Accertamento Fiscale A Contribuente Residente A Dubai: Cosa Fare

Hai ricevuto un accertamento fiscale dall’Agenzia delle Entrate pur essendo residente a Dubai? Ti stai chiedendo se possono davvero contestarti il trasferimento, cosa rischi in Italia e come puoi difenderti? Sei iscritto all’AIRE, vivi e lavori stabilmente negli Emirati Arabi, ma ora il Fisco ti accusa di essere ancora fiscalmente residente in Italia?

Negli ultimi anni, l’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli sui contribuenti che si sono trasferiti in Paesi a fiscalità agevolata, come gli Emirati. L’accusa più frequente è quella di residenza fittizia all’estero o esterovestizione: in pratica, ti considerano ancora residente in Italia e ti contestano l’omessa dichiarazione dei redditi esteri. Ma non tutto ciò che viene contestato è fondato e puoi difenderti.

Quando scatta l’accertamento fiscale per chi vive a Dubai?
– Quando l’Agenzia rileva che hai mantenuto in Italia il centro dei tuoi interessi personali o economici
– Se risultano immobili, conti correnti, partecipazioni o attività professionali ancora attivi in Italia
– Se i tuoi familiari vivono in Italia o hai rapporti economici continuativi con soggetti italiani
– Quando le informazioni ottenute tramite scambio automatico di dati (CRS) evidenziano movimenti sospetti

Cosa può contestarti l’Agenzia delle Entrate?
– Che sei ancora fiscalmente residente in Italia nonostante l’iscrizione AIRE
– Che hai omesso la dichiarazione di redditi esteri, con evasione d’imposta
– Il recupero delle imposte non versate negli ultimi cinque anni, con sanzioni fino al 240%
– Nei casi più gravi, la segnalazione all’autorità giudiziaria per reati tributari

Come puoi difenderti da un accertamento pur vivendo a Dubai?
– Dimostrando di avere effettivamente trasferito il centro degli interessi vitali: residenza, lavoro, affetti, beni, attività
– Esibendo documentazione come contratti di affitto, utenze attive, conto bancario locale, permesso di soggiorno, documenti di lavoro
– Dimostrando l’assenza di interessi prevalenti in Italia: nessuna attività economica stabile, nessuna gestione di beni o società
– Presentando memorie difensive o un’istanza in autotutela, oppure ricorso tributario entro 60 giorni

Cosa puoi ottenere con una difesa ben costruita?
– Il riconoscimento della tua residenza fiscale negli Emirati Arabi
– L’annullamento dell’accertamento e la cancellazione delle imposte e sanzioni indebite
– La chiusura del procedimento prima che diventi definitivo
– La tutela della tua posizione fiscale e personale, anche in caso di controllo incrociato

Cosa NON devi fare mai?
– Pensare che l’iscrizione AIRE basti da sola: serve dimostrare anche il trasferimento sostanziale
– Ignorare l’accertamento: dopo 60 giorni diventa definitivo
– Dare risposte generiche o insufficienti: serve documentazione precisa e coerente
– Aspettare l’ultima scadenza per difenderti: più tempo hai, più la strategia è efficace

Vivere a Dubai non ti rende automaticamente libero dal Fisco italiano. Ma se hai trasferito davvero la residenza, puoi difenderti e far valere i tuoi diritti.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità internazionale e difesa da accertamenti per residenza fittizia – ti spiega quando l’Agenzia può contestare la tua posizione, come documentare il trasferimento e come annullare un accertamento infondato.

Hai ricevuto un accertamento pur vivendo a Dubai e vuoi sapere se puoi contestarlo?

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Introduzione

Trasferirsi a Dubai – negli Emirati Arabi Uniti – attira molti contribuenti italiani per via del regime fiscale vantaggioso (assenza di imposte sul reddito personale, bassa tassazione societaria, segretezza finanziaria). Tuttavia, dal punto di vista del Fisco italiano, Dubai rientra tra i “paradisi fiscali” o Paesi a fiscalità privilegiata: giurisdizioni con aliquote d’imposta molto basse o nulle e scambi di informazioni limitati. L’Agenzia delle Entrate considera ad alto rischio i contribuenti che spostano residenza o attività in tali paesi. Ciò significa che un cittadino italiano che dichiara di essersi trasferito a Dubai può essere soggetto a controlli fiscali approfonditi e a contestazioni di esterovestizione (fittizio spostamento all’estero della residenza, personale o societaria, al solo scopo di risparmio d’imposta).

In questa guida esamineremo in dettaglio la normativa fiscale italiana aggiornata a giugno 2025 relativa ai trasferimenti all’estero, con un taglio avanzato ma dal punto di vista pratico del contribuente (sia privato cittadino che imprenditore). Vedremo i criteri di residenza fiscale, la distinzione fra trasferimento reale vs. fittizio, le presunzioni legali (art. 2, comma 2-bis TUIR) e l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente che si sposta in paradisi fiscali come Dubai. Analizzeremo gli strumenti di monitoraggio fiscale (quadro RW) e la cooperazione internazionale (es. scambio di informazioni), nonché le strategie difensive da adottare in caso di accertamento fiscale.

Il taglio sarà operativo: includeremo riferimenti normativi italiani, sentenze aggiornate (fino al 2024-2025), tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di domande e risposte. L’obiettivo è fornire una guida completa a avvocati, professionisti e contribuenti su cosa fare quando il Fisco contesta la residenza estera (nel nostro caso, a Dubai) di un contribuente e avvia un accertamento. Il tutto dal punto di vista del contribuente (debitore) che deve difendersi dalla pretesa tributaria.

Criteri di residenza fiscale per le persone fisiche

Per capire quando il Fisco italiano considera una persona fisica residente fiscale in Italia, bisogna partire dall’art. 2 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), D.P.R. 917/1986. Ai sensi dell’art. 2, comma 2 TUIR, un individuo è residente fiscale in Italia se, per più di 183 giorni l’anno (almeno 184 giorni), si verifica almeno uno di questi tre criteri alternativi:

  • Iscrizione anagrafica: è iscritto nelle anagrafi della popolazione residente in Italia (cioè non è iscritto all’AIRE).
  • Domicilio in Italia: ha in Italia il domicilio ai sensi del Codice Civile, ossia il centro principale dei propri affari e interessi.
  • Residenza in Italia: ha in Italia la residenza (intesa in senso civilistico come la dimora abituale).

È sufficiente che sia soddisfatto anche uno solo di questi requisiti per considerare il soggetto residente fiscale in Italia. In pratica, anche chi non è iscritto all’AIRE ma mantiene il proprio domicilio oppure la propria abituale dimora in Italia per più di metà anno sarà considerato residente agli occhi del Fisco.

Novità dal 2024: con la riforma operata dal D.Lgs. 209/2023 (attuativo della legge delega 111/2023), in vigore dal 1° gennaio 2024, sono stati introdotti chiarimenti importanti sui criteri di residenza:

  • È stato specificato il criterio della presenza fisica: chi trascorre in Italia più di 183 giorni nell’anno (anche non consecutivi) è considerato residente fiscale, indipendentemente dall’iscrizione anagrafica. Questo adeguamento serve a evitare “furberie” come il lavorare da remoto dall’Italia fingendo la residenza estera. Ad esempio, un cittadino che si dichiara residente in Portogallo ma risulta presente in Italia per 190 giorni nel 2024 (magari tramite frequenti ritorni) sarà comunque considerato residente in Italia e tassato sui redditi mondiali, anche se iscritto AIRE.
  • La definizione di domicilio fiscale è stata affinata, distinguendolo meglio dalla residenza civile: il domicilio rileva ora soprattutto come luogo degli interessi personali e familiari prevalenti, centro degli interessi vitali del soggetto. La giurisprudenza già identificava il domicilio fiscale col luogo in cui la persona ha il centro degli affari ed interessi, dando rilievo primario agli interessi economico-patrimoniali e secondariamente a quelli affettivi. La riforma del 2024 conferma questo approccio.
  • Cambia la valenza dell’iscrizione anagrafica: prima del 2024, restare iscritti nell’anagrafe dei residenti in Italia costituiva presunzione assoluta di residenza fiscale in Italia (non era ammessa prova contraria). Ora, invece, l’iscrizione in anagrafe è una presunzione solo relativa, superabile se il contribuente prova di aver effettivamente stabilito altrove il proprio domicilio o residenza. Questo significa che, ad esempio, se qualcuno si dimentica di iscriversi all’AIRE ma riesce a dimostrare con certezza di aver vissuto stabilmente all’estero, potrà contestare la propria residenza fiscale in Italia nonostante l’iscrizione anagrafica.
  • Sempre dal 2024 sono state introdotte sanzioni amministrative per chi omette l’iscrizione all’AIRE dopo il trasferimento: il mancato aggiornamento dell’anagrafe entro i termini di legge è ora punito con una multa da €200 a €1.000 per anno. Questa misura incentiva i cittadini a eseguire gli adempimenti formali (comunicazione di espatrio e iscrizione AIRE) correttamente e tempestivamente quando si trasferiscono fuori d’Italia.

Riepilogando i criteri per le persone fisiche: un cittadino italiano che si trasferisce a Dubai per essere considerato non più residente fiscale in Italia deve cancellarsi dall’anagrafe italiana e iscriversi all’AIRE, e soprattutto non mantenere in Italia né la dimora abituale né il centro dei propri interessi per oltre metà anno. In caso contrario, continuerà ad essere considerato residente italiano agli effetti fiscali e tassato in Italia su tutti i redditi ovunque prodotti (principio del worldwide income).

Trasferimento reale vs. fittizio: come valutarlo

Non basta trasferire la residenza “sulla carta” a Dubai per sfuggire al Fisco italiano: ciò che conta è la realtà effettiva. Un trasferimento reale implica che la persona vive stabilmente e principalmente a Dubai, mentre un trasferimento fittizio (o esterovestizione personale) si ha quando il cambio di residenza è solo formale, mentre il contribuente continua di fatto a mantenere legami sostanziali con l’Italia.

Di seguito una tabella che confronta alcuni indicatori tipici di un espatrio genuino contro segnali di una residenza estera solo apparente:

Trasferimento reale (genuino)Trasferimento fittizio (di comodo)
– Iscrizione all’AIRE tempestiva e cancellazione dalle anagrafi italiane. – Abitazione principale a Dubai, con contratto di locazione o proprietà, bollette e utenze locali a nome del contribuente. – Permanenza fisica prevalente negli EAU (oltre 183 gg/anno all’estero). – Attività lavorativa o d’impresa svolta a Dubai: ad es. contratto di lavoro con società locale, business effettivo negli Emirati. – Centro degli interessi economici spostato: investimenti, conti bancari, beni patrimoniali principalmente all’estero. – Famiglia trasferita: il nucleo familiare segue il contribuente, figli iscritti a scuole estere, etc. – Minimi legami con l’Italia: nessuna proprietà immobiliare in Italia (o se esiste, messa in affitto), nessun incarico societario attivo in Italia, pochi e brevi rientri per vacanze.– Iscrizione AIRE tardiva o mancata; mantenimento di iscrizione anagrafica in Italia. – Abitazione disponibile in Italia: casa di proprietà o disponibile che continua a essere utilizzata (es. la famiglia vi risiede). – Presenza frequente in Italia: il contribuente trascorre molti mesi in Italia (es. dice di vivere a Dubai ma passa gran parte dell’anno in patria). – Interessi economici in Italia: possiede e gestisce ancora aziende italiane, ha cariche sociali operative, produce redditi principalmente in Italia. – Conti bancari e spese in Italia rilevanti: utilizza carte di credito in Italia, sostiene spese correnti sul territorio italiano senza adeguate fonti estere a giustificarle. – Famiglia rimasta in Italia: coniuge/figli che continuano a vivere in Italia, indicando che il centro della vita familiare rimane lì. – Documentazione incoerente: ad es. contratti o atti ufficiali firmati in Italia nonostante la residenza dichiarata a Dubai (indizio spesso considerato dalla giurisprudenza).

Come si evince, la prova fattuale è fondamentale. In un controllo, la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate indagheranno su questi aspetti pratici: biglietti aerei e timbri sul passaporto per tracciare i giorni di permanenza, utenze domestiche, transazioni finanziarie, social network, localizzazione del telefono cellulare, frequentazione di club o scuole dei figli, e così via. Ad esempio, in una controversia riguardante una sedicente residenza a Montecarlo, è emerso che il contribuente firmava ancora rogiti e atti in Italia: elemento che ha contribuito a ritenere “fittizia” la residenza estera. Allo stesso modo, bollette e contratti di affitto all’estero rappresentano elementi probatori che aiutano a dimostrare la residenza effettiva fuori dall’Italia.

Esempio pratico: Mario, imprenditore italiano, dichiara di essersi trasferito a Dubai dal 2022. Tuttavia, un accertamento rivela che nel 2022 e 2023 Mario era spesso in Italia: ha passato ~200 giorni l’anno in Italia (risultanti dai tabulati telefonici e dai suoi accessi ai social media geolocalizzati), la moglie e i figli sono rimasti a Milano, dove i figli frequentano la scuola, e Mario ha continuato a gestire la sua azienda italiana via computer. Inoltre, Mario risulta amministratore unico di una società italiana e proprietario di una villa in Toscana dove si svolgevano regolarmente riunioni di lavoro. Conclusione: nonostante la formale residenza a Dubai, Mario non è riuscito a recidere i legami con l’Italia, che rimanevano il centro effettivo dei suoi interessi familiari e d’affari. È altamente probabile che l’Agenzia delle Entrate consideri fittizio il suo trasferimento e lo accerti come residente fiscale italiano, recuperando le imposte sui redditi esteri (e italiani) non dichiarati in Italia. In assenza di elementi contrari, Mario dovrà pagare le imposte evase, sanzioni e interessi, a meno che riesca a provare con documenti solidi che la sua vita era stabilmente a Dubai (onere molto difficile nei fatti descritti).

Residenza in “paradisi fiscali” e presunzione legale (art. 2, comma 2-bis TUIR)

Oltre ai criteri generali sopra visti, la normativa italiana prevede disposizioni antielusive specifiche per chi trasferisce la residenza in Stati considerati paradisi fiscali. La più rilevante, introdotta nel 1999, è la presunzione di residenza in Italia stabilita dall’art. 2, comma 2-bis TUIR:

“Si considerano residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori aventi regime fiscale privilegiato, individuati da apposito DM.”

In altre parole, se un cittadino italiano sposta la residenza in uno Stato a fiscalità privilegiata (come gli Emirati Arabi Uniti, indicati nel DM 4.5.1999 fra i paesi “black list” ai fini dell’art. 2 co.2-bis), scatta automaticamente la presunzione che in realtà non abbia lasciato l’Italia, salvo che provi il contrario. Questa è una presunzione legale relativa: attribuisce al contribuente l’onere di dimostrare la “effettività” del trasferimento all’estero.

Conseguenze pratiche: un italiano che risulta essersi trasferito a Dubai (EAU) viene considerato comunque residente in Italia, finché non porta evidenze convincenti che la sua residenza fiscale è davvero a Dubai. L’obiettivo del legislatore è chiaramente di scoraggiare i cosiddetti “espatri di comodo” verso paradisi fiscali. Pertanto, il carico della prova grava interamente sul contribuente: sarà lui a dover esibire documenti e indizi che attestino che il centro dei propri interessi di vita è stabilmente negli Emirati e non più in Italia.

Prova contraria: Come soddisfare questo onere probatorio? In genere occorre fornire un insieme coerente di elementi quali:

  • Iscrizione all’AIRE e contratto di locazione o proprietà di un alloggio a Dubai (dimostrando dove si trova l’abitazione principale).
  • Documenti di lavoro o d’impresa negli Emirati: contratti di lavoro, licenze commerciali, redditi prodotti a Dubai e dichiarati eventualmente lì (se dovuto).
  • Attestazioni di residenza fiscale estera rilasciate dalle autorità locali (es. tax residence certificate emesso negli EAU) – anche se negli Emirati non c’è un’imposta sul reddito personale, le autorità possono certificare lo status di residente agli effetti della Convenzione, come vedremo più avanti.
  • Biglietti aerei, timbri e permessi di soggiorno: prova delle effettive permanenze a Dubai e dell’eventuale ottenimento di un visto di residenza locale.
  • Centri di interesse spostati: ad esempio, figli iscritti in scuole a Dubai, coniuge che lavora negli Emirati, iscrizione a club/local associations negli EAU, eventuali proprietà o investimenti negli Emirati, ecc., in modo da attestare che la vita quotidiana e familiare del contribuente si svolge lì.
  • Chiusura o riduzione dei legami italiani: ad es. dimissioni da cariche sociali in Italia, cessazione di attività d’impresa in Italia, vendita o affitto di immobili in Italia, trasferimento all’estero delle proprie disponibilità finanziarie (dichiarandole).
  • Corrispondenza e recapiti: attivazione di un domicilio postale negli Emirati, bollette di utenze a Dubai, eventuale iscrizione al sistema sanitario locale, etc.

È essenziale che tutti questi elementi convergano nel dimostrare che Dubai è diventato il baricentro della vita del contribuente, e non una mera base fittizia. La Cassazione ha sottolineato che la verifica della residenza fiscale richiede una valutazione globale di tutti gli elementi indiziari, che devono essere “gravi, precisi e concordanti” e valutati nel loro insieme. Nessun singolo elemento (ad es. una sola utenza o un solo viaggio) è di per sé decisivo se preso isolatamente, ma l’insieme coerente può sostenere (o far crollare) la tesi del contribuente.

Va osservato che la presunzione dell’art. 2 comma 2-bis si applica solo ai cittadini italiani che emigrano in Paesi “black list”. Se invece un contribuente si trasferisce in un Paese a fiscalità ordinaria (non privilegiata) – ad es. in Francia o Portogallo – non vige questa presunzione e l’onere della prova resta, in linea generale, a carico dell’Amministrazione finanziaria. In quel caso, sarà il Fisco a dover eventualmente dimostrare che il soggetto ha mantenuto residenza di fatto in Italia. Al contrario, per Dubai (Paese a regime fiscale privilegiato) è il contribuente a dover dimostrare di non essere più residente in Italia.

Iscrizione AIRE e ruolo probatorio: L’iscrizione all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) è un passaggio obbligato, ma attenzione: non è di per sé sufficiente a provare la residenza all’estero. La legge stessa presume residenti in Italia i cittadini italiani (in paradisi fiscali) “cancellati dall’anagrafe”, quindi anche con AIRE regolare scatta comunque la presunzione. La Cassazione ha più volte ribadito che l’iscrizione AIRE ha natura solo formale: è un prerequisito necessario, la cui mancanza comporta sanzioni e presumibile residenza in Italia, ma la cui presenza non salva automaticamente dal fisco se la situazione di fatto indica diversamente. Insomma, essere iscritti AIRE è condizione necessaria ma non sufficiente per evitare contestazioni. Serve sempre la prova sostanziale della vita all’estero.

In conclusione, chi si trasferisce a Dubai deve essere pronto a fronteggiare la presunzione anti-elusiva e a documentare in modo rigoroso la genuinità dell’espatrio. Nel dubbio, l’Agenzia delle Entrate tenderà a considerarlo ancora residente italiano e ad avviare un accertamento sui redditi esteri non dichiarati, a meno che non riceva evidenze convincenti del contrario.

Monitoraggio fiscale dei redditi e attività estere (quadro RW)

Un aspetto cruciale, spesso trascurato da chi trasferisce la residenza all’estero, è il monitoraggio fiscale delle attività finanziarie fuori dall’Italia. La normativa italiana (Dl. 167/1990 e succ. mod.) impone ai soggetti fiscalmente residenti in Italia di dichiarare nel quadro RW della dichiarazione dei redditi tutti gli investimenti e attività finanziarie detenuti all’estero (conti correnti, immobili, partecipazioni, ecc.). L’obbligo vale anche se tali attività non producono redditi imponibili nell’anno.

Se il contribuente è effettivamente diventato non residente, cessa l’obbligo del quadro RW dal periodo d’imposta successivo al cambio di residenza. Ma attenzione: se l’Agenzia ritiene che la residenza estera fosse fittizia e quindi il soggetto ancora residente in Italia, la mancata compilazione del quadro RW costituisce una violazione grave. In particolare:

  • Omessa dichiarazione di attività estere (RW): comporta una sanzione amministrativa dal 3% al 15% dell’ammontare di tali attività non dichiarate, per ogni anno. La sanzione è raddoppiata (dal 6% al 30%) se le attività sono detenute in Stati “non collaborativi” sullo scambio di informazioni. Nel 2025, la sanzione standard è pari al 3% annuo del valore dell’attività estera non dichiarata, che sale al 15% annuo se l’attività è in un Paese che non garantisce adeguato scambio di informazioni con l’Italia. Storicamente Dubai rientrava tra i paesi meno collaborativi, ma oggi gli Emirati Arabi Uniti hanno sottoscritto accordi di scambio automatico (CRS, v. oltre). Resta comunque una violazione costosa: ad esempio, non aver dichiarato €1.000.000 su un conto a Dubai potrebbe comportare sanzioni fino a €150.000 per ogni anno non dichiarato.
  • Presunzione di evasione su fondi esteri: dal 2009 è in vigore una norma (art. 12 Dl. 78/2009) che presume che gli investimenti o attività finanziarie costituiti all’estero e non dichiarati siano alimentati da redditi sottratti a tassazione in Italia. Si tratta di una presunzione legale relativa: il contribuente può provare il contrario (cioè che quei capitali esteri derivano da redditi tassati regolarmente o da fonti esenti/non imponibili). In mancanza di prova, però, il Fisco può tassare questi patrimoni come redditi evasi (capitalizzazione di redditi non dichiarati). Questa presunzione amplia notevolmente il rischio per chi occulta asset all’estero.
  • Raddoppio dei termini di accertamento: a supporto del monitoraggio, la legge ha previsto che per contestare violazioni relative ad attività estere in paradisi fiscali i termini di accertamento fiscali siano raddoppiati. In generale, per IRPEF l’Agenzia può notificare un avviso di accertamento entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (ordinariamente) o entro il settimo anno se la dichiarazione è omessa. Ebbene, per le attività in paradisi fiscali non dichiarate in RW, il Dl. 78/2009 (art. 12, commi 2-bis e 2-ter) ha esteso questi termini, permettendo al Fisco di agire per un periodo doppio. Ad esempio, se un contribuente (ritenuto residente) nel 2018 non ha dichiarato in RW un conto a Dubai, l’accertamento potrebbe arrivare fino al 31/12/2025 o addirittura 31/12/2027, anziché decadere prima. La Cassazione, sent. n. 2643/2025, ha confermato che questo raddoppio dei termini è di natura procedurale e si applica retroattivamente anche a periodi d’imposta anteriori all’introduzione della norma. Ciò significa che l’Agenzia può contestare patrimoni esteri non dichiarati anche molti anni dopo, senza decadere, facendo valere la proroga dei termini.

In sintesi, chi trasferisce residenza a Dubai ma mantiene conti, investimenti o immobili in Italia o all’estero deve fare estrema attenzione al monitoraggio fiscale. Se viene considerato ancora residente italiano, l’omessa dichiarazione di quei patrimoni esteri scatena sanzioni fortissime e una presunzione di evasione, oltre a dare al Fisco più tempo per accertare. Al contrario, un contribuente che riesca a dimostrare di essere effettivamente non residente (es. residente a Dubai a tutti gli effetti) non è più soggetto all’obbligo del quadro RW da quando la residenza fiscale si sposta. In caso di contestazione, quindi, la battaglia preliminare è sullo status di residenza: se la si perde (ossia se viene riconosciuta la residenza in Italia), allora scattano tutte le violazioni accessorie come RW e relative sanzioni.

Cooperazione internazionale e scambio di informazioni con Dubai

Un tempo aprire conti o società a Dubai significava approfittare non solo delle basse tasse ma anche di un certo grado di segretezza verso gli altri paesi. Oggi questo scenario è cambiato: gli Emirati Arabi Uniti hanno aderito a vari strumenti di cooperazione fiscale internazionale. In particolare:

  • Scambio automatico di informazioni (CRS): Dal 2017 gli EAU si sono impegnati ad applicare il Common Reporting Standard (CRS) dell’OCSE. Hanno infatti firmato l’Accordo Multilaterale tra Autorità Competenti per lo scambio dei dati finanziari. In base al CRS, le banche e istituzioni finanziarie degli Emirati raccolgono informazioni sui conti detenuti da residenti esteri (es. italiani) e le trasmettono alle autorità fiscali locali, che a loro volta le inoltrano automaticamente all’Italia (e viceversa). Dal 2018 sono iniziati gli scambi: ciò significa che l’Agenzia delle Entrate italiana può già ricevere segnalazioni su conti correnti, depositi, investimenti detenuti a Dubai da soggetti fiscalmente residenti in Italia. Il “segreto bancario” emiratino dunque non protegge più come in passato: eventuali attività finanziarie non dichiarate possono essere scoperte tramite CRS.
  • Accordi bilaterali e lista dei Paesi “collaborativi”: L’Italia distingue gli Stati esteri in “collaborativi” o meno sul piano dello scambio di informazioni. Ad esempio, un decreto ministeriale 4.5.1999 elenca i paesi considerati a fiscalità privilegiata per la presunzione art. 2 co.2-bis (tra cui gli Emirati), mentre altre liste individuano i paesi che garantiscono scambio di informazioni (c.d. white list). Dubai nel tempo ha stretto accordi di informativa con l’Italia: in particolare la Convenzione contro le doppie imposizioni Italia-EAU (1995) include un articolo per lo scambio di informazioni tra le amministrazioni fiscali, e più di recente gli Emirati hanno firmato accordi OCSE di mutua assistenza. Dal punto di vista delle sanzioni del quadro RW, gli Emirati oggi possono essere considerati in larga parte “collaborativi”, riducendo la sanzione RW al 3% annuo invece che 15% (diversamente da giurisdizioni che ancora non collaborano).
  • Richieste di informazioni mirate (Exchange of Information on Request): Oltre al flusso automatico, l’Italia può attivare richieste mirate di informazioni alle autorità emiratine (in virtù dell’art. 26 del Trattato Italia-EAU). Se, ad esempio, durante un accertamento emerge un conto bancario a Dubai non dichiarato, l’Agenzia delle Entrate può chiedere alle autorità locali dettagli sui movimenti e saldi di quel conto. La qualità della cooperazione con Dubai è migliorata: non siamo ai livelli di trasparenza di un Paese UE, ma gli Emirati – spinti anche dal G20 e FATF – mostrano apertura crescente per evitare l’inserimento in black list internazionali.
  • Riduzione dell’area “non cooperativa”: L’UE nel 2023-2025 mantiene una lista di Stati non cooperativi (in cui però gli EAU non compaiono più). Giurisdizioni storicamente opache (ad es. Svizzera, Montecarlo, ecc.) hanno firmato accordi di scambio. Oggi restano pochi rifugi completamente segreti. In compenso, se un contribuente nasconde ancora beni in Paesi non cooperativi, il Fisco italiano applicherà il massimo rigore sanzionatorio (come la già citata sanzione del 15% annuo). Anche per Dubai, fino a qualche anno fa regno del segreto, la tendenza è verso una maggiore trasparenza: le banche emiratine attuano procedure KYC stringenti e segnalano le posizioni di clienti stranieri in base agli accordi.

Implicazioni per il contribuente: affidarsi alla mancanza di comunicazione tra Italia e Dubai è oggi molto rischioso. Un contribuente che dichiara di risiedere a Dubai ma in realtà rimane soggetto fiscale italiano non può più contare sul fatto che l’Italia non scopra i suoi redditi/conti esteri. Se non li dichiara spontaneamente e la residenza estera viene disconosciuta, c’è un’alta probabilità che le informazioni emergano per via automatica o nell’ambito di cooperazione mirata, aggravando la posizione debitoria (tasse evase + sanzioni).

La Convenzione Italia-Emirati Arabi Uniti e i criteri convenzionali di residenza

L’Italia ha stipulato con gli Emirati Arabi Uniti una Convenzione contro le doppie imposizioni (accordo firmato il 22 gennaio 1995, ratificato con legge n. 309/1997) per evitare di tassare due volte gli stessi redditi. Questa Convenzione è fondamentale per chi si trasferisce a Dubai perché, oltre a ripartire il potere impositivo sui vari redditi, contiene all’art. 4 le regole per dirimere i conflitti di residenza fiscale (tie-breaker rules).

Quando un contribuente viene considerato residente da entrambi gli Stati (Italia e EAU), l’art. 4 del trattato prevede che la residenza fiscale effettiva venga individuata applicando in sequenza criteri come:

  1. Dimora permanente: il Paese dove la persona dispone di un’abitazione permanente.
  2. Centro degli interessi vitali: se ha una casa in entrambi gli Stati, si guarda dove sono le relazioni personali ed economiche più strette (il centre of vital interests).
  3. Soggiorno abituale: se il centro degli interessi non risolve, conta dove la persona soggiorna abitualmente (passa più tempo).
  4. Nazionalità: se ancora in dubbio, la nazionalità può fungere da criterio residuale (nel nostro caso sarebbe italiana).

Applicando queste regole, è possibile stabilire in via convenzionale se un individuo è considerato residente dell’Italia oppure degli Emirati, con efficacia vincolante per entrambi gli Stati.

Relazione con la presunzione interna: La Cassazione (Sez. Trib.) con la sentenza n. 35284 del 18/12/2023 ha affermato chiaramente che, in presenza di una Convenzione contro le doppie imposizioni, i criteri convenzionali prevalgono sulla presunzione di residenza interna verso paradisi fiscali. In altri termini, anche se l’art. 2 comma 2-bis TUIR presume residente in Italia un cittadino emigrato a Dubai, questa presunzione può essere superata dimostrando, appunto secondo l’art. 4 della Convenzione Italia-EAU, che il contribuente ha la residenza effettiva negli Emirati.

La pronuncia del 2023 della Suprema Corte (35284/2023) riguardava un contribuente italiano che aveva lavorato a Dubai e chiedeva il rimborso delle imposte pagate in Italia sui redditi di lavoro dipendente relativi al periodo in cui sosteneva di essere residente negli EAU. L’Agenzia delle Entrate negava il rimborso, ritenendolo ancora fiscalmente residente in Italia (applicando la presunzione) e contestando anche la mancanza del certificato di residenza estero che il contribuente non aveva prodotto in tempo. La Cassazione ha ribaltato la prospettiva stabilendo che:

  • Se il contribuente prova la residenza estera in base ai criteri convenzionali, l’Italia deve riconoscerla nonostante la presunzione interna. Nel caso specifico, è stato accertato (anche grazie all’iscrizione AIRE, al trasferimento dell’intera famiglia a Dubai, a documenti vari) che il contribuente aveva il centro degli interessi vitali negli Emirati, superando quindi la presunzione legale relativa di cui all’art. 2 co.2-bis.
  • Poiché gli Emirati Arabi non applicano un’imposta sul reddito delle persone fisiche analoga all’IRPEF, l’assenza di doppia imposizione non impedisce l’applicazione del trattato. È sufficiente che il soggetto sia potenzialmente imponibile nello Stato estero in quanto ivi residente. La Cassazione ha chiarito che non occorre una effettiva doppia tassazione per invocare la Convenzione: anche se Dubai non tassa il reddito, conta che la persona sia fiscalmente soggetta alla potestà impositiva emiratina in via generale.
  • Verificata la residenza fiscale negli EAU per quegli anni, la Corte ha applicato l’art. 15 (par. 1) della Convenzione Italia-Emirati, il quale prevede che: “i salari, stipendi e altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato percepisce per un’attività dipendente svolta nell’altro Stato sono imponibili soltanto in detto Stato in cui l’attività è svolta”. In pratica, i redditi da lavoro dipendente di un residente negli Emirati, per lavoro prestato a Dubai, sono tassabili solo negli Emirati. L’Italia, con quella clausola, ha rinunciato ab origine a tassarli.
  • Di conseguenza, al contribuente spettava il rimborso delle ritenute IRPEF subite in Italia su quei redditi esteri, limitatamente al periodo in cui era da considerarsi residente negli Emirati. Per il periodo precedente (quando ancora risultava residente in Italia), restavano dovute le imposte italiane sui redditi percepiti.

Questa sentenza rappresenta un importante precedente a favore dei contribuenti espatriati in Paesi a fiscalità privilegiata ma coperti da trattato: Cass. 35284/2023 ha infatti sancito in modo netto che la tie-breaker rule convenzionale “batte” la presunzione anti-espatrio interna.

Va detto che non è l’unico caso: la Corte di Cassazione, in altre decisioni coeve (es. Cass. 994/2024 e Cass. 1316/2024), ha confermato lo stesso principio per rapporti con gli Emirati Arabi e altri paesi. Inoltre, sul piano pratico, la CTR Abruzzo n. 190/2021 aveva già riconosciuto l’esclusiva potestà impositiva degli Emirati sui redditi di lavoro ivi svolto da un italiano, in base alla Convenzione. Insomma, si va consolidando un orientamento: in presenza di Convenzione, la residenza si determina coi criteri di quest’ultima, e se questi attribuiscono la residenza a Dubai, l’Italia deve prenderne atto.

Attenzione però: per poter effettivamente godere dei benefici convenzionali (esenzione da imposte italiane sui redditi prodotti a Dubai) bisogna essere in grado di attestare la residenza negli Emirati secondo la Convenzione. A tal fine è fondamentale ottenere il certificato di residenza fiscale emesso dagli EAU e produrlo, prima possibile, al sostituto d’imposta italiano o all’Agenzia Entrate. La prassi italiana richiede che per applicare direttamente i vantaggi del trattato (esenzione o aliquota ridotta alla fonte) il contribuente consegni un’attestazione ufficiale di residenza estera. Nel caso esaminato dalla Cassazione, il contribuente non lo aveva fatto in tempo e il datore di lavoro italiano gli aveva applicato le ritenute IRPEF complete, poi da lui contestate. La Cassazione n. 27646/2023 ha peraltro ritenuto legittimo anche un certificato di residenza presentato tardivamente (ora per allora), purché attesti che nei periodi in questione c’erano i requisiti per l’esenzione da ritenute. In sostanza, è possibile ottenere il rimborso anche ex post, ma è preferibile muoversi per tempo: chi si trasferisce a Dubai dovrebbe procurarsi annualmente il certificato di residenza fiscale negli EAU e farlo avere ai propri sostituti d’imposta in Italia (se ha redditi di fonte italiana) o comunque tenerlo pronto in caso di verifiche.

Riassumendo, la Convenzione Italia-Emirati è uno strumento di difesa potente: se il contribuente vive davvero a Dubai e soddisfa i criteri convenzionali di residenza negli EAU, potrà evitare la doppia imposizione e far valere la prevalenza del trattato sulla norma interna presuntiva. Tuttavia, deve cooperare nel produrre la documentazione necessaria (certificati, prove di interessi vitali, ecc.) e, ovviamente, la sua situazione di fatto deve supportare tale residenza estera. In caso contrario (trasferimento fittizio), la Convenzione non lo proteggerà.

Esterovestizione societaria: il caso delle società con sede a Dubai

Finora abbiamo parlato di persone fisiche. Ma il tema del trasferimento a Dubai coinvolge spesso imprenditori e società. Un imprenditore italiano potrebbe decidere di costituire una società a Dubai (es. una Free Zone company) e spostarvi formalmente la propria attività, allettato dall’aliquota societaria nulla o ridotta. Tuttavia, se quella società continua ad essere amministrata dall’Italia o opera sostanzialmente in Italia, il Fisco potrà contestare la esterovestizione societaria: in pratica sostenere che la società estera è fittizia e va considerata fiscalmente residente in Italia nonostante la sede legale a Dubai.

Vediamo i riferimenti normativi per le società ed enti:

  • L’art. 73 TUIR, comma 3, definisce residente in Italia la società che per la maggior parte del periodo d’imposta ha in Italia la sede legale, la sede dell’amministrazione oppure l’oggetto principale. Sono criteri alternativi: basta che uno sia in Italia per radicare la residenza fiscale. Nel caso di una società di diritto emiratino, i primi due criteri formali (sede legale e oggetto sociale) saranno all’estero; diventa quindi cruciale il terzo: la sede dell’amministrazione (detta anche sede effettiva). Questo concetto, sviluppato dalla giurisprudenza, indica il luogo in cui vengono prese le decisioni amministrative e direttive della società, dove operano gli amministratori e da cui si dirige effettivamente l’attività. Se tale luogo è l’Italia, la società è considerata fiscalmente italiana, indipendentemente dalla sede legale estera.
  • Dal 2006 esiste una norma anti-esterovestizione specifica: art. 73, comma 5-bis TUIR, che introduce una presunzione relativa di residenza in Italia per talune società estere. Nella formulazione attuale (modificata dalla L. 244/2007 e L. 122/2016), la presunzione scatta se una società ha sede in un Paese a regime fiscale privilegiato (come Dubai) e contemporaneamente è controllata direttamente o indirettamente da soggetti residenti in Italia, o amministrata da un CdA in prevalenza composto da residenti in Italia. In particolare, per le società estere che detengono partecipazioni in società italiane (le cosiddette esterovestizioni di secondo livello), la norma facilita l’Agenzia nella prova. Ad esempio, se un imprenditore italiano crea una holding a Dubai che possiede quote di società italiane, e quella holding è di fatto amministrata da lui stesso e familiari in Italia, si presume (salvo prova contraria) che la holding sia residente in Italia. Questa presunzione può essere superata solo dimostrando che la società estera svolge un’attività economica effettiva e autonoma nel proprio Stato (concetto simile a quello di substance).
  • Oltre a ciò, opera il principio generale dell’ abuso del diritto (art. 10-bis dello Statuto del Contribuente, L. 212/2000). L’abuso del diritto consente al Fisco di disconoscere qualsiasi operazione priva di sostanza economica e realizzata essenzialmente per vantaggi fiscali. Costituire una società a Dubai che però non svolge reale attività locale e serve solo a far apparire gli utili tassati fuori Italia può essere qualificato come abuso ed elusione fiscale, con conseguente riqualificazione della struttura artificiosa (la società estera viene ignorata ai fini tributari, tassando il reddito al soggetto italiano che la controlla). Le sanzioni in tal caso sarebbero amministrative (il recupero delle imposte evitate più le sanzioni tributarie), ma non necessariamente penali se non vi è frode.
  • Infine, per completare il quadro anti-elusivo internazionale, ricordiamo la disciplina delle Controlled Foreign Companies (CFC): art. 167 TUIR. Questa norma, allineata alle direttive UE (ATAD), prevede che se un residente italiano controlla una società estera in Paese a bassa imposizione (aliquota effettiva < 50% di quella italiana) e tale società non ha una sostanza economica effettiva (ricava principalmente passive income o interposizioni), gli utili della CFC sono imputati per trasparenza al socio italiano e tassati in Italia. In sostanza, anche se la società a Dubai fosse riconosciuta come estera (quindi non esterovestita in senso tecnico), i suoi utili potrebbero comunque venire tassati in capo al socio italiano anno per anno, se rientra nello schema CFC. La disciplina CFC è un “piano B” del fisco: se non riesco a dimostrare che la tua società estera è in realtà residente in Italia, comunque ti tasso gli utili perché è troppo conveniente (tax rate < 50% di quello italiano) e presumibilmente non svolge attività genuina. Il contribuente può evitare la CFC tax solo provando che la società emiratina svolge attività economica reale sul posto (personale, uffici, mercato locale).

Quando scatta la contestazione di esterovestizione? Di solito in occasione di verifiche fiscali o indagini finanziarie. Ad esempio, la Guardia di Finanza può redigere un PVC (processo verbale di constatazione) evidenziando che la società Alfa LLC con sede a Dubai è in realtà gestita dalla società madre italiana o dai soci italiani da Milano. Oppure l’Agenzia si accorge che la società emiratina fattura servizi alla consociata italiana ma non ha dipendenti né ufficio vero a Dubai: indizio che è solo un guscio per spostare utili. In tali casi, l’Agenzia delle Entrate notificherà un avviso di accertamento in cui riqualifica la società estera come residente in Italia per gli anni d’imposta esaminati.

Effetti dell’accertamento societario: Le conseguenze per l’azienda (e i soci) sono molto pesanti:

  • La società, considerata residente in Italia, viene assoggettata ad imposizione in Italia su tutti i redditi ovunque prodotti in quei periodi (principio del worldwide income). Se aveva già pagato qualche imposta all’estero, potrà al massimo avere un credito per quelle imposte, ma nel caso di Dubai spesso le imposte estere sono zero, quindi l’intero reddito societario viene tassato ex novo in Italia. Ad esempio, utili 2022 per €1.000.000 mai tassati (perché a Dubai non c’è imposta societaria fino al 2023) verrebbero sottoposti a IRES (~24%) e, se applicabile, IRAP (~3.9%) in Italia, oltre alle eventuali sanzioni.
  • Verranno emessi uno o più avvisi di accertamento per recuperare tutte le imposte evase: tipicamente IRES per gli anni accertati (aliquota 24%), IRAP se la società svolgeva attività produttiva rilevante in Italia, eventuale IVA se sono state fatte operazioni imponibili non dichiarate, e così via. Inoltre, se l’esterovestizione ha comportato atti registrati con agevolazioni indebite (ad es. conferimenti di beni tassati in misura fissa come intra-UE, ma in realtà considerati interni), si può recuperare anche l’imposta di registro differenziale.
  • Sanzioni amministrative sulle imposte recuperate: su ciascun tributo evaso vengono applicate sanzioni pecuniarie generalmente pari al 90% del maggior tributo se la dichiarazione era infedele, o dal 120% al 240% se era omessa (minimo €250). Nel nostro esempio di €1.000.000 di utili non dichiarati, l’IRES evasa sarebbe ~€240.000, e la sanzione potrebbe attestarsi attorno a €216.000 (90%) se la società aveva presentato dichiarazione omettendo quei redditi, oppure fino a €576.000 (240%) se non aveva proprio presentato dichiarazione in Italia. Le sanzioni possono essere ridotte in caso di definizione agevolata, ma restano cifre molto elevate.
  • Interessi di mora: sul dovuto si calcolano interessi legali (attualmente attorno al 5% annuo, ma soggetti a variazioni) dal giorno in cui le imposte sarebbero state dovute. Su importi grandi e più annualità, gli interessi cumulati possono essere significativi.
  • Responsabilità solidale e coobbligati: l’accertamento viene emesso nei confronti della società estera (fittiziamente estera ma considerata residente). Spesso viene notificato al rappresentante di fatto in Italia. La legge consente di ritenere obbligati in solido al pagamento eventuali soggetti che hanno agito come amministratori di fatto o figure apicali. In alcune circostanze, l’Agenzia può emettere avvisi di accertamento “paralleli” ai soci o amministratori, per la loro quota di imposte evase. Tuttavia, la Cassazione ha chiarito che solo il soggetto passivo d’imposta (la società) ha legittimazione a impugnare nel merito l’atto: l’amministratore o socio che riceve la notifica come coobbligato può contestare di non essere tale, ma non entrare nel merito della pretesa tributaria. In pratica, se il Fisco ti notifica come amministratore di fatto, potrai difenderti negando quel ruolo, ma se la società non fa ricorso l’accertamento diventa definitivo e potrà essere riscosso anche da te in solido.
  • Profili penali: l’esterovestizione può dare luogo a reati tributari, specie se comporta omessa dichiarazione o dichiarazione fraudolenta. Ad esempio, se la società estera avrebbe dovuto presentare dichiarazione in Italia ma non l’ha fatto, e l’imposta evasa supera €50.000 per anno, si integra il reato di omessa dichiarazione dei redditi (art. 5 D.Lgs. 74/2000), punibile con reclusione da 2 a 5 anni. Se invece ha presentato dichiarazioni con elementi attivi/passivi fittizi, si può profilare la dichiarazione fraudolenta. Inoltre, l’amministratore che abbia occultato le scritture o usato altri artifizi potrebbe rispondere di frode fiscale. In sintesi, per i casi più gravi di esterovestizione societaria si rischiano procedimenti penali a carico di chi ha gestito la società simulata. Non è raro che all’accertamento tributario segua una segnalazione alla Procura.

In virtù di questi rischi, è fondamentale per l’imprenditore conoscere come prevenire contestazioni di esterovestizione. Ecco alcune buone prassi se si vuole operare a Dubai in modo legittimo evitando problemi (in base all’esperienza e a quanto suggerito anche dalla giurisprudenza e dottrina):

  • Struttura reale all’estero: dotare la società a Dubai di una sede effettiva: un ufficio fisico, anche piccolo, personale locale (almeno alcuni dipendenti o un amministratore residente lì), un’utenza telefonica/emiratina, un sito web con recapiti locali, ecc. Evitare shell companies presso domicili postali o uffici di consulenti con decine di società fantasma. Più la società appare un’entità economica vera negli EAU, meno sarà attaccabile.
  • Governance coerente: se possibile, nominare amministratori residenti a Dubai o comunque fuori dall’Italia. In alternativa, se l’imprenditore italiano vuole mantenere il controllo, trascorrere lui stesso molto tempo a Dubai e svolgere lì le attività direttive. Formalizzare deleghe di poteri a eventuali manager in loco. Verbali societari: predisporre i verbali di assemblee e CdA indicando che le riunioni si tengono a Dubai (ed effettivamente organizzarne alcune in presenza negli Emirati). Custodire i libri sociali presso la sede di Dubai.
  • Operatività commerciale locale: procurarsi clienti locali o svolgere almeno una parte del business a Dubai/Medio Oriente. Ad esempio, se la società vende servizi, avere qualche contratto con controparti negli Emirati, personale che interagisce con il mercato locale, ecc. Se tutti i ricavi della società Dubai provengono dall’Italia (magari dalla società controllata italiana), è forte l’indizio di artificiosità. Mostrare invece che la società estera ha scopo economico proprio riduce le accuse di abuso.
  • Documentazione e tracciabilità: conservare prove di come e dove sono prese le decisioni. E-mail, corrispondenza, contratti firmati a Dubai (magari in lingua inglese/araba e controfirmati localmente), fatture emesse con indirizzo EAU e pagate su conti emiratini. Se l’Agenzia vedrà che ogni documento aziendale porta la firma digitale dell’imprenditore dall’Italia, contesterà la sede effettiva italiana. Bisogna poter mostrare che l’“impronta digitale” delle operazioni societarie è localizzata all’estero.
  • Separatezza dalle attività italiane: evitare commistioni eccessive tra società estera e interessi italiani. Ad esempio, non avere tutti i dipendenti di fatto in Italia distaccati senza logica, non far risultare che la società estera paga spese personali in Italia dell’imprenditore (casa, auto…), non trasferire utili dall’Italia a Dubai con fatture dubbie (saranno sindacate come costi infragruppo non deducibili se privi di sostanza). Tutte le transazioni tra società italiana e società di Dubai devono essere a valori di mercato (transfer pricing corretto) e documentate, per evitare che il Fisco requalifichi i pagamenti come utili occulti rimpatriati.

In pratica, se un’impresa vuole espandersi a Dubai per ragioni di mercato o efficienza, deve dotarsi di sostanza economica reale negli Emirati. Così facendo, potrà legittimamente beneficiare del regime fiscale locale sui proventi esteri. Viceversa, usare Dubai come mera facciata per azienda che di fatto opera in Italia espone a quasi certa sconfitta in contenzioso. La Cassazione ha ribadito che aprire società in Stati esteri a fiscalità agevolata non è abuso di per sé, purché vi sia un insediamento effettivo e genuino in quel Paese. In assenza di sostanza, tutti gli strumenti visti (presunzioni art. 73(5-bis), abuso, CFC) verranno utilizzati dall’Erario per tassare in Italia gli utili prodotti e sanzionare il comportamento elusivo.

Conseguenze di un accertamento fiscale per residenza estera fittizia

Cosa rischia concretamente il contribuente (persona fisica o società) che venga smascherato dal Fisco italiano come falso residente estero? Abbiamo già accennato a vari profili, riepiloghiamoli in modo organico:

  • Recupero delle imposte non pagate: la conseguenza primaria è che tutti i redditi che il contribuente avrebbe dovuto dichiarare in Italia vengono ora tassati retroattivamente. Per una persona fisica, questo significa che i redditi esteri (stipendi, compensi, pensioni, redditi d’impresa esteri, plusvalenze, ecc.) relativi agli anni in cui verrà considerato residente in Italia, saranno assoggettati ad IRPEF italiana. Eventuali imposte pagate a Dubai (per lo più nulle, salvo IVA locale o altre tasse minori) potranno essere portate in credito d’imposta entro i limiti convenzionali o di legge. Per una società, come detto, gli utili globali saranno tassati in Italia (con credito solo per eventuali imposte estere fino a concorrenza). Il tutto può riguardare più annualità: ad es. se la persona era “espatriata” dal 2020 al 2024 e l’accertamento copre l’intero periodo, le verranno contestati 5 anni di redditi non dichiarati.
  • Sanzioni tributarie: su ogni imposta evasa si applicano pesanti sanzioni. Per il contribuente persona fisica che non ha presentato dichiarazione dei redditi in Italia (convinto di non doverla presentare perché all’estero), si configura dichiarazione omessa: sanzione dal 120% al 240% delle imposte dovute per ciascun anno. Se invece presentava la dichiarazione (ad esempio per redditi italiani) ma ometteva quelli esteri, è dichiarazione infedele: sanzione dal 90% al 180% della maggiore imposta. Tali percentuali possono essere abbattute aderendo alla contestazione (riduzione a 1/3 con accertamento con adesione o acquiescenza) oppure tramite definizioni agevolate se previste (nel 2023-24 vi sono state alcune sanatorie, ma comunque la regola generale resta quella). Nel caso di società, abbiamo visto analoghe percentuali; per l’IVA evasa le sanzioni vanno dal 90% al 180%. Inoltre, come detto, omessa compilazione del quadro RW comporta sanzioni aggiuntive (3%-15% annuo del valore non dichiarato) che si cumulano con quelle sulle imposte.
  • Interessi moratori: l’importo delle imposte evase viene maggiorato degli interessi al tasso legale (salito al 5% nel 2023) per i giorni di ritardo dal momento in cui andavano pagate. Su diversi anni di evasione, gli interessi possono aumentare il debito di un ulteriore 5-15% circa cumulato (dipende da quando cade la scadenza per ciascuna annualità). Non sono sanzionatori, ma vanno anch’essi corrisposti.
  • Procedura di riscossione: una volta notificato l’avviso di accertamento, se il contribuente non paga né impugna, l’atto diviene definitivo e titolabile a ruolo. Anche in pendenza di ricorso, la legge prevede che sia comunque dovuto un importo frazionato (di solito 1/3 delle imposte accertate entro 60 giorni) salvo sospensione giudiziale. Se il contribuente non versa, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione potrà emettere cartelle esattoriali ed eventualmente attivare misure cautelari (fermo auto, ipoteche) o esecutive (pignoramenti) sui beni del contribuente in Italia. In uno scenario grave (grandi importi non pagati), può scattare anche il sequestro per equivalente in ambito penale, qualora vi siano reati tributari (vedi sotto).
  • Responsabilità penale: come accennato, i casi di espatri fittizi spesso integrano soglie di punibilità penale. Per la dichiarazione omessa (art. 5 D.Lgs. 74/2000), basta superare €50.000 di imposta evasa in un periodo d’imposta per configurare il reato (tipicamente con 1 anno di carcere minimo, aumentabile se importi maggiori). Chi trasferisce residenza a Dubai e non dichiara nulla in Italia per anni facilmente supera tale soglia (basti pensare a redditi da lavoro elevati o utili d’impresa). Se inoltre per dissimulare la residenza ha posto in essere atti falsi o condotte fraudolente (ad esempio, facendo figurare documenti falsi, o con la società estera ha fatto operazioni simulate), potrebbero configurarsi i reati di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3) o frode mediante fatture false (art. 2) nel caso di uso di fatture fittizie per spostare utili. La prescrizione per questi reati è mediamente di 8 anni (aumentabile a 10 in caso di atti interruttivi), quindi l’azione penale può intercorrere parallelamente al contenzioso tributario. Dal punto di vista del contribuente, affrontare anche un procedimento penale per evasione fiscale è un ulteriore serio problema: potrebbe portare a misure restrittive, reputazionali e all’impossibilità di definire facilmente la posizione tributaria (spesso in pendenza di processo penale si è meno propensi a transigere per evitare ammissioni di colpa). Nota bene: l’iscrizione AIRE di per sé non protegge dal penale. Anzi, Cassazione ha affermato che l’iscrizione all’AIRE non salva dall’accusa di dichiarazione infedele se in realtà i redditi dovevano essere dichiarati in Italia (quindi il soggetto che “finge” di essere estero commette comunque reato se supera le soglie).
  • Implicazioni civilistiche e ulteriori: una volta accertato il debito, il contribuente diventa un debitore erariale. Questo può incidere su vari aspetti: l’iscrizione a ruolo di importi elevati comporta che eventuali rimborsi fiscali futuri vengano compensati, che la capacità di ricevere certificati di regolarità fiscale (DURF) sia compromessa, e che eventuali soci/aziende collegate ne risentano (ad es. l’Erario potrebbe rivalersi su distribuzioni ai soci se configgono con l’intento di sottrarsi al pagamento). In casi estremi, se il debito è enorme e non saldabile, il contribuente persona fisica potrebbe valutare procedure da sovraindebitamento o se impresa, il fallimento. Questo per evidenziare che portare avanti un falso trasferimento all’estero può avere conseguenze finanziarie devastanti quando viene smascherato: si passa magari da aver “risparmiato” imposte per qualche anno a dover restituire tutto con sanzioni e interessi e in più incorrere in sanzioni penali.

Cosa fare in caso di accertamento: strategie difensive dal punto di vista del contribuente

Affrontare un accertamento fiscale che contesta la residenza estera (nel nostro caso a Dubai) richiede un approccio tempestivo, documentato e strategico. Di seguito alcuni passi e consigli pratici dal punto di vista del contribuente (o del suo difensore):

1. Analizzare l’atto e i rilievi: Se si riceve un avviso di accertamento o anche solo un processo verbale di constatazione (PVC) da parte della Guardia di Finanza, bisogna capire esattamente cosa viene contestato. Spesso, in materia di residenza, l’accertamento elencherà gli elementi in base ai quali l’Agenzia ritiene che il contribuente fosse ancora residente in Italia. Ad esempio: “risulta iscritto in AIRE ma con frequenti permanenze in Italia per X giorni; la famiglia risiede in Italia; titolare di impresa italiana; utilizzo di carte di credito su territorio italiano per €Y; nessun reale domicilio negli EAU…” ecc. Bisogna identificare quali prove e indizi il Fisco ha raccolto. Questo orienterà la difesa. Va verificata anche la regolarità formale dell’atto: è stato notificato correttamente (attenzione, se uno è AIRE va notificato all’estero o via PEC, altrimenti l’atto può essere nullo)? Rispetta i termini decadenziali? È sufficientemente motivato? Talvolta carenze formali possono essere eccepite.

2. Coinvolgere un esperto tributario: Data la complessità delle norme internazionali, è altamente consigliato incaricare un avvocato tributarista o commercialista esperto di fiscalità internazionale. Egli potrà sia predisporre le memorie difensive, sia dialogare con l’Ufficio nelle fasi pre-contenziose (come l’eventuale accertamento con adesione). Un professionista saprà anche valutare l’opportunità di soluzioni transattive vs. il ricorso.

3. Raccolta delle prove difensive: È il momento di mettere insieme tutti gli elementi che possano dimostrare la residenza all’estero genuina, oppure contraddire gli indizi del Fisco. Bisogna costruire un dossier probatorio con: contratti di affitto/acquisto casa a Dubai, certificati di residenza fiscale dalle autorità emiratine, contratti di lavoro, ricevute di affitti/emolumenti percepiti negli EAU, bollette e quietanze di spese quotidiane negli Emirati (es. utenze, palestra, assicurazioni sanitarie), biglietti aerei per documentare le date di entrata/uscita, eventuali testimonianze (in forma di dichiarazioni) di persone che possano confermare la presenza del contribuente a Dubai in certi periodi. Attenzione: se alcuni di questi documenti sono in arabo o inglese, fornirne traduzione giurata. Ogni aspetto contestato va controbilanciato: es. se l’Agenzia dice “moglie e figli in Italia”, ma la realtà è che c’è stata una separazione o i figli erano maggiorenni all’estero, documentarlo con certificati. Se si contesta la ricostruzione delle giornate in Italia (magari fatta con agganci telefonici o carte di credito), produrre il passaporto con i timbri emessi (per gli EAU c’è timbratura in entrata/uscita sino al 2020 circa) o sistemi di tracciamento alternativi (es. biglietti). Dimostrare eventuali errori dell’Ufficio: a volte vengono attribuiti giorni in Italia in cui il contribuente era all’estero (es. transazioni online fatte con carta italiana ma persona altrove). Una difesa puntuale può minare la solidità della presunzione.

4. Verificare la via convenzionale: Se applicabile (nel nostro caso sì, c’è la Convenzione Italia-EAU), impostare la difesa anche sul piano della Convenzione contro le doppie imposizioni. Ciò significa sostenere: “Anche se per ipotesi mi consideraste residente ai sensi interni, l’art. 4 della Convenzione porta a individuarmi residente degli Emirati, in quanto il centro dei miei interessi vitali era chiaramente lì per i seguenti motivi…”. Citare la giurisprudenza di Cassazione recente a supporto. Includere il certificato di residenza fiscale estero per gli anni in questione (anche se tardivo, è un documento chiave). Spiegare che, come da Cass. 35284/2023, la mancanza di una vera doppia imposizione non rileva, e che l’art. 15 del Trattato preclude all’Italia di tassare i redditi di lavoro di un residente EAU svolti negli EAU. Naturalmente questo argomento vale se i fatti lo supportano – ovvero se effettivamente i criteri tie-breaker pendono a favore di Dubai (il che richiede di avere in mano le prove del punto 3). Se però il contribuente sa in cuor suo che gran parte degli interessi vitali era in Italia, questa linea potrebbe essere debole.

5. Valutare accertamento con adesione: L’ordinamento offre la possibilità di attivare una fase di accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997) entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento. Presentando istanza di adesione, si “congela” l’atto e si apre un dialogo con l’Ufficio per eventualmente trovare un accordo sul quantum dovuto. I vantaggi: in caso di accordo, le sanzioni sono ridotte a 1/3 (quindi da 120% scendono a 40%, da 90% a 30%, etc.); inoltre si può ottenere una rateazione fino a 8 rate trimestrali (o 16 rate se importo > 50k). Lo svantaggio è che aderendo si rinuncia al ricorso e si conferma la pretesa sostanziale. Questa opzione va ponderata: se la posizione difensiva è debole (trasferimento davvero fittizio e prove insufficienti), può essere conveniente limitare i danni definendo l’accertamento con sanzioni ridotte. Se invece si hanno buone chance in giudizio (es. perché il Fisco ha torto su diversi punti o ci sono trattati a favore), potrebbe convenire fare ricorso. A volte si può partecipare all’adesione per capire quanto l’Ufficio è disposto a scontare o ritirare e poi decidere se accordarsi o no. È importante però non far scadere i termini: l’adesione sospende i 60 gg per ricorrere e aggiunge 90 gg; se non ci si accorda, il ricorso va presentato entro tale termine.

6. Presentare ricorso e chiedere la sospensione (se necessario): Se si opta per la via giudiziale, entro i termini (60 giorni, estesi dall’eventuale adesione) va predisposto il ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale (ora Corte di Giustizia Tributaria di primo grado). Nel ricorso si contestano formalmente i motivi (violazione di legge, carenza di motivazione, errata valutazione prove, ecc.) e si chiede l’annullamento dell’atto. Data la possibile entità delle somme, è spesso opportuno contestualmente chiedere la sospensione dell’esecutività dell’atto, provando che dall’esecuzione immediata deriverebbe un danno grave (es. rovina economica). Le Corti concedono la sospensione se vedono fumus boni iuris (motivi non pretestuosi) e periculum nel pagamento. Se concessa, si sospende la riscossione finché non arriva la sentenza di primo grado. Se negata, il contribuente dovrà versare la quota di legge (di regola 1/3 delle imposte accertate) per evitare azioni di recupero durante il processo.

7. Sostenere il contenzioso con tutti i gradi di giudizio: Il processo tributario può durare anni e arrivare fino in Cassazione. È cruciale, specie in tema di residenza estera, presentare fin dal primo grado tutte le prove possibili. Non confidare di inserirle dopo, perché l’eventuale appello ha limiti. Già in primo grado magari depositare perizia di parte (ad esempio di un fiscalista che ricostruisca i giorni all’estero dal passaporto, o un consulente tecnico che attesti elementi oggettivi). In appello, ribadire giurisprudenza favorevole, aggiornare se escono nuove sentenze (es. se nel frattempo la Cassazione pronuncia altre decisioni analoghe, depositarle). Nota: dal 2023 il processo tributario consente la testimonianza scritta in alcuni casi, ma non ancora l’esame orale: pertanto, se vi fossero testimoni (es. colleghi a Dubai), si possono far fare dichiarazioni giurate in forma di affidavit notarile e produrle come documento.

8. Considerare il profilo penale e coordinare le difese: Se è stato aperto anche un fascicolo penale (lo si capisce da eventuali comunicazioni di notizia di reato, o perquisizioni), occorre coordinare la strategia con l’avvocato penalista. Una definizione tributaria (pagamento) potrebbe aiutare in sede penale per una eventuale oblazione o patteggiamento, ma bisogna muoversi con cautela perché ammettere debiti in sede tributaria può influire sul processo penale. Viceversa, una sentenza tributaria favorevole (es. che riconosce la residenza estera) sarebbe un importante elemento scagionante nel penale. In ogni caso, massima trasparenza con i difensori: che quelli tributari e penali lavorino in sinergia.

9. Regolarizzare situazioni pregresse (per il futuro): Se dall’accertamento emergono effettivamente situazioni non regolari, è bene correggere per il futuro. Ad esempio, se la persona aveva mantenuto interessi in Italia, è opportuno provvedere a sistemarli: magari vendere la casa, dare dimissioni da ruoli sociali in Italia, evitare che la situazione si ripeta gli anni seguenti. Se la persona decide che vale la pena di tornare fiscalmente residente in Italia per evitare guai, può valutare di aderire a eventuali regimi di rientro agevolati (come l’art. 24-bis TUIR per i neo-residenti con forfait sui redditi esteri, o il regime impatriati se applicabile). Se invece conferma la scelta di risiedere a Dubai, dovrà essere ancora più rigoroso nel mantenere la propria vita separata dall’Italia per evitare nuovi accertamenti. Talvolta, dopo un primo accertamento, il Fisco continua a monitorare gli anni successivi: dunque, conviene far trovare tutto in regola (dichiarare eventualmente i redditi italiani come non residente, compilare quadro RW se dovuto finché considerato residente e poi interrompere con evidenza del cambio status, ecc.).

10. Utilizzare eventuali strumenti di definizione agevolata dei debiti: Se l’accertamento diventa definitivo e genera iscrizioni a ruolo, il contribuente può valutare strumenti come la rottamazione delle cartelle (che condona sanzioni e interessi di mora, pagando solo imposte e interessi da ritardata iscrizione a ruolo). Ad esempio, nel 2023 la “Rottamazione-quater” ha permesso di definire cartelle fino al 2017. Ci potrebbero essere futuri provvedimenti simili. Inoltre, esiste l’istituto del ravvedimento operoso: ma questo vale prima che l’accertamento arrivi. Un contribuente che si rende conto di essere a rischio (es. perché in effetti era ancora residente in Italia) potrebbe spontaneamente ravvedersi e dichiarare i redditi esteri prima di essere accertato, con riduzione di sanzioni. Certo, in caso di trasferimenti fittizi già avvenuti, il ravvedimento è poco usato perché equivarrebbe ad autodenunciarsi. C’è stato in passato lo strumento della “voluntary disclosure” per attività estere non dichiarate, ma attualmente (2025) non è aperta una finestra di voluntary generalizzata, se non misure ad hoc (nel 2023 c’è stata una VD speciale per cripto-attività e contanti).

In sintesi, cosa fare? La via maestra è prevenire: assicurarsi che il trasferimento a Dubai sia genuino e ben documentato fin dall’inizio, così da scoraggiare o vincere eventuali contestazioni. Se l’accertamento arriva, non farsi trovare impreparati: attivarsi subito con esperti, raccogliere prove, sfruttare le tutele offerte dai trattati e procedurali, ed essere pronti anche a soluzioni negoziali se la difesa risulta fragile. La posizione soggettiva (“dal punto di vista del debitore”) dev’essere quella di dimostrare la buona fede e la realtà sostanziale della propria posizione fiscale.

Infine, si tenga conto che la materia è in continua evoluzione: la riforma fiscale 2024 ha mostrato un irrigidimento su alcuni fronti (presenza fisica, sanzioni AIRE) ma anche aperture sul piano definitorio (domicilio più chiaro). La giurisprudenza recente ha temperato certi automatismi (vedi prevalenza del trattato sulle presunzioni). L’onere di essere informati e ben consigliati rimane comunque la migliore arma per un contribuente internazionale. Di seguito, passiamo a una sezione di domande e risposte rapide che sintetizzano i punti chiave emersi.

Domande frequenti (FAQ)

**Q1: Ho trasferito la residenza a Dubai, ma l’Agenzia delle Entrate mi ha notificato un accertamento sostenendo che sono ancora residente in Italia. È possibile? Cosa significa?
A1: Sì, è possibile. La legge italiana prevede che se un cittadino italiano si sposta in un paradiso fiscale (come Dubai), si presume che non abbia realmente lasciato l’Italia, salvo prova contraria (art. 2, comma 2-bis TUIR). Ciò significa che l’Agenzia delle Entrate può considerarti ancora residente fiscale in Italia e quindi tassabile su tutti i tuoi redditi esteri, a meno che tu dimostri che il tuo trasferimento negli Emirati è autentico (abitazione, lavoro, famiglia, interessi vitali effettivamente a Dubai). L’accertamento è l’atto con cui il Fisco contesta formalmente la tua residenza italiana per gli anni X, Y, Z, chiedendoti le relative imposte non pagate. In pratica, stanno dicendo: “per noi eri ancora residente qui, quindi dovevi dichiarare qui tutti i redditi, anche se ti sei iscritto all’AIRE”.

Q2: Mi sono regolarmente iscritto all’AIRE e ho rispettato tutte le formalità, questo non basta a dimostrare che non sono più residente in Italia?
A2: L’iscrizione all’AIRE è obbligatoria e importante, ma da sola non basta. È condizione necessaria, ma non sufficiente. La legge considera ancora residente (se Paese black list) il cittadino italiano iscritto AIRE fino a prova contraria. Inoltre, la Cassazione ha spesso ribadito che la mera iscrizione AIRE è un fatto formale: ciò che conta sono i fatti sostanziali (dove vivi davvero, dove lavori, ecc.). Dal 2024, come detto, l’iscrizione anagrafica in Italia è divenuta presunzione solo relativa (prima era assoluta), ma comunque se il Fisco trova indizi che il tuo centro di vita era ancora in Italia, userà quelli per contestarti la residenza, nonostante l’AIRE. Quindi AIRE ti evita la sanzione per omessa iscrizione (€200–1000), ma non ti mette al riparo dagli accertamenti sulla residenza.

Q3: Quali prove devo fornire per vincere la presunzione di residenza in Italia?
A3: Devi fornire un corredo di prove che dimostrino che dal giorno del trasferimento la tua vita si è spostata stabilmente a Dubai. In particolare: copia del contratto di affitto o dell’atto di acquisto della casa a Dubai; eventuale permesso di soggiorno/Visa resident negli EAU; contratto di lavoro o licenza commerciale a Dubai; bollette, ricevute di spese quotidiane negli Emirati; movimenti bancari che mostrino spese sul posto; certificato di residenza fiscale rilasciato dalle autorità emiratine; attestati di iscrizione dei figli a scuole estere (se applicabile) o comunque prova che la famiglia risiede fuori d’Italia; biglietti aerei e timbri sul passaporto che evidenziano la tua presenza fisica negli Emirati per la maggior parte del tempo. Più prove riesci a raccogliere e coerenti tra loro, meglio è. Idealmente, devi convincere che il centro dei tuoi interessi vitali (affetti + lavoro + patrimonio) si è spostato a Dubai. Ad esempio, se mostri che hai lavorato a tempo pieno lì, che lì hai la casa dove risiedevi, e che tornavi in Italia solo per brevi vacanze, la tua posizione si rafforza. Al contrario, se il Fisco documenta che passavi più di metà anno in Italia o che hai mantenuto ruoli/affari qui, dovrai confutare specificamente quei punti. Ricorda: l’onere della prova è tuo, quindi meglio eccedere in documentazione che averne poca.

Q4: Cosa succede se non riesco a provare in modo convincente la mia residenza a Dubai?
A4: Se le prove non sono sufficienti e la Commissione Tributaria (o l’Agenzia, se non fai ricorso) ritiene che tu fossi ancora residente in Italia, le conseguenze sono: dovrai pagare in Italia tutte le imposte sui redditi esteri relativi agli anni contestati, come se non avessi mai lasciato l’Italia. Questo include IRPEF sui redditi di lavoro, d’impresa, interessi, ecc., con aliquote fino al 43% a seconda degli importi. Inoltre ci sono le sanzioni per omessa/infedele dichiarazione (in genere il 90% o 120%-240% dell’imposta evasa per ciascun anno), più gli interessi maturati. Ad esempio, se avevi redditi per 100.000 € all’anno non tassati per 3 anni, potresti dover pagare ~130-150.000 € di imposte arretrate più altrettanto di sanzioni e interessi. Non solo: se l’imposta evasa supera soglie penali (>50 mila € annui), rischi anche un procedimento penale per evasione (omessa dichiarazione) con possibili sanzioni detentive. In sintesi, lo scenario peggiore è: tassazione integrale in Italia + multe salate + interessi + eventualmente un processo penale. Inoltre, perderesti i benefici fiscali emiratini (aver vissuto a Dubai non ti ridà indietro quanto pagherai in Italia). Capisci perché conviene mettere tutte le energie nel provare il trasferimento reale, se c’è stato: la posta in gioco è alta.

Q5: L’Italia ha un trattato fiscale con gli Emirati Arabi? Posso usarlo a mio favore?
A5: Sì, esiste una Convenzione contro le doppie imposizioni Italia–Emirati Arabi Uniti (in vigore dal 1997). Questo trattato prevede criteri per stabilire la residenza fiscale effettiva in caso di conflitto: dimora permanente, interessi vitali, soggiorno abituale, nazionalità. Se secondo questi criteri risulti residente negli Emirati, l’Italia deve riconoscerlo. La Cassazione ha confermato che la Convenzione può prevalere sulla presunzione interna: ad esempio, in un caso del 2023 un contribuente italiano a Dubai ha ottenuto ragione perché, applicando le regole convenzionali, è risultato residente negli EAU, e ciò ha superato la presunzione italiana. Dunque, se tu dimostri di avere il centre of vital interests a Dubai, puoi invocare l’art. 4 del Trattato per farti riconoscere residente degli Emirati. I benefici concreti sono grandi: ad esempio, la Convenzione stabilisce che i redditi di lavoro dipendente svolto negli Emirati da un residente degli Emirati sono tassati solo negli Emirati. Significa zero tasse in Italia su quegli stipendi. Attenzione però: per usare il trattato devi comunque provare la residenza estera con gli stessi elementi (casa, famiglia, lavoro a Dubai). Inoltre, bisogna di norma ottenere un certificato di residenza fiscale dagli Emirati e presentarlo. Se tutto ciò è in regola, sì, la Convenzione è un’arma in più per la tua difesa.

Q6: Ho una società a Dubai intestata a me: possono contestare qualcosa anche su quel fronte?
A6: Sì, potrebbero. Se la tua società a Dubai è in realtà gestita dall’Italia o serve solo a schermare redditi italiani, l’Agenzia può contestare l’esterovestizione societaria. In pratica, potrebbe considerare la società di Dubai come fiscalmente residente in Italia (ai sensi dell’art. 73 TUIR) se emerge che la sede di direzione effettiva era in Italia. Oppure può applicare la presunzione art. 73, co.5-bis TUIR se tu, residente italiano (secondo loro), controlli quella società in paradiso fiscale: in tal caso la legge presume la società residente qui salvo prova contraria. Quali i rischi? Che ti richiedano le imposte IRES su tutti gli utili della società estera, come se fosse italiana, più sanzioni e interessi; e se non avevi presentato dichiarazioni per la società in Italia, scatta anche lì omessa dichiarazione con eventuale penale (>50k € evasi). Inoltre, i dividendi della società estera potrebbero essere tassati come redditi non dichiarati. Insomma, il Fisco può colpire sia te come persona sia la tua società, se ritiene che sia una costruzione di comodo. Per difenderti, dovresti dimostrare che la società a Dubai ha una vita propria reale (ufficio, personale, attività economica a Dubai, decisioni prese là) e non è gestita dall’Italia. Se la società invece era solo un “contenitore” per fatturare attività che tu svolgevi dall’Italia, è molto probabile che te la contestino.

Q7: In caso di contestazione, quali sono i tempi e le fasi? Devo pagare subito tutto?
A7: I tempi di un accertamento fiscale e dell’eventuale contenzioso sono abbastanza lunghi. Dopo la notifica dell’avviso, hai 60 giorni per pagare o fare ricorso. Se non fai nulla, l’accertamento diventa definitivo e l’Agenzia può iniziare la riscossione coattiva. Se presenti ricorso, puoi chiedere la sospensione dell’esecuzione all’autorità tributaria, che valuterà se hai ragionevole fondatezza e se pagare subito ti danneggerebbe gravemente. In assenza di sospensione, in genere sei tenuto a versare un terzo delle imposte accertate entro 60 giorni (quota “provvisoria”). Il processo di primo grado dura mediamente 1-2 anni. Se vinci, ti devono rimborsare eventuali importi versati. Se perdi, puoi appellare entro 60 giorni e, dopo la sentenza d’appello, eventualmente fare ricorso in Cassazione. Ogni grado può durare 1-2 anni. Durante questo tempo, le somme non ancora giudicate definitivamente sono solo in parte esigibili: un altro terzo dopo il primo grado, il residuo dopo il secondo, salvo sospensioni. In parallelo, dopo 1° grado se hai perso, l’Agenzia può iscrivere a ruolo la parte di imposte dovute. Quindi il pagamento “totale” potrebbe essere dilazionato. Esistono poi possibilità di rateazione: se decidi di definire l’atto con adesione, puoi rateizzare fino a 8 rate (o 16 se importi alti); se invece arrivi a cartella esattoriale, puoi avere fino a 72 rate mensili (6 anni) o più in casi eccezionali. Dunque non è detto che tu debba versare tutto subito, ma attenzione: gli interessi continuano a maturare e, se fai ricorso solo per prendere tempo senza basi solide, puoi aggravare il debito. La scelta va ponderata con un legale: a volte conviene trattare subito con l’ufficio per chiudere la questione (magari stralciando sanzioni in adesione), altre volte conviene lottare in giudizio se hai buone prove.

Q8: Nel frattempo che aspetto l’esito del ricorso, posso trasferire beni o patrimoni per non farmeli prendere dal Fisco?
A8: Questa è una mossa pericolosa. Se il Fisco sospetta che stai spogliandoti dei beni per renderti insolvibile, potrebbe chiedere misure cautelari (ad es. sequestro preventivo per equivalente in sede penale, o misure conservative in sede tributaria). Inoltre, atti dispositivi verso terzi potrebbero essere revocati se fatti a titolo gratuito o verso persone vicine. La cosa migliore è invece gestire responsabilmente: ad esempio, se hai liquidità, potresti depositare un importo a garanzia o proporre un accantonamento, mostrando buona fede, per ottenere magari la sospensione. Trasferire tutto su conti esteri o intestare a parenti può esporre a ulteriori contestazioni (tipo reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, art. 11 D.Lgs. 74/2000, se lo fai dopo un atto accertativo). Quindi, meglio evitare furbizie ulteriori. Concentrati sulla difesa legale e, se vedi che dovrai pagare, negozia un pagamento rateale sostenibile. Se invece temi davvero la rovina, valuta strumenti leciti come la transazione fiscale (nei casi di crisi d’impresa) o eventualmente la procedura da sovraindebitamento per persone fisiche. Ma tutto ciò solo se si arriva al punto di non ritorno.

Q9: Quali sono le novità più recenti su questi temi di residenza ed esterovestizione?
A9: In sintesi, ultimissime novità 2024-2025: (i) è cambiata la normativa sulla residenza (D.Lgs. 209/2023) introducendo il criterio dei >183 giorni di presenza fisica in Italia e sanzionando l’omessa iscrizione AIRE; (ii) la Cassazione 2023-2024 ha emesso importanti sentenze: la n. 35284/2023 (residenza Emirati, trattato che supera presunzione), la n. 994/2024 (sullo stesso tema confermando che non serve doppia tassazione effettiva per applicare il trattato), la n. 19843/2024 (residenza a Monaco, ribadisce che conta il centro degli interessi economici più che la sola AIRE). (iii) Sul fronte società, Cass. 3386/2024 e 14485/2024 hanno rafforzato il principio che l’esterovestizione va provata con un quadro di indizi gravi, precisi e concordanti, valutati nel complesso, e che la sostanza economica reale all’estero è dirimente. (iv) Dal 2023 è in vigore negli Emirati una Corporate Tax del 9% per le società (sopra una certa soglia di utile): questo potrebbe far uscire alcune strutture emiratine dalla definizione di “regime privilegiato” in futuro, ma Dubai resta a fiscalità molto agevolata soprattutto per persone fisiche (zero tax). (v) La cooperazione internazionale continua a intensificarsi: i dati CRS arrivano ormai annualmente e anche i cripto-asset verranno scambiati dal 2026 in poi con il CARF. L’UE mantiene la pressione sui paesi offshore (lista nera aggiornata con pochi paesi, e gli EAU non sono più black list UE dal 2018).

In pratica, il trend è: norme più dettagliate e severe contro i falsi espatri, ma anche strumenti internazionali che aiutano i contribuenti seri (es. il trattato) e giurisprudenza che chiede al Fisco prove solide. Perciò, oggi più che mai, chi vuol essere residente a Dubai davvero può farlo e difendersi, ma chi lo fa solo pro forma ha poche chance di farla franca a lungo.

Q10: In conclusione, mi conviene trasferirmi fiscalmente a Dubai? Cosa devo valutare dal punto di vista del diritto italiano?
A10: Conviene solo se il trasferimento è reale. Dal punto di vista italiano, trasferirsi a Dubai può dare enormi vantaggi fiscali (zero imposte sui redditi personali, nessuna tassazione su investimenti, ecc.), ma è un percorso minato se non viene fatto con un cambiamento di vita autentico. Devi essere disposto a spostare davvero il tuo centro di vita negli Emirati. Ciò significa forse rinunciare a passare molto tempo in Italia, distaccarti da alcune abitudini, assicurarti di avere una vera base a Dubai. Se sei un imprenditore, devi strutturare bene la tua azienda per non lasciare “radici” fiscali in Italia (o accettare che su quelle pagherai le tasse italiane). In più, devi mettere in conto costi di consulenza e compliance: servirà tenere documenti accurati, eventualmente avere consulenti sia a Dubai che in Italia per gestire gli adempimenti (es. dichiarare in Italia i redditi che comunque rimangono imponibili qui, tipo immobili o pensioni italiane, ed evitare errori). Il punto di vista del debitore (cioè tuo potenzialmente, se qualcosa va male) è che l’Agenzia Entrate avrà molti strumenti per chiederti conto se sospetta un espatrio fittizio. Se invece trasferisci la residenza solo sulla carta ma resti qui di fatto, allora non conviene affatto: probabilmente prima o poi verrai scoperto e dovrai pagare tutto con gli interessi, perdendo i vantaggi e aggiungendo sanzioni. Quindi, il consiglio è: sì a Dubai se davvero vuoi vivere e operare principalmente lì (e in tal caso preparati bene per farlo correttamente); no a Dubai come semplice schermo fiscale. In quest’ultimo caso, meglio cercare soluzioni alternative lecite (come usufruire di regimi agevolati italiani tipo “impatriati” o la flat tax per neo residenti, se ne hai i requisiti) invece di rischiare una causa persa con il Fisco italiano.


Fonti

  • D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 – Testo Unico Imposte sui Redditi (TUIR), art. 2 (criteri di residenza persone fisiche, presunzione paradisi fiscali), art. 73 (criteri di residenza società), art. 167 (Controlled Foreign Companies).
  • Decreto Min. Finanze 4 maggio 1999 – Elenco Stati a regime fiscale privilegiato ai fini art. 2 co.2-bis TUIR (include Emirati Arabi Uniti).
  • D.Lgs. 28 novembre 2023, n. 209 – Riforma della residenza fiscale (attuazione L. 111/2023), in vigore dal 2024: novità su domicilio, presenza fisica >183 gg, sanzioni AIRE.
  • Convenzione Italia – Emirati Arabi Uniti contro le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito, ratifica L. 30 dicembre 1997 n. 449. In particolare art. 4 (residenza) e art. 15 (redditi di lavoro dipendente).
  • Cassazione Civile, Sez. Trib., 18 dicembre 2023 n. 35284 – Residenza fiscale Emirati Arabi: criteri convenzionali prevalgono su presunzione interna; esclusiva tassazione negli EAU dei redditi da lavoro ivi svolti.
  • Cassazione Civ., Sez. Trib., 12 gennaio 2024 n. 994 – Residenza Emirati Arabi: conferma orientamento su applicazione Convenzione senza necessità di doppia imposizione effettiva (sufficiente soggezione potenziale).
  • Cassazione Civ., Sez. Trib., 18 luglio 2024 n. 19843 – Residenza fiscale a Monte Carlo: ribadito che il domicilio ex art. 2 TUIR coincide col centro degli affari/interessi, prevalendo sugli affetti; presunzione art.2 co.2-bis richiede prova contraria a carico contribuente.
  • Cassazione Civ., Sez. Trib., 4 febbraio 2025 n. 2643 – Raddoppio termini accertamento attività estere non dichiarate (quadro RW in paradisi fiscali) è norma procedurale retroattiva; confermata presunzione evasione per capitali non dichiarati ex Dl 78/2009.
  • Cassazione Civ., Sez. Trib., 6 febbraio 2024 n. 3386 – Esterovestizione società: onere probatorio basato su indizi gravi, precisi e concordanti valutati globalmente; definizione di sede effettiva e abuso del diritto.
  • Cassazione Civ., Sez. Trib., 28 luglio 2024 n. 14485 – Esterovestizione e prova: confermato che costituire società in UE a fini fiscali non è abuso se vi è reale attività; giudice deve valutare tutti gli elementi indiziari nel complesso.

Vivi a Dubai ma il Fisco italiano ti ha inviato un accertamento? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Sempre più italiani si trasferiscono a Dubai per ragioni fiscali, professionali o imprenditoriali. Tuttavia, se l’Agenzia delle Entrate ritiene che mantieni legami economici o personali con l’Italia, può contestarti la residenza fiscale italiana e inviarti un avviso di accertamento con richiesta di imposte, sanzioni e interessi.


Quando scatta l’accertamento per finta residenza a Dubai?

Secondo l’Agenzia delle Entrate, sei fiscalmente residente in Italia se, anche solo per 183 giorni l’anno:

  • 🏠 Hai il domicilio o la residenza anagrafica in Italia
  • 👨‍👩‍👧‍👦 La tua famiglia vive in Italia
  • 💼 Hai qui il tuo centro principale di interessi economici (aziende, immobili, conti, lavoro)
  • 🌍 Non riesci a dimostrare una presenza effettiva e stabile a Dubai

⚠️ Dubai è considerata giurisdizione a fiscalità privilegiata. Ciò comporta una presunzione automatica di residenza in Italia, a meno che tu non fornisca prove solide del contrario.


Cosa rischi in caso di accertamento?

Se il Fisco ritiene che il trasferimento a Dubai sia fittizio, può:

  • 💰 Tassarti in Italia su tutti i redditi mondiali
  • 📑 Accertare redditi non dichiarati con sanzioni fino al 240%
  • 🔍 Iscriverti a ruolo per imposte, interessi e sanzioni
  • 🛑 Attivare pignoramenti, fermi o ipoteche su beni in Italia
  • ⚖️ Contestare anche la residenza delle tue società, con gravi conseguenze

Come difendersi da un accertamento fiscale dall’Italia?

Se ricevi un avviso, puoi reagire in modo tecnico e mirato:

  1. 📂 Raccogli prove della residenza effettiva a Dubai (contratti, utenze, visto, spese locali, documenti bancari)
  2. 🧾 Dimostra che il tuo centro di interessi familiari ed economici è fuori dall’Italia
  3. ✍️ Presenta una memoria difensiva oppure un ricorso tributario nei termini
  4. ⚖️ Contesta l’accertamento con documentazione dettagliata e testimoni
  5. 🔁 Valuta eventuali procedure di ravvedimento o accordi transattivi

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📑 Verifica la legittimità dell’accertamento notificato
📂 Analizza i tuoi legami giuridici, familiari ed economici con Dubai
✍️ Redige ricorso e istanze difensive dettagliate contro il Fisco italiano
⚖️ Ti rappresenta nel contenzioso tributario e difende i tuoi diritti
🔁 Ti assiste nella pianificazione fiscale e nel consolidamento della residenza estera


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in fiscalità internazionale e contenzioso da esterovestizione
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente di imprenditori e lavoratori italiani residenti all’estero


Conclusione

Vivere a Dubai non basta per evitare il fisco italiano: serve dimostrare la residenza fiscale reale.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi difenderti da accertamenti illegittimi, proteggere i tuoi beni e far riconoscere la tua posizione all’estero.

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Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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