quinto sarebbe €84,6. In generale comunque al pensionato va lasciato almeno il doppio dell’assegno sociale (o €1.000 se più alto) come “minimo vitale pensionistico”. Questa tutela rafforzata per le pensioni è frutto di un intervento legislativo del 2022 (c.d. Decreto Aiuti-bis, L. 142/2022) che ha aumentato la precedente soglia (prima era 1,5× assegno sociale) proprio per garantire un miglior sostentamento ai pensionati a basso reddito.

Per i lavoratori dipendenti non pensionati non c’è un analogo valore fisso universale. Tuttavia, l’art. 545 c.p.c. prevede un meccanismo specifico quando lo stipendio è accreditato su conto bancario: in tal caso, al momento del pignoramento, la banca deve lasciare immediatamente disponibile al debitore un importo pari al triplo dell’assegno sociale. Questo equivale, nel 2025, a circa €1.616 (538,69 × 3) come importo impignorabile su conto corrente. Tale norma impedisce che, pignorando il conto dove arriva lo stipendio, il debitore si ritrovi completamente privo di mezzi: una somma pari a circa tre mensilità di assegno sociale è libera. Solo l’eventuale eccedenza sul conto può essere bloccata dalla banca per il pignoramento. Ad esempio, se il giorno del pignoramento il conto contiene €3.000 derivanti in buona parte da stipendi accreditati, la banca dovrà sbloccare €1.616, mentre la restante somma (~€1.384) potrà essere vincolata e poi assegnata ai creditori. Si noti che questa protezione vale solo per somme da stipendio/pensione accreditate prima del pignoramento: se sul conto c’erano risparmi pregressi non provenienti da retribuzioni, essi non godono di tale esenzione. Inoltre, dopo la notifica del pignoramento, gli ulteriori accrediti di stipendio sul medesimo conto saranno pignorabili direttamente nei limiti ordinari del quinto (di fatto come se il pignoramento proseguisse presso il datore di lavoro). Quindi, il triplo dell’assegno sociale opera una tantum sul saldo esistente al momento del blocco, mentre per gli stipendi futuri vale la trattenuta mensile.

Riassumendo, i limiti generali sono:

  • Quota pignorabile standard dello stipendio: 20% del netto (un quinto), salvo eccezioni.
  • Debiti alimentari: quota decisa dal giudice, potenzialmente >20% (fino a ~50%).
  • Debiti fiscali/tributari: quota massima 10%, 14% o 20% a seconda dello stipendio (≤2.500, 2.500-5.000, >5.000 €).
  • Limite cumulativo in caso di più pignoramenti (cause diverse): 50% del netto (metà stipendio).
  • Stipendio su conto corrente: impignorabile fino a 3× assegno sociale (~€1.616 nel 2025).
  • Pensione: impignorabile fino a 2× assegno sociale (min €1.000, attualmente ~€1.077).
  • Soglie riducibili dal giudice: possibili riduzioni sotto i limiti suddetti in casi di particolare necessità del debitore (tutela del minimo vitale).
  • Crediti totalmente impignorabili: sussidi di sostentamento, invalidità, maternità, ecc., nonché arretrati di alimenti dovuti dallo Stato, ecc., come da leggi speciali.

Nel prosieguo, approfondiremo in particolare la questione del cumulo dei pignoramenti, ossia cosa accade quando coesistono due (o più) pignoramenti sul medesimo stipendio, tema centrale per il nostro titolo (doppio pignoramento dello stipendio).

Doppio pignoramento: concorso di creditori sullo stesso stipendio

Per “doppio pignoramento dello stipendio” si intende la situazione in cui due diversi creditori procedono (anche in tempi differenti) al pignoramento della medesima retribuzione del debitore. In altri termini, il debitore si trova con più pignoramenti in corso contemporaneamente sul proprio stipendio. Questo scenario è disciplinato dall’art. 545 c.p.c. al quinto comma, il quale recita: “Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente non può estendersi oltre la metà […]”. Tale frase implica che, qualora concorrano più cause di pignoramento, la somma totale delle trattenute non può superare il 50% dello stipendio netto del debitore. La “metà” dello stipendio rappresenta dunque il tetto massimo cumulativo sacrificabile, indipendentemente dal numero di creditori.

È però fondamentale comprendere come si ripartisce questa metà e con quali regole vengono gestiti i diversi pignoramenti. Non basta dire “50% in totale”: occorre distinguere diversi casi in base alla natura dei crediti e alla cronologia delle azioni esecutive. Analizziamo quindi le possibili ipotesi:

Concorso di pignoramenti della stessa natura

Se i due pignoramenti riguardano crediti della medesima natura giuridica, in linea di massima non operano in contemporanea sullo stesso stipendio, ma si applica la regola della priorità temporale: prior in tempore, potior in iure. Il primo creditore pignorante (in ordine di notifica dell’atto al datore di lavoro) ha diritto di essere soddisfatto per primo, fino a esaurimento del suo credito. Un eventuale secondo creditore dello stesso tipo dovrà attendere o intervenire nella procedura già avviata, ma comunque senza aumentare la quota mensile complessiva già destinata al primo. In pratica, se entrambi i crediti sono (ad esempio) ordinari, il totale prelevato resta sempre il 20% del netto mensile: i due creditori si ripartiscono quel quinto oppure il secondo subentra dopo che il primo è stato soddisfatto.

Facciamo un esempio concreto: il debitore Tizio ha due finanziarie che lo hanno citato in esecuzione, una per un prestito personale e l’altra per il fido bancario sconfinato (entrambi crediti ordinari). Supponiamo che la finanziaria A notifichi per prima il pignoramento: il giudice le assegnerà un quinto dello stipendio di Tizio. Sopraggiunge poi la finanziaria B con un secondo pignoramento: poiché si tratta di credito della stessa natura (ordinario) e c’è già un quinto impegnato, B non potrà ottenere un ulteriore quinto indipendente, altrimenti il totale salirebbe al 40%. Il suo pignoramento non avrà effetto immediato finché vige quello di A. In pratica B dovrà attendere che il credito di A venga soddisfatto; B può comunque intervenire nella procedura di A depositando un atto di intervento, ma la trattenuta mensile complessiva resterà sempre una sola (20%). Il giudice dell’esecuzione provvederà poi a distribuire proporzionalmente quella trattenuta mensile tra A e B, oppure più frequentemente farà accodare B: quando A avrà ricevuto tutto il dovuto, la trattenuta del quinto proseguirà per pagare B. Questa modalità evita che due creditori ordinari erodano oltre misura lo stipendio in contemporanea.

Discorso analogo vale se i crediti in concorso sono entrambi tributari (es. due cartelle esattoriali): in teoria la legge consentirebbe sommando le aliquote ridotte (es. due crediti fiscali su stipendio €3.000, ciascuno al 14%, darebbero 28%), ma Agenzia delle Entrate-Riscossione adotta un metodo simile alla coda: notifica un primo pignoramento che occupa la percentuale prevista; se vi sono ulteriori cartelle, esse restano in stand-by oppure vengono cumulate ma senza superare il tetto del 20% complessivo o il 50% in totale. La prassi è che non coesistono due pignoramenti separati del fisco sullo stesso stipendio: l’ente procede semmai con un unico pignoramento includendo più debiti, oppure con atti successivi a estinzione del precedente.

Infine, se i crediti concorrenti sono entrambi alimentari (es. due assegni di mantenimento per due differenti familiari), trattandosi della stessa natura alimentare, sarà il giudice a stabilire caso per caso le percentuali. Ad esempio, se Tizio deve mantenere due nuclei familiari, il giudice potrebbe distribuire la metà dello stipendio tra i due aventi diritto (ad es. 25% a ciascuno) oppure dare priorità ai figli minori rispetto all’ex coniuge, sempre nel tetto del 50%. Ma due istanze di pignoramento alimentare separate sullo stesso stipendio sarebbero probabilmente unificate davanti allo stesso giudice, per decidere in un unico provvedimento equitativo.

In sintesi, per crediti omogenei, vige la regola: una sola trattenuta percentuale alla volta. Il secondo creditore non raddoppia la quota mensile ma la condivide (in caso di intervento nella stessa procedura) oppure aspetta (se separato).

Concorso di pignoramenti di natura diversa

Ben diversa è la situazione se i due (o più) pignoramenti in essere riguardano tipologie di crediti differenti. In tal caso la legge consente una coesistenza contemporanea, purché sia rispettato il già menzionato limite cumulativo del 50%. L’idea sottostante è che crediti di diversa natura abbiano ciascuno una loro “corsia” fino a un quinto, e possono agire parallelamente fino a saturare metà dello stipendio. Il Codice distingue in particolare tre grandi categorie: crediti alimentari, crediti tributari (o contributivi) e crediti ordinari. Vediamo come si combinano:

  • Pignoramento ordinario + pignoramento alimentare: possono coesistere. Il creditore alimentare (es. ex coniuge per assegno di mantenimento) di solito ha priorità sostanziale e può ottenere anche più di un quinto, ma supponiamo che il giudice abbia fissato ad esempio 1/5 dello stipendio per gli alimenti. In tal caso, se interviene un pignoramento ordinario da parte di altro creditore, quest’ultimo può aggiungersi con un ulteriore quinto, finché la somma (1/5 + 1/5) non supera il 50%. Nel nostro esempio 1/5 + 1/5 = 2/5 (40% del netto), quindi ammissibile. Se invece il giudice avesse disposto 1/3 per il mantenimento (33,3%), un pignoramento ordinario potrebbe aggiungersi solo fino a portare il totale al 50%, quindi al massimo per un ulteriore 16,6% (arrivando a circa 50%). Sarà il giudice dell’esecuzione a dover eventualmente ridurre proporzionalmente le percentuali se la somma sforasse metà stipendio. In ogni caso, alimenti e crediti ordinari insieme non possono erodere più della metà. Nella pratica, generalmente si osserva che i crediti alimentari prevalgono: se il mantenimento richiede già il 50% dello stipendio, nessun altro creditore può pignorare (come confermato da Cass. n.6789/2024), mentre se il mantenimento è inferiore al 50%, c’è spazio residuo per altri pignoramenti fino a raggiungere il 50%.
  • Pignoramento ordinario + pignoramento fiscale: anche questa combinazione è frequente (es. stipendio già pignorato al 20% da una banca, poi arriva Agenzia Entrate per tasse non pagate, o viceversa). Qui la regola è: possono concorrere due prelievi distinti, uno per il credito ordinario (max 1/5) e uno per il credito erariale (max aliquota ex art. 72-ter DPR 602/73, cioè 1/10, 1/7 o 1/5 a seconda dello stipendio). Tuttavia, il totale prelevato va mantenuto ≤ 50%. Nella maggioranza dei casi pratici, se lo stipendio non è molto alto, la somma delle aliquote rimane sotto la metà: ad esempio stipendio €2.500, credito bancario pignora 20% (€500) e Agenzia Entrate pignora 10% (€250), totale €750 che è il 30% – lecito. Su stipendio €4.000, 1/5 (€800) + 1/7 (~14%, €560) farebbe €1.360, cioè il 34% – lecito. Ma su stipendio €1.200, un quinto sarebbero €240 e il fisco potrebbe prendere 10% (€120), totale €360 pari al 30% – teoricamente ok; va però considerato che su €1.200 c’è il tema del minimo vitale: il giudice potrebbe ridurre le trattenute per non intaccare troppo lo stipendio basso. In generale, la Cassazione ha chiarito che il limite del 50% va sempre rispettato anche se i pignoramenti provengono da autorità diverse (giudiziaria vs esattoriale). In passato si discuteva se un pignoramento fiscale potesse considerarsi “autonomo” dal tetto del 50%, ma la sentenza della Cass. n. 2345/2024 ha risolto il dubbio affermando espressamente che la metà del salario costituisce il plafond insuperabile in ogni caso di concorso tra pignoramenti eterogenei. Quindi, se dovesse profilarsi un assorbimento oltre la metà, il debitore può far valere l’illegittimità dell’eccesso.
  • Pignoramento alimentare + pignoramento fiscale: anche questi possono coesistere. Si sommano le rispettive aliquote (es. 20% alimenti + 10% fisco = 30%; oppure 30% alimenti + 20% fisco su stipendio alto = 50%). Di nuovo, la somma non può eccedere il 50%. Va notato che in termini di priorità normativa, i crediti alimentari sono considerati preminenti su tutti. Ciò significa che, se il combinato dovesse opporsi (ad esempio un giudice potrebbe decidere di autorizzare un 30% per alimenti anche se c’è un 20% fiscale in corso, arrivando al 50%), prevale l’istanza alimentare. In casi estremi, la Cassazione ha ammesso che il giudice possa spingersi eccezionalmente oltre il 50% per i soli alimenti indispensabili, benché resti un’ipotesi limite. In presenza di fisco + alimenti, è immaginabile che un giudice modulerebbe le quote per non sacrificare integralmente il debitore, magari attestandosi esattamente sul 50% complessivo.
  • Tre o più pignoramenti diversi: Può accadere che un debitore abbia contemporaneamente debiti di tutte e tre le categorie (es. mantenimento, cartelle fiscali, prestiti bancari). In teoria la legge non distingue fra due o più concorsi: il totale comunque non deve superare metà stipendio. In pratica, gestire tre trattenute parallele è complesso. La priorità sostanziale è: 1º alimenti, 2º fisco, 3º ordinari. Quindi, prima si soddisfano per intero gli alimenti autorizzati; poi eventuale spazio fino al 50% viene occupato dal pignoramento fiscale; solo se residua ancora capienza si attiva il pignoramento ordinario. Spesso il terzo creditore ordinario finisce quindi per non prendere nulla finché gli altri non scendono sotto soglia, dovendo attendere. I giudici dell’esecuzione possono anche decidere di riunire tutte le procedure in un unico procedimento (cumulo delle procedure esecutive), per distribuire equamente le somme e velocizzare la soddisfazione di tutti nei limiti fissati. In tal caso, la metà dello stipendio viene ripartita proporzionalmente tra i creditori di categorie diverse, secondo i criteri stabiliti dal giudice (ad es. potrebbe assegnare 25% ad alimenti, 15% a fisco, 10% a ordinario, ipoteticamente). L’importante è il rispetto assoluto della soglia del 50% come somma di tutte le trattenute.

Riepilogo concorso creditori: Nella tabella seguente riassumiamo come vengono gestiti i doppi pignoramenti in varie combinazioni (si assume che ce ne sia capienza entro il 50% totale):

Combinazione creditiTrattenuta ATrattenuta BNote
2 crediti ordinari1/5 (20%) al primo; il secondo attende oppure condivide quel 1/50% (finché primo non finisce)Mai oltre 20% simultaneamente per entrambi.
2 crediti fiscali (AER)Aliquota 72-ter per primo (es. 10%)Aliquota 72-ter per secondo (es. 10%)Di regola accorpati in un unico 72-ter, comunque totale ≤ 20%.
2 crediti alimentariQuota decisa dal giudice (es. 30%)Quota decisa dal giudice (es. 20%)Somma tipicamente ≤ 50%; giudice bilancia bisogni familiari.
Ordinario + Fiscale1/5 (20%) ordinarioAliquota fiscale (10-14-20%)Somma ≤ 50%. Esempio: 20% + 10% = 30% (ok).
Ordinario + Alimentare1/5 (20%) ordinario (se capienza)fino a 30% alimentare (es.)Somma ≤ 50%. Alimentare può ridurre spazio ordinario.
Fiscale + AlimentareAliquota fiscale (es. 10-20%)Quota alimentare (es. 20-40%)Somma ≤ 50%. Priorità agli alimenti; se servisse può arrivare a ~50%.
Alimentare + Fiscale + OrdinarioOrdinario solo se spazio < 50% dopo alimentare+fiscaleAlimentare e Fiscale come sopraIn pratica ordinario spesso accodato. Totale ≤ 50%.

Naturalmente, la gestione concreta richiede atti del giudice dell’esecuzione, che emetterà ordinanze di assegnazione delle somme pignorate tenendo conto dei limiti. È obbligo del datore di lavoro comunicare a ogni nuovo creditore pignorante l’esistenza di eventuali pignoramenti precedenti, così che il creditore sopravvenuto e il giudice sappiano quanta parte dello stipendio è già “occupata”. Il datore di lavoro deve inoltre adeguare le trattenute se riceve disposizioni in tal senso dal giudice (ad es. riduzione proporzionale delle quote per rispettare il 50% complessivo). Errori nella gestione possono esporlo a responsabilità diretta verso i creditori danneggiati.

Novità normative 2024: Riduzione proporzionale e pignoramenti presso terzi multipli

La riforma del processo civile attuata con il D.L. 2 marzo 2024 n.19 (Decreto PNRR) ha introdotto alcune novità procedurali in materia di esecuzione presso terzi. Una di queste (art. 25 D.L. 19/2024) riguarda proprio il caso di pignoramenti eseguiti presso più terzi contemporaneamente. In situazioni in cui, ad esempio, lo stesso debitore ha lo stipendio pignorato presso il datore di lavoro e nel contempo un altro creditore pignora il suo conto corrente (quindi due diversi terzi coinvolti), la legge ora consente al debitore di chiedere al giudice dell’esecuzione la riduzione proporzionale dei singoli pignoramenti, in modo che la sottrazione complessiva non superi i limiti di legge. Questa previsione rafforza il concetto che il 50% massimo si riferisce alla somma di tutte le esecuzioni sul medesimo debitore, anche se portate avanti da creditori diversi su beni diversi. Ad esempio, se un creditore A sta già prelevando il 20% dello stipendio e un creditore B pignora contestualmente il conto corrente dove affluisce il restante 80%, B non potrà prendere tutto quell’80%: il debitore potrà far valere l’eccedenza del limite e ottenere un’ordinanza che riduca il prelievo di B in modo che il totale tra stipendio e conto non superi metà delle sue entrate mensili. Si tratta di una tutela importante per evitare aggiramenti: in assenza di tale principio, un creditore astuto avrebbe potuto attendere che lo stipendio venisse accreditato in banca (al netto del primo quinto) e poi pignorare il conto per prendere un ulteriore quinto di quanto già rimaneva, di fatto cumulare un 20% + 20%. Oggi ciò è contrastato sia dalla normativa (triplo assegno sociale impignorabile sul conto) sia da questo strumento di riduzione su istanza del debitore. La riforma PNRR 2024, inoltre, ha accelerato i tempi delle esecuzioni (c.d. pignoramento “sprint”): per alcuni crediti, specie tributari locali, dal 2025 è possibile procedere al pignoramento dopo soli 60 giorni dalla notifica del titolo esecutivo, senza attendere i 180 giorni di prassi previsti in precedenza. Ciò non incide direttamente sulle percentuali pignorabili, ma significa che il debitore può subire un pignoramento in tempi più rapidi (ad esempio per IMU o TARI non pagate i Comuni ora possono attivare il pignoramento stipendio trascorsi 60 giorni dall’avviso di accertamento esecutivo, senza ulteriore sollecito). Dal lato del debitore, questa novità rende ancora più importante monitorare le proprie posizioni debitorie ed eventualmente attivarsi subito con piani di rateizzo entro i 60 giorni per evitare l’avvio dell’esecuzione.

Interazione con cessione del quinto e delegazioni di pagamento

Un caso particolare di “doppio prelievo” sullo stipendio, che merita attenzione dal punto di vista del debitore, è la coesistenza di pignoramento e cessione del quinto (o doppia cessione). La cessione del quinto è un contratto di prestito in cui il lavoratore cede volontariamente al finanziatore fino a un quinto del proprio stipendio, con trattenuta diretta in busta paga. Molti lavoratori hanno in corso una cessione del quinto (20%) e talvolta anche una seconda trattenuta per prestito delegato (delegazione di pagamento, un ulteriore 20% se consentito dal datore), arrivando così ad avere già il 40% dello stipendio ceduto a banche/finanziarie in via volontaria. Cosa accade se sopraggiunge un pignoramento giudiziario in tale situazione?

La presenza di cessioni non impedisce il pignoramento, ma incide sul calcolo delle quote pignorabili. Secondo un orientamento affermato in giurisprudenza (da ultimo, Tribunale di Cosenza 13/6/2025), il giudice dell’esecuzione deve tenere conto delle cessioni già in essere nel determinare l’ulteriore quota pignorabile. In pratica, il quantum pignorabile residuo viene calcolato come differenza tra la metà dello stipendio e le quote già cedute, fermo restando il limite di un quinto per il pignoramento stesso.

Facciamo un esempio per chiarire: Caio percepisce €1.500 netti e ha due prestiti con doppia cessione del quinto per un totale del 40% (€600) trattenuto ogni mese. Metà dello stipendio di Caio è €750. Sottraendo le cessioni (€600), restano €150 teoricamente disponibili entro la soglia del 50%. €150 rappresentano il 10% dello stipendio. Dunque, un eventuale creditore procedente potrà pignorare al massimo il 10% (anziché il 20%) dello stipendio di Caio, perché il suo stipendio è già gravato per il 40% e aggiungendo un quinto intero (20%) supererebbe la metà. Quell’ulteriore 10% colmerebbe il tetto del 50% (€600 cessioni + €150 pignoramento = €750, metà dello stipendio). Se invece Caio avesse una sola cessione del quinto (20%, €300), metà stipendio €750 – ceduto €300 = €450 residui: in teoria c’è spazio per il 30%, ma il pignoramento comunque non potrebbe eccedere il suo limite intrinseco del 20%. Quindi Caio con uno stipendio di €1.500 e cessione 20% da €300 potrebbe subire un pignoramento fino a €300 (altro 20%). In tal caso avrebbe 20% ceduto + 20% pignorato = 40% trattenuto totale, restando sotto il 50%. Diversamente, con due cessioni (40%), il pignoramento è ridotto al 10%.

La logica seguita dai giudici è che le cessioni volontarie, se antecedenti, “fanno parte già dei preesistenti vincoli” sullo stipendio e non possono essere ignorate: il debitore, di fatto, dispone solo della parte residua libera. Pertanto tutte le cessioni notificate prima del pignoramento – inclusa l’eventuale delegazione di pagamento (seconda cessione) – vanno computate nel conteggio per rispettare il limite complessivo del 50%. La Cassazione in passato (sent. n. 685/2018) aveva confermato questo criterio. Ciò tutela il debitore da eccessive decurtazioni: senza questa regola, chi avesse già il 40% ceduto potrebbe vedersi togliere un ulteriore 20% per pignoramento, finendo col 60% decurtato, in violazione della norma. Invece, così facendo, il giudice armonizza le trattenute.

Dal punto di vista pratico: il datore di lavoro, se riceve un atto di pignoramento mentre sta già applicando cessioni, deve immediatamente comunicare al creditore procedente e al tribunale l’esistenza e l’entità di tali cessioni. Spetterà poi al giudice dell’esecuzione eventualmente limitare la nuova trattenuta. Il datore dovrà poi gestire entrambe le trattenute (cessione + pignoramento) nel rispetto dell’ordine cronologico (la cessione essendo precedente si paga per prima) e del tetto del 50%. Se necessario, potrà essere chiesta un’istanza al giudice per ridurre la quota pignorata quando la somma di cessione e pignoramento mette a rischio la sopravvivenza dignitosa del debitore. Ad esempio, se per via di cessioni e pignoramenti al debitore restasse meno del minimo vitale, il giudice – su richiesta – può abbassare la percentuale di pignoramento.

In conclusione, anche le cessioni volontarie contribuiscono ai “limiti”: il totale di cessioni + pignoramenti non può eccedere il 50%. Questo è un punto di vista cruciale per il debitore, che deve sapere che il quinto ceduto (o i due quinti ceduti) riducono lo spazio a disposizione dei creditori giudiziari. D’altro canto, un creditore che intenda pignorare lo stipendio di un debitore già impegnato da cessioni dovrà tener conto che potrebbe ottenere meno del quinto, in base a quanta parte è già stata ceduta.

Tutele e difese per il debitore

Dal punto di vista del debitore, conoscere i limiti sopra esposti è fondamentale per valutare la propria situazione e attivare eventuali strumenti di tutela. Ricapitoliamo dunque quali sono le principali tutele legali e le possibili azioni difensive:

1. Limite complessivo del 50%: Come abbiamo visto, è un baluardo a protezione del debitore. Se, per errore o abuso, le trattenute complessive superassero tale soglia, il pignoramento è inefficace per l’eccedenza e il giudice può rilevarlo anche d’ufficio. Il debitore può segnalare immediatamente al giudice dell’esecuzione l’eventuale superamento, chiedendo di ridurre le trattenute. Ad esempio, se dovesse accadere che datore di lavoro e banca cumulino prelievi >50%, il debitore può proporre un’istanza di riduzione ex art. 546 c.p.c. riformato (come detto nella parte sulle novità 2024) per ricondurre tutto nei limiti.

2. Opposizione al pignoramento: Il debitore può presentare opposizione in tribunale se ritiene che il pignoramento sia viziato o le somme pignorate eccedano i limiti di legge. Un’opposizione all’esecuzione (ex art. 615 c.p.c.) può far valere, ad esempio, che il credito è già stato pagato, che manca un titolo esecutivo valido, o che si pignora oltre il consentito (violazione impignorabilità). Un’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) può contestare irregolarità formali (es. notifica). In questi giudizi, se ci sono fondati motivi, il giudice può sospendere l’esecuzione in parte o totalmente. Ad esempio, se il pignoramento ha colpito somme impignorabili (come l’assegno sociale sul conto) o ha ignorato la protezione del triplo mensile su conto corrente, un’opposizione può portare alla dichiarazione di inefficacia di quell’atto in parte qua.

3. Intervento del giudice per il minimo vitale: Come già accennato, il debitore in difficoltà economica può chiedere al giudice una riduzione della quota pignorata in ragione del proprio minimo vitale. Questa possibilità, non espressa direttamente in una norma chiara, è frutto dell’interpretazione estensiva delle finalità dell’art. 545 c.p.c. e dei principi costituzionali di tutela della dignità umana. Ad esempio, un lavoratore part-time che guadagni €700 netti, teoricamente pignorabile per €140 (1/5), potrebbe dimostrare che perdendo €140 non riesce a sostenersi (affitto, bollette, cibo). Il giudice dell’esecuzione, valutate le circostanze, potrebbe disporre di limitare la trattenuta a un importo inferiore (es. €70, pari al 10%), garantendo al debitore di conservare almeno una soglia di sopravvivenza. Questo argomento va sostenuto con prove (documentazione reddito/spese, eventuali carichi familiari, ecc.) ed è a discrezione del giudice.

4. Cumulo giuridico dei pignoramenti: Se vi sono più procedure esecutive pendenti, il debitore può sollecitare la loro riunione davanti allo stesso giudice. Unificando le cause, spesso si ottiene una gestione più chiara delle ripartizioni e talvolta una maggiore equità nella distribuzione di quella metà di stipendio tra i creditori. Inoltre, si riducono i costi di procedura. La riunione è particolarmente utile se i pignoramenti sono presso terzi diversi (datore e banca ad esempio) o in tribunali diversi: la legge consente di attrarli dove pende il primo per coordinamento.

5. Soluzioni negoziali e sovraindebitamento: Il pignoramento multiplo segnala quasi sempre una condizione di grave indebitamento del soggetto. Oltre alle difese tecniche nel processo esecutivo, il debitore ha facoltà di cercare accordi stragiudiziali con i creditori. Può proporre, tramite i propri legali, un piano di rientro o saldo a stralcio: ad esempio, offrire un pagamento rateale o in unica soluzione ma ridotta, in cambio della rinuncia al pignoramento. Se uno dei creditori accetta un saldo e stralcio e rinuncia alla procedura, si libera una quota dello stipendio per gli altri o per il debitore stesso. Oppure, se è soprattutto il fisco, c’è la rateizzazione presso Agenzia Riscossione (possibile con rate fino a 6 anni o più) che sospende il pignoramento in corso non appena è concessa. Dal 2023 per importi con AE-R c’è anche la possibilità di definizioni agevolate (condoni parziali) che possono estinguere i debiti e quindi i pignoramenti relativi.

In caso di sovraindebitamento conclamato, esiste la procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento (Legge n.3/2012, ora integrata nel Codice della Crisi d’Impresa D.Lgs. 14/2019) che consente a privati e piccoli imprenditori di ottenere un piano del consumatore o un accordo con i creditori omologato dal tribunale, o perfino la liquidazione del patrimonio con esdebitazione finale. Tali procedure, se attivate, portano di norma alla sospensione degli atti di pignoramento e, una volta omologato un piano, vincolano i creditori a riscuotere nelle forme e tempi previsti dal piano stesso invece che tramite trattenute forzate. In casi estremi di incapienza totale, il debitore “meritevole” può ottenere l’esdebitazione di diritto (cancellazione di tutti i debiti residui). Si tratta di soluzioni radicali, ma che rappresentano la “via d’uscita” definitiva da una situazione di perpetuo indebitamento che potrebbe altrimenti durare decenni con pignoramenti sullo stipendio.

6. Prescrizioni e decadenze: Il debitore infine dovrebbe verificare – con l’aiuto di un legale – se i crediti azionati sono ancora esigibili o se per caso sono prescritti o il titolo esecutivo è decaduto. Ad esempio, cartelle esattoriali molto vecchie potrebbero essere prescritte (generalmente 5 anni per tributi locali, 10 anni per alcuni erariali, ecc.). Se un credito è prescritto, l’opposizione all’esecuzione può farlo valere e far caducare il pignoramento. Anche i vizi di notifica del precetto o dell’atto di pignoramento stesso sono motivi di opposizione da non trascurare, perché possono portare all’annullamento degli atti se tempestivamente eccepiti.

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito una serie di domande e risposte comuni sul tema del doppio pignoramento dello stipendio, dal punto di vista del debitore:

D: Possono pignorarmi lo stipendio due volte contemporaneamente?
R: Sì, è possibile subire pignoramenti da più creditori contemporaneamente, ma con limiti precisi. Se i crediti sono di natura diversa (es. uno bancario e uno fiscale, oppure uno per mantenimento e uno per prestito), i pignoramenti possono coesistere fino a un massimo del 50% dello stipendio netto cumulativamente. Se invece due creditori hanno crediti dello stesso tipo (entrambi ordinari, entrambi fiscali), di norma non ti trattengono il doppio, ma il secondo va in coda: resta sempre una sola quota trattenuta (es. un quinto) che verrà eventualmente suddivisa o assegnata sequenzialmente. Quindi non è consentito prelevare due quinti (40%) per due finanziarie diverse allo stesso tempo; mentre è possibile, ad esempio, un quinto per una finanziaria e contemporaneamente un quinto per un assegno di mantenimento (totale 40%), o un quinto + un decimo per banca + fisco (totale 30%), ecc., purché il totale ≤ 50%. In ogni caso, il datore di lavoro deve assicurarsi che la somma delle trattenute non superi la metà dello stipendio.

D: Che succede se ho già un pignoramento in corso e arriva un altro creditore?
R: Dipende dal tipo di secondo creditore. Se il secondo è della stessa categoria del primo, non partirà un’altra trattenuta immediata: il nuovo creditore dovrà attendere il suo turno. Potrà “agganciarsi” alla procedura esecutiva esistente (intervento) ma senza aumentare la percentuale mensile complessiva. Se invece il secondo creditore è di natura diversa, potrà attivare un pignoramento aggiuntivo. Ad esempio, se avevi un quinto già pignorato da una banca e arriva Agenzia Entrate, quest’ultima può pignorare contestualmente la percentuale prevista (es. 1/10 o 1/7) finché sommandosi al quinto non supera il 50%. Tu come debitore riceverai una nuova notifica di atto di pignoramento e il datore di lavoro adeguerà le trattenute di conseguenza, comunicandoti il dettaglio. È consigliabile, appena sai del secondo pignoramento, verificare che la somma delle trattenute sia corretta e, se vedi un supero del 50%, adire subito il giudice. Inoltre, puoi valutare di trattare con almeno uno dei creditori: se riesci a saldare o transigere uno dei debiti, quell’azione si fermerà e rimarrà solo l’altra.

D: In totale quanto mi possono togliere al massimo dallo stipendio, considerando tutti i debiti?
R: La legge garantisce che almeno metà stipendio ti resti sempre. Quindi, qualunque sia il numero di creditori e debiti, almeno il 50% del tuo stipendio netto è salvo (salvo casi eccezionali di pignoramenti per alimenti che arrivino a intaccare oltre metà, ma sono situazioni rarissime e comunque sottoposte al controllo del giudice). Ad esempio, se guadagni €1.200 netti, al massimo €600 potranno essere destinati ai creditori e €600 dovranno restare a te. Se guadagni €2.000, massimo €1.000 ai creditori, €1.000 restano. Questa è una garanzia fondamentale prevista dall’art. 545 c.p.c.. Ricorda inoltre che il 50% è un tetto massimo: spesso la percentuale totale trattenuta è inferiore, a seconda dei tipi di debito (es. con un solo pignoramento ordinario è 20%; con due di natura diversa magari 30-40%). Solo con presenza di alimenti e altri debiti si tende a raggiungere il 50%.

D: Se ho due cessioni del quinto già in busta paga, possono comunque pignorarmi lo stipendio?
R: Possono, ma in misura ridotta. Le cessioni del quinto volontarie (già trattenute per prestiti) infatti occupano parte dello stipendio e il pignoramento ulteriore deve tenerne conto. In pratica, si fa il calcolo: metà stipendio meno le quote già cedute = margine pignorabile. E comunque il pignoramento non supera mai il suo limite del quinto. Quindi, se hai già il 20% ceduto, un creditore può pignorare fino a un altro 20% (arrivando al 40% in totale). Se hai due cessioni (40% già impegnato), un nuovo pignoramento potrà prendersi al massimo il 10% (così 40+10 = 50%). Questo perché per legge la somma di cessioni e pignoramenti non deve superare il 50% dello stipendio. Ad esempio, poniamo stipendio netto €1.000 con due cessioni (€400 totali): metà stipendio è €500, meno €400 ceduti = €100. Dunque il giudice permetterà un pignoramento di 100€ al mese (10%). Se invece avevi una sola cessione (€200), metà è €500–€200=€300, ma il pignoramento comunque è max €200 (un quinto). Quindi in quel caso totale 40% (€400 su 1000). Questa regola tutela chi ha già in atto prestiti su stipendio, evitando che pignoramenti ulteriori lo riducano sul lastrico.

D: Il datore di lavoro può fare errori nel gestire due pignoramenti? Chi vigila?
R: Il datore di lavoro deve attenersi scrupolosamente alle ordinanze del tribunale e alle leggi. Se ci sono due (o più) pignoramenti, deve versare le giuste percentuali a ciascun creditore secondo l’ordine ricevuto e assicurarsi che il totale non ecceda i limiti. In caso di errori, ad esempio se trattiene troppo e versa oltre il dovuto, potrebbe dover risponderne di tasca propria verso il creditore che eventualmente non è stato soddisfatto perché il pignoramento è stato dichiarato inefficace in parte. Anche verso il debitore, se sbaglia tenendo più del dovuto, può essere chiamato a restituire l’eccedenza indebitamente trattenuta. In pratica comunque, il giudice dell’esecuzione vigila sulla correttezza: richiede al datore una dichiarazione del terzo pignorato dove va indicato se già esistono altri pignoramenti o cessioni sullo stipendio. Inoltre, il tribunale emette i provvedimenti di assegnazione indicando importi e decorrenze. Il debitore farebbe bene a controllare ogni busta paga: se nota incongruenze (ad es. più del 50% trattenuto, o trattenute su voci esenti) dovrebbe segnalarle subito al proprio avvocato per farle correggere in sede giudiziale.

D: Se il mio stipendio è già basso (poco più di €500), possono prendermi un quinto completo?
R: In teoria la regola del quinto si applicherebbe comunque, ma in pratica no, perché interviene la tutela del minimo vitale. Su stipendi intorno alla soglia di povertà, il giudice può – e deve – calibrare la trattenuta. Ad esempio, stipendio €600: un quinto sarebbe €120, lasciandoti €480, che è sotto l’assegno sociale (~€538). È probabile che il giudice, se informato della situazione (spesso su istanza del debitore), disponga una riduzione, magari trattenendo solo €60 (10%) in modo da lasciarti €540, che è circa l’assegno sociale. La legge non fissa un numero matematico per gli stipendi, ma il concetto è che il debitore non dev’essere privato dei mezzi di sopravvivenza. Dunque, se guadagni molto poco, puoi chiedere che il pignoramento sia ridotto. In ogni caso, ricordiamo che per legge gli stipendi accreditati sul conto corrente sono impignorabili fino a 3× assegno sociale: quindi se il tuo stipendio è già basso e viene pignorato solo in parte, sul conto avrai comunque la protezione di quella soglia (indicativamente ~€1.600, ma se il tuo stipendio è minore, di fatto non potranno bloccare nulla perché non superi quella cifra). Se invece il pignoramento avviene direttamente in busta paga, il giudice è l’unico che può eventualmente ridurre la quota sotto il quinto per ragioni di estrema necessità.

D: Ho sentito dire che dal 2025 non possono pignorare le pensioni sotto €1000, è vero?
R: Sì. In realtà già dal 2022 vige questa regola: precisamente, sono impignorabili le pensioni per la parte che non supera il doppio dell’assegno sociale, con minimo €1000. Poiché l’assegno sociale è stato aumentato (era €460,28 nel 2018, €502,39 nel 2023, €538,69 nel 2025), il doppio è andato oltre i mille. Dunque oggi la soglia effettiva è ~€1.077: fino a tale importo la pensione non si tocca. I “€1000” sono il minimo legale nel caso il doppio assegno fosse più basso, ma ormai non lo è. Comunque sì, in sostanza una pensione da €1000 al mese è oggi totalmente impignorabile. Una pensione di €1200, invece, potrà essere aggredita solo sulla differenza sopra 1077€, e pure quella differenza con il limite di un quinto. Quindi su 1200 pensione, eccedenza ~123€, un quinto di 123 è circa €25 massimo pignorabile al mese. Chi prende la pensione minima (sui €563 nel 2025 per 13 mensilità) è ampiamente sotto la soglia: non rischia nulla dal pignoramento. Questo è un grande miglioramento in tutela del ceto più debole, introdotto con il DL Aiuti-bis del 2022. Per gli stipendi invece non c’è un’analoga franchigia fissa di €1000, quindi uno stipendio da €900 è teoricamente pignorabile per 180€ (20%) – però, come spiegato, un giudice sensibile potrebbe ridurre la trattenuta per lasciare almeno l’assegno sociale al lavoratore. Diverso discorso per arretrati di pensione o TFR accreditati in conto: quelli, se superano il triplo assegno, possono essere pignorati per la parte eccedente (ma il TFR stesso, quando viene liquidato, segue le stesse percentuali del quinto se c’è un pignoramento in corso).

D: Il mio stipendio è già pignorato e ora mi è arrivato un atto di pignoramento sul conto corrente: è legale?
R: Potenzialmente sì, perché sono due azioni esecutive diverse: una verso il datore di lavoro (pignoramento presso terzo) e una verso la banca (altro pignoramento presso terzo). Spesso un creditore quando vede che lo stipendio è già decurtato al 20%, tenta di colpire l’eventuale restante 80% accreditato in banca. Tuttavia, hai diverse tutele: primo, come detto, la banca deve lasciarti subito sul conto l’equivalente di tre assegni sociali (~€1616) libero. Secondo, se il pignoramento in banca punta proprio lo stipendio già decurtato (ad esempio arriva giusto dopo l’accredito mensile), tu puoi far presente al giudice dell’esecuzione che quella è retribuzione già pignorata in parte, chiedendo che si applichi la limitazione del cumulo. Con le nuove norme, il giudice può disporre la riduzione proporzionale del pignoramento sul conto affinché sommato a quello in busta non sfori i limiti. In pratica, non possono toglierti un altro quinto sul conto dopo averti già tolto un quinto in busta, perché insieme farebbero il 40%. Nel peggiore dei casi, se avviene, hai ottime chances di recuperare l’eccedenza invocando l’inefficacia parziale dell’atto (art. 545 ult. comma c.p.c.). Quindi, sì, possono notificare un pignoramento del conto, ma no, non possono svuotarti quello che resta dello stipendio oltre i limiti. Se capitasse, intervieni legalmente.

D: Come faccio a sapere se un creditore mi pignora stipendio o conto?
R: Deve arrivarti una notifica dell’atto di pignoramento. Per il pignoramento dello stipendio, riceverai un atto (di regola dall’ufficiale giudiziario) indirizzato al tuo datore di lavoro e per conoscenza a te, in cui si intima al datore di non pagarti oltre i limiti e di comparire in udienza. Per il pignoramento del conto, riceverai similmente un atto notificato che però viene rivolto alla banca. In alcuni casi di crediti esattoriali, l’atto può arrivare anche via raccomandata o PEC, emesso direttamente dall’Agenzia Entrate (atto di pignoramento ex art. 72-bis DPR 602/73) senza passare dal tribunale: anche quello deve essere notificato a te e al terzo. Se ti sfugge l’atto (magari perché inviato a una vecchia residenza), potresti accorgerti del pignoramento vedendo la busta paga con la trattenuta o il conto bloccato. In tal caso, puoi recarti in tribunale e chiedere copia dell’atto oppure rivolgerti a un avvocato per fare ricerche. Comunque la legge impone che tu venga informato. Attenzione che, dopo la notifica, spesso trascorrono alcune settimane prima che il prelievo inizi (il datore aspetta l’ordinanza del giudice). Quindi se ricevi notifica di pignoramento, non pensare che “non succede nulla”: potrebbe concretizzarsi il mese successivo.

D: Quanto dura un pignoramento dello stipendio?
R: Dura fino a che il debito per cui si procede non è estinto (quota capitale, interessi e spese legali). Ogni mese le trattenute versate vanno a scalare il debito. Se il debito è molto elevato, il pignoramento può durare anni. Tieni presente però alcune cose: (a) il debitore può in qualsiasi momento pagare il residuo per far cessare il pignoramento; (b) esistono termini di efficacia massima della procedura: una recente novità (art. 551-bis c.p.c. introdotto nel 2021 e modificato nel 2024) prevede che un pignoramento presso terzi decade dopo 10 anni se non è stato completato, salvo che il creditore manifesti interesse a mantenerlo notificando un atto apposito entro quel termine. Questo è per evitare pignoramenti eterni. Inoltre, (c) se il rapporto di lavoro cessa (ti licenzi o vieni licenziato) il pignoramento si interrompe sulle retribuzioni future, ma il creditore potrà rivalersi sul TFR spettante presso lo stesso datore. Anche sul TFR valgono limiti: anch’esso è pignorabile di regola fino a 1/5 (o maggiore quota se alimenti). Il datore, in caso di cessazione, deve segnalare al giudice e attendere istruzioni su quanto del TFR versare al creditore. Se trovi altro impiego, il creditore potrà notificare il pignoramento al nuovo datore e riprendere le trattenute.

D: Posso licenziarmi per evitare il pignoramento dello stipendio?
R: In teoria un lavoratore potrebbe dimettersi per sfuggire alla trattenuta, ma in pratica non risolve il problema: come detto, il creditore può farsi assegnare una parte del TFR. E se il debitore trova poi un altro lavoro, il creditore potrà pignorare il nuovo stipendio (il pignoramento precedente si sarà chiuso ma il debito residuo no). Inoltre, se il giudice ravvisasse un comportamento fraudolento (es. dimissioni simulate, assunzione fittizia altrove), potrebbero esserci conseguenze. Meglio, piuttosto, affrontare la situazione negoziando con il creditore o utilizzando gli strumenti di legge (opposizioni, sovraindebitamento). Abbandonare il lavoro peggiora solo la condizione del debitore, che si trova senza reddito ma con il debito ancora pendente (che maturerà interessi).

D: Un pignoramento si può cancellare dai registri? Influisce sul mio credit score?
R: I pignoramenti presso terzi vengono annotati nei registri delle esecuzioni presso il tribunale competente. Non esiste un vero e proprio “albo pubblico” facilmente consultabile da terzi come per le ipoteche, ma gli addetti ai lavori possono saperlo. Inoltre, se il pignoramento riguarda retribuzioni, viene a conoscenza del datore di lavoro (ciò può incidere sui rapporti fiduciari). Dal punto di vista del merito creditizio, l’esistenza di un pignoramento è sintomo di insolvenza pregressa e potrebbe risultare segnalata nelle banche dati dei cattivi pagatori o in Centrale Rischi, specie se originato da un finanziamento non pagato. Non c’è però un “credit score” formale in Italia come negli USA; tuttavia, finché hai pignoramenti in corso, difficilmente banche o altri soggetti ti concederanno nuovi prestiti. Una volta concluso (pagato il debito), il pignoramento termina e non appare più in busta paga, ma le informazioni creditizie negative possono restare per qualche tempo nei sistemi (di solito le segnalazioni CRIF durano 36 mesi dal saldo). Non c’è una procedura specifica per “cancellare” il pignoramento se non estinguere il debito sottostante e aspettare che le banche dati aggiornino la tua posizione come regolare.

D: Conviene rivolgermi a un avvocato anche se so di dover pagare?
R: Sì, è consigliabile. Un avvocato esperto può almeno verificare che la procedura esecutiva sia stata avviata correttamente e che i tuoi diritti siano rispettati (ad esempio controllo delle notifiche, calcolo esatto degli interessi e spese, rispetto dei limiti di pignorabilità). Inoltre può aiutarti a interloquire con i creditori per cercare soluzioni transattive (saldo e stralcio, rateizzazioni) più vantaggiose: spesso un creditore preferisce un accordo stragiudiziale immediato piuttosto che aspettare anni di piccoli prelievi. L’avvocato potrà anche assisterti in eventuali opposizioni se ci sono irregolarità e, non ultimo, consigliarti sul percorso di sovraindebitamento se applicabile. In sintesi, anche se il pignoramento dello stipendio è una realtà con cui devi convivere per un po’, avere consulenza legale può farti risparmiare denaro (evitando prelievi maggiori del dovuto) e magari ridurre la durata del debito trovando un accordo. Vista la complessità delle normative e le evoluzioni recenti, è un investimento sensato.

Conclusione

Il doppio pignoramento dello stipendio – cioè la presenza di più prelievi esecutivi simultanei – è una situazione complessa ma affrontata in modo organico dalla legge italiana. L’insieme delle norme (art. 545 c.p.c. e leggi speciali) e l’interpretazione delle corti (Cassazione 2024) garantiscono che il lavoratore-debitore non venga mai privato di oltre la metà del proprio salario, e in molti casi meno, assicurandogli un minimo vitale. Dal lato opposto, i creditori vedono riconosciuto un ordine di priorità e la possibilità di agire in parallelo solo entro limiti ragionevoli. Negli ultimi anni, le riforme normative – come il PNRR 2021-2024 – hanno cercato di rendere il processo più efficiente (riducendo i tempi, introducendo scadenze decennali dei pignoramenti) e allo stesso tempo di rafforzare le tutele per le fasce deboli (alzando le soglie impignorabili per pensioni e stipendi modesti).

Per un debitore che si trovi con stipendi pignorati da più parti, il consiglio è di informarsi bene sui propri diritti: sapere, ad esempio, che nessuno può togliergli oltre il 50% o che se già paga gli alimenti non dovrà pagare anche un altro quinto intero, è fondamentale per non subire passivamente eventuali errori. È altrettanto importante agire attivamente, mediante istanze al giudice o negoziazioni, per evitare l’aggravarsi della situazione. Talvolta, situazioni di doppio pignoramento segnalano uno stato di sovraindebitamento che richiede soluzioni più ampie (come la composizione della crisi da sovraindebitamento) invece di trascinarsi per anni con metà stipendio decurtato.

In definitiva, la cornice normativa italiana offre un bilanciamento tra il diritto dei creditori e la dignità economica del debitore, specialmente con riferimento ai limiti quantitativi del pignoramento. Conoscere quei limiti – il famoso “quinto”, le eccezioni per il fisco, il tetto del 50%, i minimi garantiti – è il primo passo per gestire consapevolmente la propria posizione debitoria e collaborare (anche tramite consulenti legali) a una soluzione sostenibile. Questa guida, aggiornata a giugno 2025, ha cercato di fornire un quadro completo e avanzato della materia, integrando gli ultimi sviluppi di legge e giurisprudenza per offrire al lettore (professionista o privato) gli strumenti necessari a comprendere “quali sono i limiti per il doppio pignoramento dello stipendio” in Italia.


Fonti e riferimenti normativa

  1. Codice di Procedura Civile, art. 545 – Disciplina dei crediti impignorabili e limiti di pignorabilità di stipendi e pensioni.
  2. Corte di Cassazione – Sent. n. 2345/2024 – Ha stabilito che il limite complessivo del 50% si applica anche se i pignoramenti provengono da autorità diverse (esattoriale vs giudiziale).
  3. Corte di Cassazione – Sent. n. 6789/2024 – Ha ribadito che, in caso di pignoramenti per crediti alimentari, il giudice può autorizzare di superare il limite del 50% ove necessario per garantire il mantenimento del creditore alimentare.
  4. Corte di Cassazione – Sent. n. 5678/2024 – Ha confermato che bonus o indennità straordinarie destinate a specifiche finalità di sostegno non rientrano nello stipendio pignorabile.
  5. Tribunale di Cosenza – Ordinanza 13/06/2025 – Caso di doppia cessione del quinto: il GE ha disposto che la parte pignorabile è data dalla differenza tra metà stipendio e quote cedute, e comunque nei limiti di un quinto.
  6. D.P.R. 29/09/1973 n. 602, art. 72-ter – Pignoramento di stipendi da parte di Agenzia Entrate-Riscossione: aliquote 1/10, 1/7, 1/5 su stipendi fino 2500, 5000, oltre 5000 €.
  7. Decreto-Legge 2/03/2024 n. 19 (art. 25) – Riforma PNRR giustizia 2024: modifiche al pignoramento presso terzi, introdotto obbligo di liberazione dopo 10 anni (art. 551-bis c.p.c.) e possibilità di riduzione proporzionale se pignoramenti presso più terzi.
  8. Decreto Aiuti-bis 2022 (D.L. 115/2022 conv. L. 142/2022) – Ha elevato la soglia di impignorabilità delle pensioni al doppio dell’assegno sociale (min €1000).

Hai ricevuto due pignoramenti sullo stipendio? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Ricevere un secondo pignoramento dello stipendio mentre è già in corso un primo può mettere a dura prova il tuo bilancio mensile.
Ma attenzione: la legge italiana stabilisce limiti rigidi e inderogabili a tutela del lavoratore. Conoscerli ti permette di difenderti da trattenute eccessive o illegittime.


È possibile subire un doppio pignoramento sullo stipendio?

Sì, ma entro limiti ben precisi. Lo stipendio può essere colpito da più pignoramenti solo se rientrano nei limiti complessivi di legge, e solo su determinate percentuali.

⚖️ Il Codice di Procedura Civile e la normativa in materia esecutiva stabiliscono che:

  • Il tetto massimo pignorabile dello stipendio netto è il 50%
  • Le singole trattenute non possono superare determinate percentuali a seconda del tipo di debito

Quali sono i limiti per ciascun pignoramento?

Ecco i limiti da conoscere:

  • 🏦 Per debiti ordinari (es. prestiti, fornitori, privati): fino a 1/5 dello stipendio netto
  • 🧾 Per debiti fiscali o contributivi (verso Agenzia Entrate, INPS): fino a 1/10, 1/7 o 1/5 a seconda dell’importo dello stipendio
  • 👨‍👩‍👧‍👦 Per assegni di mantenimento o alimentari: anche oltre il 20%, a discrezione del giudice
  • 🔁 In caso di cumulo di pignoramenti, le trattenute complessive non possono superare il 50% del netto disponibile

⚠️ Se hai già un pignoramento in corso, un secondo può partire solo se la somma totale non supera il limite complessivo di legge.


Cosa succede se i limiti vengono superati?

Se l’importo complessivo trattenuto:

  • 🔴 Supera il 50% dello stipendio netto, è possibile impugnare il pignoramento
  • ⚖️ Il giudice può ridurre la trattenuta complessiva o disporre la sospensione di una delle procedure
  • 🛡️ Il datore di lavoro può essere obbligato a limitare le ritenute, sotto sua responsabilità

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Verifica il calcolo delle trattenute sul tuo stipendio
📑 Controlla il rispetto dei limiti per i singoli pignoramenti
⚖️ Presenta opposizione all’esecuzione in caso di cumulo eccessivo
✍️ Predispone istanze per la sospensione o riduzione del secondo pignoramento
🔁 Ti difende in tribunale e nei confronti del datore di lavoro o dell’ente pubblico


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in pignoramenti su stipendi e retribuzioni
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Difensore in cause di esecuzione forzata multipla e contestazioni di trattenute
✔️ Consulente per lavoratori dipendenti pubblici e privati in difficoltà debitorie


Conclusione

Anche in presenza di più pignoramenti, la legge ti protegge: nessuno può trattenerti più del 50% dello stipendio netto.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi verificare la legittimità delle trattenute, opporti a eccessi e recuperare la parte di stipendio indebitamente trattenuta.

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Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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