Hai ricevuto un accertamento fiscale pur operando nel regime forfettario e ti stai chiedendo cosa puoi fare per difenderti, se l’Agenzia ha ragione e cosa rischi davvero? Ti contestano ricavi non dichiarati, l’uscita dai limiti del regime o l’utilizzo scorretto della tassazione agevolata?
Sempre più professionisti e piccoli imprenditori in regime forfettario sono oggetto di controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate, che incrocia dati, verifica fatturati, spese, movimenti bancari e persino i clienti serviti. Ma molti accertamenti sono viziati da errori formali o interpretazioni forzate. E si possono contestare.
Quando scatta l’accertamento fiscale nel regime forfettario?
– Quando superi il limite di 100.000 euro di ricavi o compensi
– Se l’Agenzia rileva che hai avuto dipendenti o collaboratori superiori ai limiti previsti
– Se sei sospettato di avere clienti “ricorrenti” o rapporti di falsa partita IVA
– Quando risultano versamenti sui conti non coerenti con quanto dichiarato
– Se hai omesso il monitoraggio fiscale su attività estere o hai usato fatture irregolari
Cosa può contestarti l’Agenzia delle Entrate?
– Perdita del regime forfettario con tassazione ordinaria retroattiva
– Accertamento induttivo sui ricavi presunti (anche in base ai conti correnti)
– Applicazione di sanzioni per dichiarazioni infedeli o mancato rispetto delle condizioni
– In alcuni casi, la contestazione di finta attività autonoma se il lavoro è svolto come subordinato
Come puoi difenderti da un accertamento nel forfettario?
– Verificando se i ricavi contestati rientrano in quelli effettivamente percepiti e dichiarati
– Dimostrando che non hai superato i limiti soggettivi o oggettivi previsti dalla legge
– Producendo contratti, comunicazioni, documenti bancari e giustificativi delle operazioni
– Contestando errori nella ricostruzione presuntiva o nel calcolo dei compensi
– Presentando un’istanza in autotutela, o se necessario, un ricorso entro 60 giorni dalla notifica
Cosa puoi ottenere con una buona difesa?
– Mantenere il regime forfettario, se la contestazione è infondata o basata su presunzioni
– L’annullamento dell’accertamento per vizi procedurali o errori materiali
– La riduzione delle sanzioni o l’accesso a una definizione agevolata
– La dimostrazione che l’attività è svolta in autonomia reale, se contestano la falsa partita IVA
Cosa NON devi fare mai?
– Pensare che “tanto il forfettario è semplice e non possono contestarlo”
– Ignorare la notifica dell’accertamento: dopo 60 giorni diventa definitivo
– Pagare senza controllare le cifre: molti accertamenti contengono errori macroscopici
– Tentare una difesa generica: serve un’analisi tecnico-fiscale dettagliata
Essere in regime forfettario non ti rende immune da controlli. Ma puoi difenderti con successo, se conosci i tuoi diritti.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso fiscale e difesa dei forfettari – ti spiega quando scatta l’accertamento, cosa può contestarti l’Agenzia e come costruire una strategia vincente per tutelare la tua attività e il tuo regime agevolato.
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Introduzione
Il regime forfettario è un regime fiscale agevolato italiano, caratterizzato da una tassazione “flat” (imposta sostitutiva) e da significative semplificazioni contabili. Esso rappresenta spesso la scelta ideale per professionisti e piccoli imprenditori grazie all’aliquota ridotta (15% o 5% nei primi anni) e alla facilità di gestione amministrativa. Tuttavia, aderire al regime forfettario comporta il rigoroso rispetto di specifici requisiti di legge e l’osservanza di soglie di ricavi, condizioni soggettive e divieti. In caso di accertamento fiscale da parte dell’Agenzia delle Entrate, il contribuente forfettario può trovarsi a dover difendere la propria posizione, dimostrando di aver rispettato i requisiti del regime o contestando eventuali rilievi.
In questa guida approfondita – aggiornata a giugno 2025 – esamineremo tutti gli aspetti rilevanti per difendersi efficacemente da un accertamento fiscale in regime forfettario, dal punto di vista del contribuente (debitore). Analizzeremo la normativa italiana vigente (con riferimenti a leggi, circolari e sentenze aggiornate), forniremo esempi pratici, tabelle riepilogative, una sezione di domande e risposte (FAQ) e richiameremo le più recenti pronunce giurisprudenziali.
Il regime forfettario: caratteristiche e requisiti di accesso
Il regime forfettario (disciplinato originariamente dall’art. 1 commi 54-89 della L. 190/2014, c.d. Legge di Stabilità 2015) è riservato alle persone fisiche esercenti attività d’impresa, arte o professione in forma individuale. I tratti salienti di questo regime di favore sono:
- Imposta sostitutiva flat: applicazione di un’unica imposta sostitutiva del 15% sul reddito imponibile, in luogo di IRPEF, addizionali regionali/comunali e IRAP. Per le nuove attività è prevista un’aliquota ridotta al 5% per i primi 5 anni, purché rispettate specifiche condizioni (startup innovativa, assenza di prosecuzione di attività precedenti, ecc.).
- Determinazione forfettaria del reddito: il reddito imponibile non è calcolato sottraendo i costi effettivi dai ricavi, bensì applicando al totale dei ricavi/compensi percepiti un coefficiente di redditività predeterminato per categoria di attività (in base al codice ATECO). Ad esempio, un consulente con coefficiente del 78% che incassa 30.000 € avrà un reddito imponibile forfettario di 23.400 €. I costi sono quindi considerati in modo forfettario e non analitico.
- Semplificazioni IVA e contabili: il forfettario non addebita l’IVA in fattura né detrae l’IVA sugli acquisti, ed è esonerato da liquidazioni e dichiarazioni IVA. In fattura va indicata una specifica dicitura di non assoggettamento ad IVA e ritenuta. Inoltre è esonerato da obblighi di registrazione contabile e tenuta delle scritture, fatti salvi gli obblighi di conservare i documenti ricevuti ed emessi. Dal 2024 è inoltre obbligatoria la fatturazione elettronica per tutti i forfettari.
- Niente ritenute d’acconto: i ricavi/compensi dei forfettari non subiscono ritenuta d’acconto da parte dei sostituti d’imposta; il forfettario deve però rilasciare un’apposita dichiarazione ai clienti attestando la propria posizione (art. 1 c.67 L.190/2014). Egli stesso, in generale, non opera ritenute su eventuali pagamenti effettuati (non essendo sostituto d’imposta, salvo eccezioni specifiche).
- Esoneri dichiarativi: il contribuente in regime forfettario compila un quadro dedicato (quadro LM) nella dichiarazione dei redditi (Modello Redditi PF) per dichiarare i propri ricavi e calcolare l’imposta sostitutiva. Non applica gli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA) e non è soggetto agli studi di settore.
Tali agevolazioni rendono il regime estremamente appetibile, ma in cambio il legislatore impone rigorose condizioni di accesso e permanenza. Vediamo quali.
Limite di ricavi e soglia di accesso
Il primo requisito fondamentale è di natura quantitativa: il volume di ricavi o compensi conseguiti nell’anno solare precedente non deve superare una certa soglia massima.
- Fino al 2022, la soglia era fissata a 65.000 € annui (unica per tutte le attività, dopo l’unificazione operata dalla L. 145/2018).
- Dal periodo d’imposta 2023, la Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022) ha innalzato il limite a 85.000 €. Ciò significa che, ad esempio, se i ricavi 2022 di un professionista non superavano €85.000, egli poteva permanere (o accedere) al regime forfettario nel 2023.
Questa soglia va verificata tenendo conto di tutte le attività esercitate dal contribuente: se si svolgono più attività con diversi codici ATECO, i ricavi/compensi si sommano ai fini del limite. Il calcolo avviene secondo il principio di cassa (contano gli importi effettivamente incassati nell’anno).
Superare il limite di ricavi comporta l’uscita dal regime agevolato, ma con modalità diverse a seconda dell’entità del superamento, come vedremo nel dettaglio in seguito (vedi sezione “Uscita dal regime…”). In breve: se il contribuente supera €85.000 ma rimane entro €100.000, il regime cessa dall’anno successivo; se invece supera €100.000, scatta la cessazione immediata già nel corso dell’anno (novità 2023).
Limite alle spese per personale e collaboratori
Un altro requisito di accesso/permanenza riguarda l’eventuale impiego di lavoro altrui. Nell’anno precedente all’applicazione del regime, il contribuente non deve aver sostenuto spese per lavoro dipendente e assimilato superiori a €20.000 lordi. Nel computo rientrano le spese per dipendenti, collaboratori, lavoro accessorio, compensi a associati in partecipazione con apporto di solo lavoro, ecc. Se tali costi superano €20.000, il regime agevolato non è applicabile (o si perde dall’anno successivo).
Esempio: se nel 2024 il Sig. Rossi (professionista in regime forfettario) assume un dipendente con stipendio annuo di €25.000, avrà sforato il limite. Di conseguenza, dal 2025 non potrà più adottare il regime forfettario.
Cause ostative: chi non può aderire al forfettario
Oltre ai limiti quantitativi sopra citati, la legge elenca una serie di cause ostative che impediscono l’accesso (o fanno decadere) dal regime forfettario, anche qualora il contribuente si trovi sotto le soglie finanziarie. Tali cause sono previste dall’art. 1 comma 57 della L. 190/2014 (come modificato dalle successive leggi). In sintesi, non possono avvalersi del regime forfettario (o lo perdono se vi sono entrati) i seguenti soggetti:
- Uso di regimi IVA o reddito speciali: chi si avvale di regimi speciali IVA o di altri regimi forfettari di determinazione del reddito per la propria attività. Ad esempio, chi applica il regime speciale agricolo, il regime del margine per i beni usati, il regime 398/1991 per enti sportivi dilettantistici, ecc. non può contemporaneamente aderire al forfettario per la stessa attività (incompatibilità regime).
- Non residenti: i soggetti non residenti in Italia sono esclusi, salvo quelli residenti in paesi UE o SEE che garantiscono adeguato scambio di informazioni e che producono in Italia almeno il 75% del proprio reddito complessivo. Questa deroga consente a contribuenti UE/SEE sostanzialmente “stabiliti” fiscalmente in Italia di usufruire del regime.
- Attività particolari: i contribuenti che svolgono, in via esclusiva o prevalente, cessioni di fabbricati o terreni edificabili o cessioni di mezzi di trasporto nuovi (operazioni già disciplinate da regimi IVA speciali). L’intento è evitare che attività che godono di regimi IVA peculiari possano rientrare nel forfettario.
- Partecipazione in società di persone o imprese familiari: gli esercenti attività d’impresa/arti/professioni che partecipano contemporaneamente a società di persone, associazioni professionali o imprese familiari (di cui all’art. 5 TUIR). Ad esempio, un contribuente socio di una SNC o associato in uno studio professionale non può applicare il forfettario sulla propria partita IVA individuale.
- Controllo di società a responsabilità limitata: coloro che controllano direttamente o indirettamente SRL o associazioni in partecipazione esercitanti attività economiche riconducibili a quelle svolte dal contribuente. Questa clausola anti-abuso mira a impedire che il contribuente frammenti l’attività in una società di capitali (di cui detiene il controllo) beneficiando al contempo del forfettario sulla partita IVA individuale. Se la SRL controllata svolge attività diversa non collegabile a quella personale, la causa ostativa non opera; ma se l’attività è anche solo indirettamente riconducibile, il regime è precluso.
- Attività verso datori di lavoro (ex “false partite IVA”): i soggetti la cui attività è svolta prevalentemente nei confronti di datori di lavoro con cui sono in corso rapporti di lavoro dipendente (o lo erano nei due precedenti periodi d’imposta), ovvero nei confronti di soggetti direttamente o indirettamente riconducibili a tali datori di lavoro. Questa causa (introdotta dal 2019, comma 57 d-bis) è pensata per evitare che un lavoratore dipendente si “metta in partita IVA” per fornire servizi al proprio ex datore simulando lavoro autonomo, ma di fatto proseguendo il precedente rapporto. Eccezione: è escluso da questo divieto chi intraprende una nuova attività dopo il periodo di pratica obbligatoria (tipico per alcune professioni ordinistiche) presso un datore di lavoro.
- Elevati redditi di lavoro dipendente/pensione: chi, nell’anno precedente, ha percepito redditi di lavoro dipendente e assimilati (artt. 49 e 50 TUIR) superiori a €30.000 lordi. In altre parole, se il contribuente ha anche un lavoro da dipendente (o pensione) di importo sopra 30mila euro, non può aderire o permanere nel forfettario, a meno che il rapporto di lavoro sia cessato. La verifica di questa soglia non rileva se il rapporto è cessato, il che significa che un contribuente che ha lasciato il lavoro dipendente alto-reddito può comunque avvalersi del forfettario dall’anno successivo. Questa norma previene che il regime forfettario venga utilizzato come seconda attività ultragevolata da chi ha già un reddito principale consistente da lavoro dipendente.
Possiamo riassumere in una tabella le principali condizioni e cause di esclusione:
Requisito / Causa Ostativa | Descrizione | Riferimento Normativo |
---|---|---|
Limite ricavi anno precedente | Ricavi/compensi ≤ €85.000 (dal 2023, prima €65.000). | L. 190/2014, c.54 lett. a) |
Limite spese personale | Costi per dipendenti e collaboratori ≤ €20.000 lordi/anno precedente. | L. 190/2014, c.54 lett. b) |
Regimi IVA speciali | Non avvalersi di regimi IVA speciali o forfettari di settore. | L. 190/2014, c.57 lett. a) |
Soggetto non residente | Esclusi i non residenti (salvo UE/SEE con ≥75% redditi in Italia). | L. 190/2014, c.57 lett. b) |
Attività particolari (immobili, auto) | No cessione prevalente di fabbricati, terreni edificabili, mezzi nuovi. | L. 190/2014, c.57 lett. c) |
Partecipazione società di persone/imprese familiari | Divieto di partecipare contemporaneamente a società di persone, associazioni professionali o imprese familiari. | L. 190/2014, c.57 lett. d) |
Controllo di Srl attività riconducibile | Divieto di controllo diretto/indiretto di Srl o associazione in partecipazione con attività riconducibile a quella individuale. | L. 190/2014, c.57 lett. d) |
Attività prevalente verso ex datore | Divieto se l’attività autonoma è svolta prevalentemente per ex datori di lavoro degli ultimi 2 anni (o attuale datore). (Eccezione: praticantato obbligatorio). | L. 190/2014, c.57 lett. d-bis) |
Redditi dipendenti > €30.000 | Esclusione se redditi di lavoro dipendente/assimilati > €30.000 l’anno precedente (salvo lavoro cessato). | L. 190/2014, c.57 lett. d-ter) |
Nota bene: Le cause ostative vanno dichiarate nell’apposito quadro RS (storicamente) o LM della dichiarazione dei redditi. Il contribuente forfettario attesta l’assenza di cause di esclusione barrando le relative caselle. False dichiarazioni su tali cause (ad esempio omettere di indicare una partecipazione societaria) possono portare, in sede di controllo, alla decadenza dal regime con effetti retroattivi e sanzioni, come vedremo. È quindi essenziale verificare accuratamente il possesso dei requisiti prima di applicare il regime forfettario.
Focus: aliquota start-up al 5% e condizioni
Una delle agevolazioni più interessanti del regime forfettario è l’aliquota ridotta al 5% per i primi 5 anni di nuova attività. Dal punto di vista dell’accertamento, è importante conoscere le condizioni per usufruirne, poiché anche queste possono formare oggetto di verifica da parte del Fisco (ad esempio, controlli sul requisito di “novità” dell’attività):
- Il contribuente non deve aver esercitato nei tre anni precedenti altra attività artistica, professionale o d’impresa (anche in forma associata o familiare).
- L’attività avviata non deve costituire mera prosecuzione di un’attività precedentemente svolta come lavoratore dipendente o autonomo (salvo il caso di pratica obbligatoria). Ciò evita che ci si licenzi per riaprire P. IVA e pagare il 5%. Ad esempio, un ex dipendente che apre partita IVA svolgendo sostanzialmente lo stesso lavoro per lo stesso ex datore non può avere il 5% (oltre a incorrere nella causa ostativa di cui sopra se prevalente).
- Se si prosegue un’attività altrui per successione o trasferimento d’azienda, i ricavi del cedente nell’anno precedente non devono aver superato la soglia di regime (85.000 €).
Queste condizioni, pur riguardando l’aliquota agevolata e non la permanenza nel regime in sé, possono essere oggetto di richiesta di documentazione durante controlli mirati. Ad esempio, l’Agenzia delle Entrate potrebbe chiedere evidenza che l’attività non è prosecuzione di precedente lavoro dipendente, esaminando il tipo di clienti, la presenza di ex datori tra i committenti, ecc. (elementi connessi anche al divieto delle “false partite IVA”).
Uscita dal regime forfettario: superamento dei limiti di ricavi
Uno degli aspetti critici per i forfettari è la gestione dell’uscita dal regime in caso di superamento delle soglie di ricavi/compensi. Le regole sono cambiate con la Legge di Bilancio 2023, introducendo la distinzione tra sforamenti “moderati” e sforamenti rilevanti oltre i 100.000 €.
Sintesi delle regole di fuoriuscita:
- Se i ricavi/compensi dell’anno superano il limite ordinario (85.000 €) ma non eccedono 100.000 €, il regime cessa dall’anno successivo. Il periodo d’imposta in cui si è verificato lo sforamento rimane assoggettato a regime forfettario, ma dal 1° gennaio dell’anno seguente si entra automaticamente nel regime ordinario. In pratica: lo sforamento “contenuto” comporta decadenza differita.
- Se invece i ricavi/compensi superano la soglia di €100.000, scatta la decadenza immediata nel corso dello stesso anno: dal momento in cui si oltrepassa la soglia, il contribuente perde subito i benefici del regime forfettario e deve applicare la fiscalità ordinaria (IVA, IRPEF a scaglioni, ritenute) sulle operazioni da quel punto in poi. Questa è una novità introdotta dall’art. 1 comma 54 L.197/2022 (Bilancio 2023), di portata notevole poiché determina la coesistenza di due regimi fiscali nello stesso anno.
Di seguito analizziamo dettagliatamente la seconda ipotesi, più complessa, e le sue implicazioni pratiche.
Superamento di 100.000 €: decadenza immediata e obblighi conseguenti
La logica della norma introdotta dal 2023 è chiara: oltre una certa soglia di fatturato, il contribuente non può più beneficiare nemmeno per una parte dell’anno della tassazione forfettaria. L’intento è evitare che soggetti con ricavi molto elevati godano per l’intero anno di un regime pensato per piccole dimensioni. Pertanto, al raggiungimento di €100.000 incassati, il regime cessa ex nunc (da quel momento). Vediamo come comportarsi in pratica:
- Criterio temporale – principio di cassa: Il monitoraggio del superamento soglia avviene in base alla data di incasso dei compensi (cassa) e non alla maturazione competenza. Dunque, è il giorno in cui effettivamente si percepisce il compenso che può far sforare il limite. Ad esempio, una fattura emessa a dicembre ma incassata a gennaio dell’anno seguente rileverà nell’anno successivo.
- Momento di passaggio al regime ordinario: dal giorno in cui si incassa l’importo che fa superare i €100.000, il contribuente deve considerarsi uscito dal regime forfettario e deve applicare da lì in avanti le regole ordinarie. Non c’è retroattività sul periodo precedente né si attende l’anno seguente: il cambiamento è immediato in corso d’anno.
- Fatturazione IVA: se la fattura relativa all’incasso sforante è emessa contestualmente al pagamento, essa deve recare addebito IVA (poiché al momento dell’operazione il contribuente non è più in esenzione). Se invece la fattura era stata emessa prima (quando si era sotto soglia) ma viene incassata solo quando quel pagamento provoca il superamento, la fattura, inizialmente senza IVA, va integrata dal contribuente con l’IVA a debito. In pratica l’Agenzia richiede di correggere ex post il documento già emesso, versando l’IVA dovuta.
- Operazione interamente imponibile: è stato chiarito che, in caso di incasso di un corrispettivo che fa sforare la soglia, l’intera operazione va assoggettata ad IVA – non è consentito splittare la fattura in parte “sotto soglia” esente e parte eccedente imponibile. Ad esempio, se con un incasso di €30.000 si passa da €90.000 a €120.000, quei 30.000 saranno interamente con IVA, non solo i 20.000 eccedenti i 100.000.
- Detrazione IVA sugli acquisti: uscendo dal regime in corso d’anno, il contribuente deve effettuare la rettifica della detrazione IVA per i beni/servizi acquistati precedentemente senza diritto a detrazione. Ciò ai sensi dell’art. 19-bis2 DPR 633/72: ad esempio, beni ammortizzabili o rimanenze acquistate durante il periodo forfettario, in parte ancora utilizzate dopo l’uscita, generano il diritto a una detrazione “pro-rata” dell’IVA originaria. Questo aspetto richiede spesso il supporto di un consulente per calcoli precisi.
- Ritenute d’acconto: dal primo incasso che supera la soglia, scatta l’obbligo di subire/applicare le ritenute. Quindi, se il committente effettua un pagamento oltre soglia, dovrà operare la ritenuta d’acconto IRPEF (20%) su quel compenso. Specularmente, il neo-ex forfettario dovrà iniziare ad agire come sostituto d’imposta su pagamenti a terzi dal momento dell’uscita (per es., pagare collaboratori con ritenuta).
- Coesistenza di due regimi nello stesso anno: come anticipato, avremo per quell’anno una fase iniziale in regime forfettario (fino al giorno X) e una fase successiva in regime ordinario (dal giorno X in poi). Questo complica la dichiarazione dei redditi: occorrerà suddividere i ricavi e le spese tra le due fasi. In pratica:
- I ricavi fino a €100.000 saranno tassati con imposta sostitutiva forfettaria (15% sul coefficiente di redditività) e senza IVA.
- I ricavi eccedenti saranno tassati con il regime ordinario IRPEF (scaglioni) calcolando il reddito analiticamente (ricavi meno costi relativi) e assoggettati ad IVA e ritenute. Di fatto, il reddito dell’intero anno andrà determinato interamente con criteri ordinari ai fini IRPEF, perché la fuoriuscita retroagisce all’inizio dell’anno per il calcolo del reddito (come confermato anche dalla relazione alla legge e dalla Circolare AE 32/E/2023). Il forfettario dunque perde il beneficio per tutto l’anno in cui supera 100k in termini di imposta sostitutiva, pur mantenendo la non applicazione dell’IVA fino al momento di uscita. I redditi di quell’anno vanno rideterminati con criteri ordinari, come se il soggetto fosse in regime semplificato normale.
Esempio pratico (superamento soglia in corso d’anno): il professionista Alfa, in regime forfettario nel 2024, a metà novembre 2024 ha già incassato €90.000. Emette due fatture: n.10 da €4.000 incassata subito e n.11 da €30.000 incassata il 20 dicembre 2024. L’incasso di €30.000 il 20/12/2024 porta i compensi percepiti a €124.000, superando il limite di €100.000. Conseguenze: dal 20 dicembre Alfa decade dal regime. La fattura n.11 (che causa il superamento) doveva essere emessa con IVA; se l’aveva emessa senza IVA prima dell’incasso, ora va regolarizzata con IVA a debito. Le fatture emesse dopo (ipotizziamo ne emetta un’ulteriore a fine dicembre) dovranno tutte avere IVA. Ai fini del 2024, Alfa dovrà calcolare:
- Reddito ante uscita (gennaio–19 dicembre) con il forfettario per monitoraggio, ma ai fini fiscali finali la legge impone il ricalcolo ordinario per tutto l’anno. Dunque tutti i €124.000 di compensi saranno considerati nel Modello Redditi 2025 come reddito d’impresa professionale analitico, potendo dedurre le spese effettivamente sostenute (dovrà quindi predisporre un conto economico reale 2024).
- IVA: dovrà liquidare l’IVA sulla fattura da 30.000 (e su eventuali altre successive) e versarla, e dovrà rettificare l’IVA sugli acquisti annuali pro-quota (ad esempio, se aveva acquistato beni strumentali nel 2024).
- Ritenute: sul pagamento di €30.000 il cliente dovrà applicare ritenuta; Alfa la scomputarà poi in dichiarazione. Alfa stesso dovrà versare ritenute per eventuali pagamenti fatti (es. compensi a un collaboratore pagato dopo il 20/12).
- Dal 2025 resterà in regime ordinario (potrà eventualmente rientrare nel forfettario solo se nel 2025 rispetterà di nuovo requisiti, ma avendo superato di molto la soglia, probabilmente no se l’attività rimane su quei livelli).
La Circolare AE n. 32/E del 5-12-2023 ha fornito chiarimenti puntuali su questi aspetti operativi, aiutando i contribuenti a gestire correttamente il mutamento di regime in corso d’anno. In conclusione, si delineano due principi generali:
- La fuoriuscita per superamento di 100.000 € opera ex nunc (non retroattiva né differita), in applicazione stretta del principio di cassa.
- L’anno in cui avviene lo sforamento >100k va considerato, ai fini del calcolo del reddito, come interamente assoggettato a regime ordinario (il che comporta, nella pratica, la perdita dei benefici d’imposta sostitutiva su tutti i redditi di quell’anno).
Superamento della soglia “ordinaria” (85.000 €) senza sforare 100.000 €
Qualora i ricavi/percepiti dell’anno superino il limite di 85.000 € ma non quello di 100.000 €, la disciplina è più semplice:
- Anno in corso: il contribuente resta in regime forfettario fino a fine anno (non vi è mutamento durante l’anno). Non dovrà addebitare IVA sulle operazioni, né cambiare modalità di calcolo per quell’anno. L’eventuale eccedenza di ricavi sarà comunque tassata forfettariamente al 15%.
- Anno successivo: perde il diritto al regime forfettario e dal 1° gennaio successivo adotterà il regime ordinario semplificato. Come recita l’art. 1 comma 71 della L. 190/2014, “i benefici decadono a partire dal periodo d’imposta successivo se nel periodo d’imposta si percepiscono compensi >85.000 € ma ≤100.000 €”.
- Non c’è alcuna sanzione o penalità in sé per aver sforato (oltre naturalmente a dover pagare più imposte dal successivo regime). Si tratta di una uscita “fisiologica” per crescita dell’attività. Importante: assicurarsi di adottare tutti i nuovi adempimenti dal nuovo anno (apertura posizione IVA ordinaria, applicazione IVA, registri, ecc.), perché l’Agenzia delle Entrate è molto attenta a chi, avendo sforato, continua indebitamente ad applicare il regime.
Nel caso in cui, per disattenzione, un contribuente che ha sforato la soglia continui l’anno dopo a operare come forfettario, molto probabilmente riceverà un avviso dall’Agenzia (o direttamente un accertamento) contestando “applicazione di regime agevolato non spettante”. Dovrà allora riliquidare tutto l’anno come ordinario e versare l’IVA non addebitata, con sanzioni.
Effetti sul periodo precedente: regime minimi vs forfettario
Una differenza storica importante: nel previgente “regime dei minimi” (D.Lgs. 98/2011) era previsto che se i ricavi superavano di oltre il 50% la soglia massima, la cessazione dal regime agevolato fosse immediata già in quell’anno. Nel regime forfettario, prima del 2023, non esisteva analoga previsione: anche in caso di splafonamento consistente, la cessazione operava comunque dall’anno successivo. La nuova regola dei 100.000 € va a colmare parzialmente questo vuoto, introducendo un meccanismo di immediata uscita oltre una certa soglia assoluta. Resta inteso però che, se a seguito di accertamento fiscale viene scoperto che i ricavi reali di un anno superavano la soglia, la decadenza formale è dall’anno seguente alla definitività dell’accertamento (come discuteremo nella sezione successiva sulla disciplina degli accertamenti).
In altre parole, la cessazione “ex nunc” per >100.000 € si applica quando il contribuente stesso rileva e dichiara di aver superato il limite in corso d’anno (o si adegua subito). Se invece il superamento viene accertato in sede di verifica a posteriori (e non è stato spontaneamente gestito come sopra), formalmente il regime cessa dall’anno successivo all’accertamento definitivo, ma l’anno in contestazione verrà comunque tassato secondo i criteri ordinari, recuperando imposte e IVA non versate. Si tratta di un aspetto tecnico procedurale: la sostanza è che l’anno “incriminato” verrà ricalcolato dal Fisco come se il regime non si applicasse.
I controlli fiscali sul regime forfettario: cosa verifica il Fisco
Negli ultimi anni, l’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli mirati sui contribuenti in regime forfettario, al fine di intercettare utilizzi indebiti del regime di favore ed eventuali abusi. In particolare, a partire dal 2023-2024 vi è stata una “stretta” annunciata nelle linee d’azione dell’Amministrazione finanziaria, con verifiche sia documentali sia tramite accessi brevi. Secondo notizie di stampa specializzata, per il 2024 il Fisco ha pianificato un’ampia campagna di controlli serrati sui forfettari.
Obiettivi dei controlli e profili sotto esame
Le verifiche si concentrano sui seguenti aspetti chiave, che rispecchiano i requisiti e i limiti normativi già esposti:
- Soglia di ricavi/compensi (€85.000): Si controlla che il contribuente non abbia sforato il limite senza uscirne. Attraverso i dati delle fatture elettroniche e dei corrispettivi telematici, l’Agenzia può agevolmente sommare i ricavi dichiarati. Anche l’eventuale superamento di €100.000 in corso d’anno (e la corretta gestione conseguente) è oggetto di attenzione.
- Limite di €20.000 per spese di lavoro dipendente: Si verifica dalle certificazioni CU e dal quadro di redditi da lavoro dipendente se il forfettario ha sostenuto costi per dipendenti o collaboratori oltre il tetto.
- Presenza di redditi di lavoro dipendente > €30.000: Incrociando le dichiarazioni, l’Agenzia individua forfettari che nello stesso anno percepiscono salari/pensioni superiori a 30k. In particolare, per chi ha avviato l’attività da poco, viene controllato l’anno precedente all’ingresso nel regime per vedere se aveva un lavoro di quel livello (causa ostativa).
- Rapporti con ex datori di lavoro: Il Fisco cerca segnali di “false partite IVA”, ossia professionisti o ditte individuali che fatturano prevalentemente ad un unico soggetto con cui avevano un rapporto di lavoro. Può farlo incrociando i dati delle fatture emesse: se oltre il 50% del fatturato proviene da un ex datore, scatta un alert (salvo spiegazioni plausibili, ad es. cliente che però non è proprio l’ex datore ma società collegata, etc.).
- Partecipazioni societarie: Viene consultato il registro delle imprese per vedere se il contribuente risulta socio di società di persone o possiede quote di SRL. In caso affermativo, si verifica l’attività di tali società per valutare l’applicazione della causa ostativa.
- Applicazione aliquota 5% startup: L’Agenzia controlla se chi dichiara il 5% ne aveva diritto, ad es. esaminando la sua posizione pregressa (esistenza di precedenti attività, periodo di tirocinio, eventuale coincidenza dell’attività con quella di un precedente datore). È un profilo più di dettaglio, ma segnalato come anch’esso sotto la lente.
- Corretto adempimento dichiarativo (Quadro LM/RS): È emerso che molti forfettari non compilano correttamente i quadri informativi obbligatori (ad esempio, quadro RS nelle dichiarazioni precedenti al 2020, o sezioni specifiche del quadro LM per dichiarare cause ostative e altri dati). Nel 2023, l’Agenzia ha inviato migliaia di lettere di compliance a forfettari che avevano omesso tali informazioni nel modello Redditi 2022 relativo al 2021. Solo una minima parte (4,4%) ha regolarizzato spontaneamente, così il Fisco ha annunciato accessi brevi presso i contribuenti per verificare di persona la regolarità della tenuta documentale e delle dichiarazioni. La sanzione per errata/omessa indicazione di dati nel quadro RS/LM è modesta, ma questa attività di controllo può fare da apripista per approfondimenti più sostanziali sui requisiti.
- Confronto dati esterni – anagrafe tributaria: Spesso i controlli derivano da incrocio di banche dati. Ad esempio, come segnalato da Money.it, sono stati inviati inviti a contribuenti forfettari relativamente all’anno d’imposta 2021 indicando “incongruenze tra i dati dichiarati e quelli presenti in Anagrafe Tributaria”. Un caso tipico è la difformità tra il fatturato dichiarato in quadro LM e le Certificazioni Uniche (CU) inviate dai sostituti d’imposta clienti. Se un cliente ha emesso una CU per compensi verso il forfettario (magari indicando erroneamente ritenute) o l’importo non combacia, il sistema può segnalare anomalia.
In sintesi, l’Amministrazione finanziaria dispone oggi di strumenti molto efficaci per individuare possibili irregolarità nel regime forfettario: l’obbligo generalizzato di fatturazione elettronica (dal 2024 per tutti i forfettari), la tracciabilità bancaria (incassi tracciati tramite l’“anomaliometro” o indagini finanziarie mirate), e gli incroci automatizzati sulle diverse dichiarazioni permettono di costruire profili di rischio. Nel 2024-2025, l’anno d’imposta 2021 e seguenti sono al centro dell’attenzione: chi ha iniziato nel 2019 con soglia 65k potrebbe averla sforata nel 2021/2022; chi aveva redditi dipendenti nel 2020 potrebbe essere entrato indebitamente; molti non hanno compilato il quadro RS correttamente.
Modalità dei controlli: inviti, richieste e accertamenti automatici
Le attività di controllo sul forfettario possono assumere forme diverse:
- Lettera di compliance o invito a esibire documenti: È la modalità più frequente in caso di dubbi sui requisiti. L’Agenzia invia al contribuente una comunicazione (via PEC o raccomandata) chiedendo di presentare o trasmettere documentazione per verificare il possesso dei requisiti del regime. Ad esempio, possono richiedere copia di:
- Tutte le fatture emesse nell’anno in esame.
- Contratti con i principali clienti (per vedere rapporti con ex datori).
- Estratti conto bancari dell’anno (per riscontrare gli incassi rispetto alle fatture).
- Documentazione attestante eventuali cause di esclusione non operanti (es.: lettera di licenziamento se c’era un lavoro dipendente >30k poi cessato).
- Libro unico del lavoro o F24 contributi per vedere le spese del personale.
- Accertamento automatico “in palese”: Quando la violazione appare evidente e documentale, l’Agenzia può bypassare la fase di invito e procedere direttamente all’emissione di un avviso di accertamento con cui recupera le imposte non versate, più sanzioni e interessi. Dalle segnalazioni risulta che questo avviene, ad esempio, se il contribuente:
- Ha presentato la dichiarazione indicando il regime forfettario ma dai dati disponibili risulta inequivocabilmente escluso: tipici casi sono chi nel 2020 aveva >€30.000 di redditi di lavoro dipendente, oppure risulta socio di società (informazione pubblica) o ancora ha dichiarato compensi oltre il limite (es. €70.000 nel 2018 avendo soglia 65k). In situazioni del genere, l’ufficio ritiene superfluo richiedere spiegazioni, configurandosi una “non spettanza” palese del regime. L’accertamento notificherà quindi la ricostruzione dell’imposta dovuta in regime ordinario per l’anno contestato, con contestuale applicazione di sanzioni per dichiarazione infedele e omesso versamento IVA.
- Non ha presentato affatto la dichiarazione dei redditi pur avendo operato (fatture attive) come forfettario: la mancata dichiarazione preclude qualsiasi riconoscimento del regime agevolato. In tal caso il Fisco considera l’imposta dovuta con aliquote ordinarie sull’intero reddito. La Corte di Cassazione ha confermato che la dichiarazione annuale è presupposto indispensabile per godere di un regime agevolato; senza dichiarazione il regime forfettario non può essere applicato. Pertanto l’Agenzia emette un accertamento per omessa dichiarazione (con sanzioni molto gravi e, se l’imposta evasa supera certe soglie, anche profili penali).
- Accessi brevi e verifiche sul campo: In alcuni casi, come accennato, funzionari dell’Agenzia possono effettuare accessi mirati presso il contribuente (es. presso il luogo di esercizio dell’attività) con preavviso minimo, al fine di verificare documentazione e riscontri immediati. Questi accessi di solito puntano a:
- Controllare che il contribuente stia emettendo fatture in modo corretto (soprattutto dopo l’estensione della fatturazione elettronica).
- Verificare la presenza della documentazione contabile minima (es. conservazione delle fatture d’acquisto, estratti conto).
- Redigere un verbale di constatazione se emergono irregolarità, o sollecitare il contribuente a fornire elementi aggiuntivi.
Va detto che, poiché il forfettario non è tenuto a scritture contabili (registri IVA, libro giornale ecc.), il controllo sul campo si concentra su estratti conto bancari e confronto entrate/uscite per individuare ricavi non fatturati (movimenti non giustificati) oppure costi del personale oltre soglia, etc. In mancanza di scritture, l’eventuale accertamento può assumere la forma di accertamento induttivo puro (art. 39, c.2 DPR 600/73) basato sui dati finanziari.
Best practice per il contribuente in caso di controlli
Dal punto di vista del contribuente (debitore), è fondamentale adottare un atteggiamento proattivo e trasparente in sede di controllo:
- Rispondere tempestivamente a qualsiasi invito o richiesta documentale dell’Agenzia, nei tempi indicati, eventualmente chiedendo proroghe motivate se serve più tempo per reperire dati. Ignorare la lettera porterà quasi sicuramente a un accertamento d’ufficio.
- Fornire documenti completi e attendibili: inviare copia integrale delle fatture, estratti conto bancari su cui evidenziare gli incassi professionali, contratti o accordi con clienti se possono chiarire la natura dei rapporti (utile ad es. per smentire la “prevalenza” con ex datore, mostrando che ci sono più committenti).
- Accompagnare la documentazione con spiegazioni: è consigliabile redigere una memoria esplicativa in cui si chiarisce punto per punto quanto richiesto. Ad esempio, se vi era un reddito di lavoro dipendente oltre 30k ma il rapporto è cessato prima dell’avvio della partita IVA, allegare la lettera di licenziamento e spiegarlo nella memoria.
- Verificare i dati delle controparti: se l’incongruenza nasce da una CU di un cliente (magari errata), contattare il cliente affinché eventualmente rettifichi la Certificazione Unica o produca una dichiarazione che attesti l’errore. Un classico caso: la CU potrebbe riportare importi non al netto di rivalsa INPS o senza tener conto di note di credito. Chiarirlo può risolvere il malinteso.
- Chiedere il contraddittorio orale: oltre a inviare i documenti, il contribuente può chiedere un incontro con i funzionari per discutere il caso. L’istituto del contraddittorio endoprocedimentale, sebbene non obbligatorio per legge in tutti i casi di imposte dirette, è comunque una buona prassi: consente di fornire chiarimenti a voce, prevenendo possibili fraintendimenti.
- Ravvedimento operoso se necessario: se emergono effettivamente errori o violazioni (es. ci si accorge di aver sforato il limite l’anno prima senza saperlo, oppure di aver applicato indebitamente il regime per ignoranza su una causa ostativa), può essere opportuno proporre all’ufficio di regolarizzare tramite ravvedimento operoso. Ad esempio, presentare una dichiarazione integrativa per cambiare il quadro LM in quadro RF (regime ordinario) e versare la differenza d’imposta con sanzioni ridotte. In taluni casi, gli uffici accettano la via del ravvedimento guidato, che evita l’emissione dell’accertamento formale (specie se l’errore è palese e il contribuente collaborativo).
Dimostrando buona fede e collaborazione, spesso il contribuente può ottenere un trattamento sanzionatorio più mite (ad esempio, evitando il cumulo di sanzioni pesanti o fruendo di riduzioni per adesione). Viceversa, atteggiamenti passivi o reticenti sono sconsigliabili, in quanto il regime forfettario, pur semplificato, lascia comunque tracce documentali che raramente lasciano scampo se c’è un abuso sostanziale.
L’accertamento fiscale vero e proprio: dal pvc all’avviso di accertamento
Se a valle dei controlli l’Ufficio riscontra delle irregolarità non sanate, si passa alla fase dell’accertamento tributario in senso proprio, con l’emissione di un atto impositivo contro il contribuente. Vediamo come si sviluppa tale procedura e quali sono i diritti di difesa del contribuente.
Termini e tipologie di accertamento
Innanzitutto, va ricordato che l’Agenzia ha termini decadenziali per notificare gli accertamenti:
- Per l’anno d’imposta 2021 (dichiarazione 2022), il termine ordinario di decadenza è il 31 dicembre 2026 (entro il quinto anno successivo a quello di presentazione). Analogamente, per il 2022 si andrà al 31/12/2027, e così via.
- Se la dichiarazione non è stata presentata o è nulla, i termini si allungano di ulteriori due anni (sette anni successivi al fatto). Ad esempio omessa dichiarazione 2021 -> accertabile fino al 31/12/2028.
- Va notato che alcune definizioni agevolate (vedi “tregua fiscale” 2023) non hanno riguardato espressamente i forfettari, ma in generale i termini sono stati prorogati di 3 mesi per gli atti in scadenza a fine 2022 (DL 34/2023). Tuttavia, tralasciamo queste particolarità.
Le tipologie di accertamento che possono riguardare un contribuente forfettario sono principalmente:
- Accertamento di tipo “contenzioso” sui requisiti: in cui l’Ufficio disconosce il regime forfettario applicato dal contribuente, contestando una delle cause ostative o il superamento dei limiti. È quello su cui ci stiamo focalizzando. In questi casi l’avviso di accertamento ridetermina il reddito con le regole ordinarie e ricalcola l’imposta dovuta in base all’IRPEF progressiva, all’IVA, ecc.. Tecnicamente si tratta di un accertamento in rettifica della dichiarazione (art. 41-bis DPR 600/73 se automatizzato, oppure art. 39 se a seguito di controllo sostanziale).
- **Accertamento da omessa/infedele dichiarazione: se il contribuente non ha presentato la dichiarazione o ha occultato parte dei ricavi, l’atto contesterà l’evasione di imposta (anche all’interno del regime forfettario, è possibile occultare ricavi). Il Fisco può procedere con accertamento induttivo puro se mancano le scritture, stimando i ricavi sulla base di elementi esterni (versamenti bancari, coefficienti, spese rilevate, ecc.).
- Accertamento sintetico (redditometro): in teoria, i forfettari potrebbero essere soggetti ad accertamento sintetico del reddito complessivo (ex art. 38 DPR 600/73) se vi è incongruenza tra reddito dichiarato e spese di lusso. Tuttavia, trattandosi di persone fisiche, il redditometro tiene conto del reddito al netto dell’imposta sostitutiva. Esempio: Tizio forfettario dichiara €20.000 di reddito (imposta sostitutiva €3.000), ma spende €50.000 per acquistare un’auto di lusso. Il Fisco potrebbe avviare un sintetico chiedendo come abbia finanziato quella spesa. In sede di difesa, occorrerà dimostrare che magari aveva risparmi accumulati, ecc. Questo tipo di accertamento punta più allo scostamento tra tenore di vita e redditi, e meno specifico del regime forfettario, ma è un rischio se emergono spese sproporzionate.
- Accertamento IVA: se il contribuente è stato escluso dal regime, l’atto conterrà anche la rettifica IVA (essendo dovuta l’IVA sulle operazioni effettuate). Formalmente può essere un avviso unico per imposte dirette e IVA, oppure separati. In caso di operazioni internazionali (p.e. cessione intracomunitaria in esenzione operata dal forfettario), la verifica potrebbe contestare l’assenza di applicazione IVA se il regime non spettava.
Procedimento: dal PVC al contraddittorio
I poteri istruttori del Fisco includono: questionari, inviti, accessi, verifiche e ispezioni. Nel contesto forfettario, spesso si tratta di controlli “da remoto” con scambio di documenti. Se però vi è un’attività economica rilevante, la Guardia di Finanza o gli uffici possono effettuare una verifica fiscale vera e propria presso la sede (si pensi a un commerciante forfettario con volume elevato).
In caso di verifica sul campo, i passaggi sono:
- Processo Verbale di Constatazione (PVC): al termine dell’ispezione, i verificatori redigono un verbale con i rilievi constatati (ad esempio: “il contribuente risulta socio occulto di SNC X, quindi causa ostativa al regime forfettario; inoltre si rilevano ricavi non dichiarati per €Y da versamenti bancari non giustificati”). Il PVC viene consegnato al contribuente, che può nei 60 giorni successivi presentare osservazioni e richieste (memoria difensiva) prima che l’Agenzia emetta l’atto (obbligo di attesa 60 gg per verifiche domiciliari, ex art. 12 c.7 L. 212/2000 – Statuto contribuenti).
- Invito al contraddittorio: per le imposte “armonizzate” come l’IVA, vige l’obbligo generalizzato di invitare il contribuente a un contraddittorio prima dell’accertamento (sulla scia della giurisprudenza europea). Per l’IRPEF non sempre è obbligatorio, ma in prassi l’Agenzia, specialmente per controlli complessi, convoca il contribuente a un incontro di definizione. In tale sede, il contribuente può far valere le proprie ragioni o fornire ulteriori prove.
- Avviso di accertamento: è l’atto formale, emesso dall’Ufficio, che quantifica le maggiori imposte dovute e le relative sanzioni. Dal 2011 gli avvisi di accertamento sono esecutivi, cioè contengono l’intimazione a pagare le somme entro il termine (generalmente 60 giorni) e costituiscono titolo esecutivo per la riscossione coattiva. Ciò significa che decorso il termine, anche in pendenza di eventuale ricorso, l’ente può iscrivere a ruolo le somme dovute (in parte). Attualmente, per gli atti emessi, l’Agenzia richiede il pagamento di un importo pari a 1/3 delle imposte accertate (oltre interessi) trascorsi 60 giorni, salvo che il contribuente ottenga una sospensione giudiziale; il restante 2/3 restano sospesi fino a sentenza di primo grado. (N.B.: normative esatte su accertamento esecutivo possono variare, ma questo è il meccanismo più recente). In ogni caso, l’accertamento costituisce la base per eventuale iscrizione a ruolo e cartella.
Nel contesto forfettario, l’avviso di accertamento solitamente formalizza la “decadenza dal regime per difetto di requisiti” e procede a rideterminare il reddito imponibile col regime ordinario (analitico). Ad esempio, se il contribuente aveva dichiarato €30.000 forfettari (con imposta sostitutiva €4.500) ma viene accertato che era socio di società, l’atto potrebbe ricalcolare il suo reddito d’impresa deducendo i costi (se conosciuti) o ricostruendo un utile di €10.000, applicarvi IRPEF e addizionali (aliquote progressive), e includere l’IVA non versata sulle operazioni imponibili.
L’avviso elencherà le violazioni contestate: ad esempio “Applicazione di regime fiscale agevolato non spettante (art. 1 c.54-89 L.190/2014) – causa ostativa presente”, oppure “Omessa fatturazione con IVA”, o “Dichiarazione infedele per omessa indicazione di ricavi”.
Esempio reale: la MySolution riporta un caso in cui un contribuente forfettario aveva attestato falsamente l’assenza di cause ostative mentre in realtà era socio di una società di persone. A seguito di accertamento, l’Ufficio ha:
- Rideterminato il reddito con le regole ordinarie TUIR, trovando una differenza imponibile di €2.000 (tra compensi e spese) rispetto al dichiarato.
- Contestato infedele dichiarazione (art. 1 D.Lgs. 471/1997) con sanzione base 90% della maggiore imposta dovuta.
- Aumentato detta sanzione del 10% in virtù dell’art. 1 comma 74 L. 190/2014, che prevede appunto un incremento delle sanzioni minime quando si perde il regime agevolato per mancanza requisiti.
- Richiesto le sanzioni IVA conseguenti (poiché il contribuente avrebbe dovuto addebitare IVA e versarla).
Nel caso ipotetico, se la sanzione base infedele era al minimo (90%), applicando l’aumento del 10%, è diventata 99% della maggiore imposta. Dunque se, ad esempio, la maggiore imposta IRPEF calcolata fosse €500, la sanzione ammonterebbe a €495 (oltre interessi). A ciò si aggiungerebbero la sanzione per l’IVA non applicata (anch’essa 90-180% dell’imposta evasa) e le sanzioni per omesse ritenute se del caso. È evidente che le penalità, pur ridotte per via dell’aumento “solo” del 10%, possono essere consistenti.
Difendersi dall’avviso di accertamento: fasi amministrative
Il contribuente, una volta ricevuto l’avviso di accertamento, ha varie strade per difendersi o definire la questione. Prima di passare al ricorso in senso stretto, esistono strumenti deflattivi del contenzioso in sede amministrativa:
- Istanza di autotutela: Si può presentare all’ufficio emittente una richiesta motivata di annullamento (totale o parziale) dell’atto in via di autotutela, se si riscontrano evidenti errori (es. scambio di persona, calcoli palesemente errati, prova documentale non valutata). L’autotutela però è discrezionale per l’Amministrazione e non sospende i termini di ricorso. Nel contesto forfettario, raramente l’Agenzia annulla accertamenti in autotutela se aveva riscontrato cause ostative; potrebbe avvenire, ad esempio, se il contribuente dimostra con nuove prove che la causa ostativa non sussisteva (caso tipico: l’Ufficio accerta che Tizio aveva redditi di lavoro dipendente >30k e disconosce il regime, ma Tizio in autotutela prova che quel reddito era di un rapporto cessato il 31/12 dell’anno precedente, quindi la norma non lo escludeva).
- Accertamento con adesione: Previsto dal D.Lgs. 218/1997, è un procedimento che consente al contribuente di trovare un accordo con l’Ufficio sul contenuto dell’accertamento, con benefici sanzionatori. Nel nostro contesto, il contribuente può presentare istanza di adesione entro 60 giorni dal ricevimento dell’avviso (ciò sospende per 90 giorni i termini di ricorso). Segue un incontro con i funzionari in cui si può ridiscutere l’entità delle imposte e delle sanzioni. Spesso l’adesione si traduce in una riduzione delle sanzioni al 1/3 e talvolta in una parziale rideterminazione del maggior reddito contestato. Esempio: se contestati ricavi non dichiarati per €10.000, le parti potrebbero accordarsi su €7.000 di imponibile in più, con sanzione al 30% invece che 90%. Va sottolineato che, trattandosi perlopiù di questioni di diritto (es: spettanza regime) più che di quantificazione di ricavi, lo spazio di adesione può essere limitato – ma potrebbe riguardare la misura di eventuali costi deducibili riconosciuti, o una mediazione sull’applicazione di cause dubbie. Se l’adesione si perfeziona (atto firmato e pagamento dell’importo concordato), l’accertamento si definisce e non è impugnabile in seguito.
- Acquiescenza (o definizione agevolata): Il contribuente può decidere di non contestare l’accertamento e pagarlo integralmente entro 60 giorni, beneficiando della riduzione delle sanzioni a 1/3 (art. 15 D.Lgs. 218/97). Questo è conveniente se l’ufficio ha chiaramente ragione e non c’è margine di vittoria in giudizio. Ad esempio, un contribuente che ha effettivamente sforato il limite e se ne rende conto, potrebbe fare acquiescenza: pagherà tutte le imposte dovute con una sanzione ridotta. Attenzione: per fruire della riduzione a 1/3 è necessario pagare integralmente entro il termine (o chiedere rateazione contestuale). Se l’atto è molto oneroso, si può rateizzare (fino a 8 rate trimestrali se <€50k, 16 rate se >€50k); in tal caso la riduzione resta valida purché si versi la prima rata nei 60 giorni.
- Definizioni agevolate speciali (condoni): Nel 2023 il legislatore ha previsto alcune misure straordinarie di “tregua fiscale” (L. 197/2022) – ad esempio la definizione agevolata delle liti pendenti o la conciliazione agevolata in appello con sanzioni ridotte al 1/18 – ma queste si applicano a contenziosi in essere e non specificamente ad accertamenti nuovi. Per gli atti 2023 non impugnati era prevista la possibilità di definizione con sanzioni al 1/18 entro certe scadenze. Al giugno 2025, tali finestre sono chiuse o in via di chiusura, e non ci sono condoni specifici per i nuovi accertamenti forfettari. (È utile menzionare, per completezza, che si è introdotto un nuovo strumento chiamato “concordato preventivo biennale (CPB)” con D.Lgs. 13/2024: esso consente ad alcune partite IVA di concordare in anticipo col Fisco un’imposta fissa per due anni, evitando controlli su quei periodi. Tuttavia, non è utilizzabile se si è in regime forfettario – anzi, l’adesione al CPB è preclusa a chi applica il forfettario. Un contribuente che esce dal forfettario nel 2024 per superamento soglia potrebbe, dal 2025, valutare il CPB come soluzione per il futuro, ma ciò esula dalla difesa dell’accertamento sul pregresso.)
Durante questi passaggi, il contribuente ha diritto di accesso al fascicolo e a conoscere gli atti su cui si basa l’accertamento. Può farsi assistere da un professionista abilitato (avvocato tributarista o commercialista) sia in fase di adesione sia nell’eventuale ricorso.
Sanzioni applicabili e conseguenze del disconoscimento del regime
È opportuno ricapitolare le principali sanzioni amministrative tributarie che il contribuente forfettario può subire in caso di accertamento sfavorevole, per capire anche come articolare la propria difesa sulla loro applicazione:
- Sanzione per dichiarazione infedele (art. 1, c.2 D.Lgs. 471/97): Si ha dichiarazione infedele se l’imposta dovuta è maggiore di quanto dichiarato (oppure il credito inferiore) per cause diverse da mera dimenticanza di acconti. Nel nostro caso, se viene disconosciuto il regime e ricalcolata un’IRPEF ordinaria più alta, la differenza configura infedele. La sanzione va dal 90% al 180% della maggior imposta o del minor credito. Per importi accertati modesti, di solito si applica il minimo (90%). Ricordiamo che, ex art. 1 c.4 L. 190/2014, tale sanzione è aumentata del 10% se il maggior reddito accertato (o ricavi non dichiarati) eccede di oltre il 10% quello dichiarato. Nel regime forfettario, anche un piccolo scostamento percentuale può attivare questo aggravio.
- Sanzione per omessa fatturazione/IVA (art. 6 D.Lgs. 471/97): Se il contribuente viene considerato fuori regime, ogni operazione effettuata andava assoggettata a IVA. Il non aver emesso fattura con IVA o non averla versata comporta sanzione dal 90% al 180% dell’imposta non applicata. Anche qui, se il contribuente nel frattempo non ha detratto nulla (perché era forfettario), l’IVA diventa a carico integrale. L’Ufficio spesso applica questa sanzione parallela all’infedele IRPEF.
- Sanzione per indebita fruizione di esenzione ritenute: se il forfettario ha dichiarato ai suoi committenti di non essere soggetto a ritenuta d’acconto, ma in realtà non poteva esserlo (regime non spettante), l’Agenzia potrebbe contestare anche il mancato versamento di ritenute. Questo è un punto delicato: il sostituto d’imposta (cliente) di norma non applica ritenuta se ha ricevuto la dichiarazione di cui alla L. 190/2014. In caso di regime disconosciuto ex post, la prassi è di richiedere al contribuente (per il principio di capacità contributiva) la quota d’imposta che avrebbe dovuto subire a titolo di ritenuta. Tuttavia, giuridicamente la ritenuta è obbligo del sostituto: in alcuni casi il Fisco potrebbe emettere sanzione al cliente per omessa ritenuta (30% di ogni importo non trattenuto). Capita però che invitino il contribuente a sanare pagando lui quell’importo come imposta evasa. È un aspetto in evoluzione giurisprudenziale. Il difensore potrebbe sostenere che il contribuente non può essere punito due volte (già paga IRPEF piena più sanzione infedele).
- Interessi di mora: su ogni imposta o IVA dovuta decorrono interessi legali (oggi attorno al 4-5% annuo, variabile) dal giorno in cui il pagamento sarebbe dovuto (ad esempio, saldo imposte del 30 giugno dell’anno successivo, o per IVA le varie scadenze periodiche). Questi si sommano al dovuto.
In aggiunta alle sanzioni tributarie, vanno considerate le eventuali conseguenze extra-tributarie:
- Contributi previdenziali: se con l’accertamento aumenta il reddito imponibile da lavoro autonomo, l’INPS potrebbe richiedere i contributi aggiuntivi (gestione artigiani/commercianti o gestione separata) su quella quota di reddito non dichiarata. Di solito, dopo accertamento definitivo, l’Agenzia comunica all’INPS le nuove basi imponibili. Ad esempio, un forfettario commercianti accertato in ordinario con più reddito dovrà pagare il 24% di contributi su tale eccedenza (oltre ai minimali già versati), con sanzioni e interessi dell’INPS. Quindi c’è un riflesso previdenziale non trascurabile.
- Reati tributari: nella maggior parte dei casi, le violazioni commesse da forfettari rientrano in importi bassi, quindi non raggiungono le soglie penalmente rilevanti stabilite dal D.Lgs. 74/2000. Ad esempio:
- Dichiarazione infedele è reato solo se l’imposta evasa supera €100.000 e l’ammontare degli elementi attivi sottratti a tassazione supera il 10% del dichiarato o €2 milioni. Un forfettario difficilmente evade oltre 100k € di imposta, dato che tutto il suo fatturato spesso è sotto quella cifra (il 15% di €700k!). Però, ipotesi non impossibile: se qualcuno fosse forfettario ma in realtà incassava 300k non dichiarati, l’imposta evasa (15% di 300k = 45k) è sotto soglia penalmente, quindi niente reato di infedele. Omessa dichiarazione diventa penale se imposta evasa > €50.000: se un forfettario non presenta dichiarazione e incassa, poniamo, €400.000 (caso estremo), l’imposta dovuta sarebbe 15% = €60.000, quindi sopra soglia – reato di omessa dichiarazione. Ma parliamo di casi di enorme evasione, poco compatibili col regime. In generale, la maggior parte delle contestazioni si risolve in sede amministrativa.
- Emissione di fatture false o altri reati come occultamento documenti non sono tipicamente connessi al nostro scenario, a meno che il contribuente non abbia tenuto doppia contabilità o simili (di nuovo, improbabile per il forfettario medio).
Come difendersi: il ricorso e il processo tributario
Se il contribuente ritiene ingiusto (in tutto o in parte) l’accertamento e non aderisce né paga in acquiescenza, l’unica strada è presentare ricorso alla giustizia tributaria. Si apre così il contenzioso vero e proprio dinanzi alle Commissioni/nuove Corti di Giustizia Tributaria.
Presentazione del ricorso
Termine: va proposto entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (il termine resta sospeso di diritto in agosto dal 1 al 31). Se si è fatta istanza di adesione, i 60 gg sono sospesi per massimo 90 gg, quindi si aggiunge quel periodo.
Competenza: va presentato presso la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (nuova denominazione delle Commissioni Tributarie Provinciali dal 2023) competente per territorio (in base al domicilio fiscale del contribuente per gli atti dell’Agenzia Entrate).
Procedura: Dal 2023 il processo tributario è telematico obbligatorio: il ricorso si predispone tramite il portale SIGIT/PEC in formato elettronico, sottoscritto digitalmente dal difensore abilitato (obbligatorio il difensore per controversie > €3.000, sotto tale soglia il contribuente potrebbe stare in giudizio personalmente, ma trattandosi di questioni complesse di regime fiscale conviene sempre un difensore).
Contenuto del ricorso: occorre indicare i motivi di fatto e di diritto per cui si chiede l’annullamento (o la riforma) dell’atto. Nel caso di un accertamento che nega il forfettario, i motivi tipici potrebbero essere:
- Insussistenza della causa ostativa contestata (es. “erroneamente l’ufficio ha ritenuto il contribuente controllante di Srl Alfa, mentre egli deteneva solo il 10%, non configurando controllo”; oppure “il reddito da pensione di €32.000 non era ostativo perché reddito di pensione non rientra nella nozione?” – in realtà la norma parla di redditi assimilati compresi pensioni, quindi qui no scampo, ma è un esempio di possibili contestazioni su interpretazioni).
- Erronea ricostruzione dei ricavi o dei costi in regime ordinario (es. “nel ricalcolare il reddito d’impresa, l’ufficio ha ignorato costi documentati per €5.000 che invece vanno dedotti”).
- Vizi procedurali: mancata instaurazione del contraddittorio ove obbligatorio (specialmente se c’è IVA di mezzo e l’ufficio non ha invitato al contraddittorio preventivo, alla luce della giurisprudenza potrebbe essere motivo di nullità parziale), violazione del diritto di difesa (ad es. emissione accertamento prima dei 60 gg dal PVC senza urgenza), notifica irregolare, difetto di firma o motivazione nell’atto.
- Eccepire eventualmente l’incostituzionalità o illegittimità di qualche norma se ci sono spazi (ad esempio in passato è stata portata in Cassazione la questione della presunzione sui prelievi bancari per chi non tiene contabilità – vedi oltre – ma la Consulta l’ha giudicata legittima).
Pagamento ante causam: prima di proporre ricorso, il contribuente deve versare il contributo unificato tributario (una tassa di iscrizione causa che varia in base al valore della lite: per es. su atti fino 5.000€ è €30, fino 25.000 è €60, ecc.). Inoltre, se decide di non pagare l’importo richiesto dall’accertamento, può trovarsi, come detto, con una cartella di 1/3 imposto dopo 60 gg. È importante sapere che il ricorso non sospende automaticamente la riscossione. Per evitare di pagare prima del giudizio (cosa non sempre possibile per cifre alte), il contribuente può presentare istanza di sospensione al giudice tributario, motivando il danno grave e irreparabile che subirebbe pagando subito. Se concessa, la riscossione si blocca fino alla decisione di primo grado.
Il processo di merito
Nel giudizio tributario, ora riformato, sussistono alcune novità:
- Le controversie di modico valore (fino a €3.000) sono decise dal giudice monocratico, uno solo, anziché in collegio. Sopra tale soglia, giudizio collegiale (3 giudici togati, poiché con la riforma 2022 i giudici tributari sono professionali a tempo pieno). Nel nostro caso, un accertamento che disconosce forfettario tende ad avere importi in gioco superiori a 3.000€, quindi collegiale.
- Onere della prova: in linea generale, l’onere di provare i presupposti dell’accertamento spetta all’Amministrazione. Tuttavia, se l’ufficio ha fornito elementi presuntivi gravi (es. visura camerale che attesta la partecipazione in società, CUD che attesta reddito da lavoro, movimenti bancari non spiegati), spetta al contribuente fornire la prova contraria. Ad esempio, per i versamenti bancari ingiustificati, c’è una presunzione di legge che li considera ricavi occulti, ma è iuris tantum: il contribuente può provare che in realtà quei versamenti sul conto non erano ricavi (ma, poniamo, un prestito ricevuto, o trasferimenti da altro conto, ecc.). La Corte Costituzionale nel 2023 ha ribadito la legittimità di questa presunzione a carico dei piccoli imprenditori, proprio perché è superabile con prova contraria e limitata oltre certe soglie (prelievi > €1.000 giorno e > €5.000 mese). Quindi, se l’accertamento si basa su versamenti bancari non dichiarati, una linea difensiva sarà documentare la provenienza lecita non tassabile di quelle somme.
- Discussione della causa: di norma avviene in camera di consiglio (senza pubblico) sulla base degli atti e memorie. Il difensore può chiedere pubblica udienza. In cause delicate (es. interpretazione normativa su cause ostative), si potrà evidenziare giurisprudenza in merito, come ad esempio:
- Sentenze di merito (CTR) che abbiano eventualmente dato ragione a contribuenti in casi simili. Ad esempio, una CTR Sicilia 2021 ha stabilito che la partecipazione in società di persone comporta decadenza dal forfettario solo se la società svolge attività riconducibile, e ha annullato un accertamento dove la società aveva attività diversa (sent. CTR Sicilia n. 9965/2021). Questo potrebbe essere citato se coerente col caso proprio.
- Cassazione: finora la Corte di Cassazione ha emanato ordinanze su aspetti procedurali (una del 2023 ha confermato che senza dichiarazione il regime non spetta, l’abbiamo citata sopra). Sarà utile monitorare se tra 2024 e 2025 escono pronunce di legittimità su questioni come la disapplicazione retroattiva, ma attualmente il panorama giurisprudenziale specifico sul forfettario è ancora in formazione, essendo un regime relativamente recente.
- Esito: la Corte può accogliere totalmente il ricorso (annullando l’accertamento), accoglierlo parzialmente (rideterminando magari i redditi, o annullando sanzioni) oppure respingerlo confermando l’atto. In caso di soccombenza del Fisco in primo grado, l’Agenzia raramente rinuncia: è probabile l’appello alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex CTR). Tuttavia, con la riforma è stato introdotto un incentivo alla leale gestione del contenzioso: se il contribuente vince in primo grado, le somme eventualmente versate per effetto dell’accertamento esecutivo gli devono essere restituite immediatamente; se l’Agenzia propone appello, non si sospende automaticamente l’efficacia della sentenza di primo grado (deve chiedere sospensione al giudice d’appello motivandola).
- Inoltre, in caso di vittoria definitiva del contribuente, egli ha diritto al rimborso delle spese di lite (onorari del difensore, ecc.) normalmente. Se invece perde, normalmente ciascuno sopporta le proprie spese (salvo condotte temerarie).
Strategie difensive nel merito
Nel formulare la propria difesa, il contribuente (e il suo difensore) dovranno adattarsi alle contestazioni. Ecco alcune possibili strategie efficaci, a seconda dei casi:
- Dimostrare l’assenza della causa ostativa contestata: se l’atto dice che Tizio aveva redditi dipendenti >30k, ma in realtà quell’anno Tizio era in cassa integrazione e il CU riportava erroneamente importi lordi annui >30k quando ne ha percepiti meno, portare evidenza. O se l’atto dice “socio di Snc, quindi escluso”, ma Tizio era uscito dalla società prima dell’inizio dell’anno, portare visura aggiornata e verbale di cessione quote. Spesso l’Agenzia va per presunzioni o banche dati statiche: onus del contribuente è portare i dati aggiornati o spiegazioni (ad es. socio sì, ma società inattiva; dipendente sì, ma rapporto cessato…).
- Invocare interpretazioni favorevoli: Ad esempio, nel 2019 vi fu dubbio se i redditi da pensione rientrassero nella soglia 30k; la norma parla di redditi assimilati (che includono pensioni) quindi la tesi pro-contribuente non reggerebbe. Diverso potrebbe essere il caso di un residente estero: se l’Agenzia contesta a un soggetto residente in UE di essere escluso, ma quello prova di aver prodotto 80% reddito in Italia, può rivendicare l’eccezione di legge e far annullare l’atto.
- Errori di calcolo nel ricalcolo imposte: controllare sempre i numeri dell’accertamento. Se il Fisco ricalcola IRPEF su tutto il reddito a scaglioni, potrebbe aver sbagliato aliquote, detrazioni, ecc. Ad esempio, nel ricalcolare IRPEF ordinaria per un professionista, deve concedere la deduzione forfettaria 22% per contributi previdenziali (o dedurre i contributi effettivi pagati). Se non lo ha fatto, c’è un errore. Oppure se su IVA ha applicato sanzione piena invece del minimo. Questi aspetti “aritmetici” vanno segnalati.
- Principio di proporzionalità e cumulo sanzionatorio: una linea difensiva avanzata può sostenere che infliggere sia sanzione infedele 90% sia sanzione IVA 90% cumulate, in un caso di disconoscimento regime, porti a una duplicazione sanzionatoria in parte ingiusta (perché l’unica violazione sostanziale è aver applicato un regime non spettante). Si può chiedere al giudice una riduzione equitativa delle sanzioni totali valutando la buona fede. In alcune sentenze, i giudici hanno ridotto le sanzioni al minimo o applicato la continuazione.
- Buona fede e “errore scusabile”: Sebbene la legge italiana tenda ad essere rigida (ignorantia legis non excusat), in ambito tributario la Cassazione ha talora riconosciuto esimenti per obiettiva incertezza normativa. Il regime forfettario ha visto diverse modifiche in pochi anni, cause ostative entrate, uscite e rientrate (ad esempio, la causa ex-datore fu abolita nel 2019 e reintrodotta nel 2020). Un contribuente potrebbe aver fatto confusione genuina. Se sussistono circolari o prassi contraddittorie, l’avvocato può tentare di far leva su questo per chiedere almeno la non applicazione di sanzioni (l’art. 6 comma 2 del D.Lgs. 472/97 prevede che “nessuna sanzione” se la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata della norma). Ad esempio, se il contribuente era convinto – magari male informato – che la soglia dipendenti 30k fosse stata tolta nel 2019 (cosa vera per quell’anno) e non sapeva fosse reintrodotta dal 2020, c’era effettivamente un quadro normativo mobile. Non è assicurata come difesa, ma va tentata per clemenza sulle sanzioni.
- Prescrizioni e decadenza: verificare se l’accertamento è stato notificato oltre i termini di decadenza. Ad esempio, atto relativo al 2017 notificato dopo il 31/12/2022 sarebbe nullo (salvo cause di raddoppio termini, non pertinenti al forfettario in genere).
Il giudice tributario può, all’esito, accertare la spettanza del regime e annullare integralmente le pretese (imposte e sanzioni). Oppure, se ritiene che il Fisco abbia ragione sul merito (es. effettivamente il regime non spettava), difficilmente annullerà l’imposta, ma potrebbe comunque ridurre le sanzioni (applicando magari il minimo edittale, o togliendo l’aggravante del 10% se la legge non era chiara, etc.).
L’appello e la Cassazione
La parte soccombente in primo grado può appellare in secondo grado entro 60 giorni dalla notifica della sentenza (o 6 mesi dalla pubblicazione se non notificata). L’appello è un riesame completo del merito. Nel nostro scenario, se l’Agenzia perdesse, verosimilmente appellerebbe, e il contribuente dovrebbe difendersi anche in secondo grado (dove tra l’altro non vige più l’obbligo di versare 1/3 – l’obbligo di versamento provvisorio riguarda solo dopo primo grado se il contribuente perde e appella, in tal caso deve versare intanto il 50% delle imposte contestate per procedere, ma se aveva vinto lui in primo grado non versa nulla).
Infine, rimane il ricorso per Cassazione (entro 60 gg dalla notifica della sentenza di appello) limitato a motivi di diritto o vizi di motivazione. La Cassazione potrebbe uniformare l’interpretazione di alcune clausole. Ad esempio, se corti di merito avessero deciso diversamente su un punto (tipo “controllo indiretto di SRL – bastano familiari o no?”), una pronuncia della Suprema Corte farà chiarezza. Al 2025, non risultano ancora pronunce di legittimità di rilievo sulla decadenza dal forfettario per cause ostative, se non quelle sulla mancata dichiarazione (Cass. ord. 9973/2023 citata).
Costi e benefici: è importante valutare economicamente fin dove spingersi. Se l’importo in gioco non è elevato e le chance di vittoria scarse, forse conviene chiudere prima (adesione). Se invece c’è di mezzo un principio o cifre importanti, val la pena di arrivare fino alla Cassazione. Il punto di vista del contribuente debitore deve essere pratico: minimizzare l’esborso totale.
Domande frequenti (FAQ)
Di seguito, una serie di domande e risposte comuni che riassumono gli snodi principali per chi deve difendersi da un accertamento in regime forfettario:
D: Quanto tempo ha il Fisco per notificarmi un accertamento sul regime forfettario?
R: In generale, 5 anni dopo l’anno in cui hai presentato la dichiarazione. Ad esempio, per il 2020 (dich. presentata nel 2021) il termine è il 31/12/2026. Se non hai presentato la dichiarazione, il termine diventa di 7 anni. Questi termini possono slittare in presenza di sospensioni (es. proroghe COVID o definizioni agevolate). In pratica, il 2021 sarà accertabile fino a fine 2026. Notifiche oltre tale termine sono nulle.
D: Ho sforato di poco la soglia di €85.000 (ad esempio €90.000). Perdo subito il regime?
R: No, in questo caso mantieni il forfettario per l’anno in cui hai sforato, ma dal 1° gennaio dell’anno successivo devi obbligatoriamente uscire (passi al regime ordinario). Nel tuo caso, se nel 2024 hai incassato €90k, tutto il 2024 resta tassato forfettariamente; però nel 2025 sarai in regime ordinario (salvo rientrare se nel 2025 di nuovo sotto soglia e condizioni, il che comunque avverrebbe dal 2026 in poi). Attento: se prevedi di sforare la soglia entro 100k, preparati a cambiare regime l’anno seguente (apertura registro IVA ecc.). Comunica al tuo cliente principale il cambio (perché dal nuovo anno dovrà applicarti la ritenuta d’acconto).
D: Cosa succede se supero €100.000 di ricavi in un anno?
R: In questo caso perdi il regime forfettario immediatamente durante quell’anno. Appena incassi l’importo che ti fa oltrepassare i 100k, dovresti iniziare ad applicare IVA sulle fatture successive (e anche su quella operazione che ha fatto sforare, integrandola). Ai fini fiscali, l’intero anno verrà poi ricalcolato con imposte ordinarie (IRPEF) – quindi pagherai probabilmente di più di quel 15% – e dovrai fare conguagli IVA e ritenute. Dal 1° gennaio successivo, resterai in ordinario. Se ti accorgi di aver superato 100k a posteriori (ad esempio a fine anno facendo i conti), dovresti emettere note di variazione per aggiungere l’IVA mancante sulle operazioni oltre soglia e versarla al più presto per evitare sanzioni mediante ravvedimento.
D: L’Agenzia mi contesta che non potevo stare nel forfettario perché avevo una causa ostativa (partecipazione societaria, reddito dipendente elevato, ecc.). Io però ero convinto in buona fede di poterlo applicare. Posso far valere la buona fede?
R: Purtroppo la legge non ammette ignoranza delle norme. La buona fede potrebbe servire solo per cercare di ottenere la riduzione delle sanzioni. In sede di adesione o ricorso, potrai evidenziare di non aver avuto volontà evasiva ma di esser incorso in errore, soprattutto se la normativa era poco chiara o in evoluzione. Ad esempio, se la contestazione riguarda il fatto che fatturavi al tuo ex datore, e magari la norma è stata reintrodotta dopo che avevi iniziato l’attività, potresti spiegare che c’era confusione. Non ti esonererà dal pagare le imposte dovute, ma un giudice comprensivo potrebbe ridurre ulteriormente le penalità. Assicurati di raccogliere eventuali consulenze o documenti dell’epoca che possano dimostrare che l’errore era condiviso (es. articoli di stampa fiscale con interpretazioni dubbie).
D: Mi è arrivato un invito a comparire con richiesta di esibire tutte le fatture e gli estratti conto per l’anno 2021. Devo darglieli?
R: Sì. L’invito ha base legale (art. 32 DPR 600/73 e 51 DPR 633/72) e sei obbligato a collaborare. Fornisci tutto quanto richiesto, facendo copie dei documenti e preparandoti a mostrare gli originali se richiesto durante l’incontro. Se non ottemperi, rischi una sanzione per mancata risposta e l’ufficio potrebbe procedere con accertamento induttivo presuntivamente, sfavorevole. Meglio consegnare e, se qualche documento manca, spiegarne il perché e cercare di sopperire con altre prove.
D: Posso difendermi sostenendo che i versamenti sul mio conto non erano ricavi?
R: Sì, certamente, ma devi dimostrarlo con documenti. La legge presume che qualsiasi accredito sul conto di un imprenditore/professionista sia un ricavo salvo prova contraria. Se, ad esempio, hai ricevuto €10.000 da un familiare come prestito o donazione, procura una scrittura privata di prestito o un estratto conto del familiare che mostri un prelievo corrispondente, e magari fai attestare al familiare la circostanza. Oppure se hai trasferito soldi dal tuo conto personale estero a quello italiano, mostra i documenti di quel trasferimento. La Corte Costituzionale ha avallato questa presunzione proprio perché il contribuente ha diversi modi per superarla (dimostrando che ha conteggiato quei dati già nel reddito, o che sono irrilevanti, o chi è il beneficiario nel caso dei prelievi). Quindi onere tuo fornire una spiegazione credibile e supportata da prove. In assenza di spiegazione, quei €10.000 saranno considerati ricavi non dichiarati e tassati.
D: Ho dimenticato di compilare il quadro RS con alcune informazioni sul regime forfettario. Posso essere sanzionato o, peggio, perdere il regime?
R: Per la mancata indicazione di informazioni richieste nel quadro RS/LM è prevista una sanzione amministrativa fissa (di solito €250), ma non comporta decadenza dal regime se i requisiti c’erano. L’Agenzia però ha usato queste omissioni come spia di possibili irregolarità: come detto, molti hanno ricevuto lettere di compliance per RS non compilato. Quindi dovrai pagare la piccola sanzione se contestata, ma soprattutto assicurarti che la sostanza (requisiti) fosse a posto. Colma l’errore nelle dichiarazioni successive e, se interpellato, spiega che si è trattato di dimenticanza formale. La perdita del regime avviene solo se mancavano i requisiti sostanziali, non per un quadro informativo non barrato (la Cassazione ha affermato che l’omissione formale non preclude il regime, se uno poteva starci).
D: Dopo l’accertamento, dovrò versare IVA su tutte le mie operazioni passate?
R: Se l’accertamento definitivamente stabilisce che non avevi diritto al regime per quell’anno, sì, dovrai versare l’IVA su tutte le operazioni tassabili fatte in quell’anno, come se fossi stato in regime normale. Solitamente l’atto di accertamento già include il calcolo dell’IVA evasa e te ne richiede il pagamento. Quell’IVA, essendo non addebitata ai clienti, finirà per essere un tuo costo (non puoi rifartela pagare a posteriori dai clienti, a meno che tu abbia pattuito prezzi + IVA in contratto, ma improbabile). Potrai però detrarre l’IVA sugli acquisti di quell’anno (l’accertamento in teoria dovrebbe riconoscerla): spesso gli uffici considerano una detrazione forfettaria calcolata sulla percentuale di ricarico, oppure sta a te fornire le fatture di acquisto per ottenere scomputo. La battaglia può essere sul quantum: ecco perché in fase istruttoria conviene consegnare anche le fatture di acquisto principali, per dimostrare che se devi l’IVA sulle vendite, hai però diritto a detrarre quella sugli acquisti (riducendo il dovuto netto).
D: Il mio cliente principale era la mia ex azienda. Ora l’Agenzia mi toglie il regime e dice che avrei dovuto pagare IRPEF e addizionali piene. La mia ex azienda rischia qualcosa?
R: Di norma, no. Il tuo ex datore di lavoro, diventato tuo committente, ha agito presumibilmente correttamente in base alla tua dichiarazione di forfettario: non ti ha applicato ritenute perché tu gli avrai fornito la dichiarazione di essere in regime forfettario esente da ritenute. Quella dichiarazione ti vincola: se era mendace (perché sapevi di non averne diritto), teoricamente potresti incorrere in sanzioni per dichiarazione falsa, ma nella pratica non c’è una sanzione amministrativa specifica per la falsa attestazione (ci sarebbe un reato penale di indebita percezione di erogazioni se si trattasse di benefici pubblici, ma qui è rapporto privato). L’Agenzia in genere non va a colpire il committente, a meno che non sospetti un concorso nell’abuso (ad esempio l’azienda “consiglia” ai dipendenti di aprire P.IVA per pagar meno tasse: in casi estremi, potrebbe profilarsi un concorso in violazione tributaria). Nella normalità, l’azienda non subirà sanzioni perché ha rispettato la normativa sulle ritenute presentando la tua dichiarazione di esonero. Quindi le sanzioni e le imposte le chiedono a te. L’azienda potrebbe semmai essere chiamata in giudizio come responsabile d’imposta per la ritenuta non operata, ma esibendo la tua attestazione ne è sollevata. Attenzione: se tu perdi il regime e devi pagare IRPEF, potresti trovarsi a “doppia tassazione” in un certo senso, perché il tuo cliente non avendo fatto ritenute non ha versato acconti per te. Ma l’Agenzia recupera tutto da te. Non c’è un meccanismo di far pagare a loro adesso le ritenute mancate. In definitiva, i tuoi ex datori non dovrebbero avere conseguenze dirette, a parte magari essere ascoltati come testimoni se si discute se eri o no loro dipendente mascherato (tema più giuslavoristico che tributario).
D: È vero che nel 2023 c’era una sanatoria per chi aveva applicato il forfettario indebitamente?
R: C’erano varie misure nella “tregua fiscale” 2023, ma nessuna specifica per il forfettario in quanto tale. C’era il ravvedimento speciale per dichiarazioni fino al 2021, con sanzioni ridotte a 1/18, che volendo poteva essere utilizzato: se ti eri accorto di errori nel 2021, potevi fare una dichiarazione integrativa nel 2023 pagando solo 1/18 delle sanzioni (circa il 5%). Ma la scadenza per aderire a quel ravvedimento speciale era il 30 settembre 2023. Se te ne sei avvalso, bene (ora l’Agenzia non dovrebbe accertare quegli anni regolarizzati); se no, ormai non è più attuabile. Per le liti pendenti al 2022, c’era la definizione pagando il 5% o 20% a seconda dei gradi, ma se il tuo caso nasce ora, non rientra. Insomma, attualmente (giugno 2025) non ci sono condoni attivi per questo tipo di contestazioni. Bisogna affrontarle con i mezzi ordinari di difesa.
D: Volendo evitare problemi futuri, se ho anche solo il dubbio di non aver requisiti, mi conviene uscire volontariamente dal forfettario?
R: Potrebbe essere prudente. La legge ti consente di revocare l’opzione forfettaria (in realtà il forfettario è di default se hai requisiti; per uscire devi optare per il regime ordinario nella dichiarazione IVA o dei redditi). Se temi di essere borderline con una causa ostativa, oppure prevedi sforamenti, scegliere volontariamente il regime ordinario ti mette al riparo da contestazioni future su quel fronte (pagherai più imposte subito, ma elimini il rischio di accertamento e sanzioni). Tieni presente però che l’opzione per l’ordinario vincola per almeno 3 anni; quindi valuta bene. Ad esempio: hai forti dubbi interpretativi se la tua attività verso l’ex datore configuri “prevalentemente” ex datore? Se opti per ordinario subito, non avrai il beneficio del 15% ma eviterai possibili cause. Questa è una valutazione caso-per-caso. Spesso conviene consultare un commercialista o avvocato tributarista prima dell’inizio anno per decidere. In generale, meglio non restare in forfettario se la tua situazione è al limite dei requisiti, perché il risparmio fiscale immediato può tramutarsi in un conto salato dopo qualche anno di accertamento.
D: In caso di accertamento, posso transare col Fisco durante il processo?
R: Sì, puoi fare la conciliazione giudiziale in primo o secondo grado. È come un “patteggiamento” fiscale: ti accordi con l’ufficio (che deve accettare) magari per riconoscere parte delle pretese e rinunciare al resto. Il vantaggio: le sanzioni vengono ridotte (in primo grado, al 1/3 del minimo) e si chiude subito la lite. Ad esempio, se in ricorso emergono nuove prove e l’ufficio capisce che forse su qualche punto tu hai ragione, potrebbe offrire: paghi il 50% delle imposte contestate, noi chiudiamo qui e ti applichiamo sanzioni ridotte di molto. La conciliazione va formalizzata con atto davanti al giudice. Nel 2023 c’era anche la conciliazione agevolata con sanzione 1/18, ma ormai vale solo per cause pendenti al 2022. Comunque la conciliazione ordinaria resta sempre possibile. È uno strumento da considerare se il processo sta andando in una direzione che suggerisce un compromesso vantaggioso.
Conclusione
Difendersi da un accertamento fiscale in regime forfettario richiede un’approfondita conoscenza sia della normativa di favore, sia delle procedure tributarie. Dal lato normativo, il contribuente deve dimostrare di aver rispettato tutti i requisiti (limiti di reddito, assenza di cause ostative) oppure, in caso contrario, valutare le soluzioni per sanare o minimizzare le conseguenze. Dal lato procedurale, è fondamentale esercitare tempestivamente i propri diritti di difesa, partecipando al contraddittorio, eventualmente definendo in via agevolata o ricorrendo al giudice tributario per far valere le proprie ragioni.
Il punto di vista del “debitore” – ossia del contribuente soggetto ad accertamento – deve combinare un approccio collaborativo (quando ci sono errori da riconoscere e opportunità di chiudere con sanzioni ridotte) con un approccio assertivo e tecnico (quando l’accertamento è contestabile nel merito o nel metodo). In ogni caso, chi aderisce al forfettario dovrebbe operare con particolare diligenza, sapendo che il regime, pur semplice all’apparenza, è oggetto di controlli mirati e che eventuali abusi o leggerezze possono portare, anni dopo, a dover pagare tutto ciò che si era risparmiato, con gli interessi.
La miglior difesa, infatti, è la prevenzione: mantenere documentazione ordinata, monitorare costantemente il rispetto delle soglie, chiedere consulenza professionale in caso di dubbi sui requisiti e, se necessario, rinunciare volontariamente al regime quando la situazione esce dai confini previsti. Così si eviterà di subire le sanzioni che, come abbiamo visto, pur mitigate dal legislatore (maggiorazione solo del 10% rispetto al regime ordinario) possono comunque incidere in modo significativo.
Ad ogni modo, qualora l’accertamento arrivi, questa guida fornisce gli strumenti e le conoscenze per affrontarlo al meglio, con consapevolezza dei propri diritti e dei meccanismi di difesa attivabili, in un’ottica di tutela il più possibile integrale del contribuente onesto e in buona fede.
Fonti e riferimenti normativi e giurisprudenziali
- Normativa primaria:
- Legge 23 dicembre 2014, n. 190, commi 54–89 (introduzione del regime forfetario), come modificata da Legge 30 dicembre 2018, n. 145, Legge 27 dicembre 2019, n. 160, Legge 29 dicembre 2022, n. 197 (innalzamento soglia a €85.000 e decadenza €100.000). In particolare:
- Art. 1, comma 57 L. 190/2014: elenco cause di esclusione dal regime forfettario (lett. a, b, c, d, d-bis, d-ter).
- Art. 1, comma 54 lett. a) L. 197/2022: modifica della soglia di ricavi €85.000.
- Art. 1, comma 54 L. 197/2022 che introduce comma 71 modificato L. 190/2014: decadenza immediata se ricavi > €100.000.
- Art. 1, comma 71 L. 190/2014: regime cessa dall’anno successivo se ricavi > soglia ordinaria (85k).
- Art. 1, comma 74 L. 190/2014: aumento 10% sanzioni in caso di fuoriuscita dal regime per accertamento.
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32: poteri dell’ufficio (accesso a conti, presunzione versamenti/prelievi).
- D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 35: dichiarazione inizio attività con opzione regime (forfettario autodichiarato).
- Decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, art. 7-quinquies e sexies (limite €1.000 giornaliero e €5.000 mensile per presunzione su prelievi).
- D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (sanzioni tributarie): art. 1 (infedele dichiarazione 90–180%); art. 6 (violazioni IVA 90–180%).
- D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218: accertamento con adesione e acquiescenza (riduzione sanzioni 1/3).
- D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546: processo tributario (reclamo-mediazione abrogata dal 2023, conciliazione giudiziale).
- D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74: reati tributari (soglie €50k omessa dichiarazione, €100k infedele).
- Decreto legislativo 8 ottobre 2021, n. 149 (Riforma processo civile) e Legge 31 agosto 2022, n. 130 (Riforma giustizia tributaria) – giudici monocratici, abrogazione mediazione dal 2023.
- Legge 23 dicembre 2014, n. 190, commi 54–89 (introduzione del regime forfetario), come modificata da Legge 30 dicembre 2018, n. 145, Legge 27 dicembre 2019, n. 160, Legge 29 dicembre 2022, n. 197 (innalzamento soglia a €85.000 e decadenza €100.000). In particolare:
- Prassi amministrativa:
- Circolare Agenzia Entrate n. 9/E del 10 aprile 2019: chiarimenti sul regime forfettario dopo modifiche 2019 (limite 65k, cause ostative reintrodotte). Conferma esoneri contabili, gestione contributi, ecc.
- Circolare Agenzia Entrate n. 32/E del 5 dicembre 2023: chiarimenti su superamento €100.000 e mutamento regime in corso d’anno. Importante per gestione pratica (IVA in fattura dall’incasso che sfora, criteri cassa, esempi applicativi).
- Circolare Agenzia Entrate n. 18/E del 17 settembre 2024: (in materia di Concordato Preventivo Biennale) chiarisce interazioni CPB e regime forfettario. Conferma che adesione a CPB è preclusa a chi applica forfettario nel primo anno oggetto di concordato, ma se esce per superamento 100k può aderire se l’uscita avviene prima del termine di adesione.
- Risoluzione AE 8/2023 (ipotetica, se emanata sulle lettere compliance forfettari – non documentata qui ma plausibile) e istruzioni modello Redditi PF 2025 (quadro LM) che introducono codice per indicare uscita da regime a seguito di accertamento.
- Provvedimento AE e Comunicazioni 2023: lettere di compliance inviate dal 19 settembre 2023 per quadro RS non compilato.
- Giurisprudenza:
- Corte Costituzionale, sentenza 31 gennaio 2023 n. 10: legittimità costituzionale art. 32 DPR 600/73 (presunzione su prelevamenti bancari). Conferma che per imprenditori (anche piccoli in contabilità semplificata) è ragionevole presumere prelievi non giustificati come ricavi non dichiarati, se >€1.000 giorno/>€5.000 mese, salva prova contraria. Ribadisce che per professionisti (non obbligati a conti separati) tale presunzione è invece inapplicabile (come già deciso con sent. 228/2014).
- Cassazione Civile, ordinanza 14 aprile 2023 n. 9973: “Senza dichiarazione dei redditi nessun regime agevolato è riconosciuto”. Riguarda un’associazione sportiva (regime L.398/91) ma principio generale: l’omessa presentazione della dichiarazione preclude la fruizione di qualsiasi regime fiscale di favore. L’attività va tassata in via ordinaria.
- Cassazione Civ., Sez. V, ordinanza 23 febbraio 2023 n. 5586: menziona sent. Corte Cost. n. 10/2023 (sopra) e tratta di accertamenti bancari sui forfettari. Ribadisce che anche per contribuenti in regime semplificato valgono le presunzioni legali (versamenti=ricavi, prelievi=acquisti in nero se >soglia), ma gli uffici devono considerare anche i costi presunti correlati nel rideterminare il reddito, per rispettare capacità contributiva.
- Cassazione Civ., Sez. V, sentenza 21 luglio 2023 n. 21965: in materia di giudicato esterno e forfettari (non attinente a requisiti regime, ma c’entra con soci di società trasparenti – specifico).
- Cassazione Civ., Sez. V, ordinanza 26 febbraio 2024 n. 4970: (citata in una newsletter) sembra riguardare accertamento verso società che deduce costi da forfettario e contestazioni incrociate – indica come il regime contabile di una controparte (forfettario) possa rilevare.
- CTR/CGT di merito: es. Comm. Trib. Reg. Sicilia sent. 9/11/2021 n. 9965 che ha affrontato caso di socio di società di persone: la CTR ha ritenuto che la causa ostativa si applichi se c’è contemporaneità e riconducibilità attività, invalidando l’interpretazione estensiva ufficio. Tale sentenza sottolinea come in giudizio si possano contestare le valutazioni automatiche dell’AE sulla base fattuale (ad es., socio sì ma società inattiva o diversa attività).
- Giudice di Pace di Roma, sent. 27242/2022 (ipotetica su sanzione quadro RS? In materia di omessa comunicazione RS alcuni GDP avevano annullato mini-sanzioni – non di rilievo se non per dire che è vizio formale).
- Corte di Cassazione SS.UU. 29 ottobre 2024 n. 27905: (rif. ricerca sull’abuso) se pertinente – potrebbe riguardare abuso del diritto tributario in operazioni per regime forfettario. Non avendo contenuto preciso, non includiamo dettagli.
Sei nel regime forfettario e hai ricevuto un accertamento fiscale? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Il regime forfettario è stato pensato per semplificare la vita di professionisti e piccoli imprenditori. Ma anche chi rientra in questo regime può subire controlli e accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Se hai ricevuto un avviso di accertamento, è importante non sottovalutare il rischio: puoi difenderti, ma servono strategia, documentazione e una conoscenza approfondita della normativa.
Quando può scattare l’accertamento per chi è in regime forfettario?
Anche se è un regime agevolato, il forfettario può essere oggetto di controlli se:
- 💸 Il reddito dichiarato appare sottostimato rispetto al tenore di vita
- 🧾 Ci sono incongruenze tra fatturato, incassi e movimenti bancari
- 🔍 L’Agenzia sospetta che il contribuente non possieda i requisiti di accesso
- 🧮 Viene contestato un uso improprio del forfettario per abbattere il carico fiscale
Il rischio è che vengano riqualificati i redditi, disconosciuta l’agevolazione e richieste imposte maggiori, con sanzioni e interessi.
Cosa può contestare l’Agenzia delle Entrate?
I principali punti critici sono:
- Superamento della soglia dei 100.000 € di ricavi/compensi
- Partecipazione a società o controllo indiretto di imprese
- Presunta falsa attività autonoma in caso di rapporto continuativo con un solo committente
- Fatture soggettivamente o oggettivamente inesistenti
- Mancato rispetto degli obblighi di tracciabilità dei pagamenti
⚠️ Anche piccoli errori o disattenzioni formali possono portare alla decadenza dal regime e accertamento retroattivo.
Come difendersi da un accertamento in regime forfettario?
Hai il diritto di difenderti e contestare l’atto se:
- 📂 I requisiti di accesso erano regolarmente posseduti
- 🧾 I movimenti finanziari sono tracciabili e coerenti con le fatture emesse
- ✍️ L’attività è realmente autonoma e non maschera un rapporto di lavoro subordinato
- ⚖️ L’accertamento è basato su presunzioni non dimostrate
- 🔁 L’Agenzia ha calcolato imposte e sanzioni in modo improprio
La difesa può avvenire tramite:
- Istanza di autotutela documentata
- Ricorso alla giustizia tributaria entro i termini di legge
- Richiesta di rateizzazione o definizione agevolata, se opportuno
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📑 Verifica la correttezza dell’accertamento e i requisiti del regime
📂 Analizza movimenti, fatture, contratti e dichiarazioni
⚖️ Redige e presenta ricorso al giudice tributario
✍️ Predispone memorie difensive e istanze di autotutela
🔁 Ti assiste anche in caso di sanzioni, avvisi bonari o cartelle esattoriali
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in contenzioso fiscale e regimi agevolati
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per professionisti, freelance e start-up individuali
Conclusione
Essere nel regime forfettario non ti mette al riparo da accertamenti, ma puoi difenderti con successo.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi verificare ogni dettaglio del tuo caso, opporti a contestazioni infondate e proteggere i tuoi diritti.
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