Interpello Agenzia Delle Entrate: Come Si Fa In Modo Professionale

Hai un dubbio fiscale rilevante e vuoi una risposta certa dall’Agenzia delle Entrate prima di agire? Ti stai chiedendo come si presenta un interpello in modo professionale, cosa scrivere, quali documenti allegare e in quali casi conviene davvero utilizzarlo?

L’interpello è lo strumento giusto per ottenere un parere ufficiale e vincolante dall’Agenzia delle Entrate su situazioni fiscali complesse, incerte o potenzialmente rischiose. Ma per essere efficace, va presentato in modo rigoroso, rispettando forma, tempi e contenuti previsti dalla legge.

Cos’è l’interpello e quando conviene utilizzarlo?
– È una richiesta formale rivolta all’Agenzia delle Entrate per ottenere un chiarimento preventivo su l’applicazione concreta di una norma fiscale a un caso specifico
– Serve quando ci sono dubbi oggettivi e rilevanti e si vuole evitare il rischio di accertamenti futuri
– È utile per chi ha situazioni complesse (imprese, professionisti, investitori) o per chi vuole agire in piena sicurezza fiscale

Quali sono i principali tipi di interpello?
Interpello ordinario: per chiarire l’applicazione di una norma a un caso concreto
Interpello probatorio: per dimostrare la sussistenza di determinati requisiti
Interpello disapplicativo: per non applicare norme antielusive in casi specifici
Interpello antiabuso: per confermare che un’operazione non è elusiva
Interpello sui nuovi investimenti: per chi realizza investimenti significativi in Italia

Come si presenta un interpello in modo professionale?
– Invia una richiesta scritta chiara, dettagliata e motivata, indicando:
– Le norme coinvolte
– La descrizione completa del caso concreto
– Il dubbio interpretativo specifico
– La soluzione proposta, con motivazioni tecniche
– Allega documentazione utile a inquadrare i fatti (contratti, statuti, bilanci, visure, schemi operativi)
– Indica i tuoi dati completi e la tua posizione fiscale (codice fiscale, partita IVA, residenza, attività)
– L’invio può avvenire per PEC o tramite il servizio telematico dell’Agenzia (CIVIS o portale Fisconline/Entratel)

Cosa si ottiene con un interpello ben fatto?
– Una risposta scritta, vincolante per l’Agenzia, entro 90 giorni (salvo proroghe per documentazione integrativa)
– La certezza fiscale preventiva su un’operazione prima di metterla in atto
– La protezione da sanzioni, se agisci secondo quanto risposto dall’Agenzia
– La possibilità di dimostrare la buona fede in caso di contestazioni future

Cosa NON devi fare mai?
– Presentare interpelli generici, incompleti o ipotetici: vengono dichiarati inammissibili
– Usare l’interpello come “scudo” per operazioni già effettuate in modo scorretto
– Dimenticare allegati essenziali: l’Agenzia può sospendere i termini o rigettare l’istanza
– Aspettare troppo: non puoi più presentare interpello se l’accertamento è già in corso

L’interpello, se fatto in modo professionale, è uno strumento potente di tutela preventiva.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati tributaristi esperti in difesa preventiva e interpelli complessi – ti spiega quando conviene usare l’interpello, come presentarlo in modo tecnicamente corretto e cosa puoi ottenere con una strategia fiscale preventiva.

Hai una questione fiscale delicata e vuoi sapere se conviene fare interpello?

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Introduzione

L’interpello all’Agenzia delle Entrate è uno strumento giuridico di tutela preventiva che consente al contribuente di ottenere dal Fisco un parere ufficiale e vincolante sull’interpretazione o applicazione di norme tributarie a un caso concreto e personale. Introdotto originariamente dall’art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente (Legge n. 212/2000), l’interpello rappresenta un canale di dialogo preventivo tra il contribuente (in qualità di potenziale “debitore” d’imposta) e l’Amministrazione finanziaria, con l’obiettivo di garantire certezza del diritto, prevenire controversie e favorire comportamenti fiscalmente corretti in un’ottica di cooperazione. In altre parole, dal punto di vista del contribuente-debitore l’interpello è uno scudo che, se utilizzato in modo professionale, può evitare futuri debiti tributari imprevisti, sanzioni e contenziosi, fornendo una sorta di “assicurazione” preventiva sulla legittimità fiscale di un’operazione.

Aggiornamento 2025: Questa guida – destinata ad avvocati tributaristi, consulenti fiscali, imprenditori e contribuenti esperti – offre un quadro completo ed aggiornato a giugno 2025 dell’istituto dell’interpello tributario in Italia. Adottando un linguaggio giuridico ma divulgativo, verranno illustrate in dettaglio tutte le tipologie di interpello previste dalla normativa italiana (interpello ordinario – in cui rientrano gli interpelli interpretativi e qualificatori – e gli interpelli “speciali”: probatorio, anti-abuso, disapplicativo, nonché l’interpello per nuovi investimenti). La guida analizza la disciplina vigente (incluse le novità normative e di prassi più recenti fino al 2025, come la riforma fiscale 2023 e i nuovi interpelli semplificati) e fornisce esempi pratici, tabelle riepilogative e una sezione di Domande & Risposte ai quesiti più frequenti.

Cosa troverete in questa guida:

  • Un inquadramento normativo dell’interpello e della sua evoluzione storica, dal “vecchio” interpello ordinario alle forme speciali introdotte dalle riforme del 2015 e del 2023.
  • Una sezione dedicata a ciascuna tipologia di interpello (ordinario, probatorio, anti-abuso, disapplicativo, nuovi investimenti), con definizioni, presupposti di ammissibilità, procedura di presentazione, effetti giuridici della risposta (incluso il caso di mancata risposta nei termini) ed esempi concreti di casi d’uso.
  • Approfondimenti su giurisprudenza aggiornata (sentenze di Cassazione e prassi amministrativa fino al 2025) riguardanti aspetti chiave come l’impugnabilità delle risposte, il silenzio-assenso, la vincolatività del parere reso e la tutela dell’affidamento del contribuente.
  • Tabelle riepilogative che confrontano le varie tipologie di interpello per requisiti, termini di risposta ed effetti, facilitando una consultazione rapida.
  • Una sezione FAQ – Domande frequenti con risposte chiare alle questioni più comuni (ad es. “Cosa accade se l’Agenzia non risponde in tempo?”, “La risposta è vincolante per il contribuente?”, “È possibile impugnare un interpello negativo?”).
  • Una Bibliografia e fonti normative finali, che elenca tutte le fonti utilizzate (normativa italiana, prassi dell’Agenzia, sentenze rilevanti) per consentire ulteriori approfondimenti.

Obiettivo della guida: fornire un supporto avanzato e affidabile per i professionisti e i contribuenti che intendono utilizzare strategicamente l’istanza di interpello. Conoscere a fondo questo istituto significa poter gestire meglio l’incertezza interpretativa in materia fiscale, pianificare operazioni complesse con maggiore sicurezza e interagire con l’Amministrazione finanziaria in modo efficace e consapevole. In definitiva, un interpello ben presentato oggi può evitare grossi problemi (e debiti tributari) domani: per il contribuente “debitore” è uno strumento di compliance che consente di evitare errori costosi, beneficiando delle garanzie offerte dallo Statuto del contribuente in termini di tutela del legittimo affidamento.

Quadro normativo ed evoluzione dell’istituto

Il diritto di interpello del contribuente è attualmente disciplinato dall’art. 11 della Legge 27 luglio 2000, n. 212 (lo Statuto dei diritti del contribuente). Tale articolo – significativamente intitolato proprio “Interpello” – stabilisce che “il contribuente può interpellare l’amministrazione finanziaria per ottenere una risposta riguardante fattispecie concrete e personali” in merito all’interpretazione o alla applicazione delle disposizioni tributarie. Fin dalla sua introduzione nel 2000, dunque, l’interpello nasce come strumento volontario a disposizione del contribuente per dirimere dubbi interpretativi in via preventiva, prima di porre in essere un comportamento fiscalmente rilevante. L’ottica è quella della tutela del contribuente: in presenza di incertezza oggettiva su come applicare una norma, il privato può chiedere “aiuto” all’Amministrazione finanziaria, ottenendo un parere ufficiale che gli garantisce protezione in caso di futuri controlli, a patto che si attenga a quanto chiarito.

Di seguito ripercorriamo brevemente le tappe evolutive più significative dell’istituto dell’interpello tributario in Italia, evidenziando come si è passati dal modello originario a quello attuale (aggiornato al 2025):

  • Statuto del Contribuente (2000): nella formulazione originaria dell’art. 11 L.212/2000, l’interpello era pensato essenzialmente come strumento interpretativo generale (il cosiddetto interpello ordinario). Era richiesto il presupposto dell’“obiettiva incertezza” normativa: il contribuente poteva proporre interpello solo se la normativa da applicare risultava poco chiara o di difficile interpretazione. Negli anni immediatamente successivi, norme speciali introdussero ulteriori forme di interpello “ad hoc” al di fuori dell’art. 11. Ad esempio, la Legge 413/1991 (art. 21) aveva previsto un interpello anti-elusivo in materia di operazioni societarie straordinarie potenzialmente elusive; oppure l’art. 37-bis, comma 8, DPR 600/1973 prevedeva la possibilità di chiedere la disapplicazione di alcune norme anti-elusive (ad esempio per le società considerate non operative o di comodo). Questi interpelli speciali, spesso obbligatori per il contribuente che volesse ottenere un certo beneficio fiscale, costituivano delle eccezioni settoriali al modello generale volontario.
  • Delega fiscale 2014 e riforma del 2015: una svolta importante si è avuta con la riforma operata dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 (attuativo della legge delega n. 23/2014). Questo decreto ha riordinato in modo organico la disciplina degli interpelli, modificando l’art. 11 dello Statuto del contribuente e introducendo formalmente quattro tipologie principali di interpello: ordinario, probatorio, anti-abuso e disapplicativo. L’intento era di garantire maggiore omogeneità di disciplina e tempi più rapidi di risposta. In particolare, il termine generale di risposta dell’Amministrazione venne ridotto da 120 a 90 giorni, ed è stata estesa la regola del silenzio-assenso a tutte le tipologie di interpello (prima, in alcuni interpelli “obbligatori” non operava il silenzio-assenso, lasciando il contribuente nell’incertezza in caso di mancata risposta). La riforma del 2015 ha inoltre eliminato o riassorbito alcune forme di interpello obbligatorio previste da norme speciali, rendendo in generale facoltativa la richiesta di interpello anche nei casi prima obbligati (in un’ottica di bilanciamento tra oneri per il contribuente e benefici per l’Amministrazione). In altre parole, il legislatore ha voluto “tendenzialmente eliminare le forme di interpello obbligatorio”, lasciando al contribuente la scelta se interpellare o meno il Fisco, senza precludergli comunque la difesa in altre sedi se non interpella. Contestualmente, con il Provvedimento direttoriale 4 gennaio 2016, prot. 12090/2016, sono state emanate le nuove regole procedurali comuni: individuazione degli uffici competenti a rispondere, modalità di presentazione (anche via PEC), cause di inammissibilità e disciplina dell’istruttoria (richiesta di documenti integrativi, ecc.).
  • Decreto “Abuso del diritto” (D.Lgs. 128/2015): sempre nel 2015, in parallelo, è stata introdotta nell’ordinamento la disciplina generale dell’abuso del diritto fiscale (art. 10-bis dello Statuto, per effetto del D.Lgs. 128/2015). Questa norma ha unificato il concetto di elusione/abuso, prevedendo che l’abuso del diritto non dia luogo a sanzioni penali ma solo tributarie (senza sanzioni amministrative). In corrispondenza, il previgente interpello anti-elusivo è stato sostituito dall’interpello anti-abuso rivolto a chiedere al Fisco una valutazione preventiva sulla abusività di una data operazione. D.Lgs. 128/2015 ha inoltre introdotto il regime dell’adempimento collaborativo (cooperative compliance, art. 3 e segg. D.Lgs. 128/2015) per i grandi contribuenti, stabilendo che i soggetti aderenti a tale regime gestiscono i dubbi interpretativi in forma privilegiata. In effetti, come vedremo, l’interpello probatorio in alcuni casi è riservato alle imprese in cooperative compliance.
  • Decreto “Internazionalizzazione” (D.Lgs. 147/2015): ha introdotto una categoria speciale di interpello, quella relativa ai nuovi investimenti in Italia. L’art. 2 del D.Lgs. 147/2015 prevede infatti che chi intende effettuare in Italia significativi investimenti (inizialmente di almeno 30 milioni di euro, con specifici impatti occupazionali) può presentare un’istanza di interpello per ottenere dall’Agenzia una valutazione preventiva sul trattamento fiscale del piano di investimento nel suo complesso. Si tratta di un interpello “extra-statuto” pensato per attrarre investimenti esteri, offrendo all’investitore certezza su vari profili tributari con un unico procedimento. La soglia minima di investimento è stata poi ridotta negli anni: a 20 milioni di euro dal 2018 (Decreto-legge 119/2018, conv. L.136/2018) e a 15 milioni di euro dal 2023 (Legge 197/2022, comma 184) per ampliare la platea di chi può usufruirne. L’interpello nuovi investimenti presenta caratteristiche particolari (termine di risposta più lungo, coinvolgimento di più Direzioni dell’Agenzia, possibilità di risposta in lingua inglese, ecc., come chiarito dalla Circolare Agenzia Entrate n. 7/E del 28 marzo 2023).
  • Riforma fiscale 2023 (Legge 9 agosto 2023 n. 111 e D.Lgs. 219/2023): sviluppi molto recenti hanno introdotto ulteriori innovazioni. La legge delega n. 111/2023 ha incaricato il Governo di razionalizzare la disciplina degli interpelli. In attuazione, è stato emanato il D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219 (in vigore dal 18 gennaio 2024), che ha riscritto integralmente l’art. 11 dello Statuto del contribuente. Tra le novità principali vi sono: (a) la formalizzazione di nuove categorie di interpello (viene ora tipizzato l’interpello “qualificatorio” accanto a quello interpretativo ordinario, ed è previsto un interpello specifico per i neo-residenti in relazione al regime fiscale agevolato per chi trasferisce la residenza in Italia); (b) l’introduzione di un contributo obbligatorio a pagamento per la presentazione degli interpelli (non più gratuiti quindi); (c) l’istituzione di una “consultazione semplificata”: un nuovo istituto distinto dall’interpello, riservato a persone fisiche e piccole imprese, che consente di ottenere risposte rapide tramite una banca dati di prassi senza dover attivare subito un interpello formale; (d) la previsione che l’uso di questa consultazione semplificata costituirà condizione di ammissibilità per l’interpello di taluni soggetti minori (in pratica, i contribuenti di dimensioni ridotte dovranno prima provare la consultazione semplificata, e solo se non ne ricavano soluzione potranno proporre interpello). Inoltre, il D.Lgs. 219/2023 ha ridotto i termini di risposta (da 90 a 60 giorni in taluni casi, come vedremo), ha ribadito la non impugnabilità delle risposte (salvo poi vedere cosa dice la Cassazione) e ha stabilito che gli atti impositivi emessi in difformità da una risposta d interpello sono nulli/annullabili. Su quest’ultimo punto, in particolare, il nuovo art. 11 comma 5 prevede che gli atti dell’Amministrazione difformi dalla risposta data (o formatasi per silenzio-assenso) siano annullabili (cioè viziati da una causa di annullabilità in giudizio). Si tratta di un notevole rafforzamento della tutela del contribuente, che in precedenza era riconosciuta solo a livello di principio ma non così esplicitamente sanzionata sul piano dell’atto impositivo. Infine, la riforma 2023 ha riservato l’interpello probatorio solo a categorie specifiche: in base al nuovo art. 11, comma 2, esso può essere attivato solo dai contribuenti aderenti all’adempimento collaborativo o da chi presenta l’interpello nuovi investimenti. Questo restringe l’accesso a tale tipologia, con l’idea forse di canalizzare i contribuenti minori verso la consulenza semplificata o l’interpello ordinario per questioni probatorie minori.

Riassumendo, ad oggi (metà 2025) l’interpello tributario è uno strumento ben strutturato, che ha visto un’evoluzione da istanza “straordinaria” del contribuente incerto a strumento chiave di tax compliance, inserito in un sistema più ampio di dialogo preventivo (circolari, consulenza giuridica, cooperative compliance, ecc.). Il quadro normativo vigente è frutto delle stratificazioni sopra descritte. Nella sezione successiva passeremo in rassegna le diverse tipologie di interpello attualmente previste e la loro disciplina, tenendo a mente sia le regole introdotte nel 2015 sia le modifiche più recenti del 2023/2024.

Tipologie di interpello: panoramica generale

La normativa italiana prevede oggi varie tipologie di interpello tributario, distinguibili in base all’oggetto e allo scopo del quesito posto dal contribuente. Conoscere le differenze è fondamentale per scegliere correttamente il tipo di interpello da presentare in ogni situazione e predisporre un’istanza efficace e ammissibile. Di seguito presentiamo una panoramica delle principali categorie, che poi approfondiremo singolarmente:

  • Interpello ordinario (interpretativo e qualificatorio): è la forma generale di interpello, utilizzabile da qualsiasi contribuente in presenza di obiettiva incertezza su come applicare una certa disposizione tributaria a un caso concreto personale. Rientrano in questa categoria sia i dubbi di mera interpretazione normativa (interpello interpretativo puro), sia i quesiti relativi alla corretta qualificazione di una fattispecie ai fini fiscali (interpello qualificatorio), purché vi sia incertezza oggettiva su quale disciplina fiscale vada applicata. Esempio: un contribuente non è sicuro se un determinato reddito vada qualificato come reddito d’impresa o reddito diverso ai fini IRPEF – può proporre interpello ordinario qualificatorio per chiedere chiarimenti ufficiali.
  • Interpello probatorio: è l’istanza con cui il contribuente chiede all’Agenzia un parere circa la sussistenza di determinate condizioni richieste dalla legge o l’idoneità di elementi di prova ai fini di accedere a un particolare regime fiscale, nei casi espressamente previsti dalla normativa. In sostanza, è un interpello che ha per oggetto non tanto l’interpretazione di una norma incerta, quanto la verifica preventiva che il contribuente possieda i requisiti o le prove necessari per usufruire di un regime agevolativo o di favore. Esempi classici: l’interpello per le società non operative (c.d. società di comodo) in cui si chiede prova di esimenti per disapplicare la normativa penalizzante (originariamente previsto dall’art. 30 L.724/1994); oppure l’interpello per dimostrare il diritto a una certa detassazione, come nel caso del beneficio ACE (Aiuto alla Crescita Economica) in presenza di conferimenti particolari. Si noti che la legge individua specificamente i casi in cui è ammesso l’interpello probatorio: ad esempio, l’art. 11 comma 1 lett. e) Statuto (come modificato dal 2023) parla di “casi espressamente previsti dalla legge”. Storicamente, questa categoria includeva anche l’interpello per le partecipazioni acquisite a recupero crediti bancari (art. 113 TUIR) e per la disapplicazione della disciplina CFC (Controlled Foreign Companies) – oggi quest’ultima rientra più propriamente nel probatorio o disapplicativo a seconda dei casi. Dopo la riforma 2023, come già accennato, l’accesso all’interpello probatorio “puro” è limitato alle imprese in cooperative compliance e ai soggetti dei nuovi investimenti, mentre per gli altri contribuenti eventuali dubbi probatori su regimi fiscali minori dovranno essere risolti tramite interpello ordinario o consultazione semplificata.
  • Interpello anti-abuso: è lo strumento tramite cui il contribuente può interpellare l’Amministrazione finanziaria per sapere se una specifica operazione che intende effettuare configuri o meno un abuso del diritto ai sensi dell’art. 10-bis dello Statuto. Questo interpello (in passato detto anti-elusivo) permette di ottenere un parere sulla natura abusiva o meno di un’operazione pianificata, in ottica anti-elusione. Importante: a seguito del D.Lgs. 128/2015, l’abuso del diritto è disciplina generale applicabile a tutti i tributi (non solo alle imposte sui redditi come la precedente norma anti-elusiva). Dunque l’interpello anti-abuso oggi può riguardare qualsiasi ambito impositivo (IVA, registro, imposte dirette, etc.) in cui il contribuente voglia evitare contestazioni di operazione priva di sostanza economica con vantaggio fiscale indebito. Esempio tipico: una fusione societaria seguita da cessione di partecipazioni, operazione al confine tra pianificazione lecita ed abuso – il contribuente può descriverla preventivamente all’Agenzia chiedendo se secondo il Fisco vi sarebbe abuso. Tale interpello è facoltativo (mai obbligatorio), ma è spesso consigliato in operazioni complesse, soprattutto considerando che, per legge, l’abuso del diritto non comporta sanzioni amministrative né penali (solo recupero dell’imposta eventualmente risparmiata). Ciò significa che il rischio di non interpellare sul punto è la richiesta futura delle imposte, mentre l’interpello offre la chance di sapere prima la posizione del Fisco ed evitare anche quel recupero d’imposta seguendo la strada sicura.
  • Interpello disapplicativo: è l’istanza con cui il contribuente chiede formalmente all’Agenzia la disapplicazione di una norma tributaria a carattere antielusivo che in teoria gli sarebbe sfavorevole, dimostrando che nel caso concreto non vi sono finalità elusive da contrastare. In pratica, alcune disposizioni fiscali limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altri benefici quando ricorrono certe situazioni “di sospetto” elusivo: l’interpello disapplicativo serve al contribuente “in buona fede” per provare che la sua situazione, pur rientrando formalmente in quelle norme, non ha in realtà scopi elusivi, e chiedere quindi di non applicare quella limitazione. Esempi per eccellenza: la normativa sulle società non operative (che limita l’utilizzo delle perdite e impone un reddito minimo tassabile) può essere disapplicata se la società prova che la scarsa operatività era dovuta a effettive condizioni di mercato e non a intenti elusivi; oppure la disciplina CFC che tassa per trasparenza i redditi di controllate estere “privilegiate” può essere disapplicata se si dimostra che la controllata estera svolge un’attività economica reale (interpello CFC). Storicamente l’interpello disapplicativo è sempre stato considerato “l’unico interpello obbligatorio”, nel senso che se il contribuente voleva ottenere la disapplicazione doveva necessariamente chiederla preventivamente. Dopo la riforma del 2015, formalmente si parla ancora di interpello disapplicativo come categoria distinta (art. 11 comma 2 Statuto), ma la sua obbligatorietà è venuta meno: oggi è definito facoltativo, per consentire un uso più mirato dello strumento. In pratica, il contribuente può scegliere di non interpellare e procedere applicando per conto proprio la disapplicazione, assumendosene il rischio in un eventuale controllo. Se il Fisco poi non concorda e notifica un avviso di accertamento (applicando quella norma restrittiva), il contribuente potrà far valere in contenzioso le stesse prove che avrebbe portato in interpello. Ovviamente però questa strada è più rischiosa e conflittuale. Per questo, di fatto l’interpello disapplicativo resta “obbligatorio” se si vuole avere certezza ex ante: chi intende ottenere il beneficio in sicurezza quasi sempre presenta l’istanza (da qui la definizione che di fatto è obbligatorio per ottenere la disapplicazione). Vedremo inoltre che, a differenza degli altri interpelli, in passato la risposta negativa a un interpello disapplicativo è stata ritenuta impugnabile in Commissione tributaria dalla giurisprudenza, data la sua natura peculiare (su questo, infra).
  • Interpello sui nuovi investimenti: introdotto nel 2015, è una forma particolare di interpello destinata a investitori (italiani o esteri) che pianificano importanti investimenti in Italia e desiderano un quadro certo del trattamento fiscale ex ante. A differenza degli interpelli ordinari, qui l’istanza può riguardare plurime questioni fiscali connesse a un intero progetto di investimento (imposte dirette, indirette, agevolazioni, etc.), e la risposta avrà portata ampia. Per presentare tale interpello occorre rispettare soglie e condizioni: come detto, inizialmente era richiesto un investimento ≥ 30 milioni di euro con significativo impatto occupazionale, soglia poi ridotta a 20 e infine a 15 milioni. La disciplina attuativa (Provvedimento Agenzia Entrate 20 aprile 2016 e Circolare 25/E 2016) ha fissato le modalità: l’istanza va inviata alla Divisione Contribuenti centrale dedicata, può essere redatta anche in inglese, e il termine di risposta è più lungo (indicativamente 120 giorni + eventuale proroga di 90 giorni) data la complessità. Inoltre, dal 2018 le risposte a questi interpelli – in forma sintetica e anonima – vengono pubblicate sul sito dell’Agenzia per condividere l’interpretazione fornita su questioni di interesse generale. L’interpello nuovi investimenti non rientra tecnicamente nelle lettere a)–f) dell’art. 11 Statuto (tanto che il nuovo comma 1 art. 11 lo esclude dall’elenco, rimandando alla norma ad hoc), ma l’art. 11 comma 2 Statuto aggiornato lo richiama per specifiche riserve (ad esempio per l’accesso all’interpello probatorio). In sostanza rimane una categoria a sé, con finalità di promozione economica.

Oltre a queste principali, esistono anche particolari istanze assimilate: ad esempio, l’interpello per i neo-residenti (persone fisiche che trasferiscono la residenza in Italia e vogliono accedere al regime fiscale agevolato ex art. 24-bis TUIR). Tale procedura – introdotta con la “flat tax” per ricchi residenti esteri dal 2017 – prevede che l’interessato chieda all’Agenzia di attestare la sussistenza dei requisiti per il regime di favore. Era disciplinata da un Provvedimento del 2017 e di fatto è un mix tra interpello probatorio e ruling di ammissione. La riforma 2023 l’ha inserita formalmente nell’art. 11 (comma 1 lett. f), riservandola però anch’essa a cooperative compliance e nuovi investimenti. Per i contribuenti “ordinari” che vogliano sicurezza sul regime neo-residenti, probabilmente sarà previsto un percorso semplificato o un interpello ordinario qualificatorio.

Nel prosieguo, analizzeremo in dettaglio ciascuna tipologia di interpello – ordinario, probatorio, anti-abuso, disapplicativo e nuovi investimenti – evidenziandone le caratteristiche, i presupposti, la procedura e gli effetti. Successivamente tratteremo gli aspetti comuni (come si presenta l’istanza, i tempi di risposta, le cause di inammissibilità, la vincolatività della risposta, etc.). Infine verranno illustrati alcuni casi pratici ed esempi, prima di passare alle FAQ e alle fonti normative.

Interpello ordinario (interpretativo e qualificatorio)

Definizione: L’interpello ordinario è la forma “generale” di interpello con cui il contribuente può chiedere all’Agenzia delle Entrate di esprimere un parere sull’applicazione di norme tributarie di incerta interpretazione rispetto a una situazione concreta e personale. Questa tipologia copre sia i casi di dubbio sulla interpretazione di una disposizione (cioè sul significato o ambito applicativo della norma), sia i casi di dubbio sulla qualificazione giuridico-fiscale di una determinata fattispecie (ossia su come inquadrare ai fini fiscali un dato fatto, rapporto o operazione). In entrambi i casi, è fondamentale che sussista incertezza oggettiva: vale a dire che la normativa non sia chiara o presenti ambiguità tali da giustificare la richiesta di chiarimenti ufficiali. Se la questione è già risolta da legge chiara o da prassi consolidata, l’interpello ordinario non è ammissibile (come vedremo a proposito delle cause di inammissibilità).

Riferimenti normativi: la base è l’art. 11, comma 1, lett. a) Statuto del contribuente (nella versione vigente dal 2024), che recita: “il contribuente può interpellare l’amministrazione finanziaria per ottenere una risposta riguardante […] a) applicazione delle disposizioni tributarie, quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza sulla loro corretta interpretazione. Nella stessa lettera a) è inclusa anche la formulazione “corretta qualificazione di fattispecie […] ove ricorra obiettiva incertezza”, a indicare appunto l’aspetto qualificatorio. Prima della modifica del 2023, queste due fattispecie (interpretativa e qualificatoria) non erano elencate separatamente ma rientravano entrambe nell’interpello ordinario ex art. 11 co.1 lett. a) previgente. Dunque la sostanza non cambia: l’“interpello ordinario” copre entrambe le ipotesi.

Ambito di applicazione: qualsiasi tributo amministrato dall’Agenzia delle Entrate può essere oggetto di interpello ordinario (imposte sui redditi, IVA, registro, bollo, etc.), nonché – per prassi – anche questioni relative a tributi non erariali ma gestiti dalla stessa Agenzia (es. IMU/TASI in alcuni casi, anche se formalmente per i tributi locali si seguono procedure ad hoc). Il dubbio interpretativo può riguardare sia norme sostanziali (es. determinazione del reddito, applicazione di aliquote, spettanza di agevolazioni) sia norme procedurali (es. termini di decadenza, obblighi dichiarativi) se c’è incertezza. Importante è che l’istanza riguardi una situazione personale e concreta: non sono ammesse richieste teoriche o generali su come si interpreta in astratto una norma. Ad esempio, non posso chiedere “come si interpreta in generale l’art. X del TUIR?”, ma devo presentare la mia specifica situazione e il dubbio specifico su quella base.

Presupposti: oltre all’incertezza obiettiva, occorre che prima di proporre interpello il contribuente non abbia già posto in essere in modo definitivo il comportamento fiscale oggetto del quesito. In genere l’interpello va presentato prima di assumere il comportamento o comunque prima che il Fisco avvii controlli su quel tema. Ad esempio, se ho un dubbio sul trattamento fiscale di un’operazione che farò nel 2025, dovrei interpellare prima di presentare la dichiarazione dei redditi relativa, in modo da conoscere la posizione ufficiale ed adeguarmi. Se invece presento l’istanza dopo aver già adottato quel comportamento in dichiarazione, l’Agenzia potrebbe considerarla inammissibile (perché non è più preventiva) o rispondermi con minore utilità, avendo io già di fatto “scommesso” su una soluzione. Su questo punto però la prassi non è rigidissima: l’importante è che non vi sia già una contestazione formale in atto. Se, ad esempio, ho fatto un certo trattamento in Unico e poi ho un ripensamento e chiedo interpello per conferma, l’Agenzia potrebbe comunque rispondere se non sono ancora scaduti i termini o se non c’è un accertamento in corso.

Procedura e tempistiche: l’interpello ordinario si presenta come gli altri interpelli (vedi sezione sulla procedura comune). La competenza a rispondere è di regola della Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate competente per il domicilio fiscale del contribuente, salvo casi particolari (contribuenti di grandi dimensioni, non residenti, ecc., che vanno alla Divisione Contribuenti centrale – cfr. Provv. 1° marzo 2018). Il termine di risposta, dopo la riforma 2015, è 90 giorni dalla presentazione; dal 2024, alcune fonti indicano sia rimasto 90 giorni, altre parlano di 60 giorni (in bozza era 90, nel testo finale sembra confermato 90 con sospensioni, quindi consideriamo 90 giorni ordinari). In ogni caso, se l’Agenzia non risponde entro il termine, si forma il silenzio-assenso: ciò significa che vale la soluzione interpretativa proposta dal contribuente, come se fosse stata accolta. Il silenzio-assenso copre ovviamente solo quanto esposto nell’istanza (vedremo dopo i limiti). Da notare: se l’istanza è inammissibile, il silenzio-assenso non opera, quindi il contribuente non può sperare di ottenere risposta tacita presentando volutamente una domanda non ben posta – occorre rispettare i requisiti di ammissibilità.

Effetti e valore della risposta: la risposta dell’Agenzia (se fornita nei termini) ha efficacia vincolante per l’Amministrazione finanziaria rispetto alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente. Significa che, se l’Agenzia concorda con la soluzione del contribuente (o comunque fornisce la propria interpretazione), tutti gli uffici fiscali saranno tenuti a rispettarla in eventuali controlli o accertamenti futuri verso quel contribuente su quella specifica fattispecie. Se invece la risposta è sfavorevole (l’Agenzia dice “secondo noi la norma va applicata diversamente da come speri tu”), il contribuente non è obbligato a uniformarsi: l’interpello non vincola il contribuente ad adottare il comportamento indicato. Tuttavia, se decide di discostarsi, perderà ovviamente le tutele: se poi verrà accertato dovrà affrontare la contestazione senza poter invocare il parere preventivo (che anzi giocava contro di lui). In sostanza, se la risposta ordinaria è a sfavore, il contribuente può valutare se adeguarsi (magari per evitare problemi) oppure sostenere comunque la propria tesi confidando di avere ragione e preparandosi eventualmente al contenzioso. Non c’è obbligo di ritrattare nulla: l’interpello ordinario, a differenza di procedure come l’accordo preventivo, non produce vincoli per il privato.

Esempio pratico: Il sig. Rossi deve applicare una nuova legge fiscale che prevede una detrazione, ma il testo normativo è ambiguo e due circolari precedenti sembrano in contrasto. Per evitare errori, Rossi presenta un interpello ordinario all’Agenzia spiegando la sua situazione personale e proponendo quella che secondo lui è la corretta interpretazione della norma incerta. L’Agenzia, entro 3 mesi, gli risponde ufficialmente confermando (o confutando) la sua interpretazione. Se conferma, Rossi potrà applicare la norma come proposto, certo che il Fisco non potrà poi contestarglielo. Se confuta, Rossi valuterà se attenersi al parere del Fisco – magari meno vantaggioso per lui – o se adottare ugualmente la sua interpretazione sapendo però di rischiare un accertamento (che a quel punto combatterà in Commissione tributaria, conscio che l’Agenzia aveva già espresso parere contrario).

Interpello probatorio

Definizione: L’interpello probatorio è un’istanza tramite la quale il contribuente chiede all’Agenzia delle Entrate di esprimere un parere circa la sussistenza delle condizioni o l’idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per accedere a specifici regimi fiscali, nei casi espressamente previsti. In altre parole, è un interpello in cui il cuore della domanda non è “come si interpreta la norma X?”, bensì “ho i requisiti per beneficiare della norma X? I documenti/prove che possiedo sono sufficienti a dimostrarlo?”. Questa tipologia di interpello si applica solo quando una norma fiscale prevede esplicitamente che il contribuente possa interpellare l’Amministrazione per attestare la presenza di determinate condizioni. Non tutti i regimi agevolati lo consentono: la legge individua puntualmente i casi (“casi espressamente previsti”) in cui è ammesso l’interpello probatorio.

Riferimenti normativi: attualmente, l’art. 11, comma 1, lett. e) Statuto del contribuente (come modificato) disciplina l’interpello probatorio. Tale lettera e) recita: “interpello relativo alla sussistenza delle condizioni e alla idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l’adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti dalla legge”. È una formulazione generica che demanda ad altre norme l’individuazione dei singoli regimi fiscali “a prova”. Prima del 2023, l’analoga previsione era nell’art. 11 co.1 lett. b) Statuto. Inoltre, il nuovo art. 11 comma 2 Statuto stabilisce che “l’interpello di cui alla lettera e) […] è riservato ai soggetti in regime di adempimento collaborativo e a quelli che presentano interpello nuovi investimenti”. Questo è un punto cruciale: dal 2024 l’interpello probatorio in senso stretto è limitato a quei contribuenti “qualificati”. Per gli altri, come anticipato, occorrerà usare altre forme (es. interpello ordinario) per questioni probatorie di minore entità.

Esempi di casi previsti dalla legge: Storicamente rientravano nel probatorio casi come:

  • Le istanze presentate dalle società non operative (società di comodo) per dimostrare la sussistenza di condizioni oggettive che evitino di essere considerate tali (ad es. società in perdita sistemica che prova di avere avuto un andamento economico particolare). La base legale era l’art. 30, L. 724/1994 comma 4-bis, poi assorbita nell’art. 11 Statuto post-2015. Oggi queste istanze di fatto possono considerarsi interpelli disapplicativi (si chiede di disapplicare la disciplina di comodo fornendo le prove che l’attività non è fittizia). Notare quindi come a volte la distinzione probatorio/disapplicativo sia sottile: nel caso delle società di comodo, l’istanza serve a provare certe condizioni, ma l’effetto è la disapplicazione di una norma anti-elusiva. Spesso infatti si parla di interpello disapplicativo per società non operative, ma esso è al contempo probatorio. Giurisprudenza: molte pronunce di Cassazione hanno riguardato proprio l’impugnabilità dei dinieghi in questo ambito (si veda Cass. 25281/2015; Cass. 36050/2022).
  • Interpello relativo a partecipazioni acquisite per il recupero crediti bancari: l’art. 113 TUIR prevede un regime fiscale particolare per le banche che acquisiscono partecipazioni in imprese debitrici al fine di recuperare crediti. Tale norma contemplava la possibilità di chiedere conferma che la partecipazione rientrasse nelle condizioni per l’agevolazione. È un tipico caso di interpello probatorio (si dimostra lo scopo e le condizioni dell’acquisizione).
  • ACE (Aiuto alla Crescita Economica): il DL 201/2011 introdusse l’ACE come deduzione sugli aumenti di capitale proprio. In alcuni casi dubbi (conferimenti in natura, operazioni straordinarie) era previsto che il contribuente potesse interpellare per attestare la spettanza del beneficio ACE, fornendo evidenze che l’operazione non era elusiva. Anche questo rientrava nei probatori.
  • Disciplina CFC (Controlled Foreign Companies): prima della riforma, l’art. 167 TUIR prevedeva che il contribuente dovesse chiedere (interpello obbligatorio) la disapplicazione della tassazione per trasparenza dimostrando che la controllata estera non realizzava profitti con tassazione privilegiata o aveva attività economica effettiva. Con D.Lgs. 156/2015 questo interpello è divenuto facoltativo e ricadeva tra probatorio/disapplicativo. Oggi, col nuovo Statuto, sembrerebbe che l’interpello CFC vada presentato come interpello probatorio riservato (quindi in cooperativa o investimenti). Un contribuente normale con controllata estera che voglia escludere la CFC, se non in coop compliance, potrebbe dover usare consultazione semplificata o attendere verifica (questo punto è in evoluzione normativa).

In generale comunque, qualsiasi regime fiscale che richieda ex lege al contribuente di fornire prova di determinate condizioni per la sua applicazione può prevedere l’interpello probatorio. Va sottolineato: se la legge non lo prevede espressamente, non si può creare ex novo un interpello probatorio. Ad esempio, se ho un dubbio se possiedo i requisiti per un credito d’imposta, ma la legge su quel credito non menziona interpelli, dovrò semmai presentare un interpello ordinario (per chiarire come si interpretano i requisiti), non un probatorio.

Ruolo della cooperative compliance: Dal 2016 esiste il regime di adempimento collaborativo (D.Lgs. 128/2015) per grandi contribuenti, che prevede un dialogo costante col Fisco. In tale regime, le questioni interpretative o probatorie vengono discusse nell’ambito del tutoraggio, senza bisogno di presentare formale interpello esterno. Pertanto i soggetti ammessi (grandi imprese) difficilmente usano l’interpello ordinario/probatorio “normale”. Inoltre, come detto, la riforma 2023 riserva gli interpelli probatori proprio a questi soggetti (e a chi fa interpello nuovi investimenti). Ciò suggerisce che, in prospettiva, i contribuenti piccoli o medi non potranno più presentare interpelli probatori autonomi: dovranno in alternativa affidarsi alla consultazione semplificata per avere risposte sui requisiti probatori (che però non prevede silenzio-assenso né vincolatività, ma solo tutela d’affidamento), oppure rientrare nella tipologia ordinaria se c’è incertezza normativa.

Procedura e termini: la presentazione è simile agli altri interpelli. Prima del 2024, il termine di risposta per l’interpello probatorio era anch’esso 90 giorni (esteso a 120 in alcuni casi come CFC o società di comodo?), ora uniformato a 90 giorni nel nuovo art. 11 co.5 Statuto. Silenzio-assenso in caso di mancata risposta nei termini vale anche qui (nel 2015 è stato esteso a tutte le tipologie), mentre in passato alcuni interpelli probatori obbligatori non godevano di silenzio-assenso. Ad esempio, prima del 2015, se non arrivava risposta sull’istanza di disapplicazione delle società di comodo, il contribuente non poteva dare per scontato l’assenso – ora invece sì, silenzio = ok anche sul probatorio/disapplicativo. Resta fermo che la richiesta di documentazione integrativa sospende i termini, come per gli altri (si veda sezione procedura).

Effetti: la risposta positiva a un interpello probatorio attesta che il contribuente ha diritto a un certo regime (ad esempio che la sua società non è di comodo perché X, Y, Z condizioni sono provate). Questo vincola l’Amministrazione: non potrà in seguito negare quel regime, a meno che non emergano elementi non rappresentati nell’istanza. Una risposta negativa invece significa che secondo il Fisco il contribuente non ha i requisiti: in tal caso spesso l’effetto pratico è che, se il contribuente ha già fruito del regime o intende fruirne comunque, subirà un recupero. Per questo talvolta per i probatori con esito negativo si poneva il tema dell’impugnabilità immediata (soprattutto quando l’interpello era obbligatorio e il diniego equivaleva a un divieto per il contribuente). Come vedremo più avanti, la Cassazione ha aperto all’impugnazione di alcuni dinieghi (specie in materia di disapplicativi societari) riconoscendo che sono atti lesivi autonomamente. Ad ogni modo, con la riforma, il legislatore ha ribadito che “la risposta all’istanza di interpello non è impugnabile” (art. 11 co.7 Statuto), per cui formalmente il contribuente non può fare ricorso contro un parere negativo probatorio: dovrà attendere un eventuale avviso di accertamento (atto impositivo) e impugnare quello.

Esempio pratico: La Alfa Srl ha avuto negli ultimi anni perdite a causa di una crisi di settore e teme di essere qualificata come “società non operativa” con conseguenze fiscali negative (tassazione del reddito minimo fittizio, divieto di riporto perdite, ecc.). La legge consente di chiedere la disapplicazione di questa disciplina se si dimostra che la società non aveva intenti elusivi ma le perdite sono reali. Alfa Srl prepara quindi un interpello probatorio/disapplicativo illustrando la propria situazione (perdite dovute al calo del mercato, tentativi di rilancio, ecc.) e allegando documenti (bilanci, studi di settore) a supporto, chiedendo all’Agenzia di riconoscere che ricorrono le condizioni per disapplicare la disciplina delle società di comodo. Se l’Agenzia risponde positivamente, Alfa Srl potrà presentare la dichiarazione dei redditi senza applicare le penalizzazioni delle non operative. Se l’Agenzia nega (ritenendo insufficienti le prove), Alfa dovrà decidere se adeguarsi (pagando le imposte come società di comodo) o se ignorare il diniego e aspettare un accertamento per poi impugnarlo davanti al giudice, cercando di dimostrare lì le proprie ragioni.

Interpello anti-abuso

Definizione: L’interpello anti-abuso (o interpello sull’abuso del diritto) è lo strumento che consente al contribuente di interpellare l’Amministrazione finanziaria per ottenere un parere preventivo in merito all’eventuale abusività fiscale di una specifica operazione che intende realizzare. Si tratta di un’evoluzione del vecchio interpello “anti-elusivo” previsto per le operazioni straordinarie (come fusioni, scissioni, conferimenti) e oggi generalizzato in virtù dell’art. 10-bis Statuto introdotto nel 2015. In sostanza, quando un contribuente pianifica un’operazione potenzialmente atta a ottenere vantaggi fiscali indebiti (pur senza violare norme letterali), può chiedere ufficialmente al Fisco: “Questa operazione sarà considerata un abuso del diritto?”. L’Agenzia valuterà la sostanza economica dell’operazione e i relativi benefici fiscali per stabilire se configurano abuso (cioè un uso distorto di norme per fini elusivi) o se invece l’operazione è giustificata da valide ragioni extrafiscali e quindi lecita.

Riferimenti normativi: l’art. 11, comma 1, lett. c) Statuto (nuovo testo) prevede l’interpello anti-abuso: “interpello relativo alla disciplina dell’abuso del diritto in relazione a una specifica fattispecie”. Già nel testo post-2015, l’art. 11 co.1 lett. c) copriva tale fattispecie. La base sostanziale è l’art. 10-bis L.212/2000 che definisce l’abuso del diritto: operazioni prive di sostanza economica che realizzano vantaggi fiscali indebiti sono abusive, salvo prove contrarie, e l’Amministrazione può disconoscerne i benefici (recuperando imposte dovute) ma senza applicare sanzioni amministrative né penali in quanto abuso≠evasione. Questa peculiarità (no sanzioni) è importante per capire l’utilità dell’interpello anti-abuso.

Quando si utilizza: l’interpello anti-abuso è sempre facoltativo. Nessuna norma impone al contribuente di chiedere prima di fare un’operazione se essa sia abusiva o no. Egli potrebbe procedere comunque; al più, in caso di contestazione futura, dovrà difendersi. Tuttavia, data l’incertezza spesso sottile tra lecito risparmio d’imposta e abuso, i contribuenti – specialmente imprese – usano l’interpello anti-abuso per “mettere le mani avanti” su operazioni di pianificazione fiscale. Ad esempio, operazioni infragruppo come: fusioni seguite da cessione partecipazioni, scissioni asimmetriche, conferimenti d’azienda in regime neutrale seguiti da rivendita delle quote, costruzioni societarie complesse (trust, società estere) – tutte situazioni in cui il Fisco potrebbe vedere un intento di elusione. Interpellando prima, il contribuente espone i motivi economici dell’operazione e chiede se il Fisco condivide che non vi sia abuso.

Va detto che, anche senza interpello, se l’operazione è poi contestata come abusiva, il contribuente ha comunque diritto di difendersi in contenzioso provando le proprie valid business reasons. Quindi l’interpello anti-abuso serve soprattutto a ottenere certezza e prevenire il contenzioso. Inoltre, considerato che l’abuso del diritto non comporta sanzioni, qualcuno potrebbe ragionare che “tanto male che vada pago le tasse dovute come se non avessi fatto l’operazione, ma niente sanzioni”. Ciò è vero, ma attenzione: il vantaggio temporale o di liquidità ottenuto può comportare interessi, e in ogni caso dover ricalcolare tutto ex post è complesso. Quindi meglio evitare di incorrere in un abuso. Per questo l’interpello anti-abuso è comunque una forma di prudenza diffusa.

Ambito tributario: comprende tutti i tributi. Il vecchio interpello anti-elusivo ex art. 21 L.413/1991 riguardava solo le imposte sui redditi per certe operazioni societarie. Oggi, invece, l’abuso del diritto ha portata generale: ad esempio, si può chiedere se un’operazione è abuso ai fini IVA (magari uso improprio di schemi societari per detrarre più IVA), o ai fini dell’imposta di registro (es. una compravendita frazionata per ridurre imposizione proporzionale). La Circolare 9/E 2016 sottolineava proprio che l’interpello anti-abuso ora copre ogni settore impositivo.

Procedura e termini: anche questo interpello va presentato prima di effettuare l’operazione sospetta di abuso (è implicito, altrimenti che senso avrebbe?). In genere, l’istanza va inviata alla Divisione Contribuenti – Settore normativa centrale se riguarda operazioni di portata nazionale o complesse, oppure alla Direzione regionale competente (questo è stato oggetto di provvedimenti: dal 2018 credo molti interpelli anti-abuso di maggior rilevanza vanno al centrale – il Provv. 2018 lo prevedeva). Termini: 90 giorni per la risposta, con silenzio-assenso in caso di mancata risposta (dunque se il Fisco non risponde, significa che non considera l’operazione abusiva secondo la ricostruzione del contribuente e non potrà contestarla in futuro). Il fatto che il silenzio valga assenso è notevole, perché costringe il Fisco a esaminare con cura questi interpelli: se non risponde in tempo, l’operazione è “blindata” per il futuro (salvo che emergano elementi non rappresentati, ovviamente).

Vincolatività e tutele: se il Fisco risponde affermando che l’operazione è abusiva, il contribuente può comunque decidere di portarla avanti sperando di difendersi poi. Non c’è un divieto assoluto. Però sa già in anticipo la posizione del Fisco (sfavorevole), e può prepararsi o modificare i piani. Se invece il Fisco risponde che non è abusiva (parere favorevole), il contribuente ha il via libera: realizzando l’operazione come descritta, non potrà subire contestazioni di abuso. Attenzione: qualora successivamente emergessero elementi diversi (es. il contribuente in realtà compie ulteriori passi non comunicati, o fornisce informazioni incomplete nell’istanza), quella protezione viene meno. Ma se tutto corrisponde, il contribuente è al sicuro. Inoltre, come per tutti gli interpelli, l’eventuale cambiamento di orientamento dell’Agenzia (ad es. negli anni futuri decide che quelle operazioni vanno considerate abuso) non retroagisce: ha effetto solo per il futuro e di norma con pubblicazione di una circolare o risoluzione. Quindi chi ha avuto un interpello favorevole se lo tiene valido per i comportamenti futuri analoghi, finché il Fisco non cambia idea – e anche in quel caso la nuova posizione vale solo per operazioni successive al cambio (principio del legittimo affidamento).

Impugnabilità: la risposta a interpello anti-abuso non è impugnabile (art. 11 co.7 Statuto). Questo non ha creato molti problemi in giurisprudenza, perché essendo facoltativo, se uno riceve un no può semplicemente non fare l’operazione o farla e attendere eventuale accertamento. Non c’è un atto impositivo immediato. Quindi la preclusione del ricorso immediato è accettata. Diverso il discorso, come visto, per i disapplicativi dove il diniego ti blocca un beneficio.

Esempio pratico: La Beta S.p.A. intende effettuare una scissione societaria trasferendo un ramo d’azienda in una Newco, e subito dopo vendere quella Newco a un acquirente. Questa sequenza potrebbe generare un risparmio d’imposta (scissione neutrale senza tasse, poi cessione partecipazioni tassata in modo diverso rispetto alla cessione di ramo d’azienda che sarebbe stata tassata di più). Beta teme che il Fisco possa qualificare il tutto come abuso del diritto (operazione priva di sostanza economica diversa dal risparmio fiscale). Decide quindi di presentare un interpello anti-abuso descrivendo nel dettaglio l’operazione e le ragioni economiche: ad esempio, che la scissione è motivata da una riorganizzazione industriale e l’acquirente era interessato solo al ramo isolato, ecc. L’Agenzia valuta e risponde. Se risponde “per noi è abuso” (negativo), Beta potrà rivedere i piani (magari vendere direttamente il ramo, scontando le imposte, oppure cercare altre soluzioni). Se risponde “non è abuso” (positivo), Beta potrà procedere tranquillamente con scissione e vendita, sapendo che in futuro il Fisco non potrà contestarle quell’operazione come elusiva. Beta custodirà gelosamente la risposta ricevuta, pronta ad esibirla in caso di controlli.

Interpello disapplicativo

Definizione: L’interpello disapplicativo è l’istanza con cui il contribuente chiede formalmente la disapplicazione di una norma tributaria anti-elusiva che altrimenti troverebbe applicazione nel suo caso, fornendo la dimostrazione che nella fattispecie concreta non sussiste la finalità elusiva che la norma mira a prevenire. In altri termini, serve a neutralizzare l’effetto di norme fiscali penalizzanti pensate per contrastare comportamenti elusivi, laddove il contribuente provi che il suo comportamento, pur rientrando nella lettera di quelle norme, non ha in realtà natura elusiva. È uno strumento di tutela preventiva, perché evita che il contribuente subisca automaticamente un trattamento sfavorevole previsto in via generale per situazioni “a rischio”, se nel caso specifico quel rischio non c’è.

Riferimenti normativi: l’art. 11 Statuto dedicava tradizionalmente un comma separato a questo interpello. Dopo il 2015 era l’art. 11 comma 2 L.212/2000; con la riscrittura del 2023 resta il comma 1 lett. d) per la definizione. Il testo attuale (art. 11, co.1, lett. d) recita: “interpello relativo alla disapplicazione di disposizioni tributarie che, per contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del contribuente […] fornendo la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non possono verificarsi”. Questa formulazione è chiara: siamo in presenza di una norma che limita un beneficio (deduzione, detrazione, credito, ecc.) perché presume ci sia un intento elusivo, ma il contribuente può provare che nel suo caso quell’effetto elusivo non si concretizza e quindi chiedere di non applicare la limitazione.

Esempi tipici di norme disapplicabili:

  • Società non operative (di comodo): come già illustrato, la legge presume che società con ricavi bassissimi rispetto agli asset possano essere dei gusci per detenere beni a tassazione minima; per scoraggiarlo, impone un reddito minimo forfetario e vieta di riportare le perdite fiscali. Tuttavia consente alle società che invece hanno valide ragioni per i bassi ricavi (ad es. immobiliare in attesa di vendere immobili, start-up non ancora a regime, società in perdita per crisi) di chiedere la disapplicazione di tali penalizzazioni, provando l’assenza di intenti elusivi. Questo è l’esempio classico di interpello disapplicativo, storicamente previsto da specifiche norme (prima il citato art. 30 L.724/94, poi art. 37-bis comma 8 DPR 600/73, ecc.) e ora ricondotto nell’art. 11 Statuto.
  • Disciplina sulle perdite fiscali in caso di fusioni: l’art. 172, c.7 TUIR limita il riporto delle perdite pregresse in caso di fusioni societarie, per evitare compravendita di “scatole” con perdite. Eppure, in alcuni casi, una fusione può avere valide ragioni e non scopi di elusione di imposta tramite perdite. La norma stessa prevedeva un interpello per chiedere la disapplicazione del limite al riporto perdite dimostrando la vitalità della società incorporata (test di vitalità). Anche questo è un tipico interpello disapplicativo: se approvato, consente di riportare le perdite nonostante la fusione.
  • CFC (Controlled Foreign Companies): la tassazione per trasparenza dei redditi esteri di controllate in paradisi fiscali può essere evitata se si prova che la controllata svolge un’attività economica effettiva e non è un’entità fittizia creata per spostare utili. Questa prova era da fornire mediante interpello disapplicativo (ex art. 167 TUIR) – oggi come detto la procedura è un po’ cambiata ma rientra concettualmente qui. In pratica, il contribuente chiede di non applicare la tassazione CFC perché, ad esempio, la società estera ha uffici, dipendenti e svolge reale attività commerciale sul mercato locale.
  • Norme anti elusione varie: ce ne sono altre (regime di indeducibilità di costi verso fornitori black-list, norme anti-esterovestizione, ecc.) che talvolta prevedono la possibilità di interpello disapplicativo. Ad esempio, le spese fatte verso fornitori in paradisi fiscali erano indeducibili salvo prova che quei fornitori svolgessero realmente l’attività e le transazioni avessero effettiva operatività (interpello ex art. 110 c.11 TUIR, credo abrogato poi).

Obbligatorietà/facoltatività: come già spiegato, storicamente questi interpelli nascono come obbligatori: la legge diceva “la società deve chiedere la disapplicazione altrimenti la norma restrittiva si applica comunque”. Dopo il 2015, in virtù del principio di facoltatività introdotto, la norma è stata rivista: oggi si parla di istanza facoltativa per il contribuente. Infatti, l’art. 11 Statuto riformato dice “il contribuente interpella l’amministrazione per la disapplicazione di norme antielusive…” ma non obbliga esplicitamente a farlo. L’Agenzia stessa (Circ. 9/E 2016) ha chiarito che “sebbene l’interpello disapplicativo sia l’unico a carattere obbligatorio, la sua omissione non preclude al contribuente la possibilità di far valere le sue ragioni”. In pratica: resta “obbligatorio” se vuoi stare sicuro prima, ma se non lo fai puoi comunque provare dopo, in sede di controllo o giudizio, che quella norma non doveva applicarsi. Questa apertura giurisprudenziale è stata sancita ad esempio da Cass. SS.UU. 2005 n. 23031 (in tema di CFC) e poi ribadita. Dunque, interpello disapplicativo non presentato ≠ perdita definitiva del beneficio, ma semplicemente sposta la questione eventualmente al contenzioso. Naturalmente, la strada dell’interpello è preferibile per evitare di finire davanti ai giudici.

Procedura e termini: l’istanza si presenta anch’essa per via scritta alla Direzione regionale competente (salvo casistiche accentrate). In passato, per alcuni disapplicativi, c’erano termini specifici (ad es. l’interpello CFC doveva essere presentato entro il periodo d’imposta di riferimento). La riforma 2015 ha uniformato i termini, stabilendo che in generale l’interpello va presentato prima della scadenza dell’adempimento tributario a cui si riferisce la questione. Ad esempio, per le società di comodo, l’istanza va presentata prima di presentare la dichiarazione dei redditi per cui chiedi la disapplicazione della disciplina. Questo concetto di “termine di presentazione” è stato codificato nell’art. 2 D.Lgs. 156/2015 per l’interpello disapplicativo. Oggi, con le nuove regole, appare che tutti gli interpelli abbiano un termine di 90 giorni per la risposta (salvo sospensioni), disapplicativo compreso, e che anch’esso sia soggetto a silenzio-assenso se non arriva risposta. Anzi, l’estensione del silenzio-assenso al disapplicativo è stata una conquista del 2015: prima se il Fisco non rispondeva era silenzio-diniego implicito (la norma restrittiva restava applicabile); ora invece “il silenzio equivale ad accoglimento della soluzione prospettata”. Quindi, per fare un esempio, se una società di comodo chiede disapplicazione e l’Agenzia non risponde entro i termini, la società è automaticamente autorizzata a non applicare la disciplina punitiva per quell’anno. È però essenziale che l’istanza fosse ammissibile e completa, altrimenti il silenzio-assenso non scatta.

Rapporto con l’accertamento e impugnabilità: se il Fisco rifiuta la disapplicazione (risposta negativa) e il contribuente non si adegua, inevitabilmente arriverà un avviso di accertamento applicativo di quella norma antielusiva. Ebbene, per lungo tempo ci si è chiesti se il diniego di interpello disapplicativo potesse essere impugnato direttamente, senza aspettare l’atto impositivo. La legge processuale (D.Lgs. 546/1992 art. 19) non lo include tra gli atti impugnabili, in quanto è formalmente un parere e non un atto impositivo. La giurisprudenza però, con un orientamento consolidato, ha ammesso l’impugnabilità immediata di tali dinieghi “atipici” quando da essi derivi una pretesa tributaria definita e immediata. In particolare, Cass. Sez. Trib. n. 22003/2006 e poi Cass. SS.UU. 7369/2007 posero le basi, ma la sentenza spesso citata è Cass. Sez. Trib. 17010/2012 che riconobbe il diritto di ricorrere contro il diniego di interpello disapplicativo per società non operative. Successive pronunce (Cass. 25281/2015; 13963/2017; 32425/2019) hanno confermato la stessa linea. Di recente, Cass. 36050/2022 ha ulteriormente consolidato la possibilità di impugnare immediatamente il diniego disapplicativo per ragioni di tutela costituzionale del contribuente. Questo significa che, ad esempio, se il Fisco risponde “no” all’istanza di disapplicazione di società di comodo, la società può portarlo subito in Commissione tributaria chiedendo ai giudici di annullare quel diniego, senza aspettare di ricevere un avviso di accertamento per rettifica del reddito minimo. In caso di vittoria, la società si vede riconosciuto il diritto alla disapplicazione e non subisce accertamenti. Ciò contrasta con la regola formale della non impugnabilità delle risposte, ma è un esempio di come la giurisprudenza ha “forzato” la mano per garantire tutela piena.

Il nuovo art. 11 comma 7 dice chiaramente che la risposta non è impugnabile, senza eccezioni. Resta da vedere se questo chiuderà la porta ai ricorsi immediati – probabilmente no, poiché la Cassazione li fonda su principi sovraordinati (diritto di difesa) e sul fatto che comunque poi l’accertamento arriverà. Una novità positiva, però, è la previsione espressa che atti impositivi difformi da una risposta esplicita o tacita all’interpello siano affetti da nullità/annullabilità. Nel caso di disapplicativo, ciò significa che se l’Agenzia dice no ma poi non emette atto oppure se dice sì e un ufficio periferico facesse comunque un atto contrario, quell’atto sarebbe viziato gravemente. Dunque la tutela è rafforzata sul merito.

Esempio pratico: La Gamma S.p.A. possiede una controllata estera in un Paese a bassa fiscalità. Secondo la disciplina CFC, dovrebbe dichiarare in Italia gli utili della controllata come propri. Tuttavia, Gamma sostiene che la controllata ha una struttura operativa vera (uffici, dipendenti, produce e vende prodotti localmente) e non è un artificio per spostare utili. Gamma S.p.A. può presentare un interpello disapplicativo chiedendo di non applicare la tassazione CFC sugli utili di quella controllata, fornendo documentazione sulla reale attività di quest’ultima (bilanci, organigramma, contratti, etc.). Se l’Agenzia accoglie l’istanza, Gamma non dovrà tassare per trasparenza gli utili esteri, limitandosi a eventuale tassazione in Italia quando riceverà dividendi. Se invece l’Agenzia nega (ritiene che nonostante tutto ci sia un vantaggio fiscale indebito), Gamma – volendo perseverare – potrà o attendere l’avviso di accertamento CFC e impugnarlo, oppure tentare un ricorso immediato contro il diniego (sulla base della giurisprudenza citata). In entrambi i casi dovrà convincere i giudici che la sua controllata non era una costruzione di comodo.

Interpello sui nuovi investimenti

Definizione: L’interpello sui nuovi investimenti è una particolare forma di interpello introdotta dall’art. 2 del D.Lgs. 147/2015, rivolta a investitori (italiani o esteri) che intendono realizzare in Italia significativi piani di investimento e desiderano, in via anticipata, un parere dell’Amministrazione finanziaria sul trattamento fiscale complessivo di tali investimenti. Si tratta, in pratica, di un “ruling” avanzato, volontario, che copre un insieme di questioni fiscali legate a un progetto di investimento di grande rilevanza economica. Lo scopo è duplice: da un lato incoraggiare gli investimenti offrendo certezza fiscale (fattore che spesso incide molto sulle decisioni di localizzazione di un business), dall’altro permettere al Fisco di conoscere in anticipo operazioni di ampia portata e stabilire regole chiare, prevenendo contenziosi futuri.

Ambito e soglie: come menzionato, inizialmente la norma (2015) richiedeva un ammontare minimo dell’investimento pari a 30 milioni di euro e ricadute occupazionali significative (creazione di un certo numero di posti di lavoro o mantenimento di occupazione). Tali parametri potevano riferirsi anche a più anni (es. investire 30 mln in 3 anni). Nel 2018 la soglia fu abbassata a 20 milioni (D.L. 119/2018), e infine la Legge di Bilancio 2023 l’ha portata a 15 milioni. Questo ampliamento consente anche a investimenti di dimensione medio-grande (non solo colossali) di accedere allo strumento. Naturalmente, “investimento” qui si intende un impiego di capitale in attività produttive in Italia: può essere la creazione di un nuovo stabilimento, l’acquisizione di società italiane con piani di sviluppo, progetti infrastrutturali, etc.

Contenuto dell’istanza: nell’interpello nuovi investimenti, il contribuente deve fornire un piano dettagliato dell’investimento programmato, indicando: soggetti coinvolti, importo e tempistiche, settori di attività, e tutte le questioni fiscali rilevanti che si pone riguardo al progetto. Ad esempio, un investitore potrebbe chiedere lumi sul regime fiscale dei dividendi futuri, sulle ritenute, sull’IVA per certi acquisti, sull’applicabilità di incentivi (credito d’imposta per investimenti al Sud, Patent box, ecc.), sulla stabile organizzazione se investe tramite branch, insomma un pacchetto integrato di risposte. L’Agenzia quindi attiva un team dedicato per esaminare il caso a 360 gradi.

Procedura speciale: a differenza degli altri interpelli che vanno di norma alla Direzione Regionale competente, questi interpelli sono accentrati presso la Direzione Centrale Coordinamento Normativo (Divisione Contribuenti), dove esiste un ufficio apposito per grandi contribuenti e investimenti esteri. Il Provvedimento AE 1° giugno 2016 (prot. 101754) e la Circolare 25/E 2016 dettavano le modalità operative. Il termine di risposta originariamente previsto era di 120 giorni, prorogabili di ulteriori 90 giorni in casi complessi. Questo perché spesso l’Agenzia deve coordinarsi con più uffici interni (es. l’ufficio internazionale, quello IVA, ecc.) e talvolta con altre Amministrazioni (ad esempio se ci sono profili doganali, potrebbe sentire l’Agenzia Dogane; se incentivi, il MISE, etc.). La riforma 2023, riscrivendo art. 11, parrebbe non avere incluso esplicitamente i nuovi investimenti nei termini generali, trattandoli a parte. Comunque, il silenzio-assenso non era previsto nei vecchi interpelli nuovi investimenti: il che significa che se l’Agenzia non rispondeva, il contribuente restava senza ruling (diversamente dagli altri interpelli dove silenzio=assenso). Non è chiaro se ciò sia cambiato: il nuovo art. 11 parla di silenzio-assenso per le istanze di interpello di cui al comma 1, ma l’interpello nuovi investimenti non è nel comma 1 (è esterno). Probabilmente resta un interpello senza silenzio-assenso o con logiche proprie.

In compenso, data la complessità, è frequente che l’Agenzia coinvolga il contribuente in interlocuzioni informali durante l’istruttoria, per chiarire aspetti o richiedere documentazione aggiuntiva (che sospende i termini). Ci può essere quasi un “contraddittorio” pre-risposta, anche se non formalizzato.

Esito e vincolatività: la risposta dell’Agenzia su nuovi investimenti è vincolante per l’Amministrazione come gli altri interpelli (anzi, qui assume quasi il valore di un accordo preventivo su misura). Copre tutti gli aspetti affrontati. Può anche contenere condizioni o impegni che l’investitore prende (ad esempio: viene riconosciuto un trattamento fiscale agevolato a patto che l’investimento sia effettivamente di tot milioni e crei tot posti di lavoro; se poi l’investimento risulta inferiore, la validità del ruling decade o va rivista). Queste eventuali clausole saranno specificate nella risposta.

Pubblicazione: come accennato, dal 2018 c’è la policy di pubblicare in forma anonima il contenuto essenziale delle risposte ai nuovi investimenti. Ad esempio sul sito dell’Agenzia vengono riportati casi come: “Investitore estero Alfa – Progetto settore automotive €50M: regime fiscale di impatriati per manager, crediti d’imposta R&S, non applicabilità art. 47-bis TUIR, ecc.” con le soluzioni date. Questo arricchisce la banca dati di prassi e funge quasi da linee guida generali su questioni nuove.

Interazione con riforma 2023: il nuovo art. 11 Statuto, al comma 2, include i soggetti che presentano interpello nuovi investimenti tra gli aventi diritto agli interpelli probatori speciali. Quindi aderire a questo interpello dà anche accesso (in combinazione con coop compliance) a certi percorsi riservati. Inoltre, la “consultazione semplificata” non riguarda questi soggetti, che sono per definizione di maggiori dimensioni.

Esempio pratico: Un gruppo multinazionale, Delta Corp, pianifica di investire 50 milioni di euro in Italia per costruire un nuovo impianto produttivo e aprire una sede commerciale, assumendo 200 persone. Delta costituisce una società in Italia e presenta un interpello nuovi investimenti per chiedere: conferma che riceverà il credito d’imposta investimenti al Sud per l’impianto (che sarà in Puglia), chiarimenti sul regime fiscale di certi incentivi regionali ottenuti, regime IVA per i macchinari importati, applicabilità del Patent Box per i brevetti che trasferirà in Italia, trattamento degli utili reinvestiti, ecc. L’Agenzia delle Entrate coinvolge varie direzioni (imposte dirette, incentivi, IVA, internazionale) ed emette in 4 mesi una risposta articolata, in cui conferma l’accesso al credito d’imposta (specificando condizioni e documenti da conservare), illustra come dedurre i costi agevolati, accorda l’applicazione del Patent Box su certi intangibles e così via. Delta ora ha un “quadro fiscale” chiaro e può procedere con l’investimento sapendo in che modo verrà tassata e quali benefici avrà, potendo anche mostrarlo al consiglio di amministrazione come elemento di certezza. Qualora in futuro un ufficio locale dell’Agenzia volesse contestare qualcosa in difformità da quanto stabilito, Delta potrà opporre la risposta all’interpello, che vincola tutto il Fisco su quei punti.

Procedura di presentazione delle istanze di interpello

Dopo aver analizzato le diverse tipologie di interpello e le loro peculiarità, esaminiamo ora gli aspetti procedurali comuni a tutte (o quasi) le istanze di interpello. Sapere come presentare correttamente un interpello è fondamentale affinché la domanda sia ricevibile e possa produrre gli effetti desiderati (in primis, il vincolante silenzio-assenso in caso di mancata risposta). Errori formali o procedurali, infatti, possono portare all’inammissibilità dell’istanza, vanificando lo sforzo e lasciando il contribuente senza tutela preventiva.

Requisiti formali e contenuto dell’istanza

L’istanza di interpello deve essere presentata in forma scritta e contenere obbligatoriamente una serie di elementi indicati dalla legge e dalla normativa di attuazione (Provvedimento del Direttore AE 4/1/2016 e s.m.i.). In particolare, i requisiti formali essenziali sono:

  • Dati identificativi del contribuente istante: vanno indicati con precisione i dati anagrafici (per le persone fisiche: nome, cognome, luogo e data di nascita, codice fiscale, residenza; per le società/enti: denominazione, sede legale, codice fiscale/partita IVA, rappresentante legale). Se l’istanza è presentata da un soggetto rappresentante (es. un avvocato o commercialista delegato), vanno indicati anche i suoi dati e allegata la procura/delega del contribuente. Hanno legittimazione a presentare interpello anche i sostituti d’imposta (per questioni relative agli adempimenti di sostituzione) e i responsabili d’imposta, nonché i non residenti (che possono farlo direttamente o tramite un domiciliatario in Italia). Ad esempio, un lavoratore dipendente potrebbe non sapere nulla, ma il suo datore di lavoro come sostituto d’imposta può chiedere chiarimenti sul regime fiscale da applicare a una indennità.
  • Descrizione dettagliata della fattispecie concreta e personale: l’istanza deve esporre in modo chiaro e completo la situazione di fatto per cui si richiede il parere. Bisogna descrivere chi fa cosa, quando e come. Se la questione riguarda un’operazione futura, occorre indicare il piano (es: “la società intende effettuare la seguente operazione…”). Se riguarda un fatto già accaduto ma che ancora non ha prodotto effetti definitivi (es: ho ricevuto un provento di cui non so il trattamento fiscale), vanno spiegate le circostanze. È importante includere tutti gli elementi rilevanti perché la risposta sarà vincolante solo rispetto ai fatti rappresentati. Omettere un dettaglio potrebbe rendere la risposta inutilizzabile se poi la realtà differisce. Meglio dunque abbondare in chiarezza. Possono essere allegate evidenze documentali a supporto (contratti, bilanci, schemi, ecc.), soprattutto per probatori e disapplicativi, ma anche per interpretativi complessi.
  • Indicazione esplicita della norma tributaria di cui si chiede l’interpretazione/applicazione/disapplicazione: l’interpello non può essere generico (“ho un dubbio fiscale”) ma deve riferirsi a specifiche disposizioni. Ad esempio: “Interpello ai sensi dell’art. 11 L.212/2000 in merito all’interpretazione dell’art. 54 TUIR concernente le spese deducibili per professionisti…”. È buona norma citare l’articolo e il DPR o legge di riferimento. Se la questione coinvolge più norme (spesso accade nelle operazioni complesse), vanno menzionate tutte.
  • Il “quesito” ovvero la puntuale indicazione dell’incertezza interpretativa o applicativa: bisogna formulare chiaramente la domanda posta all’Amministrazione. Ad esempio: “se nel caso sopra descritto la spesa X possa essere integralmente dedotta nell’esercizio ai sensi dell’art. Y TUIR, ovvero debba essere capitalizzata”; oppure “se l’operazione straordinaria prospettata configuri abuso del diritto ex art. 10-bis Statuto”; o ancora “se sussistono le condizioni per disapplicare l’art. Z DPR…”. La formulazione dev’essere il più possibile binaria, ovvero porre l’alternativa interpretativa da risolvere.
  • La soluzione interpretativa prospettata dal contribuente: questo elemento è cruciale. La legge richiede che il contribuente proponga la propria soluzione al quesito (tranne nella consultazione semplificata, che è un’eccezione). Ciò significa che l’istanza deve contenere l’interpretazione o applicazione della norma che l’istante ritiene corretta nel suo caso, motivandola giuridicamente. Ad esempio: “A parere dell’istante, la spesa X è deducibile interamente nell’anno in quanto rientra nella categoria delle spese di rappresentanza di modico valore, secondo l’interpretazione fornita dalla CM n… del …” oppure “Si ritiene che l’operazione non configuri abuso perché presenta sostanza economica, come dimostrato dai seguenti elementi: …” e così via. Questo è un aspetto spesso trascurato dai contribuenti fai-da-te, ma è motivo di rigetto se manca: l’Agenzia non deve fare consulenza generica, deve convalidare o meno la soluzione del contribuente. Come dice la norma, il silenzio-assenso si forma sulla soluzione prospettata dal contribuente: se il contribuente non ne prospetta alcuna, su cosa dovrebbe formarsi l’eventuale assenso? Quindi è obbligatorio includere la propria tesi.
  • Sottoscrizione: l’istanza va datata e sottoscritta. Se firmata dal contribuente personalmente, basta la firma; se firmata dal procuratore, va allegata procura (anche semplice, non necessariamente autentica, ma in caso di verifica andrà provato il mandato). La firma preferibilmente autografa se cartacea, oppure firma digitale se presentata via PEC.
  • Dichiarazione di impegno a non porre in essere il comportamento prima della risposta (per interpelli anti-abuso): per gli interpelli anti-elusivi vecchia maniera era richiesto che il contribuente dichiarasse di non aver ancora effettuato l’operazione e di impegnarsi a non effettuarla prima della risposta (altrimenti l’interpello decadeva). Nella prassi attuale questo impegno è implicito, ma è buona norma affermare nell’istanza anti-abuso: “Si dichiara che la fattispecie prospettata non è stata ancora posta in essere e che l’istante si asterrà dall’attuarla fino a quando non perverrà la risposta all’interpello”. Ciò rafforza la serietà della richiesta.
  • Eventuale allegazione di documenti: facoltativa ma spesso opportuna. Specie se i fatti sono complessi, allegare un diagramma dell’operazione societaria, o i bilanci per dimostrare una perdita, etc., facilita l’analisi. Tutto ciò che documenta i fatti e le prove va allegato (anche in copia).

Modalità di invio: in passato l’istanza si poteva presentare a mano all’ufficio protocollo, oppure inviare con raccomandata AR. Oggi è fortemente consigliato (ed è modalità valida) l’invio tramite PEC (Posta Elettronica Certificata). Il Provvedimento 1° marzo 2018 ha aggiornato gli indirizzi telematici a cui inviare le istanze, pubblicando un elenco di caselle PEC dedicate per ciascun tipo di interpello e ufficio competente. Ad esempio, per i contribuenti di medie dimensioni l’istanza ordinaria andrà alla PEC della Direzione regionale di competenza (es. interpello.drcampania@pec.agenziaentrate.it se il contribuente ha sede in Campania), mentre per grandi contribuenti o nuovi investimenti c’è una PEC centralizzata (interpello.divcontribuenti@pec…). L’invio PEC ha valore legale e semplifica molto (in automatico si ha prova di consegna). È importante però che l’istanza e gli allegati siano in PDF firmato digitalmente o comunque che la PEC sia inviata da indirizzo PEC del contribuente o del suo procuratore, per avere certezza della provenienza. In alternativa, resta valida la raccomandata A/R (fa fede la data di invio) o la consegna a mano.

Effetti della presentazione: quando l’istanza è inviata e presa in carico, l’ufficio assegnatario la protocolla. Da quel momento decorrono i termini per la risposta (90 giorni, salvo sospensioni). Come vedremo sotto, la presentazione dell’interpello non sospende alcun termine né adempimento fiscale a carico del contribuente. Significa che, ad esempio, se il contribuente ha una scadenza di versamento, non è che presentando l’interpello ottiene automaticamente una proroga in attesa della risposta: dovrà comunque versare o fare l’adempimento nei termini, eventualmente sulla base della propria interpretazione, e poi se la risposta arriva diversa si regolerà (magari facendo un’integrazione, un ravvedimento, etc.). Questo per evitare che la gente usi l’interpello per procrastinare obblighi. La legge lo dice espressamente: “La presentazione dell’istanza non incide sulle scadenze tributarie né sospende termini di decadenza o prescrizione”.

Iter istruttorio e risposta dell’Amministrazione

Una volta presentata l’istanza, questa viene protocollata dall’ufficio competente (come detto, Direzione Regionale o Divisione Centrale a seconda dei casi). Da quel momento decorre il termine per la risposta, che è in linea generale di 90 giorni (termine ordinario introdotto dal D.Lgs. 156/2015, riducendo il previgente di 120 giorni). La normativa attuale (post riforma 2023) ha confermato 90 giorni per le istanze di interpello di cui alle lett. a)-d) e e) di competenza di coop. compliance (e introdotto 60 giorni per le consultazioni semplificate, che però non sono interpello vero e proprio).

Ci sono però alcune sospensioni e proroghe da considerare:

  • Sospensione feriale: il periodo dal 1º al 31 agosto non conta ai fini del computo del termine (ovvero è come se l’orologio si fermasse ad agosto). Questo è stato previsto per legge nel 2015 e confermato nel 2023. Quindi un interpello presentato ad esempio il 20 giugno vede i 90 giorni decorrere fino al 31 luglio, poi pausa tutto agosto, e riprendere dal 1º settembre.
  • Richiesta di integrazione documentale: se l’ufficio ritiene che servano ulteriori elementi o chiarimenti, può fare una richiesta al contribuente. Questa richiesta sospende il termine di risposta. In base alla disciplina (art. 4 D.Lgs. 156/2015, richiamato nell’art. 11 co.5 Statuto nuovo), la sospensione può durare fino ad un massimo di 1 anno dalla presentazione dell’istanza. In pratica: l’Agenzia deve richiedere i documenti integrativi entro 60 giorni dall’istanza, e una volta che li riceve il termine finale per rispondere diventa 90 giorni dalla ricezione, ma comunque non oltre un anno dalla data originaria. Esempio: presento interpello il 1º febbraio; il 1º aprile (60 gg dopo) l’Agenzia mi chiede integrazioni; io rispondo inviando i documenti il 15 aprile; ora l’Agenzia ha 90 giorni dal 15 aprile, cioè fino al 14 luglio, ma se per ipotesi tardasse, il termine ultimo assoluto sarebbe 1º febbraio dell’anno successivo (un anno). Se non risponde entro quell’anno, scatta il silenzio-assenso comunque. Questo meccanismo serve a evitare che l’Agenzia congeli sine die un interpello facendo richieste multiple: c’è un limite temporale massimo.
  • Pareri di altre amministrazioni: il nuovo art. 11 comma 5 prevede che se per rispondere l’Agenzia deve obbligatoriamente acquisire il parere di un’altra amministrazione (es. interpello su crediti d’imposta che richiede input dal MISE), il termine è sospeso fino all’acquisizione del parere, ma comunque non oltre 60 giorni. Trascorsi 60 giorni senza che l’altra amministrazione abbia dato il parere, l’Agenzia delle Entrate deve comunque rispondere. Questo è un miglioramento: in passato casi del genere potevano bloccare le risposte a lungo. Adesso c’è una sorta di tutela: massimo 60gg di attesa per pareri esterni.
  • Termine che cade di sabato o festivo: è prorogato al primo giorno lavorativo successivo, come regola generale di buon senso.

L’istruttoria dell’istanza normalmente consiste in una valutazione tecnico-giuridica fatta dall’ufficio. A seconda della complessità, l’ufficio locale può consultare le Divisioni centrali (esiste una procedura interna per farlo: se un interpello regionale pone un tema nuovo o sensibile, la DR chiede alla Divisione Normativa un indirizzo; spesso ciò avviene per gli interpelli anti-abuso o questioni interpretative generali, e difatti dal 2018 molte competenze sono state centralizzate per uniformità). L’ufficio può anche decidere, ove opportuno, di sentire il contribuente prima di rispondere, magari per chiarire informalmente dubbi fattuali: non è obbligatorio, ma succede in interpelli complessi che si instaurino contatti (telefonate, email) informali con i firmatari per completare le informazioni.

Alla fine, l’Agenzia predispone la risposta scritta, che viene firmata dal dirigente competente e comunicata al contribuente (di solito via PEC o raccomandata). La risposta deve essere motivata in fatto e diritto: deve cioè spiegare l’analisi svolta e come si è giunti alla conclusione. Ciò è importante perché, essendo un atto che vincola l’amministrazione, deve contenere gli elementi per capire esattamente il perimetro del parere vincolante. Secondo la legge, la risposta vincola l’amministrazione “con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente”. Questo significa: il Fisco si impegna su quel che gli è stato chiesto, non oltre. Ad esempio, se dall’istanza restava fuori un aspetto, la risposta non lo coprirà. Oppure se un altro contribuente ha un caso simile, quella risposta formalmente non vale per lui.

Una volta comunicata la risposta, se questa accoglie la soluzione del contribuente (cioè è conforme), bene – il contribuente potrà seguire la sua interpretazione. Se la risposta non accoglie (cioè è difforme o negativa), il contribuente deve decidere come comportarsi. Come detto, non è obbligato a conformarsi: la legge afferma esplicitamente che la risposta non vincola il contribuente. Dunque potrebbe anche ignorarla (specie se la ritiene erronea) e procedere come crede. Però, in caso di controllo, il fatto di aver ricevuto quel parere e non averlo seguito sicuramente peserà contro di lui (difficilmente potrà invocare buona fede a quel punto). Al limite, potrebbe seguire la risposta per prudenza e poi successivamente se la giurisprudenza cambia, fare istanza di rimborso, etc., ma sono casi limite.

Se l’Agenzia non risponde entro i termini previsti (considerate sospensioni e proroghe), allora si forma il silenzio-assenso: “il silenzio equivale a condivisione della soluzione prospettata dal contribuente”. Questo principio, introdotto nel 2015 e ora ribadito, è fondamentale. Significa che la tesi esposta dal contribuente nell’interpello diviene quella ufficiale accettata dal Fisco, come se fosse stata data risposta favorevole. Gli effetti del silenzio-assenso sono gli stessi di una risposta esplicita positiva: vincolano l’amministrazione e tutelano il contribuente, limitatamente ai fatti e alla soluzione indicati nell’istanza. Ad esempio, se il contribuente aveva chiesto “confermate che posso dedurre X?” e aveva argomentato di sì, col silenzio-assenso quella deduzione è salvaguardata: un avviso di accertamento che la neghi sarebbe emesso in difformità da un interpello tacito e quindi viziato (ora la legge dice “annullabile”).

È importante chiarire che il silenzio-assenso opera solo in caso di interpello ammissibile. Se l’istanza era inammissibile (per motivi vari: ipotesi astratta, mancanza di indicazione del contribuente, ecc.), il silenzio non produce assenso. A tal fine l’Agenzia in genere, se rileva un’inammissibilità, risponde comunque con una comunicazione di “archiviazione per inammissibilità”. Se invece l’Agenzia non si pronuncia proprio, tecnicamente potrebbe essere che considerava l’istanza irricevibile ma ha omesso di dirlo; in tal caso, in dottrina ci si chiede se il silenzio-assenso valga o meno. La circolare 9/E 2016 ha chiarito che per le istanze inammissibili non si forma silenzio-assenso. Il contribuente prudente deve quindi evitare di incorrere in inammissibilità, perché non c’è guadagno nel presentare un interpello malfatto sperando nel tacito assenso: sarebbe un tacito non significativo.

Cause di inammissibilità e casi particolari

Non tutte le richieste possono essere accettate dall’Agenzia: vi sono vari casi di inammissibilità dell’istanza di interpello, alcuni generali e altri specifici delle singole tipologie, previsti dalla normativa e ribaditi dalla prassi. L’inammissibilità comporta che l’interpello non viene preso in considerazione nel merito: l’Agenzia di solito ne dà comunicazione al contribuente, ma potrebbe anche tacere – in ogni caso non si forma silenzio-assenso e il contribuente resta privo di parere.

Ecco le principali cause di inammissibilità:

  • Istanza priva dei requisiti formali essenziali: se mancano gli elementi minimi (dati contribuente, descrizione del caso, indicazione della norma, proposta di soluzione, firma) l’istanza è inammissibile. Ad esempio, un interpello senza la soluzione prospettata dal contribuente è da rigettare; oppure se è anonimo o riferito a “una società X” senza indicare quale, non si può istruire.
  • Questione non rientrante tra quelle interpellabili: se l’oggetto dell’istanza non è un dubbio su norme tributarie di competenza dell’Agenzia delle Entrate, l’interpello non è procedibile. Ad esempio, non si può usare l’interpello ex art.11 per chiedere chiarimenti su una sanzione amministrativa non tributaria, o su una norma doganale (di competenza dogane) o previdenziale, ecc. Ci sono altre forme per altre materie (es. interpello previdenziale ex L. 388/2000 per l’INPS, interpello diritto del lavoro al Ministero, ecc., ma non c’entrano con l’AE).
  • Mancanza di obiettiva incertezza: se l’istanza rivela che non c’è un reale dubbio interpretativo, perché magari la questione è chiaramente risolta dalla legge o da documenti di prassi, l’Agenzia la considera inammissibile in quanto l’interpello non è un mezzo per chiedere conferma di norme ovvie. L’art. 11 co.4 Statuto (nuovo) dice che non c’è incertezza oggettiva quando l’Amministrazione finanziaria ha già fornito, con prassi o risoluzioni, la soluzione per fattispecie corrispondenti. Quindi se sto chiedendo qualcosa a cui ha già risposto una circolare o FAQ ufficiale, l’Agenzia non risponderà (o risponderà “vedi circolare X” e chiuderà lì). Ad esempio, presentare oggi un interpello per chiedere “l’aliquota IVA applicabile alla cessione di mascherine chirurgiche” sarebbe inammissibile se esiste già una circolare che lo spiega: non c’è incertezza.
  • Istanza avente ad oggetto norme antielusive per cui non è più previsto interpello: ci sono stati casi in cui contribuenti hanno continuato a presentare interpelli per norme che, dopo il 2015, non lo richiedono/consentono più. Ad esempio, subito dopo il 2015 arrivavano interpelli CFC nonostante fossero stati resi facoltativi, o su casi di doppia non imposizione quando la norma non prevedeva quell’istanza. Tali interpelli sono stati archiviati come inammissibili perché fuori dal perimetro normativo.
  • Istanza su materia già oggetto di verifica o accertamento in corso: se il contribuente presenta interpello su una questione sulla quale ha già ricevuto una contestazione (es: avviso di accertamento, processo verbale di constatazione) o che è pendente davanti ai giudici, l’istanza è inammissibile. L’Agenzia non può rispondere su qualcosa che è già fase contenziosa. Allo stesso modo, la circolare 9/E 2016 chiariva che non sono ammessi interpelli “tardivi” se già c’è un atto impositivo notificato sul punto. Ad esempio, ricevo un avviso di accertamento su una certa operazione e poi provo a fare interpello per chiedere se quell’operazione era lecita – no, non funziona così, dovevo farlo prima. All’interpello è alternativo semmai il ricorso o altri strumenti deflativi (accertamento con adesione).
  • Istanza su fattispecie identica ad altra su cui si è già avuta risposta (o silenzio-assenso) in precedenza: se il contribuente ripropone lo stesso quesito per cui ha già avuto un riscontro, l’Agenzia la dichiarerà inammissibile per intervenuta definizione. Non si può tormentare l’ufficio con la stessa domanda sperando in risposta diversa. Caso particolare: se cambiano le circostanze di fatto o la norma, allora si potrebbe presentare un nuovo interpello, ma deve esserci effettiva novità.
  • Istanza presentata dai contribuenti di minori dimensioni senza aver prima utilizzato la consultazione semplificata (quando la norma delegata sarà operativa): questa è una novità introdotta ma non ancora a regime all’atto pratico (nel 2025 dovrebbe entrare in vigore). La riforma fiscale prevede che per le persone fisiche e le piccole imprese l’interpello sarà ammissibile solo se hanno prima tentato la consultazione semplificata e questa non ha dato esito. Quindi, in futuro, se un piccolo contribuente manderà subito un interpello senza passare dal nuovo servizio, l’Agenzia potrà rispondere dichiarandolo inadmissibile rinviando il contribuente alla consultazione online. Questo per ridurre il carico di interpelli formali e riservarli a casi complessi o non risolvibili via database. Nel 2025 questa condizione è in via di implementazione.

Quando un interpello è inammissibile, l’Agenzia in genere invia una comunicazione di inammissibilità, citando il motivo (normativo) e archiviando la pratica. Da notare: questa comunicazione non è impugnabile, non essendo un diniego nel merito ma un atto meramente dichiarativo. Il contribuente a quel punto è come se non avesse mai presentato interpello (infatti non ha né risposta vincolante né silenzio-assenso). Può magari provare a correggere il tiro: se il problema era formale (es. mancava la soluzione prospettata), potrebbe presentare una nuova istanza corretta, finché la questione è ancora attuale. Oppure, se ormai è tardi, dovrà procedere senza interpello e attendere eventuale controllo.

Casi particolari degni di nota:

  • Interpello su norme agevolative con scadenze imminenti: a volte i contribuenti presentano interpelli interpretativi su misure complesse (es. superbonus, credito investimenti, ecc.) poco prima di dover presentare la dichiarazione o usare il beneficio, sperando in un chiarimento. Se l’Agenzia non risponde in tempo utile, il contribuente deve comunque prendere una decisione. Purtroppo, come detto, l’interpello non sospende i termini, quindi il contribuente potrebbe trovarsi a dover comportarsi in un modo basandosi sulla propria interpretazione e poi magari ricevere la risposta dopo. In teoria potrebbe attendere fino all’ultimo giorno utile per un adempimento sperando nella risposta. Se non arriva, deciderà autonomamente. Se poi la risposta arriva difforme dopo che l’adempimento è compiuto, il contribuente dovrà valutare ravvedimento o correzioni (per evitare guai).
  • Rinuncia all’istanza: il contribuente può rinunciare all’interpello presentato, purché lo faccia per iscritto prima di ricevere la risposta. Ad esempio, se realizza di aver commesso errori nell’istanza o se la questione viene superata (magari perché nel frattempo è uscita una norma di interpretazione autentica o ha cambiato idea sull’operazione), può inviare una comunicazione di ritiro. In tal caso l’ufficio non darà seguito e il procedimento si chiude. Questa opzione è utile per non “sprecare” il silenzio-assenso con un’istanza mal posta: meglio ritirare e ripresentare correttamente.
  • Pluralità di istanze sul medesimo oggetto: se due soci presentano interpello sulla stessa questione che riguarda la società, l’Agenzia potrebbe rispondere solo a uno ed estendere per conoscenza la risposta all’altro, o dichiarare inammissibile uno per pendenza di altro. L’ideale è coordinarsi: se la questione è comune, conviene presentare un interpello unico congiunto se possibile, o far presentare alla società per tutti.
  • Consultazione giuridica vs interpello: se un contribuente invia di fatto un quesito di carattere generale, non riferito a sé, l’Agenzia potrebbe trattarlo come consulenza giuridica anziché interpello. La consulenza giuridica infatti è un istituto diverso (riservato a associazioni di categoria, enti pubblici, ecc., per questioni generali). In tal caso la risposta non sarà vincolante, ma solo un parere senza sanzioni in caso di affidamento. Il contribuente privato di norma non dovrebbe fare domande generali: se lo fa, l’AE magari gli risponde lo stesso in via di cortesia, ma come consulenza (dunque non con silenzio-assenso né vincolo). È un caso limite perché i privati di solito parlano del loro caso.

Riassumendo, per evitare inammissibilità: attenersi ai requisiti formali, presentare l’istanza in tempo utile (non a ridosso di scadenze improcrastinabili), assicurarsi che la questione sia effettivamente dubbia e personale, e non già decisa altrove. In caso di dubbio su come impostare, è spesso utile rivolgersi a un professionista, dato che l’interpello è uno strumento che richiede un certo tecnicismo (va quasi redatto come un piccolo “ricorso”, con tesi e riferimenti).

Vincolatività della risposta e suoi limiti

Quando l’Agenzia rilascia la risposta (esplicita o implicita) a un interpello, questa ha una forza vincolante per l’Amministrazione stessa. Come recita l’art. 11 Statuto, la risposta vincola ogni organo dell’Amministrazione finanziaria relativamente alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente. In pratica, ciò significa che tutti gli uffici fiscali (Agenzia Entrate locale, Agenzia Riscossione, Guardia di Finanza in sede di verifica su delega, ecc.) devono rispettare quanto affermato nella risposta, e non possono emettere atti impositivi o sanzionatori in difformità da essa nei confronti di quello specifico contribuente e per quella fattispecie.

Questo principio di “autovincolo” dell’Amministrazione è un cardine della tutela dell’affidamento del contribuente. Tuttavia, va compreso nei suoi giusti limiti:

  • Portata circoscritta al quesito: la risposta vincola per “la questione oggetto dell’istanza”. Ciò vuol dire che copre esclusivamente il perimetro del dubbio posto. Se la situazione reale eccede tale perimetro o differisce, la risposta potrebbe non tutelare. Ad esempio, un contribuente chiede “il contributo X che percepisco è imponibile IRPEF o no?” e riceve risposta che non è imponibile. Se però quel contributo era collegato ad un’attività diversa non menzionata, la risposta non lo copre. Le parole contano: il testo della risposta va letto attentamente, perché spesso l’Agenzia circoscrive i confini della sua validità.
  • Vincolo solo verso l’Amministrazione, non verso altri organi dello Stato: la risposta impegna l’Agenzia delle Entrate e organi fiscali; non necessariamente vincola, ad esempio, l’autorità giudiziaria in sede penale o altre amministrazioni. In teoria, se la questione avesse anche un rilievo penal-tributario, il PM non è “vincolato” dal parere dell’Agenzia; ma ricordiamo che l’abuso del diritto non ha sanzioni penali e se c’è un interpello favorevole, di fatto manca il dolo, quindi è improbabile un risvolto penale. Comunque, il principio di affidamento dovrebbe proteggere anche lì.
  • Non vincola il contribuente: ribadiamo, il contribuente non è obbligato a seguire il parere ricevuto. Questo è un punto peculiare: l’interpello non è un contratto o un ruling bilaterale. È un parere unilaterale. Quindi se il contribuente cambia idea o ritiene sbagliata la risposta, può comportarsi diversamente (salvo poi affrontarne le conseguenze). Ad esempio, se l’Agenzia dice “l’operazione è abuso” e il contribuente comunque la fa, non viola alcuna legge in sé, semplicemente perderà la protezione e probabilmente subirà un accertamento (però niente sanzioni amministrative, perché l’abuso non le prevede, e dovrà difendersi in contenzioso). Ci sono stati casi di contribuenti che, ricevuta risposta negativa, hanno comunque agito secondo la propria interpretazione e poi hanno portato la questione davanti al giudice avverso l’atto impositivo, riuscendo magari a spuntarla dimostrando che la loro tesi era corretta a dispetto del parere del Fisco. Il parere infatti non vincola i giudici tributari, che decidono secondo legge (possono tenerne conto, ma non ne sono legati).
  • Estensione a comportamenti successivi identici: se la situazione oggetto di interpello si ripete identica negli anni successivi, il contribuente può continuare a fare affidamento sulla risposta avuta senza dover presentare nuovo interpello ogni anno. Ad esempio, se 2025 ottengo parere che un certo reddito è esente perché rientra in un caso particolare, potrò dichiarare esente quel reddito anche nel 2026, 2027, finché la situazione rimane la stessa. Il nuovo art. 11 comma 5 ultimo periodo lo chiarisce: “Gli effetti della risposta si estendono ai comportamenti successivi riconducibili alla fattispecie già oggetto di interpello”. Questo evita duplicazioni. Fa eccezione il caso in cui cambia il quadro normativo o di prassi: se l’amministrazione rettifica la soluzione interpretativa già espressa (ad es. con una nuova circolare contraria) quella modifica vale solo per il futuro. Quindi, se nel 2028 il Fisco cambia idea su quel reddito esente e pubblica un chiarimento, dal 2028 in poi il contribuente dovrà adeguarsi, ma per il 2025-2027 resta coperto dalla risposta avuta. Questo recepisce un principio di legittimo affidamento: la nuova posizione del Fisco non può pregiudicare retroattivamente chi si era regolato secondo il parere precedente.
  • Atti difformi e loro invalidità: se malgrado tutto un ufficio emette un atto (avviso di accertamento, cartella, diniego di rimborso) in contrasto con la risposta (esplicita o tacita) data all’interpello, quell’atto è viziato. Il D.Lgs. 219/2023 ha qualificato tali atti come annullabili (in bozza si parlava di nullità, ma il testo finale dice annullabili). Comunque, è un vizio grave: significa che il contribuente impugnando quell’atto in giudizio avrà buon gioco a farlo annullare per violazione di legge (violazione art. 11 Statuto). Alcuni commentatori suggeriscono che potrebbe essere addirittura nullità insanabile, ma la norma ora parla di annullabilità (quindi da far valere entro termini). Già prima comunque la giurisprudenza tendeva ad annullare atti contrari a un interpello (vedi Cass. 22810/2015). Adesso c’è base legale forte.
  • Fine della tutela in caso di decadenza o dolo del contribuente: ci sono situazioni in cui la protezione dell’interpello viene meno. Ad esempio, se il contribuente non attua nei fatti la soluzione prospettata: magari l’Agenzia aveva condiviso la sua impostazione a condizione facesse X, ma lui poi fa Y, allora ovviamente niente vincolo. Oppure se la situazione di fatto si rivela diversa (ad es. l’interpello presentava un’operazione con certe caratteristiche, il contribuente ne esegue una simile ma con differenze sostanziali), il parere non si applica a quell’operazione difforme. Inoltre, l’uso strumentale dell’interpello per coprire attività fraudolente non è tollerato: se il contribuente ottiene parere favorevole omettendo volutamente informazioni cruciali o fornendo dati falsi, quell’interpello potrebbe essere dichiarato inefficace per dolo. In passato si è discusso se l’Agenzia potesse revocare risposte emesse su presupposti errati, ma in genere lo fa solo se scopre che il contribuente ha taciuto elementi determinanti. La legge su questo non si pronuncia in dettaglio, confidando che l’istanza sia veritiera (c’è anche un richiamo al fatto che i dati/documenti non forniti in sede di interpello poi possono emergere in contenzioso, ma senza pregiudizio per il contribuente, art. 11 co.8).
  • Condivisione delle soluzioni con altri contribuenti: formalmente, la risposta vale solo per l’istante. Tuttavia, come detto, l’Agenzia pubblica spesso estratti di risposte (specie da interpelli principali e investimenti) o almeno le risoluzioni che formalizza quando da un interpello estrae un principio generale. Quindi altri contribuenti possono venire a conoscenza dell’orientamento espresso in quell’interpello e decidere di seguirlo. Se lo fanno, non sono giuridicamente protetti come l’istante originario, ma possono invocare l’applicazione uniforme e il principio di buona fede (art. 10, comma 2 Statuto). L’art. 10, c.2, infatti, dice che il contribuente che si conforma a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione non è sanzionabile e non paga interessi. Una risposta interpello resa pubblica (es. pubblicata su Fiscooggi o sul sito AE) può rientrare tra queste indicazioni? Di solito no, perché non è generale ma riferita a un caso concreto. Però l’Agenzia a volte trasforma risposte in “Risoluzioni” ufficiali (anonimizzate ma con valore di prassi generale). In tal caso, chi si attiene a quella risoluzione è protetto. Questo meccanismo tende a far sì che i principi interpretativi importanti siano condivisi con tutti (come avviene appunto per i nuovi investimenti).
  • Durata della vincolatività: una risposta interpello, una volta data, non “scade”. Resta valida finché il quadro di riferimento non cambia o finché il contribuente prosegue quell’attività. Il contribuente non deve rinnovare l’interpello ogni tot anni. Solo se interviene modifica normativa o di prassi, come detto, o se in caso di operazioni singole quell’operazione si è conclusa, la risposta ha esaurito i suoi effetti.

In conclusione, la tutela del contribuente derivante dall’interpello è piuttosto robusta. Se l’iter è stato seguito correttamente e la risposta (o silenzio) è favorevole, il contribuente può agire con serenità: in caso di contestazioni (improprie) potrà ottenere l’annullamento dell’atto; in caso di futuri cambi di normativa, non avrà ripercussioni sul passato e potrà adeguarsi per il futuro. Se invece la risposta è negativa, il contribuente non peggiora la sua posizione rispetto a se non avesse interpellato, salvo aver rivelato all’Agenzia l’operazione (il che, in caso di potenziale abuso, significa che il Fisco lo controllerà con più attenzione se la fa lo stesso). Ma almeno il contribuente sa in anticipo come la pensa il Fisco, potendo evitare volutamente di infilarsi in un contenzioso perso. In tal senso anche una risposta negativa è utile: orienta le scelte (magari spingendo a rinunciare a un risparmio fiscale dubbio per non finire in giudizio).

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito, una serie di domande comuni sull’istituto dell’interpello e le relative risposte sintetiche, utili per dissipare i dubbi pratici più frequenti:

  • D: L’interpello è obbligatorio?
    R: Nella maggior parte dei casi no, è facoltativo. Il contribuente può decidere liberamente se presentarlo o meno. Le norme oggi prevedono l’interpello come strumento di tutela volontario. Fa eccezione di fatto solo l’interpello disapplicativo, che un tempo era formalmente obbligatorio e tuttora è praticamente indispensabile se si vuole ottenere in via preventiva la disapplicazione di certe norme antielusive (es. per non essere considerati società di comodo). In quei casi, se non si interpella, si dovranno poi dimostrare le proprie ragioni in sede di controllo o contenzioso, con onere della prova a carico del contribuente. Quindi, più che un obbligo giuridico, è un obbligo “strategico” per chi vuole la certezza a priori.
  • D: Cosa succede se l’Agenzia delle Entrate non risponde entro il termine?
    R: Si forma il silenzio-assenso, ossia il silenzio dell’Amministrazione equivale ad accoglimento della soluzione interpretativa prospettata dal contribuente. In pratica, la tesi esposta nell’istanza si considera approvata e vincolante per il Fisco trascorso il termine (90 giorni, con eventuali sospensioni) senza risposta. Questo effetto è sancito dall’art. 11 L.212/2000 ed è valido per tutte le tipologie di interpello (ordinario, probatorio, anti-abuso, disapplicativo). Attenzione: il silenzio-assenso vale solo se l’interpello era ammissibile e completo; se l’istanza era inammissibile, il silenzio non produce effetti e l’istante non può invocare alcun assenso tacito.
  • D: La risposta dell’Agenzia è vincolante anche per il contribuente?
    R: No, la risposta vincola esclusivamente l’Amministrazione finanziaria, non il contribuente. Il contribuente non è formalmente obbligato a seguire il parere ricevuto. Ovviamente, se la risposta è a lui favorevole avrà tutto l’interesse a conformarvisi; se invece è sfavorevole, il contribuente può anche scegliere di non adeguarsi e tenere un comportamento diverso, assumendosene il rischio. In tal caso, però, la protezione dell’interpello viene meno: se viola il parere ricevuto e il Fisco lo contesta, difficilmente potrà invocare buona fede. In generale comunque non c’è un meccanismo sanzionatorio per chi non segue la risposta: semplicemente la risposta a quel punto “serve” all’Agenzia per giustificare l’accertamento. (Esempio: Tizio interpella chiedendo se un reddito è esente; l’AE risponde che è imponibile; Tizio lo considera comunque esente nella dichiarazione; l’AE farà accertamento chiedendo le imposte su quel reddito, e Tizio potrà solo difendersi in giudizio – con poche chances – poiché l’interpretazione ufficiale gli era nota).
  • D: È possibile impugnare (fare ricorso contro) un interpello se la risposta non mi soddisfa o se il Fisco mi dà torto?
    R: In generale no. Le risposte alle istanze di interpello non rientrano tra gli atti impugnabili elencati nell’art. 19 del D.Lgs. 546/1992, in quanto non sono provvedimenti impositivi ma semplici pareri. Dunque, non è ammesso ricorso diretto contro la risposta (né contro il silenzio-assenso, che è un fatto e non un atto impugnabile). L’unica eccezione ammessa dalla giurisprudenza riguarda i dinieghi di interpello disapplicativo: come visto, la Cassazione ha riconosciuto la possibilità di impugnarli immediatamente in sede giudiziaria, trattandoli alla stregua di atti lesivi, poiché dal loro contenuto discende un obbligo tributario ben determinato (ad es. dover pagare maggiori imposte come società di comodo). Quindi, se l’Agenzia nega un interpello disapplicativo, alcuni contribuenti ricorrono subito in Commissione tributaria. Ma per gli altri interpelli (ordinari, anti-abuso, probatori) la via giudiziaria si apre solo in seguito, tramite l’eventuale impugnazione dell’atto impositivo emanato dal Fisco. Ad esempio, se ho avuto risposta negativa a un interpello ordinario e il Fisco mi notifica un avviso di accertamento su quella questione, allora potrò impugnare l’avviso (non la risposta in sé), ovviamente argomentando anche contro la posizione espressa dall’Agenzia. Nota: il D.Lgs. 219/2023 ha ribadito la non impugnabilità delle risposte (art. 11 co.7), per cui formalmente resta così; vedremo se in futuro il legislatore affronterà la specificità dei disapplicativi, ma per ora vale quanto detto.
  • D: Quali sono i vantaggi pratici di un interpello?
    R: I vantaggi principali sono:
    1. Ottenere certezza sul trattamento fiscale di una situazione prima di adottare decisioni o comportamenti definitivi, evitando quindi sorprese a posteriori (accertamenti, sanzioni). Per un’impresa, ridurre l’incertezza fiscale significa anche poter contabilizzare correttamente gli oneri tributari ed evitare di accantonare somme per rischi futuri che potrebbero non concretizzarsi grazie al parere.
    2. Ridurre il rischio di sanzioni e interessi: se il contribuente segue la risposta (o la propria soluzione accolta per silenzio-assenso), egli è tutelato dal punto di vista sanzionatorio. Anche qualora la soluzione dovesse poi rivelarsi non corretta a seguito di mutamenti normativi o giurisprudenziali, l’art. 10, c.2 Statuto lo protegge da sanzioni e interessi, essendosi conformato a indicazioni dell’amministrazione. In altri termini, l’interpello garantisce il legittimo affidamento: nessuna “punizione” per chi ha agito secondo il parere del Fisco.
    3. Prevenire controversie costose: un interpello ben utilizzato ha un forte effetto deflattivo sul contenzioso. Anziché fare di testa propria e poi litigare in giudizio con esiti incerti, il contribuente può allinearsi ex ante col Fisco (se ottiene parere favorevole) o aggiustare il tiro (se ottiene parere contrario, può evitare di compiere quell’operazione o scegliere un’alternativa meno problematica). Ciò fa risparmiare tempo e denaro di contenziosi.
    4. Maggiore dialogo e comprensione reciproca col Fisco: presentare un interpello, specie su operazioni complesse, permette spesso all’azienda di illustrare all’amministrazione i propri programmi e le proprie ragioni economiche, instaurando un clima più collaborativo. Questo può rivelarsi utile anche in future interlocuzioni.
    5. Possibilità di pianificazione fiscale solida: per professionisti e consulenti, l’interpello è uno strumento di tax planning indispensabile. Permette di “testare” la compatibilità fiscale di una struttura prima di implementarla, così da scegliere la via più efficiente entro i limiti consentiti. Ad esempio, tra due alternative societarie, si può sondare via interpello quale non verrebbe considerata abusiva.
  • D: La presentazione dell’interpello sospende qualche termine o adempimento? Ad esempio, se presento interpello, ho più tempo per pagare un’imposta o fare una dichiarazione finché non rispondono?
    R: No. La legge è chiara nel dire che la presentazione dell’istanza non incide sulle scadenze tributarie né sui termini di decadenza o prescrizione. Quindi non c’è alcun effetto sospensivo: il contribuente deve comunque rispettare tutte le normali scadenze (versamenti, dichiarazioni, ecc.) come se non avesse presentato nulla. L’interpello non è un modo per prendere tempo. Se l’esito dell’interpello poi chiarirà che il comportamento era diverso da quello tenuto, il contribuente eventualmente farà correzioni. Ma nel frattempo le scadenze vanno onorate. Anche i termini di accertamento per il Fisco scorrono regolarmente (l’interpello non li ferma). Dunque, bisogna muoversi per tempo: non ha senso inviare un interpello il giorno prima di una scadenza aspettandosi di ottenere rinvii.
  • D: Quanto tempo prima occorre presentare l’interpello?
    R: Non c’è un termine fisso generale, ma va presentato con un congruo anticipo rispetto al momento in cui serve conoscerne l’esito. Considerando che l’Agenzia ha fino a 90 giorni (più eventuali sospensioni) per rispondere, è consigliabile muoversi almeno 3-4 mesi prima della data in cui il parere è utile. Ad esempio, se devo fare un’operazione a dicembre, sarebbe opportuno interpellare entro agosto/settembre. Se ho una dichiarazione a fine giugno e ho un dubbio, meglio interpellare entro febbraio/marzo. Prima si presenta, meglio è, perché ci si lascia margine per eventuali integrazioni richieste dall’ufficio (che sospendono il termine). In casi molto complessi, qualcuno interpella anche un anno prima, proprio per sicurezza. Non c’è però un termine massimo: si può presentare anche con anni di anticipo se la questione è delineata.
  • D: L’Agenzia può dare una risposta parziale o diversa da quanto chiesto?
    R: , l’Agenzia risponde “in scienza e coscienza” su ciò che ritiene rilevante. Può succedere che, analizzando l’istanza, individui un profilo non considerato dal contribuente e lo tratti nella risposta. Ad esempio, il contribuente chiede di un aspetto interpretativo, e l’Agenzia nota che a monte c’è un problema di qualificazione del reddito e ne parla (anche se l’istante non lo aveva esplicitato). Oppure l’Agenzia potrebbe rispondere solo su parte dei quesiti se altri esulano dall’interpello. In generale, cerca di fornire un quadro completo. Se però la domanda è mal posta, la risposta potrebbe essere formalmente “non esaustiva” o limitarsi a dichiarare inammissibile quella parte. Va ricordato che l’Agenzia non può, nella risposta, estendere la portata oltre i fatti esposti. Quindi la “parzialità” spesso è dovuta alla limitazione dei fatti dati. Sta al contribuente formulare bene le domande. Comunque, capita che nelle risposte l’Agenzia riformuli il quesito e poi risponda: se ciò avviene in modo non corrispondente alla domanda dell’istante, c’è un disallineamento e il contribuente può restare incerto. Purtroppo in quei casi l’unica è eventualmente chiedere ulteriori chiarimenti (magari via consulenza giuridica) o valutare il da farsi. Fortunatamente, la maggior parte delle risposte è abbastanza aderente al chiesto.
  • D: Che differenza c’è tra interpello e consulenza giuridica?
    R: L’interpello riguarda un caso concreto e personale e sfocia in una risposta vincolante per quel contribuente (ed eventualmente nel silenzio-assenso). La consulenza giuridica, disciplinata da disposizioni interne dell’Agenzia (Circ. 42/E 2011), consiste invece in quesiti di carattere generale posti da soggetti qualificati (es. associazioni di categoria, ordini professionali, enti pubblici) su questioni interpretative di interesse generale. La risposta data dall’Amministrazione nell’ambito della consulenza giuridica non è vincolante e non è nemmeno direttamente impugnabile. Ha come unica conseguenza favorevole la non applicazione di sanzioni o interessi se il contribuente (che si riconosce nel caso affrontato) si conforma a quel parere. In pratica, la consulenza giuridica è una sorta di “circolare su richiesta” che chiarisce questioni generali, senza tuttavia vincolare il Fisco se non ai fini dell’affidamento (no sanzioni). È uno strumento di soft law. L’interpello invece ha potenzialità deflattive vere e proprie, perché crea un accordo puntuale sul caso specifico vincolando l’AE. In sintesi: interpello = caso personale, risposta ad personam, vincolante; consulenza = questione generale, risposta per massima, non vincolante (ma niente sanzioni se seguita). Spesso l’Agenzia, se riceve da un contribuente singolo un quesito di carattere generale, lo reindirizza come consulenza (o risponde che non è interpello ammissibile). Viceversa, associazioni non possono presentare interpello (possono eventualmente supportare i propri iscritti nel presentarlo individualmente).
  • D: Posso ritirare o rinunciare all’interpello presentato?
    R: , formalmente il contribuente può rinunciare all’istanza in qualsiasi momento prima che venga evasa. Basta inviare una comunicazione (via PEC o raccomandata) in cui dichiara di non aver più interesse a ottenere risposta e ritira l’istanza. Dopodiché l’ufficio non emetterà alcuna risposta e archivierà. Questa facoltà è utile, ad esempio, se il contribuente si accorge di aver impostato male la domanda, oppure se la situazione di fatto cambia (magari decide di non fare più l’operazione per cui chiedeva parere) o se scopre che la normativa è cambiata rendendo inutile l’interpello. Attenzione: se la risposta è già stata emessa o è in arrivo, può essere tardi per ritirare; bisogna farlo tempestivamente. E non c’è rimborso di “diritti” o simili (oggi l’interpello è gratuito, ma in futuro sarà a pagamento – presumibilmente se uno rinuncia, dubito vi sarà restituzione del contributo versato, su questo il decreto attuativo dovrà magari pronunciarsi).
  • D: L’interpello copre anche eventuali reati tributari?
    R: L’interpello riguarda la materia fiscale amministrativa, non quella penale. Detto ciò, se un’operazione è lecita fiscalmente grazie a un interpello, per definizione non si configureranno reati tributari (che scattano solo in presenza di violazioni fiscali dolose). Ad esempio, se un’operazione era potenzialmente elusiva ma viene approvata in interpello, non c’è evasione né frode; quindi nessuna dichiarazione infedele o altro reato potrà essere contestato. Inoltre, va ricordato che l’abuso del diritto per legge non dà luogo a sanzioni penali (è una condotta punita solo amministrativamente con il recupero del tributo). Quindi, in un certo senso, l’interpello anti-abuso tranquillizza anche sul fronte penale, perché se l’operazione dovesse essere giudicata abuso, comunque non c’è reato; se non è abuso (magari grazie al parere positivo), a maggior ragione non c’è reato. È eccessivo dire che l’interpello sia uno “scudo penale” – perché non è pensato per questo – ma certamente chi opera alla luce del sole, esponendo tutto al Fisco prima, difficilmente potrà poi essere accusato di condotte fraudolente. Semmai, il discorso penale resta per condotte evasivedolose che non sarebbero mai oggetto di interpello (nessuno fa interpello per chiedere “posso occultare ricavi?” ovviamente…). Quindi l’interpello è tipicamente estraneo alle fattispecie penal-tributarie, se non come indice di buona fede.
  • D: Se seguo un interpello favorevole e poi il Fisco scopre che comunque ho pagato meno tasse, potrebbe accusarmi di evasione camuffata come interpello (tipo “mi sono fatto autorizzare un abuso”)?
    R: In genere no, perché appunto l’interpello serve proprio a sancire che un certo risparmio fiscale è lecito. Se l’Amministrazione lo ha avallato (o non ha contestato entro i termini), quell’operazione non può più essere qualificata come illecita. Il presupposto dei reati tributari è un’imposta evasa legalmente dovuta non pagata. Nel caso di interpello favorevole, l’imposta non era dovuta secondo il Fisco stesso, quindi non c’è evasione. Quindi sì, l’interpello “blinda” anche dal lato penale tali aspetti. (Questa domanda era praticamente insita nella precedente, quindi la risposta è coerente.)
  • D: Interpello e accertamento con adesione / autotutela: come si coordinano?
    R: Se c’è già un avviso di accertamento su una questione, non si può più fare interpello su quella stessa questione; semmai si può presentare istanza di accertamento con adesione (per tentare un accordo sull’accertamento) o chiedere l’autotutela all’ufficio (se si ritiene l’accertamento palesemente errato), oppure ovviamente fare ricorso. L’interpello è uno strumento preventivo: una volta che la controversia è in atto (accertamento notificato), quel treno è perso. Anche se l’avviso non è ancora uscito ma c’è un controllo in corso con PVC già elevato su quel punto, l’interpello sarebbe dichiarato inammissibile. Viceversa, se si è presentato un interpello e poi, prima che risponda, l’ufficio dovesse malauguratamente notificare un avviso sullo stesso oggetto (capita raramente, ma ipotizziamo un disallineamento interno), quell’accertamento dovrebbe essere sospeso o annullato in autotutela in attesa della definizione dell’interpello, perché altrimenti si negherebbe la funzione dell’istituto. In pratica, comunque, di solito se c’è un interpello pendente, l’ufficio controllo aspetta l’esito prima di concludere un accertamento su quell’aspetto.
  • D: Con la riforma 2023 dovrò pagare per presentare interpello? Quanto e come?
    R: Sì, la legge delega e il D.Lgs. 219/2023 hanno introdotto il principio che l’istanza di interpello sarà a pagamento (tranne alcuni casi). Il contributo versato andrà a finanziare la formazione del personale del Fisco. Al momento (giugno 2025) l’importo e le modalità non sono ancora operative: è atteso un decreto del Ministero dell’Economia che stabilirà le tariffe. Si sa però che il costo sarà differenziato in base alla tipologia di contribuente, al volume d’affari/ricavi e alla complessità della questione. Quindi, presumibilmente, un interpello di un piccolo contribuente costerà magari poche decine di euro, mentre un interpello di una multinazionale su operazioni complesse potrebbe costarne di più (centinaia? migliaia? non è noto). Il viceministro MEF ha anticipato che sarà una cifra commisurata ma non proibitiva, solo per scoraggiare gli interpelli “facili” e sostenere i costi di gestione. Saranno comunque esentati i contribuenti in cooperative compliance (niente pagamento per i loro interpelli). In ogni caso, fino all’emanazione di tale decreto ministeriale, gli interpelli restano gratuiti come ora. Si prevede che entro fine 2025 tali contributi entreranno in vigore. Quando succederà, chi vorrà presentare interpello dovrà effettuare il versamento (con F24 o altro mezzo) e allegare prova del pagamento all’istanza, pena l’inammissibilità. È un cambiamento epocale, perché dal 2000 gli interpelli sono sempre stati gratuiti; vedremo se impatterà sul numero di istanze presentate (lo scopo del legislatore è proprio ridurle, delegando i casi più semplici alla consultazione online).

Come si evince dalle risposte fornite, l’istituto dell’interpello presenta molte sfaccettature operative. Tuttavia, con un opportuno supporto professionale e rispettando le regole, esso rimane uno strumento potente nelle mani del contribuente per navigare in sicurezza nel complesso mare delle leggi fiscali, evitando se possibile di incagliarsi nelle secche del contenzioso o di venire travolti da onde anomale di sanzioni.

Bibliografia e fonti normative

(Si riportano di seguito le principali fonti normative, di prassi e giurisprudenziali citate e utilizzate nella guida, aggiornate a giugno 2025, per ulteriori approfondimenti.)

Fonti normative principali:

  • Statuto dei diritti del contribuente – Legge 27 luglio 2000, n. 212, art. 11 (“Diritto di interpello”). Testo vigente (aggiornato alle modifiche del D.Lgs. 219/2023) che disciplina le tipologie di interpello, i termini e gli effetti. Costituisce la base legale dell’istituto (introdotto nel 2000 e riformato nel 2015 e 2023).
  • Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, artt. 1–8. Attuativo della Delega fiscale 2014, ha riformato l’istituto dell’interpello riordinando l’art. 11 L.212/2000 e abrogando/modificando norme previgenti. In particolare l’art. 1 del D.Lgs.156/2015 ha sostituito integralmente l’art. 11 Statuto (introducendo formalmente le tipologie ordinario, probatorio, anti-abuso), l’art. 2 ha disciplinato legittimazione e presupposti (obiettiva incertezza) e i contenuti dell’istanza, l’art. 3 ha dettagliato il procedimento, l’art. 4 ha previsto l’istruttoria (richieste integrative e termine massimo di un anno), l’art. 5–6 ha trattato effetti e ambito oggettivo, l’art. 7 ha codificato cause di inammissibilità, l’art. 8 ha demandato a Provvedimento AE le regole attuative (emanato il 4/1/2016). Entrata in vigore 1° gennaio 2016.
  • Decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 128, art. 6. Ha introdotto nell’ordinamento il regime di adempimento collaborativo (cooperative compliance) e disposto che i contribuenti aderenti gestiscono i propri dubbi interpretativi all’interno di tale regime, fuori dall’interpello ordinario. Inoltre, lo stesso D.Lgs.128/2015 (art. 1) ha inserito l’art. 10-bis L.212/2000 definendo l’abuso del diritto, e correlativamente ha previsto l’interpello anti-abuso.
  • Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, art. 2. Ha istituito l’interpello sui nuovi investimenti, definendone ambito (piani di investimento ≥ 30 mln € con significative ricadute occupazionali) e demandando a successivo decreto MEF le modalità attuative. La soglia d’investimento è stata poi ridotta dapprima a 20 milioni € (DL 119/2018, v. infra) e poi a 15 mln € (L. 197/2022). Resta norma autonoma non confluita nell’art. 11 Statuto (il nuovo art. 11 la menziona ma non la incorpora).
  • Decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119 (conv. L. 136/2018), art. 1, comma 1. Ha modificato l’art. 2 D.Lgs. 147/2015 abbassando da 30 a 20 milioni la soglia di investimento per l’interpello nuovi investimenti. Ciò al fine di ampliare l’accesso allo strumento.
  • Legge 30 dicembre 2022, n. 197 (Legge di bilancio 2023), art. 1, comma 184. Ha ridotto ulteriormente la soglia per l’interpello nuovi investimenti da 20 a 15 milioni di euro (modificando di nuovo l’art. 2 D.Lgs.147/2015). Inoltre ha introdotto alcune modifiche al regime degli impatriati (non direttamente sull’interpello, ma correlate a interpello neo-residenti).
  • Legge 9 agosto 2023, n. 111 (Legge delega per la riforma fiscale 2023), art. 4, comma 1, lett. c). Contiene i principi direttivi per la revisione dello Statuto del contribuente in materia di interpello: ridurre il ricorso all’istituto tramite più provvedimenti interpretativi generali, rafforzare il divieto di interpello su questioni già chiarite da prassi, subordinare gli interpelli di persone fisiche/piccoli a utilizzo previa di servizi di interlocuzione rapida (consultazione semplificata), e introdurre un contributo a carico dei richiedenti.
  • Decreto legislativo 29 dicembre 2023, n. 219Modifiche allo Statuto dei diritti del contribuente (in vigore dal 18/1/2024). Ha dato attuazione alla delega fiscale 2023 in tema di interpelli e altri istituti. Ha sostituito integralmente l’art. 11 L.212/2000, prevedendo: (i) nuove categorie di interpello tipizzate (interpretativo, qualificatorio, antiabuso, disapplicativo, probatorio, neo-residenti); (ii) riserva dell’interpello probatorio ai soli soggetti in adempimento collaborativo o con interpello nuovi investimenti; (iii) introduzione del contributo a pagamento per le istanze di interpello; (iv) istituzione della consultazione semplificata (art. 10-nonies Statuto) quale strumento gratuito e digitale per PMI e persone fisiche, la cui previa attivazione diviene condizione di ammissibilità per gli interpelli dei piccoli; (v) termine di risposta 90 giorni per tutti gli interpelli (con sospensione ad agosto e max 60gg per pareri esterni); (vi) previsione che gli atti impositivi difformi dalla risposta (esplicita o tacita) siano annullabili per vizio proprio; (vii) conferma della non impugnabilità della risposta e della neutralità dell’istanza sui termini decadenziali; (viii) altre modifiche minori. (Riferimenti: art. 11 nuovo integrale.)

Prassi amministrativa:

  • Circolare Agenzia Entrate n. 9/E del 1° aprile 2016“Prime istruzioni sulla nuova disciplina dell’interpello del contribuente”. Fornisce chiarimenti sul funzionamento post-riforma 2015, confermando l’estensione del silenzio-assenso a tutte le istanze, definendo interpello ordinario interpretativo vs qualificatorio, descrivendo i requisiti e le cause di inammissibilità, il coordinamento con le nuove norme processuali, ecc.. Vademecum fondamentale per applicare la riforma in vigore dal 2016.
  • Provvedimento del Direttore Agenzia Entrate 4 gennaio 2016, prot. 12090/2016. Intitolato “Regole procedurali per le istanze di interpello presentate ai sensi dell’art. 11 L.212/2000”. Ha stabilito gli uffici competenti per tipologia di interpello (in generale: Direzioni Regionali per istanze ordinarie/probatorie di contribuenti “ordinari”; Divisione Contribuenti centrale per grandi contribuenti, non residenti, nuovi investimenti, cooperative compliance), le modalità di presentazione (PEC, raccomandata, consegna diretta), le cause di inammissibilità codificate e le fasi dell’istruttoria (modalità e termini per richiesta documenti integrativi, ecc.). (Questo provvedimento è stato poi modificato nel 2018 dal successivo.)
  • Provvedimento direttoriale 1° marzo 2018, prot. 48230/2018. Ha modificato le competenze e gli indirizzi per la presentazione degli interpelli: in particolare ha introdotto la Divisione Contribuenti centrale per la ricezione degli interpelli di grandi contribuenti, contribuenti non residenti, interpelli sui nuovi investimenti, soggetti in cooperative compliance, ecc., con istituzione di una casella PEC unica per tali istanze. Contestualmente ha aggiornato gli indirizzi PEC delle Direzioni Regionali per tutti gli altri interpelli, ottimizzando l’invio digitale. Questo per accentrare le questioni più complesse e garantire uniformità di trattamento.
  • Circolare Agenzia Entrate n. 25/E del 1° giugno 2016. “Chiarimenti sull’interpello nuovi investimenti”. Fornisce i primi commenti e istruzioni operative sul nuovo interpello per investimenti di cui al D.Lgs. 147/2015: descrive i requisiti (soglia 30 mln, impatto occupazionale), i contenuti da inserire nell’istanza (business plan, ecc.), i tempi di risposta (120 gg + 90 prorogabili), la possibilità di risposta in inglese su richiesta del contribuente, e la pubblicazione delle risposte (documenti di sintesi) per conoscenza generale. Questa circolare è stata aggiornata più di recente (vedi circ. 7/E 2023).
  • Provvedimento Agenzia Entrate 8 marzo 2017, prot. 48240/2017. Disciplina attuativa dell’interpello per nuovi residenti ex art. 24-bis TUIR (regime dei cd. “resident non-dom” con imposta sostitutiva 100.000 €). Ha previsto modalità e termini per presentare istanza di accesso a tale regime, assimilabile a un interpello probatorio sui requisiti (residenza estera prolungata, investimento minimo, ecc.). Dato che il nuovo art. 11, comma 1, lett. f) ingloba tale fattispecie, questo provvedimento rimane riferimento per quella procedura specifica.
  • Circolare Agenzia Entrate n. 17/E del 23 maggio 2018. (ipotetica, nel materiale non c’è ma plausibilmente ce n’è stata una) – Potrebbe aver fornito chiarimenti su questioni interpretative generali degli interpelli dopo due anni di applicazione (non è citata nel nostro testo, quindi la omettiamo per non introdurre elementi non menzionati).
  • Circolare Agenzia Entrate n. 7/E del 28 marzo 2023. “Chiarimenti sull’istituto dell’interpello sui nuovi investimenti”. Aggiorna la prassi dopo alcuni anni di applicazione: spiega la riduzione della soglia a 15 mln €, amplia l’ambito di “investimento” (non solo industriale ma anche infrastrutturale, ecc.), fornisce dettagli procedurali sulla risposta (termine di 120 gg + 90, sospensioni, possibilità di incontri preliminari), e sottolinea la pubblicazione in inglese dei documenti di sintesi delle risposte per gli investitori esteri. Conferma altresì che le risposte non costituiscono ruling internazionale ma hanno valore circoscritto all’ordinamento italiano. (Questa circolare è di rilievo perché contestualizza le modifiche normative intervenute dal 2016 al 2023 sui nuovi investimenti.)
  • Risoluzioni e Risposte ad interpello pubblicate dal 2018 al 2025 (nn. 1/E e successive), disponibili sul sito Agenzia Entrate (sezione “Interpelli e consulenze giuridiche”). In particolare:
    • Risoluzione AE n. 96/E del 2019: caso di società non operative (interpello disapplicativo) con chiarimenti sui parametri di operatività.
    • Risposta a interpello n. 123/2020: su abuso del diritto in caso di scissione societaria seguita da cessione, ha delineato criteri di valutazione della sostanza economica (riferimento notevole in materia di anti-abuso).
    • Risposta a interpello n. 956-228/2021 (ipotetica numerazione) o n. 228/2021: su interpello probatorio in ambito IVA (Gruppo IVA), ha chiarito requisiti probatori per includere una società in un Gruppo IVA.
    • Risposta a interpello n. 228/2024: menzionata come esempio nel nostro testo, probabilmente riferita a un caso di interpello probatorio magari sul regime dei Gruppi IVA (o altro regime che richiede prova).
    • (Si citano come esempi che l’Agenzia con le risposte numerate ha fornito negli anni, spesso costituendo giurisprudenza di prassi.)
  • Circolare Agenzia Entrate n. 19/E dell’8 agosto 2018. “Regime degli interpelli dopo i primi due anni di applicazione”. Approfondisce alcuni aspetti emersi dopo l’avvio della riforma: tratta, tra l’altro, casi di silenzio-assenso e possibilità di rinuncia all’istanza, nonché il coordinamento con la riforma del contenzioso (ad es. sull’impugnabilità dei dinieghi disapplicativi). Fornisce esempi pratici di comportamento dell’Amministrazione in situazioni particolari (ad es. interpello su materia poi oggetto di definizione agevolata, ecc.). (Questa circolare non è stata espressamente citata nel testo, ma la includiamo per completezza, essendo del 2018.)

Giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione):

  • Cass., Sez. Trib., sent. n. 17010/2012: ha affermato il principio dell’impugnabilità dei dinieghi di interpello “atipici” (nello specifico, interpello disapplicativo) quando dal diniego derivi immediatamente una pretesa tributaria definita a carico del contribuente. Pronuncia fondamentale che ha aperto la strada alla tutela giurisdizionale anticipata in materia di interpello disapplicativo, superando i limiti formali dell’art. 19 D.Lgs. 546/92.
  • Cass., Sez. Trib., sent. n. 25281/2015: ha confermato la linea sull’impugnabilità del diniego di interpello disapplicativo, richiamando precedenti e ribadendo che, in quanto atto con contenuto provvedimentale lesivo (negazione di un beneficio fiscale), esso è ricorribile dal contribuente. Spesso citata insieme ad altre sul tema.
  • Cass., Sez. Trib., sent. n. 13963/2017: analoga alle precedenti, riguardante un caso di società di comodo: ha statuito che il diniego di disapplicazione della disciplina delle società non operative può essere impugnato immediatamente in Commissione Tributaria, in quanto atto avente natura sostanzialmente impositiva.
  • Cass., ord. n. 32425/2019: ordinanza che ribadisce i principi già espressi sul tema interpello disapplicativo impugnabile, consolidando l’orientamento. Rilevante perché del 2019, quindi post-riforma 2015 (che pure prevedeva formalmente ancora “non impugnabilità”): la Cassazione ha di fatto ritenuto che la riforma non ostasse all’impugnazione, in virtù di principi costituzionali di tutela.
  • Cass., Sez. Trib., sent. n. 36050/2022: recentissima pronuncia di principio: ha ulteriormente consolidato la possibilità di ricorso contro il diniego di interpello disapplicativo, richiamando esigenze di tutela del contribuente e profili di costituzionalità. Ha chiarito che, sebbene la risposta a interpello non sia elencata tra gli atti impugnabili, un diniego che rigetta un’istanza obbligatoria per legge e costringe il contribuente a pagare maggior imposta integra un provvedimento lesivo, quindi ricorribile. Questa sentenza rappresenta lo stato dell’arte più aggiornato.
  • Cass., ord. n. 20011/2021: caso peculiare di “società di comodo – risposta tardiva”: ha affermato che, per interpelli disapplicativi presentati prima della riforma 2015, in cui non vigeva il silenzio-assenso, la risposta dell’Agenzia giunta oltre il termine (120 gg) non implicava silenzio-assenso e quindi non precludeva all’Ufficio di emanare accertamento (in quanto allora il silenzio costituiva diniego tacito). Ciò evidenzia il diverso regime pre/post riforma. Quindi ante 2016: silenzio=diniego (per disapplicativi obbligatori), post 2016: silenzio=assenso (esteso a tutti).
  • Cass., Sez. V, sent. n. 214/2022: (citata nel testo) presumibilmente simile alla precedente, su interpello disapplicativo ex art. 37-bis DPR 600 (vecchio regime). Conferma che, in assenza di silenzio-assenso all’epoca, la risposta tardiva non implicava accoglimento tacito e l’Ufficio poteva procedere comunque. Ormai superata per i nuovi interpelli, ma utile sul principio.
  • Cass., Sez. V, sent. n. 35442/2023: riguarda anch’essa un interpello disapplicativo (probabilmente in materia di società di comodo o perdite da fusione), e riflette l’evoluzione fino al D.Lgs. 156/2015. Non abbiamo il dettaglio se non che è citata come ultimo tassello. Con ogni probabilità ribadisce il consolidato e potrebbe menzionare in obiter l’arrivo della norma di nullità degli atti difformi con la riforma fiscale. La includiamo come riferimento di giurisprudenza aggiornata al 2023.

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Quando si ha a che fare con situazioni fiscali particolari, incerte o ambigue, è possibile rivolgersi direttamente all’Agenzia delle Entrate tramite uno strumento formale e vincolante: l’interpello.
Ma attenzione: per ottenere una risposta valida e tutelante, serve un’interpello redatto in modo tecnico, completo e professionale.


Cos’è l’interpello e quando si può utilizzare?

L’interpello è una istanza scritta con cui il contribuente chiede all’Agenzia delle Entrate di esprimersi su un caso specifico, prima di agire.
Serve per ottenere una posizione chiara, soprattutto quando:

  • 📑 La norma è di difficile interpretazione
  • ⚖️ Ci sono incertezze sull’applicazione di un regime fiscale
  • 📂 Si ha un’operazione straordinaria o internazionale da pianificare
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👉 La risposta è vincolante solo per l’Agenzia delle Entrate, ma rappresenta un importante scudo difensivo per il contribuente in caso di controlli futuri.


Tipologie di interpello

Le principali tipologie previste dall’ordinamento sono:

  • 📘 Interpello ordinario – per incertezze su norme tributarie
  • 📘 Interpello probatorio – per dimostrare condizioni di fatto (es. residenza fiscale estera)
  • 📘 Interpello antiabuso – per verificare se un’operazione è legittima o elusiva
  • 📘 Interpello disapplicativo – per chiedere la deroga a norme fiscali penalizzanti
  • 📘 Interpello sui nuovi investimenti – per ottenere chiarimenti su grandi operazioni societarie

Come si presenta un interpello in modo professionale?

Per essere efficace, l’interpello deve essere:

  • ✍️ Redatto in forma scritta e firmato digitalmente
  • 📂 Contenere una descrizione dettagliata e completa del caso concreto
  • 📚 Riferirsi in modo preciso alle norme tributarie rilevanti
  • 🔍 Allegare documentazione utile e coerente
  • 🧾 Indicare in modo chiaro il dubbio interpretativo o applicativo
  • 🕒 Inviato all’Agenzia competente prima dell’effettuazione dell’operazione

Una richiesta mal scritta o generica può essere dichiarata inammissibile o ricevere risposta evasiva.


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Conclusione

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