Hai ricevuto un accertamento fiscale sui redditi da affitti brevi e ti stai chiedendo se è legittimo, cosa rischi e come puoi difenderti? Hai affittato un immobile tramite piattaforme come Airbnb o Booking e ora l’Agenzia delle Entrate ti contesta redditi non dichiarati o un uso scorretto della cedolare secca?
Negli ultimi anni l’Agenzia ha intensificato i controlli sugli affitti brevi, incrociando i dati ricevuti dalle piattaforme con quelli presenti nelle dichiarazioni dei redditi. Ma questo non significa che l’accertamento sia sempre corretto: molti sono viziati da presunzioni o errori che si possono contestare.
Quando scatta l’accertamento sugli affitti brevi?
– Quando i redditi percepiti da locazioni brevi non risultano dichiarati o sono parziali
– Se l’attività appare organizzata e ripetuta, tanto da essere considerata imprenditoriale
– Se usi la cedolare secca pur non avendone diritto
– Se ci sono incongruenze tra i dati delle piattaforme e quanto hai comunicato al Fisco
Cosa può contestarti l’Agenzia delle Entrate?
– Omissione totale o parziale dei redditi da locazione
– Applicazione illegittima della cedolare secca
– Ricostruzione presuntiva del reddito su base forfettaria
– In alcuni casi, la natura imprenditoriale dell’attività, con conseguente obbligo di partita IVA
Come puoi difenderti da un accertamento su affitti brevi?
– Verificando se i redditi sono stati correttamente inseriti nella dichiarazione dei redditi
– Dimostrando che l’attività non ha carattere imprenditoriale, ma è occasionale
– Esibendo contratti, ricevute, bonifici, comunicazioni agli ospiti e registri
– Contestando errori di calcolo, presunzioni infondate o dati sbagliati
– Presentando memorie difensive, un’istanza in autotutela o un ricorso tributario entro 60 giorni
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace?
– L’annullamento totale o parziale dell’accertamento
– La corretta tassazione dei redditi, senza sanzioni e interessi eccessivi
– Il mantenimento della cedolare secca se ne ricorrono i presupposti
– La chiusura della posizione in via agevolata con definizione agevolata o ravvedimento operoso
Cosa NON devi fare mai?
– Ignorare l’atto dell’Agenzia: diventerà definitivo
– Pagare senza controllare: potresti versare molto più del dovuto
– Pensare che si tratti solo di “una questione secondaria”: l’Agenzia può agire in via esecutiva
– Difenderti senza supporto tecnico: la documentazione va gestita con metodo
Un accertamento fiscale su affitti brevi può essere contestato. Ma serve preparazione, tempestività e una strategia su misura.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria e contenzioso su redditi immobiliari – ti spiega come funziona l’accertamento, cosa può essere impugnato e quali mosse fare per difendere i tuoi redditi da locazione.
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Introduzione
Le locazioni brevi – affitti di immobili ad uso abitativo per periodi non superiori a 30 giorni – hanno conosciuto negli ultimi anni un vero boom grazie a piattaforme online come Airbnb e Booking. Questo fenomeno ha permesso a molti proprietari di ottenere redditi extra dai propri immobili, ma ha anche attirato l’attenzione del Fisco. Airbnb e Booking sono finite nel mirino dell’Amministrazione finanziaria, con controlli mirati sugli affitti brevi e sui redditi non dichiarati sin dal periodo d’imposta 2017. Ne è conseguito un inasprimento della normativa fiscale e una serie di verifiche a tappeto, culminate in accertamenti di massa nei confronti di host che non avevano dichiarato i proventi da affitti brevi.
Il caso più emblematico è quello di Airbnb, accusata di non aver applicato la ritenuta del 21% sui canoni pagati ai locatori come previsto dalla legge italiana. Dopo una lunga disputa legale e una storica sentenza della Corte di Giustizia UE (caso Airbnb Ireland, C-83/21 del 22/12/2022), la piattaforma ha trovato un accordo con il Fisco italiano. Nel 2022 Airbnb ha accettato di versare 576 milioni di euro per sanare il periodo 2017-2021, evitando di rivalersi sugli host. A partire dal 2024, inoltre, Airbnb (e gli altri portali analoghi) si è impegnata a fungere da sostituto d’imposta, trattenendo alla fonte la “cedolare secca” sui redditi generati in Italia tramite affitti brevi.
In questo contesto di crescente controllo, è fondamentale per proprietari, imprenditori e professionisti del settore immobiliare conoscere a fondo la disciplina fiscale delle locazioni brevi e gli strumenti di tutela a disposizione del contribuente (il “debitore” in senso lato) per difendersi da eventuali accertamenti. In questa guida approfondiremo, con un taglio tecnico ma divulgativo, tutti gli aspetti rilevanti: dalla normativa italiana vigente (comprese le novità introdotte fino a giugno 2025) alle strategie di difesa in sede amministrativa e giudiziale. Saranno analizzate le sanzioni amministrative e penali connesse alle violazioni fiscali in materia di affitti brevi, riportando le ultime sentenze e interpretazioni autorevoli. Troverete inoltre tabelle riepilogative, un utile schema di domande e risposte, nonché alcune simulazioni pratiche di casi reali, il tutto dal punto di vista del contribuente chiamato a rispondere di presunte imposte evase.
Nota: Le informazioni presentate tengono conto delle normative aggiornate a giugno 2025 e fanno riferimento esclusivamente al contesto italiano. Le fonti utilizzate (norme, circolari, sentenze, articoli specializzati) sono indicate nel testo e raccolte in fondo alla guida, per consentire ulteriori approfondimenti.
Quadro normativo degli affitti brevi in Italia
Definizione di “locazione breve” – La definizione normativa di locazione breve è stata introdotta con l’art. 4 del D.L. 50/2017 (convertito con L. 96/2017) e si riferisce ai contratti di locazione di immobili a uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni. Questi contratti possono essere conclusi direttamente tra privati oppure tramite l’intervento di intermediari immobiliari (agenzie) o di portali online di intermediazione. La durata massima di 30 giorni fa sì che tali contratti non siano soggetti all’obbligo di registrazione presso l’Agenzia delle Entrate (obbligo che invece scatta per le locazioni di durata superiore). Rientrano nella categoria delle locazioni brevi anche i contratti che prevedono servizi accessori di fornitura di biancheria o pulizia locali, purché strumentali all’uso abitativo e non tali da configurare un servizio tipico di attività alberghiera. In sintesi, la locazione breve resta un contratto di godimento dell’immobile a fini abitativi (anche turistici), escluso l’esercizio di attività d’impresa da parte del locatore (come vedremo, la qualifica imprenditoriale scatta solo oltre determinati limiti). È irrilevante dove sia situato l’immobile (città d’arte, località turistica o altro) e non vi sono vincoli sulla residenza delle parti: conta solo la brevità del periodo contrattuale.
Regime fiscale ordinario vs cedolare secca – I redditi derivanti da affitti brevi percepiti da persone fisiche rientrano nella categoria dei redditi fondiari (se il locatore è proprietario o titolare di altro diritto reale sull’immobile) oppure dei redditi diversi (ad es. sublocazione o locazione del comodatario). In entrambi i casi, tali redditi vanno dichiarati annualmente nel quadro relativo della dichiarazione dei redditi. Sul piano impositivo, il locatore ha due possibili regimi:
- Tassazione IRPEF ordinaria: il canone percepito si somma agli altri redditi del contribuente ed è tassato secondo le aliquote progressive IRPEF (23% fino a 15.000 €, 25% da 15k a 28k, 35% fino a 50k, 43% oltre 50k, oltre alle addizionali regionale e comunale). Sul reddito da locazione ad uso abitativo spetta una deduzione forfetaria del 5% (viene tassato il 95% del canone annuo), mentre non sono deducibili le spese specifiche del’immobile (manutenzioni, arredi, utenze) in quanto già contemplate forfetariamente. La tassazione ordinaria può risultare conveniente se il proprietario ha aliquote IRPEF medio-basse o molte spese deducibili altrove, ma in genere per i canoni da locazione la scelta alternativa è più vantaggiosa, ossia la cedolare secca.
- Cedolare secca sugli affitti: è un regime facoltativo previsto dal D.Lgs. 23/2011, art. 3, che consente di tassare il reddito da locazione abitativa con un’imposta sostitutiva fissa, in luogo di IRPEF e relative addizionali. Chi opta per la cedolare secca rinuncia ad applicare aggiornamenti ISTAT del canone e ad ogni azione legale per aumenti, in cambio di un’aliquota agevolata e della non applicazione dell’imposta di registro e di bollo sul contratto. Per le locazioni brevi, il regime della cedolare secca si applica per scelta del locatore al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa. Fino al 2023 l’aliquota della cedolare era unica, pari al 21% dei canoni percepiti, indipendentemente dal numero di immobili affittati.
Novità 2024: aliquota al 26% dal secondo immobile – La Legge di Bilancio 2024 (L. 197/2023) ha introdotto importanti modifiche alla disciplina fiscale degli affitti brevi. In particolare ha modificato l’art. 4 del D.L. 50/2017 prevedendo una nuova aliquota per la cedolare secca e misure per gli intermediari non residenti (di cui diremo in seguito). Dal 1° gennaio 2024, l’aliquota dell’imposta sostitutiva (cedolare) sulle locazioni brevi è salita al 26%, ma resta ridotta al 21% per i redditi riferiti ai contratti relativi ad una sola unità immobiliare per periodo d’imposta, a scelta del contribuente. In pratica, il locatore che affitta in regime privato più immobili nell’anno potrà individuare un solo immobile locato breve cui applicare la cedolare al 21%, mentre i redditi delle ulteriori locazioni brevi saranno soggetti alla cedolare del 26%. La scelta dell’immobile “agevolato” al 21% avviene in sede di dichiarazione dei redditi annuale e può essere cambiata di anno in anno. Tale innovazione mira a penalizzare fiscalmente il multi-proprietario che svolge affitti brevi su ampia scala, preservando in parte il piccolo locatore (che può mantenere l’aliquota inferiore almeno su un immobile). Si noti che la ritenuta operata dagli intermediari rimane comunque pari al 21% e a titolo di acconto, indipendentemente dal fatto che il locatore debba poi tassare al 26% parte dei redditi. Sarà il locatore, in dichiarazione, a calcolare l’imposta complessiva dovuta e versare l’eventuale differenza a saldo (oppure andare a credito) in base alle ritenute subite.
Limite di 4 immobili e attività d’impresa – Un altro pilastro della normativa (introdotto dalla L. 178/2020, Bilancio 2021) è la presunzione di imprenditorialità oltre una certa soglia. Se un privato concede in locazione breve più di 4 appartamenti per ciascun periodo d’imposta, l’attività si presume svolta in forma d’impresa. Questo significa che a partire da 5 immobili locati brevemente l’anno, il Fisco considererà il locatore un imprenditore del settore turistico-ricettivo, con obbligo di apertura della partita IVA, iscrizione al Registro delle Imprese, eventuale SCIA comunale e rispetto della normativa di pubblica sicurezza e categorie (come se gestisse una casa vacanze/affittacamere professionalmente). Sul piano delle imposte dirette, i proventi non saranno più dichiarati come redditi fondiari soggetti a cedolare, bensì come redditi d’impresa da riportare nel quadro RG/RF della dichiarazione. In tal caso il contribuente potrà eventualmente aderire a regimi agevolati d’impresa minore (es. regime forfettario al 15% se ricavi < €85.000, applicando il coefficiente di redditività previsto per le attività di alloggio). In ogni caso non si applica la cedolare secca oltre il quarto immobile, riservata espressamente ai locatori persone fisiche non imprenditori. Questa norma anti-evasione chiude la porta a chi, di fatto svolgendo un’attività ricettiva abituale con molte unità, vorrebbe restare nel regime fiscale “da privato”. Va sottolineato che la presunzione è relativa: in teoria il contribuente potrebbe tentare di provare che, pur avendo locato più di quattro immobili, l’attività non possiede i requisiti dell’imprenditorialità (abitualità, organizzazione). Di fatto però la legge impone l’obbligo di operare in forma d’impresa oltre la soglia, e a cascata sono previste sanzioni amministrative per chi non si adegua (ad esempio, multe da 2.000 a 10.000 € se non si presenta la SCIA comunale di inizio attività quando dovuto). Conviene quindi non sfidare tale presunzione.
Esempio pratico – privato vs. imprenditore: Tizio possiede 5 appartamenti in diverse città d’arte e li affitta su Airbnb per brevi soggiorni turistici. Pur essendo persone fisica, Tizio supera la soglia dei 4 immobili: in base alla legge, dal 5° immobile la sua attività si considera imprenditoriale. Ciò comporta che i relativi redditi non possano più godere della cedolare secca al 21-26%, ma andranno tassati come reddito d’impresa (aliquote IRPEF ordinarie, con possibilità di dedurre i costi inerenti). Inoltre Tizio dovrà aprire partita IVA (se non l’ha già per altri motivi) e adempiere agli obblighi civilistici e fiscali come operatore economico (fatturazione, anche se le locazioni abitative sono esenti IVA ex art. 10, DPR 633/72, salvo servizi aggiuntivi). Se Tizio ignorasse questi obblighi e continuasse a dichiarare (o a non dichiarare) i redditi come semplice privato, rischierebbe sia accertamenti fiscali che sanzioni amministrative: ad esempio, il Comune può multarlo fino a 10.000 € per mancata SCIA e l’Agenzia delle Entrate potrebbe riqualificare i proventi come d’impresa, recuperando IVA e IRAP eventualmente dovute oltre alle imposte dirette.
Tabella riepilogativa – Regimi fiscali per redditi da locazioni brevi:
Profilo | Locatore privato (fino a 4 immobili) | Locatore privato (oltre 4 immobili) | Locatore imprenditore (P.IVA) |
---|---|---|---|
Tassazione reddito | Cedolare secca 21% (26% dal 2° immobile) oppure IRPEF ordinaria (aliquota marginale su 95% del canone). Locatore sceglie regime più conveniente anno per anno. | Non consentito restare come privato: legge presume attività d’impresa dal 5° immobile. (In teoria, se prova assenza requisiti imprenditore potrebbe contestare, ma alto rischio). | Reddito d’impresa (IRPEF o IRES). Possibile regime forfettario (15% su 40% dei ricavi se requisiti). Cedolare secca non applicabile ai redditi d’impresa. |
Obblighi contabili | Nessuno specifico (regime privato). Se cedolare: comunicazione al conduttore di rinuncia aggiornamento canone (per contratti >30gg). | – | Tenuta registri contabili; fatturazione; dichiarazioni IVA/IRAP (se dovute); versamenti periodici imposte come per impresa. |
Adempimenti amministr. | Nessuno specifico (salvo comunicazione ospiti alla Questura e pagamento imposta soggiorno al Comune, obblighi comuni a tutti). | Oltre 4 immobili obbligo apertura P.IVA e segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) in Comune. | SCIA in Comune (classificazione attività ricettiva: es. affittacamere, casa vacanze); eventuale iscrizione INPS gestione commercianti (se attività prevalente). |
Vantaggi | Cedolare: aliquota fissa (spesso inferiore all’IRPEF), niente addizionali, niente imposta di registro/bollo. Semplicità di gestione (no P.IVA). | – | Possibilità di dedurre costi effettivi (manutenzione, arredi, ammortamenti); regime forfettario se piccolo; impresa familiare se coinvolge parenti, etc. |
Svantaggi | Cedolare: imposta dovuta anche se locazione in perdita, nessuna deduzione di costi specifici. IRPEF: aliquote alte se redditi elevati. In generale, capacity limitata (max 4 imm.) per restare nel privato. | – | Adempimenti complessi, costi amministrativi (IVA, commercialista). Se regime ordinario: tassazione potenzialmente più gravosa di cedolare (in assenza di molti costi da dedurre). |
Obblighi per intermediari e piattaforme (Airbnb, Booking ecc.)
Uno snodo fondamentale della normativa sugli affitti brevi è rappresentato dagli obblighi posti a carico degli intermediari immobiliari, inclusi i portali online. Dal 2017, infatti, la legge impone ai soggetti che intervengono nella conclusione o nel pagamento di contratti di locazione breve due obblighi principali:
- Comunicazione dei dati dei contratti: entro il 30 giugno dell’anno successivo, l’intermediario deve trasmettere all’Agenzia delle Entrate i dati relativi ai contratti di locazione breve conclusi per il suo tramite (dati anagrafici di locatore e conduttore, durata, importo del canone, indirizzo immobile, ecc.). La sanzione per omessa, incompleta o infedele comunicazione è da 250 a 2.000 euro per ciascuna annualità, ridotta alla metà se la trasmissione avviene con un ritardo non superiore a 15 giorni. Tali sanzioni sono a carico dell’intermediario (agenzia o portale); il locatore individuale non rischia sanzioni su questo aspetto, ma ovviamente subisce le conseguenze se i dati comunicati rivelano redditi non dichiarati.
- Applicazione della ritenuta fiscale del 21%: gli intermediari che incassano i canoni o intervengono nel pagamento (tipicamente i portali come Airbnb, Booking, Vrbo, etc. che gestiscono i pagamenti online) assumono il ruolo di sostituti d’imposta. All’atto di accredito del canone al locatore, devono operare una ritenuta del 21% sull’importo e versarla allo Stato entro il giorno 16 del mese successivo. Questa ritenuta è a titolo d’imposta sostitutiva se il locatore ha optato per la cedolare secca, oppure a titolo d’acconto IRPEF se il locatore è in regime ordinario. In pratica, il portale trattiene il 21% e poi il contribuente, in sede di dichiarazione, scomputa tale importo dalle tasse dovute (eventualmente versando un conguaglio se è in cedolare al 26% o in aliquota IRPEF più alta). L’intermediario deve certificare al locatore le ritenute effettuate (attraverso la Certificazione Unica). La mancata applicazione della ritenuta o il mancato versamento della stessa espone l’intermediario a una sanzione pari al 20% delle somme non trattenute (D.Lgs. 471/1997, art. 14) oltre all’obbligo di versare le imposte dovute e relativi interessi. Il locatore, dal canto suo, rimane responsabile per il pagamento dell’eventuale differenza d’imposta non coperta dalla ritenuta (ad esempio se la sua aliquota effettiva è 26% dovrà versare l’ulteriore 5%).
Queste norme, entrate in vigore a giugno 2017, hanno incontrato inizialmente resistenza da parte dei big del settore. In particolare, Airbnb (società con sede fiscale in Irlanda) sosteneva di non dover nominare un rappresentante fiscale in Italia né applicare la ritenuta, confidando nelle normative UE sullo scambio di informazioni (direttiva DAC7). Ne è nato un contenzioso legale che ha portato alla pronuncia della Corte di Giustizia UE citata (sentenza 22 dicembre 2022, C-83/21) in cui è stato stabilito che l’obbligo di ritenuta alla fonte imposto dalla legge italiana è compatibile con il diritto UE ed è vincolante anche per gli intermediari non stabiliti in Italia. Parallelamente, il Consiglio di Stato italiano (sent. n. 9188/2023) ha respinto definitivamente i ricorsi dei portali, confermando la piena legittimità dell’impianto normativo nazionale.
Il “caso Airbnb” – A seguito del pronunciamento europeo, l’Agenzia delle Entrate ha lanciato un maxi-accertamento su Airbnb e i suoi host. Sono stati individuati i proprietari che tra il 2017 e il 2021 hanno locato tramite Airbnb senza versare la cedolare secca del 21% dovuta sui canoni. L’operazione si è spinta fino a disporre un sequestro preventivo di 799,4 milioni di euro nei confronti di Airbnb Ireland, quale responsabile in solido per le imposte evase in qualità di sostituto inadempiente. La vicenda si è conclusa con un accordo transattivo: Airbnb ha pagato circa 576 milioni di euro, comprendenti 353 milioni di ritenute non operate (su circa 1,6 miliardi di canoni non dichiarati dagli host), oltre a sanzioni e interessi. Importante sottolineare che, secondo i dati emersi, altri 2,1 miliardi di canoni relativi allo stesso periodo erano stati regolarmente dichiarati dagli host nonostante Airbnb non avesse trattenuto nulla – segno che molti contribuenti avevano comunque adempiuto spontaneamente, mentre altri hanno omesso confidando (invano) nell’invisibilità dei flussi finanziari.
Conseguenze per gli host coinvolti: l’accordo tra Agenzia Entrate e Airbnb ha riguardato il pagamento delle imposte non versate dalla piattaforma in qualità di sostituto d’imposta, sgravando così (almeno in parte) i singoli host dal versamento di quelle somme per gli anni 2017-2021. Airbnb ha comunicato che non cercherà di recuperare tali importi presso gli host. Ciò non significa però che i proprietari inadempienti siano del tutto esonerati: formalmente restano responsabili per aver presentato dichiarazioni infedeli o omesso di dichiarare quei redditi. In teoria, il Fisco potrebbe contestare loro le sanzioni amministrative dovute per l’omessa dichiarazione, anche se l’imposta è stata assolta dal sostituto. In pratica, data la transazione globale, è possibile che l’Agenzia concentri gli sforzi sulle annualità successive rimaste scoperte (2022-2023) più che inseguire le posizioni pregresse saldate.
Anni 2022-2023 e ravvedimento operoso – L’accordo con Airbnb non copre i periodi d’imposta 2022 e 2023. Per tali annualità, Airbnb (così come altri portali) inizialmente non ha applicato ritenute, quindi gli host avrebbero dovuto autonomamente dichiarare e versare la cedolare secca sui canoni percepiti. Chi non lo avesse fatto è esposto ad accertamento. Airbnb, in un comunicato, ha invitato i propri host italiani non in regola a valutare il ravvedimento operoso entro il 28 febbraio 2024 (90 giorni dal termine di invio della Dichiarazione Redditi 2023) per sanare la posizione sul 2022 con sanzioni ridotte. Analogamente, per i corrispettivi 2023, fino alle scadenze di giugno-novembre 2024 si è ancora in tempo per evitare del tutto violazioni dichiarando il dovuto. In generale, chi si rende conto di aver omesso redditi da affitti brevi negli ultimi anni prima di ricevere contestazioni formali, farebbe bene ad attivarsi tramite ravvedimento (ne parleremo dettagliatamente più avanti).
Obblighi rafforzati dal 2024 – Come accennato, dalla legge di Bilancio 2024 il legislatore italiano ha anche adeguato la normativa alla luce della sentenza UE per quanto riguarda gli intermediari non residenti. Oggi tutti i portali, italiani o esteri, che facilitano affitti brevi in Italia sono tenuti a conformarsi: quelli privi di stabile organizzazione in Italia dovranno nominare un rappresentante fiscale oppure saranno comunque responsabili d’imposta per le ritenute da operare. Inoltre, grazie alla direttiva DAC7, dal 2023 è attivo un sistema europeo di reporting automatico dei redditi generati tramite piattaforme digitali: le piattaforme (come Airbnb) comunicano annualmente alle autorità fiscali (del proprio Paese e/o di quello di residenza dei venditori/locatori) i dati relativi ai ricavi degli utenti. Dunque l’Agenzia delle Entrate, oltre a ricevere i flussi dal portale stesso ai sensi della normativa domestica, può ottenere (e scambiare) informazioni attraverso canali comunitari, rendendo sempre più difficile “nascondere” gli affitti brevi al Fisco.
In sintesi, dal 2024 in poi l’ecosistema normativo è completo: i portali trattengono il 21% all’origine sui pagamenti degli host e comunicano i dati all’Agenzia Entrate; l’host in dichiarazione regolarizza eventuali differenze d’imposta (es. applicando 26% se dovuto); eventuali intermediari o portali inadempienti sono perseguibili direttamente dall’Erario; infine, incrociando i dati, il Fisco può facilmente individuare chi non presenta la dichiarazione o la presenta infedele. Tutto ciò – come vedremo nella prossima sezione – supportato da nuovi strumenti di controllo e da obblighi amministrativi complementari (come il Codice Identificativo Nazionale degli immobili).
Controlli fiscali sulle locazioni brevi: come il Fisco scopre gli affitti “in nero”
Banca dati delle locazioni brevi – Per contrastare l’evasione nel settore degli affitti turistici, il legislatore ha progressivamente costruito un quadro informativo molto dettagliato. Oltre alle comunicazioni annuali degli intermediari (vedi sopra), a partire dal 2025 è operativo il Codice Identificativo Nazionale (CIN) degli immobili destinati alle locazioni brevi. Si tratta di un codice univoco, attribuito tramite il portale del Ministero del Turismo, obbligatorio per ogni alloggio destinato agli affitti brevi. Dal 1° gennaio 2025 i proprietari devono richiedere il CIN per ciascun immobile e indicarlo in tutti gli annunci e le comunicazioni relative all’offerta (sia online che offline). L’obiettivo è creare una banca dati centralizzata di tutte le strutture destinate alle locazioni brevi, accessibile sia allo Stato che ai Comuni, facilitando i controlli incrociati. La mancata esposizione del CIN negli annunci o la locazione di un immobile privo di CIN comporta pesanti sanzioni amministrative (multe fino a 8.000 €). Inoltre, il CIN collega l’immobile al suo proprietario, rendendo più agevole per il Fisco abbinare i redditi dichiarati ai beni posseduti.
Incrocio delle banche dati – L’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza dispongono già oggi di una notevole mole di informazioni, che dal 2024-2025 verranno sfruttate tramite procedure di controllo incrociato automatizzato. Secondo quanto annunciato (e come risulta dalle prime circolari applicative), verranno utilizzati elenchi selettivi di contribuenti a rischio, costruiti incrociando varie fonti:
- Dati delle piattaforme online: i flussi comunicati da Airbnb, Booking e simili forniscono all’Agenzia l’elenco dei locatori, i relativi codici fiscali, gli immobili affittati e i compensi lordi percepiti ogni anno. Tali informazioni permettono di verificare immediatamente se un contribuente ha inserito quel reddito nella propria dichiarazione. A partire dal 2024, con l’obbligo di ritenuta, l’Agenzia riceverà anche i modelli F24 e le Certificazioni Uniche con le ritenute versate: un eventuale scostamento tra canoni comunicati e ritenute potrebbe far scattare controlli (ad esempio se un portale ha comunicato 10.000 € di incassi per Tizio ma non risultano versamenti di ritenute per quell’importo, significa che Tizio potrebbe aver affittato tramite altri canali o il portale non ha adempiuto).
- Informazioni catastali e di proprietà: il Fisco conosce esattamente gli immobili posseduti da ciascun contribuente (attraverso l’Anagrafe Immobiliare Integrata) e la loro ubicazione. Ciò consente di individuare potenziali case destinate ad affitti brevi, specie se situate in zone turistiche o se il proprietario non vi ha residenza. Verranno incrociati questi dati con le inserzioni online (anche sfruttando web scraping) per identificare gli immobili in affitto breve non dichiarati. Ad esempio, se Caio possiede un appartamento nel centro di Roma ma non risulta averlo mai locato in dichiarazione, mentre su Airbnb appare un annuncio corrispondente a quell’immobile, è molto probabile che Caio stia affittando “in nero”.
- Dati finanziari e pagamenti elettronici: tramite l’Anagrafe dei conti correnti, l’Agenzia può monitorare i movimenti bancari anomali. Accrediti ricorrenti da parte di Airbnb Ireland/Payments o da Booking.com sul conto di un privato sono facilmente riconoscibili e riconducibili a redditi da locazione breve. Anche i pagamenti con carte effettuati dai turisti possono lasciare tracce (ad esempio, transazioni POS o bonifici con causali legate ad affitti). Incrociando entrate sui conti e redditi dichiarati, eventuali discrepanze saltano all’occhio. Laddove il contribuente non fornisca giustificazioni convincenti, l’amministrazione può procedere ad accertamento induttivo basato sui flussi finanziari.
- Consumi elettrici, idrici e rifiuti: un metodo indiretto di individuazione è l’analisi dei consumi anomali di utenze per immobili teoricamente non affittati. Alcuni Comuni turistici hanno iniziato a segnalare all’Agenzia delle Entrate casi sospetti: ad esempio un appartamento risultato sfitto dai dati dichiarativi ma con consumi elevati di acqua/luce e con pagamento regolare dell’imposta di soggiorno da parte di diversi soggetti. Questi elementi suggeriscono un utilizzo turistico, attivando un controllo fiscale. La strategia annunciata prevede proprio il confronto tra i dati dei gestori di servizi (luce, gas, acqua) e le dichiarazioni fiscali per scovare affitti brevi non dichiarati. Anche l’incrocio con i dati delle imposte comunali (es. nettezza urbana TARI) può aiutare: se un proprietario paga la TARI con tariffa “domestica” ma di fatto l’immobile è usato come casa vacanze, il Comune può pretendere la tariffa “non domestica” (come tentato dal Comune di Milano in un caso poi ribaltato in giudizio).
- Dichiarazioni dei redditi e altre fonti: ovviamente il primo confronto è interno alla dichiarazione dei redditi del contribuente. Si controllerà se il contribuente ha dichiarato redditi fondiari o diversi compatibili con quelli segnalati dai portali. Inoltre potranno essere utilizzate informazioni provenienti dalle questure (registro degli alloggiati, dove i locatori devono comunicare le generalità degli ospiti entro 24 ore) e dalle banche dati comunali sull’imposta di soggiorno (ogni Comune turistico conserva i dati di chi versa l’imposta per ogni soggiorno). Anche segnalazioni e denunce di vicini o amministratori condominiali, in caso di problematiche legate agli affitti brevi, possono innescare verifiche (si pensi ai casi di condòmini che lamentano via vai di turisti e segnalano presunti affitti irregolari).
In sintesi, il Fisco ha affinato le armi digitali per “stanare” gli affitti brevi non dichiarati. Nell’autunno 2024 è prevista una vera e propria stretta operativa, con l’incrocio sistematico delle varie banche dati descritte. L’intento è individuare non solo chi non dichiara affatto i redditi da locazioni brevi, ma anche chi li sottodichiara (dichiarando importi inferiori al reale). Ad esempio, se un host ha percepito 20.000 € secondo Airbnb ma ne dichiara solo 5.000, verrà selezionato per un possibile accertamento. La presenza del CIN e delle altre tags informative renderà difficile sfuggire: ogni immobile turistico sarà tracciato e qualsiasi anomalia (immobile senza redditi o con redditi incongruenti rispetto alle presenze registrate) farà scattare l’allarme. I trasgressori rischiano non solo il recupero delle imposte evase, ma anche sanzioni amministrative pesanti e – nei casi più gravi – responsabilità penali (come vedremo nel prossimo paragrafo).
Focus sulle sanzioni amministrative introdotte nel 2024: Oltre alle sanzioni “fiscali” classiche per le imposte evase (trattate più avanti), vale la pena riepilogare le sanzioni amministrative extra-fiscali legate ai nuovi obblighi del settore affitti brevi, entrate in vigore tra fine 2024 e inizio 2025:
- Mancata richiesta della SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) pur avendo più di 4 immobili locati brevi: multa da € 2.000 a € 10.000. Questa sanzione è comminata dal Comune per esercizio abusivo di attività ricettiva. Si applica tipicamente se un soggetto locatore non imprenditore supera la soglia e continua senza aprire posizione d’impresa.
- Affitto di immobile senza Codice Identificativo Nazionale (CIN): multa da € 800 a € 8.000. Ogni immobile destinato ad affitti brevi deve avere un CIN dal 2025; l’assenza del codice (cioè la mancata registrazione sul portale ministeriale) viene sanzionata pesantemente.
- Omessa indicazione del CIN negli annunci: multa da € 500 a € 5.000. Anche se si possiede il CIN, occorre esporlo in ogni pubblicità o offerta dell’alloggio. L’obiettivo è far sì che ogni annuncio Airbnb/Booking riporti il codice, facilitando i controlli. La sanzione colpisce chi nasconde il CIN negli annunci (segno che forse non vuole far rintracciare l’immobile).
- Violazione requisiti di sicurezza: multa da € 600 a € 6.000. Dal 2024, normative del Ministero del Turismo richiedono dotazioni minime di sicurezza (es. rilevatori di fumo/gas, estintori) anche per gli affitti brevi (valevoli pure se si affitta una stanza in casa propria). I controlli, spesso a livello locale, prevedono sanzioni per chi non adegua gli immobili alle prescrizioni di sicurezza.
Queste sanzioni amministrative si aggiungono alle conseguenze fiscali e penali. Un proprietario che affitta in nero, ad esempio, potrà subire sia la multa per il CIN mancante, sia l’accertamento tributario per le imposte evase, configurandosi un quadro sanzionatorio complessivo molto oneroso.
L’accertamento fiscale: procedimento, imposte e sanzioni
Quando il Fisco, attraverso i controlli descritti, individua redditi da locazioni brevi non dichiarati o dichiarati solo in parte, attiva la procedura di accertamento fiscale. Dapprima, talvolta, il contribuente può ricevere una lettera di compliance: una comunicazione bonaria in cui l’Agenzia segnala le anomalie (es. “risultano percepiti redditi da locazione breve per X € non indicati in dichiarazione”) invitando a fornire chiarimenti o a presentare una dichiarazione integrativa. Se il contribuente ignora la comunicazione o le spiegazioni fornite non vengono ritenute sufficienti, si passa alla fase formale con l’emissione di un Avviso di Accertamento (talora preceduto da un PVC – processo verbale – se c’è stato un controllo della Guardia di Finanza sul campo).
Base imponibile e imposte dovute – In sede di accertamento, l’Agenzia delle Entrate quantifica i redditi di affitto breve non dichiarati. Se i dati provengono dalle piattaforme o da evidenze certe (bonifici, CU degli intermediari, ecc.), l’importo accertato corrisponderà ai canoni effettivamente percepiti. In mancanza di dati completi, il Fisco può procedere in via induttiva, ad esempio stimando i ricavi in base alle tariffe medie di zona moltiplicate per i giorni di locazione desumibili dalle recensioni online o dalle spese (energia, pulizie) sostenute. Una volta determinata la base imponibile occultata, vengono applicate le imposte dovute su tali redditi:
- IRPEF e addizionali: generalmente, se il contribuente non aveva esercitato l’opzione per la cedolare secca, l’accertamento calcolerà l’IRPEF secondo gli scaglioni ordinari sui redditi fondiari evasi. Le addizionali regionale e comunale saranno ricalcolate di conseguenza. Esempio: Caio non dichiara 10.000 € di affitti breve nel 2022; se il suo scaglione IRPEF marginale è 35%, il Fisco recupererà circa 3.500 € di IRPEF, più l’addizionale regionale (es. 1,5%) e comunale (es. 0,5%) su 10.000 € (cioè altri ~200 €). Totale imposta evasa ~3.700 €.
- Cedolare secca: se il contribuente avrebbe potuto optare per la cedolare ma non lo ha fatto in dichiarazione, la prassi dell’Agenzia (confermata dalla giurisprudenza di merito) è di considerare tardiva o omessa l’opzione, quindi di tassare comunque in via ordinaria IRPEF. In altre parole, chi non dichiara i canoni non può successivamente pretendere l’aliquota agevolata del 21%, a meno che effettui un ravvedimento e applichi la remissione in bonis pagando 250 € entro la presentazione della dichiarazione tardiva. Solo in alcuni casi particolari (es. mancata opzione in sede di proroga di un contratto) è consentito regolarizzare con sanzione lieve, ma per l’omissione completa la cedolare non è “recuperabile” a posteriori. Dunque il più delle volte l’accertamento liquiderà IRPEF e non cedolare. Fa eccezione il caso in cui il contribuente avesse manifestato l’opzione cedolare (ad esempio indicando erroneamente il canone zero in dichiarazione ma barrando la casella cedolare, oppure se c’è traccia di opzione nel contratto registrato): qui talvolta l’Agenzia riconosce in accertamento la cedolare, richiedendo il 21%/26% dovuto. In mancanza, però, la cedolare non si applica d’ufficio.
- Imposte sostitutive: se il reddito andava dichiarato come reddito diverso (ad esempio sublocazione da comodatario) la cedolare non è applicabile per legge. Quindi l’accertamento recupererà IRPEF su tale reddito (non fondiario ma “diverso”). Qualora invece l’attività venga riqualificata come d’impresa, l’IRPEF potrebbe essere sostituita dall’IRES (se il soggetto è una società) o comunque considerarsi dovuta IVA/IRAP se ne ricorrono i presupposti (affitti con servizi aggiuntivi assimilati all’attività alberghiera). Tali ipotesi complesse esulano dal tipico accertamento “standard”, ma vanno tenute presenti per i multi-host: ad esempio, un contribuente con 5 case non dichiarate può vedersi contestare non solo l’IRPEF, ma anche l’omessa apertura IVA e il mancato versamento dell’IVA al 10% sui corrispettivi (qualora il Fisco ritenga che stesse di fatto gestendo case vacanze con servizi para-alberghieri). Sono situazioni estreme, in cui è consigliabile farsi assistere da un legale tributario per circoscrivere l’addebito.
Sanzioni amministrative tributarie – Oltre alle imposte evase, l’accertamento comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie proporzionali, previste dal D.Lgs. 471/1997 e successive modifiche:
- Dichiarazione infedele: si configura quando il contribuente ha presentato la dichiarazione dei redditi omettendo di indicare una parte dei redditi (affitti brevi in questo caso) o indicandoli in misura inferiore al vero. La sanzione ordinaria è pari al 90% dell’imposta evasa relativa a quei redditi, elevabile fino al 180% nei casi più gravi (massima gravità o recidiva). Ad esempio, nell’ipotesi precedente di 3.700 € di IRPEF evasa, la multa base sarebbe ~3.330 €. Va ricordato che dal 2023 alcune sanzioni sono state rimodulate: per l’infedele dichiarazione sui canoni di locazione, la sanzione oggi è dal 180% al 360% dell’imposta (prima era 200-400%), ma ridotta se la violazione non incide sul reddito imponibile complessivo (casi particolari). In ogni caso, le cifre restano elevate.
- Omessa dichiarazione: se il contribuente non ha proprio presentato la dichiarazione annuale pur essendovi obbligato (ad esempio perché l’unico reddito era quello da affitti brevi, sopra la soglia minima imponibile), la sanzione è ancora più pesante: dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, con un minimo di 250 €. In passato era ancor più alta (fino al 480%), ma dal 2023 è stata uniformata al 240% fisso con minimo €500 per le locazioni non dichiarate in cedolare. Anche qui, se Caio non presentava affatto la dichiarazione su 3.700 € di IRPEF evasa, la multa base sarebbe 3.700*1,2 = 4.440 € (fino a un max di 8.880 € teorici).
- Omesso versamento: distinto dai precedenti, si ha quando il contribuente ha dichiarato il reddito ma non ha versato l’imposta dovuta (in tutto o in parte). La sanzione è il 30% delle imposte non pagate (art. 13 D.Lgs. 471/97). Nel contesto affitti brevi può capitare se uno dichiara i redditi ma poi non versa la cedolare o l’IRPEF entro le scadenze. Nell’accertamento, questa sanzione si cumula con quella da infedele solo se si tratta di due violazioni diverse (ad esempio, se Tizio ha dichiarato redditi parzialmente e anche non pagato su quelli dichiarati, rischia entrambe le multe). Tuttavia, se un reddito non è proprio dichiarato, prevale la sanzione da infedele/omessa dichiarazione, e quella da omesso pagamento si applica solo all’eventuale parte di imposta dichiarata ma non versata.
- Altre sanzioni: l’accertamento potrebbe includere una sanzione fissa per omessa registrazione del contratto se era contrattualmente dovuta (in affitti brevi <30gg non è obbligatoria, quindi non applicabile). Se il contribuente aveva optato per la cedolare in contratto ma non inviato la raccomandata di rinuncia agli aggiornamenti ISTAT al conduttore (obbligo per contratti lunghi, non per brevi), vi sarebbe una piccola sanzione (fine di 100 €), ma nei brevi questo passaggio non si pone. Inoltre, l’Ufficio può applicare il cumulo giuridico se ci sono più violazioni della stessa indole in anni diversi (unificando le sanzioni con aumento fino al doppio).
Interessi – Sulle somme dovute (imposte evase) vengono calcolati gli interessi moratori dal giorno in cui andavano versate (es. 30 giugno dell’anno successivo) fino alla data di pagamento o iscrizione a ruolo. Il tasso d’interesse legale è attualmente relativamente basso (2,00% annuo dal 1/1/2025), ma su diversi anni può sommarsi in maniera significativa. Gli interessi non sono in sé sanzione, ma servono a compensare il ritardo.
Esempio di calcolo sanzioni: Marco nel 2021 ha percepito €15.000 da locazioni Airbnb, che non ha dichiarato (aveva già altri redditi di lavoro). Se viene accertato nel 2025, l’Agenzia recupererà circa €15.000 * 25% = €3.750 di IRPEF evasa (ipotizzando Marco in scaglione medio), più €3.750 di sanzione base 100% (90% minimo = €3.375) per infedele dichiarazione, più interessi (circa 0,5% annuo medio * 4 anni ≈ €75). Totale ~ €7.200. Se Marco avesse potuto optare per cedolare al 21%, l’imposta sarebbe stata €3.150; non avendo optato, paga di più e subisce la sanzione. Se invece non avesse presentato affatto la dichiarazione (nessun altro reddito) la sanzione sarebbe 120%-240%, quindi almeno €4.500 solo di multa, e il totale oltre €8.300. E questo per un solo anno di evasione su un immobile: si immagini chi per vari anni e più immobili non ha dichiarato nulla – le cifre diventano ingenti, spesso superiori ai canoni incassati.
Profili penali – L’evasione fiscale legata agli affitti brevi, oltre una certa gravità, può integrare fattispecie di reato tributario ai sensi del D.Lgs. 74/2000. Due sono i reati potenzialmente configurabili nel caso di redditi non dichiarati:
- Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000): scatta quando si presenta una dichiarazione dei redditi omettendo elementi attivi o indicando elementi passivi fittizi, superando determinate soglie. In particolare la legge richiede che l’imposta evasa superi €100.000 per singola imposta e che l’ammontare non dichiarato superi il 10% di quanto dichiarato (oppure €2 milioni in valore assoluto). La pena prevista è la reclusione da 2 a 4 anni e 6 mesi. Nel caso degli affitti brevi, questo reato potrebbe configurarsi solo per grandi evasori: ad esempio chi, avendo altri redditi dichiarati, omette oltre 100k di imposte relative agli affitti (il che implica canoni evasi per centinaia di migliaia di euro). Non è il caso del piccolo proprietario, ma potrebbe diventarlo per soggetti con decine di immobili o per soggetti business che abbiano occultato redditi facendo finta di essere privati.
- Omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000): scatta quando un soggetto obbligato non presenta affatto la dichiarazione annuale, evadendo imposta oltre €50.000. La pena è la reclusione da 2 a 5 anni. Questa ipotesi potrebbe riguardare chi, avendo solo redditi da affitti brevi o comunque superando la no-tax area, non presenta il Modello Redditi: se l’imposta dovuta sugli affitti non dichiarati supera 50.000 €, scatta il penale. Ad esempio, un host che per più anni incassa 100.000 € annui di canoni e non dichiara nulla (cedolare dovuta ~21.000 €/anno) in due anni accumula 42.000 €, in tre anni supera 63.000 € di imposta evasa: se non ha dichiarato per quei tre anni, potrebbe rispondere di omessa dichiarazione plurima (o più violazioni annuali).
Da notare che sotto tali soglie l’evasione resta un illecito amministrativo (sanzioni pecuniarie) ma non penale. Dunque il proprietario medio che evade qualche migliaio di euro di tasse non rischia il carcere. Al contrario, chi gestisce una vera attività occultandola rischia anche penalmente.
Va aggiunto che la legislazione penale tributaria è stata recentemente modificata per incentivare il pagamento del dovuto: l’art. 13 del D.Lgs. 74/2000 prevede cause di non punibilità se l’imposta evasa viene interamente saldata (con sanzioni e interessi) prima che l’autore del reato abbia formale conoscenza di indagini a suo carico. In pratica, se un contribuente si autodenuncia e paga tutto spontaneamente (o anche dopo una contestazione ma prima che parta la denuncia penale), può evitare il processo penale. Questo è un forte incentivo a utilizzare il ravvedimento operoso o l’adesione all’accertamento prima che la Procura entri in gioco. Inoltre, la recente depenalizzazione di alcuni reati minori esclude, ad esempio, la punibilità penale dell’omesso versamento della cedolare secca in qualità di sostituto (caso Airbnb) se viene sanato entro certi termini.
Imposta di soggiorno – peculato o sanzione? Un cenno a parte merita la tassa di soggiorno, il tributo locale che i gestori di strutture ricettive (inclusi affittacamere e anche locatori privati in molte città) devono riscuotere dagli ospiti e riversare al Comune. In passato, alcuni proprietari che non versavano al Comune l’imposta di soggiorno riscossa erano stati perseguiti per peculato (appropriazione indebita di denaro pubblico), in quanto considerati incaricati di pubblico servizio. Su questo aspetto, però, è intervenuto il legislatore: dal 19 maggio 2020 il mancato versamento della tassa di soggiorno non è più reato penale bensì solo illecito amministrativo tributario. La Cassazione ha preso atto della depenalizzazione (es. sent. 9213/2022). Pertanto, oggi chi non versa la tassa di soggiorno rischia sanzioni amministrative (generalmente il Comune ingiunge il pagamento del dovuto più una sanzione pari al 30% come per omesso versamento tributi locali), ma non il procedimento penale per peculato. Attenzione però: la depenalizzazione opera solo dal 2020 in avanti; eventuali omessi versamenti anteriori a tale data potrebbero essere ancora contestati in sede penale, sebbene siano ormai rari i casi perseguiti.
Come difendersi: strumenti e strategie a disposizione del contribuente
Trovandosi di fronte a un accertamento fiscale su redditi da affitti brevi, il contribuente (assistito preferibilmente da un professionista, commercialista o avvocato tributarista) ha a disposizione diversi strumenti di difesa e opportunità per ridurre il danno e regolarizzare la propria posizione.
1. Ravvedimento operoso (prima dell’accertamento) – Il ravvedimento operoso è l’arma principale per chi si accorge spontaneamente di non aver dichiarato (o di aver dichiarato in parte) i redditi da locazione breve. Consiste nel presentare una dichiarazione integrativa e versare le imposte dovute con sanzioni ridotte proporzionalmente al ritardo, evitando così l’accertamento d’ufficio. Il ravvedimento è ammesso fino a quando l’irregolarità non sia già stata constatata o non siano iniziati accessi/ispezioni/verifiche notificati al contribuente. Dunque, se non si è ancora ricevuto un avviso, si può generalmente rimediare. Vediamo le casistiche:
- Affitti brevi non dichiarati affatto: se non è stata presentata proprio la dichiarazione dei redditi per quell’anno (omessa dichiarazione), si può rimediare presentando la dichiarazione entro 90 giorni dal termine (dichiarazione tardiva) con sanzione minima. Se sono passati più di 90 giorni, la dichiarazione è formalmente omessa e non più emendabile; tuttavia è comunque possibile versare le imposte dovute per attenuare le sanzioni future. In pratica, il consiglio è: presentare comunque la dichiarazione anche se oltre 90 giorni, pagando imposta, interessi e sanzione minima per omesso invio (€ 250), perché spesso l’Agenzia in tal caso considera la violazione sanata ai fini penali e attenuata ai fini amministrativi. Ad esempio, per l’anno 2022 il termine dichiarativo era 30/11/2023: inviando la dichiarazione entro il 28/02/2024 (90 gg dopo) è tardiva ma non omessa e si sanano le violazioni.
- Affitti brevi dichiarati in parte (dichiarazione infedele): se si è presentata la dichiarazione includendo altri redditi ma non quelli da locazione, si può presentare una dichiarazione integrativa per aggiungere i canoni omessi. La violazione è “dichiarazione infedele” e la sanzione base del 90% viene ridotta in funzione del ravvedimento. Le percentuali di ravvedimento, aggiornate dal 2023, sono ad esempio: entro 90 giorni dalla scadenza originaria si paga 1/9 della sanzione (quindi 10% circa); entro 1 anno 1/8 (12,5%); entro 2 anni 1/7 (~14,3%); oltre 2 anni 1/6 (~16,7%). Dunque, se Caio sanasse dopo 2 anni, pagherebbe circa il 15% di sanzione invece del 90%. In più c’è la sanzione del 30% sull’imposta per omesso versamento, anch’essa ravvedibile (ridotta a 1/8 del 30%, cioè 3,75% entro un anno, ecc.). Non serve memorizzare tutte queste frazioni: l’Agenzia delle Entrate mette a disposizione sul sito dei calcolatori di ravvedimento, oppure il professionista li calcola facilmente. L’importante è che col ravvedimento si risparmia molto rispetto alla sanzione piena, specialmente se non sono passati troppi anni.
In entrambi i casi occorre versare: imposta dovuta, interessi legali (dal giorno di scadenza al giorno di pagamento) e sanzione ridotta. Tutto va pagato spontaneamente tramite modello F24, utilizzando i codici tributo appropriati (ad esempio “TARES” per IRPEF da dichiarazione integrativa, ecc.) e indicando l’anno di riferimento. È opportuno poi conservare la documentazione ed eventualmente segnalare all’ufficio di essersi ravveduti se nel frattempo fosse arrivata qualche comunicazione.
Benefici del ravvedimento: oltre alle sanzioni ultraridotte, il ravvedimento esclude la punibilità penale (per le ragioni dette: nessuna contestazione, pagamento spontaneo) e toglie terreno all’Agenzia per futuri accertamenti, in quanto il contribuente ha già dichiarato quei redditi – eventualmente sarà emessa solo una liquidazione automatizzata per confermare il pagamento. Importante: per perfezionare il ravvedimento la dichiarazione integrativa va trasmessa e i versamenti effettuati prima che l’Agenzia notifi un formale avviso di accertamento o inviti a comparire. Se arriva solo una lettera di compliance, si può ancora ravvedersi (anzi, quella è un’opportunità offerta). Se arriva un PVC della Guardia di Finanza, tecnicamente l’irregolarità è già constatata e il ravvedimento integrale non è più ammesso (ma restano percorribili l’adesione o l’acquiescenza, vedi oltre).
Remissione in bonis (per opzioni tardive) – Un caso particolare: se l’unica violazione è di non aver comunicato un’opzione fiscale nei termini (ad esempio la scelta della cedolare secca in sede di registrazione del contratto o in dichiarazione), ma il contribuente ha comunque dichiarato il reddito, la legge consente di sanare l’omissione con la remissione in bonis. Consiste nel presentare l’atto omesso (es. la comunicazione di opzione) entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile, e pagare una sanzione fissa di €250. Nel contesto affitti brevi questo può applicarsi se, ad esempio, un contribuente ha registrato un contratto turistico >30gg senza optare per cedolare e vuole rimediare, oppure se ha dimenticato di indicare in dichiarazione la casella di cedolare ma ha comunque riportato il reddito. Con €250 si “riaprono i termini” per esercitare l’opzione. Attenzione: la remissione in bonis non si applica per sanare la mancata opzione dovuta a omessa dichiarazione del reddito stesso – in tal caso occorre usare il ravvedimento operoso classico. La remissione è pensata per violazioni formali o ritardi in comunicazioni quando sostanzialmente non c’è evasione di imposta.
2. Accertamento con adesione – Se invece l’accertamento è già stato notificato, oppure l’Ufficio ha convocato il contribuente per contradditorio, si può attivare la procedura di accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997). Questo strumento, su istanza del contribuente o su invito dell’ufficio, permette di definire bonariamente la controversia prima che diventi definitiva, attraverso un accordo sul quantum dovuto. I vantaggi dell’adesione sono notevoli:
- Riduzione delle sanzioni a 1/3 del minimo edittale. In pratica, se l’avviso prevedeva 90% di multa, con l’adesione si paga solo il 30%. Nell’esempio di Marco (sanzione 3.330 €), in adesione scenderebbe a ~1.110 €. Questo beneficio è alternativo alle riduzioni da ricorso (1/3 in caso di acquiescenza) e da ravvedimento (ormai non più esercitabile se c’è avviso), quindi conviene sfruttarlo in questa fase.
- Rateazione: l’importo concordato (imposte + interessi + sanzione ridotta) si può pagare fino a 8 rate trimestrali (16 rate se importo > €50.000). Ciò aiuta a diluire l’esborso.
- Chiusura rapida e niente lite: firmando l’atto di adesione, l’accertamento si perfeziona e non c’è contenzioso. L’ufficio rinuncia a ogni ulteriore pretesa per quel periodo e quelle materie. Si evita anche l’insorgenza di spese processuali e il rischio di condanna alle spese in caso di soccombenza.
Per avviare l’adesione, entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso il contribuente può presentare istanza all’ufficio; ciò sospende i termini per ricorrere (che riprenderanno se l’adesione fallisce). Segue un incontro col funzionario accertatore in cui si può discutere sia di questioni di fatto (es. rideterminare in parte il reddito accertato se ci sono errori evidenti) sia di aspetti sanzionatori (spesso il Fisco è disponibile a riconoscere attenuanti, es. non applicare il cumulo su più anni, ecc.). Se si raggiunge un accordo, viene redatto un verbale con il nuovo importo dovuto. Il contribuente deve versare la prima rata (o unica soluzione) entro 20 giorni, e l’atto di adesione ha efficacia di atto definitivo non più impugnabile da entrambe le parti.
L’adesione conviene soprattutto se il contribuente riconosce la fondatezza (almeno in gran parte) dell’accertamento e desidera limitare le sanzioni. Se invece si ritiene che l’accertamento sia infondato o eccessivo, e l’ufficio non è disposto a sostanziali riduzioni, potrebbe essere preferibile fare ricorso. Si tenga presente che, partecipare al contraddittorio dell’adesione non preclude comunque il successivo ricorso se non si firma l’accordo.
3. Ricorso e contenzioso tributario – Se non si aderisce (o se l’adesione non va a buon fine), l’alternativa è impugnare l’atto di accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria (nuova denominazione delle Commissioni Tributarie dal 2023). Il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (o dalla fine dei 60 gg sospesi se c’era istanza di adesione non perfezionata). Per importi fino a €50.000 è obbligatorio prima presentare un’istanza di mediazione/reclamo all’ufficio, che vale come ricorso se l’Agenzia non risponde o rifiuta nei 90 giorni successivi. Sopra 50k, si può ricorrere direttamente (con assistenza di un difensore abilitato se valore > 3.000 €).
In sede di contenzioso, le possibili linee difensive per un accertamento su affitti brevi possono essere:
- Contesting the facts: dimostrare che l’importo accertato è errato. Ad esempio, provare che alcuni versamenti considerati canoni in realtà erano cauzioni restituite o rimborsi spese non imponibili; o che l’immobile era affittato in condivisione e una quota andava a un comproprietario (dunque il reddito imputabile al ricorrente è inferiore). Può essere utile fornire documentazione bancaria, ricevute, contratti, e anche testimonianze (ad es. l’inquilino può testimoniare di aver pagato meno di quanto il Fisco suppone – la Cassazione ammette testimonianze nei giudizi tributari, specie se l’ufficio ne ha tenuto conto). Un caso notevole fu Cass. 16223/2014, dove la testimonianza dell’inquilino convinse i giudici che i canoni non dichiarati erano effettivamente percepiti e quindi legittimarono l’accertamento (in quel caso a sfavore del contribuente).
- Questioni giuridiche: contestare la corretta applicazione della norma. Esempio: eccepire che l’Agenzia avrebbe dovuto applicare la cedolare al 21% invece dell’IRPEF al 43% perché l’omessa opzione era dovuta a cause di forza maggiore, oppure sostenere l’inapplicabilità della presunzione imprenditoriale in un caso specifico (se ad es. 1 dei 5 immobili era all’estero o locato lungo >30gg). Oppure, nel caso di accertamenti “da studi di settore” o presuntivi (non comuni in questo ambito), contestare i criteri di calcolo. Attenzione: se la legge prevede esplicitamente qualcosa (come la presunzione oltre 4 immobili), sollevare eccezioni potrebbe avere scarso successo, a meno di profili di illegittimità costituzionale (difficili da far valere).
- Vizi procedurali: verificare se l’accertamento rispetta tutti i crismi legali. Ad es., per annualità entro il 2017 occorreva il contraddittorio endoprocedimentale per alcuni accertamenti; oppure controllare se sono stati violati i termini di decadenza. Il Fisco ha un limite per notificare gli avvisi: di regola 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui andava presentata la dichiarazione (ad es. per redditi 2019, fino al 31/12/2025), che diventano 7 anni in caso di omessa dichiarazione. Se l’avviso arriva oltre questi termini, è nullo (salvo cause di raddoppio termini per reato, che però richiedono denuncia entro i termini normali). Anche errori di notifica (atto non ricevuto correttamente) o mancanza di motivazione sufficiente possono essere motivi di annullamento.
- Rideterminazione sanzioni per buona fede: Le sanzioni amministrative, in sede giudiziale, possono essere annullate o ridotte se si dimostra la presenza di obiettive condizioni di incertezza normativa o altre esimenti (es. il contribuente poteva ragionevolmente ritenere di non dover tassare quell’introito, magari perché mal consigliato da fonti autorevoli). Nel contesto affitti brevi questo è raro (la normativa è abbastanza chiara), ma non impossibile: un esempio potrebbe essere il caso in cui la Cassazione cambi interpretazione su un tema (vedi infra cedolare per società) e il contribuente si era adeguato alla vecchia prassi – qui le sanzioni potrebbero essere tolte per incertezza.
Affrontare un ricorso richiede competenze tecniche: è consigliabile farsi rappresentare da un avvocato tributarista o commercialista esperto. Se però le somme in ballo sono modeste, a volte la stessa Agenzia, dopo un primo grado, può transigere (specie con le nuove norme di concilizione agevolata e definizione liti pendenti introdotte nel 2023). Nel 2023 ad esempio era possibile chiudere le liti pendenti con sanzioni ridotte al 3% o 5% e pagamento dell’imposta, ma queste sono misure occasionali.
4. Acquiescenza e definizioni agevolate – Un’altra opzione, se non si vuole né aderire né ricorrere, è fare acquiescenza all’accertamento: cioè accettare l’atto così com’è, pagando entro 60 giorni. In tal caso è prevista una riduzione delle sanzioni a 1/3 (simile all’adesione). Tuttavia, l’acquiescenza implica rinuncia totale al contenzioso (diventa definitiva) e va valutata solo se l’accertamento è corretto e magari l’ufficio non ha concesso adesione (o il contribuente vuole chiudere subito). Spesso si preferisce l’adesione perché consente comunque una trattativa su numeri e rateazione, ma l’acquiescenza è un’alternativa se l’ufficio non vuole/passa i 60 giorni.
Periodicamente, poi, le leggi di bilancio prevedono sanatorie o definizioni agevolate (come la “rottamazione” delle cartelle, la definizione delle liti pendenti ecc.). Ad esempio, con la L. 197/2022 (Bilancio 2023) chi aveva una lite tributaria in corso su materie come questa poteva chiudere pagando solo il 100% dell’imposta e il 5% di sanzioni. Occorre stare attenti a queste finestre di opportunità che il legislatore offre di tanto in tanto, perché consentono di chiudere i conti col Fisco a condizioni vantaggiose. Chi si trova in piena fase di accertamento nel 2025 terrà d’occhio eventuali norme in Legge di Bilancio 2026, ad esempio.
Consigli pratici al contribuente (debitore):
- Non ignorare le comunicazioni: se ricevete una lettera di compliance o un invito a comparire, affrontatelo subito contattando un consulente. Ignorare può portare a un accertamento d’ufficio più severo.
- Valutare costi-benefici del ricorso: se avete chiaramente torto (affitti non dichiarati) e l’importo non è enorme, spesso aderire o pagare con sanzioni ridotte è più conveniente che imbarcarsi in un ricorso lungo e costoso che difficilmente si vince. Viceversa, se ci sono buoni argomenti difensivi (es. errore di persona, doppia imposizione, importo gonfiato) vale la pena fare ricorso.
- Documentare tutto: nel settore affitti brevi, la tracciabilità è alta. Conservate estratti conto, ricevute, email con gli ospiti, calendari delle prenotazioni, così da poter dimostrare l’effettivo periodo e importo degli affitti in caso di contestazione (ad esempio se l’Agenzia ipotizza 100 giorni locati ma voi ne avete fatti 60, i dati Airbnb o le recensioni online potranno aiutarvi a contestare).
- Prevenire è meglio: se ad oggi (2025) avete in passato omesso qualcosa, il ravvedimento operoso immediato è caldamente consigliato. Il quadro normativo e tecnologico è ormai tale che prima o poi quei redditi verranno alla luce. Ravvedersi costa molto meno che farsi accertare, e consente di dormire tranquilli evitando rischi penali.
- Chiedere la rateazione: in accertamento concluso, se l’importo è elevato e non riuscite a saldare, ricordate che esiste la possibilità della rateazione ordinaria delle cartelle esattoriali (fino a 72 rate mensili, oltre 6 anni, o 120 rate in casi straordinari). Meglio rateizzare che cadere in morosità e subire fermi, ipoteche o pignoramenti da parte dell’Agente della Riscossione (ex Equitalia).
Esempio di difesa riuscita: Il sig. Rossi riceve un avviso che gli contesta €8.000 di redditi Airbnb non dichiarati nel 2020. In realtà Rossi aveva affittato solo una stanza della sua abitazione principale, per periodi saltuari (120 giorni in tutto). L’accertamento presume reddito più alto perché ha stimato l’intero appartamento affittato 180 giorni. Rossi, con l’aiuto di un avvocato, raccoglie le prove: bollette che mostrano consumi elevati solo per 4 mesi, recensioni sul portale, e il fatto che lui risiedeva lì nello stesso periodo. Inoltre, eccepisce che quei redditi (essendo stanza in casa sua) avrebbero potuto godere di cedolare al 21%. In fase di adesione, l’ufficio, di fronte alle evidenze, riduce la base imponibile a €5.000 (riconoscendo che non tutti i giorni c’era ospite). Applica la cedolare 21% su accordo (anche se Rossi non l’aveva indicata, per chiudere l’adesione spesso acconsentono) e riduce le sanzioni a 1/3. Rossi finisce per pagare circa €1.050 tra imposta e multa, anziché i quasi €4.000 inizialmente pretesi. Ha dunque “vinto” almeno in parte dimostrando la situazione reale.
Domande frequenti (FAQ)
Q: I redditi da affitti brevi sono sempre imponibili?
A: Sì, in Italia qualsiasi importo percepito per l’affitto di un immobile o parte di esso è reddito tassabile. Non esiste una soglia di esenzione specifica per i canoni di locazione (al di fuori delle esenzioni generalissime come il caso di reddito complessivo sotto circa 8.000 € annui, ma anche in quel caso andrebbero comunque dichiarati). Anche se si affitta occasionalmente o per pochi giorni all’anno, i proventi vanno dichiarati. L’unica differenza è il regime fiscale applicabile (cedolare secca opzionale o IRPEF ordinaria). La leggenda che “se affitto meno di 30 giorni non pago tasse” è falsa – i 30 giorni rilevano solo per la registrazione del contratto, non per la tassazione.
Q: Come faccio a dichiarare i redditi da Airbnb/Booking? Ho una CU o devo arrangiarmi?
A: Dipende. Dal 2021 in poi, se hai affittato tramite un portale che ha applicato la ritenuta del 21%, dovresti ricevere una Certificazione Unica (CU) dall’intermediario entro marzo dell’anno seguente, che riepiloga i compensi lordi e le ritenute subite. In tal caso, puoi facilmente riportare i dati in dichiarazione: i redditi vanno nel quadro RB (redditi fondiari da fabbricati, se sei proprietario) oppure RL (redditi diversi, se sublocazione), indicando l’opzione per cedolare se vuoi tassarli al 21%/26%. Le ritenute subite vanno indicate nel quadro di liquidazione in modo da scalare l’importo già pagato. Se invece il portale non ha applicato ritenute (come Airbnb fino al 2023), non avrai CU: devi comunque calcolare e dichiarare i redditi autonomamente. Puoi usare i riepiloghi di prenotazioni della piattaforma (Airbnb fornisce un prospetto annuale degli incassi lordi e delle commissioni pagate). Attenzione: il reddito da dichiarare è il canone lordo pagato dall’ospite, non l’importo netto accreditato (su cui il portale ha trattenuto la propria commissione). Ad esempio, ospite paga €100, Airbnb trattiene €3 e ne versa €97: tu devi dichiarare €100 di reddito e puoi dedurre la commissione solo se sei in regime d’impresa. Da privato non puoi dedurla, ma in pratica se opti per cedolare paghi 21% di 100. Se vai in IRPEF, dichiari 100 e la commissione di Airbnb resta un tuo costo non deducibile. Riassumendo: se hai percepito redditi da affitto breve, devi inserirli in dichiarazione (730 o Modello Redditi) nell’apposito quadro, con o senza CU.
Q: Ho affittato la casa vacanze di mia proprietà per 2 mesi totali l’anno scorso, devo aprire partita IVA?
A: No, con soli 2 mesi (anche fosse ogni anno) e un unico immobile non è richiesta l’apertura di partita IVA. La partita IVA è obbligatoria solo se l’attività viene considerata imprenditoriale, il che – stando alla normativa vigente – avviene presuntivamente quando si affittano più di 4 immobili nello stesso anno. Se tu hai una sola casa vacanze che affitti per brevi periodi, sei nei limiti dell’attività privata. Ciò indipendentemente dal numero di giorni o dall’importo (puoi anche affittarla 365 giorni l’anno, se formalmente fai contratti brevi non consecutivi, resti privato finché è un solo immobile – tuttavia se affitti continuativamente per l’intero anno la stessa casa a rotazione di ospiti, l’Agenzia potrebbe comunque argomentare l’abitualità di fatto. Ma normalmente ci si attiene al criterio numerico dei 4 immobili). Quindi no IVA, no registro imprese: dovrai solo dichiarare i redditi percepiti e assolvere gli obblighi fiscali come privato (cedolare/IRPEF). Tieni però presente gli obblighi locali: molti Comuni richiedono anche ai privati di comunicare l’inizio dell’attività di locazione turistica (spesso con moduli semplificati, non una SCIA commerciale) e di munirsi di eventuali codici identificativi regionali o nazionali (CIN) per l’alloggio.
Q: Cedolare secca o tassazione ordinaria: cosa mi conviene per gli affitti brevi?
A: Nella maggior parte dei casi conviene la cedolare secca, perché l’aliquota del 21% (o 26% dal secondo immobile) risulta inferiore alle aliquote IRPEF medie, e si evitano addizionali locali. Inoltre, nella cedolare non paghi l’imposta di registro sul contratto (anche se per i brevi <30gg di base non è dovuta comunque) e non dichiari il reddito ai fini ISEE. La tassazione ordinaria IRPEF su un affitto breve è raramente vantaggiosa, a meno che tu abbia aliquote IRPEF molto basse (es. reddito complessivo sotto 15.000 € annui) e spese deducibili altrove che ti riducono l’imponibile. Ricorda che in ordinario puoi tassare solo il 95% del canone (deduzione forfetaria 5%): su 1000 € paghi tasse su 950 €. Con cedolare paghi su 1000 € al 21%. Esempio: con aliquota IRPEF 23%, tasse ordinarie = 23%*950 = 218,5 €; con cedolare = 210 € – cedolare vince di poco. Con aliquota 43%, ordinarie = 408,5 €, cedolare = 210 € – cedolare stravince. Quindi solo se sei proprio nelle fasce basse la differenza è sottile. Un caso dove potresti considerare l’ordinario è se quell’immobile ti dà spese alte che in IRPEF potresti portare a perdita con altri immobili (es. se resta sfitto parte dell’anno generando deduzione con la rendita catastale). Ma per brevi periodi la rendita non deducibile si conteggia solo per i giorni non affittati eccedenti i 30 gg totali, per cui raramente conviene. In sintesi: cedolare secca in quasi tutti i casi per i privati, salvo valutazioni personalizzate con un fiscalista.
Q: Se non ho dichiarato i redditi Airbnb passati, posso rimediare ora?
A: Sì, tramite il ravvedimento operoso. Come spiegato, se non hai ancora ricevuto un avviso formale, puoi presentare dichiarazioni integrative per gli anni non dichiarati (fino a 5 anni indietro di norma) e pagare imposte e sanzioni ridotte. Ad esempio, se nel 2022 hai percepito redditi non dichiarati, hai tempo fino al 31/12/2025 per ravvederti prima che l’anno cada in decadenza (il Fisco ha tempo fino al 2027 per accertarlo in caso di omessa dichiarazione, quindi conviene farlo prima possibile). Il ravvedimento entro 2 anni dall’omissione riduce la multa a circa 1/7 del 90% = 12,8%. Sul 2022 potresti ancora rientrare con ~15% di sanzione. Se aspetti di essere scoperto, pagheresti 90% pieno. Quindi conviene eccome. Ricorda che dal 2020 l’Agenzia ha cominciato a inviare lettere di compliance agli host: molti hanno ricevuto avvisi bonari segnalanti i redditi 2017-2018 non visti in dichiarazione, con invito a ravvedersi. Non ignorare questi avvisi: se li hai avuti e non hai reagito, l’accertamento sarà questione di tempo.
Q: Airbnb e Booking comunicano i miei dati al Fisco?
A: Assolutamente sì (oramai). Dal 2017 i portali dovrebbero trasmettere ogni anno all’Agenzia delle Entrate i dati dei contratti conclusi tramite la loro piattaforma. Alcuni, come Airbnb, hanno fatto resistenza in passato, ma dopo le sentenze e l’accordo, dal 2024 Airbnb trattiene l’imposta e segnala gli importi. Booking già da prima comunicava i dati (anche se non fungeva da sostituto d’imposta perché spesso il pagamento è diretto tra ospite e host). Inoltre, con la normativa UE DAC7, dal 2023 tutte le piattaforme digitali (anche estere) comunicano i ricavi degli utenti alle autorità fiscali. Pertanto l’Agenzia delle Entrate ha, o avrà a breve, il pieno quadro di quanto hai guadagnato tramite questi siti. Anche i flussi finanziari verso il tuo conto corrente sono tracciati. Insomma, non dare per scontato che quei redditi passino inosservati. Molti controlli sono partiti già nel 2018-2019 incrociando i dati delle questure (registrazione ospiti) con le dichiarazioni. Oggi gli strumenti informativi sono ancor più precisi.
Q: Ho affittato a un’azienda (o titolare di P.IVA) che usava l’appartamento per i suoi dipendenti. Posso fare cedolare secca?
A: Tema dibattuto. La legge istitutiva della cedolare (D.Lgs. 23/2011) richiede che l’immobile sia “ad uso abitativo” e la locazione “effettuata per finalità abitative”. Per anni l’Agenzia Entrate ha negato la cedolare se il conduttore era persona giuridica (società) o professionista con P.IVA, sostenendo che in tal caso la finalità non fosse “abitativa” in senso stretto. La Corte di Cassazione però ha smentito questa interpretazione, con più pronunce nel 2022-2025: ad esempio la sentenza n. 12395 del 7/5/2024 ha stabilito che anche se l’inquilino è un’impresa o un professionista, la cedolare secca si applica ugualmente purché l’immobile sia destinato ad uso abitativo (es. foresteria per dipendenti, casa in locazione a socio). Quindi sì, è possibile applicare la cedolare secca pure se il tuo affittuario è una società o una persona con P.IVA, a condizione che il contratto specifichi l’uso abitativo (non ufficio) e sia effettivamente destinato a casa di persone (non subaffittato a terzi o usato come sede). Questa apertura giurisprudenziale è molto rilevante: in caso di contestazione, si può richiamare la giurisprudenza favorevole. Va detto che riguarda maggiormente contratti tradizionali 4+4 o transitori; negli affitti brevi è raro avere aziende come conduttori, ma può capitare con business travel (es. società che affitta un appartamento per alloggiare un manager in trasferta per 3 mesi). In tal caso, secondo Cassazione, il locatore può optare per cedolare.
Q: Quanto indietro nel tempo può andare l’Agenzia a cercare affitti non dichiarati?
A: Può tornare fino a 5 anni indietro dall’anno in cui la dichiarazione andava presentata, oppure 7 anni se non hai proprio presentato la dichiarazione. Più precisamente, il termine di decadenza per l’accertamento IRPEF è il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione (o in caso di omessa, quinto anno successivo a quello in cui avresti dovuto presentarla). Ad esempio, per redditi 2020 (dichiarazione 2021): fino al 31/12/2026 se dichiarazione presentata, o 31/12/2027 se omessa. In presenza di reato tributario, un tempo i termini raddoppiavano, ma oggi il raddoppio opera solo se la denuncia penale è presentata entro i termini ordinari (in pratica estende di due anni, quindi 7 anni dichiarato, 8 omesso). Quindi, nel 2025 l’Agenzia può accertare redditi dal 2020 in poi (dichiarati) o dal 2019 (se omessi). Per il 2018 e precedenti ormai è tardi, salvo casi di reato con denuncia entro fine 2023 (improbabile per affitti brevi a meno di grandissima entità). Tuttavia, attenzione: se hai presentato la dichiarazione ma “dimenticato” i redditi da affitto breve, quella è dichiarazione infedele – termine 5 anni. Se non l’hai presentata proprio – termine 7 anni. Quindi non contare troppo sulla prescrizione: l’Agenzia ha abbastanza tempo e di solito agisce prima se ha i dati (es. molte lettere compliance 2017-2018 sono arrivate già nel 2020).
Q: Cosa rischio in concreto se ho affittato in nero? Il Fisco mi può pignorare casa o mettermi in galera?
A: In concreto, rischi una pesante sanzione pecuniaria e il recupero delle imposte non pagate, come ampiamente spiegato sopra. Il Fisco potrebbe notificarti una cartella esattoriale dopo l’accertamento: se non la paghi, si può procedere con strumenti coattivi (fermo auto, pignoramento conti, ipoteca sull’immobile, ecc.), ma solo per riscuotere le somme dovute. Non c’è confisca dell’immobile per così dire punitiva, c’è semmai l’ipoteca a garanzia del credito se il debito supera €20.000. Quanto al carcere, come visto la sfera penale scatta solo per evasioni molto elevate (oltre 50k € di imposta evasa). Un singolo proprietario con 1-2 case che non dichiara affitti di solito non raggiunge tali soglie, a meno che non siano immobili di lusso con redditi enormi. Diverso se uno ha 10 case e per anni non ha dichiarato nulla: lì sì, potrebbe accumularsi e potrebbe partire una denuncia per dichiarazione fraudolenta/omessa. Ma in genere l’Agenzia prima ti accerta fiscalmente; il penale segue il suo corso a parte e richiede la prova dell’intento di evadere oltre soglia. Quindi, per l’host medio, la galera è uno scenario remoto. Il vero deterrente sono le multe e gli interessi che possono azzerare i guadagni fatti e prosciugare risparmi. Ciò detto, ignorare ripetutamente il Fisco può portare a guai: se ti contestano anni di evasione e tu non paghi né ti attivi, accumuli cartelle e potresti trovarti con il conto bloccato o l’immobile ipotecato e all’asta dopo vari anni di inazione. È importante quindi affrontare subito la situazione, anche per evitare escalation.
Q: Ho letto di casi in cui l’inquilino ha testimoniato contro il proprietario che affittava in nero. Possono usare le testimonianze contro di me?
A: Sì, in un eventuale contenzioso tributario vale anche la prova testimoniale (dal 2015 è ammessa nel processo tributario, sebbene con qualche limitazione). Inoltre la Guardia di Finanza in fase di indagine può raccogliere dichiarazioni da parte degli inquilini/ospiti. In alcuni casi, come la Cass. 16223/2014 citata, la testimonianza dell’inquilino fu decisiva per confermare l’evasione. È poco probabile però che il Fisco vada a disturbare i tuoi ospiti Airbnb uno ad uno: di solito ha altre prove (pagamenti, dati del portale). Ma se ad esempio neghi di aver percepito un certo importo, l’Agenzia potrebbe chiamare l’ospite a confermare quanto ha pagato realmente. Quindi sì, la testimonianza è utilizzabile. In sede penale, poi, la testimonianza è prova regina: se si arrivasse a un procedimento penale, la Procura potrebbe convocare ex-ospiti o vicini per dimostrare l’abitualità o i pagamenti in contanti.
Q: Dopo quanti giorni un affitto non è più “breve”?
A: Per legge, breve è fino a 30 giorni. Quindi se stipuli un contratto di durata 31 giorni o più, quello non rientra nella disciplina delle locazioni brevi (cedolare al 21% non applicabile a quel contratto se il conduttore è società, e obbligo di registrazione del contratto entro 30 giorni). Ad esempio, un contratto transitorio di 3 mesi non è “breve” in senso tecnico: va registrato, e se vuoi cedolare devi seguire le regole normali dei contratti lunghi. Tuttavia, attenzione: la definizione “breve” riguarda il singolo contratto. Non c’è un limite al numero di contratti brevi stipulabili nello stesso immobile nell’anno (a parte il limite dei 4 immobili per l’impresa). Quindi puoi fare 10 contratti da 1 settimana ciascuno, sempre breve rimane. Il limite di 30 giorni vale anche per eventuali proroghe: se il contratto originario era di 20 giorni ma poi l’ospite resta altri 15 con accordo verbale, di fatto è un unico rapporto di 35 giorni – formalmente due contratti, ma il Fisco potrebbe riqualificarli come uno solo >30gg se ravvisa un abuso (non comune, però in teoria è possibile se vede stesso ospite senza interruzione). In sintesi: 30 giorni per singolo contratto.
Q: Devo pagare IVA o emettere fattura per gli affitti brevi?
A: No se operi come privato: la locazione di immobili abitativi da parte di privati è fuori dal campo IVA (operazione esente ex art. 10 DPR 633/72). Non devi fatturare né addebitare IVA all’ospite. Se però sei un’impresa (es. società immobiliare, o hai aperto P.IVA come ditta individuale per affitti brevi oltre 4 immobili), allora la cosa dipende: se dai in locazione pura un immobile ammobiliato senza servizi accessori tipici, puoi continuare a trattarla come esente IVA (molte case vacanze gestite da imprese optano per l’esenzione art. 10). Se però fornisci servizi tipici dell’attività alberghiera (colazione, pulizia giornaliera, reception, cambio biancheria durante il soggiorno), l’operazione potrebbe configurarsi come prestazione di alloggio soggetta a IVA al 10%. In pratica, le case vacanze imprenditoriali spesso offrono solo alloggio e pulizia iniziale, restando in esenzione IVA. I B&B/affittacamere imprenditoriali che offrono colazione e pulizie rientrano nel regime delle strutture ricettive e dovrebbero applicare IVA 10%. Questo è un punto tecnico: per il privato comunque è irrilevante, non deve applicare IVA (e non può detrarre l’IVA sulle spese). Il privato non emette fattura ma può rilasciare una ricevuta non fiscale all’ospite se questi la chiede (es. per rimborso spese), indicando che trattasi di locazione esente IVA art. 10. Se l’ospite è un’azienda che vuole fattura, si può spiegare che il locatore è privato e rilascia ricevuta semplice di locazione.
Q: L’Agenzia delle Entrate può controllare anche se ho versato la tassa di soggiorno?
A: Sì, benché la tassa di soggiorno sia un tributo comunale, negli ultimi anni c’è collaborazione tra Comuni e Agenzia Entrate. Alcuni Comuni trasmettono all’Agenzia gli elenchi di chi ha versato la tassa di soggiorno e quanto, per incrociarli con i redditi dichiarati (se hai tot presenze per cui hai pagato la tassa, ci si aspetta tot euro di incassi da affitti). Inoltre, se non versi la tassa, il Comune stesso può inviarti un avviso di accertamento locale con sanzione e interessi. Dal 2020 in poi, non c’è più il penale (peculato) ma resta l’obbligo di pagare. La Guardia di Finanza durante le verifiche controlla anche questo aspetto: se risultano imposte di soggiorno non versate, le contesterà e segnalerà al Comune competente. Quindi conviene mettersi in regola anche col Comune. Alcuni grandi portali (es. Airbnb in molte città) riscuotono direttamente la tassa di soggiorno dall’ospite e la riversano al Comune, facilitando la vita ai locatori. Se il tuo Comune ha questa convenzione, verifica che Airbnb abbia effettivamente versato (di solito sì, e appare nelle transazioni come voce separata non inclusa nei ricavi). Se invece devi arrangiarti tu, ricordati di presentare le dichiarazioni trimestrali/annuali al Comune e di pagare l’importo dovuto per notte per persona, secondo il regolamento locale.
Q: Cosa contiene la “Guida Locazioni brevi” dell’Agenzia Entrate?
A: L’Agenzia Entrate pubblica periodicamente una brochure informativa intitolata “Locazioni brevi: la disciplina fiscale e le regole per gli intermediari”. L’ultima edizione aggiornata ad agosto 2024 recepisce proprio le novità di cui abbiamo parlato (aliquota 26%, obblighi DAC7, ecc.). La guida illustra in modo chiaro le definizioni, come si dichiarano i redditi, esempi pratici, e dedica molto spazio agli obblighi dei portali (ritenuta e comunicazione). Se operi nel settore, vale la pena leggerla: la trovi sul sito dell’Agenzia, sezione “L’Agenzia Informa”. Ricorda che spesso le guide semplificano, per dubbi specifici meglio le circolari (es. la circolare 24/E del 2017 e la 10/E del 2024 sono i riferimenti tecnici principali).
Q: Gli affitti brevi possono essere vietati dal condominio o dal Comune?
A: Domanda non fiscale ma importante. La giurisprudenza recente dice: il Comune non può vietare in modo assoluto gli affitti brevi se svolti in forma non imprenditoriale (Consiglio di Stato n. 6227/2022 ha annullato un regolamento che li limitava). Può però regolamentare con obbligo di comunicazione, CIN, ecc. Il condominio: un regolamento contrattuale (accettato da tutti i condomini o dall’originario unico proprietario) può prevedere un divieto di destinare gli appartamenti ad attività ricettiva o locazioni brevi. La Cassazione ha confermato che se tale divieto è scritto nel regolamento contrattuale, è valido e vincolante. Ma un regolamento approvato a maggioranza non basta a vietare gli affitti brevi di per sé (può semmai regolare l’uso delle parti comuni, orari check-in, etc.). Quindi verifica il regolamento condominiale: se c’è una clausola esplicita di divieto ad affittare a fini turistici, potrebbe costituire un ostacolo (fatti consigliare da un legale in tal caso, perché la distinzione tra uso abitativo e turistico è sottile e potrebbe essere impugnabile quella clausola). In assenza di divieti espliciti, gli altri condomini non possono impedire le locazioni brevi, purché chi affitta rispetti le regole di buon vicinato e il contratto di condominio.
Esempi pratici di accertamenti e difesa
Di seguito presentiamo alcuni scenari tipici riguardanti accertamenti fiscali su affitti brevi, con l’illustrazione di come potrebbe procedere l’Agenzia delle Entrate e quali strumenti avrebbe il contribuente per difendersi o rimediare.
Caso 1: Host occasionale non dichiarante
- Scenario: Maria possiede un bilocale a Firenze che ha affittato su Airbnb in alcuni weekend del 2022, incassando complessivamente €5.000. Non avendo altre fonti di reddito oltre a uno stipendio part-time, Maria pensava che quei proventi “non contassero” o fossero esenti, per cui non li ha indicati nella dichiarazione dei redditi 2023. Nell’ottobre 2024 Maria riceve una lettera di compliance dall’Agenzia Entrate: risulta che Airbnb ha comunicato per il 2022 canoni per €5.000 a suo nome, ma la sua dichiarazione non li riporta. Le viene chiesto di verificare e correggere.
- Accertamento: Se Maria ignora la lettera, l’Agenzia potrebbe emettere un avviso di accertamento a fine 2024 con recupero di circa €1.150 di IRPEF (aliquota media circa 23% su 5.000) più sanzione 90% (€1.035) più interessi. Totale intorno a €2.300.
- Difesa: Maria ha varie opzioni. La migliore sarebbe reagire subito alla lettera: presenta una dichiarazione integrativa per il 2022 indicando i €5.000 tra i redditi fondiari con cedolare secca al 21%. Calcola il dovuto: imposta €1.050, interessi modesti (€30), sanzione per infedele dichiarazione ridotta (entro 2 anni, 1/8 del 90% = 11,25%, quindi circa €118). Paga tutto con F24 e comunica all’Agenzia l’avvenuto ravvedimento. Così evita l’accertamento e paga in totale circa €1.198. Se invece avesse aspettato l’avviso, avrebbe pagato €2.300 (quasi il doppio) e perso la chance cedolare se l’ufficio gliel’avesse negata (in integrativa lei può optare per cedolare). Dunque ravvedersi conviene.
- Se accertata: Poniamo che Maria non abbia fatto in tempo e riceva l’avviso a gennaio 2025. Potrà ancora ottenere la cedolare? Forse no, l’ufficio potrebbe aver tassato a IRPEF. In sede di accertamento con adesione, Maria può chiedere di applicare cedolare (portando magari la copia del contratto Airbnb dove è indicato uso turistico) e comunque otterrà le sanzioni ridotte a 1/3. Può chiudere con imposta €1.050 + sanzione €345 + interessi €40 ≈ €1.435 (sempre più di ravvedimento ma meno di pagare tutto intero). Se Maria volesse fare ricorso sostenendo che andava applicata cedolare e non IRPEF, avrebbe buone possibilità visto l’orientamento a favore di contribuente in caso di locazione abitativa, ma il contenzioso per 200€ di differenza forse non vale la pena. Invece se il Fisco avesse stimato redditi più alti (non in questo caso, che aveva dati precisi), il ricorso avrebbe senso per contestare l’ammontare.
Caso 2: Multi-proprietario non dichiarato
- Scenario: Luca e Marco sono due fratelli che ereditano 6 piccoli appartamenti nel 2021 e li destinano tutti ad affitti brevi turistici tramite Booking e Airbnb, dividendo al 50% gli incassi. Non aprono P.IVA né nulla. Nel 2021 incassano €60.000 (30k cadauno), nel 2022 €80.000 (40k a testa). Non presentano proprio la dichiarazione dei redditi in quanto studenti senza altre entrate. Nel 2023 l’Agenzia Entrate avvia controlli incrociati: emergono 6 immobili affittati a breve termine su portali a nome loro, e nessuna dichiarazione presentata. Parte un accertamento per il 2021 e 2022 configurando l’attività come imprenditoriale (più di 4 immobili) e quindi attribuendo i proventi come redditi d’impresa metà a Luca e metà a Marco.
- Accertamento: L’Agenzia notifica avvisi a entrambi per omessa dichiarazione 2021-22. Per ciascuno, redditi €30k (2021) e €40k (2022). Tassazione: applica IRPEF progressiva (supponiamo 23% sui primi ~15k e 25% sui restanti), risultano imposte circa €7k a testa in totale (somma di due anni). Sanzione omessa dichiarazione 120%: ~€8,4k di multa a testa. Totale a testa ~€15,4k (imposte+mult+int). Totale per entrambi ~€30k da pagare. Inoltre segnala la cosa alla GdF per valutare profili penali, poiché l’imposta evasa combinata per ciascuno in 2 anni supera i 50k? In realtà: Luca evaso ~7k imposta tot – no reato. Marco uguale. Insieme sarebbe 14k evaso, ma penalmente contano individualmente. Quindi no penale (sotto soglia per persona).
- Difesa: I fratelli capiscono di aver sottovalutato la questione. Per il futuro aprono P.IVA e regolarizzano l’attività. Per questi avvisi, si attivano con un avvocato. In sede di adesione, puntano a ottenere la cedolare per almeno 4 immobili (sanno di essere fuori legge per 2, ma provano a mediare) o comunque a ottenere il riconoscimento del regime forfettario al 15%. L’ufficio probabilmente rifiuta di applicare cedolare oltre il 4°, ma potrebbe concedere per 4 immobili cedolare 21% e sugli altri 2 tassazione ordinaria, in via transattiva. Oppure potrebbe mantenere IRPEF ma togliere la presunzione d’impresa se riescono a dimostrare che formalmente erano contratti distinti gestiti separatamente (ipotesi debole). Più realistico: accettano la qualificazione d’impresa ma chiedono di essere tassati col forfettario al 15% sui ricavi, che si poteva applicare se avessero aperto P.IVA. L’Agenzia in adesione su questo punto non avrebbe base normativa, ma potrebbe chiudere lasciando l’IRPEF calcolata riducendo però la base imponibile forfettariamente (es. considerando un 60% di spese, tassando solo il 40% dei ricavi) per arrivare a un esito simile. In sostanza, con un buon difensore si può trattare una riduzione. Dato che comunque non hanno presentato nulla, l’errore è grave: realisticamente punteranno soprattutto a ridurre sanzioni (da 120% a 40%). Così ciascuno pagherebbe imposte €7k + sanzioni €2.8k + interessi €?? = ~€10.2k, invece di €15k. Totale ~€20k in due. Un salasso comunque. Avrebbero potuto risparmiarsi quasi tutto se avessero aperto P.IVA e aderito al forfettario: avrebbero pagato 15% su 140k=21k totali in due su due anni (10.5k a testa) e basta, niente sanzioni. Invece ora pagano quasi il doppio e con rateizzazioni probabilmente. Lezione: non frazionare immobili tra parenti per eludere il limite di 4 (qui erano fratelli comproprietari, ma l’attività era unica su 6 immobili, palese presunzione impresa); e ravvedersi subito: nel 2022 potevano ravvedere il 2021 pagandosi la cedolare 21% senza tutte queste sanzioni.
Caso 3: Differenze interpretative – cedolare con società
- Scenario: La società Alfa Srl affitta nel 2023 un appartamento da Tizio per ospitare un manager trasferito a Milano. Contratto di 1 anno ad uso foresteria. Tizio, il proprietario, opta per cedolare secca al 21% nel contratto. Al momento di dichiarare, il suo commercialista lo sconsiglia perché l’inquilino è una società, e compila la dichiarazione con tassazione IRPEF ordinaria su quel canone (€20.000). Tizio però viene a sapere nel 2025 delle sentenze di Cassazione che permettono la cedolare anche con conduttore società. Vorrebbe quindi rettificare retroattivamente e pagare il 21%.
- Accertamento: Qui non c’è evasione, anzi Tizio ha pagato più tasse del dovuto (ha pagato magari €6.000 di IRPEF su 20k invece di €4.200 di cedolare). Difficilmente l’Agenzia fa accertamento per “restituire” soldi. Tizio però potrebbe fare una istanza di rimborso per la differenza, invocando l’interpretazione autentica. Se l’Agenzia rifiuta, potrebbe ricorrere in Commissione sostenendo che la norma non vieta la cedolare in quel caso e chiedendo il rimborso delle imposte in eccedenza. La difesa qui si basa sulle sentenze di legittimità aggiornate. Probabilmente, vedendo Cassazione consolidata, l’Agenzia eviterà il contenzioso e concederà la cedolare. Questo esempio mostra che le evoluzioni giurisprudenziali possono essere usate a vantaggio del contribuente in sede contenziosa.
- Lezione: se hai pagato più del dovuto per prudenza, puoi tentare di recuperare entro termini (48 mesi per rimborso IRPEF). Non sempre il Fisco è ostile: a volte accoglie se il diritto è dalla tua.
Caso 4: Affitti brevi e prova del numero di giorni
- Scenario: Giovanna affitta il suo casale in Toscana per brevi periodi d’estate. Nel 2021 ha avuto ospiti per un totale di 80 giorni, incassando €30.000. Ha regolarmente dichiarato e pagato cedolare su questa somma. Nel 2022 nessun ospite (ha tenuto chiuso). Nel 2023 l’ha riaffittato 60 giorni per €25.000 e dichiarerà. Nel 2024 riceve però un accertamento per l’anno 2022: l’Agenzia le contesta redditi non dichiarati presumendo che anche nel 2022 abbia affittato l’immobile, basandosi sul fatto che sul suo annuncio Airbnb comparivano recensioni anche nel 2022 (in realtà erano recensioni di fine 2021, pubblicate a gennaio 2022).
- Difesa: Giovanna è certa di non aver affittato nel 2022. Può impugnare l’avviso sottolineando che l’Agenzia ha fatto una presunzione errata: le recensioni del gennaio 2022 si riferivano a soggiorni di dicembre 2021 già tassati. Può produrre il calendario delle prenotazioni Airbnb 2022 che risulta vuoto e anche le bollette del periodo che mostrano consumi ridotti (casa chiusa). Magari aggiunge testimonianza di vicini che confermano nessun via vai quell’anno. L’onere della prova in caso di accertamento induttivo su base presuntiva spetta al Fisco provare che ci furono redditi: se Giovanna porta solide evidenze, la Commissione annullerà l’atto per mancanza di prova. Questo esempio mostra che i dati vanno sempre verificati: può capitare che il Fisco commetta errori (es. confonde anni o unità immobiliari). Un contribuente ordinato, con documenti, può vincere. Giovanna inoltre potrebbe chiedere rimborso spese di giudizio vista la palese infondatezza dell’accertamento.
Conclusione
L’affermazione delle locazioni brevi ha introdotto opportunità di guadagno per molti, ma anche nuovi doveri e potenziali rischi. Oggi l’Amministrazione finanziaria dispone di strumenti avanzati per individuare gli affitti brevi non dichiarati, e il quadro normativo impone specifiche regole sia ai locatori sia agli intermediari. Per difendersi efficacemente è necessario, da un lato, conoscere a fondo la normativa (dalle opzioni fiscali alle recenti modifiche su aliquote e obblighi) e, dall’altro, agire per tempo: la compliance spontanea (ravvedimento) è sempre preferibile all’accertamento subito passivamente. In caso di contestazione, il contribuente deve valutare con lucidità le proprie ragioni e utilizzare gli strumenti deflattivi (adesione, acquiescenza) per ridurre il carico, oppure il contenzioso quando vi siano margini di successo. Questa guida, attraverso fonti normative e giurisprudenziali aggiornate, ha evidenziato i punti chiave per muoversi nel labirinto fiscale degli affitti brevi. In ogni situazione concreta, il consiglio finale è di farsi assistere da un professionista qualificato, poiché – specialmente in presenza di importi rilevanti o multiproprietà – le implicazioni fiscali e legali possono essere complesse. Con consapevolezza e preparazione, tuttavia, è possibile gestire gli affitti brevi in modo redditizio e regolare, evitando di incorrere in sanzioni che vanificherebbero i guadagni ottenuti.
Fonti e riferimenti normativi
- Disciplina fiscale affitti brevi: Art. 4 del D.L. 50/2017 (conv. L. 96/2017) – Introduzione regime locazioni brevi; modificato da L. 197/2023 (Bilancio 2024) per aliquote e obblighi. Circolare Agenzia Entrate n. 24/E del 12/10/2017 e n. 10/E del 10/05/2024 – Chiarimenti applicativi. Guida Agenzia Entrate “Locazioni brevi: disciplina fiscale e regole per gli intermediari”, ed. agosto 2024.
- Cedolare secca e locazioni brevi: D.Lgs. 23/2011 art.3 – Cedolare secca sulle locazioni abitative; L. 178/2020 art.1 c.595 – Limite di 4 immobili per cedolare breve; L. 197/2023 art.1 c.63 – Aliquote 21% e 26% dal 2024. Circolare 10/E/2024 – intermediari esteri e ritenuta. Sentenze Cassazione: n. 21726/2021 e n. 12395/2024 – Cedolare secca ammessa per contratti con conduttore P.IVA (uso abitativo).
- Obblighi intermediari (Airbnb & co.): D.L. 50/2017 art.4 commi 4-5 – Comunicazione contratti e ritenuta 21% dei portali; D.Lgs. 471/1997 art.11 – Sanzione 250-2000 € per omessa comunicazione; art.14 – Sanzione 20% per omessa ritenuta. Caso Airbnb: Corte di Giustizia UE, sent. C-83/21 del 22/12/2022 – Obbligo sostituto d’imposta per piattaforme estere; Consiglio di Stato sent. n. 9188/2023 – Rigetto ricorso Airbnb. Accertamento Airbnb 2017-2021: sequestro €799 mln, accordo transazione €576 mln (Agenzia Entrate Comunicato 17/11/2022). Airbnb news ottobre 2023 – Annuncio ritenuta dal 2024.
- Controlli e banca dati affitti brevi: D.L. 34/2020 art.180 – Istituzione Codice Identificativo Nazionale (CIN) dal 2025; D.M. Min. Turismo 29/09/2022 – Modalità attuative CIN. DL 73/2022 – Sanzioni CIN e SCIA: 2.000-10.000 € per mancata SCIA >4 imm; 800-8.000 € no CIN; 500-5.000 € no esposizione. Direttiva UE 2021/514 (DAC7) – obbligo comunicazione ricavi da piattaforme digitali dal 2023. Fonti giornalistiche: Il Sole 24 Ore, 16/11/2019 – CTR Lombardia n.4451/2019 su non imprenditorialità affitti di porzione abitazione; Studio Pizzano, blog 7/8/2024 – Stretta controlli affitti brevi (CIN, incrocio dati consumi, liste selettive).
- Sanzioni tributarie e penali: D.Lgs. 471/1997 art.1 – Dichiarazione infedele 90-180% imposta; art.1 comma 1-bis – Omessa dichiarazione 120-240% imposta (minimo €250, dal 2024 minimo €500 cedolare); art.13 – Omesso versamento 30%. Modifiche D.Lgs. 24/2023 (Riforma sanzioni trib.) recepite. Reati tributari: D.Lgs. 74/2000 art.4 – soglie dichiarazione infedele: imposta evasa >€100k e redditi omessi >10% del dichiarato o >€2 mln (pena 2-4.5 anni); art.5 – soglia omessa dichiarazione imposta evasa >€50k (pena 2-5 anni). Art.13 – Non punibilità se debito estinto prima avvio procedimento. Cass. pen. SS.UU. n. 24782/2022 – Depenalizzazione omesso versamento imposta soggiorno (abolitio criminis art.180 DL 34/2020).
- Giurisprudenza e prassi varia: Cass. n. 16223/2014 – Prova testimoniale in accertamento affitti non dichiarati. Cass. n. 29913/2021 – Locazioni brevi e iscrizione gestione commercianti (riscossione canoni non di per sé attività d’impresa ai fini previdenziali). Consiglio di Stato n. 6227/2022 – illegittimità regolamenti comunali che vietano affitti brevi non imprenditoriali. Cass. n. 26641/2022 – Regolamento condominiale contrattuale può vietare B&B in condominio. Agenzia Entrate risposta interpello n. 278/2019 – Remissione in bonis cedolare mancata comunicazione proroga. Agenzia Entrate circolare 26/E/2011 – Cedolare secca requisiti soggettivi (all’epoca interpretazione restrittiva su conduttore società, ora superata da Cassazione).
Accertamento su redditi da affitti brevi? Difenditi subito e in modo strategico con Studio Monardo
Se hai affittato immobili per brevi periodi (anche tramite Airbnb, Booking o simili) e hai ricevuto un accertamento fiscale, è fondamentale agire subito.
L’Agenzia delle Entrate sta intensificando i controlli su chi non ha dichiarato correttamente i proventi da locazioni brevi, anche in modo occasionale.
Ma attenzione: non tutti gli accertamenti sono fondati e puoi difenderti con successo, se supportato da un professionista.
Quando scatta l’accertamento fiscale?
Il Fisco può notificare un accertamento per:
- 💻 Dati trasmessi dai portali (Airbnb, Booking, VRBO)
- 🏛️ Confronto tra i redditi dichiarati e i canoni realmente incassati
- 🧾 Utilizzo della cedolare secca senza i requisiti richiesti
- 🔎 Gestione di più immobili che può far ipotizzare attività imprenditoriale
⚠️ Anche un semplice disallineamento o un errore formale può portare a una richiesta di pagamento salata, con imposte, interessi e sanzioni fino al 180%.
Quali sono i rischi?
Se l’Agenzia ritiene che tu abbia omesso o sottostimato i redditi da affitto breve, puoi subire:
- 📈 Recupero delle imposte (IRPEF o cedolare secca)
- 💸 Sanzioni pesanti e interessi di mora
- 🧾 Notifica di cartelle esattoriali e blocco dei rimborsi fiscali
- ⚖️ Riqualificazione dell’attività come impresa (con obblighi IVA, INPS e registrazione alla CCIAA)
Come puoi difenderti?
Se l’accertamento è infondato o sproporzionato, hai diritto a opporti. Ecco cosa puoi fare:
- 🧾 Dimostrare la correttezza dei redditi dichiarati con documentazione completa
- ✍️ Presentare un’istanza in autotutela per correggere errori evidenti
- ⚖️ Impugnare l’avviso di accertamento entro 60 giorni presso il giudice tributario
- 🛡️ Contestare la riqualificazione in attività imprenditoriale, se mancano i requisiti
- 🔁 Regolarizzare la tua posizione con ravvedimento operoso, se ci sono margini
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📂 Analizza l’avviso di accertamento e i dati contestati
📑 Verifica la corretta dichiarazione e il regime fiscale applicato
⚖️ Predispone il ricorso tributario e ti rappresenta in giudizio
✍️ Redige istanze difensive efficaci per l’Agenzia delle Entrate
🔁 Ti tutela in caso di sanzioni, cartelle e riscossione
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e fiscalità immobiliare
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per proprietari, investitori e affittuari occasionali
Conclusione
Un accertamento sui redditi da affitti brevi non significa che devi pagare subito e tutto.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi difenderti in modo efficace, correggere eventuali errori e tutelare i tuoi diritti.
📞 Richiedi ora una consulenza riservata per esaminare l’accertamento e predisporre la migliore strategia difensiva.