Hai ricevuto un atto di pignoramento su un conto corrente affidato e ti stai chiedendo se possono davvero bloccarlo anche se è in negativo? Vuoi sapere cosa puoi fare per proteggerti, come reagire e quali sono i tuoi margini di difesa?
Molti credono che un conto con affidamento bancario, cioè con fido attivo, non sia pignorabile. In parte è vero, ma la realtà è più complessa. E una mossa sbagliata può costarti molto caro.
Cos’è un conto corrente affidato?
– È un conto corrente con una linea di credito concessa dalla banca
– Puoi andare “sotto zero” fino a un certo limite, coperto dal fido
– Anche se il saldo è negativo, hai una disponibilità bancaria virtuale, che però non è di tua proprietà
Possono pignorare un conto affidato?
– No, se il saldo è negativo al momento del pignoramento: il creditore non può prendere nulla
– Sì, se il saldo è positivo, anche se per effetto di un versamento recente o di accrediti automatici
– No, se il credito è solo potenziale (cioè affidamento non ancora utilizzato): non è pignorabile
Cosa succede se arriva un pignoramento su un conto con fido?
– La banca riceve il pignoramento e blocca solo eventuali somme disponibili al momento della notifica
– Non può forzarti a usare il fido per soddisfare il creditore
– Se il conto è in rosso, non viene bloccato nulla, ma il creditore potrebbe rifarsi su altri beni
Come puoi difenderti da un pignoramento su conto affidato?
– Verifica con la banca il saldo reale e la natura del fido (revocabile, a scadenza, tacito…)
– Valuta se ci sono i presupposti per un’opposizione agli atti esecutivi
– Se il pignoramento è illegittimo o eccessivo, puoi chiedere la riduzione o la revoca al giudice
– Se il conto serve per la tua attività o per incassare lo stipendio, valuta misure urgenti per sbloccarlo
Cosa puoi fare subito per proteggerti?
– Non versare somme sul conto pignorato: verrebbero subito bloccate
– Parla con un avvocato per capire se puoi impugnare il pignoramento
– Se sei in crisi economica, valuta una procedura di composizione della crisi per bloccare tutti i creditori
Cosa NON devi fare mai?
– Ignorare l’atto di pignoramento: i termini per reagire sono brevi
– Fare operazioni sospette tra conti: può scattare l’azione revocatoria
– Credere che il fido sia “un tuo diritto da usare liberamente”: non è denaro tuo
Un conto con fido può offrire una difesa tecnica contro il pignoramento, ma solo se conosci le regole e agisci subito.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in pignoramenti e diritto bancario – ti spiega se e quando un conto affidato può essere pignorato, come reagire legalmente e cosa fare per proteggere il tuo denaro e la tua operatività.
Hai ricevuto un pignoramento su un conto affidato e non sai se è valido o se puoi bloccarlo?
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Introduzione
Il pignoramento del conto corrente è una forma di esecuzione forzata presso terzi che consente al creditore di bloccare e ottenere le somme depositate su un conto bancario intestato al debitore. Tuttavia, quando il conto corrente è “affidato” (fido bancario) – ossia dotato di una linea di credito che permette al correntista di andare “in rosso” entro un certo limite – sorgono importanti particolarità giuridiche. In questo caso il saldo può risultare negativo o azzerato grazie ai prelievi oltre la disponibilità, complicando l’azione del creditore.
Dal punto di vista del debitore, capire come funziona il pignoramento di un conto affidato è cruciale per sapere cosa fare e quali tutele invocare. Bisogna infatti distinguere se il conto presenta un saldo attivo (positivo) oppure un saldo passivo (negativo) al momento del pignoramento, poiché solo nel primo caso vi sono somme effettivamente aggredibili. In altre parole, il creditore potrà soddisfarsi solo su denaro di proprietà del debitore presente sul conto, mentre non potrà toccare la mera disponibilità di credito bancario concessa dalla banca (il fido non ancora utilizzato).
Questa guida – aggiornata a giugno 2025 – fornisce un’analisi avanzata e aggiornata della normativa italiana e della giurisprudenza più recente in materia, con un taglio pratico rivolto sia a professionisti legali sia a privati e imprenditori. Saranno inoltre riportate le sentenze più aggiornate (di Corte di Cassazione e merito) e i riferimenti normativi pertinenti, senza dimenticare eventuali profili fiscali (come le procedure di pignoramento avviate dal Fisco) e modelli di atti utili (es. fac-simile di opposizione o istanze al giudice).
Contesto attuale: Il pignoramento dei conti correnti è oggi uno strumento molto utilizzato dai creditori poiché rapido ed efficace rispetto ad altre esecuzioni. Ciò vale anche (e soprattutto) per i creditori pubblici (Agenzia delle Entrate-Riscossione) che possono attivare procedure speciali. Tuttavia, statistiche recenti indicano che oltre il 30% dei pignoramenti presso terzi non produce effetti concreti per mancanza di fondi, e che circa il 18% dei conti pignorati presenta saldo negativo o zero. Ciò significa che in molti casi il pignoramento di un conto va a vuoto (ad esempio proprio perché il conto è “in rosso” e privo di disponibilità liquide). Conoscere in anticipo le implicazioni di un conto affidato può quindi fare la differenza per il debitore: se il creditore non riesce a trovare somme pignorabili, il debitore potrà evitare l’espropriazione, mentre in caso contrario dovrà attivarsi rapidamente per proteggere i propri mezzi di sussistenza ed eventualmente riorganizzare le proprie finanze.
Nei paragrafi che seguono analizzeremo dapprima il quadro normativo di riferimento (Codice di procedura civile e leggi speciali) e la natura giuridica del conto corrente affidato, poi descriveremo come si svolge il pignoramento presso terzi di un conto bancario e quali obblighi hanno la banca e le parti. Ci concentreremo sulle particolarità del conto affidato, illustrando la posizione della Cassazione (che ha chiarito in via definitiva l’impignorabilità del fido non utilizzato) e le condizioni in cui invece il creditore può ottenere qualcosa (ad es. se il saldo torna positivo dopo la notifica). Verranno quindi forniti consigli su cosa deve fare il debitore non appena il conto viene pignorato: dai rimedi processuali (opposizioni all’esecuzione, istanza di conversione del pignoramento, richiesta di sblocco delle somme impignorabili) alle mosse pratiche (aprire un altro conto, negoziare un piano di rientro, ecc.), tenendo presenti anche i possibili riflessi fiscali e le differenze tra creditori privati e pignoramenti fiscali (es. cartelle esattoriali). Infine, una sezione di Domande e Risposte chiarirà i dubbi più comuni (es. “possono pignorare un conto in rosso?”, “quanto resta bloccato il conto?”, “che succede se arrivano bonifici dopo il pignoramento?”, “il Fisco segue regole diverse?”, “posso aprire un nuovo conto?” ecc.), mentre apposite tabelle riepilogative e fac-simili di atti forniranno strumenti utili per affrontare concretamente la situazione.
Nota: Le informazioni qui fornite riguardano esclusivamente la normativa italiana (procedure esecutive civili e tributarie in Italia) e sono aggiornate alle novità introdotte fino a giugno 2025. Si tratta di un livello di approfondimento avanzato, adatto a lettori con una certa familiarità con il diritto (avvocati, praticanti, imprenditori informati), ma presentato in modo da risultare comprensibile anche al debitore comune che voglia orientarsi in questo frangente delicato. Procederemo con ordine, iniziando dalle basi normative.
Normativa di riferimento e nozioni chiave
Conto corrente bancario e “affidamento” (fido) – Il conto corrente bancario è un contratto regolato dal codice civile (artt. 1823 c.c. e seguenti) e dalle norme in materia bancaria. Un conto si dice affidato quando la banca concede al correntista un’apertura di credito (art. 1842 c.c.): in pratica la banca si obbliga a tenere a disposizione del cliente una somma di denaro fino a un certo importo, permettendogli di prelevare oltre il saldo disponibile. Il cliente potrà così andare in saldo negativo (entro il limite di fido accordato), restando però tenuto a restituire alla banca le somme utilizzate. Giuridicamente, prima dell’utilizzo del fido il correntista non è creditore di quella somma, ma ha solo una facoltà di utilizzo: la banca rimane proprietaria dei soldi messi a disposizione finché il cliente non li preleva. In altri termini, nel rapporto di apertura di credito la banca è creditrice (perché il cliente, usando il fido, le deve restituire le somme) e il cliente è debitore; solo quando il cliente versa denaro e il saldo diventa positivo la situazione si inverte e il cliente torna ad essere creditore verso la banca (avendo un credito esigibile pari al saldo attivo).
Esecuzione forzata e pignoramento presso terzi – Il pignoramento è l’atto iniziale dell’esecuzione forzata, con cui si vincolano i beni del debitore per destinarli al soddisfacimento coatto del creditore (artt. 491 e 492 c.p.c.). Quando l’esecuzione ha ad oggetto crediti che il debitore vanta verso terzi (come il credito verso la banca per le somme depositate sul conto), si tratta di pignoramento presso terzi (art. 543 c.p.c.). In questo caso il creditore (procedente) notifica un atto di pignoramento sia al terzo debitore (es. la banca) sia al debitore esecutato. Tale atto contiene, tra l’altro, l’ingiunzione al debitore a non disporre del credito e l’ordine al terzo di non liberare le somme dovute (art. 543, co.2, c.p.c.), oltre all’indicazione dell’udienza in cui il terzo dovrà rendere la “dichiarazione” sul credito pignorato. Dal giorno della notifica del pignoramento, è fatto divieto al terzo di disporre delle somme dovute al debitore pignorato. In sostanza la banca, ricevuto l’atto, deve bloccare (custodire) le somme presenti sul conto fino a concorrere all’importo pignorato aumentato della metà (per coprire interessi e spese, ex art. 546 c.p.c.), e non può permettere movimenti in uscita senza ordine del giudice (art. 546, co.1 c.p.c.). L’obbligo di custodia è sanzionato penalmente (art. 388-bis c.p.) in caso di violazione.
Crediti pignorabili e impignorabili – Per legge possono essere pignorati solo i crediti certi, liquidi ed esigibili che il debitore ha verso il terzo (art. 543, co.2, n.4 c.p.c. e art. 2917 c.c.). Sono invece impignorabili i crediti futuri, eventuali o soggetti a condizione. In particolare, l’art. 545 c.p.c. elenca una serie di limiti di pignorabilità per ragioni di tutela del debitore: ad esempio, stipendi e salari possono essere pignorati alla fonte entro 1/5 (in generale) o con percentuali minori se il creditore è il Fisco; le pensioni sono parzialmente protette da un minimo vitale (agganciato all’assegno sociale) al di sotto del quale non si può pignorare nulla; e ancora, sussidi di sostentamento, pensioni di invalidità, e altri crediti di natura assistenziale sono assolutamente impignorabili. Per quanto riguarda conti correnti bancari, la legge prevede che, se vi sono depositati importi provenienti da stipendio o pensione, tali somme già accreditate prima del pignoramento siano impignorabili fino a un certo importo (dettagliato più avanti) per garantire al debitore mezzi adeguati di vita. Le somme accreditate dopo il pignoramento, invece, restano pignorabili nei limiti previsti (es: massimo 1/5 ad ogni accredito stipendiale). Al di fuori di queste tutele specifiche, tutti i crediti del debitore verso terzi possono essere aggrediti: nel caso di un conto, il saldo attivo (denaro effettivamente del correntista) rientra nei beni pignorabili, mentre il fido concesso ma non usato no, in quanto non rappresenta (come visto) un credito certo del debitore.
Riforme recenti (2021-2025) – La materia dell’esecuzione forzata (incluso il pignoramento presso terzi) è stata oggetto di modifiche importanti negli ultimi anni. La cosiddetta Riforma Cartabia (D.lgs. 149/2022, in vigore dal 2023) e il successivo decreto correttivo (D.lgs. 162/2024 e 164/2024) hanno introdotto varie novità procedurali: ad esempio, non è più richiesto al creditore di notificare al debitore l’avviso di avvenuta iscrizione a ruolo del pignoramento; sono stati rivisti i termini e le forme delle opposizioni (in alcuni casi ora proposte con ricorso anziché citazione); e sono state implementate modalità telematiche per le comunicazioni. Inoltre, con il D.L. 19/2024 (conv. in L. 56/2024) è stato previsto che il pignoramento presso terzi perda efficacia decorsi 10 anni dalla notifica al terzo, salvo che il creditore manifesti prima di allora la volontà di mantenerlo (tramite apposita dichiarazione di interesse). In assenza di tale rinnovo decennale, il vincolo si scioglie automaticamente e il terzo pignorato è liberato da ogni obbligo dopo 6 mesi. Si tratta di una tutela importante per il debitore, che evita pignoramenti “a tempo indeterminato” e pratiche dormienti: in altre parole, non sarà più possibile per il creditore lasciare il conto bloccato indefinitamente in attesa che vi confluiscano fondi; trascorsi 10 anni senza esito, l’esecuzione si estingue di diritto (salvo rinnovo). Anche i tassi di interesse di mora sul debito sono ora oggetto di sospensione se il creditore ritarda la fase di assegnazione: ad esempio, gli interessi cessano di maturare se l’ordinanza di assegnazione non viene notificata tempestivamente al terzo. Queste innovazioni – vigenti nel 2025 – mirano a rendere il processo esecutivo più celere e a evitare abusi. Nel prosieguo, terremo conto di tali aggiornamenti dove rilevanti.
Sintesi normativa: In breve, per il nostro tema possiamo fissare alcuni punti fermi: (a) il saldo positivo di un conto corrente rientra tra i beni pignorabili del debitore; (b) il saldo negativo (anche derivante da apertura di credito) non costituisce un bene del debitore e non può essere pignorato; (c) il fido bancario non utilizzato è una mera disponibilità revocabile concessa dalla banca, impignorabile in sé (non è un “credito” esigibile del correntista); (d) solo se e quando il conto affidato torna in attivo, quell’attivo diventa aggredibile dal pignoramento in corso; (e) esistono limiti legali per proteggere stipendi e pensioni accreditati sul conto, lasciando al debitore una soglia minima di sopravvivenza; (f) la procedura del pignoramento presso terzi comporta obblighi per la banca (dichiarazione, custodia) e termini da rispettare per il creditore (pena l’inefficacia), con possibilità per il debitore di reagire tramite opposizioni o chiedendo la conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.) depositando una somma sostitutiva; (g) se il creditore è l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, vigono procedure speciali (es. art. 72-bis DPR 602/1973) in parte diverse dall’esecuzione ordinaria, di cui si dirà in seguito. Con questo quadro in mente, passiamo ad esaminare in dettaglio come avviene il pignoramento di un conto corrente e cosa succede quando il conto è affidato.
La procedura di pignoramento del conto corrente (presso terzi)
Vediamo innanzitutto come si svolge, passo per passo, il pignoramento di un conto corrente presso terzi (bancario o postale). Conoscere la procedura aiuta il debitore a orientarsi e a verificare che il creditore abbia agito correttamente (eventuali vizi possono infatti essere fatti valere in sede di opposizione). I passaggi principali sono i seguenti:
1. Titolo esecutivo e precetto: il creditore deve essere munito di un titolo esecutivo valido (es.: sentenza, decreto ingiuntivo definitivo, cambiale o assegno protestato, cartella esattoriale, ecc.) da cui risulti il credito certo, liquido ed esigibile. In base al titolo, notifica al debitore un atto di precetto intimando il pagamento entro un termine (tipicamente 10 giorni) ex art. 480 c.p.c. Trascorso tale termine senza pagamento, il creditore può procedere con l’esecuzione forzata.
2. Notifica dell’atto di pignoramento presso terzi: scelto il conto corrente da pignorare (ad esempio perché noto al creditore, o individuato tramite indagini patrimoniali), il creditore fa notificare dall’ufficiale giudiziario l’atto di pignoramento alla banca (terzo pignorato) e, contestualmente, al debitore. Importante: dal momento della notifica alla banca, scatta il blocco delle somme presenti sul conto (fino a concorrenza del dovuto). L’atto di pignoramento deve indicare, tra l’altro: i dati delle parti, il titolo esecutivo, l’importo precettato (capitale, interessi e spese), il divieto per il terzo di disporre delle cose o somme dovute dal terzo al debitore (art. 543, co.2, c.p.c.), la citazione del debitore a comparire dinanzi al giudice dell’esecuzione alla data fissata, e l’invito al terzo a rendere la dichiarazione circa ciò che deve al debitore. L’atto è redatto in parte dal creditore (avvocato) e in parte dall’ufficiale giudiziario, che appone la formula di intimazione (di non disporre) a debitore e terzo.
3. Blocco delle somme e dichiarazione della banca: una volta ricevuto l’atto, la banca è tenuta a custodire le somme pignorate (cioè bloccare l’importo disponibile fino alla concorrenza del credito indicato, maggiorato 50%). Entro 10 giorni dalla notifica, la banca deve inviare al creditore una dichiarazione contenente: a) quali somme detiene del debitore (saldo del conto) e eventuali vincoli o causali (es. se si tratta di stipendio/pensione); b) eventuali sequestri o cessioni sullo stesso credito già esistenti; c) eventuali altri pignoramenti sul conto. Questa comunicazione può essere fatta via raccomandata o PEC e serve a informare le parti dello stato del credito pignorato (art. 547 c.p.c.). Se la banca non risponde nei 10 giorni, il creditore può chiedere al giudice di fissare un’udienza in cui il terzo verrà esaminato (art. 548 c.p.c.); in mancanza di risposta anche in udienza, il giudice può ritenere non contestata l’esistenza del credito pignorato come indicato dall’atto (specie se il credito è individuato in modo specifico), e procedere all’assegnazione coattiva. In pratica, conviene alle banche rispondere per evitare di essere dichiarate debitrici per “silenzio assenso”.
Nella dichiarazione ex art. 547 c.p.c., la banca indicherà il saldo del conto corrente alla data del pignoramento e la presenza di eventuali accreditamenti successivi. Va notato infatti che il vincolo pignoratizio colpisce non solo le somme esistenti sul conto al momento della notifica, ma anche quelle che vi affluiscono successivamente fino all’ordinanza di assegnazione. La norma (art. 546, co.2 c.p.c.) prevede che se, dopo il pignoramento, arrivano ulteriori somme dovute dal terzo al debitore (es.: bonifici, stipendio mensile, ecc.), anche queste non possono essere disposte in pregiudizio del creditore procedente. Dunque la banca, se ad esempio aveva dichiarato un saldo di 0 ma poi entro l’udienza vengono accreditati 1.000 €, dovrebbe inviare una dichiarazione integrativa segnalando il nuovo saldo e bloccare anche quelle sopravvenienze. In caso contrario, può presentarsi all’udienza e rettificare la dichiarazione precedente. Questo meccanismo garantisce che il creditore possa agganciare anche entrate successive, ma solo nei limiti di quanto serve a soddisfare il credito.
4. Udienza davanti al giudice dell’esecuzione: alla data indicata nell’atto (solitamente qualche settimana dopo la notifica), si tiene l’udienza dinanzi al Giudice dell’Esecuzione (G.E.). In tale sede, il giudice: prende atto della dichiarazione resa dalla banca (se il creditore non l’ha contestata) oppure assume la dichiarazione se la banca compare in udienza, eventualmente acquisendo chiarimenti su somme e vincoli; sente il creditore e l’eventuale debitore comparso; verifica la regolarità degli atti. Se tutto è regolare e la banca dichiara di detenere somme del debitore, il giudice procede all’ordinanza di assegnazione in favore del creditore (art. 553 c.p.c.). L’ordinanza dispone il trasferimento delle somme pignorate al creditore (fino a soddisfo) – tenendo conto di eventuali creditori concorrenti da soddisfare in proporzione – e intima alla banca di pagare tali somme (dopo 10 giorni, salve opposizioni). Se invece la banca ha dichiarato di non avere somme (saldo nullo/negativo) e il creditore non contesta, il giudice prenderà atto dell’assenza di beni pignorabili e il pignoramento verrà chiuso con esito negativo (di fatto, l’esecuzione si estingue per mancanza di utilità). Qualora ci siano contestazioni, ad esempio il creditore ritenga che la dichiarazione della banca sia falsa o incompleta, si instaura un sub-procedimento detto di accertamento dell’obbligo del terzo (art. 549 c.p.c.), con eventuale istruttoria, al fine di determinare esattamente l’esistenza e l’ammontare del credito pignorato. Solo all’esito di tale accertamento il giudice emetterà (se del caso) l’ordinanza di assegnazione.
In pratica, se la dichiarazione del terzo è positiva e non contestata, l’assegnazione al creditore è rapida e può essere disposta già all’udienza (il giudice ordina alla banca di pagare immediatamente o entro 90 giorni se il credito non è ancora esigibile). Se invece la dichiarazione è negativa (conto vuoto/in rosso) oppure ci sono contestazioni, l’esito per il creditore è incerto: in assenza di somme, l’esecuzione va deserta; con contestazione, i tempi si allungano e il creditore dovrà dimostrare che c’erano effettivamente crediti pignorabili.
5. Pagamento e chiusura della procedura: dopo l’ordinanza di assegnazione, la banca esegue il pagamento al creditore dell’importo assegnato, nei limiti delle somme bloccate. Se le somme assegnate coprono interamente il credito, l’esecuzione si chiude positivamente; se invece sono parziali (ad es. conto con saldo insufficiente), il creditore potrà tentare ulteriori esecuzioni per il residuo. Nel caso di esito negativo (conto senza fondi), la procedura viene archiviata per infruttuosità. Il giudice emette un decreto di chiusura e la banca viene liberata da ogni obbligo di custodia. Da quel momento il conto torna libero (sebbene, come vedremo, se era un conto affidato, la banca potrebbe aver già revocato il fido nel frattempo per tutelarsi). Va ricordato che dal 2024, come detto, il pignoramento non può rimanere pendente oltre 10 anni senza esito: quindi anche senza provvedimento esplicito, decorsi dieci anni la procedura si estingue automaticamente (salvo rinnovo). In pratica, però, pochi pignoramenti restano attivi così a lungo, poiché il creditore solitamente rinuncia prima se non ottiene nulla in tempi ragionevoli.
6. Spese di procedura: le spese dell’esecuzione (contributo unificato, notifiche, compenso dell’UNEP, ecc.) di regola gravano sul debitore esecutato. Vengono sommate al credito e recuperate dal creditore se il pignoramento ha successo (spesso il giudice nell’ordinanza di assegnazione liquida anche le spese legali). Se il pignoramento va deserto, il creditore resta di norma col peso delle spese sostenute (che potrà aggiungere al debito in eventuali future azioni). Il debitore non deve pagare nulla in questa fase, se non poi subire il prelievo forzoso delle somme pignorate.
Riassumendo, agli occhi del debitore cosa succede? Appena la banca riceve l’atto, il conto viene bloccato: il debitore non può più effettuare bonifici in uscita, prelievi o disposizioni sulle somme fino all’importo pignorato. Se il saldo era, ad esempio, 5.000 € e il debito è 3.000 €, la banca vincola 3.000 € (più un margine del 50% in alcuni casi) e lascia il resto eventualmente disponibile (spesso però gli istituti bloccano operativamente l’intero conto in attesa di istruzioni, costringendo il debitore a chiedere lo sblocco della parte eccedente al G.E.). Se il conto era cointestato, la banca tende comunque a congelare l’intero saldo, poiché formalmente il pignoramento colpisce il credito indiviso sul conto; il contitolare non debitore potrà eventualmente fare opposizione per la propria quota. In ogni caso, il debitore viene avvisato del pignoramento tramite la notifica dell’atto (che, per legge, l’ufficiale giudiziario deve fargli al più tardi contestualmente alla notifica al terzo). Da quel momento il debitore sa che entro poche settimane ci sarà l’udienza. Se desidera evitare la prosecuzione dell’esecuzione, può pagare volontariamente il dovuto (anche dopo il pignoramento): in tal caso, però, occorrerà che il creditore rinunci agli atti o che la procedura venga dichiarata estinta. Va segnalato che le riforme del 2021-2023 hanno eliminato l’obbligo per il creditore di notificare al debitore l’iscrizione a ruolo; quindi il debitore potrebbe non ricevere ulteriori comunicazioni tra la notifica iniziale e l’udienza, a meno che il creditore non debba contestare qualcosa. Questo impone al debitore di attivarsi in autonomia se intende difendersi (ad esempio presentandosi in udienza per segnalare eventuali irregolarità o chiedere termini per opposizione).
Esempio pratico: Tizio ha un conto corrente presso Banca X con saldo di 2.000 €. Caio, suo creditore munito di decreto ingiuntivo definitivo per 5.000 €, notifica a Banca X e a Tizio un atto di pignoramento il 1° marzo. Al 1° marzo Tizio aveva 2.000 € sul conto. Banca X blocca subito 2.000 € e il 5 marzo invia al creditore (e p.c. a Tizio) la dichiarazione ex art.547 c.p.c., comunicando: “saldo disponibile € 2.000; trattasi di conto non cointestato; sul conto affluisce lo stipendio del debitore”. All’udienza fissata il 30 marzo, il giudice verifica la dichiarazione: Tizio non compare; Caio chiede l’assegnazione. Poiché lo stipendio di Tizio è stato accreditato dopo la notifica (ad esempio il 27 marzo sono arrivati € 1.500 di stipendio di marzo), Banca X – in ossequio all’art. 546 c.p.c. – ha già bloccato anche quel nuovo accredito e il 28 marzo ha inviato una dichiarazione integrativa segnalando che il saldo pignorato è salito a € 3.500. Il G.E., sentito Caio, emette ordinanza assegnando € 3.500 a Caio. Dato che il credito vantato è 5.000, Caio rimane insoddisfatto per € 1.500 (potrà eventualmente pignorare altro, es. lo stipendio di Tizio presso il datore di lavoro, per recuperare il residuo). La banca nei giorni seguenti svincola le somme eccedenti (se ve ne erano) e invia a Caio € 3.500. Per Tizio il conto torna operativo solo per l’eventuale somma residua (ipotizziamo zero, se tutto il saldo era bloccato). Dovrà con tutta probabilità aprire un nuovo conto per ricevere lo stipendio successivo, dato che quello vecchio è stato svuotato.
Conto corrente affidato: saldo negativo e impignorabilità del fido
Veniamo ora al cuore della questione: cosa accade se il conto corrente pignorato è “affidato” e presenta un saldo negativo (o nullo) grazie all’utilizzo del fido bancario. Questa situazione era controversa in passato, ma la giurisprudenza odierna è univoca nel ritenere che il fido non può essere toccato dal pignoramento, e che solo l’eventuale saldo attivo è aggredibile. Analizziamo i principi affermati dalla Corte di Cassazione e le loro conseguenze pratiche.
Innanzitutto occorre comprendere la natura unitaria del rapporto di conto corrente bancario: esso è caratterizzato da un flusso di movimentazioni (entrate e uscite) che producono un saldo unico dato dalla somma algebrica delle poste attive e passive. Se il conto è affidato, le poste passive possono eccedere le attive (saldo negativo) entro il plafond concesso. Ebbene, la Cassazione ha ribadito che il contratto di apertura di credito e il conto corrente non si risolvono con il pignoramento – restano in essere – e che durante l’esecuzione la banca può continuare a permettere utilizzi del fido, aumentando il proprio credito, finché il saldo per il correntista non divenga attivo. Questo comporta che, se al momento della notifica il saldo è negativo, il pignoramento inizialmente è privo di oggetto (nessun credito del correntista). Solo se successivamente arrivano accrediti tali da portare il saldo in positivo, allora nasce un “bene” (denaro del debitore) su cui il vincolo può concretamente agire. In caso contrario, se le nuove entrate servono solo a ridurre lo scoperto ma il saldo non diviene mai positivo in alcun momento, non sorgerà mai un credito pignorabile del cliente verso la banca.
La regola è stata espressa chiaramente da Cassazione Sez. III, sent. n. 36066/2021: “In ipotesi di conto corrente bancario affidato con saldo negativo, il creditore non può pignorare le singole rimesse che, affluite sul conto successivamente al pignoramento, hanno comportato la mera riduzione dello scoperto, ma eventualmente il solo saldo positivo”, poiché il rapporto di conto costituisce un rapporto unitario di dare/avere che non si scioglie per effetto del pignoramento. Ne consegue, prosegue la Corte, che se il conto era scoperto alla notifica: (a) eventuali versamenti successivi che rendano il saldo attivo andranno automaticamente vincolati dal pignoramento, nei limiti dell’attivo, mentre (b) se i versamenti riducono solo parzialmente lo scoperto mantenendo il saldo negativo, nessun credito del cliente viene ad esistenza e dunque nulla è pignorato. Questo principio vale anche se il saldo negativo era dovuto a un affidamento non completamente utilizzato e poi utilizzato dopo il pignoramento: nemmeno in tal caso il creditore può lamentare che le somme “uscite” dopo la notifica fossero a lui dovute, giacché il contratto continua e il cliente poteva ulteriormente utilizzare il fido.
In parole semplici: il fido bancario non è un bene immediatamente disponibile del cliente, ma solo una potenzialità. Non è un “credito liquido ed esigibile” verso la banca e dunque non è pignorabile dai creditori. Lo confermano anche precedenti pronunce: Cass. n. 3975/2009 affermò che “Il fido bancario non è un credito certo, liquido ed esigibile del correntista, e non può essere aggredito dai creditori”. Ugualmente Cass. n. 1584/2018 ribadì che “Nel pignoramento presso terzi, sono pignorabili solo i crediti liquidi ed esigibili del debitore verso il terzo. Non è pignorabile la disponibilità derivante da una concessione di credito (fido) ancora non utilizzato o utilizzato parzialmente”. Pertanto, il margine di fido non utilizzato non rientra mai tra le somme pignorabili: la banca non può essere costretta a mettere a disposizione del creditore procedente la somma affidata al cliente, perché fino a utilizzo essa resta di proprietà della banca (è un credito “futuro ed eventuale” del correntista, condizionato all’uso e alla restituzione).
Corollario importante: il pignoramento di un conto affidato con saldo negativo risulta inizialmente inefficace per difetto di oggetto. La stessa Cass. 36066/2021 sottolinea che in tal caso “il pignoramento del saldo… non si perfeziona affatto”, non essendovi alcun bene del debitore sul quale si sia in concreto costituito il vincolo. Ne discende che la banca può legittimamente continuare a far operare il conto (ad esempio accettare versamenti e consentire prelievi nei limiti del fido) senza che ciò violi il divieto di disposizione ex art. 546 c.p.c., poiché quel divieto riguarda solo “le somme dovute” dal terzo al debitore. Finché il saldo resta negativo, nessuna somma è “dovuta” dalla banca al correntista, anzi è il correntista semmai ad essere debitore della banca. Dunque non c’è oggetto su cui il pignoramento possa produrre effetto. In termini di conflitto tra il creditore procedente e la banca (che continua a recuperare il suo credito man mano che entrano fondi): la Cassazione esclude si ponga un problema di concorso, perché non c’è alcun bene del debitore su cui due creditori concorrano – la banca sta semplicemente recuperando un proprio credito col saldo contabile, mentre il creditore procedente non ha mai avuto un bene pignorato da potersi contendere.
Facciamo un esempio pratico per chiarire: la società Alfa ha un conto affidato presso Banca BETA con saldo –5.000 € (fido utilizzato per 5mila su 10mila concessi). Il creditore Gamma notifica un pignoramento presso BETA per 8.000 €. Al momento della notifica, il saldo è –5.000 € (negativo). BETA dichiarerà “conto con saldo negativo, importo dovuto € 0”. Nei mesi seguenti, Alfa versa sul conto vari crediti di propri clienti per +6.000 €, e contemporaneamente utilizza ancora il fido per –1.000 € (ulteriori prelievi). Il saldo dunque evolve così: parte da –5.000, dopo i versamenti diventa +1.000, poi col prelievo scende a –0 (o –? a seconda dell’ordine temporale). Ci sarà mai un saldo attivo? Dipende: se i 6.000 entrano prima che Alfa prelevi l’ulteriore 1.000, anche solo per un momento il saldo va a +1.000 – in quel momento scatta il vincolo pignoratizio su quell’attivo di 1.000 €, che rimane bloccato per Gamma. Se invece Alfa (o la banca, automaticamente) utilizza subito parte di quei 6.000 per compensare il fido ancora disponibile, può accadere che il saldo non diventi mai realmente positivo (es.: Alfa preleva 1.000 non appena ne ha la facoltà, mantenendo il conto sempre in rosso o a zero). In tal caso, secondo la Cassazione, il creditore Gamma non potrà pretendere nulla, perché non si è mai materializzato un attivo pignorabile. La banca ha potuto incassare i versamenti riducendo il proprio credito (da –5.000 a –?); Gamma resta a mani vuote, e legittimamente, perché il pignoramento non si è mai perfezionato su alcuna somma di Alfa.
Dal punto di vista pratico del debitore con conto affidato, questo scenario implica due cose: (1) se il conto è in rosso e permane tale, il pignoramento andrà con tutta probabilità deserto (esito negativo) perché la banca dichiarerà saldo zero o negativo, e il giudice non potrà assegnare nulla; (2) se dopo la notifica si prevedono entrate sul conto, il debitore potrebbe essere incentivato – se possibile – a mantenere il saldo negativo fino a fine procedura, proprio per impedire al creditore di agganciare attivi. Ciò può avvenire in modo lecito perché, come detto, la banca può permettere ulteriori utilizzi del fido nel frattempo (salvo che contrattualmente disponga diversamente). Va tuttavia fatta attenzione: in molti casi le banche, venute a conoscenza del pignoramento, scelgono unilateralmente di revocare o sospendere l’affidamento concesso al cliente. Infatti, un conto pignorato segnala che il cliente è in difficoltà; la banca, temendo di non rientrare del fido, potrebbe contrattualmente avvalersi di clausole di clausola risolutiva o di garanzia per chiudere l’affidamento e chiedere il rientro immediato di quanto dovuto. Se ciò avviene, paradossalmente il debitore si trova a dover restituire il fido proprio mentre ha il conto bloccato: tipicamente la banca utilizzerà qualsiasi accredito per compensare il suo credito (ormai scaduto) verso il correntista, mantenendo comunque il saldo a zero finché possibile. Da un lato, questo continua a impedire al creditore pignorante di ottenere qualcosa (poiché il saldo non diventa attivo, ogni entrata viene assorbita dalla banca a riduzione del debito del fido); dall’altro, però, lascia il debitore in una situazione debitoria peggiore, dovendo fronteggiare anche il recupero della banca affidante. In pratica, quando un fido bancario viene pignorato, spesso il vero conflitto è tra la banca e il creditore procedente, entrambi creditori del correntista. La giurisprudenza tutela la banca (perché i suoi soldi non diventano del cliente finché c’è scoperto) e in sostanza il creditore procedente non può scavalcare la banca sul suo credito. Per il debitore ciò significa che – a meno di somme ingenti in arrivo – il creditore rimarrà insoddisfatto, ma la banca potrebbe rivalersi più duramente (revocando il fido e chiedendo rientro totale).
Riassumiamo i casi possibili con una tabella riepilogativa sulla pignorabilità del conto affidato:
Situazione del conto al momento del pignoramento | È pignorabile? | Note |
---|---|---|
Conto con saldo attivo (positivo) (anche se affidato) | Sì ✅ | Il saldo disponibile appartiene al correntista ed è un credito immediatamente esigibile per il debitore, quindi vincolabile dal pignoramento. |
Conto con saldo negativo (affidato “in rosso”) | No ❌ | Il conto è scoperto: la banca è creditrice del correntista, dunque non esiste un credito del debitore pignorabile. Il fido non ancora utilizzato non è un bene del debitore. |
Conto con saldo zero (ma fido disponibile non usato) | No ❌ | Non c’è alcuna somma di proprietà del debitore sul conto. La mera disponibilità di fido (importo prelevabile) è un credito futuro e condizionato, impignorabile finché non utilizzato. |
Conto cointestato (di cui il debitore è contitolare) | Parzialmente | La banca blocca l’intero saldo, ma il co-intestatario non debitore può rivendicare la sua quota. In genere si presume che metà saldo spetti a ciascuno e solo la quota del debitore è aggredibile. Servirà un accertamento a meno che l’origine delle somme sia tracciata. |
N.B.: In tutti i casi sopra, se dopo la notifica del pignoramento il conto riceve nuove somme tali da determinare un saldo attivo, questo diviene pignorabile automaticamente (nei limiti dell’attivo) anche se in origine il conto era a zero o negativo. Viceversa, se il conto era negativo e rimane negativo nonostante nuovi versamenti (perché lo scoperto non viene mai completamente colmato), il pignoramento risulterà inefficace e si chiuderà senza assegnazione.
In giurisprudenza di merito si è sottolineato che il saldo negativo preclude qualsiasi possibilità di assegnazione al creditore. Ad esempio, il Tribunale di Milano (ord. 19.03.2020) ha affermato che in caso di conto affidato in rosso, l’esecuzione presso terzi si risolve in un nulla di fatto perché manca un credito da assegnare. D’altro canto, se il debitore volesse fare il furbo cercando di usare il fido per sottrarre somme all’ultimo momento, trova un limite nel fatto che appena il saldo diventa positivo la banca deve congelarlo per il pignoramento, rendendo “inopponibili” al creditore eventuali prelievi successivi che ripristinino il negativo. Significa che se, ad esempio, entra un bonifico di 5.000 € su un conto che era a zero, e subito dopo il cliente preleva 5.000 € mandando il conto a –5.000 (fido), la banca non può evitare di vincolare quei 5.000 € per il pignoramento procedente: la condotta del correntista sarebbe un abuso e il prelievo verrebbe considerato inefficace rispetto al creditore (la banca non dovrebbe autorizzarlo). In sostanza, il debitore affidato non può “scappare” con i soldi una volta che questi si sono concretizzati sul conto dopo il pignoramento, mentre può lecitamente continuare a usare il fido finché ciò non produce un saldo a suo favore.
Profili fiscali del conto affidato pignorato: il fatto che il conto sia affidato non ha di per sé implicazioni fiscali immediate, ma va segnalato che gli interessi passivi sullo scoperto continueranno a maturare (salvo revoca) anche durante il pignoramento. Il debitore imprenditore potrà dedurre tali interessi passivi secondo le regole ordinarie, ma deve stare attento che l’estratto conto pignorato potrebbe non essergli accessibile facilmente nel periodo del blocco. Inoltre, se la banca revoca il fido e la posizione di conto diventa un credito scaduto verso il debitore, la banca potrebbe emettere una segnalazione a sofferenza (rilevante per la Centrale Rischi) con possibili effetti sulla reputazione creditizia del debitore e quindi sui suoi rapporti bancari futuri. Dal punto di vista fiscale, il pignoramento in sé non è un evento tassabile né per il debitore né per il creditore, ma se il debitore è un’azienda dovrà registrare l’uscita delle somme assegnate come adempimento di un debito (senza effetti sul reddito imponibile, trattandosi di pagamento di una passività preesistente). Un aspetto da considerare è che se il creditore è la banca stessa (nel caso in cui la banca intervenisse nell’esecuzione per il proprio credito da fido, scenario raro ma possibile qualora la banca ottenga un titolo autonomo), allora potrebbe configurarsi una compensazione legale di crediti e debiti tra banca e correntista. In tal caso, l’estinzione del debito per compensazione non genera ricavi tassabili per il debitore (è una estinzione per confusione di posizioni). In sintesi, i profili fiscali diretti del pignoramento del conto affidato sono limitati; più rilevanti sono i riflessi gestionali: un imprenditore con conto aziendale pignorato rischia di non poter pagare dipendenti, fornitori, né versare imposte (IVA, ritenute) per mancanza di liquidità, incorrendo in sanzioni. Pertanto, è bene attivarsi subito per minimizzare i danni (ad es., chiedendo una sospensione ai creditori erariali se pendono scadenze fiscali).
Cosa può (e deve) fare il debitore: difese e soluzioni
Dal punto di vista del debitore esecutato, il pignoramento di un conto corrente – ancor più se conto aziendale o su cui accredita il proprio stipendio/pensione – è un evento critico. Vediamo dunque cosa fare in concreto per tutelarsi e ridurre i danni, distinguendo i vari strumenti a disposizione.
1. Verificare regolarità e fondamento del pignoramento: Appena ricevuta la notifica, il debitore dovrebbe innanzitutto controllare se gli atti sono regolari. In particolare: il titolo esecutivo esiste ed è valido? (es.: la sentenza ha la formula, il decreto non è opposto, la cartella non è sgravata, ecc.); il precetto è stato notificato e non sono decorsi più di 90 giorni dalla notifica?; l’importo precettato corrisponde a quanto dovuto (tenendo conto di eventuali pagamenti già fatti)?; l’atto di pignoramento è stato notificato nei modi corretti (ad esempio, se il debitore non l’ha mai ricevuto, potrebbe esservi un vizio di notifica); la competenza territoriale è quella del tribunale del luogo di residenza del debitore (per i pignoramenti mobiliari e presso terzi ciò è richiesto, ex art. 26 c.p.c. – salvo eccezioni per crediti di lavoro)?; sono rispettati eventuali limiti di legge (ad es. non si possono pignorare contemporaneamente stipendio alla fonte e più di 1/5 su conto, ecc.). Se si individuano irregolarità, il debitore può valutare un’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) entro 20 giorni dal momento in cui ha avuto conoscenza dell’atto viziato (spesso la notifica stessa). Ad esempio, se il pignoramento è stato notificato a un indirizzo errato o non c’è stata notifica del precetto, l’opposizione potrà far dichiarare nullo l’atto e far cadere l’esecuzione. Analogamente, se il debito è già stato pagato o rateizzato, o il titolo è caducato, si potrà proporre opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.), anche chiedendo in via d’urgenza la sospensione. Queste opposizioni richiedono però tempi e costi (avvocato, iscrizione a ruolo) e vanno ponderate: conviene usarle quando c’è un vizio sostanziale evidente o una causa di estinzione del debito.
2. Distinguere la natura delle somme sul conto: Il debitore deve poi considerare quali somme sono depositate sul conto pignorato, perché se appartengono a certe categorie protette potrebbe chiedere che vengano esentate dal pignoramento. Ad esempio, se il conto contiene esclusivamente la sua pensione o stipendio degli ultimi mesi, la legge gli garantisce di poter conservare una parte di quelle somme (il minimo vitale). Come visto, l’art. 545 c.p.c. dopo le modifiche del 2022 prevede che le pensioni accreditate siano impignorabili fino all’importo corrispondente a due volte l’assegno sociale mensile (circa € 1.070 nel 2025), con un minimo assoluto di € 1.000. Gli stipendi accreditati prima del pignoramento godono di una soglia di impignorabilità pari al triplo dell’assegno sociale (circa € 1.600) – soglia che tradizionalmente si applica anche alle pensioni su conto, se più favorevole. In pratica, se sul conto al momento del pignoramento c’erano meno di € 1.600 derivanti da retribuzione, nulla di quei soldi doveva essere bloccato dalla banca; se c’era una cifra superiore, solo l’eccedenza oltre € 1.600 è pignorabile. Le somme accreditate successivamente a titolo di stipendio/pensione, invece, sono pignorate direttamente entro il limite di 1/5 ciascuna (o secondo le percentuali ridotte per il Fisco). Pertanto il debitore, se vede che la banca ha congelato più del dovuto (ad esempio l’intero importo comprensivo del “tesoretto” impignorabile), può ricorrere al giudice dell’esecuzione per chiedere lo sblocco parziale. Talvolta le banche applicano automaticamente le soglie (recenti normative lo incentivano: il terzo pignorato è obbligato a consentire al debitore il prelievo del “minimo vitale”), ma in caso di dubbi è bene inviare subito una comunicazione alla banca specificando la natura delle somme (es.: “saldo derivante esclusivamente da accrediti di stipendio/pensione”) e, se serve, presentare un’istanza al giudice.
3. Aprire un nuovo conto e salvaguardare l’operatività: Una mossa quasi obbligata per il debitore – specie se imprenditore o lavoratore – è quella di aprire un altro conto corrente (in altra banca) per proseguire la propria attività finanziaria. Infatti, il conto pignorato rimarrà parzialmente o totalmente inutilizzabile almeno fino all’udienza e al provvedimento del giudice, il che può voler dire 1-3 mesi di blocco (o più, se vi sono rinvii). In questo periodo il debitore avrà bisogno di un conto alternativo su cui farsi accreditare stipendio, pensione, incassi, e da cui pagare le spese correnti. Aprire un nuovo conto è lecito: il pignoramento colpisce solo il rapporto indicato (IBAN specifico) e non impedisce al debitore di aprire altri conti altrove. Bisogna però essere consapevoli che il creditore potrebbe venire a conoscenza del nuovo conto in futuro (ad esempio tramite l’Anagrafe dei conti, a cui i creditori possono accedere su autorizzazione ex art. 492-bis c.p.c.), e potrebbe a sua volta pignorare anche quello. Dunque, questa soluzione va bene per tamponare nell’immediato, ma non risolve il problema del debito complessivo. In ogni caso, per il conto pignorato stesso, se trattasi di conto aziendale con domiciliazioni e pagamenti, è consigliabile informare fornitori e clienti di usare il nuovo conto per evitare che bonifici inviati sul vecchio IBAN vengano bloccati dall’esecuzione. Attenzione: se il vecchio conto era l’unico associato alla partita IVA o all’azienda, il blocco potrebbe generare insolvenze a catena (es. mancato pagamento fornitori causa fondi bloccati). È utile in tal caso informare tempestivamente i partner contrattuali e magari negoziare dilazioni extra contrattuali spiegando la situazione temporanea.
4. Considerare la conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.): Se il debitore ha accesso a liquidità o può reperire una somma pari al debito, un’opzione da valutare è la conversione del pignoramento. Questo istituto permette al debitore di sostituire ai beni pignorati una somma di denaro equivalente al credito pignorato (più spese e interessi), estinguendo così il vincolo sui beni originari. In pratica, presentando un’istanza al G.E. prima dell’ordinanza di vendita/assegnazione e depositando una cauzione iniziale (almeno 1/6 del dovuto), il debitore chiede di poter liberare il conto vincolato pagando l’importo dovuto in forma rateale (fino a 48 mesi) o in unica soluzione. Se il giudice accoglie, viene fissato un piano di pagamento e, una volta versata l’intera somma, il pignoramento si chiude e le somme sul conto vengono sbloccate. La conversione può essere molto utile se, ad esempio, sul conto vi sono fondi importanti che il debitore non vuole perdere (o se il conto serve per l’attività): con la conversione evita l’espropriazione diretta e guadagna tempo per pagare il credito in rate. Va detto però che per attivare la conversione serve comunque disporre subito di quel 1/6 minimo da depositare e in seguito garantire i pagamenti periodici. Inoltre la conversione si può chiedere una sola volta per procedura (se poi il debitore non rispetta il piano, non è ammessa altra conversione). Nel contesto del conto affidato: se il saldo era negativo, la conversione potrebbe sembrare inutile (non c’è nulla da liberare) ma attenzione, può servire ad estinguere l’esecuzione ed evitare che penda per anni. Ad esempio, se un debitore ha una controversia sul debito con il creditore ma intanto vuole togliere il pignoramento sul conto per riottenere fiducia dalla banca, può convertire pagando in sostanza in sede esecutiva e poi eventualmente agire in separato giudizio di merito per ripetere l’indebito. È una scelta estrema ma talvolta ragionevole, specie per aziende che rischiano blocchi operativi: pagare il dovuto (anche se contestato) per togliere il pignoramento e poi discutere la questione altrove. In ogni caso, per importi modesti, la conversione è una via di uscita rapida. Più avanti allegheremo un fac-simile di istanza di conversione per riferimento.
5. Negoziare con il creditore: Un’altra via – che può andare di pari passo con le azioni sopra – è cercare un accordo transattivo con il creditore procedente. Spesso, soprattutto se il pignoramento minaccia di dare poco risultato (es. conto in rosso o con pochi soldi), il creditore potrebbe acconsentire a sospendere o rinunciare alla procedura in cambio di un pagamento parziale e immediato. Il debitore quindi può contattare il legale del creditore, far presente la situazione (es. “il conto è fido, non c’è nulla, volete andare avanti a vuoto?”) e proporre una soluzione: ad esempio, versare una percentuale del dovuto entro breve, oppure offrire un piano di rientro garantito (magari con cambiali o altro). Se il creditore accetta, formalmente dovrà rinunciare agli atti esecutivi (art. 629 c.p.c.) depositando una istanza al giudice, così il pignoramento verrà dichiarato estinto e la banca sbloccherà il conto. Questa trattativa conviene specialmente quando il debitore ha interesse a salvare il rapporto con la banca: ad esempio, se riesce a chiudere l’esecuzione rapidamente, potrebbe convincere la banca a non revocare il fido o a ripristinarlo. Dal punto di vista del creditore, rinunciare all’azione ha senso solo se ottiene soddisfazione in altra forma. Quindi il debitore deve mettere sul piatto qualcosa di credibile. Un elemento di pressione a suo favore è far notare che la legge ora impone la decadenza dopo 10 anni e la sospensione interessi se il creditore ritarda: in sostanza, tenere fermo un pignoramento infruttuoso non conviene al creditore.
6. Interventi su pignoramenti fiscali: Se il creditore è l’Agenzia Entrate-Riscossione, il debitore ha alcune opzioni peculiari. Il pignoramento del Fisco su conto corrente avviene spesso con una procedura amministrativa (art. 72-bis DPR 602/1973) che non coinvolge il tribunale: la notifica è un ordine di pagamento alla banca, che trascorsi 60 giorni trasferisce le somme ad AER. In tali casi, non c’è udienza né giudice dell’esecuzione, quindi le armi processuali (opposizioni) sono più limitate. Il debitore che riceve un preavviso di pignoramento da AER (di solito preceduto dalla “intimazione di pagamento” dopo la cartella) ha 60 giorni per pagare o trovare un accordo. Se possibile, può chiedere una rateizzazione del debito fiscale: se la ottiene prima che scadano i 60 giorni, AER in genere sospende le azioni esecutive (anche il blocco del conto) purché la prima rata sia pagata. Oppure, il debitore può presentare istanza di sospensione per autotutela se ritiene che la cartella sia infondata (ad es. ha presentato ricorso e ha buone ragioni). Va però sottolineato che, a differenza del creditore privato, AER non tratta facilmente riduzioni a saldo e stralcio (se non nei limiti di piani da sovraindebitamento o ad esempio rottamazioni legislative). In ogni caso, con il Fisco è cruciale muoversi rapidamente: se il conto viene pignorato da AER, in assenza di un provvedimento di sospensione, trascorsi 60 giorni la banca deve dare corso al pagamento forzato.
Una differenza rilevante: nelle procedure di AER non si applicano esattamente le stesse soglie di impignorabilità? In realtà, sì e no. AER è tenuta a rispettare i limiti su stipendi e pensioni (1/10, 1/7, 1/5 in base all’importo), e per i conti correnti la prassi è di lasciare il minimo vitale sulle pensioni (1.000 €) come da normative recenti. Quindi, se un pensionato ha sul conto € 1.200 di pensione e subisce un pignoramento fiscale, AER dovrebbe pignorare solo € 200 lasciando intatti i 1.000 € (questo in teoria – in pratica talvolta congelano tutto e poi su istanza liberano la parte). Pertanto il debitore, anche col Fisco, può far valere i propri diritti: ad esempio inviando ad AER una comunicazione con prova che sul conto vi è solo la pensione minima, chiedendo lo sblocco dell’importo impignorabile. Se AER ignorasse tali richieste, si potrebbe ricorrere al giudice dell’esecuzione con un’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. (essendo crediti tributari, la competenza sarebbe del giudice tributario? In materia esecutiva rimane il G.E. civile, secondo alcuni orientamenti, poiché si tratta di fare applicare i limiti di impignorabilità).
7. Coordinarsi con la banca: Un consiglio spesso trascurato ma utile è quello di mantenere aperta la comunicazione con la filiale della banca pignorata. Il direttore di banca potrebbe informare il debitore sulle intenzioni della banca riguardo al fido (se lo lasceranno attivo o se intendono revocarlo) e in alcuni casi potrebbe temporaneamente congelare il fido su richiesta del debitore per evitare che nuovi addebiti lo facciano apparire come comportamento scorretto. Ad esempio, se il debitore non vuole usare il fido durante il pignoramento per questioni di buona fede, può concordare di non fare movimenti. Inoltre, dopo la definizione dell’esecuzione, il debitore può chiedere alla banca di ripristinare l’operatività normale: se il rapporto col creditore si è chiuso, la banca potrebbe essere disposta a rinnovare l’affidamento (magari a condizioni riviste). Chiaramente molto dipende dalla valutazione della banca sul merito creditizio del cliente dopo questo evento: il rischio è che lo segnalino e riducano l’esposizione concessa. Purtroppo il debitore ha qui poco potere contrattuale, ma una comunicazione trasparente (es. “ho risolto col creditore X, il pignoramento è estinto, vorrei continuare a lavorare con voi e recuperare l’affidamento”) può aiutare a limitare danni futuri.
8. Valutare procedure di composizione della crisi: Se il pignoramento del conto è un sintomo di un’indebitamento grave e multiplo (magari altri creditori alle porte), il debitore – specie se privato sovraindebitato o piccolo imprenditore sotto soglia – potrebbe esplorare strumenti come il piano del consumatore o l’accordo di ristrutturazione dei debiti previsti dal Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche). Questi strumenti permettono di bloccare le azioni esecutive in corso (moratoria) e proporre ai creditori un piano di pagamento parziale. In casi estremi, potrebbe esserci l’esdebitazione (cancellazione dei debiti insostenibili). Ovviamente, questa è un’opzione di ultima istanza, ma rientra in ciò che il debitore “può fare” se la situazione economica è compromessa. Ad esempio, l’articolo di avvocaticartellesattoriali menzionava le novità della riforma del sovraindebitamento 2021 che facilitano l’accesso per i soggetti in crisi. Se il conto pignorato era fondamentale per l’attività d’impresa e il suo blocco ha portato al collasso di liquidità, forse è segno che serve un intervento più strutturale sulla posizione debitoria globale.
In conclusione, il debitore di fronte a un pignoramento del conto affidato deve agire su più fronti: legale (opposizioni se opportune, istanze al giudice per liberare somme impignorabili, conversione se possibile), pratico (nuovo conto, comunicazioni, eventuale pagamento per liberare il vecchio conto), e strategico (negoziazioni col creditore, rapporti con la banca, considerazione di procedure concorsuali se necessario). L’obiettivo è limitare il più possibile gli effetti negativi: evitare che il pignoramento prosciughi risorse essenziali (stipendi minimi, fondi per mandare avanti l’attività), e arrivare a una chiusura della procedura nel modo meno oneroso possibile.
Nel prossimo paragrafo affronteremo il caso specifico dei pignoramenti esattoriali e dei profili fiscali in dettaglio, per poi passare a fornire alcuni fac-simile di atti utili e infine una sezione di FAQ – domande e risposte per ricapitolare i dubbi comuni.
Profili fiscali e pignoramento da parte del Fisco (Agenzia Entrate-Riscossione)
Un conto corrente affidato può essere pignorato non solo da creditori privati ma anche dall’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia) per debiti fiscali. In questo caso la procedura e i limiti applicabili presentano alcune differenze rilevanti:
- Procedura speciale (art. 72-bis DPR 602/1973): Il Fisco ha la facoltà di procedere al pignoramento dei crediti del debitore senza passare dal tribunale, tramite una semplice intimazione al terzo. In pratica, AER notifica alla banca un ordine di pagare le somme dovute al debitore, fino a concorrenza del debito fiscale, direttamente all’Erario. Una copia va inviata anche al debitore, ma attenzione: la legge non richiede un’udienza né un titolo giudiziale. Questo significa che il debitore potrebbe trovarsi il conto bloccato immediatamente all’atto della notifica alla banca, e avrà 60 giorni di tempo per pagare il debito (o prendere provvedimenti) prima che la banca trasferisca i fondi al Fisco. Se entro 60 giorni il debitore paga integralmente (o ottiene una sospensione/admin.), la procedura si arresta; altrimenti, scaduto il termine, la banca preleverà le somme disponibili e le girerà ad AER fino a copertura del dovuto.
- Limiti di pignorabilità specifici: L’Agenzia delle Entrate-Riscossione è tenuta a rispettare, in linea generale, i medesimi limiti di legge per stipendi e pensioni. In particolare:
- Per stipendio direttamente presso il datore di lavoro, AER può pignorare al massimo 1/10 se lo stipendio netto è fino a €2.500, 1/7 se tra €2.500 e €5.000, e 1/5 oltre €5.000. Queste percentuali (stabilite dall’art. 72-ter DPR 602/73) prevalgono sul normale 1/5 e sono più favorevoli per i redditi bassi.
- Se invece il Fisco pignora lo stipendio/pensione sul conto corrente, valgono le regole generali dell’art.545 c.p.c.: quindi somme accreditate prima del pignoramento impignorabili fino al triplo dell’assegno sociale (per pensioni, almeno €1.000), e accrediti successivi pignorabili entro i limiti (1/10, 1/7, 1/5 a seconda dell’importo, equiparati allo stipendio). Questo punto può creare confusione: infatti, il combinato di norme porta a ritenere che sul conto si applichi la tutela del minimo vitale (triplo assegno sociale) per pensioni e stipendi pre-pignoramento, mentre i successivi accrediti subiscono la trattenuta progressiva indicata sopra. Ad esempio, per una pensione di €1.200 accreditata prima, AER lascerà €1.000 impignorati e prenderà €200; per pensioni future mensili di €1.200, potrà trattenere 1/10 (essendo sotto €2.500) cioè €120 al mese. Questo garantisce che il pensionato non scenda sotto il minimo.
- Conto affidato in rosso: se il conto è scoperto, anche AER si scontra col problema già analizzato. Formalmente, se la banca dichiara saldo negativo, AER non può prelevare nulla (la sua intimazione colpirà “somme dovute” che sono zero). È plausibile che AER, in tali casi, attenda che sul conto affluiscano nuove somme. Trascorsi i 60 giorni, se non c’è nulla da pignorare, l’ordine resta inefficace. Tuttavia, va ricordato che AER ha altri strumenti: può pignorare direttamente lo stipendio presso il datore o la pensione presso l’INPS, quindi potrebbe non insistere sul conto affidato infruttuoso e agire diversamente.
- Beni impignorabili: AER non può pignorare ciò che la legge dichiara assolutamente impignorabile (es. sussidi di povertà, indennità di accompagnamento). Quindi anche l’Agente della riscossione dovrà rispettare quelle esenzioni (art.545 co.2 e 3 c.p.c.).
- Differenze procedurali: In un pignoramento ordinario, se il creditore viola i limiti (ad es. pignora oltre il quinto, o su pensione minima) il debitore può far valere l’illegittimità in sede di esecuzione (davanti al G.E.). Con AER, essendo procedimento amministrativo, il debitore deve presentare un’istanza di autotutela o eventualmente ricorrere al giudice dell’esecuzione solo per la parte esecutiva. La giurisprudenza in merito ha stabilito che il giudice ordinario è competente a verificare il rispetto dei limiti di pignorabilità anche nelle esecuzioni esattoriali, trattandosi di diritti soggettivi del debitore. Quindi, se AER dovesse ad esempio prendere più del dovuto, il debitore potrà proporre un opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. avanti al Tribunale (in funzione di G.E.) per far dichiarare l’esecuzione illegittima nella parte eccedente. Ciò è raro se AER si attiene alle regole, ma non impossibile.
- Possibili soluzioni per il debitore: Con il Fisco, la strada maestra è pagare o rateizzare. Se il debitore riesce a stipulare un piano di dilazione prima che la banca esegua il trasferimento, AER di solito sospende la procedura (può inviare alla banca una revoca dell’ordine di pagamento). Se il conto era affidato in rosso e quindi di fatto AER non ha riscosso nulla, il debitore può provare a sfruttare la cosa per una transazione: ma a differenza di un privato, AER non accetta transazioni libere, solo quelle previste dalla legge (come saldo e stralcio per persone in difficoltà economica certificata, rottamazione cartelle se aperta, ecc.). In ultima analisi, se l’importo è contestato (magari in attesa di giudizio tributario), il debitore deve valutare se chiedere una sospensiva al giudice tributario: se quest’ultimo concede sospensione dell’atto impugnato (es: cartella), l’AER dovrà interrompere l’esecuzione. Ciò però andava fatto tempestivamente all’atto della notifica della cartella o avviso.
- Esempio: Mario ha un debito IRPEF di €10.000 da cartella esattoriale. Dopo le notifiche di rito, AER gli invia ordine di pignoramento conto. Mario ha un conto corrente affidato con saldo –€500 (fido 1.000) e proprio il giorno della notifica percepisce stipendio €1.500 su quel conto, che va a €1.000 (positivo di 1.000). La banca, ricevuto l’ordine AER, blocca €300: perché? Perché fino a €1.000 (doppio assegno sociale) la pensione/stipendio è salva. Quindi di €1.500 arrivati, €1.200 era pignorabile (oltre il triplo assegno sociale di ~€1.600? qui stipendio quindi la regola sarebbe diversa… facciamo pensione per l’esempio): se fosse pensione €1.500, la parte eccedente €1.000 è €500. Però su quella €500, AER può trattenere 1/10 (150) perché la pensione è <€2.500. Diciamo per semplificare: la banca congela solo il dovuto. Mario decide comunque di rateizzare il debito con AER e paga la prima rata; AER allora comunica alla banca di sbloccare le somme (o Mario mostra la rateizzazione e chiede lo sblocco giudiziale). Morale: Mario mantiene quasi intatto il suo stipendio sul conto grazie ai limiti e alla rateizzazione.
In generale, il pignoramento da parte del Fisco su un conto affidato segue le stesse logiche di quello ordinario per quanto riguarda la non pignorabilità del fido. Se il conto è scoperto, AER non incassa nulla (ma agirà con altri mezzi). Se arrivano soldi sul conto, AER li catturerà entro i limiti di legge. Il punto critico per il debitore è che l’azione di AER è molto rapida e senza udienza: quindi deve essere proattivo nel comunicare e nell’eventuale contrattazione (rate, sospensioni). Dal punto di vista fiscale stretto, invece, non ci sono conseguenze immediate: il pagamento forzoso a AER estingue il debito tributario come se il contribuente avesse pagato volontariamente (gli verrà stornato dal cassetto fiscale). Se la somma prelevata è più del dovuto, verrà eventualmente rimborsata.
Segnalazione contabile: Un aspetto da menzionare: quando una banca dichiara un saldo negativo in una procedura esecutiva, spesso allega che il conto è affidato e specifica l’importo del fido e dell’esposizione. Questo per trasparenza verso il giudice. Ciò non implica che la banca diventi parte formale del processo (non è un creditore intervenuto, rimane terzo pignorato) ma mette nero su bianco la sua posizione di creditore verso il correntista. Questo scenario però non si trasforma in un “concorso” tra banca e creditore procedente, proprio perché la banca, di fatto, ha prelazione assoluta sulle sue somme (come abbiamo visto, se entra denaro prima va a lei fino a chiudere lo scoperto). L’unico caso in cui il creditore procedente potrebbe sovrastare la banca è se il conto torna attivo e la banca prova a compensare con propri crediti. Tuttavia, la giurisprudenza ritiene che una volta notificato il pignoramento, gli atti dispositivi successivi sono inefficaci verso il creditore (art. 2917 c.c.). Se la banca, ad esempio, avesse un altro conto intestato al cliente con saldo attivo e tentasse una compensazione interna per recuperare il fido, tale operazione potrebbe essere contestata dal creditore procedente come lesiva del pignoramento. Sono ipotesi limite, ma indicano che quando entra in gioco il Fisco (o qualunque creditore), la banca deve muoversi con cautela se vuole recuperare il suo credito in conflitto con un’esecuzione in corso.
In conclusione di questo aspetto, possiamo dire che dal punto di vista del debitore l’arrivo di un pignoramento del Fisco sul conto affidato è particolarmente insidioso perché:
- Non c’è preavviso giudiziale: può trovarsi il conto bloccato senza aver modo di difendersi preventivamente davanti a un giudice (bisogna pagare o negoziare direttamente con AER).
- I limiti esistono ma vanno rivendicati tempestivamente: AER li applica, ma in caso di errore la finestra per far correggere è breve.
- Il fido in essere: come con i privati, se il conto è in rosso AER non piglia nulla, ma comunque può portare la banca a revocare l’affidamento per timore, aggravando la posizione del debitore.
Fac-simili di atti utili per il debitore
Di seguito presentiamo alcuni modelli esemplificativi di atti che il debitore potrebbe utilizzare nella gestione della situazione. Si raccomanda sempre di adattarli al caso specifico e possibilmente farsi assistere da un professionista legale, trattandosi di documenti con valore giuridico.
Fac-simile 1: Istanza di conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.) – Questo è il modello di richiesta al giudice dell’esecuzione per sostituire i beni pignorati con una somma di denaro, da utilizzarsi qualora il debitore voglia liberare il conto pignorato offrendo il pagamento dell’importo dovuto. Va depositata nel fascicolo dell’esecuzione prima che il giudice disponga l’assegnazione.
TRIBUNALE ORDINARIO di ______________
Procedura esecutiva R.G.E. n. ______/_____
Istanza di Conversione del Pignoramento ex art. 495 c.p.c.
Il sottoscritto _______________, nato a ________ il __/__/____, C.F. ______________, residente in ____________, via __________ n.__, elettivamente domiciliato in _____________ presso lo studio dell’Avv. ____________ (C.F. ____________, PEC ____________), che lo rappresenta e difende giusta procura in calce all’atto di pignoramento,
– debitore esecutato –
PREMESSO CHE:
1. in data __/__/____, su istanza di ________ (creditore procedente), è stato notificato atto di pignoramento presso terzi avente ad oggetto il conto corrente n. _____ intestato al sottoscritto presso ______ Banca, per un credito di € _______ oltre accessori;
2. tale procedimento esecutivo è iscritto al n. ____/_____ R.G.E. dinanzi a Codesto Tribunale;
3. alla data odierna il G.E. non ha ancora emanato ordinanza di assegnazione e il sottoscritto ha interesse a evitare l’espropriazione delle somme pignorate, offrendo il pagamento della somma dovuta;
4. il sottoscritto non ha presentato in precedenza altre istanze di conversione nella presente procedura;
TUTTO CIÒ PREMESSO, il debitore esecutato come sopra rappresentato
CHIEDE
al Giudice dell’Esecuzione, ai sensi dell’art. 495 c.p.c., di poter sostituire ai beni pignorati una somma di denaro pari all’importo dovuto al creditore procedente (ed eventuali creditori intervenuti), comprensivo di capitale, interessi e spese, depositando detta somma secondo le modalità e nel termine che verranno fissati da Codesto Giudice.
A tal fine si dichiara sin d’ora la disponibilità a versare immediatamente una cauzione non inferiore a un sesto dell’importo del credito pignorato e dei crediti eventualmente intervenuti, e si chiede che il pagamento del residuo venga rateizzato nel numero massimo di rate mensili consentite (ovvero ______ mensilità) stante la situazione economica del debitore.
Si allegano:
– assegno circolare n. ____ di € ______ pari a 1/6 del credito pignorato, quale cauzione ex art. 495 c.p.c.;
– documentazione attestante la difficoltà economica del debitore (es. ISEE, stato di famiglia, ecc.) per giustificare la richiesta di rateizzazione massima.
Luogo, data _____________
Firmato: Avv. ___________ per il Debitore Esecutato ____________
Note: In questo fac-simile si è ipotizzato che il debitore chieda anche la rateizzazione fino a 48 mesi (massimo previsto). Se il debitore vuole pagare in un’unica soluzione, sarà sufficiente omettere la parte sulla rateizzazione e magari indicare che deposita l’intera somma. La cauzione del 1/6 è obbligatoria (pena inammissibilità) e va versata in cancelleria o con assegno circolare intestato alla procedura. Il giudice, ricevuta l’istanza, sospende la distribuzione delle somme pignorate e fissa un termine per depositare il resto (in unica soluzione o in rate). Una volta versato l’intero importo, emetterà decreto di estinzione del pignoramento e svincolo del conto.
Fac-simile 2: Atto di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. (contro pignoramento di conto corrente) – Questo modello è semplificativo di un’azione legale del debitore per far valere l’impignorabilità di certe somme sul conto pignorato. Si supponga il caso in cui sul conto fossero presenti solo somme esenti (es. pensione minima) ma il creditore abbia proceduto lo stesso. L’atto va proposto nelle forme della citazione (se prima o contestuale all’udienza) o del ricorso (se a processo esecutivo già iniziato, secondo riforma 2022). Qui diamo la forma di citazione, ipotizzando un’opposizione proposta prima dell’udienza di assegnazione.
TRIBUNALE ORDINARIO di ______________
Atto di Citazione in Opposizione all’Esecuzione ex art. 615 c.p.c.
Promosso da:
– **TIZIO** (C.F. ________), residente in ________, via _______ n.__, elettivamente domiciliato in ________, via ______ n.__, presso lo studio dell’Avv. ________ (C.F. ________, PEC ________) che lo rappresenta e difende giusta procura in calce,
– attore/opponente –
Contro:
– **CAIO** (C.F. ________), residente in ________ (creditore procedente), domiciliato per la procedura esecutiva presso l’Avv. ________,
– convenuto/opposto –
**Oggetto:** Opposizione all’esecuzione promossa da Caio mediante pignoramento presso terzi notificato il __/__/____ avente ad oggetto il conto corrente n. ___ intestato a Tizio presso _____.
**Fatto e svolgimento dell’esecuzione:**
– Il Sig. Caio ha avviato esecuzione forzata nei confronti di Tizio in base a __________ (indicare titolo: es. Decreto Ingiuntivo n.___/____ del Tribunale di ___) notificando atto di precetto in data __/__/____ per € _____.
– Non avendo Tizio adempiuto, Caio notificava in data __/__/____ atto di pignoramento presso terzi a ______ Banca (terzo pignorato) e a Tizio, per il pignoramento del saldo del conto corrente di Tizio acceso presso tale banca.
– All’udienza fissata per il __/__/____ la Banca ha reso dichiarazione ex art.547 c.p.c. indicando di detenere la somma di € ______ sul conto pignorato.
– Tale somma, tuttavia, è interamente costituita da ________ (es: **pensione sociale** mensile accreditata a Tizio), come da documentazione allegata (es. estratto conto e evidenza accredito pensione INPS di €___ in data __/__/____).
– Pertanto dette somme risultano **impignorabili** ai sensi dell’art. 545, commi 7 e 8 c.p.c., in quanto inferiori alla soglia di impignorabilità (assegno sociale) o comunque di natura pensionistica non aggredibile per intero.
**Diritto:**
– L’esecuzione forzata in oggetto è **illegittima** nella parte in cui colpisce somme che la legge dichiara impignorabili. In particolare, l’art. 545 co.7 c.p.c. prevede che le pensioni possono essere pignorate **solo per la parte eccedente il minimo vitale**, fissato nel doppio dell’assegno sociale (circa €1.000). Nel caso di specie, la pensione mensile di Tizio è pari a €____, importo interamente entro la soglia impignorabile, sicché **non poteva essere oggetto di pignoramento** neppure parzialmente.
– Inoltre il co.8 dell’art.545 c.p.c. dispone che qualora somme a titolo di pensione siano già state accreditate sul conto prima del pignoramento, esse non possano essere pignorate per un importo fino al triplo dell’assegno sociale. Anche sotto tale profilo, i €____ presenti sul conto alla notifica rientrano nel cosiddetto “tesoretto” impignorabile, e pertanto il vincolo è da considerarsi **inefficace** su di essi.
– La giurisprudenza ha più volte affermato che il debitore può agire in opposizione all’esecuzione per far valere la natura impignorabile dei beni aggrediti (Cass. ___/____).
– Nel caso concreto, l’esecuzione promossa da Caio violando i suddetti limiti di legge deve essere dichiarata non procedibile/illegittima.
**Conclusioni:**
Alla luce di tutto quanto esposto, l’opponente Tizio, come sopra rappresentato, chiede che l’Ill.mo Tribunale adito voglia:
1. **Dichiarare** l’impignorabilità delle somme pignorate sul c/c di Tizio presso ___ Banca, in quanto aventi natura di pensione entro i limiti di legge, e per l’effetto **dichiarare inesistente o estinto il diritto di Caio di procedere all’esecuzione forzata** su dette somme;
2. Per l’effetto, disporre la **cessazione della procedura esecutiva** R.G.E. ____/____ avanti al Tribunale di _____ nei confronti di Tizio, limitatamente alle somme pignorate sul predetto conto corrente, ordinando lo **sblocco** immediato delle medesime somme in favore di Tizio;
3. Con vittoria di spese di lite in caso di contestazione.
In via istruttoria, si deposita sin d’ora estratto conto e lettera di attestazione di ____ Banca da cui risulta la natura e provenienza delle somme pignorate, riservandosi ogni ulteriore prova.
Si dichiara che il valore della causa è di € ______ (importo pignorato).
Luogo, data ___________
Avv. ____________ Tizio (opponente)
Commento: Questo atto di citazione va notificato al creditore procedente (Caio) e, per conoscenza, anche al terzo (banca) se si vuole essere certi che sospenda nel frattempo l’assegnazione. Nel contesto del conto affidato, un’opposizione simile potrebbe anche essere proposta se il creditore insistesse per pignorare un conto in rosso sostenendo argomentazioni infondate (ad es. nel caso deciso da Cass. 36066/2021 i creditori pretendevano di conteggiare le rimesse escludendo gli addebiti: in teoria la banca o il debitore avrebbero potuto opporsi per far dichiarare insussistente il credito pignorato). In genere, quando il conto è negativo, basta la dichiarazione del terzo e il pignoramento si chiude, quindi l’opposizione all’esecuzione non serve. Ma se, poniamo, il creditore contesta e vuole portare avanti l’esecuzione su basi errate, il debitore può intervenire e opporsi, facendo valere i principi di legge (fido impignorabile ecc.) anche mediante un atto simile a quello sopra, adattato.
Ricordiamo che l’opposizione ex art.615 c.p.c., se proposta prima della fine dell’esecuzione, non sospende automaticamente la procedura: occorre chiedere al giudice dell’opposizione una sospensione e ottenere un provvedimento ad hoc. Nel nostro fac-simile, Tizio avrebbe potuto includere una richiesta di sospensione urgente (in calce all’atto, ex art. 615 co.2 c.p.c.), evidenziando il periculum (es. pensione unica fonte di sostentamento). Il tribunale fisserà un’udienza per la sospensiva in tempi rapidi. Se concessa, il G.E. esecuzione sarà vincolato a non assegnare finché dura la sospensione.
I modelli sopra forniti – istanza di conversione e atto di opposizione – sono solo esempi indicativi. Nella pratica, ogni caso ha peculiarità che vanno considerate (es. co-intestatari del conto, presenza di più creditori, rapporti con la banca, etc.), quindi è sempre raccomandabile l’assistenza legale specifica.
Passiamo ora alla sezione conclusiva di Domande e Risposte, che riepiloga in forma schematica i quesiti più frequenti sul tema “conto corrente affidato pignorato” dal punto di vista del debitore.
Domande frequenti (FAQ)
Domanda: Possono pignorare un conto corrente che è “in rosso” grazie al fido?
Risposta: No, non possono pignorare un saldo negativo. Il creditore procedente può colpire solo somme positive effettivamente esistenti sul conto, non la mera disponibilità di fido. Se il conto è in rosso (saldo negativo), significa che la banca è creditrice verso il correntista; il pignoramento può riguardare solo i crediti del correntista verso la banca, che in tal caso sono inesistenti. In pratica, il conto in rosso è impignorabile finché resta tale. Sarà pignorabile solo se e quando tornerà in attivo (saldo > 0) e limitatamente a quell’attivo. Anche un conto a saldo zero con fido non utilizzato non può essere pignorato, perché non si pignora una potenzialità di credito non sfruttata.
Domanda: Cosa succede se, dopo il pignoramento, arrivano soldi su un conto affidato che prima era negativo?
Risposta: Se un successivo versamento rende il saldo positivo (ad esempio azzera lo scoperto e crea surplus), quella somma diventa automaticamente vincolata dal pignoramento già notificato. La banca dovrà aggiornare la dichiarazione e bloccare l’importo positivo a favore del creditore. Tuttavia, se il versamento non è sufficiente a portare il saldo in attivo (cioè riduce solo parzialmente lo scoperto), allora non nasce alcun credito pignorabile e i soldi possono essere utilizzati per ripianare il fido senza che il creditore procedente possa reclamarli. In sintesi: il creditore potrà prendere solo l’eventuale eccedenza che fa andare il conto “sopra zero”, mentre tutto ciò che si limita a colmare il buco di fido resta nella sfera banca-correntista.
Domanda: Il fido bancario concesso ma non utilizzato può essere pignorato in sé?
Risposta: Assolutamente no. Il fido non è un credito liquido del debitore, ma una facoltà concessa dalla banca (che può anche revocarla). Finché non viene utilizzato, il correntista non vanta alcuna somma esigibile, quindi non c’è nulla da pignorare. Anche un fido parzialmente utilizzato (conto in rosso) non dà luogo a un credito separato sulle somme non ancora usate: quelle rimangono disponibilità potenziale, non aggredibile dai creditori del correntista. La Cassazione conferma che il fido bancario non è pignorabile proprio perché non rappresenta un bene presente e certo del patrimonio del debitore.
Domanda: Se il conto è cointestato (ad esempio con il coniuge), cosa succede in caso di pignoramento?
Risposta: In caso di conto cointestato, il pignoramento disposto per il debito di uno solo dei cointestatari colpisce comunque tutto il saldo presente sul conto. La banca, infatti, non può autonomamente dividere le quote e blocca l’intero importo disponibile (fino a concorrenza del credito pignorato). Tuttavia, il contitolare non debitore ha diritto di intervenire per far valere la proprietà della sua quota. In mancanza di prove contrarie, la giurisprudenza presume che le quote spettino in parti uguali ai cointestatari (50% e 50%). Quindi tipicamente il giudice dell’esecuzione, su istanza del contitolare estraneo, disporrà che solo la quota del debitore (es. 50%) resti vincolata e l’altra metà sia liberata. Il contitolare può agire con un’opposizione di terzo all’esecuzione (art. 619 c.p.c.) se il creditore insiste nel pignorare anche la sua parte. In definitiva: inizialmente viene congelato tutto, poi la quota-parte di chi non è debitore va restituita; la quota del debitore segue le regole ordinarie. Da notare che se il conto è cointestato a firma disgiunta, la banca non poteva sapere di chi fossero le singole somme, da qui il blocco totale precauzionale.
Domanda: Quanto tempo rimane bloccato il conto?
Risposta: Se il creditore procede con l’esecuzione, il conto resta vincolato almeno fino all’ordinanza di assegnazione del giudice. I tempi variano: può essere 1-3 mesi se tutto fila liscio (nessuna contestazione e udienza ravvicinata), ma possono allungarsi in caso di rinvii o incidenti (anche 6 mesi o più). Se il creditore non fa passi avanti (ad esempio non iscrive a ruolo o non compare in udienza), il vincolo può decadere: secondo la riforma 2021, se l’avviso di iscrizione a ruolo non è notificato e il creditore non compare, gli obblighi del terzo cessano alla data dell’udienza fissata nell’atto. Inoltre, come detto, la legge ora pone un tetto massimo di 10 anni alla pendenza del pignoramento. In pratica però, per un singolo conto, se il creditore non ottiene nulla e non insiste, il giudice dichiara l’inefficacia del pignoramento già all’udienza o poco dopo, e la banca sblocca i fondi (se ce n’erano) immediatamente su ordine del giudice. Dunque, se il conto era vuoto/in rosso, potrebbe essere liberato anche in un paio di mesi (tempo dell’udienza). Se c’erano soldi e vengono assegnati, il blocco dura fino al pagamento al creditore (poco dopo l’ordinanza, in genere). In caso di opposizioni legali (sospensive, ecc.), il blocco può prolungarsi fino alla decisione su di esse.
Domanda: Cosa può fare il debitore se il pignoramento riguarda lo stipendio o la pensione sul conto?
Risposta: Deve far valere i limiti di impignorabilità stabiliti dalla legge. In particolare:
- Se sul conto c’erano somme da stipendio/pensione già accreditate prima del pignoramento, il debitore ha diritto a mantenere un importo pari al triplo dell’assegno sociale (circa €1.600, con minimo €1.000 per pensioni). Solo l’eventuale eccedenza va ai creditori. Quindi, ad esempio, se c’erano €2.000 di pensione, €1.000 restano al debitore e €1.000 sono pignorabili.
- Se sul conto arrivano accrediti dopo il pignoramento (stipendi/pensioni successive), di regola la banca li blocca entro il limite di 1/5 ciascuno (per creditori ordinari) oppure secondo le percentuali di legge (1/10, 1/7, 1/5 per AER). Il debitore però può chiedere al giudice che queste somme siano svincolate se servono a mantenere lui e famiglia: spesso non c’è margine perché la legge stessa ha calibrato il quinto come equo, ma in situazioni eccezionali (grave indigenza) si può tentare un’istanza di riduzione.
- In pratica, il debitore deve comunicare subito alla banca la natura di stipendio/pensione delle somme e, se necessario, presentare un’istanza al G.E. perché autorizzi lo sblocco del “minimo vitale” (qualora la banca non l’avesse già fatto). Allegare estratti conto e documenti INPS/ datore per provare che quei crediti sono da lavoro o quiescenza.
- Se il giudice tarda, almeno il debitore può prelevare mensilmente dal conto pignorato l’importo del minimo vitale: infatti la norma consente al terzo di lasciargli prelevare quell’importo per le esigenze di vita.
In sintesi: il debitore deve essere proattivo nel proteggere le sue entrate da lavoro. Se qualcosa è stato pignorato oltre i limiti (errore della banca o del creditore), agire con opposizione agli atti esecutivi per farlo dichiarare illegittimo.
Domanda: Dopo un pignoramento andato a vuoto su un conto affidato, la banca può chiedermi di rientrare del fido?
Risposta: Sì, è possibile. Il pignoramento in sé non estingue il contratto di fido, ma molte condizioni contrattuali bancarie prevedono che se il cliente subisce protesti, pignoramenti o altre azioni esecutive, ciò costituisce motivo di revoca dell’affidamento (la banca può considerarlo un inadempimento o un deterioramento della fiducia creditizia). Dunque, anche se il pignoramento è risultato infruttuoso, la banca potrebbe revocare l’apertura di credito e richiedere immediato rientro. In pratica, il cliente rischia di perdere il fido in ogni caso, a meno che non convinca la banca a mantenerlo (magari dimostrando di aver risolto col creditore procedente). Se la banca revoca, il saldo diventa un debito scaduto verso la banca: eventuali futuri versamenti sul conto verranno trattenuti interamente dalla banca per compensazione. Ciò non avviene automaticamente per legge, ma è una scelta commerciale/contrattuale della banca. Il debitore può solo cercare di negoziare con la banca (ad esempio offrendo garanzie aggiuntive, o chiedendo una dilazione nel rientro). In definitiva: anche se il pignoramento non ha toccato i soldi (perché non ce n’erano), può avere l’effetto collaterale di far perdere il fido. Da qui l’importanza, per imprenditori e professionisti, di intervenire tempestivamente e magari convertire il pignoramento o pagare il creditore per togliere il vincolo e rassicurare la banca.
Domanda: Posso aprire un altro conto corrente durante il pignoramento?
Risposta: Sì, nulla lo vieta. Il debitore è libero di aprire nuovi conti presso altre banche (o anche nella stessa, se glielo consentono) e spostare lì le nuove entrate. Il pignoramento colpisce uno specifico rapporto (conto X presso banca Y). Aprendo un conto Z presso banca W, quel nuovo conto non è toccato dal pignoramento in corso. Attenzione però: il creditore potrebbe scoprirlo e notificare un nuovo pignoramento su di esso. I creditori diligenti infatti spesso effettuano ricerche telematiche (Anagrafe rapporti finanziari) e, se individuano altri conti, li pignorano a loro volta. Dunque l’apertura di un nuovo conto serve per continuare l’operatività nel breve periodo, ma non garantisce immunità a lungo termine. È comunque una mossa necessaria per percepire lo stipendio/pensione del mese successivo e fare pagamenti urgenti. Si consiglia di evitare di tenere grandi giacenze sul nuovo conto se si ha il timore di ulteriori azioni, e magari preferire strumenti come carte prepagate con IBAN o conti intestati a terzi fidati solo per le spese quotidiane. Ovviamente quest’ultima soluzione (intestare soldi a terzi) può esporre a contestazioni di violazione del patrimonio destinato ai creditori se fatta in frode, ma per somme modeste di solito non comporta problemi. L’importante è non operare in contanti e non rimanere senza conto: quindi sì, aprire un altro conto è lecito e opportuno.
Domanda: Come si chiude formalmente un pignoramento su conto affidato che è risultato negativo?
Risposta: Se all’udienza il giudice rileva che non c’è nulla da assegnare (saldo negativo o zero dichiarato dalla banca), generalmente dichiara il pignoramento inesistente nei beni o estinto per mancanza di oggetto. Può mettere a verbale che “non si dà luogo ad assegnazione per inesistenza di crediti del debitore presso il terzo” e disporre l’esonero del terzo da ulteriori obblighi. In alcuni casi, i giudici emettono un breve decreto di chiusura in cui prendono atto dell’esito negativo. La banca, ricevuto il verbale o l’ordinanza, provvede a scongelare il conto (anche se era in realtà già libero di per sé, il provvedimento formale la tutela da eventuali reclami). Se il creditore non è comparso, oppure se non ha iscritto a ruolo la procedura, il giudice può dichiarare l’inefficacia del pignoramento per inattività del creditore. Ad esempio, dal 2025, se il creditore notifica il pignoramento ma poi non iscrive la procedura a ruolo entro 15 giorni dalla consegna dell’atto da parte dell’UNEP (nuovo art. 543 modificato), il pignoramento perde efficacia automaticamente. In pratica, la banca può sciogliere il blocco alla data dell’udienza indicata nell’atto, come detto sopra, in mancanza di notizie dal creditore. Formalmente, trascorsi alcuni mesi, anche senza istanza, la procedura viene cancellata dai ruoli esecuzioni per decorso del termine decennale (ma appunto 10 anni è solo il limite massimo, di solito avviene molto prima per inattività conclamata).
Domanda: Il creditore può pignorare di nuovo lo stesso conto in futuro?
Risposta: Sì, non c’è un divieto assoluto. Se una prima esecuzione è andata deserta perché il conto era negativo, il creditore può sperare che in futuro il debitore rifinanzi quel conto e quindi può tentare un secondo pignoramento più avanti. Tuttavia, per evitare abusi, la legge prevede che decorso un certo periodo il pignoramento inefficace decade (come detto, massimo 10 anni). Il creditore potrebbe quindi notificare un nuovo atto dopo qualche mese se ritiene che la situazione sia cambiata (ad esempio se viene a sapere che sul conto è affluito denaro). Di solito, però, i creditori preferiscono, a quel punto, pignorare altre cose (lo stipendio presso il datore, l’auto, etc.) anziché insistere sullo stesso conto vuoto. È bene sapere che se un pignoramento è terminato, nulla impedisce di rifarlo: l’unico limite è che non si può tenere aperto un pignoramento all’infinito sperando che magicamente compaiano soldi. Se chiuso, se ne può attivare un altro ex novo su eventuali nuove disponibilità.
Domanda: Ho subito il pignoramento sul conto per debiti fiscali (Agenzia Entrate). Possono prendermi tutto quello che ho sul conto?
Risposta: No, anche l’Agenzia delle Entrate-Riscossione deve rispettare certi limiti. Sul conto, come visto, vale il principio che stipendi e pensioni già accreditati sono intoccabili fino a un certo importo (tre volte l’assegno sociale). Se hai somme da pensione entro €1.000/1.600, non dovrebbero toccarle. Se hai altre somme (risparmi personali non da lavoro), AER può pignorarle tutte fino a copertura del debito. Se però quelle somme derivano ad esempio dalla vendita della prima casa o da indennità particolari, potrebbero godere di altre tutele (ci sono beni totalmente impignorabili: es. indennità di accompagnamento, che però di solito non stazionano sul conto a lungo). L’Agente della Riscossione inoltre, per prassi interna, pare lasci sempre almeno €1.000 sul conto (anche se fossero risparmi non da pensione), ma questo non è un obbligo di legge generale – lo è per pensioni, mentre per altre disponibilità tecnicamente potrebbe prendere tutto. Diciamo che, a differenza del creditore privato che deve passare per il giudice, AER è più automatico: se sul conto vede €10.000 e il debito è €8.000, ordina di prendersi €8.000. Sarà il debitore eventualmente a reclamare se quei €8.000 avevano natura protetta. Quindi in concreto: non ti prendono proprio tutto, almeno il minimo vitale di €1.000 sulla pensione te lo lasciano; se il tuo conto è uno strumento su cui transitano solo stipendi/pensioni modesti, sei piuttosto al sicuro per la parte essenziale. Ma se avevi giacenza alta (es. risparmi accumulati) possono aggredirla quasi integralmente (salvo la riserva €1.000 se applicano quella regola). Ricorda però che AER agisce senza giudice, quindi se pensi abbiano violato i limiti devi tu attivarti (con un’istanza di rimborso o con opposizione al G.E.).
Domanda: Se il mio conto affidato va in rosso a causa di interessi e spese bancarie durante il blocco, il creditore può accusarmi di averlo fatto apposta?
Risposta: No, se il conto è rimasto negativo o è divenuto negativo per addebiti ordinari (interessi passivi, spese di tenuta conto, rate di mutuo addebitate) ciò rientra nella normale gestione e non costituisce di per sé un atto in frode. Il creditore potrebbe lamentarsi solo se il debitore, dopo la notifica, ha dolosamente sottratto somme in pregiudizio del pignoramento – ad esempio prelevando tutti i soldi prima che la banca li vincolasse, oppure di concerto con la banca eseguendo movimenti anomali. Ma in un conto affidato, come abbiamo spiegato, le uscite ulteriori mantengono il saldo negativo e non violano il vincolo (perché il vincolo non c’è finché non c’è saldo positivo). La Cassazione ha infatti sancito che neppure gli utilizzi successivi del fido possono considerarsi “inopponibili” al creditore, se il saldo resta negativo. Quindi il creditore non può legittimamente accusare il debitore di aver mantenuto il conto scoperto: è un suo diritto usare il fido disponibile. Discorso diverso sarebbe se, ad esempio, il giorno prima del pignoramento il debitore avesse di proposito prosciugato il conto portando via contante o trasferendo a terzi: quelli sono atti anteriori che potrebbero configurare profili di revocabilità o addirittura penali (se fatti con dolo specifico di frode ai creditori). Ma se al momento della notifica era negativo e negativo rimane per via di addebiti contrattuali, nessuna colpa.
Domanda: In definitiva, come mi conviene muovermi se vengo a sapere che il mio conto (affidato) è stato pignorato?
Risposta: Riassumiamo un possibile checklist dal punto di vista del debitore:
- Capire la situazione del conto: saldo, natura delle somme, intestazione (solo tuo o cointestato), fido utilizzato e residuo. Questo determina se il creditore prenderà qualcosa o no.
- Se il conto era in rosso o vuoto: probabilmente il creditore non otterrà niente. Puoi decidere se lasciarlo così (nessuna azione, attendi che la procedura si estingua da sola) oppure usare comunque strategie difensive (es. opposizione per far chiudere subito). In genere, se sei sicuro che non arriveranno fondi sul conto, può bastare aspettare l’udienza: la banca dichiarerà saldo nullo, il giudice chiuderà la pratica.
- Se il conto aveva soldi o ne attendi a breve: attivati immediatamente per preservare le somme essenziali. Se sono stipendi/pensioni, comunica alla banca e prepara documenti per rivendicare il minimo vitale. Se sono soldi aziendali necessari per pagare stipendi/tasse, valuta conversione del pignoramento o accordo col creditore per sbloccarli. In ogni caso, non fare movimenti dal conto pignorato senza autorizzazione: rischi denunce (anche se teoricamente non potevi comunque perché la banca blocca).
- Apri un altro conto per la nuova operatività quotidiana. Sposta l’accredito di stipendio futuro su altro IBAN (parlane con il datore/INPS). Idem per domiciliazioni di bollette, ecc., perché sul conto pignorato risulteranno bloccate.
- Consultare un legale se ci sono aspetti complessi: ad esempio, se vuoi fare opposizione, o se il creditore è particolarmente aggressivo, o se temi il coinvolgimento di garanzie (fido spesso ha garanzie personali o reali, occhio se hai un garante perché la banca dopo il pignoramento potrebbe rivalersi sul garante per il rientro).
- Negozia, se possibile: contatta il creditore, attraverso il suo avvocato, proponendo soluzioni. Magari offri un pagamento parziale immediato in cambio di rinuncia al pignoramento. Questo può risparmiarti spese ulteriori e magari salvare il rapporto con la banca.
- Segui la procedura: tieni d’occhio la data di udienza indicata nell’atto di pignoramento. Puoi presentarti (con o senza avvocato) per dichiarare eventuali fatti (es. che sul conto c’erano solo somme impignorabili) – spesso il giudice ti ascolta se sei presente. Se hai fatto opposizione e pendi la sospensiva, informa il G.E.
- Dopo la chiusura: assicurati che la banca abbia effettivamente sbloccato il conto. Se il fido è ancora attivo e vuoi continuare ad usarlo, parla con la banca per chiarire le condizioni future. Se il fido è revocato, cerca di negoziare un piano di rientro per evitare azioni della banca (che altrimenti potrebbe anch’essa pignorare altri tuoi beni).
- Prevenzione: Infine, a valle di questa esperienza, valuta come evitare che si ripeta. Se il debito originario è risolto, bene. Se hai altri debiti in giro, considera accantonare le entrate su strumenti relativamente protetti (ricordando però che alla fine quasi tutto è pignorabile, tranne assegni sociali, pensioni di invalidità, etc.). Ad esempio, a volte si consiglia di versare lo stipendio su conto intestato al coniuge non debitore – soluzione non blindata al 100% ma che crea un passaggio in più per il creditore (dovrebbe provare che è un tuo mezzo per eludere). Occhio però a non fare trasferimenti fraudolenti, perché se esageri rischi l’azione revocatoria o penale.
Con queste indicazioni, il debitore informato può affrontare in modo più consapevole una procedura di pignoramento su conto corrente affidato, limitandone gli effetti e tutelando i propri diritti nei confronti sia del creditore sia dell’istituto bancario.
Fonti e riferimenti
- Codice Civile: artt. 1823-1852 (conto corrente bancario e apertura di credito).
- Codice di Procedura Civile: artt. 491-497 (disposizioni generali sull’esecuzione mobiliare), 543-554 (pignoramento presso terzi, dichiarazione del terzo, assegnazione), 545 (limiti di pignorabilità di stipendi e pensioni), 615 e 617 (opposizioni all’esecuzione e agli atti), 619 (opposizione di terzo), 388-bis c.p. (reato di mancata custodia di cose pignorate).
- Cass. Civ., Sez. III, 23/11/2021, n. 36066: ha sancito l’impignorabilità del fido non utilizzato e delle rimesse destinate a ridurre lo scoperto.
- Cass. Civ., Sez. III, 30/03/2015, n. 6393: precursore dei principi sui conti affidati (rapporto unitario dare-avere).
- Cass. Civ., Sez. III, 20/05/2020, n. 9250: conferma della pignorabilità solo del saldo attivo (fattispecie di conto con affidamento).
- Cass. Civ., Sez. III, 05/02/2018, n. 1584: massima: “pignorabili solo i crediti liquidi ed esigibili; non la disponibilità da fido non utilizzato”.
- Cass. Civ., Sez. III, 19/02/2009, n. 3975: “il fido bancario non è un credito certo… non può essere aggredito”.
- Tribunale di Milano, ordinanza 19/03/2020: saldo negativo su conto affidato preclude qualsiasi assegnazione al creditore.
- D.L. 9/2023 (conv. L. 29/4/2024 n. 56): ha introdotto l’art. 543 co.4 c.p.c. con decadenza pignoramento dopo 10 anni senza rinnovo; modifiche sul versamento aggiuntivo degli interessi e avviso iscrizione a ruolo.
- D.L. 9/8/2022 n. 115 “Aiuti-bis” (conv. L.142/2022): ha innalzato la soglia di impignorabilità delle pensioni a 2x assegno sociale con minimo €1.000.
- DPR 602/1973, art. 72-bis e 72-ter: disciplina pignoramento esattoriale presso terzi e limiti (1/10, 1/7, 1/5) per stipendi da Fisco.
Ti hanno pignorato un conto corrente affidato? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Se hai subito il pignoramento di un conto corrente affidato (con fido bancario attivo), ti trovi in una situazione delicata: la banca ha concesso una disponibilità extra rispetto al saldo effettivo, ma ora il creditore ha agito sul conto in negativo.
Cosa succede in questi casi? È legittimo pignorare un conto affidato?
La risposta non è scontata, e ci sono strumenti legali per tutelarti, limitare i danni e difendere il tuo saldo.
Cosa significa pignorare un conto affidato?
Il conto corrente affidato è quello su cui la banca concede un fido o scoperto autorizzato: puoi andare in negativo fino a un certo limite.
Quando il creditore notifica un pignoramento alla banca, questa deve bloccare le somme disponibili nei limiti del saldo attivo al momento della notifica.
📉 Ma se il conto è già a debito o sotto fido, non c’è una disponibilità reale da bloccare.
🔍 In molti casi, il pignoramento di un conto affidato non produce effetto immediato, oppure può essere contestato se il saldo era negativo.
È legittimo il pignoramento su un conto in rosso?
Dipende da vari fattori:
- Se il conto era sotto il limite del fido ma in negativo, non c’era saldo disponibile da pignorare
- Se c’era un saldo attivo anche minimo, la banca può bloccare solo quella parte
- Il creditore non può obbligare la banca ad anticipare somme in base al fido concesso
- Se la banca blocca fondi sopra il saldo reale, potresti avere diritto a contestare
⚠️ Il rischio è che la banca, per prudenza, blocchi più del dovuto o rifiuti l’uso del fido residuo, danneggiando l’attività o la gestione dei pagamenti.
Cosa puoi fare per difenderti?
Hai a disposizione diversi strumenti legali:
- ⚖️ Opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi, se il pignoramento è illegittimo o sproporzionato
- 🧾 Richiesta di chiarimenti e rendiconto alla banca
- ✍️ Istanza al giudice dell’esecuzione per sbloccare somme non pignorabili
- 🔁 Rinegoziazione del fido bancario o apertura di nuovo conto operativo
- 🛡️ Valutazione di una procedura di composizione della crisi o sovraindebitamento
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📂 Verifica la legittimità del pignoramento notificato sul tuo conto affidato
📑 Analizza il contratto di apertura di credito e le comunicazioni bancarie
⚖️ Presenta ricorsi urgenti per sbloccare somme pignorate indebitamente
✍️ Ti difende in giudizio da esecuzioni aggressive e atti illegittimi
🔁 Ti assiste nella ristrutturazione del debito o nella richiesta di esdebitazione
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in esecuzioni mobiliari e pignoramenti bancari
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Difensore di imprenditori, professionisti e privati
Conclusione
Il pignoramento di un conto corrente affidato non è sempre legittimo.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi verificare se è stato superato il saldo disponibile, impugnare l’atto e difendere la tua liquidità.
📞 Richiedi ora una consulenza riservata per valutare il tuo conto affidato e bloccare eventuali pignoramenti irregolari.