Hai ricevuto un accertamento dell’Agenzia delle Entrate pur vivendo a Malta e ti stai chiedendo perché l’Italia ti contesta imposte, se sei già fiscalmente residente all’estero? Ti accusano di residenza fittizia, di non aver interrotto i legami con l’Italia o di non aver dichiarato i redditi correttamente?
Sempre più italiani si trasferiscono a Malta per motivi fiscali o lavorativi. Ma l’Agenzia delle Entrate può contestare la validità della residenza estera se ritiene che in realtà tu non abbia mai smesso di essere residente in Italia, ai fini fiscali. In questo caso, ti verranno richieste le imposte su tutti i redditi mondiali, con sanzioni elevate.
Perché l’Agenzia delle Entrate può contestarti la residenza fiscale, anche se vivi a Malta?
– Perché l’iscrizione all’AIRE non basta a dimostrare il trasferimento effettivo
– Il Fisco italiano verifica se hai mantenuto in Italia il “centro degli interessi vitali” (famiglia, affari, beni, abitazione, affetti)
– Se risulti formalmente all’estero, ma operi ancora in Italia, potresti essere considerato residente “di fatto” in Italia
Cosa può accadere in caso di accertamento?
– Ti vengono richieste le imposte sui redditi esteri come se fossi residente in Italia
– L’Agenzia può recuperare le imposte degli ultimi 5 anni, con sanzioni fino al 240%
– Può essere contestato anche l’abuso del diritto, con conseguenze penali per omessa dichiarazione
– Possono essere avviate indagini bancarie internazionali e controlli sul tuo stile di vita
Come puoi difenderti?
– Dimostrando che il trasferimento a Malta è reale, stabile e non fittizio
– Esibendo prove concrete: contratto di affitto o proprietà, utenze, iscrizione AIRE, vita sociale, attività lavorativa a Malta
– Provando che non hai più interessi economici o familiari prevalenti in Italia
– Contestando la ricostruzione dell’Agenzia con elementi oggettivi e giuridici, soprattutto sul concetto di “interessi vitali”
Quando la tua residenza a Malta è valida ai fini fiscali?
– Quando hai effettivamente spostato lì il tuo centro di vita personale ed economico
– Quando non trascorri più di 183 giorni in Italia
– Quando non svolgi attività lavorativa o d’impresa in Italia in modo stabile e continuativo
– Quando non mantieni in Italia una famiglia con cui condividi ancora vita e spese
Cosa NON devi fare mai?
– Pensare che basti l’iscrizione AIRE per evitare la tassazione italiana
– Ignorare l’accertamento: se non rispondi, diventa definitivo e ti ritrovi con cartelle esattoriali elevate
– Confondere la residenza anagrafica con quella fiscale: sono due concetti diversi
– Continuare a operare dall’Italia pur formalmente residente a Malta: il Fisco può provarlo con facilità
Una residenza a Malta può essere valida. Ma devi dimostrarlo, punto per punto, se l’Agenzia ti contesta.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso internazionale e residenza fiscale – ti spiega quando puoi essere considerato ancora residente in Italia, come difenderti da un accertamento e come provare la reale estensione della tua vita fiscale a Malta.
Hai ricevuto un accertamento pur essendoti trasferito a Malta?
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Contesto e importanza della problematica
Molti cittadini italiani scelgono di trasferirsi a Malta per motivi personali, professionali o fiscali, attratti anche dal regime fiscale maltese relativamente vantaggioso. Tuttavia, il trasferimento all’estero può comportare verifiche e accertamenti fiscali da parte dell’Agenzia delle Entrate italiana, specialmente se vi è il sospetto che la residenza estera sia solo fittizia o strumentale all’elusione fiscale. In altri termini, l’Agenzia può contestare al contribuente emigrato (incluso chi risiede a Malta) la residenza fiscale in Italia e la conseguente tassazione in Italia dei redditi mondiali (worldwide taxation), in base al principio per cui i residenti italiani sono tassati su tutti i redditi ovunque prodotti.
Dal punto di vista del contribuente (debitore), ricevere un avviso di accertamento mentre si vive a Malta può generare incertezza e richiede di comprendere a fondo i propri diritti e obblighi. Bisogna infatti valutare se l’accertamento sia fondato (ovvero se, secondo la legge, il contribuente debba effettivamente considerarsi residente in Italia) e quali strategie difensive adottare per contestare l’eventuale indebita pretesa tributaria. Questo documento fornisce una guida approfondita e aggiornata a giugno 2025, con taglio giuridico-divulgativo, sul da farsi in caso di accertamento fiscale italiano nei confronti di un italiano che dichiara di risiedere a Malta. Ci concentreremo su:
- i criteri legali di residenza fiscale e il loro inquadramento normativo (inclusi gli aggiornamenti introdotti dal 2024);
- tutte le tipologie di accertamento tributario rilevanti e le contestazioni tipiche mosse dall’amministrazione finanziaria in questi casi;
- le strategie difensive possibili e i profili procedurali (dalla fase pre-contenziosa al ricorso in Commissione/giudice tributario);
- il ruolo della cooperazione internazionale tra Italia e Malta (scambio di informazioni e assistenza nel recupero crediti tributari);
- giurisprudenza aggiornata (sentenze recenti) e riferimenti normativi autorevoli;
- esempi pratici, tabelle riepilogative e una sezione di domande e risposte per chiarire i dubbi frequenti.
Importanza pratica: dal punto di vista di avvocati, imprenditori e privati cittadini, conoscere questi aspetti è fondamentale per prevenire o affrontare efficacemente un accertamento. Ad esempio, capire le regole sull’Anagrafe Italiani Residenti all’Estero (AIRE) e le condizioni per perdere la residenza fiscale italiana consente di evitare errori formali che potrebbero attirare controlli. Inoltre, essere consapevoli delle difese attuabili (come dimostrare l’effettività della residenza maltese o invocare la Convenzione Italia-Malta contro le doppie imposizioni) può fare la differenza nell’esito di un eventuale contenzioso.
La residenza fiscale: criteri e normativa vigente
Il primo passo per affrontare un accertamento sulla residenza è capire quando una persona è considerata fiscalmente residente in Italia. La definizione si trova nell’art. 2, comma 2, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) – D.P.R. 917/1986. Fino al 31 dicembre 2023, la norma prevedeva che una persona fisica è residente fiscale in Italia se, per la maggior parte del periodo d’imposta (almeno 183 giorni l’anno):
- è iscritta nelle anagrafi della popolazione residente (ossia risulta residente presso un Comune italiano); oppure
- ha in Italia il domicilio (ai sensi del codice civile, inteso come sede principale degli affari e interessi); oppure
- ha in Italia la residenza (civilistica, intesa come dimora abituale).
Questi criteri erano considerati alternativi e, in base alla previgente interpretazione giurisprudenziale, la sola permanenza nell’anagrafe italiana era sufficiente a stabilire la residenza fiscale in Italia, senza possibilità di prova contraria. In pratica, per la Corte di Cassazione fino a tempi recenti, il fatto formale dell’iscrizione nei registri comunali italiani costituiva una presunzione assoluta di residenza fiscale in Italia. Ad esempio, Cassazione nn. 16634/2018 e 1355/2022 hanno ribadito che la mancata iscrizione all’AIRE (e la permanenza nell’anagrafe residente italiana) “di per sé” rende il contribuente residente in Italia. Questo approccio formalistico spesso penalizzava chi, pur vivendo stabilmente all’estero, per dimenticanza o ritardo non avesse effettuato l’iscrizione all’AIRE nei tempi dovuti.
Novità dal 2024: con la riforma della “fiscalità internazionale” (delega legge n. 111/2023), è stato emanato il D.Lgs. 27 dicembre 2023 n. 209 che ha modificato i criteri di residenza fiscale delle persone fisiche a partire dal periodo d’imposta 2024. Le novità principali introdotte (recepite nell’art. 2 TUIR riformulato) sono:
- L’iscrizione nell’anagrafe residente in Italia diventa una presunzione relativa di residenza fiscale, sempre contestabile con prova contraria. Non è più una presunzione assoluta: il contribuente può dimostrare con elementi oggettivi di fatto di aver stabilito altrove la propria residenza effettiva. Dunque dall’1/1/2024 la permanenza nell’anagrafe italiana da sola non basta a radicare incontestabilmente la residenza fiscale in Italia se vi sono evidenze concrete contrarie.
- Viene introdotto espressamente un nuovo criterio di collegamento: la presenza fisica in Italia. In aggiunta a domicilio e residenza (civilistici), conta il numero di giorni – anche frazioni di giorno – trascorsi fisicamente nel territorio italiano. Se un soggetto soggiorna in Italia per più di 183 giorni in un anno, ciò costituisce un criterio autonomo per qualificarlo come residente fiscale (a prescindere dall’iscrizione anagrafica). La Circolare AdE n. 20/E/2024 ha chiarito che questo requisito è oggettivo, prescindendo dalle motivazioni della presenza (lavoro, vacanza, ecc.), e che ai fini del conteggio si sommano anche periodi non consecutivi e porzioni di giorno.
- Viene ridefinito il concetto di domicilio fiscale ai fini tributari, sganciandolo dalla definizione del codice civile. Dal 2024, per domicilio (fiscale) si intende “il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona”. La nuova nozione privilegia quindi i legami personali/familiari rispetto a quelli economici. In pratica, bisogna guardare soprattutto dove la persona ha il centro stabile della propria vita familiare e sociale (es. convivenza, coniuge/partner, figli a carico, ecc.), più che al luogo degli affari. Questo intervento normativo mira a risolvere incertezze interpretative sorte in passato per il riferimento al domicilio civilistico (che poteva includere prevalenti interessi economici).
- Resta invariato, invece, il criterio della residenza civilistica (dimora abituale) sul territorio italiano: la riforma non ne ha modificato la sostanza, e valgono i chiarimenti già esistenti in dottrina e giurisprudenza su come valutare la dimora abituale (ad esempio, la presenza stabile e continuativa in un luogo come centro di vita quotidiana).
- In tema di trasferimenti in Paesi a fiscalità privilegiata, il D.Lgs. 209/2023 ha attenuato la rigida presunzione prevista in passato. Prima della riforma, l’art. 2 comma 2-bis TUIR stabiliva che i cittadini italiani cancellati dall’anagrafe e trasferiti in Stati “black list” (a tassazione agevolata) erano considerati comunque residenti in Italia salvo prova contraria elevatissima (in pratica era una presunzione quasi assoluta). Dal 2024, anche questa presunzione diventa relativa, ammettendo pienamente la prova contraria da parte del contribuente. Ciò significa che, pur restando un occhio di riguardo sui trasferimenti verso “paradisi fiscali”, il contribuente può dimostrare effettivamente di risiedere all’estero nonostante il Paese meta sia a bassa tassazione. Malta, va detto, non rientra nella lista nera italiana (essendo UE e avendo aliquote formali d’imposta ordinarie, sebbene con regimi agevolativi), quindi questa presunzione specifica non si applica direttamente al caso Malta. In ogni caso la riforma denota un generale allineamento agli standard internazionali ed evita conflitti con la libertà di stabilimento UE.
Sintesi dei criteri dal 2024: un individuo è residente fiscale in Italia se, per più di metà anno, soddisfa almeno uno di questi criteri: (a) iscrizione AIRE assente (quindi risulta iscritto nell’anagrafe italiana) – presunzione relativa; (b) domicilio principale in Italia (luogo dei legami personali/familiari prevalenti); (c) residenza/dimora abituale in Italia; (d) presenza fisica in Italia >183 giorni. L’iscrizione all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) dunque, da sola, non garantisce automaticamente di non essere considerati residenti in Italia, ma è un fattore importante. D’altro canto, la mancata iscrizione all’AIRE comporta di default l’iscrizione nelle anagrafi italiane e quindi scatena la presunzione di residenza in Italia, che sarà onere del contribuente vincere con prova contraria. Su questo punto è intervenuta persino la Legge di Bilancio 2024: l’art. 1 comma 144 della L. 197/2022 (legge di bilancio per il 2023, in vigore dal 2024) ha introdotto sanzioni amministrative per chi omette di iscriversi all’AIRE entro i termini di legge. In particolare, sono previste sanzioni da €200 a €1.000 per ogni anno di mancata iscrizione (per ciascun soggetto non iscritto, inclusi i minori a carico). Questa novità mira a incentivare gli espatriati a regolarizzare la posizione anagrafica, pena multe significative e l’attivazione di controlli tributari più solerti. Infatti, la legge ora prevede persino incentivi ai Comuni e alle autorità perché segnalino situazioni di fatto indicative di residenza all’estero non dichiarata, così da aggiornare l’anagrafe.
AIRE e residenza fiscale: è importante sottolineare che l’iscrizione all’AIRE è un obbligo di legge per chi si trasferisce fuori dall’Italia per oltre 12 mesi, da effettuarsi entro 90 giorni dall’espatrio. Dal punto di vista tributario, essere iscritti all’AIRE è condizione necessaria ma non sempre sufficiente per evitare la residenza fiscale italiana. La Cassazione ha costantemente affermato che occorre guardare alla realtà fattuale oltre che agli aspetti formali: già prima della riforma, diverse pronunce riconoscevano che un soggetto potesse dimostrare di non essere residente in Italia pur non essendo iscritto all’AIRE, ove risultasse contestualmente residente in altro Stato secondo criteri di effettività. Allo stesso modo, anche dopo la riforma, la regola pratica è: se si vive stabilmente all’estero, iscriversi all’AIRE per tempo; se non lo si fa, si rimane residenti per l’Italia e si verrà tassati in Italia su tutti i redditi esteri finché non si formino prove convincenti del contrario. La mancata iscrizione, come confermato anche in pubblicazioni divulgative, crea una sorta di “presunzione assoluta” di residenza in Italia agli occhi del Fisco, quantomeno per i periodi precedenti il 2024. Dall’altro lato, l’iscrizione all’AIRE riduce fortemente il rischio di accertamenti: oltre a essere doverosa per legge, fa sì che molte informazioni finanziarie estere vengano scambiate con il Paese estero di residenza invece che con l’Italia (come vedremo nel capitolo sulla cooperazione internazionale).
Doppia residenza e Convenzione Italia–Malta
Può capitare che un contribuente si trovi in una situazione di doppia residenza fiscale: ad esempio, se secondo le regole interne italiane risulta residente in Italia, ma allo stesso tempo, secondo le regole maltesi, risulta residente anche a Malta (evento non raro per chi trascorre molto tempo in entrambi i Paesi). In tali casi di conflitto, interviene la Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Malta. Italia e Malta hanno stipulato un accordo bilaterale per evitare le doppie imposizioni sul reddito, firmato il 16 luglio 1981 (in vigore dal 8 maggio 1985) e successivamente modificato con Protocollo il 24 novembre 2010. Questa Convenzione, conforme al Modello OCSE, contiene le cosiddette tie-breaker rules (clausole di “scioglimento del pareggio”) per determinare in quale Stato una persona è da considerarsi residente ai fini fiscali in caso di doppia residenza.
Le tie-breaker rules vanno applicate nell’ordine gerarchico stabilito dall’art. 4 della Convenzione Italia-Malta (in linea col Modello OCSE) e sono, in sintesi:
- Abitazione permanente – Si verifica in quale Stato la persona dispone di un’abitazione permanente idonea (una casa a disposizione in modo continuativo). Se la ha in un solo Stato, quello è lo Stato di residenza effettiva. Se ne ha in entrambi, si passa al criterio 2.
- Centro degli interessi vitali – Si determina verso quale Stato la persona ha i legami personali ed economici più stretti (famiglia, lavoro, affari, proprietà significative). È un criterio qualitativo: ad esempio dove risiede la famiglia, dove la persona lavora stabilmente, ecc. Questo criterio è rilevante quando vi siano case in entrambi gli Stati.
- Luogo di soggiorno abituale – Se i primi due criteri non risolvono (ad esempio, la persona ha una casa e legami importanti in entrambi gli Stati), si guarda dove la persona soggiorna abitualmente (dove passa più tempo durante l’anno).
- Nazionalità – Se ancora la residenza è in dubbio, si considera la cittadinanza: se è cittadino di uno solo dei due Paesi, prevale quello. (Nel caso di doppia cittadinanza o nessuna, si passa all’ultimo criterio).
- Procedura amichevole fra Stati – In via residuale, se nessuno dei criteri sopra è risolutivo, le autorità fiscali dei due Stati devono accordarsi tra loro per attribuire la residenza fiscale in modo consensuale.
Grazie a queste regole, in presenza di doppia residenza secondo le leggi interne, l’interessato può ottenere che sia riconosciuta la residenza fiscale effettiva in un solo Stato, prevalendo così la Convenzione sulla normativa interna. La Convenzione Italia-Malta, come tutte le convenzioni internazionali ratificate, ha forza di legge e prevale sulle norme interne in caso di contrasto, in virtù del principio pattizio sancito dall’art. 117 Cost. e riconosciuto dalla giurisprudenza. Ad esempio, se secondo la Convenzione un individuo è residente di Malta, l’Italia deve adeguarsi a tale esito per evitare doppie imposizioni.
Cassazione e Convenzioni: la Corte di Cassazione recentemente ha più volte confermato la prevalenza delle regole convenzionali sul dato formale interno. Una sentenza molto importante è la n. 29463/2024, in cui la Suprema Corte ha riconosciuto che le tie-breaker rules della Convenzione prevalgono sull’iscrizione anagrafica italiana: in quel caso un pensionato, pur non iscritto all’AIRE, ha provato la sua residenza effettiva nel Regno Unito e ha ottenuto il rimborso delle ritenute subite in Italia sulla pensione, spettando la tassazione esclusiva allo Stato di residenza (UK) secondo l’art. 18 della Convenzione. Un altro esempio è Cass. 24205/2024, dove la Corte ha perfino “disapplicato” una norma interna (art. 165 co. 8 TUIR) perché in contrasto con una Convenzione: ha riconosciuto il credito per le imposte estere anche se il reddito estero non era stato indicato nella dichiarazione italiana, poiché la Convenzione con il paese estero obbligava comunque l’Italia a eliminare la doppia imposizione. Tali pronunce ribadiscono che gli accordi internazionali vincolano l’Italia e prevalgono su disposizioni nazionali confliggenti, garantendo la tutela del contribuente emigrato.
Conclusione sui criteri: per un italiano trasferito a Malta, la residenza fiscale dipenderà quindi da un insieme di fattori: regolarità formale (iscrizione AIRE tempestiva, comunicazioni al Comune), effettività sostanziale (dove vive e lavora davvero, dove ha la famiglia, quanti giorni passa nei rispettivi Paesi), ed eventuale applicazione delle tie-breaker rules convenzionali. Se l’Agenzia delle Entrate contesta la residenza estera, il contribuente dovrà difendersi mostrando che, secondo questi criteri, la propria residenza va attribuita a Malta (o comunque fuori d’Italia). Nei prossimi paragrafi vedremo come avvengono tali contestazioni e con quali strumenti il contribuente può far valere le proprie ragioni.
(Vedi tabella 1 per un riepilogo dei criteri di residenza fiscale pre e post riforma 2024.)
Tabella 1: Evoluzione dei criteri di residenza fiscale (persone fisiche)
Criterio | Fino al 2023 (previgente) | Dal 2024 (D.Lgs. 209/2023) |
---|---|---|
Iscrizione anagrafica in Italia | Presunzione assoluta di residenza in Italia (nessuna prova contraria ammessa). | Presunzione relativa di residenza (ammessa prova contraria). |
Domicilio (sede interessi) | Nozione civilistica: sede principale affari e interessi (economici e non). | Nozione fiscale: luogo dei prevalenti rapporti personali e familiari (privilegiati rispetto a interessi economici). |
Residenza (dimora abituale) | Presenza abituale con intento di stabilirsi (no cambiamenti). | Invariato (criterio civilistico, valutazione fattuale della dimora). |
Presenza fisica (>183 giorni) | Non previsto come criterio autonomo (era implicito solo nella residenza civilistica). | Nuovo criterio autonomo: soggiorno fisico in Italia per >183 giorni (anche non consecutivi) fa scattare residenza. |
Trasferimento in Stato a fiscalità privilegiata | Presunzione di residenza in Italia per cittadini italiani in Stati black-list, con prova contraria molto difficile (quasi assoluta). | Presunzione di residenza che diventa relativa: il contribuente può provare di non essere residente in Italia anche se trasferito in Stato a fiscalità agevolata. (Comunque Malta non è black-list per l’Italia). |
Tie-breaker Convenzione | In teoria prevalgono (Convenzione = legge speciale), ma spesso trascurate a favore del dato anagrafico. | Prevalenza esplicita delle Convenzioni: confermata sia da Cassazione recente che da circolare AdE (tie-breaker usabili per risolvere conflitti di residenza anche in presenza di presunzioni interne). |
(Legenda: AIRE = Anagrafe Italiani Residenti Estero; black-list = Paesi a fiscalità privilegiata secondo DM 4/5/1999; tie-breaker = criteri OCSE per risolvere doppia residenza.)
Tipologie di accertamento fiscale dell’Agenzia delle Entrate
Un accertamento fiscale è il procedimento attraverso cui l’Agenzia delle Entrate (spesso con l’ausilio della Guardia di Finanza) verifica la correttezza delle dichiarazioni fiscali del contribuente e, se riscontra anomalie o omissioni, determina maggiori imposte, sanzioni e interessi dovuti. L’atto conclusivo di tale procedimento è comunemente l’avviso di accertamento, cioè il provvedimento notificato al contribuente in cui si contestano ufficialmente imposte non pagate o redditi non dichiarati.
Nel contesto di un italiano che si è trasferito a Malta, le tipologie di accertamento rilevanti possono essere diverse, a seconda della situazione specifica. In generale, il nostro ordinamento prevede vari metodi di accertamento tributario, tra cui i principali sono:
- Accertamento “analitico” (o analitico-contabile) – Basato sull’analisi dettagliata della dichiarazione e della documentazione contabile del contribuente. L’ufficio rettifica le singole voci di reddito o deduzione contestate, partendo dai dati dichiarati e da eventuali prove dirette di maggior reddito. È il metodo “ordinario” di accertamento (disciplinato dall’art. 38 D.P.R. 600/1973) e presuppone che la contabilità sia attendibile, salvo differenze puntuali. Esempio: il contribuente ha dichiarato 50, ma da documenti o controlli risulta che ha percepito 80 – si contesta analiticamente la differenza.
- Accertamento analitico-induttivo – Misto tra analitico e induttivo: l’ufficio parte dai dati contabili ma, riscontrando indizi di inattendibilità (es. irregolarità nei registri, ricavi non coerenti col settore, ecc.), ricostruisce parzialmente il reddito con l’ausilio di presunzioni semplici purché gravi, precise e concordanti. Base normativa: art. 39, co.1, lett. d) DPR 600/73. È tipico nelle imprese quando, pur esistendo una contabilità, emergono discrepanze (es. costi fittizi, ricavi non contabilizzati) tali da giustificare una rettifica basata su elementi presuntivi e comparativi di settore. L’onere di provare il contrario spetta poi al contribuente (che può confutare le presunzioni dimostrando che i fatti sono diversi).
- Accertamento induttivo “puro” (o extracontabile) – L’ufficio determina il reddito prescindendo in toto dalle scritture contabili, quando queste mancano o sono talmente inattendibili da essere disconosciute. Si utilizzano presunzioni semplici anche non gravi e concordanti, dati di fatto esterni, coefficienti, o qualsiasi informazione disponibile. Questo avviene in casi estremi, ad esempio omessa dichiarazione dei redditi o contabilità completamente inesistente/inattendibile (art. 39, co.2 DPR 600/73). In tal caso il fisco ha ampio margine: può desumere il reddito anche solo in base a indizi non particolarmente solidi, dati i gravi inadempimenti del contribuente. Ad esempio, se un soggetto non presenta proprio la dichiarazione, l’Agenzia può quantificare il reddito in via induttiva basandosi sui movimenti bancari o sul tenore di vita noto, invertendo l’onere della prova.
- Accertamento sintetico (redditometro) – È un metodo mirato alle persone fisiche, disciplinato dall’art. 38 DPR 600/73. Consente di ricostruire induttivamente il reddito complessivo di un contribuente sulla base di elementi e indicatori di capacità di spesa o incremento patrimoniale. In pratica, il fisco utilizza dati relativi al tenore di vita (acquisto di beni di lusso, auto, barche, proprietà immobiliari, spese sostenute, investimenti, ecc.) per “stimare” il reddito presunto che giustifica quelle spese. Se il reddito presunto (calcolato con appositi coefficienti ministeriali o algoritmi del redditometro) eccede di oltre il 20% il reddito dichiarato, l’ufficio può chiedere chiarimenti e poi procedere ad accertamento sintetico. Ad esempio, se Tizio dichiara redditi minimi ma acquista una villa e un’auto costosa, l’Agenzia presume redditi occultati. Va comunque sempre garantito il contraddittorio col contribuente, che può giustificare le spese con redditi esenti, risparmi pregressi, somme avute da terzi, ecc. L’accertamento sintetico risulta particolarmente insidioso per chi sostiene in Italia spese ingenti pur risultando formalmente residente all’estero: l’Agenzia potrebbe ritenere quei soldi frutto di redditi non dichiarati in Italia (dando per scontato che il soggetto fosse in realtà residente e tenuto a dichiararli). Ad oggi esiste anche lo strumento del “risparmiometro” e l’incrocio di dati bancari per rilevare aumenti patrimoniali non giustificati.
- Accertamento patrimoniale/finanziario – Più che una categoria a sé, è un insieme di poteri istruttori che sfociano in accertamenti analitici o induttivi. L’art. 32 DPR 600/73 consente agli uffici di effettuare indagini finanziarie: acquisire dai bank data su conti correnti, investimenti, movimenti di denaro del contribuente (anche all’estero tramite scambio di informazioni). Se emergono entrate sui conti non giustificate da redditi dichiarati, tali somme possono essere presunte come redditi sottratti a tassazione (salvo prova contraria del contribuente che dimostri, ad esempio, che erano trasferimenti da conto proprio, donazioni familiari, disinvestimenti, ecc.). Nel contesto di un italiano a Malta, l’Agenzia potrebbe usare le segnalazioni bancarie (anche estere, via Common Reporting Standard o FATCA) per individuare disponibilità finanziarie non compatibili col reddito noto e farne base di un accertamento.
- Accertamento “parziale” – Previsto dall’art. 41-bis DPR 600/73, consente di rettificare singoli redditi o imponibili senza dover ricalcolare l’intero reddito complessivo. È utilizzato spesso per contestazioni mirate, ad esempio l’emersione di un conto estero non dichiarato o di un reddito estero non dichiarato. Con l’accertamento parziale l’ufficio emette un avviso limitato a quel rilievo (es: “hai percepito €50.000 di redditi esteri non dichiarati, ti tassiamo su quelli”), senza precludere ulteriori accertamenti sul resto in futuro. Questa modalità è molto comune in caso di scambio di informazioni: se, ad esempio, Malta comunica all’Italia che un cittadino italiano aveva degli interessi bancari o dividendi non dichiarati, l’Agenzia può notificare un accertamento parziale per tassare tali somme. Il vantaggio per il fisco è la rapidità (l’istruttoria è più semplice e non richiede di analizzare la posizione completa) e la tempestività nell’incassare l’imposta evasa su quel reddito.
- Accertamento d’ufficio per omessa dichiarazione – Quando il contribuente non presenta la dichiarazione dei redditi (omissione), l’amministrazione può procedere all’accertamento d’ufficio (art. 41 DPR 600/73). In tal caso non c’è una base dichiarata da rettificare: l’ufficio determina il reddito imponibile in via presuntiva, utilizzando tutte le informazioni disponibili. Per un italiano che si è trasferito a Malta e ha ritenuto di non dover più presentare dichiarazione in Italia (perché convinto di non esservi più residente), l’Agenzia potrebbe considerare ciò un caso di “omessa dichiarazione”. Se l’ufficio ritiene che in realtà il soggetto fosse residente in Italia in quell’anno, effettuerà un accertamento d’ufficio per quantificare i redditi non dichiarati. Può basarsi, ad esempio, sui dati dei redditi esteri eventualmente comunicati da Malta (stipendi, pensioni, utili societari, ecc.), oppure su evidenze di spesa o investimenti. L’accertamento d’ufficio è molto insidioso perché sposta il peso della prova sul contribuente: l’ufficio notifica un reddito (spesso stimato per difetto con margine, ma a volte con aggiunta di redditi presunti) e sarà poi il contribuente a dover dimostrare, in sede di impugnazione, che quel reddito non esiste o che non era tenuto a dichiararlo.
- Accertamento con adesione (strumento deflattivo) – Tecnicamente non è una tipologia di accertamento ma una procedura di definizione facoltativa successiva al rilievo. Consiste nella possibilità per il contribuente di presentare un’istanza di adesione dopo aver ricevuto un avviso di accertamento (o prima che sia notificato, dopo un processo verbale di constatazione), per cercare un accordo con l’ufficio sulle somme dovute (D.Lgs. 218/1997). L’adesione consente di ridurre le sanzioni a 1/3 del minimo e di ottenere uno sconto evitando il contenzioso. Nell’ambito che trattiamo, l’accertamento con adesione potrebbe essere utilizzato, ad esempio, se il contribuente riconosce parte della pretesa (es. ammette di aver mantenuto residenza in Italia fino a una certa data) e vuole chiudere la pendenza pagando il dovuto con sanzioni ridotte, anziché affrontare un lungo giudizio. La presentazione dell’istanza sospende i termini per il ricorso e apre un contraddittorio con l’ufficio.
Da notare che tutte queste forme di accertamento possono combinarsi. Ad esempio, l’Agenzia potrebbe effettuare un accertamento sintetico basato sul tenore di vita, contestando al contribuente (formalmente residente estero) che dispone di capacità contributiva non spiegata e presumendo redditi occultati soggetti a tassazione in Italia; tale accertamento spesso viene poi seguito da un accertamento d’ufficio per omessa dichiarazione, visto che il soggetto non aveva presentato la dichiarazione dei redditi. Oppure, in caso di singoli redditi esteri non dichiarati, si userà l’accertamento parziale.
Accertamento “esecutivo”: va segnalato che oggi gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate valgono anche come atti esecutivi per la riscossione. Ciò significa che decorsi i termini di impugnazione, l’avviso diventa immediatamente eseguibile e l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) può avviare le procedure di recupero coattivo senza bisogno di emettere una cartella separata. Anche prima della scadenza dei termini, se il contribuente presenta ricorso, la legge prevede comunque l’obbligo di versare una quota provvisoria dell’imposta accertata (di regola 1/3) nelle more del giudizio. Ritorneremo su questi aspetti procedurali nella sezione sui profili processuali, perché influenzano la strategia da adottare subito dopo aver ricevuto un accertamento.
Contestazioni tipiche nei confronti degli ex-residenti trasferiti a Malta
Passiamo ora a esaminare le contestazioni più frequenti che l’amministrazione finanziaria muove verso i contribuenti che si sono trasferiti a Malta (o in generale all’estero) e che sono oggetto di accertamento. Dal punto di vista dell’Agenzia delle Entrate, il filo conduttore di queste contestazioni è verificare se il contribuente abbia realmente perso la residenza fiscale in Italia o se, invece, continui ad essere tassabile come residente italiano. Inoltre, l’Agenzia punta a recuperare le eventuali imposte evase su redditi esteri non dichiarati in Italia o sanzionare violazioni di monitoraggio fiscale (es. mancata dichiarazione di conti esteri).
Ecco le situazioni più tipiche:
1. Residenza estera fittizia o simulata: Questa è la contestazione più comune e significativa. Si verifica quando l’Agenzia ritiene che il contribuente abbia dichiarato di trasferirsi a Malta solo formalmente, ma in realtà abbia mantenuto il centro dei propri interessi in Italia. In pratica si parla di “esterovestizione” della persona fisica o di residenza “fittizia” all’estero. Gli elementi che l’ufficio valuta per sostenere ciò includono:
- Mancata iscrizione all’AIRE o iscrizione tardiva: Se il contribuente non risulta iscritto all’AIRE, di base è considerato residente in Italia (come visto). Anche un’iscrizione avvenuta con molto ritardo rispetto all’effettiva partenza può insospettire, perché lascia periodi “scoperti” in cui formalmente era ancora residente in Italia.
- Famiglia rimasta in Italia: Se coniuge/partner e figli del contribuente continuano a vivere in Italia (casa di famiglia in Italia, figli che frequentano scuole in Italia, ecc.), l’Agenzia può sostenere che il centro degli interessi vitali sia rimasto in Italia, indipendentemente dal fatto che il soggetto abbia preso residenza a Malta. I legami familiari sono considerati un indicatore fortissimo di domicilio fiscale; un espatrio “solo individuale” spesso non basta a spostare la residenza fiscale se la famiglia resta indietro.
- Abitazione disponibile in Italia: Se la persona continua ad avere un’abitazione permanente in Italia (es. mantiene la proprietà o l’affitto di una casa dove abitava, con utenze attive, ecc.), ciò è un indizio che potrebbe ancora risiedere lì. L’Agenzia verifica ad esempio bollette elettriche, consumi telefonici, spese condominiali: un consumo significativo può indicare presenza fisica e vita quotidiana in Italia. Anche il possesso di auto immatricolate in Italia e il loro utilizzo sul territorio nazionale possono essere monitorati.
- Presenza fisica e frequentazione del territorio italiano: Grazie ai sistemi informativi e ai controlli di frontiera, si possono tracciare i movimenti delle persone. Ad esempio, se risultano numerosi e prolungati soggiorni del contribuente in Italia (magari più di 183 giorni sommando vari ingressi), ciò contrasta con la pretesa di residenza stabile a Malta. Attualmente con i nuovi criteri, la presenza fisica è determinante: se l’Agenzia documenta che il soggetto era in Italia per la maggior parte dell’anno (es. usando dati di voli aerei, celle telefoniche, tracciamenti di carte di credito), può sostenere la residenza fiscale in Italia.
- Interessi economici prevalenti in Italia: Se il contribuente, pur avendo formalmente trasferito la residenza, continua a svolgere in Italia la sua attività lavorativa principale o dirige affari in Italia, ciò è un indice di domicilio in Italia. Ad esempio: amministratore di società italiane, titolare di partita IVA in Italia, socio di controllo di imprese italiane attivamente gestite, presenza di una stabile organizzazione nel territorio, etc. Oppure se percepisce la maggior parte del reddito da fonti italiane (salvo i casi di pensionati che hanno trattamenti speciali convenzionali).
- Assenza di reale integrazione a Malta: L’Agenzia potrebbe anche cercare di dimostrare in negativo che a Malta l’individuo non ha effettivamente trasferito il proprio centro vitale. Ad esempio: domicilio “di comodo” (come solo un indirizzo presso uno studio o un appartamento in condivisione usato sporadicamente), nessuna attività lavorativa effettiva svolta a Malta, nessuna traccia di vita sociale o familiare sull’isola. Tutto ciò suggerirebbe che la residenza maltese è soltanto cartolare. Al contrario, se uno sposta realmente la vita a Malta, di solito vi registra contratti di lavoro, acquista o affitta casa a lungo termine, iscrive i figli a scuola lì, ecc.
In situazioni di contestata residenza fittizia, l’Agenzia spesso elabora un quadro d’insieme: raccoglie quanti più elementi possibile (come un mosaico) per sostenere che in concreto il contribuente è rimasto un residente italiano. Va detto che questa attività è aumentata molto negli ultimi anni proprio per via dei numerosi casi scoperti di residenze estere simulate. L’Agenzia dispone oggi di liste selettive di soggetti da controllare, elaborate incrociando dati nazionali e internazionali. Alcuni indicatori di rischio specifici vengono utilizzati (lo vedremo meglio nel capitolo successivo sulla cooperazione). Anche i veri espatriati possono finire sotto esame se presentano anomalie (es. hanno ancora beni in Italia attivi), quindi l’accertamento sulla residenza non implica automaticamente malafede: è un controllo per appurare la situazione, che coinvolge inevitabilmente chi ha legami con due Paesi.
**2. Omissione di redditi esteri in dichiarazione (Quadro RW e redditi imponibili): Un altro filone di contestazioni riguarda il fatto che, se il contribuente doveva essere considerato residente in Italia in un certo anno, avrebbe dovuto dichiarare tutti i suoi redditi, compresi quelli prodotti a Malta o altrove all’estero. Pertanto l’Agenzia, una volta stabilita (o presunta) la residenza italiana, procederà a recuperare le imposte sui redditi esteri non dichiarati in Italia. Tipicamente, i redditi esteri possono includere: stipendi o compensi da lavoro a Malta, pensioni, dividendi e interessi da investimenti a Malta, utili di società maltesi distribuiti, plusvalenze finanziarie, ecc. Tali redditi, se si è residenti in Italia, sono imponibili in Italia (salvo evitare la doppia imposizione tramite crediti d’imposta estera, laddove previsti dalla Convenzione). Dunque l’avviso di accertamento conterrà spesso un ricalcolo dell’IRPEF dovuta su quegli importi. Ad esempio: “Nel 2023 hai percepito €100.000 di dividendi dalla società X a Malta, che non risultano dichiarati – li tassiamo in Italia al tuo scaglione IRPEF, con sanzione per infedele dichiarazione/omessa dichiarazione”.
Oltre ai redditi, rileva anche il monitoraggio fiscale: i residenti in Italia sono tenuti a dichiarare nel Quadro RW del Modello Redditi gli investimenti e attività finanziarie detenute all’estero (conti correnti, depositi, partecipazioni estere, immobili esteri, etc.), ai fini dell’IVAFE/IVIE e del monitoraggio antievasione (D.L. 167/1990). Un soggetto che si credeva non residente potrebbe non aver compilato il quadro RW. L’Agenzia potrebbe contestare la mancata compilazione del quadro RW e applicare le relative sanzioni (che vanno dal 3% al 15% degli importi non dichiarati, raddoppiate se l’attività è in Paese black-list, ex art. 5 D.L. 167/90). Ad esempio, se il contribuente aveva un conto in una banca maltese con saldo di €200.000 e non l’ha indicato, gli verrà contestata l’omessa dichiarazione di attività estere con sanzione (oltre ad eventuale tassazione di rendimenti non dichiarati).
Le informazioni su conti e beni esteri oggi arrivano al fisco italiano tramite lo scambio automatico di informazioni (sistema CRS) e accordi internazionali. Un caso concreto: se una banca maltese comunica alle autorità maltesi che il Sig. Rossi (italiano AIRE a Malta) ha un conto con saldo elevato e redditi di interessi, Malta a sua volta potrebbe scambiare tali dati con l’Italia se il Sig. Rossi risulta residente fiscale italiano; se invece è formalmente residente maltese, i dati restano a Malta. Nel dubbio, l’Agenzia italiana comunque può venire a conoscenza di questi asset per altre vie (controlli sui trasferimenti di capitali, segnalazioni di operazioni sospette, etc.). Dunque, un accertamento tipico includerà: contestazione di imposte evase su redditi esteri non dichiarati e contestazione di violazioni RW.
**3. Utilizzo di schemi societari maltesi (esterovestizione di società): Molti imprenditori o professionisti che si trasferiscono a Malta istituiscono società o strutture giuridiche maltesi (Ltd, International Holding, trust, ecc.) per usufruire del regime fiscale locale (ad esempio la nota refund degli azionisti che riduce l’imposta effettiva delle società al 5% circa). L’Agenzia delle Entrate può guardare con sospetto a tali schemi, ipotizzando fenomeni di esterovestizione societaria o interposizione fittizia. In pratica, può sostenere che la società maltese sia solo schermo e che la sede effettiva di direzione della società sia rimasta in Italia, con conseguente obbligo per la società stessa di essere considerata residente in Italia (art. 73 TUIR) e tassazione degli utili in Italia. Oppure che i redditi prodotti formalmente dalla società maltese in realtà vadano imputati direttamente alla persona fisica (come redditi di fonte italiana o redditi da attività autonoma svolta in Italia). Ad esempio: se un consulente italiano apre una Ltd a Malta e fattura tramite essa servizi resi però prevalentemente a clienti e con attività svolta in Italia, il fisco potrebbe contestare che quella società è esterovestita (gestita dall’Italia) e che i compensi in realtà andavano tassati in Italia come reddito di lavoro autonomo del consulente.
Analogamente, in ambito societario, esiste una presunzione di residenza in Italia per le società ed enti localizzati in Stati a fiscalità privilegiata se controllati da soggetti italiani (anche questa presunzione dal 2024 è divenuta relativa e confutabile con prova contraria). Malta di per sé non è nella black list per le società (soprattutto dopo l’ingresso in UE), ma il fisco può comunque, in base a indizi, contestare la mancata sostanza economica di strutture maltesi.
Nel contesto di questa guida (focalizzata sulla persona fisica “debitore”), questa tipologia di contestazioni ha riflessi sul contribuente perché se la società estera viene riqualificata residente in Italia o interposta, il soggetto potrebbe dover dichiarare in Italia i redditi societari o essere sanzionato per omessa dichiarazione di partecipazioni estere (oltre a eventuale applicazione delle norme CFC – Controlled Foreign Companies – se applicabili). Le contestazioni di esterovestizione societaria sono abbastanza complesse e richiedono all’Agenzia di provare che le decisioni venivano prese in Italia (sede dell’amministrazione effettiva) o che l’entità estera era un puro schermo. Ad esempio, elementi probatori possono essere: riunioni e delibere in Italia, amministratori di comodo, assenza di uffici/struttura reale a Malta, conti movimentati dall’Italia, ecc. Per il contribuente, difendersi da tali accuse significa dimostrare la reale autonomia e operatività estera della società (personale locale, ufficio, attività svolta a Malta, ecc.) e/o che la gestione non faceva capo a lui dall’Italia.
**4. Altre violazioni specifiche: In aggiunta, possono emergere contestazioni ulteriori come: omesso versamento di imposte sostitutive (es. IVIE/IVAFE su beni all’estero, se residualmente dovute), violazioni IVA (se il soggetto operava con partita IVA italiana e ha omesso adempimenti), oppure questioni legate al recupero di agevolazioni indebitamente fruite (ad esempio se prima di espatriare ha beneficiato di regimi speciali in Italia decaduti per trasferimento). Nel caso di lavoratori frontalieri o espatriati, si verificano a volte problematiche di detrazioni non spettanti o crediti d’imposta estera richiesti indebitamente. Tuttavia, queste sono situazioni particolari. La grande parte dei casi ruota attorno ai punti 1 e 2: residenza effettiva e tassazione dei redditi esteri.
Come impostano l’accertamento: Proceduralmente, l’Agenzia delle Entrate, spesso prima di emettere l’avviso di accertamento, invia al contribuente un questionario o invito a fornire chiarimenti (ai sensi dell’art. 32 DPR 600/73) sulla propria posizione. Ad esempio, potrebbe richiedere di compilare un questionario indicando: periodo di espatrio, domicilio estero, componenti del nucleo familiare e loro residenza, proprietà immobiliari, movimenti finanziari, attività lavorativa svolta a Malta, ecc. In questa fase il contribuente ha la chance di fornire spiegazioni e documenti. Se le risposte non sono convincenti o non vengono date, l’ufficio procederà con l’accertamento formale. In altri casi, l’accertamento può scaturire a seguito di un Processo Verbale di Constatazione (PVC) della Guardia di Finanza, che avendo svolto accertamenti sul campo (magari pedinamenti per verificare dove vive la persona, controlli ai vicini, ecc.) redige un verbale conclusivo proposto all’Agenzia.
Durante l’accertamento, l’attività probatoria del fisco è a largo raggio: sfrutta banche dati pubbliche (Anagrafe Tributaria), scambi internazionali di informazioni (cfr. capitolo successivo), evidenze documentali (biglietti aerei, tabulati telefonici, consumi utenze), testimonianze, persino social network (post geolocalizzati che contraddicano la residenza dichiarata). Il contribuente può vedersi contestare persino foto o bollettini medici per provare la sua presenza in Italia in certi periodi.
In questa fase, ogni elemento inusuale genera sospetto: ad esempio, movimenti di capitali tra Italia e Malta (significativi bonifici in entrata o uscita) attivano segnalazioni; la titolarità di cariche sociali in Italia viene monitorata; la disponibilità di autoveicoli e i passaggi di frontiera sono incrociati. Il tutto per individuare possibili “anomalie” che facciano emergere situazioni sospette di residenza estera non effettiva o evasione. La mole di dati oggi disponibile (grazie a normative UE – v. Direttive 2011/16/UE, 2014/107/UE – e accordi come FATCA e CRS) consente al fisco di avere un quadro abbastanza dettagliato. Ad esempio, la Cassazione in passato ha considerato legittimo l’uso di dati sui voli aerei (frequenza di rientri) per avvalorare la residenza in Italia di un soggetto AIRE all’estero.
Riassumendo, le contestazioni tipiche ruotano attorno a: “Lei in realtà era ancora residente in Italia” e “Lei non ha dichiarato redditi/attività estere al fisco italiano come avrebbe dovuto”. Nel prossimo capitolo, esamineremo come l’Italia ottiene informazioni da Malta e altre nazioni (cooperazione internazionale), dopodiché passeremo alle possibili strategie difensive del contribuente di fronte a tali contestazioni.
Cooperazione internazionale tra Italia e Malta in materia fiscale
Nel contesto di accertamenti che coinvolgono residenze e redditi esteri, è fondamentale comprendere come le autorità italiane e maltesi cooperano e si scambiano informazioni. L’epoca del segreto bancario e dei “paradisi fiscali” impermeabili è ormai terminata (soprattutto all’interno dell’UE): oggi vigono meccanismi di trasparenza e mutua assistenza che consentono al fisco italiano di ottenere molti dati relativi ai propri contribuenti emigrati.
Ecco i principali strumenti di cooperazione Italia-Malta:
1. Direttive UE sulla cooperazione amministrativa (DAC): L’Unione Europea ha emanato diverse direttive per la cooperazione fiscale tra Stati membri. La Direttiva 2011/16/UE (DAC1), recepita in Italia, prevede lo scambio di informazioni su richiesta, spontaneo e automatico tra le amministrazioni finanziarie. Un importante ampliamento è avvenuto con la Direttiva 2014/107/UE (DAC2), che ha introdotto lo scambio automatico dei conti finanziari su base annuale (aderendo allo standard CRS dell’OCSE). In pratica, le banche e istituzioni finanziarie di ogni Stato UE raccolgono dati sui conti detenuti da soggetti fiscali residenti in altri Stati UE e li trasmettono annualmente allo Stato di residenza di quei soggetti.
- Esempio: Una banca maltese identifica un correntista come “residente fiscale in Italia” (sulla base delle informazioni fornitegli, es. indirizzo di residenza, codice fiscale, autocerificazioni). A fine anno, invia ai fiscali maltesi i dettagli del conto (saldo, interessi, dividendi, ecc.), e l’amministrazione maltese li trasmette automaticamente all’Italia. L’Italia quindi viene a sapere che il Sig. Rossi, formalmente residente in Italia secondo la banca, aveva tot soldi e redditi in Malta.
- Se invece il correntista risulta “residente fiscale a Malta” (ad esempio perché iscritto AIRE con indirizzo maltese), la banca maltese invierà i dati a Malta e non all’Italia. Questo dettaglio evidenzia l’importanza dell’iscrizione AIRE: gli intermediari finanziari fanno affidamento su quelle informazioni per lo scambio CRS. Nel nostro caso: un italiano AIRE a Malta con conto in Estonia -> l’Estonia scambierà i dati con Malta (Stato di residenza dichiarata) e non con l’Italia. Invece un italiano non AIRE (quindi presumibilmente residente in Italia per i registri) con conto a Malta -> Malta invierà i dati all’Italia.
Oltre ai conti finanziari, la cooperazione DAC prevede scambi automatici di altre categorie: redditi da lavoro, pensioni, proprietà immobiliari, rulings fiscali, schemi di pianificazione fiscale aggressiva (DAC6), e in futuro criptovalute (DAC8). Insomma, c’è una maglia fitta di informazioni che annualmente circolano tra Italia e Malta. Questo spiega perché l’Agenzia delle Entrate dispone di liste selettive di soggetti AIRE da controllare: ricevono dati magari anomali (es. l’interessato risulta avere grossi redditi esteri ma è AIRE da poco) e li inseriscono in liste di analisi.
2. Accordi bilaterali e Convenzione contro le doppie imposizioni: La Convenzione Italia-Malta (1981) all’art. 26 prevede lo scambio di informazioni su richiesta tra le autorità competenti. Ciò significa che, al di fuori del flusso automatico, l’Agenzia delle Entrate può fare una richiesta specifica a Malta per ottenere informazioni su un contribuente (ad es: “Confermami se Tizio è considerato residente fiscale da voi nel 2022, e quali redditi ha dichiarato in Malta in quell’anno”). Malta può rispondere fornendo i dati richiesti, in virtù dell’obbligo convenzionale di assistenza nella prevenzione dell’evasione fiscale. Queste richieste ad hoc sono utilizzate quando servono elementi mirati (es. un contratto di lavoro, la copia di una dichiarazione dei redditi maltese, ecc.) per suffragare una posizione in un contenzioso.
Inoltre, la Convenzione stessa serve come strumento per risolvere le doppie residenze come visto, e c’è una procedura amichevole (Mutual Agreement Procedure – MAP) prevista per i casi di doppia imposizione o doppia residenza non risolvibili automaticamente. Un contribuente che si vede tassato su stessi redditi sia in Italia che a Malta può attivare il MAP affinché le due autorità trovino un accordo ed evitino la doppia tassazione. Questo è un ulteriore livello di tutela (anche se non rapido) che esula dal processo giudiziario interno.
3. Scambio spontaneo e collaborazione investigativa: Oltre al canale formale, esistono forme di cooperazione diretta. Ad esempio, EUROFISC per l’IVA e le frodi carosello, ma per le imposte dirette i funzionari possono cooperare nell’ambito di task force internazionali. Non è da escludere che, in casi eclatanti, l’Italia chieda a Malta di effettuare verifiche sul campo (cosa prevista da DAC3 per controlli simultanei e presenze di funzionari di uno Stato sul territorio dell’altro). Questo è più raro ma possibile se, ad esempio, serve verificare se un certo soggetto vive davvero dove dice a Malta.
Malta, pur essendo a volte considerata un “soft tax country”, collabora pienamente in ambito UE. Ha implementato CRS, FATCA (per scambio con gli USA), e firmato la Convenzione Multilaterale OCSE sull’assistenza amministrativa. Ci sono state frizioni sull’aspetto dei programmi di cittadinanza/residenza per investimenti (criticati dall’OCSE), ma sul piano dello scambio fiscale standard Malta non può sottrarsi.
4. Assistenza nel recupero dei crediti tributari: Un aspetto spesso trascurato è che, se un contribuente che si è trasferito a Malta viene definitivamente ritenuto debitore di imposte in Italia (ad esempio dopo sentenza passata in giudicato), l’Italia può attivare la mutua assistenza per la riscossione. Esiste una direttiva UE (2010/24/UE) recepita in Italia col D.Lgs. 149/2012, che consente agli Stati membri di recuperare coattivamente le imposte per conto l’uno dell’altro. In pratica, l’Italia può chiedere a Malta di riscuotere un certo credito fiscale italiano nei confronti di un soggetto che ora risiede a Malta, come se fosse un tributo maltese. Malta, previa verifica che il titolo sia valido e definitivo, procederà a notifiche e esecuzioni forzate sul proprio territorio (stipendi, conti, immobili) in base alla richiesta italiana. Questo strumento impedisce di sfuggire ai debiti fiscali semplicemente cambiando paese all’interno dell’UE. È importante sottolinearlo dal punto di vista del debitore: se si perde un contenzioso e si riceve una cartella esattoriale in Italia, trasferirsi a Malta o starci già non immunizza dal pagamento – le autorità maltesi possono essere incaricate di riscuotere (e viceversa, ovviamente).
5. Cooperazione penale: In caso di reati tributari (evasione fiscale penalmente rilevante), entra in gioco anche la cooperazione giudiziaria. Ad esempio, per un reato di omessa dichiarazione o dichiarazione infedele, possono attivarsi indagini della Procura italiana e, se il soggetto è a Malta, si potrebbe ricorrere a mandati di arresto europei o rogatorie per ottenere prove. Questo è un estremo che fortunatamente si verifica solo in casi di evasione ingente e dolosa. Comunque è utile sapere che gli ordinamenti si assistono anche sul fronte penale (sia Italia che Malta aderiscono al Mandato d’Arresto Europeo e convenzioni di estradizione per reati fiscali gravi).
In sintesi, Italia e Malta condividono informazioni finanziarie e fiscali in molteplici modi. L’Agenzia delle Entrate italiana ha accesso (direttamente o tramite richiesta) a dati sui redditi e patrimoni detenuti a Malta dai cittadini italiani. Questo flusso informativo alimenta gli accertamenti: come spiegava un esperto, ogni anno vengono prodotte liste di possibili evasori basate su dati europei e internazionali. Il contribuente non deve quindi pensare di poter “sparire dai radar” spostandosi a Malta: se rimane formalmente residente italiano o anche solo se esistono discrepanze evidenti, è molto probabile che le autorità se ne accorgano.
Per fare un esempio concreto di cooperazione: la Risposta a interpello n. 370/2023 dell’Agenzia delle Entrate ha chiarito che in caso di doppia residenza Italia/UK bisogna applicare la Convenzione, e l’Agenzia citava di aver ricevuto dal Regno Unito la conferma dei giorni di presenza del contribuente. Similmente, tra Italia e Malta vi può essere scambio di prove (es. certificati di residenza maltese, ecc.). La Circolare Assonime n. 25/2024 auspicava persino di formalizzare un interpello internazionale sulla residenza: cioè dare modo al contribuente di ottenere un riconoscimento preventivo della propria residenza estera tramite accordo tra le due amministrazioni.
Alla luce di ciò, è evidente che un contribuente deve curare attentamente sia gli aspetti formali (registrazioni, comunicazioni al Comune, indicare l’indirizzo estero all’Agenzia per eventuali notifiche) sia quelli sostanziali, perché i dati “viaggiano” tra Italia e Malta. Ora che abbiamo compreso come l’Agenzia può venire in possesso di informazioni e costruire un caso, passiamo alle strategie difensive che il contribuente può adottare per far valere le proprie ragioni e contestare un accertamento ingiustificato.
Strategie difensive e strumenti di tutela del contribuente
Dal punto di vista del contribuente (debitore) che riceve un accertamento dell’Agenzia delle Entrate contestando la residenza fiscale o imponendo tassazione su redditi esteri, è essenziale predisporre una difesa accurata e documentata. Le strategie difensive mirano sia a dimostrare i fatti (ad es. l’effettiva residenza a Malta) sia a far valere i diritti legali (ad es. l’applicazione della Convenzione contro le doppie imposizioni, errori procedurali dell’ufficio, ecc.).
Ecco una panoramica delle principali linee difensive e strumenti utilizzabili:
1. Raccolta delle prove di effettiva residenza estera: La prima cosa da fare è raccogliere tutti gli elementi oggettivi che confermano che il contribuente ha realmente trasferito il proprio centro di vita a Malta nel periodo in esame. La prova della residenza effettiva è di solito a carico del contribuente, soprattutto se è iscritto all’AIRE (presunzione relativa da vincere). Pertanto, è cruciale presentare un “dossier” probatorio robusto. Questo può includere:
- Certificato di residenza fiscale maltese: Si può richiedere alle autorità maltesi (Commissioner for Revenue) un certificato ufficiale attestante che il soggetto è considerato residente fiscale a Malta per i periodi X e Y. Questo documento, emesso secondo le regole maltesi (es. presenza oltre 183 giorni), ha un forte valore persuasivo, pur non vincolando da solo l’Italia, specie se è in atto un conflitto di residenza convenzionale. Tuttavia, mostra che anche Malta riconosce la persona come propria residente, avvalorando la tesi difensiva.
- Contratti di locazione o acquisto casa a Malta: Un contratto di affitto a lungo termine o l’atto di acquisto di un immobile a Malta, con decorrenza coincidente col trasferimento, è una prova concreta che la persona ha stabilito una dimora permanente lì. Meglio ancora se si può dimostrare l’utilizzo dell’immobile (bollette, foto, testimonianze di vicini, ecc.).
- Bollettini di utenze e consumi a Malta: Bollette di luce, acqua, internet intestate al contribuente presso l’indirizzo maltese, con consumi regolari, dimostrano presenza abituale in quella abitazione. Parimenti, se la persona possiede un’auto a Malta con registrazione locale e relative spese (carburante, assicurazione) ciò indica radicamento.
- Documenti di lavoro/impresa a Malta: Se il contribuente lavora a Malta, il contratto di lavoro con un datore maltese, le buste paga, eventuali dichiarazioni dei redditi presentate a Malta (Income Tax Return) che includono quei redditi, sono prove importanti. Nel caso di attività autonoma o impresa, l’esistenza di un ufficio a Malta, contratti con clienti maltesi, iscrizione a registri locali, licenze commerciali maltesi, etc., mostrano che l’attività economica principale è colà svolta.
- Iscrizioni e legami personali a Malta: La difesa può esibire ad esempio l’iscrizione del contribuente al servizio sanitario maltese, iscrizione a circoli, palestre, associazioni locali, eventuali abbonamenti (es. abbonamento telefonico maltese, abbonamento TV via cavo locale, ecc.). Se vi sono figli, l’iscrizione di eventuali figli a scuole di Malta o asili è un indicatore fortissimo (se la famiglia segue, il centro di interessi vitali si sposta con essa). Certificati di iscrizione in parrocchia o altro possono persino avere un peso.
- Tracciati dei viaggi e permanenza: Spesso l’Agenzia contesta su base di ingressi/uscite. Il contribuente può presentare i timbri sul passaporto (anche se tra UE non c’è timbro, ma per periodi extra-Schengen sì), i biglietti aerei, i registri di voli per dimostrare che non ha superato i 183 giorni in Italia e li ha invece trascorsi a Malta. Ad esempio, estrarre dalle e-mail le prenotazioni di voli, riservazioni di hotel a Malta, eventuali registrazioni di presenza (oggi alcuni usano app di tracciamento per motivi fiscali). Se l’Agenzia ha calcolato giorni di presenza, controbattere con un calendario dettagliato degli spostamenti, allegando prove (carte d’imbarco, pedaggi autostradali in Malta, spese con carta nei due Paesi per localizzare dove era la persona un certo giorno, ecc.). Grazie alle transazioni su carte di credito, si può ricostruire giorno per giorno in che nazione ci si trovava (scontrini, estratti conto con indicazione paese/esercente).
- Utilizzo di conti bancari e carte locali vs italiane: Se la persona ha chiuso i conti italiani e opera solo con conti maltesi per le spese quotidiane, mostrando gli estratti conto maltesi si evidenzia che spendeva per vivere a Malta (affitto, bollette, spesa al supermercato locale, ecc.), mentre in Italia non comparivano spese di vita corrente. Questo tipo di evidenza indiretta può convincere che il baricentro di vita era effettivamente in Malta.
- Testimonianze: In un eventuale contenzioso si possono anche portare dichiarazioni testimoniali o affermazioni sostitutive di atto notorio da parte, ad esempio, del datore di lavoro maltese, dei vicini di casa a Malta, di colleghi, che confermino la presenza stabile dell’individuo lì durante l’anno. Nel processo tributario la testimonianza è limitata, ma dichiarazioni rese in sede di verifica o documenti firmati da terzi possono avere un peso indiziario.
L’obiettivo è costruire un quadro complessivo coerente che contraddica la tesi dell’Agenzia. Ad esempio, se il fisco dice: “Secondo noi nel 2022 eri più in Italia che a Malta, perché hai una casa in Italia e la tua famiglia era lì”, il contribuente dovrà mostrare: la casa in Italia era vuota o utilizzata occasionalmente (utenze minime), la famiglia magari l’ha raggiunto successivamente ma lui era intanto fisso a Malta (dimostrato da affitto, lavoro, etc.), i giorni in Italia erano solo per brevi visite (mostrando i voli di ritorno), e così via.
2. Invocare la Convenzione contro le doppie imposizioni (tie-breaker): Oltre a provare i fatti, il contribuente deve giocare le sue carte legali. Se si configura un conflitto di doppia residenza, occorre invocare l’applicazione della Convenzione Italia-Malta e in particolare delle tie-breaker rules. Ad esempio, se il contribuente era iscritto all’anagrafe italiana (quindi formalmente residente per l’Italia) ma sostiene di essere residente effettivo a Malta, può richiamare l’art. 4 della Convenzione e argomentare:
- Abitazione permanente: dimostrare che a Malta aveva un’abitazione idonea e in Italia magari solo alloggi temporanei o casa lasciata a disposizione ma non effettivamente vissuta;
- Centro interessi vitali: spiegare che gran parte dei suoi interessi economici e affettivi erano a Malta (lavoro lì, nuove relazioni personali magari, mentre in Italia restavano interessi minori);
- Soggiorno abituale: evidenziare che passava la maggioranza del tempo a Malta;
- Nazionalità: qui è italiana, quindi neutro (la nazionalità non aiuta essendo italiana, ma se per caso avesse doppia cittadinanza con Malta potrebbe menzionarlo);
- in ultima analisi, chiedere che se proprio c’è dubbio si attivi la procedura amichevole tra Stati.
Le tie-breaker, come confermato da Cassazione e circolari, devono prevalere anche su eventuali presunzioni interne. Quindi la difesa potrà citare la giurisprudenza (es. Cass. 29463/2024 citata prima) e la stessa Circolare 20/E/2024 dell’Agenzia delle Entrate, che al §3 ammette che la precedente presunzione assoluta di residenza interna cede il passo alle tie-breaker convenzionali. Questo mette l’ufficio in posizione più debole se il contribuente presenta un buon caso secondo i criteri convenzionali. In sostanza: farsi riconoscere residente di Malta ai sensi della Convenzione comporta che l’Italia non può tassare i redditi esclusivi di Malta.
Attenzione: può capitare che l’Agenzia obietti che per godere dei benefici della Convenzione (es. esenzione di certi redditi o credito d’imposta) il contribuente avrebbe dovuto compilare un modulo o fare una dichiarazione in Italia. Ad esempio, l’art. 18 della Convenzione prevede che le pensioni private siano tassate solo nello Stato di residenza; se uno non lo ha dichiarato e ha subìto ritenute in Italia, la Cassazione (caso UK) ha detto che ha diritto al rimborso. Similmente, per i crediti d’imposta esteri, l’art. 165 TUIR comma 8 in teoria nega il credito se il reddito estero non era stato dichiarato in Italia, ma Cassazione 2024 (sent. 24160/2024) ha dichiarato inapplicabile quella preclusione perché contraria alle Convenzioni. Dunque la difesa potrà sostenere che anche se viene considerato (in ipotesi) residente italiano, comunque l’Italia deve riconoscere i crediti per le imposte pagate a Malta o evitare doppie imposizioni in base alla Convenzione, senza penalizzare oltre misura l’omessa dichiarazione in Italia. Ciò non annulla l’illecito, ma riduce l’importo preteso (si eviterà la doppia tassazione integrale).
3. Contestare la procedura o elementi formali dell’accertamento: Oltre al merito (residenza e tassazione), è sempre opportuno verificare se l’accertamento presenti vizi formali o procedurali che possano inficiarlo. Ad esempio:
- Mancato contraddittorio: in alcuni casi (come negli accertamenti da redditometro per periodi ante riforma) è obbligatorio invitare il contribuente al contraddittorio prima di emettere l’atto. Se l’ufficio ha notificato direttamente l’accertamento sintetico senza convocare il contribuente per giustificare le spese, ciò può rendere nullo l’atto (secondo giurisprudenza UE e nazionale). Analogamente, in materia di residenza, anche se non sempre imposto dalla legge, spesso il contraddittorio è un principio generale: la difesa può lamentare di non essere stata messa in grado di spiegare la propria posizione prima di subire l’atto (specie se si ravvisa che l’ufficio aveva già dati a suo favore che non ha considerato).
- Notifica irregolare: se l’avviso è stato notificato a un indirizzo errato o con modalità non corrette, si può eccepire la nullità della notifica. Questo è cruciale per chi vive all’estero: l’ufficio spesso notifica all’ultimo domicilio noto in Italia o al domicilio fiscale eletto. Se il contribuente aveva regolarmente comunicato il proprio indirizzo estero all’Agenzia (mediante Modulo per registro domiciliatari esteri) o aveva un rappresentante fiscale, e l’ufficio non ne ha tenuto conto, la notifica potrebbe essere viziata. In mancanza, purtroppo, la legge consente notifiche presso il domicilio fiscale italiano ultimo noto (che per AIRE è il comune di iscrizione AIRE). Sta al contribuente attivarsi per rendere le notifiche più agevoli (vedi oltre sezione FAQ per come prevenire problemi di notifica). Comunque se emergono vizi, vanno fatti valere tempestivamente in giudizio, poiché certi vizi possono anche essere sanati col tempo (es: se uno impugna, ha sanato la notifica).
- Prescrizione/decadenza: verificare se l’accertamento è stato notificato entro i termini di legge. Per legge, l’Agenzia può accertare entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata (o doveva essere) presentata la dichiarazione. In caso di omessa dichiarazione, il termine è il settimo anno successivo. Ad esempio, per l’anno d’imposta 2018 (dichiarazione che andava presentata nel 2019) la scadenza ordinaria era il 31/12/2024, ma in caso di omessa dichiarazione si estende al 31/12/2025. Se l’avviso è oltre tali termini, è nullo per decadenza. Bisogna tuttavia fare attenzione a eventuali sospensioni (es. la pandemia COVID ha prorogato alcuni termini nel 2020) o a casi di raddoppio dei termini per reati tributari (difficile per residenza estera ma non impossibile se c’è denuncia penale). La difesa deve controllare bene le date.
- Motivazione insufficiente: l’avviso dev’essere motivato indicando le ragioni della pretesa e gli elementi probatori. Se l’atto si limita ad affermazioni generiche (“si ritiene residente in Italia”) senza indicare su quali fatti concreti si basa, la difesa può eccepire il difetto di motivazione, che è causa di nullità (art. 42 DPR 600/73). La Cassazione però su ciò è spesso indulgente col fisco quando la motivazione è integrata da un PVC o richiami a documenti noti al contribuente. Dunque è bene replicare puntualmente ad ogni elemento di motivazione portato.
- Errori di calcolo o diritto: ad esempio, l’ufficio ha calcolato male le imposte, non applicando il credito d’imposta sulle imposte pagate a Malta; oppure ha applicato sanzioni in modo non corretto (sanzione per omessa dichiarazione del 30% mentre doveva essere del 15% se integrativa, ecc.). La difesa deve rifare i calcoli e segnalare ogni errore, chiedendo la correzione. Anche contestare la qualificazione di un reddito (es: l’Agenzia tassa un reddito come “altro reddito” invece doveva essere esente da convenzione) è fondamentale.
In taluni casi, far leva su vizi formali può portare all’annullamento dell’atto senza neanche affrontare il merito (il che risolve il caso in favore del contribuente). Tuttavia, l’obiettivo primario in questi casi di residenza è far riconoscere che sostanzialmente non c’era obbligo di dichiarare in Italia – quindi la difesa formale deve andare di pari passo con quella sostanziale, per non rischiare che l’ufficio ripeta l’atto correggendo solo la forma.
4. Accertamento con adesione e altre definizioni agevolate: Come accennato, il contribuente ha la possibilità, dopo aver ricevuto l’avviso (entro 60 giorni), di presentare un’istanza di accertamento con adesione. Questo avvia un dialogo con l’ufficio: si sospendono i termini di ricorso per massimo 90 giorni e si tenta un accordo. L’adesione richiede una mentalità negoziale: si può usare quando la posizione del contribuente non è granitica o pericolosa (es. ci sono zone d’ombra e si teme di perdere in giudizio). Nel caso di residenza, potrebbe tradursi in un compromesso su quanti anni considerare in Italia e quanti no, o sulla quantificazione dei redditi esteri tassabili.
Ad esempio: Tizio si è trasferito a Malta nel 2019 ma non ha fatto AIRE subito; l’Agenzia gli contesta il 2019 e 2020 come residente. Tizio portando evidenze potrebbe convincerli in sede di adesione a lasciar perdere il 2020 (riconoscendo che quell’anno era prevalentemente all’estero) e pagare solo sul 2019, con sanzioni ridotte di 1/3. In adesione l’Agenzia può infatti ridurre o eliminare alcune pretese se capisce che in giudizio potrebbe perdere su quelle.
I vantaggi dell’adesione: sanzioni ridotte, si evita il processo e le relative incertezze, si può ottenere un pagamento rateale del dovuto (fino a 8 rate trimestrali). Di contro, si rinuncia a far valere completamente le proprie ragioni (accettando una tassazione magari non dovuta in linea teorica). È una valutazione da fare con un tributarista esperto, in base alla forza del proprio dossier.
Altre forme di definizione: la normativa tributaria talvolta offre sanatorie o conciliazioni. Ad esempio, c’è l’istituto della conciliazione giudiziale in primo o secondo grado, dove in udienza si può accordarsi su un importo ridotto (con sanzioni ridotte) per chiudere la lite. Oppure, in certe annate, il legislatore introduce condoni o definizioni agevolate delle liti pendenti: se il nostro contribuente rientra in qualche finestra di pace fiscale, potrebbe valutare di aderirvi pagando magari solo il tributo senza sanzioni. Al 2023-2024, il governo italiano ha introdotto alcune sanatorie per liti fiscali (definizione agevolata liti pendenti) che prevedevano la possibilità di chiudere pagando una percentuale del valore se si rinuncia al ricorso. Bisogna vedere caso per caso se applicabili (in genere servono requisiti come importo sotto certe soglie o cause iniziate prima di certe date).
5. Aspetti penali: prevenire e gestire il rischio: Come menzionato, se l’importo delle imposte evase (accertate) supera le soglie di punibilità, l’Agenzia delle Entrate trasmette una segnalazione alla Procura della Repubblica per reato tributario. Nel caso tipico dell’espatriato, il reato configurabile è omessa dichiarazione dei redditi (art. 5 D.Lgs. 74/2000) qualora l’imposta evasa superi €50.000 in uno degli anni d’imposta. Ad esempio, se l’Agenzia contesta che nel 2021 il contribuente, essendo residente in Italia, non ha dichiarato redditi esteri evadendo €60.000 di IRPEF, ciò integra reato con pena prevista da 2 a 5 anni di reclusione. Lo stesso atto di accertamento conterrà di solito un trafiletto che avvisa della “comunicazione di notizia di reato” al superamento della soglia. Per la dichiarazione infedele (dichiarazione presentata ma con omessi redditi) le soglie sono €100.000 di imposta evasa o €2.000.000 di redditi non dichiarati.
Il contribuente, in sede difensiva, deve tener conto di questo scenario: una eventuale causa penale parallela. Spesso, però, dimostrando l’assenza di dolo specifico di evasione (ad esempio, l’emigrato in buona fede credeva di non dover dichiarare, magari su errato consiglio), si può mitigare la posizione. In ogni caso, risolvendo favorevolmente il contenzioso tributario (cioè se si prova che non vi era obbligo dichiarativo in Italia), il procedimento penale viene meno perché viene a mancare il fatto (nessuna evasione). Viceversa, se si definisce tributariamente con pagamento, ciò non estingue automaticamente il reato (ci sono cause estintive come il pagamento integrale del debito prima del dibattimento, introdotto di recente, ma serve attenta valutazione legale). Dunque è opportuno farsi assistere anche da un penalista se la situazione lo richiede.
Prevenzione: se ci si accorge in ritardo di un possibile pasticcio fiscale (ad esempio non ci si è iscritti AIRE e per anni non si è dichiarato redditi esteri), prima che parta un accertamento si potrebbe ricorrere a un ravvedimento operoso o a una disclosure volontaria. Ad oggi, un ravvedimento per omessa dichiarazione estera è tecnicamente possibile: si può presentare le dichiarazioni tardive e pagare le imposte dovute con sanzioni ridotte. Tuttavia, se già l’amministrazione ha avviato accessi o richieste, il ravvedimento non è più consentito. Non ci sono attualmente programmi straordinari di scudo (come furono le voluntary disclosure del 2015-2017). Quindi la difesa è spesso reattiva, non proattiva. Ma un contribuente accorto, se ancora non è oggetto di controllo, può valutare di regolarizzare spontaneamente prima di essere colto in fallo, ottenendo sanzioni amministrative ridotte ed evitando il penale (pagando prima).
6. Difendersi in giudizio (ricorso al giudice tributario): Se non si raggiunge una soluzione bonaria, l’ultima linea di difesa è il ricorso alla Giustizia Tributaria. Il contribuente ha 60 giorni dalla notifica dell’atto per presentare ricorso (termine esteso a 90 giorni se è stata tentata l’adesione). Dal 2023 le Commissioni Tributarie sono state ridenominate Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado, e la riforma (D.Lgs. 119/2022) ha introdotto giudici tributari professionali. Il ricorso va presentato alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado competente (in genere quella relativa all’ultimo domicilio fiscale in Italia del contribuente).
Nel ricorso scritto, si articolano tutti i motivi di impugnazione, in fatto e in diritto, corredandoli delle prove raccolte (documenti allegati). Data la complessità di questi casi, è vivamente consigliato farsi rappresentare da un avvocato tributarista o un commercialista esperto in contenzioso internazionale. I motivi di ricorso tipici saranno:
- erronea qualificazione della residenza fiscale,
- violazione della Convenzione Italia-Malta,
- difetto di motivazione,
- insussistenza dell’obbligo dichiarativo per i redditi esteri,
- erroneo calcolo delle imposte e omesso riconoscimento di crediti,
- eventuali vizi procedurali menzionati sopra, ecc.
Durante il processo, che di regola è in forma scritta (con possibilità di pubblica udienza su richiesta), la difesa potrà ribadire le proprie tesi e l’ufficio dovrà dimostrare le proprie (l’onere probatorio in tema di residenza è condiviso: l’Agenzia deve provare le circostanze che fanno presumere la residenza in Italia, il contribuente deve provare i fatti che attestano la residenza estera). Spesso l’esito dipende dalla capacità del contribuente di convincere il giudice della fondatezza della propria storia di vita all’estero.
Se in primo grado il contribuente vince, l’avviso di accertamento viene annullato e, se aveva pagato somme provvisorie, deve ottenerne il rimborso. Se invece il contribuente perde, può appellare alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (entro 60 giorni dalla sentenza). L’appello è un nuovo giudizio sul merito. In ultima istanza c’è la Corte di Cassazione, ma solo per motivi di diritto (non rivaluta i fatti, se non in caso di vizi logici gravi della sentenza d’appello).
Durante la pendenza del giudizio, come accennato, l’Agenzia può comunque riscuotere una parte delle somme accertate. Precisamente, la normativa (art. 15 DPR 602/73) stabilisce che se il contribuente propone ricorso e vuole sospendere la riscossione, deve richiedere la sospensione al giudice tributario (dimostrando che l’esecuzione immediata gli arrecherebbe un danno grave e che il ricorso non è pretestuoso). Se la sospensione viene concessa, non si paga nulla in attesa del giudizio. Se non viene chiesta o concessa, allora bisogna versare 1/3 delle imposte accertate (senza sanzioni) entro il termine di ricorso, e l’eventuale residuo dopo la sentenza di primo grado se sfavorevole. In pratica:
- Entro 60 giorni notifica, se si accetta l’accertamento si può pagare tutto con sanzioni ridotte a 1/3 (acquiescenza).
- Se si fa ricorso, per legge l’atto è esecutivo: dal 61° giorno l’Agenzia Riscossione potrebbe iniziare a riscuotere. Tuttavia, normalmente essa notifica prima una comunicazione di pagamento del 1/3.
- Se il 1/3 non viene pagato, può procedere con iscrizione a ruolo e atti esecutivi su tale importo (fermo auto, ipoteca, pignoramenti). Ciò rende talvolta necessario pagare anche se non dovuto, per evitare guai, salvo poi chiedere rimborso in caso di vittoria in giudizio.
- Se si arriva alla fine (dopo Cassazione) e il contribuente risulta perdente, dovrà pagare tutto quanto, con interessi e sanzioni, e a quel punto scatterà anche la cooperazione internazionale per la riscossione come detto prima.
Data questa stretta tempistica, una strategia difensiva sensata deve valutare pure l’aspetto finanziario: conviene chiedere la sospensione? posso permettermi di pagare il terzo dovuto e aspettare l’esito? Rischio che l’importo contestato cresca con interessi e aggi se perdo dopo anni? Ad esempio, se l’importo è elevatissimo, la sospensione è praticamente obbligata (perché il danno grave è evidente). Se l’importo è gestibile e la vittoria incerta, qualcuno preferisce pagare il terzo per non dover litigare anche sulla sospensione.
7. Ingaggiare professionisti esperti e coordinare la difesa: Un elemento chiave, specie per imprenditori o situazioni complesse, è avere un team di consulenti. Andrebbero coinvolti un fiscalista italiano, un fiscalista maltese (per attestare eventualmente il trattamento fiscale a Malta e fornire certificazioni), e se serve un legale penalista. Bisogna armonizzare la posizione: ad esempio, evitare che in Malta il contribuente dichiari di non essere residente lì (magari per non pagare tasse maltesi) mentre in Italia sostiene di esserlo – ciò creerebbe contraddizioni pericolose. Idealmente, avere già in mano (o allegare al ricorso) una Attestazione dell’Autorità Maltese che indica i periodi di residenza e le imposte pagate a Malta su determinati redditi. Questo toglie ogni dubbio al giudice che non si tratti di redditi “in nero” ma di redditi tassati altrove.
Inoltre, se l’accertamento riguarda società maltesi, converrà gestire parallelamente eventuali interpelli o procedure MAP per risolvere la questione societaria, mentre si difende la persona.
8. Pianificare per il futuro: Infine, mentre si difende il passato, il contribuente farebbe bene a regolarizzare il futuro. Se l’intenzione è di restare a Malta, assicurarsi di aver fatto l’iscrizione AIRE (se non già fatta), comunicare all’Italia un domicilio per le notifiche estere (c’è un modulo all’Agenzia per indicare l’indirizzo estero o un domiciliatario in Italia per atti tributari), evitare di mantenere situazioni ambigue (vendere l’immobile in Italia o darlo in affitto a terzi, portare la famiglia a Malta se possibile, ecc.). Questo non incide sull’accertamento già in corso, ma evita che in futuro si ripetano i problemi.
In conclusione, la difesa del contribuente deve essere proattiva e documentata. Non basta dichiarare “Vivevo a Malta, quindi non pago tasse in Italia”: bisogna convincere con prove. Fortunatamente, la normativa 2024 e la giurisprudenza recente offrono argomenti normativi forti (presunzioni relative, primato convenzioni) che, se supportati dai fatti, mettono il contribuente in una posizione difensiva solida. Il capitolo seguente illustrerà il percorso procedurale in caso di accertamento (dalla notifica alla sentenza) e fornirà alcuni esempi pratici e risposte a quesiti frequenti per chiarire gli ultimi dubbi.
Il procedimento di accertamento e il contenzioso tributario: fasi e tempistiche
In questo capitolo riepiloghiamo le fasi procedurali che si susseguono dall’avvio dell’accertamento fino all’eventuale conclusione della vicenda in sede giudiziaria, con particolare attenzione ai diritti del contribuente e alle relative tempistiche. Comprendere il cronoprogramma consente infatti al contribuente di muoversi con cognizione di causa e senza perdere opportunità o termini perentori.
Fase di controllo e indagine: inizia spesso in sordina, quando il contribuente non se ne accorge nemmeno. L’Agenzia delle Entrate può effettuare analisi di rischio e segnalazioni su nominativi di soggetti AIRE o espatriati (come detto, tramite liste selettive basate su informazioni raccolte). Se un soggetto viene selezionato, l’ufficio competente (di solito l’ufficio grandi contribuenti o l’ufficio estero della Direzione Provinciale legata all’ultimo domicilio italiano) può iniziare a raccogliere informazioni: consulta l’Anagrafe Tributaria, i dati finanziari, incrocia con archivio rapporti esteri, ecc.
Invito al contraddittorio o questionario: una volta che l’ufficio ha elementi sufficienti per sospettare un’anomalia, spesso invia un questionario (ex art. 32 DPR 600/73) chiedendo chiarimenti su specifici punti (es: “Risulta un conto estero a suo nome. Spieghi se ha presentato RW”, oppure: “Ci risulta che Lei sia iscritto AIRE ma la sua famiglia risiede in Italia. Fornisca dettagli su dove ha lavorato e vissuto negli anni X e Y”). In altri casi convoca direttamente il contribuente con un invito a comparire o un invito al contraddittorio, allegando magari già rilievi o un PVC. Rispondere a questi inviti è molto importante: ignorarli spesso accelera l’emissione di un accertamento sfavorevole. Mentre fornendo spiegazioni e documenti in questa fase, a volte si riesce a chiarire malintesi o a convincere l’ufficio a lasciar perdere (o almeno a delimitare le contestazioni). Occorre rispondere entro il termine indicato (di solito 15 o 30 giorni); si può chiedere una proroga motivata se serve tempo per reperire documenti, e conviene mantenere un tono collaborativo ma fermo sulle proprie ragioni.
Verifica fiscale (se disposta): in alcuni casi, la Guardia di Finanza viene incaricata di svolgere una verifica fiscale formale. Ad esempio, se il caso sembra complesso, i verificatori possono presentarsi (magari in Italia, presso la vecchia abitazione o sede di affari) e redigere un Processo Verbale di Constatazione (PVC) che contiene i fatti accertati. Il contribuente firma il PVC (può aggiungere osservazioni) e da quel momento ha 60 giorni per presentare memorie prima che l’Agenzia emetta l’accertamento basandosi sul PVC (art. 12 Statuto contribuenti prevede 60 giorni di attesa salvo urgenza). Durante la verifica, il contribuente ha diritti (assistenza di professionisti, tempi e luoghi delle operazioni rispettosi, ecc.). In scenario residenza, però, la verifica tradizionale è meno comune che l’indagine “da scrivania” e scambi info. È più probabile una visita della GDF per consegnare questionari o acquisire documenti specifici.
Emissione dell’avviso di accertamento: se l’ufficio ritiene fondate le contestazioni, procederà a emettere l’avviso di accertamento. Questo atto deve indicare per ciascun anno d’imposta: i maggiori redditi accertati, le imposte corrispondenti, le sanzioni e gli interessi dovuti, oltre alla motivazione (fatti e norme violati). Nell’ambito del nostro esempio, l’avviso elencherà ad esempio: “anno 2021: residenza fiscale accertata in Italia, redditi esteri non dichiarati €XXX, imposta IRPEF evasa €YYY, sanzione omessa dichiarazione 90% di €YYY = €ZZZ, interessi dal 2022 a oggi €KKK”. Va allegato eventuale PVC o richiamati documenti noti. L’avviso viene notificato via PEC (se il contribuente ha domicilio digitale) oppure tramite raccomandata a/r o messo comunale al domicilio fiscale. Per soggetti AIRE, spesso la notifica avviene per il tramite del Comune italiano di iscrizione AIRE, oppure all’ultimo domicilio italiano conosciuto. Può anche avvenire al rappresentante fiscale se ne ha nominato uno.
Termini di notifica: ribadiamo i termini: entro il 5° anno successivo (dichiarazione presentata) o 7° (omessa). Ad esempio:
- redditi 2019 (dichiarazione 2020): se dichiarazione omessa, termine 31/12/2026; se presentata (anche solo parzialmente), termine 31/12/2025.
Per redditi 2015 e precedenti ormai a luglio 2025 sono decaduti anche in caso di omessa dichiarazione (2015 scadeva fine 2022 o 2023 a seconda di regole transitorie). Quindi in eventuali accertamenti ora notificati si trattano anni dal 2016 in poi. Ogni anno è separato.
Dopo la notifica – opzioni immediate: una volta ricevuto l’avviso, come già illustrato, il contribuente ha 60 giorni di tempo. Entro quel termine può:
- Pagare direttamente tutto (con sanzioni ridotte di 1/3 per adesione spontanea, se rinuncia al ricorso).
- Presentare istanza di accertamento con adesione (sospende i termini di ricorso per max 90 gg).
- Oppure preparare il ricorso da depositare entro i 60 gg (se non tenta adesione).
Se non fa nulla entro 60 giorni, l’atto diviene definitivo: l’importo è iscritto a ruolo e si dovrà pagare (non essendoci neanche sconto sanzioni, anzi c’è aggravio eventuale per tardivo pagamento). Non è consigliabile ignorare l’accertamento: anche se si è all’estero e si pensa di non avere beni aggredibili in Italia, ricordiamo che c’è la cooperazione UE per la riscossione. Dunque meglio affrontare la questione subito.
Accertamento con adesione (se attivato): supponiamo che il contribuente presenti l’istanza di adesione all’ufficio entro, ad es., 30 giorni dalla notifica. L’Agenzia fissa un appuntamento (o anche più di uno) in cui discutere. Nel frattempo, il termine per ricorrere slitta in avanti (si aggiungono 90 giorni). Se la conclusione è positiva, si firma un atto di adesione con l’ammontare concordato; il contribuente dovrà pagare tale ammontare (imposte + interessi + sanzioni ridotte ad 1/3) entro 20 giorni dalla firma (o prima rata in caso di rateazione). Firmato l’accordo e pagato, finisce tutto (non ci saranno contenziosi né altre pretese su quell’anno per gli stessi tributi). Se la discussione fallisce (non si trova accordo o il contribuente non si presenta), l’ufficio di solito concederà qualche giorno e poi dovrà formalmente notificare un esito negativo. A quel punto partiranno di nuovo i 60 giorni per ricorrere (se l’istanza di adesione era entro 60 giorni iniziali, i nuovi 60 giorni decorrono dalla chiusura adesione).
Ricorso in primo grado: il ricorso va presentato telematicamente tramite il Processo Tributario Telematico (PTT) e notificato all’Agenzia (di solito via PEC). Come detto, contenente motivi, fatti, documenti allegati in indice. Dopo la notifica del ricorso, l’Agenzia potrà costituirsi in giudizio depositando controdeduzioni (memoria difensiva) e aggiungendo eventuali documenti. Entrambe le parti possono poi depositare ulteriori memorie, repliche, fino all’udienza. I tempi di un giudizio tributario di primo grado variano: da 6 mesi a 2 anni generalmente.
Sospensione giudiziale: se richiesta, il giudice fisserà in tempi abbastanza rapidi un’udienza cautelare per decidere se sospendere la riscossione. Se concede la sospensione, il contribuente temporaneamente non deve pagare nulla finché non arriva la sentenza di primo grado (e l’Agenzia non può attivare misure esecutive). Se nega la sospensione, allora il contribuente dovrà pagare il terzo entro il termine che eventualmente il giudice indica o comunque si espone a esecuzione.
Sentenza di primo grado: potrà essere favorevole totale (annullamento accertamento), favorevole parziale (ad esempio riconosce residenza estera per un anno ma non per un altro, oppure mantiene l’accertamento ma riduce sanzioni, ecc.), o sfavorevole (rigetta il ricorso completamente). In base a ciò:
- Se il contribuente vince totalmente, come detto l’Agenzia deve eliminare il debito. Se c’era stato pagamento provvisorio, glielo deve restituire entro 90 giorni dalla notifica della sentenza (salvo appello).
- Se parzialmente, le somme dovute si riducono e verrà ricalcolato il debito.
- Se perde, dovrà pagare il resto (2/3 rimanenti + sanzioni), ma c’è comunque la possibilità di appello.
Appello: va valutato in caso di soccombenza parziale o totale. Appello va notificato entro 60 giorni alla controparte e depositato. In appello, che è di merito, si possono portare nuovi documenti (fino a 20 giorni prima dell’udienza). Quindi il contribuente ha una “seconda chance” per convincere il giudice. Potrebbe nel frattempo aver raccolto ulteriore documentazione (es. certificazioni arrivate tardi, testimonianze giurate, etc.).
La sentenza d’appello può confermare o riformare la prima. Se conferma la pretesa, il contribuente a quel punto può solo ricorrere in Cassazione su punti di diritto, mentre l’Agenzia può procedere alla riscossione integrale. Dopo la riforma 2022, una novità è che in appello se l’erario perde può essere condannato alle spese e anche al pagamento di un indennizzo se ha fatto appello temerario.
Definitività e riscossione finale: quando la sentenza passa in giudicato (ovvero non più appellabile/ricorribile), l’importo definitivo va pagato integralmente. Se non pagato volontariamente, partirà la riscossione coattiva (con eventuale cooperazione internazionale in Malta come detto).
L’intero percorso può durare anche diversi anni. Nel frattempo, il contribuente potrebbe aver lasciato l’Italia da molto e integrato a Malta, quindi la vicenda risulta a volte estenuante. Purtroppo è il frutto di un errore di valutazione iniziale (es. trascurare l’AIRE, o non considerare certi legami) oppure di eccesso di zelo del fisco. D’altra parte, chi ritiene di avere ragione deve avere la pazienza e determinazione di far valere i propri diritti: esistono tanti casi di contribuenti espatriati che hanno vinto in giudizio, facendo annullare accertamenti milionari, grazie a prove solide e alla giurisprudenza evolutasi in senso favorevole ai trattati. Ad esempio, Commissioni Tributarie hanno annullato accertamenti in cui l’Agenzia pretendeva di tassare redditi esteri di iscritti AIRE, ritenendo sufficiente la prova del centro vitale all’estero (citando anche la Cassazione). Dunque, perseverare nella difesa può premiare.
(Vedi tabella 2 per un riepilogo schematico delle fasi e azioni possibili)
Tabella 2: Fasi del procedimento e azioni del contribuente
Fase / Termine | Azioni dell’Agenzia | Diritti/Azioni del Contribuente |
---|---|---|
Pre-accertamento (analisi) | – Selezione nominativi a rischio– Raccolta info (banche dati, info estere) | – (Non si è a conoscenza diretta di questa fase) |
Questionario / Invito (art.32) | – Invio questionario o invito a comparire con richieste specifiche | – Obbligo di risposta veritiera entro termini– Possibilità di fornire documenti ed evitare fraintendimenti |
Verifica GdF (eventuale) | – Accesso e ispezione (se disposta)– Redazione PVC (Processo Verbale Constatazione) | – Assistenza difensore durante verifica– Osservazioni sul PVC (entro 60 gg) |
Emissione avviso (Atto) – Termini: 5 anni (dich. presentata) o 7 anni (omessa) | – Notifica Avviso di Accertamento motivato con quantificazione imposte/sanzioni(Atto diviene esecutivo trascorsi 60 gg) | – Valutare immediate azioni: • Pagamento con sanzioni ridotte 1/3 (acquiescenza) entro 60 gg • Oppure presentare istanza accertamento con adesione (sospende termine ricorso 90 gg) • In mancanza di adesione, preparare Ricorso entro 60 gg– Eventuale nomina difensore e richiesta documenti all’Agenzia (diritto di accesso agli atti) |
Adesione (90 gg max) – Facoltativa | – Fissa incontro/i col contribuente– Formula proposta di mediazione | – Comparire agli incontri con documenti– Accettare o rifiutare proposta– Se accordo: firma atto adesione e pagamento entro 20 gg (rate fino 8 trimestri) |
Ricorso (primo grado) – Entro 60 gg (o 150 gg se adesione svolta senza esito) | – (Deposito controdeduzioni entro 60 gg dal ricevimento ricorso)– Partecipazione udienza, eventualmente propone conciliazione | – Redigere e notificare Ricorso alla controparte (AdE) entro termini– Chiedere sospensione esecuzione (se ne ricorrono i presupposti)– Depositare memorie aggiuntive, documenti fino a 20 gg prima udienza |
Sentenza I grado | – Esegue (o impugna) la decisione: se soccombe, elimina/riduce il debito; se vince, procede a riscossione del residuo | – Se vittorioso, ottenere rimborso somme versate in eccedenza (entro 90 gg)– Se soccombente (parziale/totale), valutare appello entro 60 gg |
Appello (secondo grado) – Entro 60 gg dalla notifica sentenza | – (Stesse dinamiche del primo grado, in merito) | – Presentare appello se opportuno; o difendersi da appello AdE– Chiedere eventualmente sospensione esecutività sentenza I grado (rara) |
Sentenza II grado | – Se favorevole AdE, riscuote.– Se sfavorevole AdE, rimborsa o rinuncia (o ricorre in Cassazione) | – Se ancora soccombente su punti di diritto controversi, proporre ricorso per Cassazione entro 60 gg.– Altrimenti, accettare esito e pagare dovuto eventualmente ridotto. |
Definitivo (fine vie ricorso) | – Invio cartella/ingiunzione per importi definitivi (o richiesta cooperazione internazionale a Malta) | – Pagare importi definitivi entro 60 gg dalla notifica cartella.– Oppure accordarsi per rateazione con AdER.– (In difetto, subire azioni esecutive anche all’estero). |
(Nota: i termini indicati sono generali e possono subire sospensioni di legge, es. periodo feriale agosto, etc. AdER = Agenzia Entrate-Riscossione.)
Esempi pratici (casi simulati)
Per meglio illustrare come le norme e strategie si applicano concretamente, proponiamo alcuni casi pratici simulati, rappresentativi di situazioni reali che possono coinvolgere un italiano residente a Malta soggetto ad accertamento fiscale. Ogni caso è seguito dall’analisi di cosa fare in tale circostanza.
Caso 1: Trasferimento effettivo ma iscrizione AIRE tardiva
Scenario: Maria, cittadina italiana, si trasferisce a Malta per lavoro nel marzo 2022. Trova impiego a Malta e vi rimane stabilmente, tuttavia dimentica di iscriversi subito all’AIRE e lo fa solo a fine 2023. Nel frattempo, nel 2022 non ha presentato dichiarazione dei redditi in Italia, ritenendo di non doverlo fare. Nel 2025 riceve un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate che la considera residente fiscale in Italia per tutto il 2022, contestandole l’omessa dichiarazione di redditi (il suo stipendio maltese) e l’omessa compilazione del quadro RW per un conto corrente maltese su cui aveva €30.000. Vengono richieste imposte per €10.000, più sanzione 90% (€9.000) e sanzione RW (€900, ossia 3% del valore non dichiarato).
Analisi: Maria si trova in questa situazione principalmente per un errore formale: il tardivo aggiornamento AIRE. Infatti, l’Agenzia basa l’accertamento sul fatto che nel 2022 Maria risultava ancora ufficialmente residente in Italia (iscritta all’anagrafe fino a dicembre 2023) e dunque soggetta all’IRPEF sui redditi mondiali. Maria però dal marzo 2022 viveva esclusivamente a Malta (è tornata in Italia solo per le ferie natalizie).
Cosa fare: Maria può impostare la difesa così:
- Prova della residenza a Malta nel 2022: Raccoglie il contratto di lavoro maltese (marzo-dicembre 2022), ricevute dello stipendio, contratto di affitto dell’appartamento a Sliema da aprile 2022, bollette e iscrizione al sistema sanitario maltese. Ottiene dal Commissioner for Revenue maltese un certificato di residenza fiscale per l’anno 2022 (che attesta la sua presenza >183 giorni e tassazione a Malta). Recupera inoltre i tabulati di ingresso/uscita dal paese: risulta che da aprile a dicembre 2022 è stata in Italia solo 10 giorni a Natale.
- Invocazione tie-breaker: Nel ricorso, Maria sottolinea che pur essendo formalmente iscritta all’anagrafe italiana per gran parte del 2022, in base alla Convenzione Italia-Malta il suo Stato di residenza fiscale deve considerarsi Malta: aveva lì un’abitazione permanente (contratto affitto), il centro dei suoi interessi (lavoro, vita quotidiana), e la permanenza abituale (circa 270 giorni nel 2022 a Malta). Porta la documentazione a supporto. Evidenzia che la sua iscrizione AIRE tardiva è stata un mero ritardo burocratico, ma la situazione di fatto era chiara. Cita la circolare AdE 20/E/2024 e Cass. 29463/2024 per sostenere che le tie-breaker prevalgono sulla presunzione da iscrizione.
- Crediti d’imposta: Inoltre, Maria dichiara che, in ogni caso, ha pagato le imposte a Malta sul suo stipendio (aliquota 15% grazie al regime di residenza “non domiciliata” sui redditi rimessi, supponiamo). Quindi, qualora l’Italia la tassasse, chiederebbe il credito per le €X di imposte maltesi già pagate, in virtù dell’art. 23 della Convenzione (evitare doppie imposizioni) e dell’art. 165 TUIR. Richiama Cass. 24160/2024 per affermare che il credito spetta anche se lei non aveva presentato dichiarazione, prevalendo la Convenzione.
- Violazione del principio del contraddittorio (se applicabile): Maria nota che non ha ricevuto alcun questionario prima dell’accertamento. Se l’avviso è basato su un’indagine sintetica (redditometro) avrebbe dovuto essere invitata a spiegare. Tuttavia, in questo caso sembra un accertamento d’ufficio per omessa dichiarazione, dove il contraddittorio anticipato non è obbligatorio. Quindi si concentra sul merito.
- Sanzioni: Maria chiede l’annullamento delle sanzioni, quantomeno per obiettiva incertezza sulla residenza, visto il quadro normativo in evoluzione al 2022 (ricorda che dal 2024 l’iscrizione anagrafica è divenuta presunzione relativa, segno che già prima quell’automatismo era irragionevole). Fa presente come abbia ottemperato all’iscrizione AIRE sebbene in ritardo, e come non vi fosse intento fraudolento (elementi che un giudice potrebbe valutare per disapplicare le sanzioni ex art. 6 comma 2 D.Lgs. 472/97).
Esito atteso: Se la documentazione di Maria è convincente, è probabile che in sede di adesione o giudizio l’Agenzia riconosca la residenza maltese per il 2022. Potrebbero emergere due possibilità:
- L’ufficio, di fronte alle prove, annulla in autotutela o in adesione l’accertamento, prendendo atto che Maria era residente all’estero. In tal caso Maria magari dovrà solo pagare una piccola sanzione per il ritardo AIRE (ora soggetta a €200-1000 per anno, ma questo è un aspetto anagrafico non trattato dall’avviso tributario).
- Oppure, se si arriva in Commissione Tributaria, il giudice accoglie il ricorso di Maria, annullando l’avviso. Farà leva presumibilmente sulla Convenzione e sul fatto che l’Italia al 2022 non poteva ignorare la realtà fattuale (già in passato c’erano state pronunce di merito favorevoli anche in costanza di iscrizione anagrafica).
In entrambi i casi, Maria eviterebbe la doppia tassazione. Importante: se il giudice invece rigettasse (ipotesi remota con questi elementi), Maria potrebbe ancora salvare il credito d’imposta: dovendo pagare le imposte italiane, avrebbe diritto a detrarre quelle maltesi pagate. Cassazione e anche un’interrogazione parlamentare citata nel caso Porta (PD) confermano che l’art. 165 co.8 TUIR non può negarlo. Quindi, almeno non pagherebbe due volte le tasse.
Maria impara anche la lezione: in futuro, sempre iscriversi tempestivamente all’AIRE, per evitare di cadere di nuovo in liste sospette.
Caso 2: Imprenditore con società maltese e famiglia in Italia
Scenario: Luigi è un imprenditore digitale italiano che nel 2019 trasferisce la sede della sua startup a Malta, costituendo una società maltese (Malta Ltd). Lui si sposta a Malta, ma la moglie e i figli restano a Milano per non interrompere la scuola. Luigi passa a Malta circa 2 settimane al mese, il resto del tempo lo trascorre in Italia (dove vive con la famiglia quando è lì) o in giro per lavoro. Mantiene la villa di proprietà vicino Milano (dove risiede la famiglia). Si iscrive all’AIRE nel 2019 e dal 2020 non presenta dichiarazioni in Italia (dichiara solo a Malta un compenso come amministratore della sua società). Nel 2024 l’Agenzia delle Entrate, dopo indagini, notifica a Luigi due avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2020 e 2021, contestandogli:
- Residenza fiscale in Italia (poiché di fatto risiede con la famiglia a Milano, e secondo l’ufficio il trasferimento a Malta è fittizio);
- Esterovestizione della Malta Ltd: l’Agenzia sostiene che la società di Malta è in realtà gestita e amministrata dall’Italia, configurandola come residente in Italia ex art. 73 TUIR (centro direzione effettiva in Italia). Pertanto, imputano a Luigi (come socio unico) i redditi della società e contestano l’omessa dichiarazione di tali utili in Italia.
- Redditi non dichiarati: proventi della società maltese €200.000 nel 2020 e €250.000 nel 2021, tassati in Italia come redditi di impresa o lavoro autonomo sottratti a tassazione;
- Oltre a ciò, la mancata indicazione della partecipazione estera in quadro RW (sanzione 6% per Paese UE? in realtà 3% annuo, la partecipazione vale tot, comunque sanzione).
Trattasi di accertamento complesso con aspetti sia personali che societari.
Analisi: qui il fisco punta su due fronti: persona fisica e società. La situazione di Luigi è precaria riguardo alla residenza perché la famiglia e la casa principali restano in Italia – un indicatore fortissimo che il suo centro di interessi vitali è rimasto in Italia. Inoltre la sua presenza è di circa metà del tempo in Italia. Anche con le tie-breaker rules, avrebbe difficoltà: abitazione permanente ce l’ha in entrambi gli Stati (ma quella in Italia è la casa di famiglia, più significativa), interessi vitali probabilmente pendono per Italia (famiglia interamente lì, e forse anche parte del business). L’Agenzia ha gioco facile nel dire che Luigi non ha realmente trasferito il domicilio.
In parallelo, vedendo che la società è gestita molto dall’Italia (Luigi quando è a Milano lavora da remoto gestendo l’azienda, magari ha dipendenti in Italia o clienti perlopiù italiani), l’Agenzia contesta l’esterovestizione: la società maltese sarebbe da considerare “esterovestita”, cioè residente in Italia (quindi soggetta ad IRES italiana) oppure comunque i suoi utili attribuibili direttamente a Luigi. In sostanza, l’Agenzia ricostruisce come se Luigi avesse continuato la sua attività in Italia sotto la veste artificiale di una società estera.
Cosa fare: La difesa di Luigi è più complicata del caso precedente. Egli deve decidere se puntare a difendere la residenza estera (piuttosto difficile dati i legami familiari) o trovare un compromesso. Possibili linee:
- Difesa residenza (parziale): Luigi potrebbe provare a sostenere che dal 2021 in poi magari la famiglia lo ha raggiunto (se fosse vero) o quantomeno ridurre i danni dicendo: ok, nel 2020 ero ancora di fatto in Italia, ma nel 2021 ho ridotto la presenza e sto spostando gli interessi a Malta. Se ha prove di maggiore presenza a Malta nel 2021, potrebbe cercare di far cadere almeno un anno. Ma se i fatti non aiutano, insistere su residenza estera rischia di essere vano.
- Convenzione tie-breaker: Luigi comunque può invocare la Convenzione, ma probabilmente i criteri gli sono sfavorevoli (abitazione permanente più significativa in Italia: moglie e figli nella villa vs lui con un appartamentino a Malta; interessi vitali: famiglia in Italia > business a Malta, seppur importante; soggiorno abituale forse paritario; nazionalità irrilevante). Se onestamente il bilancio pende per Italia, insistere potrebbe non convincere il giudice.
- Strategia adesione: Dato il rischio alto (tassazione su 450k utili + sanzioni e penale oltre soglia evasa notevole), Luigi, assistito dal suo avvocato, potrebbe tentare un accertamento con adesione mirato a ridurre la pretesa. Ad esempio, potrebbe negoziare riconoscendo la residenza in Italia nel 2020 (anno in cui effettivamente risiedeva ancora per la gran parte in Italia), ma cercare di far riconoscere che nel 2021 è divenuto residente a Malta. Se ci riuscisse, pagherebbe per il 2020, ma non per il 2021 (o comunque ridurrebbe molto imposte e sanzioni).
- Un’altra leva in adesione: far valere che la società a Malta ha comunque pagato imposte (anche se poche, essendo regime con refund). Potrebbe dire: guardate, non abbiamo occultato redditi: li abbiamo dichiarati a Malta (fornisce copia bilanci e tax return maltesi). Quindi non c’è volontà evasiva ma questione di residenza, e su questo chiediamo clemenza sanzioni.
- Aspetto penale: Luigi qui rischia grosso: €200k-250k di redditi non dichiarati per due anni significano imposte evase probabilmente oltre €50k ogni anno -> due reati di omessa dichiarazione (ogni anno autonomo) punibili. Conviene a Luigi ridurre base imponibile e sanzioni anche penali. Se riesce a transare col fisco prima che parta la denuncia (spesso segnalano comunque), almeno potrà nel penale addurre che ha conciliato e pagato.
- Prova contraria su esterovestizione: Luigi, se volesse combattere, dovrebbe dimostrare che la società maltese aveva una sostanza reale: ad esempio, aveva un ufficio a Malta, personale, i contratti con clienti venivano conclusi lì, lui stesso era spesso a Malta per lavoro. Se potesse portare evidenze (es. contratti firmati a Malta, testimonianze di dipendenti maltesi), potrebbe sostenere che la sede di direzione effettiva era comunque in parte a Malta. Tuttavia, con la famiglia e centro decisionale in Italia, suona artificioso. La Cassazione su esterovestizione societaria guarda elementi oggettivi: consiglio di amministrazione, luogo delle riunioni, etc. Se tutto era su carta a Malta ma in pratica lui decideva da Milano, è in salita.
- Valutazione convenienza: Luigi potrebbe decidere che è meglio chiudere pagando il dovuto per evitare guai peggiori. Ad esempio, con adesione magari paga IRPEF su 2020 e 2021 ma sanzione ridotta a 1/3. Se l’imposta dovuta fosse, ipotizziamo, €100k per anno (su 200k utili, ipotizzando come reddito d’impresa al 24%? O come IRPEF al 43% se considerato reddito suo? Potrebbe essere anche 86k per 43% IRPEF), insomma importi significativi. Con adesione paga il dovuto e sanzione 1/3 (30% invece di 90%).
- In parallelo, potrà regolarizzare la sua situazione per il futuro: magari decidere di riportare la residenza in Italia (visto che di fatto sta qui), oppure trasferire anche la famiglia a Malta se vuole davvero beneficiare di regime maltese – comprendendo che non si può avere la botte piena e moglie ubriaca, cioè benefici fiscali maltesi mantenendo la vita in Italia. Questo è un trade-off che spesso arriva.
Esito atteso: Nella nostra simulazione, Luigi probabilmente troverà conveniente definire in adesione. L’Agenzia potrebbe accettare un accordo in cui Luigi riconosce la residenza italiana per entrambi gli anni (difficile che gliene lascino uno, visto che condotta simile di solito è letta come elusiva) e paga le imposte dovute, ma con sanzioni ridotte. In cambio, magari l’Agenzia rinuncia a contestare separatamente la società (potrebbero accontentarsi di tassare in capo a lui gli utili senza aprire anche un accertamento IRES alla società, semplificando tutto). Luigi paga così un totale rilevante ma evita il contenzioso e riduce rischio penale (pagando prima, può sperare nell’attenuante o non punibilità per integrale pagamento – norme recente D.Lgs. 158/2015 permettono estinzione reato omessa dichiarazione se paghi tutto prima del giudizio penale).
Se invece Luigi volesse combattere in giudizio, la sua chance migliore sarebbe convincere che almeno dal 2021 la residenza era a Malta. Potrebbe, ad esempio, portare evidenza che la moglie nel 2021 si è separata e lui allora ha vissuto prevalentemente a Malta (scenario inventato: se ci fosse una separazione, i legami affettivi in Italia si allentano). Senza un cambio fattuale forte, però, in giudizio rischierebbe di perdere. E accumulare interessi e possibili condanne penali nel frattempo.
Morale: questo caso mostra come mantenere stretti legami familiari in Italia vanifica il tentativo di ottimizzazione fiscale spostandosi a Malta. Dal punto di vista del debitore, bisogna valutare onestamente la propria situazione: se la famiglia è radicata in Italia e non si può/vuole spostarla, pretendere di essere considerato non residente è molto arduo. Una soluzione potrebbe essere pianificare diversamente (ad es. usufruire di regimi speciali in Italia per impatriati, o quantomeno dichiarare redditi esteri e ottenere credito d’imposta, così da non avere evasioni contestabili).
Caso 3: Pensionato italiano residente a Malta
Scenario: Giuseppe, ex dirigente d’azienda, si trasferisce a Malta nel 2021 dopo la pensione, iscrivendosi regolarmente all’AIRE. Riceve una pensione privata dall’INPS di circa €40.000 annui. Secondo la Convenzione Italia-Malta, le pensioni private sono tassate solo nello Stato di residenza del contribuente (Malta), mentre le pensioni pubbliche restano tassabili nello Stato che le eroga (Italia). L’INPS però, non avendo inizialmente recepito il cambio di residenza, continua ad applicare la ritenuta IRPEF sulla pensione di Giuseppe per tutto il 2021 e 2022. Nel 2023 Giuseppe chiede il rimborso all’Agenzia delle Entrate di queste ritenute, allegando certificato di residenza maltese e Convenzione. Invece di rimborsare, l’Agenzia avvia un controllo incrociato e – sorpresa – contesta a Giuseppe di non aver presentato la dichiarazione dei redditi in Italia per il 2021 e 2022, e quindi apre un accertamento per omessa dichiarazione (nonostante la pensione fosse già tassata alla fonte). Sostanzialmente, l’Agenzia afferma che per loro Giuseppe era ancora residente in Italia (forse perché la moglie è rimasta in Italia ancora qualche mese nel 2021 prima di raggiungerlo, o per semplice inerzia burocratica). Vogliono negargli il rimborso e tassare la pensione in Italia, sostenendo che solo se dichiara in Italia può avere il credito per eventuali imposte maltesi (Malta su pensioni estere potrebbe avere aliquota ridotta o esenzione parziale, non addentriamoci).
Analisi: Questo caso è ispirato a situazioni reali (casi di pensionati all’estero con difficoltà a vedersi riconoscere le esenzioni). In verità, la Convenzione è chiarissima: se la pensione non è governativa, solo Malta tassa. Giuseppe dal canto suo risiede a Malta, magari la moglie l’ha raggiunto nel 2022, quindi ha chiaramente trasferito vita lì. Sembra che l’Agenzia agisca per non restituire le imposte (atteggiamento a volte riscontrato) e usi la scusa dell’omessa dichiarazione per punirlo.
Cosa fare: Giuseppe deve far valere con forza i suoi diritti convenzionali:
- Presentare un ricorso per rimborso delle ritenute IRPEF subite (se non l’ha già fatto), contestualmente difendersi dall’avviso di accertamento spiegando che quell’avviso non ha ragione d’essere perché i redditi non erano imponibili in Italia.
- Citare il precedente Cass. 29463/2024, caso molto simile di un pensionato in UK, dove la Cassazione ha riconosciuto il rimborso perché la Convenzione assegnava la tassazione esclusiva all’estero. E sottolineare che la Cassazione ha detto: Convenzione prevale, ritenuta non dovuta.
- Evidenziare che l’iscrizione AIRE c’era (2021) quindi neanche la presunzione interna regge, e comunque è relativa. Anche se la moglie inizialmente è rimasta qualche mese, nel complesso lui ha abitazione permanente a Malta dall’inizio, e 183+ giorni certamente lì, quindi i criteri tie-breaker lo danno a Malta.
- Sottolineare che pretendere la presentazione della dichiarazione italiana per avere il credito è un formalismo in violazione dei trattati, come denunciato anche a livello politico (cita magari l’on. Fabio Porta che in un comunicato ha parlato di “Cassazione censura doppia imposizione” e invita a cambiare legge).
- In giudizio, chiedere l’annullamento dell’accertamento e contestualmente la condanna dell’Amministrazione a rimborsare X euro indebitamente trattenuti. Se ha già un diniego di rimborso impugnato, unificare le cause o comunque portarle avanti.
Esito atteso: Con molta probabilità, Giuseppe vincerà. Già in fase di adesione, l’ufficio potrebbe rendersi conto dell’errore (soprattutto se Giuseppe allega la copia della Circolare AdE 20/E/2024 dove la stessa Agenzia ammette che in presenza di Convenzione la presunzione cede). In Commissione, salvo rare interpretazioni errate, i giudici riconosceranno l’esclusiva potestà impositiva di Malta. Giuseppe otterrà il suo rimborso (magari con gli interessi).
Il caso evidenzia come il pensionato estero debba a volte lottare un po’ ma la legge è dalla sua parte. L’importante per Giuseppe è stato mantenere traccia di tutto (certificati di residenza, ecc.) e non scoraggiarsi di fronte a un apparente accanimento dell’ufficio. Purtroppo, la macchina amministrativa a volte opera automaticamente, e sta al contribuente far valere principi di rango superiore.
Questi esempi dimostrano situazioni diverse: dal contribuente virtuoso che deve solo esibire prove (Caso 1), a quello che ha gestito male l’espatrio e deve rimediare magari pagando (Caso 2), al caso di applicazione di un diritto convenzionale (Caso 3). Nella sezione seguente, organizzeremo sotto forma di FAQ – Domande e Risposte alcuni quesiti ricorrenti sulla materia, per fissare i concetti chiave.
Domande frequenti (FAQ)
D1: Cosa determina la residenza fiscale in Italia per una persona fisica?
R: La residenza fiscale è determinata dall’art. 2 TUIR. Una persona è residente fiscale in Italia se, per più di 183 giorni l’anno, soddisfa almeno uno di questi criteri: iscrizione nelle anagrafi comunali italiane; domicilio in Italia (inteso dal 2024 come centro prevalente delle relazioni personali e familiari); residenza civile in Italia (dimora abituale); oppure, dal 2024, presenza fisica in Italia per oltre metà anno. Questi requisiti sono alternativi. In passato bastava l’iscrizione anagrafica per considerare residente senza eccezioni; ora è una presunzione relativa superabile con prova contraria. In pratica, contano molto i fatti: dove vive e lavora effettivamente la persona, dove ha la famiglia, etc. Anche se si è iscritti all’AIRE (quindi formalmente non residenti in Italia), il Fisco italiano può comunque contestare la residenza se trova indizi che il centro di vita è rimasto in Italia (es. famiglia, casa, attività economica in Italia). Viceversa, anche se per errore uno rimane iscritto in Italia, può provare di aver spostato all’estero la residenza di fatto.
D2: L’iscrizione all’AIRE garantisce di non pagare le tasse in Italia?
R: Non automaticamente. L’iscrizione all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) è un passo necessario – e obbligatorio per legge – per chi si trasferisce fuori Italia più di 12 mesi, ma non è di per sé sufficiente a determinare la residenza fiscale. Serve ad evitare la presunzione di residenza in Italia (che ora è relativa) e a comunicare ufficialmente il trasferimento. Tuttavia, il fisco guarda anche all’effettività: bisogna realmente trasferire altrove la propria dimora abituale e centro di interessi. L’iscrizione AIRE diventa una condizione di base: senza AIRE si è quasi certamente considerati residenti in Italia (con rarissime eccezioni legate a prove convenzionali). Con l’AIRE, invece, si parte dal presupposto opposto – ma il Fisco può comunque verificare. In sintesi: iscrivetevi sempre all’AIRE entro 90 giorni dall’espatrio (dal 2024 ci sono anche multe €200-1000 per chi non lo fa), tenete aggiornati i vostri dati, ma sappiate che l’AIRE vi mette al riparo da molti automatismi (es. gli scambi bancari CRS andranno al paese estero e non all’Italia) ma non vi blinda al 100% se poi risultate di fatto vivere in Italia.
D3: Sono residente a Malta con famiglia ancora in Italia: dove pago le tasse?
R: Questa è una situazione delicata. Formalmente, se sei iscritto AIRE a Malta, risulteresti residente fiscale a Malta. Ma se la tua famiglia (coniuge, figli) è rimasta in Italia e tu trascorri molto tempo in Italia, l’Agenzia delle Entrate potrebbe sostenere che il tuo domicilio (centro degli interessi vitali) è ancora in Italia. In base alla Convenzione Italia-Malta, in caso di doppia residenza contesa, si guarda prima all’abitazione permanente e alla famiglia: se la tua casa principale e famiglia sono in Italia, l’Italia avrà buone carte per considerarti residente (tie-breaker rule del centro interessi vitali). Ciò significa che rischi di dover pagare le tasse in Italia su tutti i redditi (poi eventualmente chiedere crediti per quelle pagate a Malta). Per evitare ciò, dovresti cercare di spostare anche la famiglia a Malta o comunque dimostrare che la tua vita economica e personale è ormai prevalentemente lì. Se ciò non è possibile, sappi che la tua posizione è vulnerabile: formalmente dichiari a Malta, ma l’Italia potrebbe recuperare le imposte considerandoti ancora residente italiana (con sanzioni). In una parola, la famiglia incide moltissimo. Meglio pianificare con un consulente: in alcuni casi potrebbe convenire rientrare in Italia sfruttando semmai regimi agevolati (tipo regime impatriati, tassazione agevolata del 50-70% del reddito per 5 anni) se non puoi trasferire la famiglia. Ogni situazione va valutata, ma attenzione: famiglia in Italia = forte legame fiscale con Italia.
D4: L’Agenzia delle Entrate può controllare i miei conti bancari esteri e altri asset a Malta?
R: Sì. Grazie allo scambio automatico di informazioni (CRS) e alle direttive UE, l’Italia riceve ogni anno dai paesi esteri (compresa Malta) i dati finanziari dei conti detenuti da soggetti che risultano residenti fiscali in Italia. Questo include saldo di conto, interessi maturati, dividendi incassati, proventi assicurativi, ecc. Dunque, se tu hai un conto a Malta e sei ancora ufficialmente residente in Italia nel periodo, l’Italia lo saprà e controllerà se hai dichiarato quei soldi. Se sei iscritto AIRE a Malta, come detto, i dati andranno a Malta e non all’Italia, però l’Italia può comunque chiedere informazioni su specifici contribuenti (scambio su richiesta). Inoltre, se hai immobili a Malta o partecipazioni, possono emergere da altre fonti (ad esempio, registri pubblici, oppure tu stesso devi dichiararli in Malta e quelle info possono arrivare in Italia tramite scambio tra amministrazioni). Insomma, i paradisi bancari sono finiti: Malta in particolare non è un paese opaco finanziariamente. Aggiungiamo che la Guardia di Finanza, se indaga su di te, può ottenere autorizzazione per accedere ai tuoi conti esteri (tramite rogatoria o cooperazione). Quindi, sì, i conti esteri sono controllabili. L’Agenzia può anche utilizzare quei dati come base di accertamento: se vede movimenti esteri sospetti (es. bonifici da e verso l’Italia), li userà come prove di redditi non dichiarati. Ricorda anche che se sei considerato residente italiano, devi dichiarare ogni anno nel quadro RW tutti i conti, investimenti e immobili detenuti all’estero, altrimenti ci sono sanzioni dal 3% al 15% degli importi non dichiarati (anche se i redditi fossero esenti).
D5: Quali sanzioni rischio se l’Italia mi considera residente e non ho dichiarato i redditi esteri?
R: Le sanzioni si dividono in amministrative e (eventualmente) penali. Sul piano amministrativo, se non hai presentato la dichiarazione dei redditi pur dovendolo fare (perché ti considerano residente in Italia), la violazione è “omessa dichiarazione”: la sanzione è dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, con minimo €250. Se invece hai presentato la dichiarazione ma hai omesso dei redditi esteri (ad esempio dichiarato solo redditi italiani), la violazione è “dichiarazione infedele”: sanzione dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta. In entrambi i casi, se paghi subito o aderisci, puoi avere riduzioni (adesione riduce a 1/3, acquiescenza pure a 1/3, ravvedimento variabile in base al ritardo). Inoltre ci sono sanzioni fisse per il quadro RW non compilato: 3% di ogni importo non dichiarato (ad es. valore del conto) per paesi collaborativi come Malta, che sale al 6% se fosse black list (Malta non lo è). Queste sanzioni RW si applicano per ogni anno. Ad esempio: conto da €100k non dichiarato in RW per 2 anni = sanzione potenziale €3k * 2 = €6k (riducibili se aderisci o ravvedi).
Sul piano penale, se l’imposta evasa supera certe soglie, si incorre in reati. In particolare, omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs.74/2000) scatta se l’imposta evasa supera €50.000 per periodo d’imposta. Pena: reclusione da 2 a 5 anni. Dichiarazione infedele (art.4) scatta se imposta evasa > €100.000 e redditi non dichiarati > 10% del totale o comunque > €2 milioni. Pena: reclusione da 2 a 4.5 anni. Ad esempio, se per 3 anni non hai dichiarato niente e ogni anno dovevi €60k di tasse, hai 3 reati di omessa dichiarazione. Va detto che pagare integralmente il dovuto (imposte, sanzioni, interessi) prima del dibattimento penale estingue i suddetti reati (norma introdotta nel 2019). Quindi c’è possibilità di evitare la condanna pagando il debito tributario tempestivamente. In ogni caso, è meglio non arrivarci: conviene regolarizzare prima (anche perché i €50k si raggiungono abbastanza velocemente con redditi alti). Oltre alle sanzioni pecuniarie, considera anche che se vieni iscritto a ruolo per importi > €50k e risulti inadempiente, potresti subire il blocco del passaporto o divieto di espatrio, in teoria, secondo norme anti-evasione (anche se misure così drastiche in UE non sono comuni, esiste comunque la possibilità di iscrizione al registro debitori e pignoramenti internazionali).
D6: In caso di accertamento, è consigliabile pagare subito o fare ricorso?
R: Dipende dalla fondatezza dell’accertamento e dalla tua situazione finanziaria. Se ritieni l’accertamento totalmente infondato e hai buone prove, fare ricorso è la via da seguire (dopo magari aver tentato un confronto con l’ufficio tramite accertamento con adesione). Non pagare subito l’intero importo se intendi ricorrere, perché perderesti il diritto alle riduzioni sanzioni riservate a chi paga entro 60 gg (acquiescenza). Puoi eventualmente pagare 1/3 provvisoriamente (come richiesto per sospendere la riscossione in pendenza di ricorso), e poi aspettare l’esito. Se vinci, ti restituiscono quel pagato con interessi. Se perdi, pagherai il resto (più interessi legali).
Se invece l’accertamento è parzialmente corretto e le prove non sono solide per difenderti completamente, valutare l’accertamento con adesione o la conciliazione può essere saggio: avrai sanzioni ridotte e chiuderai la vicenda velocemente. Pagando subito entro 60 gg (acquiescenza) ottieni la sanzione ridotta a 1/3 ma rinunci a impugnare – da fare solo se sei certo di aver torto e vuoi beneficiare dello sconto.
Attenzione alla liquidità: se l’importo è elevato e pagare 1/3 ti crea problemi, puoi chiedere al giudice tributario la sospensione dell’esecutività dell’atto (entro 60 gg dal ricorso) dimostrando il danno grave che subiresti pagando. Se te la concedono, non dovrai versare finché la causa non definisce almeno il primo grado. Ma la sospensione non è automatica – devi convincere il giudice.
In generale, se hai margine di dubbio ma anche di rischio, spesso conviene ricorrere, perché in sede giudiziale talora le Commissioni sono più equilibrate e disapplicano interpretazioni troppo rigorose del fisco (specie su convenzioni, onere della prova, ecc.). Valuta anche i costi: un contenzioso ha costi di difesa (onorari) e tempi lunghi. Se l’importo in gioco è modesto, può convenire pagare e chiudere per pace mentale. Se è ingente, di solito conviene lottare almeno per ridurre.
D7: L’Italia e Malta come gestiscono le doppie imposizioni? Rischio di pagare due volte le tasse?
R: Grazie alla Convenzione contro le doppie imposizioni, il rischio di doppia tassazione giuridica (lo stesso reddito tassato integralmente due volte) dovrebbe essere scongiurato, almeno sul piano del principio. In pratica:
- Se sei effettivamente residente a Malta (tie-breaker ti dà Malta), l’Italia non può tassare i tuoi redditi esteri (es. stipendio maltese, pensione privata) e deve restituire eventuali imposte trattenute indebitamente. Potrà tassare solo eventuali redditi d’origine italiana con le regole della Convenzione (per es: affitto di una casa in Italia – tassabile in Italia ma con aliquote convenzionali).
- Se invece sei considerato residente in Italia, allora l’Italia tassa il tuo reddito mondiale, compresi quelli da Malta; però dovrà riconoscerti un credito per le imposte pagate in Malta su quei redditi, in base all’art. 24 della Convenzione (metodo dell’imputazione) e all’art. 165 TUIR interno. Ci sono state controversie in passato quando uno non dichiarava affatto il reddito estero: l’Italia negava il credito (perché non dichiarato in Unico). Ora la Cassazione ha chiarito che il credito spetta comunque se il reddito era tassato all’estero, perché i trattati prevalgono. Quindi, se proprio ti tocca pagare in Italia, almeno sconterai quanto già versato a Malta (fino a concorrenza dell’imposta italiana su quel reddito). Potresti pagare una differenza se l’aliquota italiana è maggiore di quella maltese.
Da un punto di vista pratico, a volte si verifica doppia imposizione economica temporanea: ad esempio, tu paghi a Malta durante l’anno e l’Italia ti chiede di pagare anche lì e poi chiedere rimborso a Malta o credito. Ma in linea di principio, seguendo le procedure, uno dei due stati deve restituire o compensare. Se ciò non avviene spontaneamente, puoi attivare la Mutual Agreement Procedure (MAP) prevista in Convenzione: le autorità si sederanno per eliminare la doppia tassazione. Esiste anche a livello UE una procedura arbitrale per doppie imposizioni transfrontaliere (direttiva UE 2017/1852).
In sintesi, non dovresti pagare due volte. Tuttavia, la doppia imposizione può concretizzarsi nel breve termine se l’Italia ti fa un accertamento e l’altro stato non sa nulla: tu potresti dover sborsare in Italia e poi chiedere rimborso a Malta delle imposte maltesi (o viceversa). Questo può richiedere tempo e contenziosi. Per evitarlo, è meglio:
- regolare prima la questione della residenza (avere certezza in un solo stato),
- usare gli strumenti di interpello e accordo preventivo se disponibili,
- e sempre dichiarare i redditi ovunque per poi reclamare i crediti, piuttosto che nasconderli.
D8: Ho ricevuto un accertamento mentre vivo a Malta: come mi viene notificato l’atto e cosa succede se non lo ritiro?
R: La notifica di atti tributari a residenti all’estero avviene secondo regole specifiche. Se hai comunicato all’Agenzia delle Entrate il tuo indirizzo estero (ad esempio tramite il consolato o con modulo all’AdE) o hai eletto un domicilio in Italia presso un fiduciario, l’avviso dovrebbe esserti notificato lì. Altrimenti, la legge prevede che i cittadini italiani AIRE abbiano domicilio fiscale nel Comune di ultima residenza in Italia. Quindi spesso l’Agenzia notifica presso il Municipio di quel comune (affiggendo l’atto nell’albo pretorio) o all’ultimo indirizzo noto in Italia. Potrebbero inviartelo anche per raccomandata all’estero, ma non sempre lo fanno (in teoria potrebbero usare il servizio postale internazionale, se c’è convenzione – tra Italia e Malta c’è, quindi raccomandata con ricevuta di ritorno in Malta sarebbe valida). Se tu non ritiri la raccomandata estera o non ti presenti dal consolato per la notifica, la procedura prevede il deposito presso il comune italiano. Insomma, è facile non accorgersi di una notifica se non hai un recapito curato. Per questo si consiglia: appena iscritti AIRE, comunicare un indirizzo valido e magari un indirizzo PEC se disponibile (la PEC per persone fisiche non è obbligatoria, ma se ne hai una e l’hai usata nei rapporti col fisco, potrebbero inviarti l’atto via PEC).
Se non vieni a conoscenza dell’atto e questo viene pubblicato in comune, la notifica si considera perfezionata e i termini decorrono lo stesso. Potresti scoprirlo molto tardi, magari quando parte la riscossione. A quel punto le possibilità di difesa sono ridotte (potresti fare un ricorso tardivo lamentando vizio di notifica, ma se la procedura è stata formalmente seguita non avrai ragione).
In breve: per evitare questo rischio, nomina un domiciliatario in Italia di fiducia (un parente, un professionista) che riceva gli atti per te, oppure controlla periodicamente presso il tuo vecchio comune se ci sono atti a tuo nome. Puoi anche chiedere al comune di notificarti via PEC (non ufficiale ma alcuni lo fanno).
Se proprio un atto è stato notificato senza che tu sapessi nulla, appena ne vieni a conoscenza conviene rivolgersi a un legale per valutare se impugnare subito (ricorso per “errores in notifica”) o chiedere la rimessione in termini. Non ignorare mai la corrispondenza dall’Italia anche se sei all’estero.
D9: Cos’è l’accertamento con adesione e mi conviene usarlo nel mio caso?
R: L’accertamento con adesione è una procedura di conciliazione tra contribuente e fisco (disciplinata dal D.Lgs. 218/1997). Quando ricevi un avviso di accertamento, hai la possibilità, prima di presentare ricorso, di chiedere un incontro all’ufficio che ha emesso l’atto, per discutere i punti contestati e cercare un accordo sull’importo da pagare. I vantaggi:
- Le sanzioni amministrative vengono ridotte a 1/3 di quelle minime previste dalla legge (ad es., omessa dichiarazione sanzione min 120% → in adesione paghi 40%). Questo spesso dimezza o più l’ammontare delle sanzioni dell’atto.
- Si ottiene una sospensione dei termini di ricorso: dall’istanza di adesione i 60 giorni per impugnare si congelano per massimo 90 giorni, dandoti più tempo per trattare e valutare.
- È un confronto meno formale: puoi portare documenti integrativi, spiegare situazioni complesse direttamente al funzionario e magari convincerlo a rimodulare l’accertamento (es. togliere voci inesatte, riconoscere deduzioni).
- Se si raggiunge l’accordo, firmi e paghi (anche a rate) e la questione è chiusa: l’ufficio non ti farà ulteriori accertamenti su quegli anni e tu rinunci al ricorso.
Gli svantaggi:
- Se firmi l’adesione, rinunci a impugnare l’atto: l’accordo è definitivo. Quindi se emergessero nuovi elementi dopo, non potrai più farci nulla (salvo rari casi di revocazione).
- Potresti dover concedere qualcosa anche se hai ragione, per poter transare. Ad esempio, magari sei convinto di non dover nulla, ma in adesione accetti di pagare una parte per chiudere. Devi valutare se vale la pena rispetto a lottare in giudizio.
- L’adesione richiede che l’ufficio sia disponibile a trattare: in alcuni casi li trovi irremovibili sulla loro posizione, e allora rischi di perdere solo tempo.
In generale, conviene tentare l’adesione se: (a) l’accertamento ha margini di trattativa (ad esempio questioni di valore, imponibili da rideterminare, stime etc.); (b) vuoi ridurre subito sanzioni e contenzioso; (c) il tuo caso non è bianco o nero, ma grigio, e quindi un compromesso ti sembra accettabile. Nel contesto residenza estera: se sai di avere qualche punto debole (tipo famiglia in Italia, come nell’esempio di Luigi), in adesione potresti ottenere uno “sconto” sulle annualità o sulle sanzioni, evitando il rischio di cause lunghe e magari penali. Se invece sei certo di avere ragione (come Maria o Giuseppe negli esempi), puoi ancora usarla per spiegare e far magari annullare l’atto in autotutela. Ma se l’ufficio non cede, meglio proseguire col ricorso piuttosto che accettare di pagare ciò che non devi.
Ricorda: presentare l’istanza di adesione non ti vincola a firmare poi l’accordo. Puoi sempre decidere, se la proposta non ti soddisfa, di non aderire e fare ricorso (i 60 gg ripartono dal rifiuto o dalla scadenza dei 90 gg di sospensione).
D10: Dopo quanti anni un eventuale accertamento non può più essere emesso? (Termini di prescrizione)
R: I termini sono fissati dalla legge in materia di decadenza dell’azione accertativa. Per le imposte sui redditi:
- Se il contribuente ha presentato la dichiarazione dei redditi per l’anno X, il termine ultimo per un accertamento su quell’anno è il 31 dicembre del quinto anno successivo. Esempio: dichiarazione 2020 (redditi 2019) presentata a giugno 2020 → l’accertamento può arrivare fino al 31/12/2025.
- Se il contribuente non ha presentato la dichiarazione (omissione), il termine si allunga al 31 dicembre del settimo anno successivo. Esempio: per redditi 2019 dichiarazione omessa → accertabile fino al 31/12/2026.
Questi sono i termini “ordinari” attuali (dopo modifiche fatte nel 2015). Non esiste più la sospensione biennale per rimborso estero come un tempo, ora sono termini fissi potenzialmente prorogati solo da eventi particolari. Ad esempio, se fai un’adesione o conciliazione, i termini si considerano rispettati se l’atto iniziale era entro i termini. Se c’è un reato tributario contestato e la notitia criminis inviata entro quei termini, scatta il cosiddetto “raddoppio dei termini”: diventano 10 anni (dichiarazione) o 8 (omessa), ma solo se la denuncia penale non è temeraria. Comunque, situazioni particolari.
Nel contesto pratico: a luglio 2025, accertabili sono ancora gli anni dal 2019 in poi (2018 solo se dichiarazione omessa con termine 2025, ma ormai se non notificato entro 31/12/2024 è decaduto; il 2017 è decaduto del tutto). Ogni anno che passa, “si chiude” una finestra.
Attenzione: se sei iscritto AIRE e non hai mai dichiarato nulla pensando di essere all’estero, ma l’Agenzia ritiene che eri residente, hai omesso dichiarazioni e quindi 7 anni. Esempio: eri all’estero 2016-2022, loro dicono eri residente → possono farti accertamento 2016 (scadeva fine 2023) in teoria, 2017 (fine 2024), 2018 (fine 2025) etc. Quindi, non pensare che essendo passato qualche anno sei salvo: controlla sempre i termini.
D11: È vero che dal 2024 l’Italia farà più controlli sugli iscritti AIRE?
R: In parte sì. La Legge di Bilancio 2023 (art. 1 comma 144 L.197/2022) ha introdotto misure per incentivare i controlli sui cittadini italiani all’estero non iscritti AIRE e su chi viola l’obbligo anagrafico. Ha aumentato le sanzioni come detto e previsto che le pubbliche amministrazioni (anche estere) debbano segnalare ai Comuni elementi che facciano pensare che un cittadino è residente di fatto all’estero (così il Comune può iscriverlo d’ufficio in AIRE). Inoltre ha stanziato fondi per potenziare le attività di accertamento su queste posizioni. Questo significa che probabilmente vedremo un’intensificazione dei controlli incrociati: ad esempio, se un italiano risulta titolare di bollette attive in Italia ma risiede all’estero, scatteranno verifiche; oppure, come già avviene, utilizzeranno i dati CRS non solo per accertare redditi ma per identificare chi potrebbe aver simulato l’espatrio. Nel 2024 e 2025, l’Agenzia ha emanato direttive interne (come la circolare 20/E/2024 stessa) per uniformare la lotta all’esterovestizione di persone e società, segno che il tema è caldo.
Quindi sì, c’è la volontà di “pizzicare” gli expat furbetti. Però dall’altro lato, la normativa è diventata più garantista (presunzioni relative, riconoscimento tie-breaker) quindi i controlli dovranno essere più accurati e basati su sostanza, non solo su formalismi. Possiamo attenderci più questionari e analisi di rischio. Ad esempio, magari ti chiederanno via lettera di dimostrare che sei residente all’estero prima di procedere. Insomma, se hai fatto le cose per bene, i controlli non dovrebbero spaventarti: rispondi con trasparenza e documenti. Se invece sai di avere qualche scheletro nell’armadio (es. sei AIRE ma stai sempre in Italia), sappi che la probabilità di controlli è crescente e ti converrebbe regolarizzare la situazione prima di essere colto in fallo.
D12: Mi conviene rivolgermi a un avvocato tributarista per farmi assistere?
R: Assolutamente sì, se sei oggetto di un accertamento di questo tipo. La materia è complessa (incrocio di norme interne, internazionali, prove fattuali) e le implicazioni economiche possono essere pesanti, inclusi aspetti penali. Un professionista esperto può:
- Analizzare in modo obiettivo la tua posizione e la robustezza delle prove (evitando che tu faccia passi falsi o tralasci elementi utili).
- Curare la redazione di memorie, istanze, ricorsi in modo tecnicamente corretto, citando la giurisprudenza rilevante (Cassazione, etc.) che magari tu non conosci ma può convincere l’ufficio o il giudice.
- Rappresentarti nei colloqui di adesione o in giudizio, controbattendo efficacemente alle argomentazioni dell’Agenzia.
- Gestire le scadenze processuali evitando decadenze (molti contribuenti fai-da-te incorrono in errori formali che pregiudicano il ricorso).
- Negoziare eventualmente soluzioni transattive (il Fisco stesso in sede di conciliazione è più propenso a trattare se di fronte ha un legale che conosce le regole, perché sa che in giudizio quel legale potrebbe dargli filo da torcere).
- Occuparsi anche del coordinamento con consulenti esteri o materie collaterali (ad es. se serve un fiscalista maltese per un documento, o un penalista in caso di risvolti penali).
Considera che le spese di difesa, se vinci la causa, possono esserti in buona parte rimborsate dall’Agenzia delle Entrate (il giudice di solito liquida una somma per spese legali a carico della parte soccombente). E anche in adesione, i benefici economici che un bravo tributarista può ottenere (riduzione imponibile o sanzioni) spesso superano il suo onorario.
Per scegliere il professionista giusto, cerca qualcuno con esperienza specifica in fiscalità internazionale delle persone e contenzioso tributario. Eventualmente, se l’importo è elevatissimo, vale la pena creare un team con un avvocato in Italia e uno in Malta, per coprire ogni aspetto.
D13: Dopo aver chiuso la verifica, posso fare qualcosa per evitare problemi futuri?
R: Sì, impara dall’esperienza e metti ordine nelle tue questioni fiscali. Alcuni suggerimenti:
- Se decidi di restare all’estero, sistema tutti gli aspetti formali: AIRE aggiornata, indirizzi comunicati, eventuale rappresentante fiscale nominato. Chiudi le pendenze in Italia: ad esempio, vendi immobili o affittali a terzi (così generi un reddito italiano che dichiari ma intanto non hai la casa vuota che indica residenza).
- Valuta la possibilità di un interpello fiscale in caso di dubbi futuri: l’interpello all’Agenzia può essere usato per chiedere conferma ad esempio che l’anno prossimo sarai considerato non residente dato che… (ci vuole una questione specifica, ma ad esempio potresti chiedere se una certa convenzione si applica a un tuo caso). Le risposte ad interpello vincolano il Fisco (solo il richiedente).
- Tieni traccia documentale di tutto: d’ora in poi conserva contratti, bollette, biglietti aerei, così se mai (speriamo di no) dovesse ripresentarsi un accertamento, avrai subito il materiale. Magari predisponi un “dossier residenza” annuale con i documenti chiave di quell’anno (giova anche se un domani chiedi lo status di residente non dom altrove).
- Se invece hai deciso che l’estero non fa per te o non riesci a soddisfare i requisiti, pianifica il rientro in Italia in modo vantaggioso: come accennato, esistono incentivi per il rientro dei cervelli o impatriati (50% o 70% di esenzione redditi per 5 anni se rientri e lavori in Italia). Potresti beneficiare di questi regimi e azzerare di fatto differenze fiscali col passato, oltre a chiudere il capitolo con il fisco italiano (una volta che sei di nuovo residente e in regola, cessa l’interesse a “inseguiti” per gli anni trascorsi, salvo ovviamente eventuali pendenze ancora aperte).
In conclusione, prevenire è meglio che curare: la compliance fiscale internazionale è complessa ma gestibile con consulenze adeguate. Se già sei passato per un accertamento, fai in modo di non ripetere gli stessi errori.
Fonti e riferimenti normativi
D.Lgs. 27/12/2023 n. 209 – Decreto attuativo riforma fiscalità internazionale (Delega L.111/2023), ha modificato art.2 TUIR (criteri residenza) e art.73 TUIR (residenza società).
Circolare Agenzia Entrate n. 20/E del 4/11/2024 – “Istruzioni operative agli uffici in materia di residenza fiscale delle persone fisiche, società ed enti”, chiarisce le nuove regole: domicilio legato ai rapporti personali, presenza fisica frazionabile, presunzioni relative per iscrizione Anagrafe e trasferimenti in Paesi privilegiati, prevalenza tie-breaker convenzionali su presunzioni interne.
Cass. Civ., Sez. Trib., ordinanza n. 19843/2024 – Ha statuito che le modifiche all’art.2 TUIR introdotte dal D.Lgs.209/2023 si applicano pro futuro (dal 2024), non retroattivamente.
Cass. Civ., Sez. Trib., sentenza n. 29463/2024 – Caso di pensionato iscritto AIRE: riconosciuta prevalenza tie-breaker Convenzione con UK su iscrizione anagrafica. Confermato diritto al rimborso delle ritenute Italia in base all’art.18 Convenzione (pensioni private tassabili solo in Stato residenza).
Cass. Civ., Sez. Trib., sentenza n. 24160/2024 – Caso di redditi da lavoro in Brasile non dichiarati in Italia da cittadino AIRE. La Corte ha sancito che il credito d’imposta per imposte estere spetta anche se il reddito non fu dichiarato in Italia, in virtù dell’obbligo convenzionale di eliminare doppia tassazione (art.23 Conv. Italia-Brasile), prevalente su art.165 co.8 TUIR.
Fabio Porta (Comunicazione 20/11/2024) – Commento politico alla sentenza Cass. 24160/2024, sottolinea invalidità di art.165(8) TUIR rispetto ai trattati e necessità di modifica legislativa.
Cass. Civ., Sez. Trib., sentenza n. 1355/2022 – ribadiva l’orientamento pre-riforma: iscrizione anagrafica in Italia costituiva presunzione assoluta di residenza fiscale italiana.
Cass. Civ., Sez. Trib., sentenza n. 16634/2018 – Idem come sopra, sul valore dirimente dell’iscrizione anagrafica.
Direttiva 2010/24/UE (recupero crediti tributari) e D.Lgs. 149/2012 – Previsto sistema di mutua assistenza tra Stati UE per la riscossione delle imposte. Un credito fiscale italiano definitivo può essere riscosso in Malta dalle autorità maltesi, su richiesta.
Normativa italiana di riferimento: art. 2 TUIR (DPR 917/86) – definizione residenza persone; art. 2 co.2-bis TUIR – presunzione per trasferimenti in Stati privilegiati; art. 58 DPR 600/73 – domicilio fiscale (persone non residenti nel comune di principale produzione reddito, residenti black-list domicilio comune ultima residenza); art. 60 DPR 600/73 – notifiche atti tributari; D.Lgs.74/2000 – reati tributari (art.4 infedele, art.5 omessa dich. >€50k).
Giurisprudenza di merito e prassi citata: es. Risposta AE interpello n. 203/2019 e n. 370/2023 (menzionate in Blast) che confermano uso tie-breaker per conflitti di residenza; Circolare Assonime n.25/2024 che suggerisce interpello preventivo residenza.
Sei residente a Malta ma hai ricevuto un accertamento fiscale dall’Italia? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Sempre più italiani decidono di trasferire la residenza fiscale a Malta per motivi professionali, imprenditoriali o di ottimizzazione fiscale. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate può contestare la residenza estera, sostenendo che si tratti di esterovestizione e richiedere il pagamento delle imposte in Italia.
Se hai ricevuto un avviso di accertamento, è fondamentale difendersi con una strategia precisa e ben documentata.
Perché il Fisco italiano contesta la residenza a Malta?
L’Agenzia delle Entrate può sostenere che, nonostante la formale iscrizione all’AIRE o la residenza dichiarata a Malta:
- 🏠 Il centro degli interessi vitali (familiari, economici, affettivi) si trovi ancora in Italia
- 💼 L’attività lavorativa o imprenditoriale continui a essere svolta in Italia
- 📍 L’abitazione principale sia ancora in uso in Italia
- 💳 Le spese rilevanti (carte di credito, conti, proprietà) siano riconducibili all’Italia
In questi casi, può essere avviato un accertamento per residenza fittizia all’estero con conseguente tassazione in Italia.
Cosa rischi in caso di accertamento?
Se l’Agenzia ritiene che la tua residenza estera sia solo formale:
- 📅 Può retrodatare la residenza fiscale in Italia fino a 5 anni
- 💰 Può richiedere il pagamento di tutte le imposte sui redditi prodotti in Italia e all’estero
- ⚠️ Ti espone a sanzioni molto elevate e interessi
- ⚖️ Può avviare indagini bancarie, accessi, verifiche e anche denunce penali per evasione
Come difendersi da un accertamento se risiedi a Malta?
La difesa deve basarsi su elementi concreti, documentabili e coerenti. Puoi:
- 🧾 Dimostrare la tua residenza reale ed effettiva a Malta (contratto di affitto, bollette, certificati, tessera sanitaria, ecc.)
- 💼 Documentare che il tuo lavoro o impresa è svolto stabilmente fuori dall’Italia
- 📂 Provare che famiglia, beni e abitudini di vita sono localizzati a Malta
- ✍️ Presentare un ricorso tributario o accertamento con adesione
- 🛡️ Richiedere tutela legale immediata contro eventuali provvedimenti esecutivi
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📑 Verifica la legittimità dell’accertamento e della contestazione sulla residenza
📂 Ricostruisce in modo dettagliato il tuo profilo fiscale e la documentazione estera
✍️ Redige ricorsi tributari tecnici e memorie difensive puntuali
⚖️ Ti rappresenta nei procedimenti tributari, anche in caso di segnalazioni penali
🔁 Ti assiste nella pianificazione fiscale internazionale e nella prevenzione di future contestazioni
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in fiscalità internazionale e contenzioso su residenza fiscale
✔️ Consulente per procedimenti per esterovestizione e contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per imprenditori, pensionati, nomadi digitali e residenti esteri
Conclusione
Se l’Agenzia delle Entrate contesta la tua residenza estera a Malta, puoi difenderti con elementi solidi e una strategia fiscale precisa.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi dimostrare la tua residenza effettiva, bloccare accertamenti illegittimi e tutelare i tuoi diritti.
📞 Richiedi ora una consulenza riservata per proteggere la tua posizione fiscale internazionale e respingere l’accertamento.