Sovraindebitamento E Calcolo Del Merito Creditizio

Hai troppi debiti, stai valutando una procedura di sovraindebitamento e ti stai chiedendo se il tuo “merito creditizio” può influenzare l’esito? Oppure temi che i tuoi precedenti finanziari possano impedirti di accedere a un piano di rientro?

Nel sovraindebitamento, il merito creditizio non è un giudizio sul passato, ma uno strumento per valutare la sostenibilità del piano proposto. Capire come viene calcolato ti aiuta a difenderti meglio e ottenere un risultato favorevole.

Cos’è il merito creditizio nel sovraindebitamento?
– È la valutazione della tua capacità attuale e futura di rispettare un piano di pagamento
– Serve a verificare se la proposta che presenti ai creditori è sostenibile, coerente e credibile
– Non si basa solo su reddito e patrimonio, ma anche su comportamento, documentazione e affidabilità

Come viene calcolato il merito creditizio?
– Si parte da un’analisi dettagliata della tua situazione economica: entrate, uscite, debiti, carichi familiari
– Viene valutata la proporzione tra debito e capacità di rimborso
– Si considerano anche eventuali patrimoni futuri, garanzie offerte e stabilità della tua fonte di reddito
– Il gestore della crisi verifica se la proposta è realistica o destinata al fallimento

Perché è importante il merito creditizio?
– Perché determina se il tuo piano può essere approvato dal giudice e accettato dai creditori
– Perché serve a dimostrare la tua buona fede e l’impegno a rispettare gli obblighi
– Perché un piano sostenibile ti permette di ottenere lo stralcio dei debiti residui (esdebitazione) a fine procedura

Cosa succede se il tuo merito creditizio è basso?
– Il piano può essere respinto per manifesta inattuabilità
– I creditori possono opporsi con più forza
– Il giudice può negare l’omologazione se ritiene il piano irrealistico

Come puoi migliorare il tuo merito creditizio in una procedura di sovraindebitamento?
– Presentando documentazione completa e veritiera
– Mostrando coerenza tra le tue entrate e quanto proponi di rimborsare
– Dimostrando la tua buona fede e collaborazione con il gestore della crisi
– Offrendo garanzie concrete, anche personali o da parte di terzi
– Costruendo un piano non troppo ambizioso, ma realistico

Cosa NON devi fare mai?
– Gonfiare i redditi o nascondere passività
– Fare piani di pagamento troppo alti per “convincere” i creditori
– Pensare che basti presentare il piano: deve essere sostenibile e difendibile
– Affidarti a soluzioni improvvisate senza una strategia legale alle spalle

Il merito creditizio nel sovraindebitamento non è un ostacolo: è il cuore del piano. E se lo costruisci bene, può portarti fuori dai debiti definitivamente.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi da sovraindebitamento – ti spiega cos’è il merito creditizio, come viene valutato e cosa puoi fare per presentare un piano efficace, approvabile e sostenibile.

Hai troppi debiti e vuoi uscire legalmente dalla crisi con un piano su misura?

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Introduzione

Il sovraindebitamento si riferisce alla situazione in cui un soggetto non è più in grado di far fronte regolarmente ai propri debiti con le risorse economiche disponibili. In Italia, questa condizione è riconosciuta e disciplinata dalla legge sin dal 2012 (con la cosiddetta Legge Salva-suicidi n. 3/2012) e, più di recente, dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 2022). Queste normative offrono ai debitori non assoggettabili alle ordinarie procedure fallimentari (consumatori, piccoli imprenditori, professionisti, start-up innovative, enti no profit, ecc.) la possibilità di ottenere un nuovo inizio (fresh start) mediante procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.

Parallelamente, il merito creditizio riguarda la valutazione della capacità di un soggetto di rimborsare un finanziamento. Si tratta della diligente verifica che banche e finanziarie devono compiere prima di concedere credito, basandosi su informazioni sul reddito, patrimonio, storico creditizio e altre circostanze del richiedente. La corretta valutazione del merito creditizio è un obbligo di legge per i finanziatori (previsto dall’art. 124-bis del Testo Unico Bancario) ed è finalizzata a tutelare sia il creditore (evitando prestiti insolubili) sia il debitore (evitando che contragga debiti che non potrà sostenere). Nel contesto del sovraindebitamento, il merito creditizio assume rilevanza anche per giudicare la meritevolezza del debitore: un finanziamento concesso senza adeguata istruttoria può attenuare la colpa del debitore sovraindebitato e impedire al creditore negligente di opporsi alla soluzione della crisi.

Normativa di riferimento e definizioni chiave

Prima di esaminare le procedure, è utile inquadrare il contesto normativo e alcuni concetti chiave:

  • Legge 3/2012 (Legge sul sovraindebitamento): ha introdotto nell’ordinamento italiano le prime procedure per la composizione delle crisi da sovraindebitamento dei soggetti “non fallibili” (es. consumatori, piccoli imprenditori sotto soglia, professionisti). Essa prevedeva tre strumenti: l’accordo di composizione della crisi (accordo con i creditori), il piano del consumatore (ristrutturazione dei debiti rivolta al consumatore, senza necessità di accordo con i creditori) e la liquidazione del patrimonio (liquidazione volontaria dei beni del debitore). La legge 3/2012 contemplava inoltre l’esdebitazione (cancellazione dei debiti residui) a beneficio del debitore meritevole al termine della procedura. Un elemento centrale era la meritevolezza del debitore, richiesta espressamente per l’omologa del piano del consumatore (assenza di dolo o colpa grave nell’indebitamento, art. 12-bis) e valutata caso per caso dal giudice.
  • Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019): entrato in vigore, per la parte sul sovraindebitamento, dal 15 luglio 2022, questo Codice ha abrogato la legge 3/2012 e ne ha riordinato la disciplina. Le procedure di sovraindebitamento sono ora regolate dagli artt. 65-83 (per le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento) e 268-283 (per l’esdebitazione) del Codice. Pur mantenendo l’impianto di fondo, il Codice introduce importanti novità pro-debitore, coerenti con il principio della “seconda chance” promosso dall’UE: criteri di accesso meno stringenti per il debitore consumatore onesto, possibilità di presentare procedure familiari congiunte, durata ridotta e automatismo dell’esdebitazione nella liquidazione controllata, e una nuova procedura di esdebitazione del debitore incapiente (c.d. esdebitazione a zero, art. 283). La meritevolezza è configurata ora come requisito in negativo (cause di esclusione) piuttosto che come requisito soggettivo discrezionale: in particolare, l’art. 69 CCII esclude l’accesso alla ristrutturazione dei debiti del consumatore se il sovraindebitamento è dovuto a dolo o colpa grave del debitore, o in caso di frode ai creditori. Contestualmente, viene sancita una sanzione procedurale verso i creditori colpevoli di aver aggravato la posizione del debitore violando i doveri di concessione responsabile del credito (di ciò si dirà dettagliatamente più avanti).
  • Sovraindebitamento: l’art. 2, co.1, lett. c) CCII lo definisce come “lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle start-up innovative […] ovvero di ogni altro debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale (fallimento, n.d.r.) o a procedura liquidatoria disciplinata dal Codice della crisi”. In parole semplici, è la situazione di squilibrio finanziario in cui una persona fisica o un piccolo operatore economico non riesce a pagare i propri debiti per il loro ammontare o per la scadenza, pur non potendo accedere alle procedure concorsuali ordinarie. Può trattarsi di un insolvenza conclamata (incapacità definitiva di adempiere) o di una crisi intesa come difficoltà finanziaria attuale che rende probabile l’insolvenza futura.
  • Consumatori e altri debitori “non fallibili”: le procedure di sovraindebitamento sono riservate ai soggetti esclusi dalle procedure concorsuali maggiori. Tra questi rientrano: le persone fisiche consumatori (che hanno debiti per esigenze estranee all’attività d’impresa o professionale), i professionisti, gli imprenditori commerciali sotto le soglie di fallibilità di cui all’art. 1 L.Fall (ora art. 2 CCII) – ad esempio piccoli imprenditori individuali con debiti inferiori a 500 mila euro –, gli imprenditori agricoli, le start-up innovative, gli enti senza scopo di lucro e, novità del Codice, anche più membri della stessa famiglia indebitati (che possono presentare una procedura unitaria). Il consumatore in particolare è definito dall’art. 2, co.1, lett. e) CCII come la persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale/professionale eventualmente svolta. È importante evidenziare questa distinzione perché alcune procedure (come il piano di ristrutturazione) sono riservate ai consumatori, mentre altre (es. concordato minore) riguardano i debitori non fallibili diversi dal consumatore.
  • Merito creditizio: è il parametro della affidabilità finanziaria di un soggetto, in base al quale un finanziatore decide se concedere un credito e in quale misura. La normativa di settore (art. 124-bis TUB per il credito ai consumatori; art. 120-undecies TUB per i crediti immobiliari ai consumatori) impone al finanziatore di valutare, prima di erogare, la sostenibilità del finanziamento rispetto al reddito e al patrimonio del cliente, consultando se necessario banche dati creditizie. Tale obbligo è espressione del principio del credito responsabile: il denaro non va prestato oltre le effettive capacità restitutive, tenuto conto delle informazioni disponibili. In termini pratici, la banca deve stimare se il debitore potrà restituire alle scadenze, considerando il suo reddito disponibile al netto delle spese essenziali di vita, il suo indebitamento pregresso, l’eventuale presenza di garanzie reali o personali, la sua affidabilità desunta dai precedenti creditizi, nonché le prospettive economiche ragionevoli. Ad esempio, un parametro diffusamente utilizzato è che la rata complessiva dei finanziamenti non superi una certa percentuale del reddito disponibile (spesso indicativamente il 30-35% del reddito netto mensile), fermo restando che deve comunque restare al debitore un minimo vitale per il sostentamento pari almeno all’assegno sociale (circa € 503 mensili nel 2024) moltiplicato per il numero di membri della famiglia (secondo la scala di equivalenza ISEE). La violazione dei doveri di verifica del merito creditizio può comportare conseguenze gravi per il finanziatore: sanzioni amministrative, responsabilità civile per concessione abusiva di credito e, come vedremo, limitazioni nei procedimenti di sovraindebitamento (il creditore negligente perde il diritto di opporsi alla omologazione del piano).
  • Meritevolezza del debitore: è il concetto che esprime la “dignità” ad accedere al beneficio dell’esdebitazione. In altre parole, il debitore meritevole è colui che si è indebitato senza frode e senza colpa grave (imprudenza o negligenza grave), ossia confidando ragionevolmente nelle proprie capacità di rimborso, e che si comporta con correttezza nella procedura. Tradizionalmente la legge richiedeva questa caratteristica per ammettere o omologare talune procedure (ad esempio l’art. 12-bis L.3/2012 imponeva al giudice di verificare la meritevolezza per omologare il piano del consumatore). Oggi il Codice della crisi adotta un approccio oggettivo-negativo: non si parla più di “meritevolezza” in positivo, ma si elencano le situazioni in cui il debitore non può accedere alle procedure per indegnità. In particolare, il consumatore è escluso dalla procedura di ristrutturazione se ha causato il sovraindebitamento con dolo o colpa grave, o se ha commesso frodi ai creditori. Analogamente, il debitore (anche non consumatore) che agisca con frode nella procedura o violi gli obblighi di legge può vedersi revocare i benefici o incorrere in sanzioni penali (ad es. art. 344 CCII prevede reati di falso nelle procedure di composizione). La meritevolezza quindi permane concetto centrale, ma è declinata come assenza di comportamenti fraudolenti o gravemente colposi. Approfondiremo più avanti come la giurisprudenza recente interpreta la colpa grave e lieve del debitore ai fini dell’accesso alla procedura, e come la condotta del creditore finanziatore incida su tale valutazione.

Procedure di sovraindebitamento nel Codice della Crisi: quadro generale

Il Codice della crisi disciplina quattro possibili procedure per la soluzione del sovraindebitamento, più uno strumento speciale di esdebitazione “diretta”. Di seguito presentiamo un quadro sintetico dei vari strumenti, prima di focalizzarci sulla ristrutturazione dei debiti del consumatore (il principale oggetto di questa guida):

  • Ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII): è l’erede del piano del consumatore della legge 3/2012. Riservato esclusivamente al debitore consumatore (persona fisica non fallibile con debiti di natura personale). Consiste in un piano di pagamento (anche parziale) dei debiti, proposto dal consumatore ai creditori, con l’ausilio di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi). Il piano non richiede il voto dei creditori: viene sottoposto all’omologazione del tribunale, il quale può approvarlo anche in presenza di opposizione dei creditori, purché ne ravvisi la fattibilità e il rispetto dei requisiti di legge. È quindi una procedura unilaterale a favore del consumatore meritevole. Il piano ha contenuto libero (può prevedere qualsiasi forma di ristrutturazione: dilazioni, stralci parziali di crediti, differenti trattamenti di diverse categorie, ecc.), ferma la necessità di garantire ai creditori opponenti almeno quanto otterrebbero in una ipotetica liquidazione del patrimonio del debitore (best interest test, art. 70, co.7 CCII). Se omologato, il piano vincola tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti, e consente – una volta eseguito – l’esdebitazione del consumatore, cioè la cancellazione dei debiti residui non soddisfatti.
  • Concordato minore (artt. 74-83 CCII): è la procedura analoga all’accordo di composizione della crisi ex L.3/2012, destinata ai debitori sovraindebitati diversi dal consumatore (es. imprenditore minore, professionista, start-up). Si tratta di un accordo con i creditori: il debitore propone un piano di ristrutturazione e lo sottopone al voto dei creditori chirografari (i privilegiati non soddisfatti integralmente partecipano al voto per la parte falcidiata). Occorre il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza per teste e per somme). In caso di approvazione da parte della maggioranza qualificata e verificata la regolarità della proposta, il tribunale omologa il concordato minore rendendolo vincolante per tutti i creditori, compresi i non votanti o dissenzienti. Anche qui vige il requisito di meritevolezza in negativo: pur non essendo menzionato esplicitamente nel concordato minore, l’OCC deve riferire se il debitore ha tenuto una condotta gravemente colposa o fraudolenta e se i finanziatori hanno valutato il merito creditizio, e il tribunale terrà conto della condotta del debitore nell’esercizio dei poteri di controllo (ad es., un imprenditore che abbia accumulato debiti evadendo sistematicamente le imposte potrebbe vedersi negare l’omologa, come affermato da Cass. 30538/2024). Il concordato minore richiede la convenienza economica della proposta rispetto alla liquidazione, nel senso che il tribunale verifica, in caso di opposizione di creditori, che nessuno riceva meno di quanto otterrebbe dalla liquidazione (simile al test già menzionato per il piano del consumatore).
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268-277 CCII): è l’evoluzione della liquidazione del patrimonio prevista dalla L.3/2012. Può accedervi qualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o no) che voglia o debba mettere a disposizione il proprio patrimonio per soddisfare i creditori. La procedura è assimilabile a una liquidazione concorsuale: il tribunale nomina un liquidatore che gestisce e vende i beni del debitore e distribuisce il ricavato ai creditori secondo le cause di prelazione. La grande novità, nell’ottica del “fresh start”, è che la liquidazione controllata ha durata massima di 3 anni dalla apertura e l’esdebitazione finale è automatica: il tribunale, decorsi i tre anni, dichiara inesigibili i debiti residui senza bisogno di un’ulteriore istanza del debitore (artt. 281-282 CCII). Ciò a condizione che il debitore abbia cooperato lealmente e non siano emerse irregolarità ostative. Dunque, anche un debitore totalmente incapiente che possiede beni modesti può scegliere la liquidazione, sopportarne gli effetti per tre anni, e poi ottenere la cancellazione dei debiti. Durante la liquidazione, il debitore può conservare una parte del reddito necessario al mantenimento proprio e della famiglia (il cosiddetto minimum vitale). Inoltre, come chiarito da varie pronunce, anche i crediti da finanziamento con cessione del quinto dello stipendio confluiscono nella liquidazione e la trattenuta in busta paga non è opponibile oltre l’apertura della procedura: i ratei futuri di stipendio tornano nella massa attiva a beneficio di tutti i creditori (il che consente al debitore di sospendere le trattenute del quinto una volta ammesso alla procedura, equiparando quel debito agli altri ai fini del concorso). La liquidazione controllata è dunque indicata per chi non ha la possibilità di proporre un piano o di ottenere il consenso dei creditori, ma può offrire le proprie risorse disponibili (presenti e future per 3 anni) in cambio dell’esdebitazione.
  • Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII): si tratta di uno strumento innovativo introdotto nel Codice della crisi, spesso chiamato anche “esdebitazione a zero”. È un procedimento che consente al debitore persona fisica meritevole, che non ha nessun patrimonio liquidabile né redditi aggredibili né altre utilità offribili ai creditori (nemmeno in prospettiva futura), di ottenere la cancellazione di tutti i propri debiti senza dover preventivamente liquidare beni. In sostanza, è pensato per chi è nullatenente o totalmente incapiente ma vuole comunque liberarsi dal peso dei debiti e ripartire da capo. I requisiti sono stringenti: il debitore non deve aver commesso atti in frode, deve dimostrare la propria buona fede e meritevolezza (assenza di colpa grave nell’indebitamento) e l’impossibilità assoluta di offrire anche solo una minima utilità ai creditori. La domanda si presenta tramite l’OCC e il tribunale, verificati i presupposti, emette decreto di esdebitazione che rende inesigibili tutti i debiti. Tuttavia, la legge tutela i creditori con una condizione risolutiva: se entro 4 anni dal decreto sopravvengono nuove utilità rilevanti (es. il debitore riceve un’eredità, vince una somma, trova un lavoro ben retribuito) tali da consentire di soddisfare i creditori almeno al 10% del loro credito, il debitore ha l’obbligo di pagare i creditori fino a concorrenza di quelle sopravvenienze (almeno fino al 10%). Passati i 4 anni senza “colpi di fortuna”, l’esdebitazione diventa definitiva e i creditori non potranno più pretendere nulla. L’esdebitazione dell’incapiente è concessa una sola volta nella vita e costituisce una sorta di extrema ratio per situazioni di sovraindebitamento grave in cui nemmeno una liquidazione avrebbe senso (perché i costi supererebbero i ricavi). Va sottolineato che anche per questa procedura l’OCC deve relazionare sulle cause dell’indebitamento, sulla diligenza del debitore nel contrarre debiti e su eventuali responsabilità dei finanziatori (merito creditizio), analogamente alle altre procedure. Ciò serve al giudice per valutare la meritevolezza e assicurare che l’istituto sia applicato solo a debitori onesti e sfortunati, non a chi ha dolosamente nascosto beni o simulato insolvibilità.

Nella tabella seguente riassumiamo le principali caratteristiche delle procedure descritte:

ProceduraDestinatariMeccanismoEsdebitazioneRiferimenti normativi
Ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore)Persona fisica consumatore sovraindebitato (non fallibile).Piano di pagamento dei debiti proposto dal debitore con l’ausilio dell’OCC. Nessun voto dei creditori; omologazione giudiziale anche senza consenso creditori (salvo diritto di opposizione sulla convenienza).Una volta eseguito il piano omologato, il debitore è esdebitato (debiti residui cancellati) ipso iure.Artt. 67-73 CCII (Codice della crisi).
Concordato minore (ex accordo di composizione)Debitore sovraindebitato non consumatore (professionista, ditta minore, ente, ecc., non soggetti a fallimento).Proposta di accordo con i creditori. Voto dei creditori richiesto (maggioranza per approvazione). Omologazione giudiziale se maggioranza raggiunta e verifica requisiti (meritevolezza negativa, ecc.).Automatico con l’omologazione e l’attuazione dell’accordo: i crediti rimasti insoddisfatti restano inesigibili (effetto esdebitatorio).Artt. 74-83 CCII.
Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio)Qualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o altro) non fallibile.Liquidazione giudiziale dei beni del debitore. Nomina di un liquidatore; vendita beni e riparto ai creditori secondo prelazioni.Dopo 3 anni dall’apertura, il tribunale deve dichiarare inesigibili i debiti residui (salvo comportamenti dolosi). Esdebitazione concessa anche d’ufficio a fine procedura.Artt. 268-277 (procedura); 280-283 CCII (esdebitazione).
Esdebitazione del debitore incapiente (nuova procedura)Persona fisica sovraindebitata senza alcuna capacità di pagamento (no beni né redditi utili) e in buona fede.Ricorso semplificato al tribunale (tramite OCC). Nessun pagamento ai creditori (procedura a “costo zero”). Verifica requisiti di meritevolezza e incapienza totale.Immediata: il decreto del tribunale cancella tutti i debiti. Condizionata però a 4 anni: se emergono utilità rilevanti in tal periodo, il debitore deve pagare i creditori fino a concorrenza (min. 10%).Art. 283 CCII.

Come si evince, tutte le procedure perseguono lo scopo comune di alleviare il debitore onesto dal peso dei debiti insostenibili, sacrificando parzialmente l’interesse dei creditori a favore di un interesse superiore: il reinserimento dell’indebitato nella vita economica attiva e la prevenzione di fenomeni di esclusione sociale (principio della second chance). Il legislatore bilancia questo favor debitoris con varie cautele: controlli sulla sincerità del debitore (obbligo di completa informazione e collaborazione con OCC e tribunale), sanzioni penali per eventuali atti in frode, requisiti di meritevolezza (niente accesso a chi ha colpe gravi o frodi), trattamento equo dei creditori (ad es. divieto di falcidiare eccessivamente i crediti oltre il risultato liquidatorio, obbligo di pagare integralmente taluni crediti come l’IVA salvo diverso accordo, ecc.). Importante innovazione è anche l’aver previsto l’attivazione delle procedure tramite gli OCC – Organismi di Composizione della Crisi: si tratta di organismi o professionisti nominati che assistono il debitore nella predisposizione del piano o accordo, ne attestano veridicità e fattibilità, e fungono da gestori della procedura (figure terze che redigono una relazione particolareggiata sul caso). L’intervento dell’OCC professionalizza la procedura e fornisce al giudice e ai creditori una valutazione indipendente della situazione del debitore.

Nei paragrafi seguenti ci concentreremo sulla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore, analizzandone i dettagli operativi e i requisiti, per poi approfondire i criteri di meritevolezza del debitore e la centralità della valutazione del merito creditizio da parte dei creditori finanziatori. Tutte le considerazioni saranno arricchite da richiami a sentenze aggiornate (fino al 2025) che hanno interpretato queste norme, offrendo chiarimenti utili a professionisti e debitori.

La ristrutturazione dei debiti del consumatore: come funziona e come accedervi

La ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII) è, come detto, la procedura di sovraindebitamento riservata ai debitori consumatori. È forse lo strumento più importante in un’ottica di tutela del debitore civile, perché consente di ottenere l’esdebitazione senza il consenso dei creditori, purché il piano proposto sia sostenibile e il debitore rispetti i requisiti di legge. Analizziamo i punti chiave di questa procedura dal punto di vista del debitore.

Condizioni di ammissibilità e contenuto del piano

Per poter presentare un piano di ristrutturazione, il debitore deve essere un consumatore sovraindebitato. Ciò implica due aspetti: (1) essere persona fisica non fallibile che ha contratto obbligazioni prevalentemente per scopi personali (non legati ad attività d’impresa); (2) trovarsi in una condizione di sovraindebitamento come definita (incapacità di adempiere regolarmente ai debiti). Non c’è una soglia quantitativa di debito minima o massima per accedere: contano la qualifica soggettiva e lo stato di difficoltà oggettivo.

L’art. 69, comma 1 CCII fissa poi alcune cause di esclusione (requisiti negativi) che, se presenti, precludono l’accesso del consumatore alla procedura. In particolare, non può accedere al piano il consumatore che:

  • a) è già stato esdebitato nei 5 anni precedenti la domanda (cioè ha già ottenuto una cancellazione dei debiti meno di cinque anni fa);
  • b) ha già beneficiato dell’esdebitazione due volte in passato (anche se oltre i 5 anni: c’è un limite di massimo due “fresh start” nella vita, questa sarebbe la terza);
  • c) ha causato il proprio sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode.

Queste condizioni riprendono in parte il previgente concetto di “debitore meritevole” ma in forma oggettiva: un consumatore che volontariamente, con dolo o grave imprudenza, ha creato il buco finanziario (ad es. assumendo obbligazioni in modo avventato ben sapendo di non poterle pagare, oppure dissipando il patrimonio in operazioni dolose), non può accedere alla procedura e godere del beneficio dell’esdebitazione. Vedremo dopo come valutare concretamente la colpa grave e la malafede, perché non ogni imprudenza preclude l’accesso: la giurisprudenza ha chiarito che occorre considerare anche il comportamento delle banche finanziatrici e le circostanze che hanno portato all’insolvenza.

Sempre l’art. 69, co.1, aggiunge che il consumatore non è ammesso se ha “determinato la situazione con frode” – caso estremo in cui, ad esempio, abbia nascosto attivi o simulato debiti inesistenti per manipolare la procedura. In pratica, se emergono atti in frode, il giudice dichiarerà inammissibile la proposta.

Oggetto e contenuto del piano (art. 67 CCII): il piano di ristrutturazione è un progetto, elaborato con l’ausilio dell’OCC, che stabilisce come il consumatore intende superare la situazione debitoria. È molto flessibile: la norma stabilisce espressamente che “la proposta ha contenuto libero e può prevedere il soddisfacimento, anche parziale e differenziato, dei crediti in qualsiasi forma”. Ciò significa che il debitore può proporre soluzioni diversificate: pagamenti parziali dei debiti (stralcio), pagamenti integrali ma dilazionati nel tempo, conversione dei crediti in altre utilità, cessione di beni (ad es. mettere in vendita un immobile per pagare i creditori ipotecari), mantenimento o meno delle garanzie, trattamenti differenti per categorie di creditori (purché rispettosi della parità di trattamento tra creditori della stessa causa e grado). Può ad esempio prevedere di pagare interamente alcuni debiti ritenuti essenziali (come alimenti, o magari tributi se vuole evitare ipoteche su casa) e proporre un taglio del 50% su altri, oppure pagare solo interessi su certi crediti e il capitale su altri, ecc. L’unico limite implicito è la fattibilità e attendibilità del piano: deve esserci una ragionevole prospettiva che il debitore riesca a eseguire quanto promesso. Da questo punto di vista, fondamentale è il ruolo dell’OCC, che redige una relazione particolareggiata (art. 68 CCII) da allegare al piano, nella quale attesta la veridicità dei dati forniti e valuta la sostenibilità del piano, nonché il rispetto dei requisiti (compresa l’assenza di colpa grave, eventuali responsabilità dei creditori, ecc.).

Documentazione richiesta e deposito dell’istanza

La domanda di ristrutturazione va presentata al tribunale competente per il territorio (luogo del centro degli interessi principali del debitore, di regola la residenza) per il tramite di un OCC nominato. Il debitore può rivolgersi a un Organismo di Composizione della Crisi (spesso istituito presso gli Ordini professionali o enti pubblici) oppure, in mancanza, chiederne la nomina al tribunale stesso. L’assistenza di un avvocato non è espressamente obbligatoria (il comma 1 dell’art. 68 CCII prevede che la domanda sia sottoscritta dal debitore e dal gestore dell’OCC, senza menzione del difensore), anche se in pratica è altamente consigliata per la complessità degli aspetti legali.

Alla domanda vanno allegati obbligatoriamente una serie di documenti informativi (indicati dall’art. 67 CCII). In sintesi, il debitore deve fornire:

  • l’elenco di tutti i creditori, con l’indicazione delle somme dovute a ciascuno e delle eventuali cause di prelazione (privilegi, ipoteche, pegni);
  • l’indicazione della composizione del suo patrimonio (beni immobili e mobili, conti correnti, ecc.) e delle eventuali attività imprenditoriali o professionali in corso;
  • l’elenco degli atti di straordinaria amministrazione compiuti negli ultimi 5 anni (es. vendite immobiliari, donazioni, costituzione di garanzie, atti eccedenti l’ordinaria gestione), per permettere di valutare se vi siano state distrazioni di beni a danno dei creditori;
  • le dichiarazioni dei redditi degli ultimi 3 anni (modelli Unico/730) e ogni documentazione relativa a redditi dell’intero nucleo familiare;
  • l’indicazione di tutti i redditi, stipendi, pensioni, salari e altre entrate del debitore e della sua famiglia, specificando quanto occorre per il mantenimento del nucleo familiare (quest’ultimo dato serve a calcolare la parte di reddito eventualmente destinabile ai creditori e la parte indispensabile per vivere dignitosamente).

Questi documenti servono a dare un quadro completo della situazione economica e patrimoniale del debitore. L’OCC li utilizzerà per redigere la relazione particolareggiata prevista dall’art. 68, dove tra l’altro dovrà attestare: le cause dell’indebitamento e il grado di diligenza impiegata dal debitore nel contrarre i debiti (viene quindi esaminato il comportamento passato del debitore), le ragioni dell’incapacità di adempiere, l’eventuale esistenza di atti impugnabili dai creditori, la fattibilità del piano e la convenienza per i creditori rispetto alla liquidazione. Inoltre, il Codice richiede espressamente che l’OCC indichi se il finanziatore ha tenuto conto del merito creditizio del debitore al momento di concedere i prestiti. Quest’ultima analisi – come vedremo – è cruciale: l’OCC verifica, ad esempio, se le banche che hanno concesso mutui o prestiti al consumatore abbiano effettuato i controlli sul suo reddito e sulle sue uscite. Se riscontra che un certo creditore ha erogato somme sproporzionate senza valutare la sostenibilità, lo evidenzierà nella relazione. Ciò poi rileva in giudizio perché, in base all’art. 69, co.2 CCII, un creditore che ha violato i principi di corretta valutazione del merito creditizio non può opporsi all’omologa del piano per questioni di convenienza.

Una volta predisposta la proposta di piano e raccolti i documenti, l’istanza viene depositata (telematicamente) in tribunale. Di norma, il tribunale fissa un’udienza per valutare la ricorribilità e, se del caso, per l’eventuale omologa. Nel frattempo, il debitore può chiedere misure protettive (art. 54 CCII): ad esempio la sospensione di eventuali procedure esecutive o di pignoramenti in corso. Il tribunale, se la domanda è completa e non manifestamente inammissibile, emette un decreto di apertura della procedura (ex art. 70 CCII) in cui nomina il giudice relatore e, se non già nominato, conferma il gestore della crisi (OCC). Contestualmente, può disporre la sospensione delle azioni esecutive individuali (bloccando temporaneamente pignoramenti, mantenendo però ferme le ipoteche già iscritte) e la sospensione di eventuali trattenute su stipendio in corso (come la cessione del quinto), per preservare l’integrità del patrimonio durante la procedura.

Omologazione del piano e ruolo dei creditori

Diversamente dal concordato minore, nel piano del consumatore i creditori non votano l’approvazione. Essi però sono comunque coinvolti: ricevono la notifica della proposta e della relazione OCC e possono presentare osservazioni o opposizioni. In particolare, ai sensi dell’art. 70 CCII, entro 20 giorni prima dell’udienza gli eventuali creditori e qualunque interessato possono depositare osservazioni sulla proposta. Le osservazioni possono riguardare la ammissibilità (ad esempio, un creditore potrebbe segnalare che il debitore ha omesso un bene o mentito su qualcosa rilevante, o che ricorre una causa ostativa come una colpa grave) oppure la convenienza del piano (sostenendo magari che la somma offerta è inferiore a quanto quel creditore otterrebbe in caso di liquidazione).

All’udienza, il tribunale (normalmente in composizione collegiale) valuta se ricorrono tutte le condizioni per l’omologazione. I controlli da fare sono:

  • Completezza e regolarità della documentazione e della proposta (presenza dei documenti richiesti, attestazioni OCC, ecc.).
  • Ammissibilità soggettiva e assenza di cause ostative (verifica che il debitore sia un consumatore sovraindebitato e che non abbia colpa grave, frodi, esdebitazioni pregresse oltre i limiti, ecc.).
  • Fattibilità del piano, alla luce della relazione OCC e delle evidenze emerse (il piano deve avere concrete possibilità di essere eseguito, quindi basi realistiche in termini di entrate future, vendite di beni, contributi di terzi, ecc.).
  • Convenienza rispetto alla liquidazione per i creditori (il piano deve garantire ad ogni creditore dissenziente un trattamento non deteriore rispetto a quello che avrebbe ottenuto dalla liquidazione controllata del patrimonio del debitore).

Un punto importante chiarito dalla riforma è come gestire l’opposizione dei creditori sulla convenienza. L’art. 70, comma 7 CCII prevede una sorta di cram-down giudiziale: se un creditore (o altro interessato) contesta la convenienza, il giudice può ugualmente omologare il piano se ritiene che il credito dell’opponente sia soddisfatto, tramite il piano, in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione controllata. In altre parole, il creditore potrà opporsi lamentando che il piano gli paga troppo poco, ma il tribunale confronterà quel pagamento con ciò che verosimilmente otterrebbe vendendo i beni del debitore in una liquidazione: se il piano assicura almeno lo stesso (o di più), l’opposizione sulla convenienza verrà rigettata e il piano omologato d’ufficio. Il creditore non può pretendere di più di quanto gli spetterebbe in liquidazione, trattandosi di un limite minimo di tutela.

Diverso è se l’opponente eccepisce ragioni di inammissibilità non legate alla convenienza, ad esempio afferma che il debitore ha tenuto una condotta fraudolenta o che manca un requisito: queste eccezioni il giudice le valuta comunque, perché l’art. 69, co.2 CCII toglie al creditore in colpa solo la facoltà di opporsi sulla convenienza, ma non di segnalare condizioni di inammissibilità derivanti da dolo del debitore. Dunque, se un creditore sostiene che il debitore è immeritevole per colpa grave, il giudice deve esaminare anche questo profilo, indipendentemente da chi lo eccepisce. La giurisprudenza ha, però, chiarito che il giudice non deve spingersi a sindacare la meritevolezza in senso ampio come requisito generale, ma solo verificare se ricorrono le cause ostative espressamente previste (colpa grave, dolo, frode). In sostanza, non c’è più una valutazione discrezionale della “moralità” del debitore: o ci sono comportamenti qualificabili come colpa grave/malafede, oppure il piano va omologato se fattibile e conveniente.

Se il tribunale riscontra tutti i requisiti, emette decreto di omologazione del piano. L’omologazione ha l’effetto di rendere vincolante il piano per tutti i creditori anteriori. Da quel momento:

  • Il debitore deve attenersi al piano e iniziare i pagamenti nei termini previsti.
  • I creditori perdono il diritto di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali per i crediti anteriori, potendo solo ricevere quanto previsto dal piano.
  • Le eventuali ipoteche o pegni sui beni del debitore restano vincolate all’esecuzione del piano (ad es. se il piano prevede la vendita della casa ipotecata e il pagamento parziale del mutuo, la banca dovrà cancellare l’ipoteca a fronte di quel pagamento parziale, secondo l’omologa).
  • Il giudice può nominare un ausiliario o confermare l’OCC per vigilare sull’esecuzione del piano, specialmente se coinvolge atti di liquidazione di beni o pagamenti complessi (questa figura era prevista espressamente nella L.3/2012, art. 13, e di fatto resta praticata per monitorare l’attuazione).

Esecuzione del piano ed esdebitazione del debitore

Una volta omologato, il piano del consumatore viene eseguito sotto la responsabilità del debitore, che dovrà corrispondere le somme promesse ai creditori nei tempi stabiliti. Esempio pratico: Tizio, sovraindebitato con 50.000€ di debiti chirografari, propone un piano in cui si impegna a pagare 300€ al mese per 5 anni (totale 18.000€) ripartiti fra i creditori in percentuale ai rispettivi crediti, garantendo così un soddisfacimento del ~36% a ciascuno, contro uno zero stimato in caso di liquidazione (perché Tizio non ha beni da liquidare). Il tribunale omologa il piano; Tizio inizia a versare 300€ mensili all’OCC o direttamente ai creditori secondo le modalità concordate. Alcuni creditori potrebbero ricevere ad esempio il 36% del loro credito in 60 rate mensili. Se Tizio esegue regolarmente tutti i pagamenti previsti e adempie agli obblighi del piano, al termine la procedura si chiude con una esdebitazione automatica: tutti i crediti inclusi nel piano, anche se parzialmente pagati (per la quota non pagata), e quelli esclusi per legge (es. eventuali debiti residuali non falcidiati) diventano inesigibili. Il debitore viene dunque liberato da ogni debito pregresso residuo.

Va sottolineato che l’esdebitazione scatta ipso iure al completamento del piano omologato (non occorre ulteriore provvedimento, salvo dare atto in decreto di chiusura che i debiti residui sono cancellati). Se invece il debitore non adempie al piano, i creditori potranno riprendere le azioni esecutive per la parte di credito non soddisfatta. In caso di inadempimenti gravi o frodi scoperte successivamente, il tribunale su istanza dei creditori può anche revocare l’omologazione (come da principi generali, richiamando analogicamente l’art. 137 L.Fall. per il concordato preventivo, applicabile al concordato minore e per analogia anche al piano del consumatore). Inoltre, se il piano fallisce, il debitore può essere dichiarato incapiente e ottenere l’esdebitazione a zero (purché ne ricorrano i requisiti) o optare per la liquidazione controllata come ultima risorsa.

Debiti esclusi dall’esdebitazione: generalmente, tutti i debiti anteriori sono ricompresi nella procedura e dunque soggetti a esdebitazione finale. Fanno eccezione alcuni debiti di natura peculiare, come gli obblighi di mantenimento (es. assegni alimentari dovuti per legge a coniuge o figli), le obbligazioni derivanti da sanzioni penali (multe penali, ammende) e, per espressa previsione, i debiti da risarcimento danni per fatti da reato (art. 282, co.3 CCII, in analogia all’art. 279 per il fallito). Queste categorie restano comunque dovute anche dopo la procedura. Ad esempio, un genitore non può usare il sovraindebitamento per non pagare l’assegno di mantenimento ai figli. Per contro, tutti gli altri debiti possono essere trattati nel piano: dai finanziamenti bancari alle bollette, dai debiti verso fornitori a quelli fiscali. Per i debiti fiscali e contributivi, il Codice prevede la possibilità di stralcio e dilazione anche senza l’adesione dell’ente, ma con il vincolo di rispettare il trattamento minimo della liquidazione e le eventuali norme speciali (ad esempio l’IVA e le ritenute non versate possono essere falcidiate solo se è proposta la soddisfazione almeno in misura pari a quella realizzabile in liquidazione, seguendo l’orientamento ormai consolidato, o se si ottiene adesione dell’Agenzia Entrate su piani dilazionati oltre 6 anni). In sede di omologa, inoltre, va individuato il soggetto legittimato al voto per i crediti erariali: la Cassazione ha chiarito che nelle votazioni degli accordi (o concordato minore) sui crediti tributari, il titolare del diritto di voto è l’Ente impositore (es. Agenzia delle Entrate) e non l’Agente della Riscossione, che è solo incaricato della riscossione. Nel piano del consumatore, dove non c’è voto, la questione non si pone, ma resta il principio che l’assenso sostanziale su eventuali trattamenti speciali di tributi deve provenire dall’ente titolare del credito.

Vantaggi per il debitore consumatore

Dal punto di vista del debitore, la procedura di ristrutturazione offre importanti vantaggi:

  • Nessuna necessità di consenso dei creditori: il debitore non è alla mercé di eventuali creditori dissenzienti, a differenza di quanto accade nelle procedure concordatarie. Se il piano è ragionevole e il debitore è onesto, può ottenere l’omologazione d’ufficio.
  • Protezione dalle azioni esecutive: fin dall’apertura della procedura, il debitore può ottenere la sospensione di pignoramenti, aste in corso, e anche delle trattenute sullo stipendio (cessioni del quinto e pignoramenti presso terzi), guadagnando respiro finanziario immediato.
  • Possibilità di stralciare i debiti: il piano consente di offrire pagamenti parziali. Non c’è un obbligo di soddisfare integralmente tutti i creditori (molti piani prevedono percentuali anche basse in caso di reale incapienza). Questo significa che il debitore può realisticamente proporre di pagare ciò che può, sapendo che il resto sarà condonato con l’esdebitazione.
  • Tempi relativamente brevi: la procedura in sé (dalla presentazione all’omologa) può durare alcuni mesi, variabili a seconda del tribunale e della complessità (in media 4-6 mesi). L’esecuzione del piano poi durerà quanto previsto (es. 4 anni, 5 anni, in certi casi anche di più). Da notare che, sebbene la prassi inizialmente consigliasse di limitare la durata del piano del consumatore a 5 anni (in analogia con i piani di insolvenza in altri ordinamenti), il Codice non pone un tetto normativo; infatti, la Corte d’Appello di Bari nel 2025 ha confermato l’omologa di un piano decennale (120 rate mensili) ritenendolo ammissibile in quanto comunque più vantaggioso della liquidazione. Quindi, in casi eccezionali, piani ultra-quinquennali possono essere accettati se necessari per massimizzare il recupero e se i creditori non subiscono pregiudizio.
  • Conservazione dei beni essenziali: a differenza della liquidazione, col piano il debitore può prevedere di mantenere alcuni beni, se riesce a pagare diversamente i creditori. Ad esempio, può evitare la vendita della prima casa se d’accordo con la banca rinegozia il mutuo o trova altra soluzione nel piano. Il giudice valuta la sostenibilità anche di proposte che lasciano al debitore beni importanti, purché i creditori non risultino danneggiati rispetto all’alternativa. Questo aspetto è prezioso per il debitore che voglia salvare la casa di famiglia o l’automobile necessaria per lavorare.
  • Effetto esdebitativo finale: forse il vantaggio maggiore è la liberazione dai debiti residui a fine piano. Ciò consente al debitore di ripartire da una situazione finanziaria pulita, riacquistando capacità di credito e soprattutto uscendo dall’angoscia di debiti perpetui.

Va però considerato che il debitore deve impegnarsi seriamente: il piano richiede disciplina nei pagamenti promessi. In caso di nuovi eventi avversi (es. perdita del lavoro durante l’esecuzione del piano) è possibile chiedere modifiche o sospensioni al giudice, ma serve giustificare e spesso rinegoziare con i creditori. Se il debitore torna inadempiente grave, rischia di perdere il beneficio.

In sintesi, la ristrutturazione dei debiti del consumatore è uno strumento potente e favorevole, ma costruito su un equilibrio: da un lato la fiducia del legislatore verso il debitore meritevole (al punto di poter imporgli il piano anche contro il volere dei creditori), dall’altro la responsabilizzazione dello stesso debitore nel rispettare gli impegni presi e la trasparenza dovuta nel presentare la propria situazione.

Nei prossimi capitoli, approfondiremo proprio i due concetti chiave che condizionano l’accesso e l’esito di questa procedura: la meritevolezza del debitore (assenza di colpa grave) e la valutazione del merito creditizio effettuata (o omessa) dai creditori finanziatori. Esamineremo come la giurisprudenza recente distingue la colpa grave dalla colpa lieve del debitore, quali effetti ha l’eventuale violazione del dovere di verifica del merito creditizio da parte delle banche, e in che modo questi elementi influiscono sull’omologazione del piano e sui diritti delle parti.

Meritevolezza del debitore: colpa grave vs colpa lieve nel sovraindebitamento

Come visto, il requisito soggettivo fondamentale per l’accesso del consumatore alla procedura di ristrutturazione è che egli non abbia causato il proprio sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode. In termini più generali, il debitore deve risultare “meritevole” del beneficio dell’esdebitazione. Ma che cosa significa in concreto colpa grave in questo contesto? E come distinguerla da una semplice leggerezza o dalla sfortuna?

La giurisprudenza recente si è più volte pronunciata sul punto, delineando i contorni della colpa grave del debitore e introducendo il concetto che la valutazione della sua condotta non può prescindere anche dall’analisi della condotta del creditore finanziatore. In altre parole, per giudicare se il debitore è gravemente colpevole, bisogna guardare anche a quanto (ir)responsabilmente i finanziatori gli hanno prestato soldi. Approfondiamo in dettaglio:

Colpa grave del debitore: cos’è e quando ricorre

La colpa grave (ai fini dell’art. 69, co.1, lett. c) CCII) indica un grado elevato di negligenza o imprudenza da parte del debitore nel contrarre obbligazioni, tale che il conseguente indebitamento eccessivo possa dirsi imputabile principalmente alla sua condotta sconsiderata. Non c’è una definizione rigida, ma esempi tipici di condotta gravemente colposa possono essere:

  • Aver accumulato debiti senza proporzione con il proprio reddito, continuando a prendere finanziamenti ben oltre la capacità di rimborso in base a entrate prevedibili. Ad esempio, contrarre più prestiti contemporaneamente che richiederebbero rate complessive pari a quasi tutto il proprio stipendio, confidando irrealisticamente “di poter pagare in qualche modo”.
  • Aver fatto ricorso sistematico al credito per scopi voluttuari o azzardati in situazioni già precarie. Ad esempio, un consumatore già indebitato che continui a spendere con carte di credito e prestiti per beni non essenziali, ignorando l’evidenza della futura insolvenza.
  • Aver tenuto un tenore di vita sproporzionato mediante credito, erodendo il patrimonio e non curandosi dei debiti crescenti (condotta imprudente protratta).
  • Aver omesso di prendere misure correttive quando la situazione iniziava a precipitare (es. continuare a indebitarsi per pagare rate di altri debiti in una spirale insostenibile, senza cercare soluzioni).

La malafede o dolo nel contrarre debiti, che pur non essendo richiesti dalla norma (basta la colpa grave) aggravano ulteriormente il giudizio, consisterebbero in comportamenti intenzionalmente scorretti: ad esempio contrarre debiti sapendo già di non poter pagare (magari perché si programma di scappare o di frodare i creditori), oppure contrarre debiti per finalità illecite, o ancora falsificare le proprie informazioni economiche per ottenere credito (quest’ultimo potrebbe configurare anche reato, oltre che indice di malafede).

Tuttavia, la prevalente interpretazione attenua la portata di “colpa grave” nel contesto dell’accesso al sovraindebitamento, in ossequio all’idea della seconda opportunità. Giudici e dottrina concordano che non ogni leggerezza esclude il beneficio: occorre un comportamento davvero gravemente imprudente e causalmente determinante del dissesto.

Una pronuncia illuminante in tal senso è la Corte d’Appello di Bari, sentenza 30 aprile 2025 n. 626, la quale ha affermato che “il consumatore non può essere considerato immeritevole quando abbia ritenuto di poter ragionevolmente pagare ogni debito alla scadenza, confidando sull’entità disponibile di reddito e patrimonio, cosicché la successiva sproporzione tra risorse e passività non possa ritenersi causata da una condotta gravemente imprudente”. In altre parole, se al momento in cui contrasse i debiti, il debitore aveva ragionevoli basi per credere di poterli onorare (perché contava sul suo stipendio, su entrate future, sul valore dei suoi beni) e l’insolvenza è sopravvenuta a causa di circostanze sfortunate o impreviste, non si può parlare di colpa grave. Ad esempio, un lavoratore che contrae un mutuo contando sul suo impiego stabile, ma poi perde il lavoro per la pandemia e si indebita ulteriormente per far fronte alle spese, non è “gravemente colposo”: è vittima di eventi al di fuori del suo controllo. Allo stesso modo, chi si indebita per cure mediche urgenti o per aiutare familiari, pur andando oltre le proprie possibilità, difficilmente sarà tacciabile di colpa grave, trattandosi di scelte forzate da necessità.

In sintesi, la colpa grave si configura quando il debitore:

  • Ha deliberatamente o con grossolana imprudenza vissuto al di sopra dei propri mezzi ricorrendo al credito, senza alcuna ragionevole previsione di rimborso.
  • Ha ignorato consapevolmente i segnali di insostenibilità, continuando ad accumulare debiti in modo scriteriato.
  • Non ha subito solo sfortune esterne, ma il dissesto è prevalentemente frutto di sue scelte sconsiderate.

Di contro, non costituisce colpa grave (al più colpa lieve) quando:

  • Il debitore ha agito in buona fede, fornendo informazioni corrette ai finanziatori e confidando nella loro valutazione (ad esempio ha comunicato il proprio stipendio effettivo e la banca gli ha dato comunque il prestito – qui il debitore poteva ragionevolmente fidarsi del giudizio della banca sulla sostenibilità).
  • C’erano elementi che facevano sperare in una capacità di rimborso (un impiego stabile, la prospettiva di una promozione, un progetto di vendita di un immobile, ecc.) che poi sono venuti meno per cause non imputabili al debitore.
  • Il debitore ha fatto sforzi significativi per pagare i debiti finché ha potuto, onorando le rate per lungo tempo, il che denota serietà (ad esempio, nella vicenda giudicata dall’App. Bari 2025, i debitori avevano pagato regolarmente le rate del mutuo per oltre 10 anni prima che la crisi economica e problemi di salute li travolgessero, fatto valutato positivamente dalla Corte come indice di meritevolezza).
  • L’insolvenza è legata in misura determinante a fattori esterni imprevedibili: perdita involontaria del lavoro, malattia grave, crisi economiche generali, eventi familiari come divorzi, ecc. Questi elementi non tolgono del tutto l’eventuale imprudenza nell’indebitarsi, ma la ridimensionano a colpa lieve, perché chiunque può trovarsi in difficoltà se cambiano drasticamente le circostanze.

La giurisprudenza di merito ha così affermato un principio: “ai fini della colpa grave del consumatore, è necessario considerare il comportamento dell’ente finanziatore”. In particolare, il Tribunale di Torino (31 maggio 2023) e il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (16 ottobre 2023) hanno evidenziato che, se la banca o finanziaria ha concesso un prestito senza adeguata istruttoria sul merito creditizio, ciò riduce il grado di colpa del consumatore nell’aver contratto quel debito, perché egli si è affidato all’intermediario qualificato confidando (magari ingenuamente, ma legittimamente) che se il prestito veniva concesso era perché sostenibile. In pratica: “il consumatore non può essere ritenuto in colpa grave per aver determinato lo stato di indebitamento se si è rivolto all’intermediario qualificato in buona fede e senza fornire dati falsi o incompleti, avendo riposto fiducia nella capacità di quest’ultimo di valutare il proprio merito creditizio”. Questa massima (estratta dal decreto Trib. Santa Maria C.V. 16/10/2023) rappresenta un orientamento chiaro: la colpa non è solo del debitore che chiede un prestito, ma anche di chi glielo dà. Se la banca non fa il suo mestiere di controllare, il debitore-consumatore – parte debole e meno esperta – non può essere accusato di gravissima negligenza per essersi indebitato, a meno che non abbia mentito sui dati forniti.

Ruolo della valutazione del merito creditizio (colpa creditoris)

Entra in gioco qui il concetto di meritevolezza ex parte creditoris, cioè la considerazione dei doveri del creditore nella concessione del credito. Il Codice della crisi, all’art. 69, comma 2, formalizza questo intreccio stabilendo che il creditore colpevole (ossia che ha contribuito ad aggravare l’indebitamento o violato i doveri di valutazione del merito creditizio ex art. 124-bis TUB) non può opporsi o fare reclamo contro l’omologa lamentando la scarsa convenienza del piano. Questa norma, pur riferendosi al diritto processuale del creditore, si fonda sull’idea che la responsabilità del creditore attenua quella del debitore.

Vedremo nel prossimo paragrafo in dettaglio la posizione del creditore. Qui, ai fini della meritevolezza del debitore, sottolineiamo il meccanismo:

  • L’OCC e il giudice guardano non solo alle azioni del debitore, ma anche a come i debiti si sono formati. Se vedono che tutti i finanziamenti ottenuti erano chiaramente sproporzionati rispetto al reddito, eppure sono stati concessi, potrebbero dedurre che il debitore si è indebitato anche perché i finanziatori glielo hanno permesso, magari in violazione di norme. Questo può qualificare la condotta del debitore come colpa lieve (perché ha fatto affidamento sull’altrui valutazione) e non colpa grave.
  • Esempio reale: nel caso App. Bari 2025, un istituto di credito contestava la meritevolezza di due coniugi debitori. Ebbene, dalle verifiche è emerso che al tempo della concessione del mutuo (2007) il marito aveva un reddito ufficiale di soli € 6.206 annui (circa € 517 mensili), del tutto insufficiente per sostenere qualsiasi mutuo dignitosamente. I coniugi avevano dichiarato alla banca un reddito più alto (€ 18.910 annui, includendo entrate in nero) ma senza prove solide, e comunque la banca non aveva preteso documentazione né adeguatamente valutato la capacità di rimborso, tanto che il Tribunale di prime cure rilevò addirittura l’assenza di firma del funzionario sul modulo di istruttoria e l’“incertezza sulla capacità di restituzione” già al momento dell’erogazione. Nonostante ciò, i debitori pagarono le rate per oltre 10 anni, finché eventi sopravvenuti (disoccupazione pandemica, malattia) li misero in crisi. La Corte d’Appello ha escluso la colpa grave dei debitori, sottolineando la concorrenza di responsabilità della banca e il fatto che i debitori avevano mantenuto finché possibile gli impegni. In conclusione, la Corte ha considerato provata la meritevolezza ex parte debitoris e rigettato il reclamo della banca.

Questa analisi casistica conferma che la linea di demarcazione tra colpa grave e colpa scusabile del debitore è tracciata anche guardando dall’altra parte del tavolo: se c’è stata concessione abusiva di credito, la colpa del debitore appare meno intensa (colpa leve o al limite ordinaria). Il creditore, in un certo senso, si è assunto il rischio di quell’insolvenza e non può poi invocarla per negare l’accesso del debitore alla procedura.

Ricapitolando, oggi:

  • Colpa grave del debitore = indebitamento causato da condotta marcatamente incauta o scorretta del debitore stesso (spese pazze, false informazioni, ecc.), senza che serva il concorso di altri fattori.
  • Colpa lieve o semplice difficoltà = indebitamento frutto di leggerezze veniali o eventi sfortunati, in un contesto in cui il debitore ha agito con buona fede e fiducia, e magari i finanziatori hanno erogato credito con troppa facilità.
  • Assenza totale di colpa = indebitamento esclusivamente dovuto a cause esterne imprevedibili, con il debitore che prima aveva sempre gestito correttamente le proprie finanze (esempio: persona che aveva situazione stabile, si ammala gravemente, perde reddito e deve indebitarsi per cure; qui non c’è imputabilità, dunque massima meritevolezza).

Nella pratica giudiziaria delle procedure di sovraindebitamento:

  • Se emergono elementi di frode o dolo (es. il debitore ha distratto beni per sottrarli ai creditori, o ha creato debiti fittizi, o ha mentito gravemente) il piano verrà senz’altro respinto.
  • Se viene individuata una colpa grave (ad es. indebitamento per gioco d’azzardo significativo, o vita lussuosa finanziata a debito senza basi), il giudice dichiarerà inammissibile il piano per mancanza di requisito soggettivo.
  • Se al contrario il debitore appare sostanzialmente in buona fede, con al più qualche valutazione sbagliata ma non grossolana, e magari le banche hanno colpevolmente finanziato oltre misura, allora il requisito soggettivo è considerato soddisfatto: l’art. 69 co.1 non è violato e il piano può andare avanti.

Da notare che il Codice della crisi, nel passaggio dalla legge 3/2012 al nuovo testo, ha attenuato il filtro della meritevolezza. Infatti, mentre prima il giudice aveva un certo margine di valutazione discrezionale sulla “meritevolezza” complessiva (che portava a dibattiti se un certo comportamento fosse scusabile o meno), ora deve limitarsi a verificare i requisiti negativi tipizzati di cui sopra. Questo è stato interpretato come un alleggerimento degli oneri per il debitore (criteri meno stringenti per l’accesso, secondo Trib. Nola 8/5/2024 n.41): in sostanza, in caso di dubbio si tende ad ammettere il debitore, salvo casi eclatanti di malafede. Il Giudice deve solo verificare la sussistenza delle condizioni ostative, negando l’omologa “solo se” il sovraindebitamento deriva da colpa grave, malafede o frode (Corte d’Appello di Bologna, decr. 9/2/2024; Trib. Reggio Calabria, decr. 25/1/2024). Questo orientamento vuole privilegiare la finalità di recupero sociale del debitore, coerente con la Raccomandazione UE 2014 sulla seconda chance. Ovviamente non significa aprire la porta agli “approfittatori”: se emergono condotte gravemente colpevoli, come visto, il beneficio sarà negato (ed eventualmente il debitore potrà solo ricorrere alla liquidazione e scontare 3 anni senza esdebitazione se giudicato immeritevole).

In conclusione, il punto di vista del debitore meritevole in una procedura di sovraindebitamento è quello di una persona che, pur avendo commesso errori magari, non ha agito con spregiudicatezza né disonestà, e anzi si è spesso trovata vittima di circostanze avverse o di leggerezze condivise con i finanziatori. La legge e i giudici oggi sono inclini a dare a questo debitore una chance di redenzione, piuttosto che tenerlo schiacciato dai debiti per sempre. Nel prossimo capitolo vedremo proprio l’altro lato della medaglia: come viene valutata la condotta del creditore finanziatore (banche, finanziarie) e quali conseguenze subisce chi ha concesso credito in violazione delle regole di prudenza sul merito creditizio.

Il ruolo del merito creditizio: doveri del creditore e conseguenze nelle procedure

Il merito creditizio – ossia la valutazione della solvibilità del cliente prima di concedere un finanziamento – non è solo un concetto finanziario, ma anche giuridico, disciplinato da normative imperative. L’obbligo per i finanziatori di valutare il merito creditizio del consumatore discende da direttive europee (la Dir. 2008/48/CE sul credito ai consumatori e la Dir. 2014/17/UE sui crediti immobiliari) recepite nell’ordinamento italiano rispettivamente con l’art. 124-bis e l’art. 120-undecies TUB. Tali norme impongono alla banca o finanziaria di effettuare, prima di concludere un contratto di credito al consumo o di mutuo ipotecario, un’adeguata istruttoria sul potenziale debitore, basata su informazioni fornite da quest’ultimo e su dati raccolti da banche dati creditizie, al fine di stimare la sostenibilità del prestito rispetto al reddito disponibile e al patrimonio aggredibile del cliente.

Questa valutazione è finalizzata a garantire un credito responsabile: l’intermediario deve tenere conto anche dell’interesse del cliente a non sovraindebitarsi, agendo secondo buona fede e correttezza contrattuale. In altri termini, concedere un prestito a chi evidentemente non potrà restituirlo non è solo un azzardo d’impresa, ma una condotta contraria ai principi di sana e prudente gestione e potenzialmente illecita. La Cassazione ha affermato che la violazione dei doveri di corretta erogazione del credito può far insorgere responsabilità civile del finanziatore verso il soggetto finanziato e verso gli altri creditori di quest’ultimo. Si parla a tal proposito di “concessione abusiva di credito”: se una banca finanzia un’azienda decotta aggravandone il dissesto, può essere chiamata dal curatore a risarcire i danni ai creditori; analogamente, se finanzia in modo scriteriato un consumatore poi insolvente, potrebbe risponderne almeno verso il debitore stesso.

In casi estremi, la giurisprudenza ha persino ritenuto i contratti di finanziamento nulli per contrarietà a norme imperative, qualora la loro stipula violi apertamente divieti di legge o integri fattispecie sanzionate (ad esempio il finanziamento a un’impresa già insolvente in violazione dell’art. 217 L.Fall – bancarotta semplice – è stato considerato nullo per contrarietà a norma penale e a buon costume). In una tale ipotesi, il finanziatore negligente non potrebbe nemmeno pretendere la restituzione delle somme erogate, neppure sotto il titolo di indebito, perché la sua condotta è contraria al buon costume ex art. 2035 c.c..

Nella prassi odierna, tuttavia, la strada della nullità del contratto per mancata valutazione del merito creditizio non è frequentemente percorsa (anche se non è esclusa teoricamente): più spesso la conseguenza della violazione è in termini di responsabilità e sanzioni. Ad esempio:

  • Sotto il profilo amministrativo, Bankitalia può sanzionare l’intermediario che non rispetta le disposizioni di vigilanza sulle istruttorie di credito.
  • Sotto il profilo civilistico, come accennato, il cliente potrebbe eccepire l’inadempimento dell’istituto agli obblighi di correttezza e chiedere il risarcimento di danni (anche se quantificare il danno non è semplice, perché bisognerebbe dimostrare che il debitore si è indebitato confidando nel prestito e subendo un danno maggiore rispetto a non ottenerlo – scenario raramente rivendicato dal consumatore, che anzi di solito aveva interesse ad ottenere il denaro).
  • Nell’ambito delle procedure concorsuali (fallimenti, liquidazioni giudiziarie), il curatore spesso esamina i finanziamenti ricevuti prima del crac per valutare azioni di responsabilità verso le banche finanziatrici.

Ed è proprio nelle procedure di sovraindebitamento che il legislatore ha introdotto conseguenze specifiche per il creditore che ha violato i doveri di valutazione del merito creditizio. Tali previsioni, come abbiamo visto, hanno un duplice effetto:

  1. Aiutano a definire la meritevolezza del debitore (perché se la banca non ha valutato il merito creditizio, la colpa del debitore nel sovraindebitarsi è considerata meno grave, facilitando l’ammissibilità del piano).
  2. Comportano una limitazione dei diritti processuali del creditore nella procedura (il creditore colpevole non può contestare la convenienza del piano in sede di omologa).

Vediamo più da vicino le disposizioni del Codice e come sono applicate.

Art. 69, comma 2 CCII: il creditore colpevole perde il diritto di opporsi sulla convenienza

Questa norma, già citata, testualmente recita: “Il creditore che ha colpevolmente determinato la situazione di indebitamento o il suo aggravamento o che ha violato i principi di cui all’articolo 124-bis TUB in tema di merito creditizio, non può presentare opposizione o reclamo in sede di omologa per contestare la convenienza della proposta.

Significa che, in sede di omologazione del piano del consumatore:

  • Se una banca/finanziaria ha concorso con colpa a causare o aggravare il sovraindebitamento (ad esempio, continuando a dare credito a un soggetto già eccessivamente indebitato, in spregio alle regole di prudenza), oppure se ha direttamente violato l’obbligo di valutare il merito creditizio ex art. 124-bis TUB, non le è consentito opporsi sostenendo che il piano le paga troppo poco rispetto alle sue pretese originarie.
  • In pratica, quel creditore sarà escluso dal diritto di voto (se fosse un concordato) e, nel piano del consumatore dove non c’è voto, sarà ammesso al massimo a fare osservazioni su aspetti di regolarità ma non sulla convenienza economica.

Questa è una sorta di sanzione endoprocedimentale: non toglie il credito, ma riduce le facoltà processuali del creditore nell’ambito della procedura di sovraindebitamento. Il perché è intuitivo: un creditore che ha erogato irresponsabilmente non può pretendere di dettare condizioni sul piano. La sua opposizione sulla convenienza (tipicamente, “io voto no perché prendo il 30% ma voglio almeno il 50%”) non sarà neppure ascoltata dal giudice, se quell’opposizione proviene proprio da chi ha “fatto il danno” concedendo credito facile.

La dottrina ha discusso sulla portata di questa preclusione. Alcuni l’hanno ritenuta ampia ma limitata al profilo convenienza: il creditore colpevole potrebbe comunque sollevare, come detto, eccezioni di legittimità (tipo “il debitore ha agito in frode” o “il piano è inammissibile perché…”). Non può invece contestare l’aspetto quantitativo dell’offerta. Altri autori hanno criticato la norma per una potenziale sproporzione: sebbene voglia punire il creditore scorretto, finisce per limitare un diritto di azione (opposizione) garantito dall’art. 24 Cost., e quindi va interpretata restrittivamente. In particolare, ci si chiede: e se il creditore colpevole avesse da lamentare una convenienza infima (ad es. prende l’1% nel piano mentre in liquidazione avrebbe preso il 20%)? La norma letteralmente gli vieta di opporsi, ma verosimilmente il giudice dovrebbe comunque d’ufficio rilevare che quel piano non garantisce il minimo ai creditori dissenzienti (violando il best interest test). Dunque la salvaguardia c’è: la convenienza minima deve essere garantita a tutti, anche al creditore colpevole. Ciò che il creditore colpevole perde è la possibilità di far valere una mera maggiore convenienza di un’alternativa (che nei fatti a quel punto non c’è, perché quell’alternativa – la liquidazione – magari non l’ha voluta neanche intraprendere).

In concreto, come si stabilisce se un creditore ha violato i doveri di merito creditizio?

  • Questo è compito dell’OCC: la sua relazione deve indicare se, ai fini di ogni finanziamento rilevante, il finanziatore ha tenuto conto del merito creditizio del debitore, valutato in relazione al suo reddito disponibile (dedotte le spese per un dignitoso tenore di vita, almeno pari all’assegno sociale). L’art. 76, comma 3 CCII (per il concordato minore) e analogamente l’art. 69, comma 2 (per il piano) richiedono questa indicazione. L’OCC esamina quindi tutti i finanziamenti contratti dal debitore: mutui, prestiti personali, cessioni del quinto, linee di credito. Se trova che uno o più di essi, al momento della concessione, apparivano manifestamente insostenibili rispetto al bilancio familiare del debitore (ad esempio, come nel caso di Bari, mutuo con rata mensile di €400 a fronte di reddito €500), lo segnala chiaramente. Potrebbe usare parametri quantitativi: per esempio, se dalla documentazione risulta che con quel nuovo prestito il rapporto debito/reddito avrebbe ecceduto il 50% e il debitore non avrebbe più potuto mantenere la famiglia se non indebitandosi ulteriormente, è indice di mancata verifica.
  • Le osservazioni dei creditori stessi possono talvolta rivelare informazioni: se la banca in opposizione dice “sì, ma il debitore ci aveva dichiarato redditi X”, allora porta elementi; se emergono incongruenze (debitori che hanno dichiarato entrate poi rivelatesi gonfiate), si deve distinguere: se il debitore ha fornito dati falsi, la banca non è in colpa (e anzi il debitore perderebbe meritevolezza per malafede); se invece il debitore ha dichiarato il vero e la banca ha sottovalutato, è colpa della banca.

Una volta che risulta che un creditore ha violato i principi sul merito creditizio, scattano le sanzioni processuali. Esempio pratico da Tribunale di Trani / Appello Bari 2025:

  • Fatto: Banca X aveva concesso un mutuo ai coniugi sovraindebitati senza adeguata verifica della loro capacità di rimborso. L’OCC lo evidenzia: reddito disponibile insufficiente rispetto alla rata.
  • Effetto: Il Tribunale, in sede di omologa del piano del consumatore, dichiara “l’opposizione della banca sulla convenienza preclusa stante l’omessa corretta valutazione del merito creditizio”, e omologa il piano nonostante la banca fosse contraria. La banca in reclamo non può spuntarla su questo punto, perché l’art. 69, co.2 CCII la inchioda. La Corte d’Appello Bari conferma: la mancata valutazione del merito creditizio comporta l’impossibilità per il creditore di far valere le sue doglianze nell’ambito della procedura.
  • Dunque, la banca rimane vincolata al piano come deciso. Nel caso specifico, la banca contestava anche la meritevolezza e l’Appello ha respinto le contestazioni su entrambi i fronti.

Questa preclusione di opposizione è, come notato dalla dottrina, una forma di “punizione” proporzionata: il creditore negligente non viene privato del suo credito (partecipa al piano e prenderà la percentuale prevista, che comunque riflette la realtà che egli stesso ha contribuito a creare), ma viene zittito quanto a eventuali pretese di maggior favore.

Calcolo del merito creditizio e criteri di valutazione

Dal punto di vista pratico, come calcola un creditore diligente il merito creditizio? E come viene valutato ex post se l’ha fatto bene?

Generalmente, i finanziatori adottano sistemi di credit scoring interni o modelli di valutazione che considerano:

  • Il reddito netto disponibile del cliente (stipendi, pensioni, entrate stabili) e il rapporto con l’ammontare della rata del nuovo prestito + altre rate in essere. Spesso si adotta la regola che il totale rate non ecceda il 30-40% del reddito disponibile.
  • Le spese fisse di sostentamento del cliente e della famiglia (calcolate in base a parametri standard o dichiarazioni). Come parametro minimo, come già detto, si considera che debba rimanere almeno la somma dell’assegno sociale per ogni membro familiare per coprire le spese vitali.
  • L’indebitamento pregresso: consultando le banche dati (CRIF, Centrale Rischi Bankitalia per importi rilevanti, altre SIC), si vede quanti prestiti abbia già il cliente, se è in regolare pagamento o in ritardo, se ha garanzie su di essi.
  • L’eventuale patrimonio: immobili di proprietà (utili come garanzie o per capire se c’è patrimonio aggredibile), investimenti, liquidità. Per un mutuo, ad esempio, rileva molto il valore dell’immobile da ipotecare (LTV – loan to value ratio).
  • Lo storico creditizio: se il cliente ha passato di protesti, pignoramenti, sofferenze bancarie, ovviamente il punteggio cala. Se invece ha sempre pagato regolarmente precedenti finanziamenti, è un punto a favore (anche se attenzione: molti piccoli prestiti pagati bene ma tutti insieme possono indicare rischio di saturazione).
  • Le caratteristiche socio-demografiche: età (troppo giovani o troppo anziani sono profili più rischiosi per motivi diversi), stabilità lavorativa (contratto a tempo indeterminato vs precario; azienda pubblica vs piccola impresa; anzianità di servizio; se autonomo, da quanti anni, fatturato medio, ecc.), composizione familiare (figli a carico, coniuge lavoratore o no), etc.
  • Eventuali garanzie aggiuntive: la presenza di un garante o di un’ipoteca su bene di valore può far accettare un prestito che altrimenti sarebbe negato, sebbene per i consumatori la logica rimane di non sovraindebitare neanche il garante (ma in pratica molti prestiti vengono concessi grazie a garanti pensionati o immobili dati in garanzia).

Tutti questi dati vengono spesso sintetizzati in un credit score numerico. La Corte di Giustizia UE si è espressa di recente sul tema della valutazione automatizzata del merito creditizio con sistemi di intelligenza artificiale (caso SCHUFA Holding, CGUE 7 dicembre 2023, C-634/2021). La sentenza ha affrontato la compatibilità di tali sistemi con la privacy e la trasparenza verso il consumatore: il credit scoring deve rispettare il GDPR, informando il soggetto se una decisione è automatizzata e su quali basi (artt. 13-15 GDPR), e garantendo il diritto a ottenere un intervento umano o contestare la decisione. Questo per dire che il merito creditizio non dev’essere una “scatola nera” incontestabile: anche sul piano etico e giuridico si afferma il principio che la persona ha diritto a sapere come viene valutata e perché magari un prestito gli è negato o concesso a certe condizioni.

Nella nostra prospettiva, però, interessa di più il caso opposto: il prestito viene concesso (magari anche perché l’algoritmo di scoring era troppo ottimista o mal calibrato) e poi il debitore va in crisi. Qui l’analisi ex post che compie l’OCC/giudice è: quel prestito sarebbe stato concesso da un intermediario diligente? Se la risposta è no, allora il creditore ha erogato oltre il merito creditizio.

Un possibile schema semplificato di simulazione merito creditizio:
Supponiamo un debitore, Mario, con stipendio netto mensile di € 1.500, senza altri redditi, famiglia di 3 persone (moglie e figlio a carico). Diciamo che Mario ha già una cessione del quinto in busta paga di € 250 e paga € 200 al mese di un prestito auto. Totale uscite debiti esistenti = € 450. Reddito residuo € 1.050. Già con € 1.050 deve mantenere 3 persone: il minimo vitale secondo assegno sociale (€ 503 * 3 ≈ € 1.509) neppure è raggiunto, quindi in teoria è già al limite della sostenibilità. Se Mario chiede un ulteriore prestito con rata € 300, un’istruttoria corretta dovrebbe dire no: reddito insufficiente per ulteriori oneri. Se glielo danno lo stesso, violano l’art. 124-bis. Infatti, come criterio qualitativo, “un finanziamento ulteriore è quasi certamente non ripagato e pertanto la banca erogante non rispetta il dovere di prudenza”. Nelle procedure, questo creditore potrebbe essere escluso dal voto e dalla contestazione convenienza per quel prestito “di troppo”.

Viceversa, un esempio di merito creditizio rispettato: Anna guadagna € 2.000 netti mese, single. Ha una sola piccola rata di € 150 per un elettrodomestico. Le resta € 1.850 disponibile, ben oltre l’assegno sociale per 1 persona (€ ~503). Un nuovo prestito con rata € 300 porterebbe le uscite totali a € 450 (23% del reddito), lasciando € 1.550 per vivere. Ci sta; la banca segna punteggio alto e concede. Se Anna comunque fallisse (magari perché poi perde lavoro improvvisamente), non si potrebbe dire che la banca ha sbagliato ex ante: quel prestito era proporzionato allo scenario al momento del credito. Quindi qui nessuna colpa creditoris.

In pratica, per essere imputata al creditore, la violazione deve essere abbastanza manifesta: situazioni in cui già al momento della concessione il rimborso era altamente improbabile. Molti tribunali nei casi di piani del consumatore hanno rilevato come indicatori:

  • Percentuale di indebitamento eccessiva.
  • Incremento del debito a coprire interessi di altri debiti (roba da spirale).
  • Concessione di prestiti con ratifiche di redditi non documentati o incoerenti (ad es. accettare autocertificazioni improbabili).
  • Finanziamenti concessi in rapida sequenza senza guardare all’accumulo. (Esempio: 3 finanziarie diverse concedono ciascuna un prestito, ognuna guarda solo il proprio e non l’esposizione complessiva che si sta creando).
  • Operazioni come consolidamenti mal riusciti: dare un maxi-prestito per chiudere altri debiti ma che di fatto peggiora la situazione se non calibrato correttamente.

La giurisprudenza ha sostenuto anche che l’obbligo di verifica del merito creditizio “assolve una doppia funzione di tutela: tutela il creditore (che evita perdite) e tutela il debitore” e si inquadra nei principi generali di buona fede e correttezza. Quindi, laddove l’OCC verifica che non è stato adeguatamente valutato, scattano “alcune sanzioni processuali a carico del finanziatore negligente”, come abbiamo dettagliato.

Vale la pena menzionare che nel concordato minore la norma analoga (art. 81, co.4 CCII) prevede la stessa limitazione per il creditore colpevole (non contestare la convenienza). Anche qui varrà solo sul profilo convenienza, mentre il voto stesso di quel creditore colpevole potrebbe addirittura essere escluso dal computo (è dibattuto, ma essendo irrilevante in opposizione, dovrebbe esserlo anche in raccolta voti, analogamente a quanto avviene nel concordato preventivo col creditore in conflitto di interesse).

Effetti sul rapporto obbligatorio e azioni risarcitorie

Una domanda che il debitore potrebbe porsi è: “Se la banca non ha valutato il merito creditizio, il mio debito verso di lei può essere annullato o ridotto?”. Nella procedura di sovraindebitamento, come visto, ciò non comporta l’annullamento automatico del debito, ma piuttosto:

  • Nel piano del consumatore, il giudice potrebbe omologare un taglio consistente di quel credito senza preoccuparsi dell’opposizione della banca. Quindi, in via indiretta, la banca negligente rischia di recuperare meno (perché il debitore proporrà magari di pagarle una percentuale minima, sapendo che non potrà opporsi efficacemente).
  • Nella liquidazione controllata, il finanziatore negligente non ha privilegi: ad esempio, la cessione del quinto non è considerata credito privilegiato o estraneo alla procedura, per cui concorre con gli altri e se la liquidazione rende poco, recupererà poco. Inoltre, non può far valere pretese particolari.
  • Fuori dalle procedure, per ora non c’è una norma che riduca il debito per “punizione” (non esiste ad esempio una norma che dica “se la banca non valuta merito creditizio, interessi dimezzati” o simili). Tuttavia, un debitore potrebbe ipotizzare di fare causa alla banca per responsabilità e chiedere la nullità del contratto o il risarcimento. Finora queste cause non hanno portato a grandissimi risultati concreti per il consumatore medio, se non in fattispecie estreme. Ad esempio: qualche tribunale ha dichiarato nulla una fideiussione concessa da un garante se la banca aveva erogato credito all’obbligato principale pur sapendo che questi era incapiente e confidando di rifarsi sul garante (violazione buona fede contrattuale). Ma sono situazioni specifiche.

In ogni caso, l’importante per il debitore è che nel suo procedimento di sovraindebitamento l’aver avuto finanziamenti concessi con leggerezza gioca a suo favore:

  • Lo aiuta a superare lo scrutinio di ammissibilità (non sarà bollato come colpa grave perché c’è la concausa della banca).
  • Gli consente di proporre soluzioni più gravose per quei creditori (anche falcidie importanti), senza timore di essere fermato da loro in giudizio.

Dal lato del creditore invece, chi non rispetta il dovere di valutazione del merito creditizio subisce:

  • Il rischio di perdita economica (come sempre in caso di insolvenza del cliente).
  • Perdita di potere contrattuale nella procedura (niente voto effettivo, niente opposizione sulla convenienza).
  • Possibili azioni di responsabilità: il debitore stesso, dopo l’esdebitazione, potrebbe valutare se i danni subiti (p.es. dover vendere la casa per pagar debiti) siano in parte imputabili alla banca che l’ha indebitato e tentare cause (ipotesi remota ma concettualmente possibile).
  • Sanzioni reputazionali: ad esempio, se in una sentenza di omologa viene affermato che la banca X ha violato l’art. 124-bis TUB in tot occasioni, non fa buon vedere; potrebbe essere segnalato a Banca d’Italia o comunque spronare a più prudenza futura.

La tematica del merito creditizio è così cruciale che il Codice della crisi l’ha voluta espressamente in più punti:

  • Art. 4 CCII enuncia i doveri delle parti nelle procedure di crisi, e richiama la leale collaborazione e il dovere di non aggravare la posizione. Non specificamente sul merito creditizio, ma come principio generale (che si collega al dovere delle banche di non ritirare fidi appena uno accede a composizione negoziata, ecc. come da art. 16 CCII modificato nel 2024).
  • Art. 16, co.5 CCII impone alle banche nella composizione negoziata (strumento per imprese) di partecipare attivamente e vieta di revocare affidamenti solo perché l’impresa ha chiesto aiuto (divieto clausole ipso facto).
  • Art. 69, 76, 81 e 283 CCII, come visto, incorporano la valutazione del merito creditizio e le conseguenze procedurali.

Possiamo dire che c’è un filo conduttore: promuovere la responsabilità condivisa tra debitore e creditore. Il debitore non deve abusare del sistema indebitandosi fraudolentemente; il creditore non deve alimentare indebitamenti insostenibili. Quando poi le cose vanno male, il sistema concorsuale premia (o per lo meno non ostacola) il debitore onesto e punisce il creditore imprudente.

Riassumendo i punti chiave:

  • Il merito creditizio è un obbligo legale per i finanziatori nel credito al consumo/ipotecario. La sua violazione implica colpa del finanziatore.
  • Nelle procedure di sovraindebitamento, l’OCC deve verificare se c’è stata tale violazione. Se sì, il creditore è considerato colpevole (ex parte creditoris).
  • Il creditore colpevole non può opporsi sulla convenienza del piano (né in primo grado né in reclamo). Resta comunque vincolato dal piano se omologato.
  • La presenza di finanziamenti concessi senza adeguata verifica attenua la colpa del debitore e lo rende più meritevole, evitando la preclusione di accesso per colpa grave.
  • In alcune decisioni, i giudici hanno addirittura escluso dal voto creditori che avevano colpe di questo tipo: ad esempio, il Tribunale di Parma (decr. 18/7/2021) ha escluso dal computo del voto un creditore che aveva erogato un ulteriore prestito sapendo quasi certo che non sarebbe stato rimborsato, ravvisando la violazione dell’obbligo di prudenza. Così facendo, quel creditore non poteva neanche bloccare l’accordo non votando, perché veniva neutrealizzato.
  • Il rispetto del merito creditizio è quindi un elemento che viene adesso formalmente considerato nelle procedure di insolvenza minore, cosa che in passato non avveniva (nella vecchia legge ci si arrivava per via interpretativa, ora è nero su bianco).

Per il debitore, questo significa che se ritiene di essere vittima di “credito facile” che lo ha portato al collasso, deve evidenziarlo all’OCC (che probabilmente se ne accorgerà comunque dai documenti). Non deve vergognarsi di dire “la banca non doveva darmi quel prestito”, perché paradossalmente ammettere ciò giova alla sua posizione: mostra la sua buona fede e sposta parte del biasimo sul creditore. È un cambio di paradigma: da “colpa del debitore spendaccione” a “responsabilità anche del sistema creditizio”.

Per completare la panoramica, aggiungiamo una considerazione: dopo la chiusura della procedura e l’esdebitazione, il debitore che ha beneficiato del piano o dell’esdebitazione potrebbe voler tornare “sul mercato” del credito (ad esempio, passati alcuni anni, per un nuovo mutuo o prestito). Qui il merito creditizio futuro del debitore dipenderà molto da come le informazioni creditizie riflettono la procedura avvenuta:

  • Di regola, l’apertura di una procedura di sovraindebitamento e i mancati pagamenti precedenti vengono registrati nelle banche dati (CRIF e simili) e vi permangono per un certo periodo (i default per alcuni anni, l’eventuale registrazione di esdebitazione può figurare nei tribunali).
  • Dopo l’esdebitazione, legalmente il debitore è libero da quei debiti, ma le finanziarie potrebbero considerarlo un soggetto che ha avuto un’insolvenza. Non esiste ancora un formale istituto di “riabilitazione creditizia” come per i protesti, ma col tempo e costruendo nuova storia positiva il debitore può riscattarsi. Dal punto di vista giuridico, non ci sono interdizioni a contrarre nuovi debiti (salvo il non poter chiedere un’altra esdebitazione per almeno 5 anni o mai più se ne ha già avute due).
  • Alcune banche potrebbero essere più disponibili se vedono che l’insolvenza passata era dovuta a cause eccezionali e non a frodi, e soprattutto se il debitore dopo ha mantenuto solvibilità (p.es. se nel frattempo ha trovato un buon lavoro).

È interessante notare che la ratio del sistema è educativa: idealmente, dopo una procedura di sovraindebitamento, il debitore e il sistema creditizio dovrebbero aver imparato la lezione. Il debitore dovrebbe gestire con prudenza le finanze per non ricadere (anche perché una seconda chance c’è, ma una terza è quasi impossibile se non dopo molti anni); le banche dovrebbero prestare più attenzione in futuro. In tal senso, il Codice della crisi appare allineato ad un’impostazione di responsabilità reciproca.

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito riportiamo alcune domande comuni in tema di sovraindebitamento e merito creditizio, con le relative risposte sintetiche e riferimenti normativi o giurisprudenziali ove utili.

D: Chi può accedere alle procedure di sovraindebitamento previste dalla legge?
R: Possono accedere tutte le persone fisiche e i soggetti non assoggettabili a fallimento (o liquidazione giudiziale), che si trovino in stato di sovraindebitamento. In particolare: i consumatori (persone fisiche con debiti personali non d’impresa), i professionisti e lavoratori autonomi, i piccoli imprenditori sotto le soglie di fallibilità, gli imprenditori agricoli, gli enti non commerciali (es. ONLUS), le start-up innovative, nonché gli eredi di imprenditore defunto per debiti ereditari e, grazie al Codice della crisi, anche più membri della stessa famiglia indebitati con origine comune. I soggetti “fallibili” (imprese oltre soglia, società) seguono invece le procedure concorsuali ordinarie e non rientrano in queste. È essenziale, oltre ai requisiti soggettivi, trovarsi in uno stato di crisi o insolvenza tale da non riuscire a pagare regolarmente i debiti.

D: Quali sono le procedure disponibili e come scelgo quella giusta?
R: Le procedure principali sono quattro: (1) ristrutturazione dei debiti del consumatore – se il debitore è un consumatore; (2) concordato minore – per debitori non consumatori; (3) liquidazione controllata – aperta a qualsiasi debitore sovraindebitato, consiste nella liquidazione dei beni; (4) esdebitazione del debitore incapiente – per il debitore persona fisica che non ha nulla da offrire ai creditori (fresh start a “costo zero”). La scelta dipende dalla categoria del debitore e dalla sua situazione: un consumatore opterà in genere per la ristrutturazione del debito (se ha un reddito o beni per pagare almeno in parte) o per la liquidazione se ha beni da liquidare; un piccolo imprenditore/professionista userà il concordato minore (se vuole ristrutturare con accordo) o la liquidazione; se il debitore è nullatenente e senza reddito potrà tentare l’esdebitazione incapiente. Spesso si valuta con l’OCC quale procedura offre maggior vantaggi: ad es. il piano del consumatore conviene se si riesce a pagare qualcosa ed evitare la perdita di beni essenziali; la liquidazione è estrema ratio se si vuole chiudere con i debiti mettendo tutto a disposizione.

D: Cosa si intende esattamente per sovraindebitamento?
R: È la condizione di squilibrio finanziario permanente del debitore non fallibile, tale che non riesce più a pagare i propri debiti alle scadenze o riesce solo in modo saltuario e irregolare. Non richiede che tutti i beni siano esauriti: anche chi ha ancora qualche risorsa ma non sufficiente a coprire l’esposizione complessiva può essere sovraindebitato. La legge include sia situazioni di insolvenza conclamata (incapacità definitiva) sia di crisi (difficoltà seria attuale che può evolvere in insolvenza). È comunque necessario che la situazione non sia reversibile con normali mezzi (es. non basta vendere un bene per pagare tutto, altrimenti non sarebbe sovraindebitamento). Esempio: un privato con debiti per €100.000 e reddito modesto, senza patrimonio immediatamente liquidabile, è sovraindebitato se non riesce a far fronte alle rate; un imprenditore agricolo con debiti che superano di molto l’attivo è sovraindebitato, ecc. Si noti che l’accesso è precluso se il debitore ha solo un singolo debito e potrebbe onorarlo vendendo beni: la legge non è pensata per “non pagare un debito” isolato, ma per situazioni di insolvenza generale.

D: Che significa che il debitore deve essere “meritevole”?
R: Significa che non deve aver provocato volontariamente o per grave imprudenza la propria insolvenza, né aver compiuto frodi. In particolare, il Codice stabilisce che il consumatore non può accedere se ha causato il sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode. Quindi un debitore che ha agito con dolo (es. ha sperperato patrimonio in modo doloso o ha contratto debiti sapendo di non pagarli) o colpa grave (es. condotta finanziaria estremamente sconsiderata) non è ammesso. Per gli altri debitori (concordato minore) non c’è un articolo equivalente, ma il tribunale valuterà la condotta: ad esempio, un imprenditore che ha evaso imposte reiteratamente e ciò ha portato al debito potrebbe vedersi negare l’omologa (Cass. 30538/2024 ha ribadito l’importanza di considerare le cause dell’indebitamento anche nel concordato minore). In sintesi, il debitore deve presentarsi con mani pulite: se ha fatto atti in frode ai creditori (occultato beni, vendite simulate) o ha preso prestiti in modo fraudolento, la procedura non è concessa; se ha solo commesso errori gestionali o è stato sfortunato, allora è considerato meritevole. La giurisprudenza invita a non cercare la “perfezione” del debitore ma ad escluderlo solo se ci sono condotte gravemente colpevoli documentate.

D: Come si valuta nella pratica se c’è colpa grave del debitore?
R: Il giudice si basa sulla relazione dell’OCC e sugli atti. L’OCC deve indicare le cause dell’indebitamento e la diligenza o meno del debitore nel contrarre obblighi. Alcuni indizi di colpa grave: numero elevato di finanziamenti inutili, mantenimento di un tenore di vita incoerente col reddito (es. stipendio basso ma spese di lusso a debito), utilizzo del credito per gioco d’azzardo o speculazioni, ecc. Indizi di condotta virtuosa invece: aver tentato di pagare i debiti vendendo beni, aver subito la crisi per fattori esterni (malattia, licenziamento), aver informato correttamente i creditori della propria situazione, ecc. Inoltre, come detto, la colpa del debitore va soppesata con la condotta dei creditori: se le banche gli hanno concesso troppi prestiti, la sua colpa può essere considerata non grave poiché l’intermediario avrebbe dovuto negare il credito. Ad esempio, “il consumatore non è in colpa grave se ha agito in buona fede confidando nella valutazione della banca” (Trib. S. Maria C.V. 2023). In definitiva, la valutazione è caso per caso: se non emergono circostanze particolarmente negative a carico del debitore, si tende a riconoscere che non vi è colpa grave ostativa.

D: La presenza di molti debiti di per sé è indice di colpa grave del debitore?
R: No, non necessariamente. Avere molti debiti è la condizione tipica di chi poi ricorre al sovraindebitamento, ma bisogna capire come e perché quei debiti si sono accumulati. Ad esempio, un consumatore potrebbe avere 10 finanziamenti attivi: se li ha contratti uno dopo l’altro per pagare spese mediche e per mantenere la famiglia dopo aver perso il lavoro, non è colpa grave ma necessità (sebbene economicamente malsana). Al contrario, un consumatore che ha 10 finanziamenti perché comprava elettrodomestici costosi a rate, faceva vacanze esotiche a credito e giocava in borsa, potrebbe rivelare un comportamento imprudente. In sintesi, la quantità dei debiti va correlata al contesto: ciò che si cerca è se c’era una strategia ragionevole dietro o se è stato un agire scriteriato. Anche qui, la condotta delle finanziarie: se qualcuno è riuscito a ottenere 10 finanziamenti, vuol dire che le finanziarie glieli hanno dati – quindi pure loro non hanno fatto ottima guardia. La Cassazione ha affermato che la valutazione della condotta del debitore è presente in tutte le procedure di composizione, anche se non espressa (nel senso che in ogni caso OCC e giudice guardano al comportamento pregresso), ma ciò non si traduce in un requisito di “meritevolezza” rigido, bensì in una valutazione prognostica e di affidabilità complessiva.

D: Cosa si intende per valutazione del merito creditizio da parte delle banche?
R: È l’insieme delle verifiche che la banca deve compiere prima di concedere un finanziamento, per stimare la capacità di rimborso del cliente. Consiste nel raccogliere informazioni (documentali e tramite banche dati) su redditi, patrimonio, altri debiti, storico creditizio, e quindi giudicare se il nuovo prestito è sostenibile. L’art. 124-bis TUB lo impone per i crediti ai consumatori: in pratica, la banca deve concedere il credito solo se ritiene che il cliente abbia ragionevoli possibilità di restituirlo alle scadenze pattuite. Non deve garantire assolutamente che pagherà (non è tenuta all’onniscienza), ma deve fare una istruttoria diligente, come farebbe un banchiere prudente: se vede che il reddito è troppo basso rispetto alle rate totali, deve negare o ridurre importo; se il cliente ha avuto gravi insoluti in passato, deve essere molto cauta; se il cliente dichiara qualcosa di incoerente (es. reddito alto ma nessun documento fiscale che lo provi), deve approfondire o rifiutare. In termini semplici: la banca deve evitare di fare prestiti irresponsabili. Lo stesso vale per finanziarie su cessione del quinto (devono calcolare che sommando cessione e altri impegni uno stipendio residuo sufficiente rimanga) e per i mutui ipotecari (valutando reddito e valore immobile). Questa verifica tutela anche il consumatore, perché lo protegge dal sovraindebitamento eccessivo.

D: Cosa succede se la banca non ha valutato correttamente il merito creditizio e mi ha concesso troppi prestiti?
R: In generale, la banca potrebbe aver violato la legge e le disposizioni di vigilanza, ma finché paghi, il contratto rimane valido. Se però finisci sovraindebitato e ricorri a una procedura, allora questa condotta del creditore gli si ritorce contro. In concreto:

  • Nell’ambito della procedura, l’OCC segnalerà l’omessa valutazione e il tribunale potrà limitare i diritti di quel creditore. Ad esempio, la banca non potrà opporsi all’omologa del piano contestando di ricevere poco. Se il tuo piano prevede di pagarle, poniamo, solo il 20% del credito, la banca non potrà efficacemente fare reclamo sostenendo che è poco, se risulta che ti aveva prestato male i soldi.
  • Questa stessa circostanza aiuta te, debitore, a dimostrare che non sei stato gravemente imprudente: tu hai chiesto soldi, è vero, ma la banca avrebbe dovuto dire di no se non potevi permettertelo; dunque la “colpa” è condivisa o prevalente della banca. Quindi tu resti meritevole di esdebitazione.
  • Non c’è invece una norma automatica che cancelli il debito verso la banca negligente. Il debito resta, ma verrà trattato come gli altri nella procedura (e falcidiato se il piano prevede così). In casi estremi, dottrina e giurisprudenza hanno ipotizzato la nullità del contratto di credito abusivo, ma è una strada complessa: in teoria, se la banca ha violato norme imperative erogando, il contratto potrebbe essere nullo e la banca non potrebbe pretendere né capitali né interessi. Però dovresti far valere tu questa nullità in tribunale. Nella prassi di solito si risolve senza arrivare a tanto: col piano paghi una parte e il resto è condonato.
  • Fuori dalla procedura, se non fossi ricorso al sovraindebitamento, avresti potuto presentare un reclamo all’Arbitro Bancario Finanziario o causa civile, sostenendo che la banca ha violato l’art. 124-bis TUB e chiedendo magari l’annullamento del contratto per errore o risarcimento danni (danni che consisterebbero nell’esserti indebitato più del dovuto). Non ci sono molte pronunce su questo per i consumatori, perché di solito emergono in contesti concorsuali. Ma teoricamente, la banca rischierebbe sanzioni ed eventualmente di dover risarcire se dimostri che per colpa loro hai subito un danno ulteriore.
    In sintesi: all’interno della procedura di sovraindebitamento, la banca negligente viene “punita” con la preclusione a contestare la convenienza e con la possibilità di essere cramorosamente tagliata nei pagamenti; all’esterno, in un eventuale giudizio separato, si potrebbe far valere la sua responsabilità, ma è un percorso non frequente.

D: Nel concreto, posso quindi includere nel piano debiti derivanti da cessione del quinto o altri prestiti al consumo?
R: Assolutamente sì. Tutti i debiti finanziari verso banche e finanziarie (compresi mutui, prestiti personali, carte revolving, cessioni del quinto, fidi di conto corrente, leasing) possono essere inclusi nel piano del consumatore o nel concordato minore o liquidazione. Non c’è distinzione: anche se un prestito è garantito da una trattenuta sullo stipendio (cessione del quinto), esso rientra a pieno titolo nella massa debitoria. In pratica:

  • Nel piano del consumatore, puoi prevedere la sospensione delle rate della cessione del quinto e trattare quel credito come un qualsiasi altro: ad esempio, offrirne il pagamento parziale o integrale a fine piano. Durante la procedura, grazie alle misure protettive, puoi chiedere la sospensione della trattenuta mensile sullo stipendio, così da avere più liquidità per il mantenimento e per eventualmente pagare tutti i creditori in modo paritario.
  • Nella liquidazione controllata, la giurisprudenza ritiene che la cessione del quinto sia assimilata a una cessione di credito futuro, quindi i ratei di stipendio maturati dopo l’apertura della procedura vanno nella massa a disposizione del liquidatore. Il creditore della cessione del quinto partecipa al concorso con gli altri chirografari e non può pretendere di continuare a prelevare direttamente dallo stipendio (il che di solito comporta la sospensione della trattenuta).
    In ogni caso, il credito da cessione del quinto non gode di alcun privilegio particolare nel sovraindebitamento: è chirografario. Alcune corti in passato avevano dubbi, ma ormai è chiarito che non è un credito alimentare né un credito assistito da cause di prelazione, quindi non ha trattamento di favore. Pertanto può essere falcidiato come gli altri nel piano.
    Unica attenzione: se la cessione del quinto ha un’assicurazione obbligatoria (polizza rischio impiego/vita), quella polizza in caso di morte o licenziamento potrebbe intervenire a pagare il debito. Ma nella procedura ciò non incide, a meno che l’evento assicurato si verifichi (in tal caso paga l’assicurazione e si estingue il debito, liberando capienza per altri forse).
    Dunque, , puoi includere tutti i debiti verso banche e finanziarie, cessione del quinto compresa, e l’avvio della procedura ti consente di bloccare le trattenute e le azioni esecutive.

D: Quali debiti non possono essere inclusi o cancellati?
R: Come accennato prima, alcuni debiti non rientrano nella procedura:

  • Gli obblighi di mantenimento e alimentari (verso coniuge, figli) non possono essere oggetto di stralcio o esdebitazione. Se hai arretrati per assegni di mantenimento, non verranno cancellati e dovranno essere pagati, e verosimilmente andranno tenuti fuori dal piano (sono di solito crediti privilegiati non falcidiabili e comunque non perdonabili).
  • Le sanzioni penali (multe, ammende da reati) e i debiti per risarcimenti di danni derivanti da reato: la legge esclude che l’esdebitazione li estingua (art. 282 CCII, specularmente all’art. 142 L.Fall.). Quindi, se ad esempio hai una multa da reato o devi risarcire una vittima di reato, quel debito resterà. Potresti includerlo nel piano per rateizzarlo, ma non potrai ridurlo a zero unilateralmente.
  • In linea teorica, anche debiti per fideiussioni escusse potrebbero avere particolarità, ma in genere rientrano anch’essi (il fideiussore è un coobbligato come un altro).
  • Alcuni tributi: la legge 3/2012 vietava di falcidiare l’IVA nel piano del consumatore salvo adesione Fisco, per via di vincoli europei. Il Codice della crisi su questo è meno esplicito, ma l’orientamento attuale è che l’IVA può essere dilazionata o tagliata solo se l’Erario acconsente (per evitare contrasti col diritto UE). Tuttavia, grazie alla possibilità di cram-down sugli enti pubblici introdotta dal Codice (in analogia col concordato preventivo), se il piano garantisce almeno il valore di liquidazione, anche l’IVA può in teoria subire un parziale sacrificio con omologa giudiziale. È una materia tecnica dove servirà il parere dell’OCC e spesso un confronto con Agenzia Entrate.
  • Debiti per sanzioni amministrative (multe stradali ad esempio) possono essere compresi e falcidiati, perché la legge 3/2012 lo permetteva e il Codice non lo vieta. Infatti nelle linee guida di molti tribunali si includono le multe tra i debiti ammissibili.
    In conclusione, salvo alcuni paletti normativi (alimenti, debiti da reato), quasi tutti i debiti possono essere toccati dalla procedura. Ovviamente bisogna dichiararli tutti: anche quelli non falcidiabili devono essere elencati e trattati nel piano (se non li paghi integrali, devi spiegare il perché o come li gestirai). Per esempio, se hai €5.000 di assegni familiari arretrati, nel piano dovrai dire che quei €5.000 li pagherai al 100% magari con dilazione (perché non li puoi tagliare).

D: Quanto dura la procedura e il pagamento dei debiti?
R: Dipende dal tipo di procedura e dalle tue possibilità:

  • La fase giudiziale per l’omologa è relativamente breve (qualche mese). I tempi possono dilatarsi se ci sono opposizioni o se la documentazione è incompleta e il giudice chiede integrazioni.
  • La durata del piano di ristrutturazione è decisa da te in base alle necessità di sostenibilità. Molti piani hanno durata 4 o 5 anni, perché è un orizzonte temporale ragionevole per proiettare la situazione e spesso richiama la durata massima di un eventuale piano del consumatore nella direttiva UE sulla seconda chance. Però nulla vieta durate più lunghe: casi di 7, 8 fino a 10 anni sono stati omologati (come il caso di Trani confermato da App. Bari con piano decennale). L’importante è che il piano sia fattibile: un piano decennale richiede stabilità reddituale per 10 anni o garanzie che quell’arco lungo si reggerà – non sempre facile da dimostrare, ma se c’è, si può fare.
  • Se invece si opta per la liquidazione controllata, la legge fissa in 3 anni la durata (dall’apertura della procedura): il liquidatore eserciterà per 3 anni l’eventuale prelievo di redditi del debitore (sopra la quota libera) e realizzerà i beni. Dopo 3 anni, si chiude e scatta l’esdebitazione. Nota: 3 anni è la durata della procedura dalla sua apertura, ma l’apertura può avvenire dopo alcuni mesi dal deposito se il tribunale ci mette tempo. Comunque, molto più rapida di un fallimento tradizionale.
  • Nell’esdebitazione incapiente, i tempi tecnici sono brevi: di solito entro qualche mese si ottiene il decreto di esdebitazione. Poi però c’è il “periodo di prova” di 4 anni durante il quale se hai miglioramenti economici devi pagarli ai creditori (fino a 10%). Quindi, la definitiva liberazione si consolida dopo 4 anni senza sopravvenienze (se invece arrivano, dovrai pagare nei limiti di quanto ottenuto).
    Riassumendo: potresti risolvere la tua posizione debitoria, a seconda dei casi, in pochi mesi (incapiente) o impegnarti per alcuni anni (piano, concordato, o liquidazione con 3 anni). In ogni caso, si tratta di tempi definiti e finiti, molto meglio che trascinarsi debiti per decenni con interessi e azioni legali continue. Da quando ottieni l’omologa o il decreto, hai una luce in fondo al tunnel con una data certa in cui sarai libero dai debiti (a patto di rispettare il piano stabilito).

D: Dopo la procedura, i creditori possono ancora pretendere qualcosa da me?
R: Se la procedura si conclude regolarmente e ottieni l’esdebitazione, tutti i crediti concorsuali (anteriore all’omologa o all’apertura) rimasti non pagati sono inesigibili nei tuoi confronti. Significa che i creditori non possono più chiederti nulla per quei debiti passati. Tecnicamente, nel piano/concordato l’esdebitazione è interinale all’esecuzione del piano: una volta eseguito tutto ciò che dovevi, il giudice attesta che sei esdebitato (o la legge lo sancisce automaticamente). Nella liquidazione è il provvedimento conclusivo del tribunale a concederla (o a prendere atto se decorrono i 3 anni).
Ci sono però eccezioni: come detto, restano dovuti eventuali debiti esclusi (alimenti, danni da reato, etc.). E inoltre se emergesse che hai ottenuto l’esdebitazione con frode o dolo (nascondendo beni, per esempio), potrebbe essere revocata su istanza dei creditori danneggiati.
Altrimenti, i creditori vecchi non potranno più perseguitarti. Ti potranno semmai offrire nuovo credito, paradossalmente, ma non agire per il vecchio.
Attenzione: se hai coobbligati (fideiussori, co-debitori), l’esdebitazione libera solo te; i garanti potrebbero dover pagare e poi eventualmente rivalersi, ma la tua esdebitazione fa sì che anche la rivalsa verso di te sia bloccata (in linea generale).
In conclusione, l’obiettivo della legge è proprio questo: cancellare i debiti pregressi e dare “scarpe nuove” al debitore onesto. Quindi, a buon fine procedura, nessuno potrà più venirti a bussare per quei vecchi crediti.

D: Quali sono i costi da affrontare per avviare una procedura di sovraindebitamento?
R: Bisogna considerare principalmente:

  • Le spese dell’OCC (Organismo di Composizione della Crisi). L’OCC di solito chiede un compenso per la relazione e la gestione della procedura. I costi possono variare: molti OCC applicano tariffe proporzionali al debito o a scaglioni. Alcuni tribunali fissano parametri. Ad esempio, potrebbe esserci un costo fisso iniziale di qualche centinaio di euro e poi un compenso finale se la procedura riesce (spesso attinto dal ricavato del piano/liquidazione). Ci sono anche convenzioni per le persone non abbienti (in alcuni casi gli OCC pubblici riducono le tariffe se il debitore ha ISEE basso).
  • Il contributo unificato e bolli: la domanda in tribunale richiede un contributo unificato (attualmente intorno a €98 per queste procedure) e marca da bollo (€27). Quindi usciamo a circa €125 di spese vive di giustizia.
  • L’eventuale compenso dell’avvocato: se ti avvali di un legale (cosa consigliata), ci saranno le sue competenze. Anche queste possono variare molto. In alcuni casi, i costi legali sono “a carico della massa” (cioè pagati nell’ambito del piano come spesa prededucibile).
  • Altre spese minori: ad es. oneri per visure catastali, certificati vari, bolli per gli atti notarili se servono, etc. Generalmente contenuti.
    Molti debitori riescono a pagare queste spese iniziali grazie alla sospensione delle rate e trattenute: non pagando più i creditori (grazie al blocco procedure appena si avvia la pratica), in pochi mesi accumulano la somma necessaria per OCC e spese. Inoltre, gli OCC a volte accettano di ricevere il compenso a fine procedura.
    Dunque, l’accesso non è gratuito ma i costi sono sostenibili confrontati ai benefici: si parla di qualche migliaio di euro nella maggior parte dei casi (dipende anche dalla complessità). E per i casi di povertà assoluta esistono OCC che operano a compenso zero (in collaborazione con fondazioni antiusura, ad esempio). Conviene informarsi presso l’OCC del proprio tribunale: spesso hanno un tariffario pubblico.

D: Dopo l’esdebitazione, potrò ottenere nuovi finanziamenti o mutui?
R: Nel breve periodo, probabilmente sarà difficile, poiché il tuo credit score risulterà compromesso dagli eventi passati. Le banche vedranno che hai avuto un’insolvenza e un’esdebitazione, il che ti rende un cliente a rischio. In genere, le segnalazioni di sofferenze rimangono nei database per alcuni anni (ad esempio, in CRIF i crediti con morosità gravi restano fino a 36 mesi dalla data di cessazione del rapporto o ultimo aggiornamento). Anche l’iscrizione nei registri tribunali (non esiste un registro pubblico dei sovraindebitati esdebitati come per i protesti, ma i decreti sono comunque pubblici) può emergere in visure approfondite.
Nel medio-lungo termine, però, nulla ti vieta di contrarre nuovi debiti: legalmente sei libero. Anzi, la ratio della legge è reinserirti nell’economia attiva e nel mercato del credito come soggetto “riabilitato”. Alcune banche, trascorsi magari 2-3 anni dall’esdebitazione, se nel frattempo avrai un lavoro stabile e hai ricostruito una storia positiva (es. piccoli acquisti a saldo, niente nuovi intoppi), potrebbero concederti crediti. Certamente, se ad esempio vuoi accendere un mutuo, probabilmente ti chiederanno più garanzie o un coobbligato, almeno finché la tua storia non sarà “ripulita”.
Puoi anche iscriverti al Registro dei cattivi pagatori: in realtà tu ci sei già se eri segnalato. Dovresti fare in modo che i creditori aggiornino le segnalazioni come “chiuso per procedura di sovraindebitamento/esdebitazione”. Alcune SIC lo prevedono. Così un futuro finanziatore vede che quei debiti risultano estinti per legge.
Non c’è un istituto formale di “riabilitazione” come c’è per i protestati (che dopo un anno possono chiedere la cancellazione se pagano); qui hai la riabilitazione di fatto con l’esdebitazione. Il resto lo farà il tempo e la tua condotta.
È opportuno tuttavia essere cauti nel tornare ad indebitarsi: ricorda che una seconda esdebitazione non potrai chiederla prima di 5 anni (e massimo due volte in vita). Quindi meglio evitare di ricascarci. Usare il credito con moderazione e solo se sostenibile.
In sintesi: , dopo potrai ottenere nuovi prestiti, ma devi dimostrare di essere diventato un buon pagatore e potrebbe volerci qualche anno prima che le banche si fidino di nuovo completamente.

D: Se ho subito pignoramenti o azioni legali dai creditori, la procedura di sovraindebitamento li ferma?
R: Sì, una volta presentato il ricorso e ottenuto dal tribunale il provvedimento di apertura o anche solo le misure protettive provvisorie, tutte le azioni esecutive sono sospese (art. 54 CCII e art. 70 per il piano). Ciò significa che:

  • Se avevi un pignoramento immobiliare in corso sulla casa, questo viene sospeso e non si andrà a vendita finché dura la protezione.
  • Se avevi pignoramenti dello stipendio, il giudice dell’esecuzione, informato del procedimento di sovraindebitamento, deve sospendere la distribuzione delle somme e il datore di lavoro sospendere le trattenute (lo stesso vale per cessione del quinto, che in effetti è come un pignoramento consensuale).
  • Se era fissata un’asta, viene rinviata.
  • Non possono essere iniziati nuovi pignoramenti dai creditori per crediti anteriori.
    Le misure protettive di norma le devi chiedere nell’istanza. Il tribunale può concederle subito (anche inaudita altera parte) e vanno confermate poi all’udienza. Di regola, durano fino all’omologazione. Se poi la procedura è omologata, quelle esecuzioni sono definitivamente inutili perché i crediti saranno trattati dal piano.
    Attenzione: le misure protettive non cancellano il pignoramento, lo sospendono. Se per qualche motivo la tua procedura dovesse saltare (es. manca omologa), il creditore potrebbe riattivare l’esecuzione dal punto in cui era. Però se arrivi a omologa e poi a esdebitazione, quell’esecuzione decade del tutto perché il credito non c’è più.
    Va segnalato inoltre che certi crediti particolari (es. alimenti) potrebbero non essere sospesi se il giudice lo ritiene (perché non sono inseriti nella procedura), ma sono casi rari.
    In conclusione, sì, la procedura blocca i pignoramenti e dà respiro immediato al debitore, evitando spogli forzosi durante la trattativa di piano. Questa è una ragione fondamentale per attivarsi per tempo, idealmente prima che i creditori esproprino beni preziosi: così li metti in stand-by e li gestisci ordinatamente nel piano o nell’accordo.

D: Cosa succede se il debitore non rispetta il piano omologato?
R: Se, una volta omologato, il piano del consumatore non viene eseguito regolarmente dal debitore (ad esempio, smette di pagare le rate previste), i creditori possono rivolgersi al tribunale per dichiarare la risoluzione del piano. Il Codice non dedica un articolo specifico alla risoluzione del piano del consumatore (diversamente dal concordato minore che ha l’art. 82 CCII per la risoluzione in caso di inadempimento di oltre il 10% delle obbligazioni non eseguite), ma per analogia si applicano i principi generali:

  • I creditori possono fare reclamo esecutivo al giudice che ha omologato, evidenziando l’inadempimento grave.
  • Il giudice può revocare l’omologazione/decreto esdebitazione e dichiarare risolto il piano. A quel punto, i debiti ritornano esigibili per le parti non pagate.
    Dopo la risoluzione, il debitore potrebbe tentare un’altra procedura (ad esempio una liquidazione controllata) ma perdendo i benefici temporanei. Se invece il piano era in corso ma c’è un evento improvviso (perdita lavoro), si può chiedere una modifica del piano (il Codice prevede la possibilità di modifiche del piano prima dell’omologa su proposta dell’OCC, e secondo dottrina anche dopo omologa con accordo dei creditori o valutazione del giudice).
    Nel concordato minore, l’art. 82 CCII disciplina che se il debitore non adempie agli obblighi del piano per almeno il 10% di quanto dovuto, o risulta impossibile eseguirlo, il tribunale su istanza dichiara risolta la procedura.
    In tutti i casi, la frode scoperta post-omologa (ad esempio il debitore aveva nascosto un bene) porta alla revoca del beneficio, su istanza dei creditori o del PM.
    Quindi è fondamentale che il debitore, una volta ottenuta la chance, faccia di tutto per rispettare il piano. Se proprio qualcosa va storto, deve comunicare subito all’OCC e al giudice per cercare rimedi (sospensioni temporanee, rimodulazioni).
    Se il piano viene risolto o revocato, i creditori riacquistano pieni diritti come prima (salvo considerare quanto eventualmente già incassato).
    In pratica: non bisogna prendere l’omologa come “fine dei giochi” e poi disinteressarsi. Bisogna portare a termine gli impegni per avere la vera liberazione.
    Per fortuna, i dati mostrano che molti debitori, alleggeriti dall’omologa, riescono a seguire il piano (spesso calibrato su ciò che possono davvero fare).

D: Il piano del consumatore richiede l’approvazione dei creditori?
R: No, i creditori non votano sul piano del consumatore. Questa è una peculiarità di questa procedura: viene decisa unilateralmente dal giudice, a tutela del consumatore meritevole, anche in assenza di accordo. I creditori possono solo presentare osservazioni o opposizioni, ma non hanno un potere di veto. Diverso è il concordato minore, dove serve la maggioranza dei crediti per l’approvazione (come nei concordati preventivi).
Quindi, il consumatore può ottenere l’omologa anche con tutti i creditori contrari, a condizione che il piano sia fattibile e rispetti i requisiti di legge (ad esempio il test di convenienza rispetto alla liquidazione). In tal caso, i creditori vengono cram-down, ovvero l’accordo è imposto. Questo è stato concepito perché spesso i creditori – specie finanziari – tendono a dire di no per politica aziendale, anche a proposte ragionevoli, e la legge invece privilegia la possibilità di recupero del debitore persona fisica.
Va però ricordato: se un creditore contesta che dal piano ottiene meno che in una liquidazione, il giudice deve verificare che ciò non sia vero; il piano deve garantire almeno l’equivalente della liquidazione ai dissenzienti. Se così è, il giudice omologa anche contro il loro parere. Se invece un creditore dimostrasse che liquidando i beni avrebbe, poniamo, il 50% e nel piano ne prende il 30%, il giudice NON potrebbe omologare perché violerebbe la soglia minima di tutela del creditore (salvo che quel creditore acconsenta spontaneamente).
In pratica, il voto dei creditori è sostituito dal controllo del giudice e dalle soglie legali di convenienza.
Nei fatti, alcuni creditori possono anche non partecipare all’udienza o non opporsi affatto. Spesso l’Agenzia delle Entrate Riscossione, ad esempio, non si oppone se vede che il piano rispetta i parametri minimi. Le finanziarie pure, alcune presentano osservazioni, altre nulla. Comunque il loro silenzio non impedisce l’omologa, e la loro opposizione sulla convenienza può essere superata come visto (specie se quel creditore è colpevole ex 124-bis TUB).

D: Nel piano posso prevedere la vendita di un immobile o la rinegoziazione di un mutuo?
R: Sì, il piano ha contenuto libero. Puoi includere proposte di vendita di tuoi beni (magari tramite il liquidatore nominato dal giudice) e destinare il ricavato ai creditori. Questo è tipico: molti piani del consumatore prevedono la vendita della casa con ipoteca, per pagare la banca ipotecaria parzialmente e liberarsi del mutuo residuo. Se la vendita è prevista, il giudice di solito nomina un professionista per effettuarla (può essere l’OCC stesso o un delegato) con garanzia di trasparenza.
Puoi anche prevedere accordi con singoli creditori, come la rinegoziazione del mutuo: ad esempio, potresti accordarti con la banca mutuataria per abbassare la rata e allungare il piano, e includere nel tuo piano del consumatore l’impegno a continuare a pagare quel mutuo rinegoziato per non perdere la casa, mentre per gli altri creditori offri un tot. Questi accordi individuali sono validi se poi vengono inseriti nel piano e l’omologa li consolida.
Puoi inserire la cosiddetta finanza esterna: ad esempio un parente ti offre 10.000€ da destinare ai creditori purché tu acceda alla procedura – essendo denaro esterno, va interamente ai creditori (non viene conteggiato nel confronto con liquidazione, perché in liquidazione quel denaro esterno non ci sarebbe). I creditori sono ovviamente contenti di ricevere risorse aggiuntive.
Quindi hai molta libertà di ingegneria finanziaria nel piano. L’importante è che ogni operazione sia concretamente realizzabile e giuridicamente fattibile. Ad esempio, se dici “venderò la casa al valore X entro 6 mesi”, l’OCC deve confermare che X è realistico (magari basandosi su una perizia) e che 6 mesi sono tempi congrui. Se dici “convincerò la banca a rinegoziare”, meglio che la banca abbia già dato una lettera di intenti.
In sede di omologa, il giudice vuole essere rassicurato che non siano previste soluzioni fumose. Ma se tutto è chiaro, può omologare e anche imporre ai creditori dissenzienti l’effetto del piano. Ad esempio, se la maggioranza dei creditori è d’accordo a vendere un immobile a 100.000€, ma un creditore ipotecario preferirebbe espropriarlo lui, il giudice può comunque omologare e quell’ipotecario dovrà accettare la vendita come da piano.
Ricorda però: se prevedi di cedere beni su cui gravano garanzie, devi soddisfare in modo adeguato i creditori garantiti. Ad esempio, il creditore ipotecario di primo grado di solito va pagato fino a capienza del valore del bene (non puoi dare la casa a metà prezzo e offrire al creditore ipotecario il 20% salvo suo accordo, perché altrimenti quello otterrebbe di più vendendo la casa da solo).
Ma puoi convincerlo offrendo comunque più di quanto piglierebbe in asta forzata (dove spesso si realizza meno). Insomma, ogni caso va studiato bene.
In conclusione, nel piano puoi predisporre vendite, accordi, contributi esterni, ristrutturazioni di mutui, tagli di interessi, ecc., con l’obbiettivo di rendere sostenibile il tuo rimborso e insieme dare qualcosa di ragionevole ai creditori. La legge ti dà flessibilità, purché il risultato finale sia equo e fattibile.

D: Se i creditori mi hanno già dichiarato fallito, posso fare il sovraindebitamento?
R: No, se sei già fallito (o in liquidazione giudiziale, come si chiama ora per le imprese), non puoi accedere alle procedure di sovraindebitamento. Queste ultime infatti sono alternative al fallimento. Se però la tua situazione era borderline e un creditore ha chiesto il tuo fallimento come imprenditore, tu potresti opporti dimostrando che sei “soggetto non fallibile” (cioè rientri nei parametri di sovraindebitamento) e chiedere la conversione in una procedura di sovraindebitamento. Ci sono stati casi di conversione di istanze di fallimento in concordato minore o liquidazione controllata per imprenditori piccoli.
Se invece sei già fallito, devi seguire le regole del fallimento e poi eventualmente chiedere l’esdebitazione fallimentare (che è simile come concetto, ma riservata ai falliti).
Per un consumatore, il fallimento non è proprio applicabile; se un creditore ti fa decreto ingiuntivo e pignoramenti, tu reagisci col sovraindebitamento. Ma se, poniamo, un consumatore ha subito un’esecuzione immobiliare che arriva a vendita e non ha attivato in tempo il sovraindebitamento, poi a posteriori può ancora fare la procedura per liberarsi di eventuali residui.
In sintesi: c’è un principio di unicità – non puoi avere due procedure concorsuali parallele. Quindi o sei in fallimento (liquidazione giudiziale) o sei in sovraindebitamento. Se hai i requisiti da sovraindebitato, conviene presentare la domanda prima che eventuali creditori facciano iniziative concorsuali (fallimento per gli imprenditori). Per le persone fisiche consumatori, il fallimento non è previsto comunque, quindi loro l’unica via è il sovraindebitamento (o le esecuzioni individuali devastanti se non agiscono).
Una volta che sei nella procedura di sovraindebitamento, i creditori non possono chiedere il tuo fallimento (anche se fossi un piccolo imprenditore che per ipotesi ne avrebbe i requisiti), a meno che la procedura di sovraindebitamento venga dichiarata improcedibile o chiusa senza esdebitazione.

Fonti e Riferimenti

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) – Artt. 65-83 (Procedure da sovraindebitamento), 268-283 (Liquidazione controllata ed esdebitazione). In particolare art. 69 CCII (Requisiti per accesso del consumatore) e art. 124-bis TUB richiamato.
  • Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, 16 ottobre 2023 – Massima: il consumatore non può essere ritenuto in colpa grave se ha confidato in buona fede nella valutazione del merito creditizio da parte dell’intermediario finanziatore.
  • Corte di Cassazione, Sez. I, 27 novembre 2024 n. 30538 – Ha affermato che anche nell’accordo ex L.3/2012 (ora concordato minore) va considerata la condotta pregressa del debitore ai fini dell’affidabilità, pur non essendo prevista meritevolezza espressa.
  • Corte d’Appello di Bari, Sez. I, 30 aprile 2025 n. 626 – Decisione su reclamo in piano del consumatore: conferma omologa con piano decennale, chiarisce distinzione colpa lieve/colpa grave e sancisce preclusione opposizione banca per mancata valutazione merito creditizio.
  • Tribunale di Nola, 8 maggio 2024 n. 41 – Decreto: il nuovo art.69 CCII supera il previgente concetto di meritevolezza, adottando criteri più favorevoli al debitore (second chance) e richiede al giudice solo di verificare le cause ostative tassative.
  • Corte d’Appello di Bologna, 9 febbraio 2024 – Decreto in materia di sovraindebitamento: il giudice deve negare l’omologa solo in caso di colpa grave, malafede o frode comprovate (conferma interpretazione restrittiva delle cause di inammissibilità).
  • Tribunale di Torino, 31 maggio 2023 – Decreto: ha rilevato la riduzione della colpa del consumatore per omessa istruttoria della banca; l’errore di merito creditizio del finanziatore attenua la valutazione di gravità della condotta del debitore.
  • Tribunale di Parma, 18 luglio 2021 – Caso in cui un creditore finanziatore è stato escluso dal voto nel piano del consumatore per aver concesso un prestito aggiuntivo evidentemente insostenibile (applicazione analogica di principio di conflitto di interessi).
  • Corte di Giustizia UE, causa C-634/2021 (SCHUFA Holding), sentenza 7 dicembre 2023 – Pronuncia sulla valutazione automatizzata del merito creditizio e diritto alla trasparenza del consumatore (GDPR), rilevante per la legittimità dei sistemi di credit scoring automatizzati.
  • “Linee guida per le procedure di sovraindebitamento” – Tribunale di Livorno (2023) – Documento di prassi che dettaglia modalità di presentazione delle domande di piano del consumatore, con indicazione dei documenti da allegare e delle verifiche da compiere (ad es. firma digitale, elenco creditori, ecc.).
  • Legge 3/2012 (abrogata)“Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento”. Utile come riferimento storico: art. 12-bis (piano del consumatore, meritevolezza), art. 7 (presupposti), art. 14-terdecies (esdebitazione). Molti concetti sono stati trasfusi nel Codice, spesso in forma modificata.
  • Codice Civile, art. 124 e ss. – Principi generali (es. art. 1418 c.c. nullità per contrarietà a norme imperative, invocato per nullità di finanziamenti concessi in violazione norme di ordine pubblico economico). Art. 2035 c.c. (atto contro il buon costume) menzionato in tema di irripetibilità di prestiti concessi a impresa insolvente.
  • Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/93) – in particolare art. 124-bis (Obbligo di valutazione del merito creditizio per credito ai consumatori) e art. 120-undecies (Obblighi di valutazione per contratti di credito immobiliare ai consumatori). Queste norme recepiscono rispettivamente la Dir. 2008/48/CE e Dir. 2014/17/UE, fissando obblighi e sanzioni (ad es. art. 124-bis comma 6 prevede sanzioni amministrative e possibilità per Banca d’Italia di emanare disposizioni attuative).

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  • 📊 Eventuali garanzie reali o personali
  • 🔎 Comportamento finanziario passato e presente

In presenza di un sovraindebitamento conclamato, il punteggio si abbassa drasticamente, rendendo difficile anche l’accesso a formule di rinegoziazione autonoma.


Qual è il legame tra sovraindebitamento e merito creditizio?

Quando sei sovraindebitato:

  • Le banche ti considerano non più finanziabile
  • Le tue richieste di dilazione, prestito o rifinanziamento vengono rifiutate
  • Ogni nuova segnalazione peggiora ulteriormente la tua posizione
  • Entri in una spirale che compromette anche la tua vita economica futura

⚠️ Ma esistono soluzioni legali per interrompere questa catena e ricostruire la tua affidabilità finanziaria.


Come migliorare il merito creditizio in presenza di debiti?

Puoi agire in due direzioni:

  1. ⚖️ Avviare una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento
    • Piano del consumatore
    • Ristrutturazione dei debiti
    • Liquidazione controllata del patrimonio
    • Esdebitazione per incapiente
  2. 🔁 Rinegoziare i debiti con accordi su base stragiudiziale, supportati da professionisti

Una volta conclusa positivamente una procedura, il tuo nome viene riabilitato e puoi tornare ad avere accesso regolare al credito.


🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Analizza il tuo livello di esposizione e il tuo profilo creditizio
📑 Verifica se ci sono margini per evitare nuove segnalazioni
⚖️ Ti assiste nell’accesso alla procedura di composizione della crisi
✍️ Redige il piano e lo presenta al Tribunale competente
🔁 Ti accompagna anche dopo l’esdebitazione, per la riabilitazione finanziaria


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in sovraindebitamento e difesa del debitore
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per lavoratori, famiglie e piccoli imprenditori in difficoltà
✔️ Difensore nei rapporti con banche, finanziarie e agenti della riscossione


Conclusione

Sovraindebitamento e merito creditizio sono strettamente collegati. Ma puoi uscire dal circolo vizioso, difenderti e ripartire.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi affrontare i debiti in modo legale, risolverli con strumenti mirati e riqualificarti come soggetto finanziabile.

📞 Richiedi ora una consulenza riservata per valutare il tuo profilo creditizio e avviare una strategia di uscita dal sovraindebitamento.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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