Accertamento Fiscale Ad Italiano A San Marino: Cosa Fare

Hai ricevuto un accertamento fiscale pur vivendo a San Marino e ti stai chiedendo perché l’Agenzia delle Entrate italiana ti sta contestando redditi, imposte o la tua residenza fiscale? Ti accusano di aver trasferito solo formalmente la tua residenza o di aver mantenuto il centro dei tuoi interessi in Italia?

Negli ultimi anni l’Italia ha intensificato i controlli su chi si trasferisce a San Marino, soprattutto per motivi fiscali. Anche se sei iscritto all’AIRE, l’Agenzia delle Entrate può sostenere che sei ancora fiscalmente residente in Italia e pretendere le imposte su tutti i tuoi redditi mondiali. Ma non sempre l’accertamento è legittimo. Difendersi è possibile, se sai come farlo.

Perché l’Italia può contestarti la residenza fiscale anche se vivi a San Marino?
– Perché l’iscrizione all’AIRE non è sufficiente per dimostrare il trasferimento reale
– Il Fisco verifica se hai mantenuto in Italia legami economici, personali o familiari predominanti
– Se risulti domiciliato all’estero, ma continui ad avere casa, lavoro o affari in Italia, puoi essere considerato residente “di fatto” in Italia

Cosa ti può contestare l’Agenzia delle Entrate?
Omessa dichiarazione di redditi esteri
Finta residenza a San Marino, con accusa di elusione o abuso del diritto
Mancata dichiarazione dei redditi prodotti all’estero, trattati come se fossi ancora fiscalmente italiano
Recupero delle imposte non versate negli ultimi 5 anni, con sanzioni elevate

Come puoi difenderti da un accertamento del genere?
– Dimostrando che il trasferimento a San Marino è reale, stabile e non fittizio
– Esibendo documentazione concreta: contratto di affitto o proprietà, utenze, attività lavorativa, iscrizione AIRE, vita quotidiana
– Provando che non hai più interessi economici prevalenti in Italia (azienda, proprietà, lavoro)
– Contestando l’idea che tu abbia mantenuto il centro degli interessi in Italia, se non ci sono elementi oggettivi che lo dimostrano

Quando la tua residenza a San Marino è fiscalmente valida?
– Se hai trasferito davvero il tuo centro di vita e affari
– Se non soggiorni più di 183 giorni all’anno in Italia
– Se non hai più un’attività economica stabile sul territorio italiano
– Se non mantieni una famiglia in Italia con la quale condividi spese e residenza

Cosa NON devi fare mai?
– Ignorare l’accertamento: diventa definitivo e ti arrivano le cartelle
– Pensare che basti avere la residenza anagrafica estera: serve dimostrare quella fiscale con prove concrete
– Continuare a usare immobili, auto o conti italiani come se fossi residente: questi elementi ti espongono
– Trattare con l’Agenzia senza una strategia tecnica: potresti ammettere fatti che ti danneggiano

Anche se vivi a San Marino, devi provare punto per punto la tua effettiva uscita dal sistema fiscale italiano.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in residenza fiscale e contenzioso tributario internazionale – ti spiega perché il Fisco italiano può contestarti la residenza, come difenderti da un accertamento e quali documenti servono per provare che vivi e lavori davvero a San Marino.

Hai ricevuto un accertamento pur avendo la residenza a San Marino?

Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Verificheremo ogni elemento della tua posizione, analizzeremo l’accertamento e costruiremo una difesa solida per dimostrare la tua reale residenza estera e bloccare ogni pretesa fiscale illegittima.

Introduzione

Un accertamento fiscale notificato a un cittadino italiano trasferito a San Marino è una situazione complessa che richiede un’approfondita conoscenza della normativa tributaria italiana ed internazionale. Negli ultimi anni (fino a giugno 2025), l’Italia ha rafforzato gli strumenti di cooperazione con la Repubblica di San Marino per contrastare fenomeni di evasione ed elusione fiscale. San Marino – piccolo Stato enclave nel territorio italiano – è stato a lungo considerato un paradiso fiscale dal Fisco italiano, ma oggi esistono accordi bilaterali (come la Convenzione contro le doppie imposizioni del 2013) che prevedono lo scambio di informazioni e regole precise per evitare doppie tassazioni. Ciò significa che trasferirsi (o costituire società) a San Marino non garantisce più l’opacità di un tempo: l’Agenzia delle Entrate dispone di canali per verificare redditi e patrimoni detenuti oltreconfine.

Questa guida offre un’analisi avanzata, aggiornata a giugno 2025, su cosa fare dal punto di vista del contribuente (il “debitore” nel rapporto d’imposta) in caso di accertamento fiscale legato a San Marino. Adotteremo un linguaggio giuridico divulgativo, con riferimenti normativi puntuali, recenti sentenze di Corte di Cassazione e prassi amministrative. Saranno incluse tabelle riepilogative, sezioni Domande & Risposte (FAQ) e simulazioni pratiche di casi tipici, per chiarire i principali dubbi su temi quali: la residenza fiscale delle persone fisiche, la esterovestizione delle società, gli obblighi di monitoraggio fiscale (Quadro RW), la disciplina IVA nelle operazioni con San Marino, gli eventuali profili penali (reati tributari) e il trattamento dei lavoratori frontalieri.

Scopo: mettere chi riceve un accertamento dall’Agenzia delle Entrate in condizione di capire quali sono i suoi diritti e obblighi, come valutare la legittimità della pretesa fiscale e quali strategie difensive adottare (dalla fase pre-contenziosa fino all’eventuale ricorso in Commissione Tributaria). Il tutto, tenendo conto delle novità normative 2024–2025 in tema di residenza fiscale (introdotte dalla riforma fiscale attuata col D.Lgs. 209/2023) e degli orientamenti giurisprudenziali più recenti.

Contesto normativo Italia–San Marino

Italia e San Marino hanno intrapreso un percorso di allineamento normativo e collaborazione fiscale. Un passaggio cruciale è stata la ratifica della Convenzione contro le doppie imposizioni (Legge 19 luglio 2013 n. 88) entrata in vigore il 3 ottobre 2013. Questa Convenzione, conforme al modello OCSE, ha due obiettivi fondamentali: da un lato assegnare correttamente la potestà impositiva tra i due Stati, evitando che gli stessi redditi vengano tassati due volte; dall’altro lato prevenire e contrastare le frodi fiscali, prevedendo anche un ampio scambio di informazioni tra le Amministrazioni finanziarie.

Con tale accordo San Marino è uscita dalle “black list” italiane dei paradisi fiscali. Infatti, già dal 2014 l’Italia ha riconosciuto la piccola Repubblica del Titano come giurisdizione collaborativa, eliminando molti degli svantaggi fiscali prima collegati ai rapporti con questo Stato. Ad esempio, il monitoraggio fiscale (di cui diremo infra) prevede sanzioni raddoppiate per attività in Paesi black list – fino al 30% degli importi non dichiarati – ma San Marino non rientra più in tali Paesi privilegiati.

Nonostante ciò, permangono differenze strutturali: San Marino ha un proprio ordinamento tributario (aliquote e imposte diverse, ad esempio un’imposta generale sui consumi simile all’IVA) e non fa parte dell’Unione Europea. Pertanto, nelle operazioni transfrontaliere, San Marino è fiscalmente considerato Stato estero a tutti gli effetti. Ciò comporta ad esempio che le cessioni di beni dall’Italia a San Marino siano fatturate come esportazioni non imponibili IVA, mentre le vendite da San Marino in Italia sono soggette a IVA all’importazione (con procedure doganali semplificate da accordi specifici). Dal 2022, un protocollo attuativo ha introdotto la fatturazione elettronica obbligatoria tra Italia e San Marino per le cessioni di beni, convogliando le fatture attraverso il Sistema d’Interscambio (SdI): questo consente un controllo incrociato in tempo reale, rendendo più difficile utilizzare fatture “di comodo” per evadere IVA.

In sintesi, oggi un contribuente italiano che si relaziona con San Marino (come residente, investitore o imprenditore) opera in un contesto di trasparenza molto maggiore rispetto al passato. Le autorità italiane dispongono di banche dati e scambi automatici (Common Reporting Standard, dal 2017) che segnalano conti finanziari e asset detenuti all’estero. Nascondersi dietro San Marino non mette al riparo da accertamenti: bisogna invece conoscere come la legge italiana individua la residenza fiscale, quali condotte configurano un’esterovestizione illecita, e come regolarizzare eventuali inadempimenti prima o durante un controllo.

Nei paragrafi seguenti esamineremo separatamente le posizioni delle persone fisiche e delle società, per poi affrontare gli obblighi di monitoraggio, la disciplina IVA, i profili penali e le peculiarità dei frontalieri. Successivamente illustreremo le strategie difensive e risponderemo alle domande frequenti.

Residenza fiscale delle persone fisiche: criteri e recenti novità

Il punto di partenza per capire se (e come) l’Italia possa tassare un individuo residente a San Marino è stabilire la sua residenza fiscale ai sensi del diritto italiano. L’art. 2, comma 2 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) definisce residente in Italia la persona fisica che, per la maggior parte dell’anno (almeno 183 giorni, 184 se anno bisestile):

  • è iscritta nelle anagrafi della popolazione residente in Italia; oppure
  • ha in Italia il domicilio oppure la residenza ai sensi del Codice Civile.

Si tratta di tre criteri alternativi (anagrafe, domicilio, residenza civile) e basta che uno solo sia soddisfatto per più di metà anno affinché scatti la residenza fiscale italiana. Inoltre, un’ulteriore norma (art. 2, co. 2-bis TUIR) prevede una presunzione (relativa) di residenza per i cittadini italiani cancellati dall’anagrafe e trasferiti in Stati a fiscalità privilegiata (la cosiddetta presunzione “black list”). Quest’ultima non riguarda oggi San Marino, poiché – come detto – il Titano non è più nella lista nera italiana.

Tabella – Criteri di residenza fiscale persone fisiche (con novità 2024)

CriterioFino al 2023Dal 2024 (D.Lgs. 209/2023)
Iscrizione anagraficaPresunzione assoluta di residenza fiscale in Italia se iscritti all’Anagrafe residenti (AIRE non effettuata).Presunzione relativa (confutabile con prova contraria). Omissione di iscrizione AIRE resta sanzionabile, ma l’iscrizione in sé non basta a considerare residente se si prova effettiva vita all’estero.
Domicilio (civile)Luogo della sede principale degli affari e interessi (prevalentemente economici). Corrisponde al centro degli interessi vitali con enfasi su attività economiche riconoscibili da terzi.Luogo in cui si svolgono prevalentemente le relazioni personali e familiari. (Concetto di “domicilio affettivo” introdotto ex novo). Il domicilio fiscale è quindi focalizzato sui legami personali principali.
Residenza (civile)Luogo di dimora abituale (dimora di fatto) in Italia.Invariato (sempre dimora abituale).
Presenza fisica(Non previsto esplicitamente come criterio autonomo) – La presenza in Italia era valutata come elemento probatorio di domicilio/residenza, ma non costituiva un criterio a sé.Nuovo criterio aggiuntivo: considerato fiscalmente residente chi soggiorna in Italia per >183 giorni (anche non consecutivi) nell’anno, anche se non iscritto in anagrafe e pur senza domicilio/residenza civile in Italia. La presenza fisica prolungata diventa dunque di per sé un fattore di collegamento.

Come evidenziato in tabella, dal 1º gennaio 2024 la riforma ha introdotto due modifiche di rilievo: (a) il domicilio fiscale viene definito per legge come luogo dei prevalenti rapporti personali/familiari, sganciandolo dalla nozione civilistica di sede degli affari; (b) la presenza fisica in Italia (anche frazionata) per almeno 183 giorni è ora un quarto criterio di collegamento. Inoltre, l’iscrizione anagrafica in Italia – prima considerata un “dato preclusivo” insuperabile – è divenuta una presunzione semplice: in teoria, un contribuente ancora iscritto all’Anagrafe potrebbe provare di non essere fiscalmente residente se dimostra di avere altrove il centro della propria vita. Questa novità recepisce una critica di lungo corso: in passato la Cassazione era inflessibile nel ritenere residente chiunque non si fosse iscritto all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero), anteponendo la forma (la mancata cancellazione anagrafica) alla sostanza. Ora la legge offre uno spiraglio di difesa per chi, pur con omissioni formali, vive stabilmente all’estero: resta comunque onere del contribuente fornire prova rigorosa che la residenza effettiva non è in Italia.

Va sottolineato che queste nuove regole non hanno effetto retroattivo. La Cassazione (sent. 19843/2024 depositata il 18 luglio 2024) ha chiarito che le modifiche alla nozione di domicilio e presenza fisica valgono solo dal 2024 in avanti. Per gli anni d’imposta precedenti, continua ad applicarsi la vecchia interpretazione: il domicilio coincideva con il centro degli affari e interessi, dando peso primario alle attività economiche abitualmente svolte dal soggetto, mentre i legami affettivi avevano rilievo solo se corroborati da altri elementi. Ad esempio, nella vicenda esaminata in Cass. 19843/2024 un contribuente italiano emigrato nel Principato di Monaco venne ritenuto residente in Italia per gli anni passati perché manteneva qui significativi interessi economici (cariche sociali in società italiane, immobili) oltre ad alcuni legami familiari, prevalendo così il criterio del domicilio “economico” previgente. D’ora in poi, invece, prevale il domicilio “personale”: avere la famiglia e le relazioni personali in Italia potrà far considerare residente un soggetto anche se i suoi affari sono all’estero (o viceversa, potrà salvarsi chi, pur con business in Italia, abbia trasferito stabilmente la propria sfera familiare all’estero).

Esempio pratico 1: Tizio, facoltoso consulente italiano, si trasferisce a San Marino nel 2022 per sfuggire al fisco italiano, ma non si iscrive all’AIRE e continua a mantenere la casa di famiglia a Rimini, dove risiedono la moglie e i figli. Per gli anni 2022-2023, l’Agenzia delle Entrate lo considererà residente in Italia ipso iure per l’iscrizione anagrafica (che prima del 2024 era presunzione assoluta) e per il suo domicilio ancora chiaramente in Italia (famiglia e probabilmente clientela locale). Dal 2024, anche se Tizio dovesse finalmente iscriversi all’AIRE, l’Italia potrebbe ancora contestargli la residenza: dato che la famiglia è rimasta a Rimini (relazioni personali prevalenti in Italia) e che Tizio verosimilmente trascorre molti giorni in Italia, il suo domicilio fiscale potrebbe comunque essere individuato in Italia. Se invece Tizio avesse spostato tutta la famiglia a San Marino e tagliato i legami con l’Italia (casa venduta, lavoro svolto stabilmente oltreconfine), l’accertamento fiscale italiano sarebbe privo di basi solide – fermo restando che Tizio dovrebbe provare tali circostanze in caso di contestazione.

Doppia residenza e Convenzione Italia–San Marino (tie-breaker rule)

Può accadere che una persona sia considerata residente fiscale sia in Italia che a San Marino: ad esempio, un cittadino italiano che si trasferisce ufficialmente a San Marino potrebbe comunque essere considerato residente dall’Italia (in base ai criteri sopra visti), determinando una doppia residenza. In tali casi, interviene l’art. 4 della Convenzione Italia–San Marino contro le doppie imposizioni, che contiene le cosiddette tie-breaker rules (criteri “di attribuzione prevalente”). In sintesi, per le persone fisiche la Convenzione stabilisce che:

  • Il soggetto si considera residente nel solo Stato in cui ha l’abitazione permanente a sua disposizione. Se ha un’abitazione in entrambi gli Stati, si guarda allo Stato in cui le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (il centro degli interessi vitali).
  • Se il centro degli interessi vitali non è determinabile, o non ha un’abitazione permanente, si considera residente dove soggiorna abitualmente.
  • Se soggiorna abitualmente in entrambi o in nessuno, si guarda la cittadinanza (se cittadino di uno solo dei due Paesi, quello prevale).
  • In caso estremo di pari condizioni, le autorità competenti dei due Stati risolvono il caso di comune accordo.

Questi criteri convenzionali possono prevalere sul diritto interno. Ad esempio, la Cassazione ha riconosciuto che, in presenza di un trattato, la definizione convenzionale di residenza vince sulle presunzioni nazionali se porta a una conclusione diversa. È celebre il caso (Cass. 35284/2023) di un imprenditore italiano trasferitosi a Dubai: sebbene gli Emirati Arabi Uniti fossero all’epoca considerati paradiso fiscale (presunzione di residenza italiana ex art. 2 co. 2-bis TUIR), si dimostrò in giudizio che, secondo i criteri del trattato Italia–Emirati (in vigore dal 2021), il centro degli interessi vitali del contribuente era a Dubai. La Cassazione ha dato ragione al contribuente, sancendo che la Convenzione internazionale prevale e attribuisce la residenza fiscale agli Emirati. In altre parole, il Trattato Italia–San Marino può costituire un’ancora di salvezza per chi, avendo effettivamente spostato la propria vita a San Marino, venga ancora considerato residente dal fisco italiano per questioni formali (es. mancata AIRE): il contribuente dovrà invocare i criteri convenzionali del centro degli interessi vitali e dello soggiorno abituale, facendoli valere anche in sede giudiziaria se necessario. Attenzione: affinché ciò sia efficace, è fondamentale contestare sin dal primo grado di giudizio l’eventuale violazione del trattato da parte dell’Ufficio, altrimenti si rischia che la Commissione Tributaria e la stessa Cassazione applichino solo la norma interna, ritenendo “decaduta” la possibilità di invocare la Convenzione.

In sintesi, un italiano residente a San Marino che riceve un accertamento sull’assunto di residenza fiscale in Italia dovrà verificare: (1) se l’Agenzia delle Entrate ha elementi per ritenere soddisfatti i criteri di cui all’art. 2 TUIR (es. presenza per oltre metà anno, famiglia ancora in Italia, ecc.); (2) in caso affermativo, se secondo la Convenzione quei medesimi elementi puntano invece verso San Marino (centro degli interessi vitali oltreconfine); (3) predisporre la documentazione per provare la propria tesi (contratti di locazione o acquisto casa a San Marino, bollette e utenze, contratto di lavoro sammarinese, iscrizione figli a scuole locali, iscrizione AIRE, ecc.).

Va ricordato che l’accertamento della residenza fiscale ha effetto sulla tassazione complessiva: un residente italiano è tassato su tutti i redditi ovunque prodotti nel mondo, mentre un non residente paga imposte in Italia solo sui redditi di fonte italiana. Dunque, se il Fisco vince la partita della residenza, potrà chiedere imposte su tutti i vostri redditi esteri (salvo credito per le eventuali imposte pagate a San Marino), oltre a sanzioni e interessi. Non è raro il caso di italiani stabiliti a San Marino che subiscono accertamenti milionari perché l’Agenzia recupera a tassazione tutti i redditi d’impresa o capitale conseguiti in anni di attività all’estero, qualificandoli come redditi “esteri” di un soggetto in realtà residente in Italia.

Lavoratori frontalieri San Marino–Italia

Un caso particolare è quello dei lavoratori frontalieri, ossia cittadini italiani che pur risiedendo (fiscalmente) in Italia lavorano quotidianamente a San Marino. Questi lavoratori si trovano in una situazione diversa dagli espatriati: mantengono infatti la residenza fiscale in Italia, ma percepiscono reddito di lavoro dipendente (o assimilato) da fonte sammarinese. La Convenzione Italia–San Marino prevede, in linea generale, che i redditi da lavoro dipendente siano tassati solo nello Stato in cui è svolta l’attività lavorativa (Stato della fonte) a meno che il lavoratore non soggiorni nell’altro Stato per più di 183 giorni. Dunque, in base al trattato, lo stipendio di un frontaliere sammarinese dovrebbe essere tassato principalmente a San Marino. L’Italia tuttavia, in sede di legislazione interna, ha previsto un trattamento fiscale agevolato per evitare penalizzazioni e doppie imposizioni a questi contribuenti: una franchigia IRPEF sui primi €10.000 di reddito estero da lavoro frontaliero (innalzata dai precedenti €7.500 a €10.000 a decorrere dal 2024, con Legge 13 giugno 2023 n. 83, recepita dall’Agenzia Entrate con la Circolare 25/E del 18 agosto 2023). In pratica, il frontaliere italiano che lavora a San Marino deve dichiarare in Italia il proprio reddito estero, ma potrà detrarre integralmente le imposte pagate a San Marino e soprattutto non sarà assoggettata a IRPEF la quota di reddito fino a 10.000 euro annui. L’eventuale eccedenza oltre tale soglia verrà tassata dall’Italia per la differenza (applicando l’IRPEF italiana sul reddito eccedente, al netto del credito d’imposta per il tributo già pagato a San Marino).

Esempio pratico 2: Caio risiede a San Leo (RN) ma ogni giorno varca il confine e lavora come dipendente di una banca sammarinese. Per il fisco italiano Caio è residente in Italia (vive a San Leo con la famiglia), ma il suo stipendio – poniamo €30.000 annui – è erogato da un datore di lavoro estero. In base alla Convenzione, San Marino ha il diritto di tassare per primo quel reddito; l’Italia dal canto suo lo tasserà in dichiarazione dei redditi, concedendo credito per le imposte sammarinesi. Inoltre Caio beneficerà della franchigia di €10.000: dunque, se fosse in uno scaglione IRPEF del 35%, risparmierà €3.500 di imposte italiane (35% di 10.000) rispetto a un lavoratore italiano con pari reddito in Italia. La ratio è compensare i disagi del lavoro transfrontaliero e l’impossibilità di usufruire di molte detrazioni (es. familiari a carico) per redditi prodotti all’estero. In ogni caso Caio dovrà indicare in dichiarazione il reddito estero e le imposte ivi assolte, per ottenere il credito d’imposta ed evitare doppia tassazione.

Nota: Se un lavoratore italiano decide di trasferire la residenza a San Marino, non sarà più un “frontaliero” secondo la definizione fiscale; diventerebbe un residente estero a tutti gli effetti e, come visto, l’Italia potrebbe presumere la sua residenza italiana solo in presenza di indizi forti (es. famiglia rimasta in Italia o soggiorni prolungati qui). In tal caso perderebbe però la franchigia dei €10.000, riservata ai soli frontalieri residenti in Italia.

Residenza fiscale delle società ed esterovestizione

Quando parliamo di società italiane che “traslocano” a San Marino (o che vi aprono controllate), il concetto chiave è quello di esterovestizione. Con questo termine si indica la fittizia localizzazione all’estero della residenza fiscale di un soggetto – tipicamente una società – che in realtà mantiene in Italia il centro effettivo della propria attività o direzione. L’obiettivo dell’esterovestizione è ottenere un indebito vantaggio fiscale, sfruttando aliquote più basse o normative più favorevoli all’estero. Ad esempio, una società che sposta la sede legale a San Marino ma continua a essere amministrata e operare sostanzialmente in Italia tenta un’esterovestizione; analogamente, un imprenditore individuale che dichiara di aver trasferito la residenza a Montecarlo mentre vive e lavora in Italia sta simulando una residenza estera inesistente.

Criteri ordinari di residenza delle società

Il TUIR, art. 73 comma 3 (nella formulazione applicabile fino al 2023) stabilisce che sono considerate fiscalmente residenti in Italia le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno nel territorio dello Stato: la sede legale, la sede dell’amministrazione, o l’oggetto principale. Anche qui, criteri alternativi: basta che uno di essi sia localizzato in Italia per oltre 6 mesi l’anno perché la società sia residente. In pratica, la sede dell’amministrazione (sede effettiva) è il criterio cruciale: coincide con il luogo in cui vengono svolte le attività direzionali e di gestione in concreto. È lì che “vivono” i processi decisionali d’impresa e dove si accentra l’attività amministrativa. Quindi, indipendentemente da dove sia la sede legale (es. Repubblica di San Marino) o l’oggetto sociale dichiarato (spesso generico), l’Agenzia delle Entrate guarderà a dove si riunisce il consiglio d’amministrazione, dove operano amministratori e dirigenti, dove sono tenute le scritture e la contabilità. Se tutti questi elementi convergono sull’Italia, la società sarà ritenuta residente in Italia anche se formalmente estera.

A partire dal 2024, per effetto del D.Lgs. 209/2023, il legislatore ha introdotto definizioni più puntuali: in particolare vengono ora distinti i concetti di “sede di direzione effettiva” e “sede di gestione operativa” di una società, al fine di chiarire meglio cosa si intende per sede amministrativa (effettiva). La “sede di direzione effettiva” dovrebbe corrispondere al luogo da cui partono le decisioni strategiche di vertice, mentre la “sede di gestione operativa” riguarda la conduzione corrente dell’attività. Tuttavia, questa distinzione ha portata più descrittiva che sostanziale: il principio generale rimane che ciò che conta è il luogo dove la società è realmente gestita. La riforma mira a dare maggior certezza e a ridurre i contenziosi sul punto, ma non rivoluziona la logica sostanzialistica già affermata dalla giurisprudenza: la residenza si radica dove la società vive effettivamente la propria vita economica.

La presunzione anti-esterovestizione (art. 73 co. 5-bis TUIR)

Oltre ai criteri generali suddetti, dal 2006 l’ordinamento prevede una specifica norma anti-elusiva per colpire le esterovestizioni più ricorrenti – quelle di società estere poste al vertice di imprese italiane. Si tratta dell’art. 73 comma 5-bis TUIR, modificato da ultimo nel 2015, che stabilisce una presunzione legale relativa di residenza in Italia per le società formalmente estere che presentino determinati legami con l’Italia. In parole semplici, se una società con sede all’estero: (1) controlla una o più società residenti in Italia, e (2) è a sua volta controllata da soggetti residenti in Italia o ha consiglieri per lo più residenti in Italia, allora si presume (salvo prova contraria) che la sede dell’amministrazione di quella società estera sia in Italia. Questa presunzione “anti-schermo” colpisce tipicamente le holding esterovestite create da imprenditori italiani in Paesi a fiscalità privilegiata per veicolare partecipazioni italiane.

Ecco la formulazione attuale di legge: “Salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti che detengono partecipazioni di controllo in società o enti residenti in Italia, se, in alternativa: a) sono controllati, anche indirettamente, da soggetti residenti in Italia; oppure b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione o altro organo equivalente composto in prevalenza da consiglieri residenti in Italia”.

In pratica, i due presupposti del 5-bis sono: funzione di holding italiana (controllo di società italiane) e collegamenti personali con l’Italia (controllo da parte di italiani oppure maggioranza di amministratori italiani). Se entrambe le condizioni sono soddisfatte, la società estera è presunta residente in Italia, a meno che il contribuente fornisca prova contraria di una reale operatività estera. Trattandosi di presunzione relativa, l’onere di dimostrare la sostanza economica reale grava sul contribuente, mentre l’Amministrazione finanziaria non deve provare il dolo evasivo (lo si dà per implicito quando ci sono quelle condizioni oggettive).

Esempio: un imprenditore italiano costituisce una società in San Marino che detiene il 100% di una S.r.l. operativa in Italia. La società sammarinese è posseduta e amministrata dallo stesso imprenditore e dai suoi familiari, tutti residenti in Italia. Ci troviamo esattamente nel caso di cui all’art. 73 co. 5-bis: società estera (San Marino) che controlla società italiana, con controllo e gestione riconducibili all’Italia. Presunzione: salvo prova contraria, la società estera è considerata fiscalmente residente in Italia, con conseguente tassazione in Italia dei suoi redditi ovunque prodotti. Spetterà poi al contribuente tentare di vincere la presunzione dimostrando che la società estera ha vita propria a San Marino (ufficio, dipendenti locali, effettiva attività economica autonoma), e non è un guscio vuoto.

La portata della presunzione anti-esterovestizione è stata “mirata” negli anni: inizialmente era più ampia (copriva ogni società estera controllata da italiani e con amministratori italiani), mentre dal 2016 è limitata ai casi in cui la società estera detiene partecipazioni in società italiane (schema tipico delle holding esterovestite). Al di fuori di tali ipotesi, il Fisco può comunque contestare l’esterovestizione usando i criteri ordinari (art. 73 co. 3), ma senza agevolazioni probatorie: dovrà cioè sostenere pienamente l’onere della prova in giudizio, fornendo un quadro di indizi gravi, precisi e concordanti dell’amministrazione effettiva in Italia.

Indizi tipici di esterovestizione (cosa cerca il Fisco)

Come individua l’Agenzia delle Entrate un caso di esterovestizione societaria? Vi sono segnali ricorrenti che fanno scattare il sospetto:

  • Composizione degli organi sociali: amministratori, direttori o soci della società estera in maggioranza residenti in Italia (es. il board è composto quasi tutto da italiani).
  • Struttura estera inconsistente: la società estera non ha un vero ufficio né dipendenti nel paese di costituzione, magari ha sede presso un fiduciario o un indirizzo di comodo; manca una presenza fisica ed economica significativa in loco.
  • Asset e affari concentrati in Italia: la società estera possiede immobili, conti bancari o partecipazioni quasi esclusivamente in Italia, oppure fa affari principalmente con controparti italiane, non avendo mercato reale nel paese estero.
  • Decisioni operative prese in Italia: se risulta (anche da evidenze informatiche) che le riunioni strategiche si tengono in Italia, i contratti sono negoziati e firmati abitualmente in Italia, le e-mail partono da IP italiani, i server aziendali sono ubicati in Italia.
  • Tempistica sospetta: la società estera è stata costituita poco prima di un evento fiscale rilevante (es. vendita di un asset con plusvalenza tassabile) e appare come un veicolo creato ad hoc.
  • Regime fiscale allettante senza ragione economica valida: la società estera beneficia di una tassazione nulla o molto bassa (tipica di un paradiso fiscale) senza che vi sia una vera attività industriale o commerciale nel paese (es. una holding alle Cayman che non svolge attività se non incassare dividendi italiani).

L’Agenzia incrocia i dati a sua disposizione (registro imprese, anagrafe tributaria, informazioni scambiate da autorità estere, etc.) per raccogliere questi indizi e costruire un quadro probatorio. È importante notare che in giudizio tali indizi vanno valutati globalmente, non isolatamente, e devono avere i caratteri della gravità, precisione e concordanza previsti dalla legge. Un singolo elemento sospetto (ad es. amministratore italiano) di per sé non basta a ribaltare la residenza, ma più elementi convergenti sì. Ad esempio, Cassazione 14485/2024 ha ribadito che i giudici tributari devono esaminare tutti gli indizi di esterovestizione nel loro insieme, motivando adeguatamente la valutazione, e che non è sufficiente qualche formalità per vincere la presunzione: serve provare concretamente l’artificiosità dello schema evasivo.

Un elemento da tenere a mente: la distinzione UE / extra-UE. Se la società estera ha sede in un Paese UE, entra in gioco la libertà di stabilimento garantita dai Trattati Europei. Ciò non rende lecita un’esterovestizione, ma impone al Fisco un onere aggiuntivo: può contrastarla solo se configura una costruzione di puro artificio messa in piedi al solo scopo di eludere il fisco. Invece, per società con sede in Paesi extra-UE (come San Marino, che non fa parte dell’Unione), la Cassazione ritiene applicabili pienamente i criteri interni di cui all’art. 73 TUIR, senza dover dimostrare l’abuso della libertà di stabilimento. Una sentenza illuminante è la Cass. 1883/2023: riguardava due società – una sammarinese e una svizzera – accusate di esterovestizione; la Suprema Corte ha affermato che per società fuori dalla UE è sufficiente verificare i criteri di collegamento (sede legale/amministrativa/oggetto) e, nel caso specifico, ha confermato l’esito favorevole al contribuente perché gli elementi indiziari raccolti non provavano in modo consistente una sede di amministrazione in Italia. In altre parole, la società sammarinese in quel caso aveva vinto perché l’Ufficio non era riuscito a dimostrare né che le decisioni fossero prese occultamente in Italia né altri collegamenti forti – e la Cassazione non ha richiesto di indagare oltre (come la costruzione artificiosa) una volta constatata l’insufficienza degli indizi oggettivi di residenza in Italia.

Conseguenze in caso di esterovestizione accertata

Se l’Agenzia delle Entrate contesta con successo che una società formalmente estera è in realtà fiscalmente residente in Italia, le conseguenze sono molteplici e spesso devastanti per l’azienda e i suoi amministratori:

  • Tassazione retroattiva dei redditi: L’accertamento ridetermina il reddito imponibile degli anni contestati come se la società fosse stata italiana. Tipicamente verrà richiesto il pagamento dell’IRES (24%) su tutti gli utili realizzati dalla società estera negli anni d’imposta oggetto di verifica, oltre ad eventuale IRAP se applicabile, e ad ogni altra imposta indiretta evasa con lo schema (es. IVA non versata su operazioni domestiche camuffate da estere). Viene inoltre meno qualunque beneficio fiscale goduto all’estero: ad esempio eventuali regimi agevolati o esenzioni di cui la società fruiva a San Marino non valgono per il fisco italiano, che ricalcola le imposte secondo le proprie aliquote.
  • Sanzioni amministrative tributarie: Ogni annualità rettificata comporta sanzioni pesanti. Se per gli anni in questione la società estera non ha presentato dichiarazione dei redditi in Italia (cosa probabile, ritenendo di non doverlo fare), si applica la sanzione per omessa dichiarazione dal 120% al 240% dell’imposta evasa. Se invece dichiarazioni sono state presentate ma infedeli (ipotesi rara, perché di solito chi simula l’estero non dichiara affatto in Italia), la sanzione è dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta. Inoltre, sanzioni specifiche possono riguardare l’omessa compilazione del Quadro RW per gli eventuali asset esteri non dichiarati (sanzione dal 3% al 15% del valore, raddoppiata al 6%-30% se all’epoca San Marino fosse stato black list). In totale, le sanzioni amministrative spesso superano l’importo dell’imposta evasa, soprattutto considerato che si sommano per ciascun anno. Da notare: in caso di definizione agevolata o acquiescenza, alcune di queste sanzioni possono essere ridotte (ad esempio a 1/3), ma restano comunque cifre ingenti.
  • Responsabilità penale: L’esterovestizione in sé non è un reato nominato, ma integra varie fattispecie penali tributarie se comporta omesse o false dichiarazioni. In particolare, l’omessa dichiarazione dei redditi è reato ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. 74/2000 se l’imposta evasa supera €50.000 annui; la dichiarazione infedele (art. 4) scatta se l’imposta evasa supera €100.000 annui. Le pene previste arrivano, rispettivamente, fino a 5 anni di reclusione per l’omessa dichiarazione e 4 anni e 6 mesi per l’infedele. In pratica, l’imprenditore e gli amministratori di una società esterovestita si possono trovare indagati per reati fiscali gravi se i numeri dell’evasione sono rilevanti. Ad esempio, se Tizio ha “finto” la sede a San Marino e non ha dichiarato nulla in Italia evadendo €300.000 di IRES all’anno, commette reato di omessa dichiarazione pluriennale. In tali procedimenti penali è prassi che la Procura chieda ed ottenga il sequestro preventivo per equivalente dei beni degli indagati (fino a concorrenza dell’imposta evasa), finalizzato alla successiva confisca. Nel noto caso Dolce & Gabbana, ad esempio, i due stilisti furono inizialmente rinviati a giudizio per una holding in Lussemburgo ritenuta fittizia, ma poi assolti in Cassazione penale perché mancava la prova del dolo di evasione (fu ritenuto che la struttura non fosse puramente artificiosa). Il confine penale infatti risiede nella dimostrabilità dell’intento fraudolento e nella rilevanza dell’evaso: trasferire sede all’estero è lecito, ma se serve solo a nascondere redditi italiani, oltre certe soglie diventa reato.
  • Altre conseguenze: Una volta “riqualificata” come residente in Italia, la società dovrà anche regolarizzare gli adempimenti civilistici (iscrizione nel registro imprese in Italia, deposito dei bilanci se omessi, ecc.) per gli anni trascorsi. Inoltre, se a San Marino godeva di incentivi fiscali (es. tassazione ridotta per nuove imprese) potrebbe perderli retroattivamente, dovendo eventualmente restituire benefici indebitamente fruiti. Infine, il danno reputazionale è notevole: i casi di esterovestizione scoperti finiscono sui giornali con articoli che parlano di “evasione tramite società estere”, gettando una cattiva luce sull’azienda e sul titolare, con possibili impatti su fiducia di clienti, banche e partner.

Tabella – Sanzioni amministrative e penali in caso di esterovestizione (soggetto “esterovestito” non dichiara redditi esteri)

ViolazioneSanzione AmministrativaRilevanza penale
Omessa dichiarazione dei redditi (società formalmente estera, ma considerata obbligata a dichiarare in Italia)120% – 240% dell’imposta evasa per ciascun anno. Riducibile a 1/3 con acquiescenza.Reato di omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000) se imposta evasa > €50.000/anno. Pena massima fino a 5 anni reclusione.
Dichiarazione infedele (dichiarazione presentata ma con redditi esteri occultati)90% – 180% dell’imposta evasa. (Riduzioni per adesione/ravvedimento possibili).Reato di dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000) se imposta evasa > €100.000 (e ricavi non dichiarati > 10% di quelli dichiarati o oltre €2 mln). Pena fino a 4 anni e 6 mesi.
Omessa dichiarazione di investimenti esteri (Quadro RW)3% – 15% degli importi non dichiarati (per attività in Paesi white list); 6% – 30% se in Paesi black list. Sanzione riducibile con ravvedimento operoso.Non costituisce reato autonomo (è illecito amministrativo). Tuttavia, se dagli asset non dichiarati derivano redditi occultati, questi rientrano nelle violazioni sopra (con possibile rilievo penale se > soglie).
Emissione/utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (es. interposizione fittizia di società estera)90% – 180% dell’IVA relativa (sanzione per fatture false).Reato di dichiarazione fraudolenta (art. 2 D.Lgs. 74/2000) se IVA evasa > €100.000. Pena 4–8 anni reclusione. (Ipotesi applicabile se si usano fatture fittizie tra società italiana e esterovestita).
Altre sanzioni accessorieSequestro e confisca dei beni pari alle imposte evase; interdizione dai pubblici uffici e da cariche direttive in imprese in caso di condanna penale (artt. 12 e 13 D.Lgs. 74/2000).

Nota: Esterovestizione in sé non è un reato nominato, ma le condotte ad essa connesse configurano i reati suindicati. Inoltre, se l’evasione fiscale genera proventi poi trasferiti o reinvestiti, può astrattamente emergere anche il reato di autoriciclaggio (art. 648-ter1 c.p.) introdotto nel 2015: ad esempio, l’uso in Italia di fondi tenuti nascosti a San Marino potrebbe essere perseguito come autoriciclaggio, se fatto in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza illecita (imposte evase). Le norme antiriciclaggio, peraltro, impongono ai professionisti di segnalare operazioni sospette: ciò rende oggi più rischioso movimentare capitali da conti sammarinesi non dichiarati.

Esempi pratici di esterovestizione (casi reali)

Per comprendere concretamente le dinamiche, vediamo un paio di scenari semplificati ispirati a vicende reali:

  • Esempio pratico 3 (Società sammarinese con affari in Italia): Alfa S.r.l. è una società costituita a San Marino, operante nel settore abbigliamento, posseduta da un cittadino italiano (anche residente a San Marino). Alfa vende i propri prodotti principalmente a un grande cliente in Italia, e per servirlo mantiene un magazzino permanente presso la sede logistica di quest’ultimo a Rimini. La Guardia di Finanza accerta che la produzione dei capi è in realtà affidata a terzisti italiani riconducibili all’azionista di Alfa, con stretti legami di parentela, e che gli ordini e i contratti commerciali vengono di fatto gestiti e conclusi in Italia. Situazione: l’Agenzia delle Entrate contesta che Alfa S.r.l. abbia in Italia sia una stabile organizzazione materiale (il magazzino a Rimini, con flusso di merci costante) sia la sede amministrativa effettiva (decisioni prese in Italia). Questo caso ricalca uno scenario discusso in Cassazione penale: in una sentenza del 2012 la Suprema Corte confermò la confisca delle quote di una società sammarinese operante nell’abbigliamento, per evasione di IVA e IRES, ritenendo che la società estera agisse attraverso imprese individuali italiane solo formalmente indipendenti ma di fatto eterodirette. In quell’occasione si precisò che l’esistenza di una stabile organizzazione occulta in Italia può essere desunta anche da elementi indiziari quali l’identità delle persone coinvolte nell’impresa estera e in quella italiana, o la partecipazione di soggetti italiani a trattative e contratti per conto della società estera. Esito: Alfa S.r.l. viene considerata fiscalmente residente in Italia e/o comunque avere un branch non dichiarato; l’Agenzia recupera IVA non versata sulle vendite italiane e IRES sugli utili, applica sanzioni, e scatta un procedimento penale a carico dei responsabili per dichiarazione omessa/fraudolenta. Questo esempio mostra che creare società a San Marino ma operare in Italia tramite teste di legno non protegge, anzi comporta rischi elevati.
  • Esempio pratico 4 (Esterovestizione contestata ma non sanzionata per mancanza di prova): Beta S.A. è una holding con sede legale a San Marino, controllata da una famiglia italiana, che detiene partecipazioni in varie società UE. La società ha un ufficio a San Marino gestito da un fiduciario locale, ma non dipendenti propri; gli amministratori sono in parte italiani e in parte sammarinesi. Nel 2018 Beta cede una partecipazione con grande plusvalenza, non tassata a San Marino per una norma locale. L’Agenzia italiana avvia un controllo presumendo Beta residente in Italia (dato che la famiglia dei soci risiede a Milano). Tuttavia, Beta S.A. invoca la libertà di stabilimento in ambito UE e la Convenzione Italia–San Marino: fornisce evidenze che le decisioni di investimento sono state prese in riunioni a San Marino (verbali, biglietti aerei dei consiglieri italiani per recarsi sul Titano), che Beta ha investimenti e conti anche in Svizzera e Lussemburgo (non solo in Italia), e che la plusvalenza deriva da una cessione a un acquirente tedesco senza legami con l’Italia. Esito: in assenza di indizi gravi di gestione in Italia, e tenuto conto che San Marino non è UE ma è comunque paese cooperativo, la Commissione Tributaria annulla l’accertamento, ritenendo che l’Ufficio non abbia provato lo schema fraudolento. La Cassazione, in linea con orientamenti come la sent. 1883/2023, conferma che se mancano elementi certi di amministrazione in Italia, non si può tassare Beta solo perché i proprietari sono italiani: costituire una holding all’estero non è di per sé illecito (principio affermato anche nel caso Dolce & Gabbana). Questo scenario insegna che con un’attenta pianificazione fiscale lecita – dotando la holding di un minimo di sostanza all’estero e mantenendo coerenza formale – si può resistere a contestazioni automatiche, fermo restando che la linea di demarcazione è sottile e basta poco (una riunione svolta sempre in Italia, un dirigente che “dirige” dall’Italia) per far pendere la bilancia in senso opposto.

Pianificare e difendersi: il punto di vista del contribuente (come evitare o contrastare l’accusa di esterovestizione)

Dal punto di vista del “debitore”/contribuente, quali strategie si possono adottare per evitare di cadere nella rete dell’accertamento o per difendersi efficacemente se accusati di esterovestizione?

Innanzitutto, in fase di pianificazione di un trasferimento all’estero (proprio o della propria azienda) è fondamentale creare sostanza economica reale nel paese estero. Se si decide di aprire una società a San Marino, questa dovrebbe avere un ufficio vero sul territorio, magari anche un dipendente o collaboratore locale, un’utenza telefonica e indirizzo propri, e svolgere possibilmente qualche attività economica in loco. Evitare, per quanto possibile, assetti palesemente di comodo come la sede presso uno studio professionale senza nessun elemento di vita aziendale. Inoltre, separare le attività italiane da quelle estere: ad esempio, se esiste già una società italiana, non far sì che la società estera sia solo un “cassettino” che fattura alla società italiana senza aggiungere reale valore (perché uno schema del genere sarà subito visto come sospetto spostamento di utili). Meglio destinare la società estera a seguire mercati esteri o funzioni specifiche (es. logistica internazionale, holding di investimenti esteri, etc.) con una logica imprenditoriale autonoma.

Curare poi la governance: se tutti gli amministratori della società estera risiedono in Italia, l’impressione di esterovestizione è forte. Idealmente, nominare almeno un amministratore o procuratore residente a San Marino, o comunque prevedere che alcune decisioni operative siano delegate localmente. È importante poter esibire, in caso di controllo, verbali di riunioni societarie svolte all’estero, contratti firmati presso la sede estera, e in generale prova che l’operatività non avviene solo in Italia. Anche dettagli tecnici possono fare la differenza: ad esempio, evitare che tutte le email aziendali partano da IP italiani o che i server siano collocati fisicamente in Italia (oggi l’Agenzia potrebbe richiedere queste informazioni alle imprese durante i controlli).

Dal lato dei flussi finanziari infragruppo, rispettare il transfer pricing: se la società sammarinese fattura servizi o beni alla consociata italiana, i prezzi praticati devono essere di mercato. Un pricing artificiosamente alto (per spostare profitti sul Titano) verrà facilmente smascherato e potrà costituire ulteriore prova di evasione.

È anche consigliabile evitare giurisdizioni “opache”: San Marino oggi è considerato paese collaborativo, ma se un soggetto valuterà altre mete estere, meglio orientarsi su Stati non inclusi nelle black list e con accordi di scambio info con l’Italia. Scegliere un paradiso fiscale puro (tipo Panama o le Cayman) pone immediatamente sotto una cattiva luce e fa scattare presunzioni negative (oltre a implicare la presunzione art. 2 co. 2-bis per persone fisiche, se applicabile). Se invece l’impresa è davvero operativa, ad esempio, in un paese UE a bassa fiscalità (Irlanda, Ungheria) o comunque “white list”, sarà un po’ più difficile per il Fisco contestare la mancanza assoluta di sostanza (pur rimanendo possibile, in caso di evidenze contrarie).

Dal punto di vista difensivo, qualora arrivi un PVC (processo verbale di constatazione) dalla Guardia di Finanza o un questionario dell’Agenzia con richieste di chiarimenti, conviene assumere un atteggiamento cooperativo: fornire i documenti che provano la sostanza estera (contratti di affitto sede, bollette pagate, contratti dei dipendenti, consulenze locali, foto degli uffici) e spiegare la ragione economica della struttura. Un atteggiamento ostruzionistico o reticente spesso sortisce l’effetto opposto, irrigidendo l’Ufficio. Vi sono momenti – ad esempio l’invito a contraddittorio o l’istruttoria con l’Ufficio – in cui è possibile far valere le proprie ragioni e, se la posizione non è palesemente indifendibile, ottenere magari una riduzione delle pretese. Spesso l’Agenzia, di fronte a contribuenti collaborativi che producono copiosa documentazione a supporto, può ridimensionare la contestazione (ad esempio riconoscendo parzialmente i costi dedotti, o limitando temporalmente l’accertamento).

Se invece la posizione è oggettivamente scoperta (es. società fittizia senza alcuna sostanza), potrebbe essere saggio valutare vie di regolarizzazione prima che il Fisco affondi il colpo. Ad esempio, utilizzare gli strumenti di ravvedimento operoso per sanare dichiarazioni dei redditi o quadro RW non presentati, beneficiando di sanzioni ridotte prima di ricevere visita ispettiva. Oppure, qualora l’accertamento sia già avviato, considerare l’accertamento con adesione: presentarsi all’Ufficio, ammettere le violazioni ed eventualmente negoziare su imponibili e sanzioni. L’accertamento con adesione consente una riduzione di 1/3 delle sanzioni amministrative e consente di evitare il contenzioso, riducendo anche l’esposizione penale (collaborazione e pagamento possono essere visti positivamente in sede penale, in alcuni casi il pagamento integrale del debito tributario prima del dibattimento estingue specifici reati tributari o attenua molto la pena, ex art. 13 D.Lgs. 74/2000).

Ricordiamo infine che dal 2023 il processo tributario è stato riformato per garantire maggiore terzietà e maggiore equilibrio nell’onere probatorio (L. 130/2022). I giudici tributari ora sono professionisti a tempo pieno e la riforma ha sottolineato che spetta in primis all’Amministrazione fornire prove solide delle pretese. Nel contesto dell’esterovestizione, questo significa che l’Agenzia delle Entrate, in giudizio, deve presentare un quadro coerente di elementi (organigrammi, email, flussi finanziari) che indichi la gestione italiana, prima che scatti l’onere della prova contraria in capo al contribuente. Questa evoluzione giuridica dà al contribuente un miglior margine di difesa: se il fascicolo probatorio del Fisco è debole o lacunoso, il contribuente può puntare su tale insufficienza per vincere il ricorso (in dubio, niente presunzioni a suo sfavore).

Monitoraggio fiscale e Quadro RW: attività estere e trust

Un capitolo fondamentale per i contribuenti italiani con legami a San Marino riguarda gli obblighi di monitoraggio fiscale, in particolare la compilazione del Quadro RW nella dichiarazione dei redditi. Si tratta della sezione del Modello Redditi riservata a investimenti patrimoniali e attività finanziarie detenuti all’estero da soggetti fiscalmente residenti in Italia. Sono tenute al monitoraggio le persone fisiche residenti, le società semplici, gli enti non commerciali e alcune figure equiparate, per segnalare all’Amministrazione finanziaria tutti i beni detenuti fuori dai confini nazionali (conti correnti, immobili, partecipazioni, polizze, metalli preziosi, criptovalute, ecc.).

Quando scatta l’obbligo? Se il contribuente è considerato residente in Italia, deve dichiarare in RW gli asset esteri di cui è titolare legale o beneficiario effettivo. Dunque, se un italiano trasferito a San Marino viene ritenuto comunque residente dal Fisco (per i criteri visti sopra), dovrà dichiarare nel suo RW i conti bancari a San Marino, gli eventuali immobili, partecipazioni in società sammarinesi, ecc. Analogamente, una società esterovestita riqualificata come residente potrebbe comportare obbligo di RW in capo ai soci o amministratori italiani interposti.

Sanzioni per omessa dichiarazione RW: La normativa (DL 167/1990, art. 5) prevede una sanzione dal 3% al 15% dell’ammontare non dichiarato. Se le attività finanziarie o investimenti si trovano in Paesi a fiscalità privilegiata (black list), la sanzione è aggravata dal 6% al 30%. San Marino, essendo oggi white list, rientra nell’aliquota base (3–15%). La sanzione si applica per ciascun anno di omissione. In caso di presentazione tardiva del quadro RW (entro 90 giorni) è prevista invece una sanzione fissa minima (€258 ridotta a €25 se ci si ravvede entro 90 giorni), ma se non si regolarizza entro tale termine si cade nelle percentuali suddette.

È importante chiarire che l’omessa compilazione del quadro RW è un illecito formale di monitoraggio, distinto dall’evasione sulle eventuali rendite prodotte da quegli asset. Mi spiego: se un soggetto aveva €1.000.000 su un conto sammarinese non dichiarato e quell’importo produceva interessi, due sono le violazioni: (a) mancata indicazione del conto in RW (sanzione 3–15% del 1.000.000, quindi potenzialmente €30.000-150.000 per ogni anno!); (b) mancata dichiarazione degli interessi maturati (tassazione omessa su redditi esteri, con relative imposte evase e possibili sanzioni per infedele dichiarazione). Quindi, le conseguenze economiche cumulate possono essere enormi. La legge prevede incentivi al ravvedimento operoso anche per RW: ad esempio, se un contribuente spontaneamente regolarizza un’attività estera dimenticata, le percentuali di multa si riducono (e.g. 0,5% per anno se ravvede dopo 2 anni un’attività in white list). Anche durante un accertamento, spesso l’Agenzia “concorda” l’applicazione della sanzione in misura media (es. 7,5%) per definire la violazione RW.

Un caso frequente in passato riguardava i conti bancari sammarinesi: decine di migliaia di italiani avevano depositi in banche di San Marino (talora con contanti di provenienza non tracciata). Dopo gli accordi di cooperazione, tali posizioni sono emerse grazie allo scambio automatico di informazioni e a varie voluntary disclosure (collaborazioni volontarie) varate dall’Italia nel 2015 e 2017. Chi non avesse aderito alla voluntary disclosure e venisse scoperto oggi con un conto non dichiarato, incorrerebbe nelle sanzioni RW suddette e, se il conto aveva depositi di origine non dichiarata, sarebbe presumibile un reddito evaso (capitale pregresso) su cui l’Agenzia chiederebbe imposte fino a 5 anni addietro (o 10 anni se si trattava di investimenti in un paradiso fiscale con raddoppio dei termini di accertamento, come previsto dal DL 78/2009 art. 12). San Marino, essendo ora collaborativo, non dà luogo al raddoppio dei termini – ma va valutato il periodo in cui i fondi sono stati accumulati (se riferiti ad anni in cui SM era black list, l’Agenzia potrebbe rivendicare il raddoppio delle annualità accertabili).

Un altro aspetto: il quadro RW non è solo un obbligo “di elenco”, ma serve anche per calcolare due imposte patrimoniali introdotte dal 2012: l’IVAFE (imposta sul valore delle attività finanziarie estere, ad esempio lo 0,2% sui depositi e conto titoli esteri) e l’IVIE (imposta sul valore degli immobili esteri, 0,76% sul valore catastale o di acquisto). San Marino nel 2013-2014 ha introdotto anch’essa imposte patrimoniali, ma ciò non esonera dall’IVAFE/IVIE italiane, con credito d’imposta solo in caso di analoghe imposte patrimoniali pagate all’estero. In pratica, un italiano residente che possiede un appartamento a San Marino dovrà dichiararlo in RW e pagare l’IVIE (salvo riduzioni se immobile adibito ad abitazione principale equiparata); se paga anche una patrimoniale a San Marino su quell’immobile, potrebbe spettargli un credito entro certi limiti.

Trust e altri enti esteri: Cosa accade se invece di avere beni esteri direttamente, un contribuente italiano li colloca in un trust sammarinese o in una società locale a lui riconducibile? La normativa sul monitoraggio prevede che vadano dichiarate anche le attività estere possedute per il tramite di entità interposte. Ad esempio, se un residente italiano costituisce una società a San Marino che detiene un conto bancario, l’Agenzia potrebbe considerare interposto il soggetto giuridico estero e richiedere all’italiano di indicare il conto in RW come sua attività estera indiretta (il tutto sta nell’accertare la “interposizione fittizia”). Analogamente, con i trust: se un italiano trasferisce beni in un trust a San Marino ma di fatto ne resta il beneficiario o ha poteri sul trustee (trustee sammarinese di fiducia), l’obbligo di monitoraggio potrebbe ricadere su di lui come titolare effettivo. Dal 2013 una circolare AE (n. 38/E) ha chiarito che i trust opachi esteri vanno dichiarati dai beneficiari residenti qualora gli stessi abbiano diritto ai redditi o al patrimonio, e in generale va valutato caso per caso il beneficiario effettivo ai fini antiriciclaggio. La nostra guida non può esaurire l’argomento trust, ma il principio è: le strutture estere non esonerano dal monitoraggio, anzi rientrano anch’esse tra i potenziali strumenti di esterovestizione (l’art. 73 co. 5-bis TUIR infatti parla di società ed enti, includendo trust e fondazioni estere). Pertanto un trust sammarinese creato da italiani e utilizzato come schermo potrebbe essere contestato sia ai fini della residenza (se sede amministrazione di fatto in Italia) sia ai fini del monitoraggio e delle imposte sui redditi (tassando i beneficiari italiani sui redditi del trust). La Cassazione ha in passato disconosciuto trust esteri privi di sostanza, trattandoli come interposti e attribuendo i redditi direttamente al disponente residente in Italia (es. Cass. 16605/2017). In caso di accertamento, il disponente o beneficiario dovrà provare l’effettiva indipendenza del trust e l’assenza di poteri di controllo da parte sua, altrimenti il Fisco italiano ignorerà la struttura e considererà l’italiano titolare dei beni/conti.

Riassumendo: chi ha trasferito denaro o investimenti a San Marino deve assicurarsi, se rimane fiscalmente residente in Italia, di dichiarare correttamente tali attività nel quadro RW e di pagare le eventuali imposte collegate (IVAFE/IVIE). La mancata ottemperanza espone a sanzioni molto alte e, allo stato attuale, è altamente probabile che il Fisco scopra l’omissione (sia per via degli scambi automatici di informazioni, sia perché situazioni atipiche – come spese in Italia non coerenti col reddito dichiarato – fanno scattare approfondimenti). Chi invece è convinto di essere legittimamente residente a San Marino (quindi non soggetto al RW), ma riceve un accertamento dall’Italia, si trova in posizione delicata: dovrà combattere su due fronti, sostenendo di non essere tenuto né al pagamento di imposte italiane né al monitoraggio. Tuttavia, nel dubbio, potrebbe valutare – in via prudenziale – di presentare una dichiarazione dei redditi tardiva con quadro RW per interrompere le sanzioni, specificando magari che lo fa in via cautelativa. Questa è un’azione da ponderare col proprio consulente, perché ha implicazioni (ad esempio può costituire un’ammissione implicita di residenza).

Il consiglio per chiunque abbia attività oltreconfine è comunque di mantenere tracciabilità e trasparenza: aderire ad eventuali regolarizzazioni, conservare estratti conto e documenti esteri per poterli esibire se richiesti, ed evitare di occultare redditi sperando nell’anonimato finanziario (oggi molto relativo).

Aspetti IVA e rapporti commerciali con San Marino

La disciplina IVA nei rapporti con San Marino presenta caratteristiche peculiari frutto di accordi bilaterali storici (ad esempio il Protocollo del 2002 e accordi successivi). San Marino non fa parte dell’UE, ma è stato integrato nel sistema dell’IVA europea per le operazioni di beni, attraverso uno scambio di note: in sostanza le cessioni di beni tra Italia e San Marino, se opportunamente certificate, sono trattate in esenzione nel paese di origine e tassate nel paese di destinazione. Fino al 2021, le cessioni di beni dall’Italia a San Marino erano accompagnate da una bolla doganale o da fattura con visto dell’Ufficio Tributario sammarinese attestante l’arrivo dei beni, per godere della non imponibilità IVA in Italia. Dal 1° luglio 2022 questa procedura è stata digitalizzata: le fatture di vendita verso San Marino devono essere emesse in formato elettronico tramite SdI, con indicazione di natura “N3.3 – non imponibile cessione verso San Marino”. L’amministrazione sammarinese verifica e convalida elettronicamente l’acquisto. Specularmente, le fatture emesse da operatori sammarinesi verso clienti italiani transitano per lo SdI e possono riportare addebito IVA se l’operatore sammarinese ha optato per identificarsi ai fini IVA in Italia (altrimenti l’IVA è assolta con autofattura dal cliente italiano). Questa evoluzione implica che ogni transazione di beni tra i due Stati è tracciata, limitando le possibilità di arbitraggio fiscale sull’IVA.

Nonostante ciò, schemi fraudolenti in ambito IVA non sono mancati in passato e possono riproporsi. Uno scenario tipico: un’azienda italiana cede beni a una società sammarinese compiacente, fatturando in esenzione IVA (trattandola come esportazione). I beni però non escono mai dall’Italia, venendo di fatto immessi in consumo sul territorio italiano senza pagamento dell’IVA. Tali frodi sono perseguite sia amministrativamente che penalmente. L’esempio fatto sopra dell’azienda di abbigliamento conteneva proprio un profilo IVA: la Cass. penale (sez. III) nel 2012 confermò la condanna per evasione IVA di una struttura in cui la società sammarinese fungeva da filtro nelle vendite in Italia, con produzione locale e agenti italiani non dichiarati. Morale: se una società sammarinese vende in modo stabile in Italia (soprattutto se con personale o agenti presenti), il Fisco può ravvisare una stabile organizzazione in Italia oppure la soggettività passiva IVA in capo a quel soggetto, pretendendo l’identificazione e il versamento dell’imposta.

Dal lato delle imprese italiane, si segnala che sono in vigore obblighi di comunicazione trimestrale (esterometro) per le operazioni transfrontaliere (dal 2022 l’esterometro non si applica alle fatture verso San Marino, che sono elettroniche, ma rimane per gli acquisti di servizi da San Marino). Un accertamento fiscale può quindi estendersi a controllare se l’impresa italiana ha correttamente comunicato/acquisito fatture da fornitori sammarinesi. La violazione di queste comunicazioni IVA è sanzionata ma in maniera minore (€2 per fattura, max €400 mensili).

Un altro tema IVA: se un imprenditore italiano trasferisce la residenza personale a San Marino ma continua a svolgere un’attività d’impresa in Italia, dovrà comunque identificarsi ai fini IVA in Italia. La residenza anagrafica non determina la cessazione della qualifica di soggetto passivo in Italia: quel che conta è dove l’attività viene esercitata. L’art. 7 del DPR 633/72, in termini di territorialità IVA, lega l’imposta al luogo di esercizio dell’impresa. Se Tizio – residente a San Marino – gestisce un negozio o fornisce servizi in Italia, resterà tenuto ad aprire partita IVA italiana (eventualmente operando tramite una stabile organizzazione o una posizione identificativa). Diversamente commetterebbe un’evasione IVA (operando senza applicare l’imposta). Similmente, se un soggetto apre una società a San Marino ma poi effettua prestazioni di servizi in Italia (si pensi a un consulente con società sammarinese che però lavora fisicamente presso clienti in Italia), bisognerà valutare caso per caso dove si considera effettuata la prestazione: certe prestazioni tra imprese seguono la regola del cliente (B2B tassate nel paese del cliente, quindi soggette a reverse charge in Italia), però se la società estera ha un’organizzazione in Italia per erogare quei servizi, l’amministrazione potrebbe pretendere una posizione IVA locale.

Un’altra potenziale insidia è la deducibilità dei costi: se un’impresa italiana acquista beni o servizi da una società sammarinese appartenente allo stesso gruppo, tali costi sono scrutinati attentamente dal Fisco italiano. Oltre al transfer pricing, potrebbe applicarsi la disciplina sui costi da paradisi fiscali (art. 110 co. 10 TUIR) qualora la controparte estera fosse a regime fiscale privilegiato. Nel caso di San Marino, oggi quel regime non si considera più “privilegiato” ai fini di tale norma (avendo un tax rate ordinario attorno al 17% e scambi info con l’Italia), ma in passato lo era e potrebbero esserci strascichi per annualità vecchie. In pratica, un costo pagato a una società sammarinese potrebbe essere indeducibile se l’operazione è ritenuta inesistente o sovrafatturata per spostare utili: l’Agenzia in un accertamento di esterovestizione spesso recupera a tassazione non solo i ricavi non dichiarati ma anche eventuali costi infragruppo non giustificati.

Conclusione su IVA: Chi opera tra Italia e San Marino deve rispettare le formalità previste dagli accordi (fatturazione elettronica, certificazioni) e stare attento a non creare artifici nel flusso commerciale. L’Agenzia Entrate e la GdF vigilano su movimenti anomali di merci al confine: esistono controlli incrociati tra documenti di trasporto, fatture elettroniche e dichiarazioni doganali. Uno scenario considerato indice di frode è, ad esempio, l’utilizzo di “prestanome”: ditte individuali italiane che vendono beni alla società sammarinese a prezzi irrisori, la quale poi rivende in Italia a prezzo di mercato, cosicché l’IVA si perde. Se la GdF scopre legami di parentela o finanziari tra le ditte italiane e la società estera, può configurare un’unica regia e contestare l’evasione IVA (con le relative sanzioni e possibili reati di frode fiscale).

In generale, se siete destinatari di un accertamento in ambito IVA relativo a operazioni con San Marino, è cruciale dimostrare la realtà economica delle operazioni: esibire contratti di trasporto, prove della consegna fisica delle merci a San Marino (se esportate), l’effettivo pagamento ed eventuale assoggettamento a monofase sammarinese (prima del 2022) o a IVA in auto-fattura dopo. Spesso l’Agenzia notifica avvisi di accertamento per IVA non versata su cessioni interne fittiziamente qualificate export: in tali casi, occorre provare che le merci sono realmente uscite dal territorio italiano e che l’esenzione era legittima. Se non si hanno le bolle doganali o i riscontri elettronici di SdI convalidati, la difesa è ardua.

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito, alcune domande frequenti relative al tema “residenza a San Marino e accertamenti fiscali italiani”, con risposte concise basate su quanto esposto:

Q1: Sono cittadino italiano e mi sono trasferito a San Marino. Devo pagare le tasse in Italia o a San Marino?
A: Dipende dalla tua residenza fiscale effettiva. Se hai trasferito la residenza anagrafica a San Marino (iscrivendoti all’AIRE) e soprattutto se lì hai il tuo domicilio (vita familiare, interessi principali) e passi la maggior parte dell’anno fuori dall’Italia, allora in linea di principio sarai considerato residente fiscale a San Marino, pagando le imposte secondo le leggi sammarinesi. L’Italia in tal caso dovrebbe rinunciare a tassare i tuoi redditi esteri, limitandosi eventualmente a tassare quelli prodotti in Italia (p.es. una casa affittata che hai ancora in Italia). Attenzione però: se mantieni in Italia legami forti (casa, famiglia) o soggiorni qui più di 183 giorni, l’Italia potrebbe ritenerti comunque residente ai sensi dell’art. 2 TUIR e pretendere le imposte su tutti i tuoi redditi mondiali. In caso di conflitto, si applica la Convenzione Italia–San Marino, che attraverso i criteri del centro degli interessi vitali e dello soggiorno abituale stabilirà in quale Stato sei da considerare residente esclusivo. Dovrai quindi eventualmente provare dove si trova il tuo centro di vita. Riassumendo: se il tuo trasferimento è autentico e completo, pagherai le tasse a San Marino (salvo alcuni redditi di fonte italiana con tassazione limitata); se è solo fittizio, rischi di doverle pagare in Italia più sanzioni.

Q2: L’Agenzia delle Entrate mi contesta la “finta residenza” a San Marino. Cosa guardano per dimostrarlo?
A: Il Fisco valuta vari indizi: ad esempio se risulti ancora iscritto all’anagrafe italiana (o lo eri per buona parte dell’anno), se la tua famiglia (coniuge, figli) abita in Italia, se qui possiedi un’abitazione stabile e magari l’hai arredata e tenuta a disposizione, se hai interessi economici in Italia (società dove sei amministratore, partecipazioni) e via dicendo. Importante è anche il dato della presenza fisica: tramite timbri sul passaporto, celle telefoniche agganciate, transazioni con carte, il Fisco può ricostruire quanti giorni hai passato in Italia. Se superano 183, è già una base forte. Inoltre guardano i movimenti finanziari: ad esempio, continui prelievi Bancomat in Italia o bollette e utenze pagate per una casa italiana fanno pensare che tu ci viva. Se i figli vanno a scuola in Italia, altro indizio forte. Tutti questi elementi, presi nel complesso, possono convincere i giudici che il tuo domicilio di fatto è rimasto in Italia, rendendo irrilevante il cambio di residenza formale. Viceversa, per difenderti, tu dovrai portare prove contrarie: contratto di affitto o proprietà di casa a San Marino, iscrizione AIRE tempestiva, bollette sammarinesi, attestati di presenza (es. permesso di soggiorno sul Titano, conti bancari locali usati regolarmente, ecc.). Se esiste, userai anche il criterio convenzionale: magari hai un’unica abitazione permanente ed è a San Marino – quello spesso è il fattore decisivo (ti serve però documentarlo con contratto e utenze). In sintesi, l’Agenzia costruisce un puzzle di indizi di “italianità” della tua vita; tu devi smontarlo tassello per tassello.

Q3: Ho una società a San Marino, ma i clienti e il mercato sono in Italia. Rischio un’accusa di esterovestizione?
A: Sì, il rischio è concreto. Se la società sammarinese è di fatto gestita dall’Italia o svolge qui la sua attività, l’Agenzia potrebbe considerarla residente fiscale in Italia (esterovestizione) o quantomeno ravvisare una stabile organizzazione in Italia non dichiarata. Elementi da valutare: chi sono gli amministratori e dove operano (se il CDA o il titolare prendono tutte le decisioni dall’Italia), dove si trovano uffici, dipendenti, magazzini (se anche questi sono in Italia), da dove partono le direttive di business, dove sono localizzati i beni aziendali principali. Se la società di San Marino appare come un mero guscio che fattura ai clienti italiani mentre tutta l’operatività è curata dall’Italia, allora siamo di fronte a uno schema artificioso. In tal caso l’Agenzia punterà a riqualificare i redditi come prodotti in Italia, con recupero di imposte (IRES, IRAP) e IVA eventuale, più sanzioni. Per difenderti, dovresti dimostrare che la società opera davvero a San Marino, ad esempio: ha un ufficio lì, un dipendente locale che svolge mansioni essenziali, le riunioni con i clienti avvengono almeno in parte sul Titano, la logistica parte da lì, ecc. In pratica devi separare le attività italiane da quelle estere il più possibile. Considera anche che se la tua società sammarinese controlla società italiane ed è a sua volta controllata da italiani, scatterebbe la presunzione 73(5-bis) TUIR: una grana ulteriore, perché in quel caso devi fornire tu la prova difensiva. Quindi, se la maggior parte dei ricavi viene da clienti italiani e tu stesso magari risiedi in Italia, c’è alta probabilità che il Fisco ti contesti l’esterovestizione.

Q4: Cosa posso fare per evitare contestazioni di esterovestizione sulla mia azienda estera?
A: La chiave è dare sostanza e coerenza all’operatività estera. In concreto: assicurati che la società estera abbia qualche struttura reale – un ufficio, fosse anche piccolo, con targa e recapito, e personale locale (anche part-time); evita consigli di amministrazione composti esclusivamente da italiani, se possibile coinvolgi un amministratore residente sul posto o delega poteri operativi a qualcuno lì. Tieni una documentazione precisa che provi la vita aziendale all’estero: verbali di assemblea con riunioni tenute oltreconfine, contratti siglati presso la sede estera, corrispondenza con soggetti del posto, conti bancari esteri usati per pagare fornitori esteri. Non fare l’errore di gestire tutto da remoto dall’Italia lasciando tracce ovunque (tipo e-mail sempre inviate dall’IP di casa tua a Milano). Se hai transazioni con la tua società italiana, applica prezzi di mercato e documenta il transfer pricing. E naturalmente rispetta gli obblighi di monitoraggio fiscale e trasferimento prezzi: dichiara in RW la partecipazione estera se sei residente in Italia, predisponi il Masterfile TP se necessario. In breve, fai in modo che la tua azienda straniera appaia come una normale impresa del luogo: se paga le tasse locali, ha clienti locali (anche pochi), non trasferisce tutti gli utili in Italia, sarà più difficile per il Fisco definirla “schermo vuoto”. Infine, se l’operatività è significativa, valuta di aderire a regimi di adempimento collaborativo (cooperative compliance) se ne hai i requisiti, o richiedi un interpello internazionale all’Agenzia per avere conferma a priori su alcuni aspetti della tua struttura. Questo ti darebbe maggiore protezione.

Q5: Non ho dichiarato in RW un conto bancario a San Marino intestato a me (residente in Italia). Cosa rischio e posso rimediare?
A: Rischi una sanzione amministrativa pesante: dal 3% al 15% del valore del conto per ogni anno non dichiarato. Ad esempio, su €100.000 non dichiarati la multa va da €3.000 a €15.000 per anno. Se il conto esisteva da 5 anni, teoricamente potrebbero chiederti fino a €75.000 (oltre a eventuali tasse su redditi non dichiarati derivanti da quel conto, come interessi). L’importo esatto lo determinano caso per caso, spesso applicando il 5% o 10% annuo come forfettario. Dal 2017 San Marino scambia i dati finanziari con l’Italia, quindi l’Agenzia potrebbe già aver saputo del tuo conto. Come rimediare: se non hai ancora ricevuto nulla, conviene fare un ravvedimento operoso. Puoi presentare una dichiarazione integrativa per gli anni non prescritti, compilando il quadro RW e pagando una sanzione ridotta. Ad esempio, se regolarizzi un anno dopo, paghi 0,5% (1/6 del 3%), se dopo più tempo intorno all’1-1,5%. Ci sono precise tabelle sul ravvedimento (vedi Circolare 38/E/2013). Dovrai versare il dovuto con codice tributo 8911 e, se dal conto hai ricavato redditi (es. interessi), dichiarare anche quelli e pagarci sopra le imposte + interessi e sanzioni ridotte. In sostanza, meglio autodenunciarsi che aspettare l’accertamento: in quel caso, infatti, la sanzione ti arriverebbe al massimo (15%) e senza sconti. Inoltre, facendo ora la dichiarazione integri anche il pagamento di eventuale IVAFE (0,2% annuo sul conto). Se invece hai già in corso un accertamento, puoi valutare di aderire e pagare subito, magari chiedendo la definizione agevolata delle sanzioni (spesso sugli RW omessi l’Agenzia accorda il minimo edittale se collabori). Tieni presente che l’omessa dichiarazione RW di per sé non è reato, ma se il conto mascherava redditi evasi di grande entità, potresti incorrere in reati di omessa o infedele dichiarazione per quei redditi. Anche per questo, regolarizzare prima aiuta a circoscrivere i problemi.

Q6: Trasferire la sede della mia società o la mia residenza personale a San Marino per pagare meno tasse è illegale?
A: In sé, no. È del tutto lecito spostare la residenza propria o di un’azienda all’estero per beneficiare di condizioni fiscali più vantaggiose, purché il trasferimento sia reale e sostanziale. Questo principio è riconosciuto anche a livello UE come libertà di stabilimento. Quindi, se tu realmente ti stabilisci a San Marino e tagli i ponti con l’Italia, oppure se la tua società chiude le attività in Italia e apre un ufficio vero sul Titano, stai esercitando un tuo diritto. Diventa illegale – e fonte di sanzioni/reati – quando il trasferimento è fittizio: cioè quando simuli di essere all’estero ma in realtà continui ad operare come prima in Italia. Non esiste un reato chiamato “esterovestizione”, ma se attraverso questa simulazione non dichiari redditi in Italia, commetti reati tributari (omessa o infedele dichiarazione, a seconda dei casi, al superamento delle soglie). In pratica, la punibilità scatta solo nei casi più gravi e palesi di frode. Esempio: se Pinco apre una società a San Marino e la usa solo per fatturare fittiziamente i lavori che lui svolge in Italia, e sposta su quella i ricavi non pagando tasse italiane, allora sta chiaramente evadendo: verrà punito in sede amministrativa e forse penale. Se invece Caio sposta davvero la produzione o la sua attività oltreconfine e rispetta le regole, l’operazione è lecita. Il confine a volte è sottile, per cui è prudente farsi assistere in queste scelte da esperti fiscalisti internazionali e, ove opportuno, richiedere pareri/procedure di ruling per avere certezza sul trattamento fiscale.

Q7: Sono un professionista italiano e lavoro in smart working da San Marino per clienti in Italia. Potrei essere considerato residente in Italia per “presenza fisica”?
A: Questa è una situazione nuova e interessante. Dal 2024, come detto, la semplice presenza fisica in Italia per almeno 183 giorni fa scattare la residenza fiscale. Se tu vivi a San Marino ma ogni giorno entri in Italia (magari perché abiti proprio al confine) oppure vieni molto spesso per questioni familiari o altre, potresti involontariamente accumulare >183 giorni sul suolo italiano in un anno. In tal caso, nonostante la residenza anagrafica a San Marino, saresti considerato fiscalmente residente in Italia. L’Agenzia ha chiarito che anche chi lavora in smart working da remoto deve guardare alla presenza fisica: se lavori da casa tua a San Marino, quei giorni contano come giorni fuori dall’Italia; se invece frequentemente ti rechi in Italia (es. per incontri, conferenze, ecc.), rischi. Questo criterio è stato introdotto proprio per prendere in considerazione i lavoratori agili transnazionali. Quindi, dovrai monitorare attentamente le tue permanenze: se vedi che stai per superare i sei mesi in Italia, per quell’anno è meglio che tu riduca al minimo le visite non necessarie. Va detto che se la tua famiglia è con te a San Marino e hai lì la casa, anche se superi di poco i 183 giorni in Italia potrai cercare di difenderti col criterio convenzionale (centro interessi vitali a San Marino). Ma è sicuramente un terreno scivoloso. La cosa ideale è tenere un diario dei giorni e conservare evidenze (biglietti, scontrini) dei periodi trascorsi a San Marino, in caso di contestazioni future. In conclusione, lo smart worker frontaliero deve fare attenzione a non farsi “attrarre” accidentalmente in residenza italiana dal nuovo criterio.

Q8: Lavoro a San Marino ma risiedo in Italia (frontaliero). Come devo dichiarare il mio stipendio?
A: Come frontaliero fiscalmente residente in Italia, devi dichiarare il reddito estero di lavoro dipendente nel quadro RC del modello Redditi (o nel 730) al lordo, ma hai diritto a una franchigia e a un credito d’imposta. La franchigia, come detto, è di €10.000 annui esenti da IRPEF italiana (per il 2024 in poi). Quindi, se ad esempio guadagni €30.000 all’anno a San Marino, in dichiarazione indicherai €30.000 ma solo €20.000 saranno soggetti a IRPEF (perché 10.000 esenti). Inoltre, supponiamo tu abbia pagato imposte a San Marino sul tuo stipendio (San Marino applica aliquote IRPEF locali, ad esempio il 20% su quel reddito): potrai calcolare l’IRPEF italiana dovuta sui €20.000 tassabili e poi detrarre le imposte sammarinesi proporzionalmente a quel reddito, evitando la doppia imposizione. In pratica, il tuo datore di lavoro a San Marino non applica ritenute per conto dell’Italia; sarai tu a regolarizzare con la dichiarazione annuale italiana, ma grazie a franchigia e crediti spesso l’importo aggiuntivo dovuto in Italia è basso o nullo (dipende dal livello di tasse pagate a San Marino e dal tuo scaglione IRPEF). Tieni presente che la franchigia è uno sconto italiano, non influisce sulle tasse che paghi a San Marino. Fai attenzione anche al requisito di essere frontaliero: significa che devi normalmente tornare a casa in Italia ogni giorno (o almeno una volta a settimana) dalla sede di lavoro estera. Se ti trasferisci stabilmente a San Marino, perdi lo status di frontaliero e tutta la retribuzione sarebbe esclusa da franchigia ma, d’altro canto, diventeresti residente solo a San Marino e quindi la tassazione italiana si applicherebbe solo su eventuali redditi italiani (non sullo stipendio sammarinese, in base al trattato). Spesso i frontalieri preferiscono mantenere la residenza in Italia per motivi familiari e usufruire della franchigia, ma ogni caso va valutato. In dichiarazione dei redditi, oltre al quadro RC, compilerai il Credito per imposte estere indicando la somma pagata a San Marino (risultante dalla Certificazione che il datore sammarinese dovrebbe fornirti) e calcolando il credito spettante. È un’operazione tecnica, suggerisco di farti assistere da un CAF o professionista per il primo anno.

Strategie di difesa in caso di accertamento: procedura e consigli

Chiudiamo questa guida con alcuni suggerimenti pratici su cosa fare se ci si trova effettivamente di fronte a un accertamento fiscale legato alla propria posizione a San Marino (sia esso una contestazione di residenza, di esterovestizione societaria, di omesso RW, ecc.):

  • Non farsi prendere dal panico, ma nemmeno sottovalutare l’accertamento. Un avviso di accertamento è un atto legale a cui bisogna rispondere tempestivamente: ignorarlo porta alla cartella esattoriale e alle conseguenze peggiori. I termini sono stretti (60 giorni per impugnare). Valuta subito, magari con un legale tributarista, la fondatezza delle pretese.
  • Analizzare dettagliatamente le motivazioni dell’atto. Capire su quali elementi l’Agenzia ha basato la propria contestazione: c’è un riferimento all’iscrizione anagrafica? Hanno ottenuto informazioni bancarie? Citano documenti specifici (es. verbali sociali) che indicano direzione in Italia? L’atto deve contenere un corpus di elementi probatori. Se appare generico o carente, è un buon segno per la difesa (da far valere in ricorso). Se invece è ben costruito, occorre preparare controprove solide.
  • Valutare gli strumenti deflativi. Prima di andare in contenzioso, si può tentare la via dell’accertamento con adesione (se l’atto è un avviso “pieno” e non preceduto da invito). L’adesione permette di incontrare i funzionari, discutere e spesso trovare un compromesso (ad esempio accettare la residenza in Italia per alcuni anni ma non per altri, o rideterminare il reddito imponibile in misura inferiore). Se c’è margine di trattativa – e specialmente se effettivamente qualcosa da regolarizzare c’è – l’adesione consente di abbattere sanzioni di 1/3. Durante l’adesione i termini per ricorrere sono sospesi.
  • In caso di ricorso in Commissione Tributaria, predisporre un fascicolo probatorio accurato a sostegno. Se ad esempio si sostiene la residenza sammarinese, allegare contratti di casa, certificati di residenza rilasciati a San Marino, bollette luce/gas, ricevute di affitto, testimonianze (se ammissibili) di vicini o datori di lavoro. Se il punto è la sede effettiva di una società, produrre l’eventuale tax residence certificate sammarinese (vero, non basta da solo ma è sempre un indizio), verbali di CDA con riunioni a San Marino, contratti stipulati lì, prova di dipendenti e uffici sul Titano, fatture di fornitori locali. Ordine e completezza nei documenti daranno credibilità alla tesi difensiva.
  • Contestare l’onere della prova se pertinente. Come detto, oggi il Fisco, specie nei casi di esterovestizione, deve portare inizialmente prove forti. Nel ricorso si può sottolineare se l’Ufficio si è basato su mere presunzioni o congetture non supportate da riscontri concreti. Ad esempio: “l’Agenzia presume che i giorni di presenza in Italia superino 183 ma non fornisce alcun dato oggettivo (biglietti, ecc.) – ergo la pretesa è infondata”. Oppure: “si ipotizza che la società sia amministrata dall’Italia, ma nessun documento lo dimostra, anzi vi sono verbali contrari”. Questi argomenti giuridici possono portare all’annullamento per difetto di prova, anche senza entrare nel merito.
  • Attenzione ai profili penali paralleli. Se le somme in gioco superano le soglie di reato e l’ipotesi è omessa dichiarazione, ecc., la questione potrebbe essere stata segnalata alla Procura. È opportuno muoversi con un doppio binario in mente: da un lato il processo tributario (o adesione), dall’altro un possibile procedimento penale. Talvolta pagare il dovuto al Fisco per intero prima che il processo penale arrivi a sentenza di primo grado consente l’estinzione di alcuni reati (dich. infedele, omesso versamento) o attenuanti rilevanti. Anche la condotta collaborativa incide: un accertamento con adesione con pagamento integrale può convincere il PM a chiedere l’archiviazione per particolare tenuità, se i fatti non sono gravissimi. Consulta quindi anche un avvocato penalista esperto di reati tributari, se ti trovi in queste condizioni, per coordinare la strategia (ad es. valutare un patteggiamento).
  • Considerare il ravvedimento operoso “in extremis”. Se non sei ancora formalmente oggetto di verifica per alcune annualità (magari l’avviso ne copre solo alcune), puoi ancora ravvederti per quelle non accertate: questo mostra buona fede e potrebbe ridurre il danno complessivo. Occhio però: se hai già ricevuto PVC o altri atti per quelle stesse violazioni, non è più ammesso ravvedimento.
  • Mantenere un tono professionale e preciso nella difesa. Nel presentarti al contraddittorio o nel ricorso scritto, evita giustificazioni vaghe o emozionali (“ma tanti lo fanno”, “ce l’hanno con me”). Concentrati su dati oggettivi, norme e sentenze a favore. Ad esempio cita le sentenze recenti: “Cass. 1883/2023 ha stabilito che per società in San Marino occorre comunque provare uno dei criteri ex art. 73 co. 3 TUIR, cosa qui non avvenuta”; oppure “Cass. 19843/2024 ha escluso applicazione retroattiva del nuovo concetto di domicilio, quindi per il 2022 contava il centro affari (che nel caso di Tizio non era in Italia)”. Mostrare aggiornamento normativo-gurisprudenziale dà peso alle tue argomentazioni (e fa capire che in caso di lite sarai agguerrito e preparato).
  • Tentare la conciliazione se il ricorso è avviato. Anche dopo aver presentato ricorso in Commissione, c’è la possibilità della conciliazione giudiziale: prima dell’udienza, proporre un accordo all’Agenzia (tipicamente una riduzione delle sanzioni e magari parziale dell’imponibile). Se l’Ufficio vede che hai qualche chance di vittoria o che in ogni caso trascinando la lite incasserà tardi, può accettare. La conciliazione riduce le sanzioni al 1/3 (se fatta in primo grado) e chiude la controversia.
  • Infine, fare tesoro dell’esperienza. Se l’accertamento verte su comportamenti non corretti, adoperati per non ripeterli in futuro: dopo una contestazione di residenza, se rimani a San Marino, metti in atto tutte le misure per regolarizzare la tua posizione (iscriviti all’AIRE se non l’hai fatto, o magari trasferisci la famiglia se decidi di stabilizzarti là, o viceversa trasferisci te stesso in Italia se era fittizio). Se è emersa una società “schermo”, valuta di liquidarla o di trasformarla in qualcosa di reale altrove. Insomma, impara la lezione: perché recidive o nuove contestazioni incontrerebbero minore tolleranza.

Conclusioni

La materia degli accertamenti fiscali per contribuenti italiani con legami a San Marino è estremamente articolata, ma può essere affrontata con successo adottando un approccio informato e proattivo. La parola chiave è sostanza: le autorità italiane – in linea con i principi OCSE e UE – guardano alla realtà economica sottostante le apparenze formali. Chi ha veramente trasferito la propria vita o la propria impresa a San Marino (per ragioni non meramente elusive) ha dalla sua parte strumenti normativi di tutela, come la Convenzione contro le doppie imposizioni e i più recenti criteri “personalistici” di collegamento. Per contro, chi cerca di giocare sulle formalità (una residenza fittizia, un ufficio fantasma) deve essere consapevole che oggi le possibilità di farla franca sono esigue: la cooperazione tra Italia e San Marino è totale, i flussi finanziari sono trasparenti e la giurisprudenza è sempre più raffinata nello smascherare le costruzioni di puro artificio.

Abbiamo visto che la Cassazione più recente conferma un atteggiamento di mano dura verso le finte residenze estere, pur ribadendo che non è reato né illecito trasferirsi all’estero se vi è una sostanza economica genuina. Dunque, la “moralità” fiscale dell’operazione conta: chi pianifica correttamente e adempie agli obblighi (dichiarativi, IVA, monitoraggio) avrà meno da temere e più argomenti per difendersi.

Per un professionista o un imprenditore, il suggerimento è di mantenersi aggiornato: le norme evolvono (come la riforma del 2024 sulla residenza), e così le liste di Paesi non cooperativi e le direttive UE (ad esempio la futura ATAD 3 mirata a contrastare le shell companies senza sostanza). Inoltre, San Marino stessa adegua le sue leggi: oggi ha standard antiriciclaggio e di compliance molto più elevati rispetto a vent’anni fa. Il contesto è quindi mutato: chi volesse utilizzare il Titano come uno schermo opaco troverebbe molti ostacoli normativi.

In conclusione, cosa fare se arriva un accertamento fiscale “da San Marino”? Studiare il caso in fatto e in diritto, reagire con competenza e, se si è nel torto, regolarizzare presto. Molti problemi si possono risolvere evitando di arrivare al contenzioso esasperato: un contribuente informato sa quando è il momento di negoziare e quando invece vale la pena combattere fino in Cassazione. Questa guida ha cercato di fornire gli strumenti conoscitivi per fare tale scelta consapevolmente, auspicando che il punto di vista del contribuente trovi sempre più spazio in un dialogo con il Fisco basato su trasparenza e buona fede.

Segue una sezione con i riferimenti normativi e giurisprudenziali citati per ulteriori approfondimenti.

Fonti e riferimenti normativi

  • TUIR (DPR 917/1986), art. 2 e art. 73: definizioni di residenza fiscale per persone fisiche e società.
  • D.Lgs. 209/2023: Decreto attuativo della Delega Fiscale 2022, che ha riformato i criteri di residenza fiscale (persone fisiche: introduzione presenza fisica e nuovo domicilio; società: definizioni di sede effettiva). Vedi anche Circolare Agenzia Entrate 20/E del 4-11-2024 per le istruzioni applicative.
  • Legge 19/07/2013 n. 88: Ratifica Convenzione Italia–San Marino contro doppie imposizioni (in vigore dal 2013). Disponibile su G.U. e sito MEF. Contiene criteri tie-breaker per residenza (art. 4), tassazione redditi (artt. 6-21) e scambio info (art. 26).
  • Circolare AdE 25/E del 18/08/2023: Chiarimenti sul regime fiscale dei frontalieri, applicazione franchigia €10.000 (conferma estensione a San Marino).
  • D.L. 167/1990 (Monitoraggio fiscale), art. 5: Disciplina Quadro RW e sanzioni (3-15% / 6-30%). Vedi anche Circolare AdE 38/E/2013 (favor rei su sanzioni RW) e norme sul ravvedimento (art. 13 D.Lgs. 472/97).
  • D.Lgs. 74/2000: Reati tributari (art. 4 Dich. infedele; art. 5 Omessa dich.; art. 2 Fraudolenta con fatture; art. 13 circostanze speciali – pagamento debito tributario).
  • Accordi IVA Italia-San Marino: DM 24/12/1993 (vecchio regime fatture cartacee vistate) e DM 21/06/2021 (nuovo regime fatturazione elettronica dal 2022).
  • Cass. civ. Sez. V n. 1215/1998: primo indirizzo su prevalenza iscrizione anagrafica (residenza formale) in materia fiscale. Seguita da molte altre (es. 1783/1999, 677/2015, 21970/2015, 16634/2018).
  • Cass. civ. Sez. V n. 16634/2018: ribadisce che iscrizione AIRE non basta di per sé a escludere residenza in Italia se il domicilio è qui (caso UK).
  • Cass. civ. Sez. V n. 35284/2023 (dic. 2023): prevalenza dei criteri convenzionali sulla presunzione di residenza italiana in caso di trasferimento in Stato black list (Emirati Arabi).
  • Cass. civ. Sez. V n. 19843/2024: nuove regole residenza fiscale non retroattive. Concetto di domicilio “affettivo” vale dal 2024; prima contava centro affari e interessi (principio affermato in caso contribuente Principato Monaco).
  • Cass. civ. Sez. V n. 1883/2023: distinzione approccio esterovestizione UE vs extra-UE. In caso di San Marino (extra-UE), valutazione basata solo su criteri art. 73 TUIR; se indizi insufficienti, niente abuso da contestare. Confermata legittimità operato società sammarinese priva di stabile org. in Italia in quel caso.
  • Cass. civ. Sez. V n. 4463/2022: caso esterovestizione con sede in UE (Lussemburgo); richiamata dall’Osservatorio FI per il concetto di costruzione artificiosa.
  • Cass. civ. Sez. V n. 1544/2023: sul concetto di sede amministrativa effettiva e legittimità controllo societario senza esterovestizione (cita che direzione e coordinamento fisiologici non implicano residenza Italia).
  • Cass. civ. Sez. V n. 3386/2024: esterovestizione rilevante anche ai fini imposte indirette (registro). Afferma principio generale di contrasto a schemi elusivi anche fuori dall’ambito imposte dirette.
  • Cass. civ. Sez. V n. 14485/2024: onere probatorio: giudice deve valutare tutti gli indizi di esterovestizione in modo globale, servono indizi concordanti e non mere formalità.
  • Cass. civ. Sez. V n. 20002/2024: (menzionata in dottrina) ribadisce che sede amministrazione ≠ luogo di direzione e coordinamento di gruppo se quest’ultimo è esercitato fisiologicamente. Principio: controllo societario italiano non implica di per sé esterovestizione se la controllata estera ha gestione autonoma.
  • Cass. civ. Sez. V n. 2458/2025: caso recente di società in Antille Olandesi controllata totalmente da italiani. Conferma applicazione presunzione 73(5-bis) e legittimità accertamento residenza in Italia (control totalitario + decisioni in Italia ⇒ esterovestizione conclamata). Sottolinea anche che certificato estero di residenza è elemento marginale se ci sono presunzioni contrarie.
  • Cass. pen. Sez. III n. 43809/2015: caso Dolce & Gabbana in sede penale, conclusosi con assoluzione: trasferimento attività all’estero non è reato se c’è sostanza economica, manca dolo di frode. Conferma differenza tra elusione (abuso del diritto) e evasione fraudolenta.
  • Cass. pen. Sez. III n. 17418/2011 (caso Black Slot) e giurisprudenza conseguente: individuazione stabile organizzazione occulta in Italia tramite elementi indiziari (persone fisiche identiche, ecc.), principio ripreso anche nel caso citato dalla GdF di Rimini su confisca quote società sammarinese.
  • L. 130/2022 (riforma giustizia tributaria): rilevante per onere prova e terzietà giudici. Art. 5 comma 3-bis DLgs 546/92 introdotto: se l’Agenzia non adempie all’onere della prova, il giudice può dichiarare illegittimo l’atto.
  • Direttiva (UE) “ATAD 3” (in bozza 2021-2022): proposta di direttiva contro le shell companies, prevederà obblighi di report per entità prive di sostanza e possibili negazioni di benefici fiscali. Non ancora in vigore (al giugno 2025), ma indicativa tendenza UE.
  • Documentazione di prassi: Risoluzione AdE n. 28/E/2012 (esterovestizione e onere prova), Circolare Assonime n. 15/2023 (commento a nuove norme residenza società), Relazione illustrativa D.Lgs. 209/2023 (chiarisce ratio novità).

Sei residente a San Marino ma il Fisco italiano ti contesta la residenza? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Sempre più contribuenti italiani scelgono San Marino per motivi fiscali, imprenditoriali o personali. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate può avviare un accertamento, sostenendo che la residenza estera sia fittizia e che il contribuente debba essere tassato in Italia.
Se hai ricevuto un avviso o una comunicazione di accertamento, è essenziale non sottovalutare il rischio e attivare una difesa tempestiva e tecnica.


Perché l’Italia può contestare la tua residenza a San Marino?

L’Agenzia delle Entrate può considerare la residenza sammarinese meramente formale, ritenendo che:

  • 🏠 Il tuo centro degli interessi vitali sia ancora in Italia (famiglia, casa, lavoro)
  • 💼 L’attività d’impresa o professionale sia svolta stabilmente in Italia
  • 💳 Le spese, i conti correnti e i movimenti bancari siano riferibili al territorio italiano
  • 🚫 Il trasferimento sia avvenuto per eludere la tassazione, in assenza di effettiva vita a San Marino

In tal caso, l’Agenzia può riqualificare la tua posizione come residente fiscalmente in Italia e procedere al recupero delle imposte.


Cosa rischi in caso di accertamento?

Un accertamento per residenza fittizia può portare a:

  • 📅 Tassazione dei redditi ovunque prodotti per fino a 5 anni
  • 💰 Richiesta di imposte, sanzioni e interessi molto rilevanti
  • ⚖️ Eventuale apertura di un procedimento penale per evasione
  • 🔎 Indagini bancarie e patrimoniali anche su familiari o società collegate

Come difendersi da un accertamento per residenza a San Marino?

La chiave della difesa è dimostrare l’effettività del trasferimento. Serve:

  • 🧾 Documentazione concreta: contratto di locazione o proprietà, residenza anagrafica a San Marino, bollette, tessera sanitaria
  • 💼 Prove dell’attività lavorativa o imprenditoriale realmente svolta a San Marino
  • 🛫 Tracciabilità degli spostamenti, spese e vita quotidiana nel territorio sammarinese
  • ⚖️ Ricorso contro l’avviso di accertamento entro i termini di legge
  • ✍️ Eventuale avvio di una procedura di accertamento con adesione

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📑 Analizza in dettaglio il tuo caso e la documentazione fiscale e anagrafica
📂 Verifica la legittimità dell’accertamento e la correttezza dei rilievi del Fisco
⚖️ Redige il ricorso tributario o l’istanza di adesione
🔁 Ti assiste in caso di sequestro, indagini bancarie o segnalazioni penali
📈 Pianifica la tua posizione fiscale per evitare ulteriori contestazioni


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Esperto in residenza fiscale e fiscalità internazionale
✔️ Consulente per procedimenti per esterovestizione e accertamenti da trasferimento all’estero
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per professionisti, imprenditori e residenti a San Marino


Conclusione

Essere residente a San Marino non ti mette al riparo da accertamenti, ma puoi dimostrare la legittimità della tua posizione fiscale con una difesa ben strutturata.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi opporre ricorso, tutelarti da sanzioni e preservare il tuo patrimonio.

📞 Richiedi ora una consulenza riservata per difenderti da un accertamento fiscale e salvaguardare la tua residenza sammarinese.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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