Hai ricevuto un accertamento fiscale per operazioni in criptovalute e ti stai chiedendo cosa puoi fare per difenderti, quali documenti servono e se rischi davvero sanzioni o controlli penali? Hai acquistato, detenuto o venduto Bitcoin, Ethereum o altre crypto e ora l’Agenzia delle Entrate contesta redditi non dichiarati o plusvalenze nascoste?
Con l’aumento degli investimenti in criptovalute, l’Agenzia delle Entrate ha iniziato a intensificare i controlli. Ma non tutti gli accertamenti sono fondati, e molti si basano su presunzioni, errori tecnici o interpretazioni discutibili.
Quando scatta l’accertamento fiscale sulle criptovalute?
– Quando l’Agenzia rileva movimentazioni crypto non dichiarate nel quadro RW o nel modello Redditi
– Se hai superato la soglia dei 51.645,69 euro per almeno 7 giorni lavorativi consecutivi
– Se hai ottenuto plusvalenze da cessioni a titolo oneroso (vendite, conversioni in euro, acquisti di beni)
– Se le piattaforme su cui operi sono monitorate o se hai ricevuto bonifici sospetti da exchange esteri
Cosa può contestare l’Agenzia delle Entrate?
– Omissione del quadro RW (obbligatorio anche in caso di sola detenzione all’estero)
– Omissione o errata dichiarazione delle plusvalenze
– Utilizzo delle criptovalute per acquisti importanti non giustificati dal reddito dichiarato
– In casi gravi, può ipotizzare evasione fiscale, riciclaggio o autoriciclaggio
Come puoi difenderti da un accertamento su criptovalute?
– Dimostrando che le crypto sono state detenute senza operazioni speculative
– Producendo documentazione completa delle operazioni, anche tramite estratti degli exchange
– Dimostrando che le plusvalenze sono inferiori alla soglia di imponibilità
– Contestando errori nel calcolo dei valori in euro, delle date di detenzione o della natura dell’operazione
– Opponendo ricorso entro 60 giorni, o chiedendo l’annullamento in autotutela se ci sono vizi evidenti
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace?
– L’annullamento dell’avviso di accertamento o della sanzione
– Il riconoscimento della non imponibilità delle operazioni se resti sotto soglia o non hai realizzato plusvalenze
– La possibilità di regolarizzare spontaneamente la tua posizione con il ravvedimento operoso
– La chiusura della posizione con una transazione fiscale o una definizione agevolata
Cosa NON devi fare mai?
– Ignorare la notifica: gli accertamenti diventano esecutivi dopo 60 giorni
– Tentare di “nascondere” wallet o piattaforme: le autorità possono ottenerne i dati anche dall’estero
– Pensare che “le crypto non sono moneta ufficiale”: il Fisco le considera come strumenti finanziari a tutti gli effetti
– Muoverti senza una strategia fiscale chiara: le criptovalute richiedono una difesa altamente tecnica
Un accertamento sulle criptovalute si può contestare, ma devi conoscere regole, soglie e documenti da presentare.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità delle criptovalute e contenzioso tributario – ti spiega quando scatta un accertamento, cosa può contestarti l’Agenzia e come costruire una difesa efficace per tutelare i tuoi investimenti.
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Introduzione
Negli ultimi anni il fisco italiano ha rivolto crescente attenzione alle criptovalute (bitcoin, ethereum, NFT, token DeFi, stablecoin ecc.), considerandole come possibili veicoli di evasione o riciclaggio. Con l’entrata in vigore delle ultime leggi di bilancio (in particolare la L. 197/2022 e 197/2023) e delle circolari ministeriali (tra cui la Circolare AdE 30/E del 27 ottobre 2023), è stato definito un quadro fiscale dedicato alle cripto-attività. Tuttavia permangono zone d’ombra e controversie interpretative. Questa guida (aggiornata a giugno 2025) esamina in dettaglio le regole tributarie italiane sulle criptovalute, i possibili accertamenti fiscali da parte di Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza, i profili penali collegati, e le strategie di difesa del contribuente (privato o imprenditore), con un linguaggio tecnico-giuridico ma divulgativo. Saranno illustrate norme e circolari italiane, giurisprudenza recente e casi pratici (tabelle, simulazioni, Q&A) dal punto di vista del debitore.
Quadro normativo e concettuale
Le criptovalute sono “rappresentazioni digitali di valore” basate su tecnologie tipo blockchain. A livello UE, sono state inquadrate come “asset digitali” (Regolamento MiCA, Diretiva 2018/1673 antiriciclaggio, 5AMLD, ecc.), ma in Italia finora la prassi tributaria li assimila per molteplici aspetti alle valute estere (ovvero a valuta non avente corso legale in Italia). La prassi (e parte della giurisprudenza) li equipara alla categoria dei redditi da valuta estera, sia per la tassazione delle plusvalenze sia per gli adempimenti dichiarativi (il c.d. monitoraggio fiscale).
In particolare, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che mancando norme specifiche sulle criptovalute, si applicano per analogia le regole sulle valute estere e sulle attività finanziarie. Ad esempio le criptovalute detenute fuori dal circuito di un intermediario italiano devono essere indicate nel quadro RW della dichiarazione dei redditi, come ogni “valuta estera”. Ciò significa che un wallet o conto crypto all’estero (o gestito da intermediario non residente) è equiparato a un conto corrente estero, con obbligo di monitoraggio e sanzioni in caso di omissione. La Circolare AdE 38/E/2013 conferma che le attività finanziarie estere devono essere dichiarate anche se detenute fuori del circuito degli intermediari.
Dal punto di vista penale, il D.Lgs. 231/2007 (art.1, comma 2, lett. ff) definisce la «valuta virtuale» come “rappresentazione digitale di valore, liberamente trasferibile e non emessa da banca centrale”. In generale la normativa antiriciclaggio (D.Lgs. 231/2007 e succ. mod., D.Lgs. 90/2017, Direttiva 2018/1673) ha esteso agli operatori crypto obblighi di identificazione e segnalazione (la finanza ha accesso ai dati degli exchange e degli OAM).
Dal 2023 la legge di bilancio ha introdotto una disciplina fiscale specifica per le cripto-attività. La L. 197/2023 (art.1, co.126-147) ha definito le cripto-attività come “rappresentazioni digitali di valore o di diritti che non rientrano tra gli strumenti finanziari” e ha previsto un regime di tassazione unico. In base alla Circolare AdE 30/E/2023:
- Redditi diversi. Le plusvalenze e altri proventi da cripto-attività realizzati da persone fisiche sono qualificati come redditi diversi di natura finanziaria (art.67, lettera c-sexies del TUIR).
- Aliquota fissa 26%. Tali plusvalenze (sopra soglia) sono tassate con un’imposta sostitutiva del 26% (pari all’aliquota per i redditi da capitale), anziché con aliquote ordinarie Irpef. Ciò vale solo per i soggetti privati (non in regime d’impresa, professionisti o dipendenti) e per le persone fisiche che detengono crypto come investimento.
- Soglia esenzione. Fino al 2024 è rimasta in vigore la franchigia di 2.000 € annui: le plusvalenze totali inferiori a tale soglia in un anno non generano imposta. Dal 2025 tale no-tax area è stata però abolita, quindi dal 1°/1/2025 ogni plusvalenza da cripto viene tassata (coinvolta solo l’aliquota 26%). D’ora in poi, dal 2026 l’aliquota salirà al 33% (dopo un incremento graduale concordato con le istituzioni).
- Calcolo e compensazioni. Le plusvalenze si calcolano come differenza tra il controvalore in euro dell’uscita di cripto-attività e il costo di acquisto. Le minusvalenze (perdite) realizzate su cripto possono essere compensate con le plusvalenze crypto nei quattro anni successivi, nei limiti di 2.000 € di soglia. L’Agenzia stabilisce il metodo LIFO (ultimo entrato/ultimo uscito) per determinare le plus/minus (art.67 c.1 c-sexies, art.68 TUIR).
- Strumenti di custodia. Le criptovalute “custodite” tramite exchange o wallet internazionali si considerano prodotte in Italia se detenute presso soggetti residenti o se la persona è residente e conserva le chiavi (es. hardware wallet) sul territorio italiano. Perciò valgono i criteri abituali di territorialità (residenza fiscale, sede dell’intermediario, ubicazione del server o del supporto di archiviazione). Il contribuente può provare il luogo di detenzione effettivo delle chiavi per evitare l’applicazione automatica della territorialità.
- Regime transitorio. Chi aveva cripto da prima del 2023 poteva optare entro il 15/11/2023 per la rideterminazione del costo storico con aliquota agevolata 14%. Sono previste inoltre misure di regolarizzazione (“ravvedimento operoso” e scudo fiscale) per chi non aveva dichiarato criptovalute possedute entro il 31/12/2021, con sanzioni ridotte e termini prorogati.
Le attuali norme escludono specificamente l’IVA sulla compravendita di criptovalute (seguendo la giurisprudenza EU: Cass. 2015 C-264/14) e non riconoscono valore legale alle crypto. Tuttavia, come vedremo, anche il non-rilevante IVA non libera il contribuente dall’obbligo di dichiarare eventuali plusvalenze o proventi derivati da esse.
Tassazione delle plusvalenze e obblighi dichiarativi
Nel regime post-2022, le plusvalenze da criptovalute realizzate da un privato sono trattate come descritto sopra: imponibili al 26% sopra 2.000 € (sino al 2024). In pratica, se un contribuente vende bitcoin o altri token, realizza una plusvalenza imponibile se il gain netto annuo supera i 2.000 €. Tale ammontare eccedente è tassato al 26% in sostituzione delle aliquote IRPEF ordinarie. L’aliquota del 26% si applica ai “redditi diversi” di natura finanziaria: pertanto la plusvalenza non entra nelle aliquote progressive Irpef, né concorre al reddito complessivo (ad eccezione delle eventuali compensazioni con minusvalenze). Il contribuente dichiara il risultato in dichiarazione (quadro RT del modello Redditi PF). Il reddito imponibile segue le regole ordinarie di conversione in euro ai tassi di mercato al momento delle operazioni.
Esempio pratico: un privato residente acquista 10.000 € di bitcoin e nel 2024 rivende dopo qualche mese per 18.000 €. La plusvalenza è di 8.000 €. Poiché supera 2.000 €, l’intero importo è tassato al 26%. L’imposta sostitutiva da versare è quindi 0,26×8.000 = 2.080 €.
Per i token NFT e i proventi DeFi (ad es. rendite da staking o da smart contract), vale il principio similare: la giurisprudenza penale ha confermato che la vendita di un NFT (opera digitale certificata) genera redditi assimilabili ai redditi da lavoro autonomo (art.53 TUIR). In pratica, se un artista vende opere digitali (“NFT”) e riceve criptovalute, i corrispettivi vanno dichiarati come redditi di lavoro autonomo. Le criptovalute incassate, una volta convertite al valore corrente, generano reddito imponibile anche se il contribuente non le ritrasferisce su un conto in euro. La Cassazione (sentenza 8269/2025) ha esplicitamente ribadito che i pagamenti in criptovaluta non escludono l’imposizione fiscale: il valore va convertito in euro e dichiarato, indipendentemente dal passaggio di moneta legale. Dunque anche i proventi da opere digitali (NFT) o da servizi DeFi devono essere riportati in dichiarazione; se percepiti sotto forma di plusvalenza su NFT o di interesse in crypto, sono reddito imponibile (26% sul gain o aliquota progressiva se da lavoro autonomo/professionale).
Un titolo accademico sull’argomento rileva che «le criptovalute, pur non essendo moneta avente corso legale, sono comunque strumenti di scambio economicamente valutabili e dunque tassabili al pari del denaro tradizionale». Lo conferma la Cassazione: anche in assenza di una specifica previsione normativa, l’Agenzia può considerare le cripto come valute estere e tassare le plusvalenze come redditi di natura finanziaria. Di conseguenza, chi realizza plusvalenze elevati su cripto rischia un’imposizione rilevante, e il mancato versamento può innescare l’accertamento fiscale (o, nei casi più gravi, profili di evasione penale).
Obblighi di monitoraggio fiscale (Quadro RW/Quadro W)
Oltre alla tassazione delle plusvalenze, chi detiene criptovalute è soggetto agli obblighi di monitoraggio fiscale previsti dall’art. 4 del D.Lgs. 167/1990. In pratica, le crypto detenute all’estero (o in wallet non gestiti da intermediari italiani) devono essere indicate nel Quadro RW della dichiarazione dei redditi. L’Agenzia ha chiarito che le criptovalute rientrano nel perimetro del monitoraggio esattamente come le valute estere: “in mancanza di una norma specifica […] la prassi […] ha deciso di assimilare le criptovalute alle valute estere”. Ciò significa che il contribuente deve indicare (nel quadro RW del Modello Redditi PF, o nel nuovo Quadro W del 730) il controvalore in euro delle crypto possedute al 31 dicembre (col codice identificativo “14 – altre attività finanziarie e valute virtuali”). La mancata compilazione del quadro RW è una violazione sanzionata dall’art. 5 del D.L. 167/1990 (sanzioni dal 3% al 15% dei valori non dichiarati). Nella prassi attuale, l’omesso monitoraggio fiscale delle criptovalute comporta sanzioni di carattere amministrativo e può far scattare controlli approfonditi da parte del Nucleo Speciale Antifrode delle Entrate o della Guardia di Finanza.
Schematizzazione: tassazione e obblighi
- Plusvalenze cripto: imponibili in capo a privati con aliquota sostitutiva 26%, oltre soglia di esenzione 2.000€ (soglia abolita dal 2025). Alternativamente, se svolta in impresa, seguono regole ordinarie d’impresa (reddito d’impresa).
- Redditi da NFT/arte digitale: inquadrati come redditi di lavoro autonomo (art.53 TUIR). Tassazione separata su imponibile IRPEF.
- Proventi da staking/DeFi: assimilati a redditi diversi di capitale; tassati al 26%. Vanno dichiarati al pari di interessi finanziari esteri (senza IVAFE).
- Obbligo RW: sempre per le persone fisiche residenti che detengono crypto all’estero (o su piattaforme estere o private). Va indicato il valore complessivo al 31/12. L’assenza di dati vale come presunzione di reddito (redditometro).
- Imposta IVAFE: non si applica alle crypto (l’IVAFE copre solo depositi bancari e conti correnti).
- Altre imposte: nulla osta a eventuali imposte di bollo se ritenuto applicabile, ma generalmente sono esclusi.
Tabella: Tassazione cripto-attività vs valute estere
Elemento | Cripto-attività (L.197/2023) | Valuta estera |
---|---|---|
Tassazione plusvalenza | Imposta sostitutiva 26% (sopra 2k €) | IRPEF (aliquota marginale) solo se speculazione (con soglia 51.645 € per 7 gg) |
Definizione Reddito | Art.67 c-sexies TUIR | Art.67 c-ter TUIR (valute) |
Soglia non imponibile | 2.000 € (solo fino al 2024) | 51.645,69 € mantenuta 7 gg (pre-2023) |
Aliquota sul plusvalore | 26% (2023-25); 26% (2025 rimosso threshold); 33% (dal 2026) | IRPEF ordinaria |
Quadro RW | Obbligo con codice “14 – valute virtuali” | Obbligo (codice “15 – valute estere”) |
IVAFE | Non applicabile | Sì, sul contante estero (IVAFE 0,2%) |
Natura fiscale | Reddito diverso finanziario (26%) | Reddito diverso finanziario (no quota 26%, soggetto a IRPEF se soglia) |
Attività di controllo e accertamenti
Strumenti di indagine (Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate)
Il fisco e la polizia tributaria italiana hanno sviluppato metodologie specifiche per “seguire” le criptovalute. Contrariamente alla credenza di anonimato assoluto, l’uso di blockchain pubbliche (come quella di Bitcoin) consente operazioni di blockchain analysis: analisi incrociata delle transazioni per risalire a wallet controllati da un soggetto. Ad esempio, nel primo grande caso italiano di evasione fiscale via crypto la GdF di Ravenna, insieme al Nucleo Speciale Frodi Tecnologiche, ha usato software dedicati per individuare grandi portafogli anonimi e collegarli all’evasore. I finanzieri possono incrociare dati (versamenti bancari, piattaforme di cambio, nomi d’uso) e analisi di rete per ricostruire i flussi di cripto. Non esiste inoltre l’obbligo per il contribuente di registrare le operazioni su un libro contabile, per cui ogni transazione “di fatto” è come se avvenisse con valuta estera non tracciata.
Il sistema di accertamento può partire da due fronti:
- Accertamento sintetico (redditometro): la GdF può ritenere occulto un reddito ricostruendo il patrimonio del contribuente (beni immobili, conti correnti, acquisti significativi) e attribuire una capacità di spesa che include anche la detenzione di crypto. Ad esempio, i finanzieri equiparano l’““
possessione di criptovalute
” all’avere conti correnti esteri non denunciati. Se il contribuente ha acquistato investimenti crypto consistenti senza averli giustificati con redditi dichiarati, scatta l’accertamento sintetico per differenza. - Accertamento analitico: l’Agenzia delle Entrate (o la GdF) può condurre verifiche puntuali basate su dati di conti correnti, notifiche internazionali (per es. richieste di informazioni da parte di Stati esteri), e dalle informazioni ottenute con strumenti di vigilanza. Non esistono obblighi di scambio di informazioni specifici sulle crypto (fatta eccezione per i servizi OAM); tuttavia, la cooperazione bancaria internazionale (es. CRS, accordi antiriciclaggio) può includere gli scambi dati su transazioni crypto.
In ogni caso, la mancanza di tracciabilità ufficiale non impedisce alla Guardia di Finanza di procedere con sequestri: il sequestro preventivo di crypto (anche se difficilmente liquidabili) è ammesso in presenza di indizi di evasione fiscale grave. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha imposto criteri restrittivi in materia di sequestro delle cripto: secondo la sentenza penale n.1760/2025 (III sez. penale) il solo possesso di criptovaluta non equivale “automaticamente” al profitto del reato tributario commesso, dovendosi sempre fare riferimento al suo valore in euro al momento del reato (cassando un sequestro di 1,88 bitcoin in un caso di evasione IVA). In pratica, per sequestrare crypto come strumento del crimine tributario bisogna quantificare l’imposta evasa in valuta legale e dimostrare il nesso di causalità (non basta ipotizzare che i bitcoin siano il “denaro” evaso).
Notifica dell’avviso di accertamento
Quando il fisco raccoglie elementi di prova sufficienti, viene notificato al contribuente un avviso di accertamento (ex artt. 43 e segg. del DPR 600/73). L’atto deve contenere l’esposizione dei fatti e delle motivazioni su cui l’accertamento si basa (ad es. inserimento degli importi non dichiarati). A questo punto il contribuente ha 60 giorni per aderire, opporsi o proporre ricorso. L’avviso è impugnabile davanti alla Commissione Tributaria.
Ipotesi comuni
- Plusvalenze omesse: il contribuente non ha dichiarato redditi da cessione di cripto (ad esempio un trader privato che è stato vincente). In tal caso l’Erario contesterà l’imposta sostitutiva non versata (26%) e le relative sanzioni (50% in caso di semplice omissione, fino al 200% se frode).
- Negazione finalità speculativa: spesso il contribuente sostiene di non aver avuto finalità speculativa (e quindi di non dover pagare nulla, assimilando l’operazione a una mera conversione). Tuttavia la giurisprudenza recente (CTR Veneto 2021) ha rigettato questa tesi: se le plusvalenze superano i limiti previsti dall’art.67 TUIR (soglie e giorni) e denotano uno scopo speculativo, sono comunque imponibili. La CTR Veneto (sent. 1505/2/2021) ha ribadito che, in mancanza di proventi dalla attività d’impresa, conta l’entità economica dell’operazione: plusvalenze crypto rilevanti oltre i 51.645,69 € per almeno 7 giorni indicano finalità speculativa e generano reddito. Ciò si allinea con l’interpretazione fiscale assimilazionista (crypto = valuta estera) che già si applicava.
- Omissione RW: l’accertamento può nascere anche dalla mancata dichiarazione nel quadro RW delle criptovalute detenute. In tal caso l’Agenzia applicherà le sanzioni per omissione di monitoraggio fiscale (art.5 DL 167/90: dal 3% al 15% del valore non dichiarato, con min. €258). Spesso si contesta anche l’omessa indicazione delle plusvalenze in dichiarazione, in mancanza di adempiere l’obbligo RW.
Principi e limiti procedurali
- Carico probatorio. Secondo lo Statuto del contribuente (L.212/2000, art. 12), l’onere di provare la fondatezza dell’accertamento spetta all’Amministrazione finanziaria. Il contribuente può e deve documentare elementi contrari (es. che la criptovaluta era già stata tassata in altro periodo, che il wallet è riferibile a un familiare, ecc.). I tribunali tributari richiedono motivazioni precise; apodittiche o generiche asserzioni del Fisco possono essere annullate.
- Contraddittorio preventivo. Prima di notificare l’avviso, è possibile invocare l’istituto del contraddittorio preventivo (art. 5 D.Lgs. 218/1997) per chiarire la posizione del contribuente in base alle proprie istanze, cercando un accordo. Se tuttavia l’atto è già stato notificato, il contraddittorio vale in sede di accertamento con adesione (il contribuente può rettificare spontaneamente la dichiarazione e pagare riduzioni di sanzioni).
- Termini di decadenza. Un eventuale accertamento relativo alle plusvalenze crypto è soggetto a termine biennale dalla presentazione della dichiarazione (o 5 anni se omessa del tutto), come gli altri redditi dei privati. Va quindi verificato sempre la tempestività dell’atto.
- Contenzioso tributario. L’impugnazione dell’avviso va presentata entro 60 giorni davanti alla Commissione Tributaria Provinciale competente (di solito la sede del contribuente). In giudizio si portano allegati tecnici: cripto-transazioni, ricevute di acquisto/vendita, corsi di cambio applicati, dichiarazioni dei redditi integrative, ecc.
Profilo penale tributario e antiriciclaggio
La violazione delle regole fiscali sulle criptovalute può integrare reati tributari (artt. 2-4 D.Lgs. 74/2000: omessa o infedele dichiarazione). In particolare, se l’ammontare delle plusvalenze evase supera determinati limiti (attualmente circa €250.000 di imposte evase su imposte dirette o IVA, entro il quinquennio), si può configurare la frode fiscale. La Corte ha affermato che l’omessa dichiarazione di ricavi in crypto (es. vendite di NFT pagate in valuta virtuale) costituisce un reato di dichiarazione infedele. In generale, l’accumulo illegittimo di grandi patrimoni in criptovalute può essere considerato illecito penale (riciclaggio se derivi da attività criminose, auto-riciclaggio, oppure reato tributario).
Sul piano antiriciclaggio, la mancata segnalazione di operazioni sospette (anche in ambito crypto) può configurare reati specifici (art. 231/2007). Gli obblighi di tracciamento KYC/antiriciclaggio, infatti, si applicano anche agli exchange e prestatori di servizi crypto. Se emerge che un contribuente ha occultato significativi movimenti di valuta digitale, ciò può innescare sia un’indagine penale tributaria sia una segnalazione all’UIF.
Va anche rilevata una recente sentenza della Cassazione penale (Sez. III, sent. n. 8269/2025): essa ha statuito che i pagamenti in criptovalute devono essere dichiarati indipendentemente dall’incertezza normativa, perché la Circolare AdE 30/E/2023 non ha modificato la legge ma solo interpretato principi già esistenti. In pratica, l’errore di diritto sull’imponibilità delle criptovalute non è considerato scusabile (art. 5 c.2 TUIR), a meno che non si configuri come errore inevitabile. Dunque, chi non ha dichiarato redditi (anche in NFT o crypto) non potrà invocare a sua discolpa la presunta “mancanza di normativa”. Questa pronuncia rafforza la linea difensiva delle autorità: il fisco può pretendere regolarità anche per il periodo pre-2023.
Come difendersi in sede di accertamento
Dal punto di vista del contribuente sottoposto ad accertamento fiscale (o indagine penale tributarista), le strategie difensive principali sono:
- Documentazione puntuale. È essenziale conservare tracce di tutte le operazioni in criptovalute: estratti conto degli exchange, attestazioni di acquisto, ricevute di trasferimenti tra wallet, storico di portafogli, ecc. Poiché le minusvalenze possono compensare plusvalenze, bisogna dimostrare concretamente le perdite se esistono. L’ordine cronologico delle movimentazioni deve essere chiaro (ai sensi del TUIR si usano criteri LIFO, vedi Circolari). In caso di presunte transazioni irregolari, si può far valere che certe criptovalute sono state acquistate con risparmi già tassati in precedenza (ad es. risparmio cotto) e non rappresentano reddito nuovo.
- Soglie e finalità. Contestare che non sia stata superata la soglia rilevante (anche se formalmente abolita dal 2023, finora valida) o che le operazioni non avevano finalità speculativa. Ad esempio, se un contribuente convertiva costantemente somme esigue di crypto per acquisti personali, può argomentare l’assenza di “speculazione” tipica. Tuttavia, come visto, i giudici tributari tendono ad accettare che una vendita sia reddito imponibile quando è economicamente significativa (CTR Veneto 2021).
- Contraddittorio e mediazione. Prima di contenzioso, si può tentare il ravvedimento o l’adesione all’accertamento (art. 7 D.Lgs. 218/1997) pagando le imposte richieste con sanzioni ridotte. La legge permette di sanare omissioni su crypto con interessi e sanzioni (art.13 DL 167/90). Un esperto può chiedere un contraddittorio formale con l’Agenzia, illustrando la propria tesi interpretativa.
- Ricorso tributario. Se il contenzioso è inevitabile, il contribuente può appellarsi alle Commissioni Tributarie. In giudizio si analizzeranno le motivazioni dell’atto: errori di calcolo, contestazioni di carattere generale (eccessiva genericità) o legali. Ad esempio, si può sostenere che la normativa antecedente al 2023 (art.67 TUIR, risoluzioni AdE) non contemplasse esplicitamente le crypto e che quindi al più dovesse applicarsi l’art. 67 c-ter per valute (con i limiti di soglia e finalità). Tuttavia, come dimostrato dall’orientamento casistico, spesso la Commissione aderisce alla tesi dell’Agenzia sul carattere speculativo delle plusvalenze crypto.
- Profili penali. Se si viene coinvolti penalmente (ipotesi più grave, p.es. maggiori di 250.000 € di imposta evasa), conviene far pesare il paradosso del sequestro crypto: la Cassazione ammette il sequestro solo dopo aver quantificato in euro il profitto del reato. Una buona difesa tecnico-giuridica evidenzierà le discrepanze di cambio, la difficoltà di liquidare la crypto al momento del reato, e persino l’eventuale rispondenza tra valore di cripto e IVA/IRES dovute (i giudici penali non possono prescindere dal collegamento con la fattura emessa).
Q&A rilevanti
- Le criptovalute devono essere dichiarate nel quadro RW? Sì: le crypto detenute all’estero o in wallet “privati” (ad es. su device fisico) rientrano nel monitoraggio fiscale. Occorre indicare il controvalore in euro al 31/12 di ciascun anno (col codice 14). L’omissione è sanzionata e utilizzabile in accertamento sintetico.
- Serve versare imposta finché non incasso le plusvalenze? Secondo l’Amministrazione, la tassazione scatta al momento della realizzazione del guadagno (cessione o rimborso di crypto). Non basta “tenere” la plusvalenza nel wallet: essa va dichiarata come reddito dell’anno in cui la valuta è stata effettivamente ceduta o scambiata. Se, ad esempio, si convertono i Bitcoin in un’altra cripto, ciò costituisce cessione e può generare plusvalenza tassabile.
- Si può detrarre una perdita in un anno dal guadagno in altro anno? Sì, le minusvalenze da criptovalute si calcolano come per le valute estere e possono compensare plusvalenze crypto successive per i quattro anni seguenti. Se alla fine rimangono minusvalenze non utilizzate, si tramutano in credito d’imposta per gli anni seguenti (alla pari).
- Le criptovalute sono esenti IVA? Le cripto non hanno valore legale e di norma non sono imponibili IVA (Cassazione C-264/14 UE). Tuttavia, la vendita di servizi NFT può essere soggetta a IVA se l’NFT è considerato bene immateriale o servizio. In ogni caso, ciò non scalfisce l’obbligo di dichiarare le plusvalenze come reddito.
- Posso ottenere il rimborso dell’imposta se ho pagato 26% invece di 12,5%? Fino al 2022 l’imposta sostitutiva sulle valute (art. 67 TUIR) era al 12,5% (per gli investitori occasionali oltre soglia). C’è stato chi ha chiesto il rimborso eccedente (art. 38 DPR 602/73). Tuttavia, dopo la L. 197/2023 la Legge di Bilancio 2024 ha confermato l’applicazione del 26% e ribadito l’interpretazione che il primo cedente estero è rilevante (rendendo critica la richiesta di rimborso). Il Tax Credit di fatto è stato ridiscusso in sede parlamentare, quindi consiglio cautela nelle istanze di recupero.
- Cosa succede se le crypto sequestrate diventano obsolete? Il sequestro preventivo di criptovalute è ammesso se si ritiene provato il nesso con l’evasione. Tuttavia, essendo asset volatili e non liquidi, spesso si convertirebbe il valore in euro per la confisca. La Cassazione 1760/2025 ha chiarito che i bitcoin sequestrati non possono automaticamente essere considerati il “denaro” del profitto tributario; si richiede una perizia o atto del CTU che stabilisca il corrispettivo in euro al momento della condotta illecita.
Tavole e simulazioni pratiche
Tabella 1: Tassazione delle plusvalenze
Scenario | Tax rate applicabile | Nota |
---|---|---|
Plusvalenza ≤ 2.000 € (anni 2023-24) | 0% | Franchigia di 2.000 € (abolita dal 2025) |
Plusvalenza > 2.000 € (anni 2023-24) | 26% (imposta sostitutiva) | Si applica alla parte eccedente 2.000 € |
Plusvalenza (dal 2025) | 26% (no franchigia) | Dal 2026: 33% (tale aliquota salirà) |
Guadagno in NFT (opere digitali) | IRPEF ordinaria | Rientra nei redditi di lavoro autonomo (aliquota personale) |
Proventi da staking/DeFi | 26% (redditi diversi) | Qualificati come redditi di natura finanziaria |
Esempio 1 – Privato/trader: Mario acquista 20.000 € di Bitcoin nel 2023 e li rivende a metà 2024 per 30.000 €. Plusvalenza = 10.000 €. Applicando la franchigia, 2.000 € non si tassano; il residuo 8.000 € viene tassato al 26%, per imposta di 2.080 €. Deve inoltre aver dichiarato nel 2023 il valore iniziale in RW (20.000 €) e nel 2024 il controvalore finale (30.000 €), versando eventuali sanzioni se omesso.
Esempio 2 – Artista NFT: Laura vende due sue opere digitali nel 2023 sotto forma di NFT, ricevuti in totale 12.000 € in ETH. Il suo reddito da lavoro autonomo è di 12.000 € e verrà tassato con aliquote IRPEF ordinarie (ad es. se scaglione al 23%, paga ~2.760 €). Inoltre deve convertire l’equivalente in euro degli ETH ricevuti (al cambio del giorno) e dichiararlo come fatturato. L’Agenzia considererà l’intera somma imponibile, essendo superiori alla soglia minima per configurare reato fiscale (l’artista non avrà “detrazioni” particolari perché la criptovaluta è trattata come un corrispettivo in valuta estera).
Esempio 3 – Persona fisica con wallet estero: Giovanni detiene 5.000 € di criptomonete su una piattaforma estera da anni, guadagnandoci o perdendoci poco. Non ha effettuato cessioni. In dichiarazione deve comunque compilare il quadro RW indicando il controvalore di 5.000 € (colonna valute virtuali). Se ha subìto minusvalenze crypto, può riportarle come credito su altri redditi esteri. Se invece da quel wallet ha venduto crypto per 10.000 € e incassato euro, deve calcolare la plusvalenza (se >2.000 €) e pagare il 26%.
Esempio 4 – Detentore di stablecoin: Claudia acquista 10.000 $ di stablecoin (es. USDT) che rimangono invariati nel tempo. Dal punto di vista del fisco, gli stablecoin sono cripto-attività e ciò che conta è il loro controvalore in euro. Se Claudia non li scambia in altre cripto o valuta fiat, non realizza plusvalenza tassabile. Ma deve comunque indicare nel RW il possesso (10.000 $ = valore stabile) e se li deteneva al 31/12/2023, deve dichiararli per quell’anno. Gli eventuali “interessi” da strumenti DeFi collegati agli stablecoin saranno considerati redditi finanziari e tassati al 26%.
Domande e risposte (principali dubbi)
1. “Ho trasferito criptovalute tra miei wallet privati: devo pagare tasse?” In generale, semplici trasferimenti intra-stock (ad esempio da un tuo wallet su exchange a un tuo hardware wallet) non generano reddito, poiché non c’è realizzo di plusvalenza (non si converte in altra valuta). Tuttavia, l’Amministrazione può considerare questi movimenti nella ricostruzione patrimoniale. Se i wallet sono all’estero, resta l’obbligo di RW. Se il trasferimento è a un terzo (cambio di proprietà), va conteggiata come cessione.
2. “Ho perdite (minusvalenze) da crypto: posso dedurle?” Sì, le minusvalenze derivanti dalla vendita di criptovalute si portano in detrazione entro quattro anni dalle plusvalenze future. Se in un anno le perdite superano le plusvalenze di almeno 2.000 €, la parte eccedente può essere riportata negli anni successivi.
3. “La blockchain è anonima, come può il fisco sapere?” Non è del tutto anonima: ogni transazione lascia traccia sulla blockchain. Sebbene gli pseudonimi (indirizzi wallet) non rivelino direttamente l’identità, l’incrocio di dati (resoconti bancari, registrazioni su exchange con KYC, o informazioni di intelligence) può collegare un wallet a un individuo. Come detto, già la GdF ha elaborato tecniche di analisi che hanno portato a sequestri multimilionari. Inoltre, gli intermediari crypto sono obbligati per legge (D.Lgs. 231/2007 e 90/2017) a comunicare operazioni sospette (ART 41 e 58 D.Lgs. 231/2007).
4. “Posso sostenere che non ho fatto plusvalenza perché non ho toccato i soldi in euro?” No: la normativa tributaria si riferisce al valore in euro al momento dell’operazione di cessione. Anche se il contribuente ha lasciato le criptovalute sullo stesso wallet, dal punto di vista fiscale la conversione è avvenuta e la differenza di valore va tassata.
5. “Quali sanzioni rischio oltre alle tasse?” Sanzioni amministrative per omessa dichiarazione (da 100% al 200% dell’imposta, con riduzioni in caso di ravvedimento). Sanzioni per il RW omesso (dal 3% al 15% dei capitali non dichiarati). In campo penale, per grandi evasori (art.4 D.Lgs.74/2000) c’è carcere fino a 2-6 anni e multe se il contribuente ha occultato più di €250.000 di imposte dirette/IVA. Per riciclaggio, fino a 8 anni (art.648-bis c.p.), se le cripto sono provento di un reato.
Conclusioni e consigli operativi
L’esame del quadro normativo e giurisprudenziale mostra che, in Italia, il possesso e l’uso di criptovalute comporta rilevanti obblighi tributari e possibili conseguenze penali in caso di inosservanza. I profili di rischio maggiori sono l’omessa dichiarazione delle plusvalenze crypto e l’omesso monitoraggio fiscale. Per difendersi efficacemente, il contribuente deve:
- Documentare puntualmente ogni operazione crypto (comprare, vendere, scambiare), tenendo tracciabilità dei valori in euro e delle date. Ogni cedola o interesse derivante da attività DeFi o staking va certificato.
- Provare in contenzioso circostanze e finalità: ad es., che alcune valute erano detenute come risparmio già tassato o che gli acquisti crypto erano finanziati da redditi regolari.
- Usare il contraddittorio o l’accertamento con adesione per regolarizzare spontaneamente eventuali omissioni, approfittando delle sanzioni ridotte del 3% (ravvedimento operoso) o dell’eventuale scudo fiscale.
- In fase di contenzioso tributario, insistere sulla natura tecnologica dell’asset: ad esempio contestando che un NFT è “solo un certificato” (pur sapendo che la giurisprudenza la valuta come bene economico) può risultare debole, come evidenziato da Cass. 8269/2025. Meglio concentrarsi su argomenti tecnici: errori di fatto nella determinazione del gain, corretta applicazione del valore euro, manipolazioni di listini, ecc.
- Se si arriva a un procedimento penale, occorre avvalersi di esperti in criptovalute: per quantificare correttamente l’entità del reato in euro e proporre la linea difensiva basata sulla Cassazione 1760/2025 (sequestro illegittimo) e Cass. 8269/2025 (errore di diritto non scusabile solo se inevitabile).
In tutti i casi, la conformità preventiva è la strategia migliore: se possibile, adempiere agli obblighi dichiarativi fin dall’inizio (incluso il RW) e pagare spontaneamente le imposte dovute. Gli esperti consigliano anche una consulenza proattiva presso professionisti del settore per chi opera intensivamente in crypto, specialmente in vista dell’incremento di controlli.
Alla luce delle recenti pronunce (Cassazione, Commissioni Tributarie) e dell’intensificarsi delle analisi tecnologiche della Guardia di Finanza, le cripto-attività non devono più essere sottovalutate dal contribuente: la loro difesa fiscale richiede consapevolezza delle regole in continua evoluzione, e l’adozione di comportamenti trasparenti e documentabili.
Fonti e sentenze
- Normativa Tributaria: Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n.917 (TUIR); art.67 TUIR (redditi diversi, lett. c-ter e c-sexies); art.23 TUIR (franchigia 2.000 €). DPR 600/1973 (artt. 43 e ss.), DPR 633/1972 (IVA). Legge n.197/2022 e Legge n.197/2023 (Leggi di Bilancio 2023) – introduzione delle “cripto-attività” (commi 126-147). Legge n.212/2000 (Statuto del contribuente). D.Lgs. 167/1990, art.4 (monitoraggio fiscale). D.Lgs. 90/2017, 125/2019 (antiriciclaggio). D.Lgs. 231/2007, art.1(2)(ff) (definizione valute virtuali). Circolare Agenzia Entrate n.30/E del 27/10/2023 (trattamento fiscale cripto-attività); Risoluzione AdE n.72/E del 02/09/2016 (valute estere e finalità speculativa).
- Giurisprudenza tributaria e civile: Commissione Tributaria Regionale Veneto, sentenza 06/12/2021 n.1505/2 (plusvalenze Bitcoin con finalità speculativa). Commissione Tributaria Regionale Piemonte, sent. n. 268/8/2020 (in parte concordante). Cassazione Civile (interprete Direttiva 2006/112/CE) 22 ottobre 2015, causa C-264/14 (scambio di Bitcoin senza IVA). Varie sentenze di tribunali civili (Verona 2017, Firenze 2018) sul fallimento e natura degli exchange.
- Cassazione Penale: Sez. Pen. III, sent. 15/01/2025 n.1760 (Bitcoin non equiparabile automaticamente a valuta di profitto di reato) – si ritiene illegittimo attribuire direttamente i bitcoin come “profitto” senza conversione. Sez. Pen. III, sent. 22/06/2023 n.8269 (tassazione di NFT e proventi in criptovalute) – confermato che i proventi da cessione NFT sono redditi professionali (art.53 TUIR) e che i pagamenti in criptovaluta devono essere dichiarati convertendo al cambio di mercato. Cassazione Pen. II, sent. 17/09/2020 n.26807 (rilievo penale delle valute virtuali in riciclaggio). Altre Cassazioni penali (es. 17453/2019) su tematiche affini di documenti di pagamento.
- Fonti amministrative e prassi: Agenzia delle Entrate – Circolare n.38/E/2013 (estende il monitoraggio fiscale alle attività finanziarie estere detenute all’estero e in Italia). Agenzia Entrate – risposta a interpello 788/2021 (criteri di compilazione RW per valute virtuali). Ministero dell’Economia – Dip. Finanze (report giurisprudenzale). Direzione Generale Tributi (Rassegna giurisprudenza, Circolari). Rapporti UIF e normative antiriciclaggio sui VASP.
- Normativa penale: D.Lgs. 74/2000 (reati tributari: art.2 omessa dichiarazione, art.4 infedele dichiarazione); Codice penale (artt. 648-bis riciclaggio, 648-ter auto-riciclaggio, 515 c.p. frode fiscale). D.lgs. 231/2007 e 90/2017 (antiriciclaggio, obblighi di segnalazione).
Hai ricevuto un accertamento fiscale sulle criptovalute? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate ha iniziato a monitorare con attenzione i movimenti legati alle criptovalute, come Bitcoin, Ethereum, stablecoin e altre crypto asset.
Se hai ricevuto un avviso di accertamento per redditi non dichiarati da operazioni in criptovalute, è fondamentale agire subito per difenderti legalmente e proteggere i tuoi asset.
Quando scatta l’accertamento fiscale sulle criptovalute?
L’Agenzia delle Entrate può effettuare accertamenti se rileva:
- 📈 Plusvalenze non dichiarate derivanti da compravendita di crypto
- 🌐 Dati emersi da exchange centralizzati o segnalazioni estere
- 🔁 Trasferimenti tra wallet non tracciati e conti correnti bancari
- 🏦 Prelievi in euro considerati proventi imponibili
- 💻 Operazioni effettuate con regolarità tali da far pensare ad attività professionale o d’impresa
Il rischio è che l’Agenzia presuma l’esistenza di redditi occultati e invii cartelle con imposte, sanzioni e interessi rilevanti.
Le criptovalute sono sempre tassate?
Non sempre. La normativa è in evoluzione e prevede:
- Esenzione da imposta per detenzione inferiore a 51.645,69 € per almeno 7 giorni lavorativi consecutivi (per le persone fisiche, in regime ordinario)
- Tassazione al 26% sulle plusvalenze, se realizzate con prelievi, vendite o conversioni
- Obbligo di monitoraggio fiscale (RW) per wallet esteri o exchange non italiani
- Nuove regole introdotte dalla Legge di Bilancio e normativa MiCA
⚠️ L’Agenzia può effettuare un accertamento induttivo in caso di mancata indicazione nella dichiarazione.
Come difendersi da un accertamento sulle criptovalute?
Hai diverse opzioni, in base alla situazione:
- 📂 Dimostrare la provenienza lecita e documentata dei fondi
- 🔎 Verificare l’errata applicazione delle norme fiscali da parte dell’Agenzia
- ⚖️ Presentare ricorso alla giustizia tributaria entro 60 giorni dall’atto
- ✍️ Correggere la dichiarazione con ravvedimento operoso, se ammissibile
- 🛡️ Opporsi a sanzioni sproporzionate o accertamenti fondati su presunzioni errate
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📑 Verifica la legittimità dell’accertamento ricevuto
📂 Analizza i tuoi movimenti in wallet, exchange e conti bancari
⚖️ Redige ricorsi tributari per difendere la tua posizione fiscale
✍️ Ti assiste nella compilazione corretta del quadro RW e dichiarazioni integrative
🔁 Ti tutela da sanzioni e imposte non dovute, anche in caso di regolarizzazioni
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in fiscalità delle criptovalute e accertamenti tributari
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per investitori, trader e detentori di asset digitali
✔️ Consulente per l’adeguata compliance fiscale in ambito crypto
Conclusione
Un accertamento sulle criptovalute non è sempre fondato: puoi difenderti, opporre l’atto e salvaguardare il tuo patrimonio digitale.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, affronti la situazione con competenza e strategie efficaci.
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