Hai sottoscritto un contratto di leasing e ti stai accorgendo solo ora che le condizioni erano sbilanciate, i costi eccessivi o le clausole poco chiare? Ti chiedi se quel contratto è regolare, se puoi contestarlo e soprattutto come dimostrarne l’illegittimità?
Molti contratti di leasing – soprattutto quelli redatti anni fa – contengono clausole abusive, interessi mascherati, maxi-canoni sproporzionati o addirittura usura. Ma senza una verifica tecnica e legale approfondita, è impossibile opporsi con efficacia.
Quando un contratto di leasing è irregolare o illegittimo?
– Quando contiene clausole vessatorie o squilibrate a favore della società di leasing
– Se applica interessi anatocistici o tassi usurari, violando i limiti di legge
– Se prevede penali e maxi-canoni finali sproporzionati rispetto al valore del bene
– Quando non sono stati chiaramente indicati i costi complessivi del finanziamento
– Se è stato utilizzato per mascherare un contratto di finanziamento, senza le tutele previste
Come puoi dimostrare che un contratto di leasing è irregolare?
– Attraverso una perizia tecnica sul contratto e sull’andamento del rapporto
– Confrontando le clausole con i limiti imposti dalla legge e dalla giurisprudenza
– Analizzando i tassi di interesse effettivi (TAEG) e le spese applicate
– Verificando la correttezza dei piani di ammortamento e dei conteggi finali
– Con l’assistenza di un avvocato, che sappia come impugnare gli aspetti illegittimi
Quando è utile contestare un contratto di leasing?
– Se ti è arrivata una richiesta di saldo finale esagerata o ingiustificata
– Quando vuoi opporti a un decreto ingiuntivo o a un pignoramento della società di leasing
– Se stai valutando di chiudere anticipatamente il leasing ma ti chiedono cifre insostenibili
– Se l’attività è in crisi e vuoi rinegoziare i termini o ridurre i debiti
Cosa puoi ottenere se riesci a dimostrare l’irregolarità?
– La riduzione del debito complessivo, anche tramite ricalcolo degli interessi
– L’annullamento di clausole nulle o contrarie alla legge
– La possibilità di ottenere un risarcimento o la restituzione delle somme versate in eccesso
– Una leva forte per rinegoziare o chiudere il rapporto in saldo e stralcio
Cosa NON devi fare mai?
– Pagare senza controllare se l’importo è corretto
– Accettare condizioni capestro alla chiusura del contratto
– Pensare che, avendo firmato, non puoi più fare nulla
– Lasciare passare il tempo: la prescrizione può impedirti di agire
Un contratto di leasing irregolare può essere contestato. Ma devi dimostrarlo con numeri e diritto.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso bancario e leasing – ti spiega quando un contratto di leasing è irregolare, come puoi dimostrarlo e cosa puoi ottenere se agisci nei modi e nei tempi giusti.
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Introduzione
Il contratto di leasing finanziario (o locazione finanziaria) è una forma di finanziamento in cui un soggetto (concedente, tipicamente una società finanziaria o banca) acquista un bene su indicazione di un cliente (utilizzatore) e glielo concede in uso dietro pagamento di canoni periodici, con facoltà per l’utilizzatore di acquistare la proprietà del bene alla scadenza mediante il pagamento di un prezzo prefissato (riscatto). Si tratta di uno schema contrattuale che unisce elementi della locazione (uso temporaneo del bene dietro corrispettivo, ex art. 1571 c.c.) e della vendita con riserva di proprietà (trasferimento differito della proprietà subordinato al pagamento integrale del prezzo, ex art. 1523 c.c.). Fino a pochi anni fa il leasing finanziario era considerato un contratto atipico, disciplinato solo da prassi contrattuali e giurisprudenza; tuttavia, con la riforma introdotta dalla Legge n. 124/2017 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza), il leasing finanziario ha ottenuto riconoscimento legislativo espresso, divenendo un contratto tipico con una disciplina di riferimento. La nuova normativa ha definito i contorni essenziali del leasing finanziario e, soprattutto, ha dettato regole specifiche in caso di inadempimento dell’utilizzatore e risoluzione del contratto – un ambito in precedenza regolato principalmente dai contratti stessi e dall’interpretazione giurisprudenziale.
Dal punto di vista del debitore (utilizzatore), il leasing finanziario è spesso utilizzato per l’acquisizione di beni strumentali (macchinari, veicoli, immobili, etc.) senza dover sostenere l’immediato esborso dell’intero prezzo. Tuttavia, la complessità di questi contratti e l’imposizione di canoni e interessi possono celare clausole vessatorie, oneri occulti o profili di illegittimità, che talora sfociano in costi eccessivi per l’utilizzatore. In certi casi, un contratto di leasing può risultare irregolare o illegittimo, ad esempio quando contiene condizioni contrarie alla legge (come tassi d’interesse usurari) o clausole nulle (per indeterminatezza dell’oggetto, anatocismo, violazione di norme imperative, etc.). Obiettivo di questa guida aggiornata a giugno 2025 è illustrare, con un taglio tecnico ma accessibile, quali sono le principali irregolarità nel contratto di leasing e come il debitore può dimostrarle e farle valere in sede legale. Verranno esaminati i vari tipi di leasing e le loro peculiarità, i profili normativi rilevanti (civilistici, bancari e fiscali), le clausole critiche (interessi, indicizzazioni, penali) e le pronunce giurisprudenziali più recenti, con un focus sulle tutele a disposizione dell’utilizzatore (ad esempio la nullità di clausole abusive, la ricalcolazione dei tassi o la restituzione di interessi illegittimi). Saranno inoltre proposte tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di Domande & Risposte frequenti, per facilitare la comprensione e l’applicazione concreta dei concetti esposti.
Tipologie di leasing e caratteristiche essenziali
Prima di approfondire le irregolarità, è utile inquadrare le principali tipologie di leasing esistenti nell’ordinamento italiano, poiché alcune differenze possono incidere sulle tutele del debitore:
- Leasing finanziario: è la forma più comune. Il concedente acquista il bene scelto dall’utilizzatore e glielo concede in godimento a fronte di canoni periodici; al termine, l’utilizzatore può esercitare un’opzione di acquisto pagando il prezzo di riscatto prefissato. Ha una causa di finanziamento: il leasing finanziario consente di dilazionare il pagamento del bene nel tempo. Spesso il primo canone è più elevato (maxicanone) e i successivi a cadenza mensile o trimestrale.
- Leasing operativo: differisce dal finanziario in quanto di solito il concedente è il produttore o fornitore del bene stesso (non una banca) e concede il bene in uso per un periodo più breve rispetto alla vita economica del bene, offrendo anche servizi accessori (manutenzione, assistenza). Non sempre è previsto il riscatto finale (è più simile a un noleggio a lungo termine). La causa prevalente è di godimento del bene più che di finanziamento. In caso di risoluzione anticipata, tipicamente non c’è restituzione di canoni già pagati (analogamente a una locazione tradizionale).
- Leasing “traslativo” vs “di godimento”: Questa distinzione è stata elaborata dalla giurisprudenza prima della riforma 2017. Si parla di leasing traslativo quando il bene, alla fine del contratto, mantiene un valore residuo sensibilmente superiore al prezzo di riscatto: ciò rivela che l’intento delle parti è il trasferimento della proprietà a fine contratto a condizioni vantaggiose, e dunque il leasing funge da acquisto rateale mascherato. Nel leasing di godimento, invece, il bene tende a esaurire il proprio valore economico durante la locazione (es. beni ad alta obsolescenza) e il riscatto è opzionale e a valore di mercato: in tal caso prevale la funzione di mero godimento temporaneo. Questa distinzione rilevava soprattutto nella disciplina della risoluzione: nel leasing traslativo in caso di inadempimento si applicava in via analogica l’art. 1526 c.c. (norma sulla vendita con riserva di proprietà, che prevede la restituzione dei canoni pagati salvo un equo compenso), mentre nel leasing di godimento la risoluzione era regolata dai principi generali (art. 1458 c.c., irripetibilità dei canoni già scaduti come corrispettivo dell’uso già goduto). Dopo la Legge 124/2017, questa distinzione ha perso rilevanza per i nuovi contratti, poiché la disciplina normativa ha uniformato il trattamento della risoluzione (di fatto incorporando un meccanismo tipo patto marciano valido per ogni leasing finanziario). Tuttavia, per i contratti risolti prima dell’entrata in vigore della legge, continua ad applicarsi la distinzione: le Sezioni Unite della Cassazione hanno confermato nel 2021 e ribadito nel 2025 che ai leasing traslativi risolti prima del 29 agosto 2017 si applica l’art. 1526 c.c. in via analogica, mentre per quelli di godimento no. In pratica, nei vecchi contratti traslativi il giudice può dichiarare nulla la clausola che lasci al concedente sia i canoni incassati sia il bene, configurando un ingiustificato arricchimento, e imporre la restituzione all’utilizzatore dell’eventuale eccedenza di valore del bene rispetto al credito residuo.
- Leasing immobiliare: particolare leasing finanziario avente ad oggetto beni immobili (es. capannoni, negozi, immobili da costruire). Spesso ha durata lunga (anche 15–20 anni) e può prevedere canoni trimestrali. La Legge 124/2017 prevede una soglia di inadempimento specifica (6 canoni mensili o 2 trimestrali non pagati) per configurare il grave inadempimento nel leasing immobiliare (vedi § Risoluzione e clausole penali). Inoltre, la legge 208/2015 ha introdotto il leasing immobiliare abitativo: uno strumento per privati che acquistano (in leasing) l’abitazione principale, con particolari agevolazioni fiscali (si veda § Aspetti fiscali).
- Sale and Lease-back (retroleasing): operazione in cui un’impresa vende un proprio bene a una società di leasing, la quale contestualmente glielo concede in leasing finanziario. È un modo per ottenere liquidità immediata continuando a utilizzare il bene, con possibilità di riacquisto a termine. Questa operazione è lecita, ma può essere considerata nulla se costituisce una forma di patto commissorio (vietato dall’art. 2744 c.c.), cioè se lo scopo effettivo è garantire un debito trasferendo automaticamente il bene al creditore in caso di inadempimento. La giurisprudenza ritiene nullo il sale and lease-back qualora, valutate le circostanze, risulti unicamente finalizzato a garantire il creditore senza un reale interesse a trasferire e ritrasferire il bene (specie se manca una clausola marciana di conguaglio sul valore). Ad esempio, la Cassazione ha sanzionato come patto commissorio un lease-back in cui l’operazione era congegnata in modo che, in caso di insolvenza dell’utilizzatore, la società di leasing si appropriasse definitivamente del bene vendutole senza restituire nulla, evitando le norme sulle garanzie. In un corretto sale & lease-back, invece, il bene ripreso dal concedente deve essere valorizzato a prezzo di mercato e l’eventuale surplus restituito, analogamente a quanto avviene per la risoluzione del leasing traslativo (patto marciano).
Tabella: Principali tipologie di leasing e tutele applicabili
Tipologia | Descrizione | Disciplina in caso di risoluzione |
---|---|---|
Leasing finanziario | Banca/finanziaria acquista bene scelto dall’utilizzatore; canoni + riscatto finale. Causa prevalente di finanziamento. | Dopo 2017: regole ex L.124/2017 (patto marciano legale); prima 2017: distinzione traslativo/godimento (1526 c.c. se traslativo). |
Leasing operativo | Fornitore concede bene in uso con servizi (no intermediario finanziario). Spesso senza riscatto. | Risoluzione: in genere trattata come locazione (canoni maturati trattenuti). Possibile penale contrattuale riducibile ex art.1384 c.c. se eccessiva. |
Leasing traslativo | Bene con alto valore residuo, riscatto basso: equivale a vendita dilazionata (acquisto a termine). | (Pre-2017) Art.1526 c.c. in analogia: il concedente non può trattenere sia bene che tutti i canoni pagati – clausole contrarie nulle. (Post-2017: disciplina unificata legge). |
Leasing di godimento | Bene si deprezza durante il leasing, riscatto alto (facoltativo): funzione di mero utilizzo temporaneo. | (Pre-2017) Risoluzione non retroattiva ex 1458 c.c.: canoni già maturati non restituiti. (Post-2017 sempre regole legge 2017). |
Leasing immobiliare | Leasing finanziario su bene immobile (anche costruendo). Durate lunghe, canoni trimestrali possibili. | Soglia grave inadempimento ≥6 mensilità o 2 trimestri omessi. Risoluzione: patto marciano ex lege 2017 (restituzione surplus valore bene). |
Sale & Lease-back | L’utilizzatore vende un suo bene al leasing, poi lo riprende in leasing. Liquidità immediata + uso del bene, con opzione riacquisto. | Lecito se scopo finanziario genuino. Se maschera garanzia (bene perso senza conguaglio), può essere nullo ex art.2744 c.c. (patto commissorio). Clausole marciane richieste (rivendita a valori di mercato e restituzione eccedenza). |
Nota: Esistono ulteriori forme particolari (leasing agevolati, leasing pubblici per enti, leasing di nave/aeromobili con regimi internazionali, etc.), ma ai fini di questa guida ci concentreremo sui contratti di leasing finanziario nell’ambito civile e commerciale ordinario.
Normativa di riferimento e requisiti di validità
Il contratto di leasing finanziario, pur essendo ora tipizzato, rimane un contratto a struttura libera quanto a contenuto, ma vincolato dal rispetto di numerose norme imperative sia di diritto civile che di settore bancario-finanziario. Di seguito le principali fonti normative e regole rilevanti per verificare la regolarità/legittimità di un leasing:
- Codice Civile: Oltre alle già citate norme sulla locazione (artt. 1571 c.c. ss.) e sulla vendita con riserva di proprietà (artt. 1523-1526 c.c.), si applicano i principi generali sui contratti. In particolare:
- Art. 1346 c.c. (Determinabilità dell’oggetto): l’oggetto del contratto (es. canoni, interessi) deve essere determinato o almeno determinabile secondo criteri prestabiliti. Clausole che rendano il costo finale indeterminato o rimesso alla discrezionalità di una parte possono essere nulle per indeterminatezza.
- Art. 1418 c.c.: nullità del contratto se contrario a norme imperative. Esempio: tassi di interesse usurari pattuiti comportano nullità della clausola ex art. 1815 c.c. comma 2 (nessun interesse è dovuto) in quanto violazione di norme penali antiusura.
- Art. 1341-1342 c.c.: nei contratti per adesione, le clausole particolarmente gravose per l’altro contraente (es. decadenze, limitazioni di responsabilità, penali eccessive) devono essere approvate specificamente per iscritto; se non lo sono, e il contratto è tra professionisti, restano efficaci ma vanno interpretate in senso meno sfavorevole all’aderente. Se invece l’utilizzatore è consumatore, tali clausole possono essere direttamente dichiarate vessatorie e nulle ai sensi del Codice del Consumo.
- Art. 1384 c.c.: facoltà del giudice di ridurre le penali manifestamente eccessive. Molte clausole di leasing in caso di risoluzione prevedono che l’utilizzatore versi tutti i canoni a scadere come penale: il giudice può ridurre tale importo se eccede notevolmente il danno effettivo, soprattutto alla luce del valore recuperato dal bene.
- Legge 124/2017, art.1 commi 136-140: introdotta la disciplina positiva del leasing finanziario. I punti chiave:
- Viene fornita una definizione legislativa di locazione finanziaria: contratto in cui il concedente si obbliga ad acquistare o far costruire un bene su scelta e indicazione dell’utilizzatore, a metterglielo a disposizione per un dato tempo verso pagamento di canoni, e con diritto dell’utilizzatore di acquisire la proprietà a fine contratto a un prezzo prestabilito. Questa definizione chiarisce la causa di finanziamento e distingue il leasing da altri schemi (es. renting puro, noleggio, etc.).
- Si standardizza la nozione di “grave inadempimento” dell’utilizzatore (comma 137): costituisce grave inadempimento, legittimando la risoluzione del contratto da parte del concedente, il mancato pagamento di almeno 6 canoni mensili o 2 canoni trimestrali (anche non consecutivi) per i leasing aventi ad oggetto beni immobili, oppure di 4 canoni mensili (anche non consecutivi) per i leasing di beni mobili. In altre parole, la legge fissa una soglia minima di morosità sotto la quale il contratto non può essere risolto automaticamente per inadempimento grave. Ciò tutela il debitore da risoluzioni per lievi ritardi (ad es. 1–2 rate saltate non bastano) e uniforma i parametri tra contratti.
- Disciplina gli effetti della risoluzione anticipata (comma 138) secondo un meccanismo di tipo patto marciano: in caso di risoluzione per grave inadempimento, il concedente ha diritto alla restituzione immediata del bene e al pagamento dell’importo pattuito dal contratto, ma contestualmente deve restituire o detrarre l’eventuale eccedenza qualora dalla successiva vendita o ricollocazione del bene ricavi un importo superiore al suo credito residuo. In pratica la legge prescrive che il concedente:
- Trattiene i canoni scaduti e non pagati fino alla risoluzione, + i canoni a scadere (quota capitale) non ancora maturati, + il prezzo di riscatto pattuito, + eventuali spese sostenute (recupero, stima, conservazione del bene).
- Dall’importo risultante deve sottrarre il ricavato netto ottenuto dalla vendita o da altra collocazione del bene sul mercato, secondo valori di mercato.
- Se dal conguaglio risulta un surplus (il ricavato della vendita eccede il credito), esso va restituito all’utilizzatore; se invece c’è un deficit (ricavato inferiore al dovuto), l’utilizzatore resta debitore della differenza negativa. Formula semplificata: Debito finale utilizzatore = (canoni scaduti non pagati) + (quota capitale canoni a scadere) + (opzione finale) + (spese) – (ricavato vendita).
- Stabilisce obblighi di correttezza nella vendita o riallocazione del bene (comma 139): il concedente deve realizzare il bene ripreso in tempi rapidi e con adeguata pubblicità, ottenendo il migliore prezzo ragionevolmente ricavabile, informando l’utilizzatore delle operazioni. Se mancano valori di mercato pubblici, va stimato da un perito indipendente scelto con il coinvolgimento dell’utilizzatore. Queste norme mirano a evitare che il bene sia svenduto “a prezzo vile” a danno del debitore: se il concedente vende negligentemente a prezzo troppo basso, ai fini del conguaglio dovrà comunque imputare il fair value di mercato (come se venduto correttamente) senza poter addossare all’utilizzatore la perdita derivante dalla propria negligenza. Un’eventuale vendita sottocosto potrebbe esporre il concedente a responsabilità risarcitoria (concorso nel danno ex art. 1227 c.c.) a favore dell’utilizzatore.
- Prevede (comma 140) il coordinamento con altre normative, in particolare: resta ferma la disciplina speciale in caso di fallimento dell’utilizzatore (art. 72-quater legge fallimentare, ora D.Lgs. 14/2019 Codice della Crisi), nonché le disposizioni specifiche sul leasing abitativo introdotte dalla legge di stabilità 2016 (L. 208/2015). Ciò significa che, ad esempio, se l’utilizzatore fallisce, si applicano le regole del citato art. 72-quater l.fall., che attribuiscono al curatore la scelta di subentrare nel contratto o sciogliersi, e in caso di scioglimento prevedono un indennizzo al concedente calcolato in modo simile al patto marciano legislativo. Se invece il contratto si era già risolto prima del fallimento, la restituzione di quanto eventualmente eccedente pagato dall’utilizzatore segue comunque i criteri di equo compenso di art. 1526 c.c. per il periodo anteriore (come confermato dalle Sez. Unite 2021).
- Testo Unico Bancario (D.lgs. 385/1993) e normativa sulla trasparenza bancaria: Il leasing finanziario, quando stipulato con un intermediario finanziario autorizzato, è soggetto alle norme di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari (Titolo VI TUB). Le regole principali:
- Forma scritta e consegna di copia (art. 117 TUB): i contratti di leasing devono essere redatti per iscritto (pena nullità relativa invocabile dal cliente) e una copia deve esserne consegnata all’utilizzatore. La nullità per difetto di forma può essere fatta valere solo dal cliente, mai dalla banca/leasing (art. 117 co.1 e 3 TUB).
- Indicazione di tassi, prezzi e condizioni (art. 117 co.4 TUB): tutti i contratti bancari/finanziari devono indicare tassi d’interesse e ogni prezzo o condizione praticata, inclusi eventuali maggiorazioni, commissioni, spese, ecc. La mancanza o indeterminatezza di tali indicazioni comporta pesanti sanzioni civilistiche: in particolare l’art. 117 co.6-7 TUB stabilisce che, se nel contratto non sono indicati il tasso o i prezzi, o se sono indicati in modo incompleto/ambiguo, si applicano in luogo di essi i tassi sostitutivi di legge. In concreto, per gli interessi corrispettivi si applica il tasso minimo dei BOT annuali emessi nei 12 mesi precedenti la conclusione del contratto (tasso solitamente molto basso), mentre per gli interessi moratori si applica il tasso legale (ex art. 1284 c.c.), e nessuna altra spesa o commissione è dovuta al di fuori di imposte e spese vive. Questa disposizione mira a sanzionare la banca che non rende trasparente il costo effettivo: il contratto resta valido ma viene ricalcolato al tasso legale o BOT, assai più favorevole al cliente. Ad esempio, la Corte d’Appello di Torino (2018) applicò la sanzione di cui all’art. 117 TUB riconducendo tutto il contratto di leasing al tasso BOT perché il tasso effettivo applicato risultava diverso e più alto di quello dichiarato in contratto, integrando una “informazione alterata” sul costo. In un caso recentissimo, il Tribunale di Roma (sent. n. 9363/2025) ha dichiarato la nullità della clausola interessi di un leasing immobiliare in cui era indicato solo il tasso nominale annuo (TAN) ma non il tasso effettivo o indice sintetico di costo, né era allegato un piano di ammortamento dettagliato: ciò ha reso il costo finanziario indeterminato, in violazione sia dell’art. 117 TUB che dell’art. 1346 c.c.. Come rimedio, il giudice ha disposto l’applicazione degli interessi sostitutivi ex art. 117 TUB (tasso BOT) su tutto il rapporto.
- Tasso Effettivo Globale (TEG) e usura (art. 117 co.4 e L. 108/96): per i contratti di credito al consumo o comunque soggetti, devono essere indicati gli indici di costo globale (TAEG/TEG) secondo le modalità di legge. In ambito leasing, la giurisprudenza ha chiarito che non vi è un obbligo normativo di indicare l’ISC/TAEG in tutti i contratti di leasing finanziario (esso è obbligatorio certamente per i consumatori, ai sensi del TUB e del Codice del Consumo, ma non per i leasing ad imprese). L’Arbitro Bancario Finanziario ha osservato che il leasing finanziario non rientra tra i finanziamenti per cui la normativa primaria impone il calcolo del TAEG secondo il modello standard dei mutui, quindi l’ISC di un leasing segue criteri propri e non necessariamente dev’essere fornito con metodo TAEG “alla francese”. Tuttavia, anche se l’ISC non è sempre obbligatorio, resta il fatto che tutti i costi devono essere trasparenti e il tasso effettivo va determinato: non si può pubblicizzare un TAN e poi applicare costi occulti. Dunque, se emerge una discrepanza significativa tra il tasso dichiarato e il tasso effettivo applicato (calcolato includendo periodicità rate, interessi composti e spese), il contratto può essere ritenuto non trasparente e subire la sanzione ex art. 117 TUB come detto sopra. Ad esempio, la mancata indicazione in contratto del fatto che il canone mensile incorpora un tasso effettivo più alto del TAN a causa della capitalizzazione infrannuale costituisce profilo di indeterminatezza del costo. La Cassazione nel 2025 ha sottolineato che l’assenza del piano di ammortamento allegato al contratto di leasing – specie se il tasso effettivo non è desumibile altrimenti – può rendere nullo il contratto (o la clausola finanziaria) per indeterminatezza dell’oggetto: l’accordo deve permettere di capire quale sia la quota capitale e la quota interessi di ciascuna rata, non basta indicare un tasso nominale astratto. Inoltre, conoscere l’Indice Sintetico di Costo (ISC) effettivo è cruciale per il cliente, poiché esso esprime in percentuale il costo totale comprensivo di interessi su base composta e di tutte le spese accessorie.
- Codice del Consumo (D.lgs. 206/2005): se l’utilizzatore è un consumatore (persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività professionale), il contratto di leasing rientra nell’ambito del credito ai consumatori (per importi tra 200 e 75.000 euro, salvo esclusioni) e gode di speciali tutele:
- Trasparenza precontrattuale: diritto a un Prospetto Informativo Europeo standardizzato (SECCI) prima della conclusione, con indicazione chiara del TAEG, importo totale dovuto, numero e importo rate, oneri in caso di mora, ecc. L’eventuale difformità tra costo indicato e reale può configurare pratica commerciale scorretta o violazione del dovere di buona fede precontrattuale.
- Clausole vessatorie: ai sensi degli artt. 33-36 Cod. Consumo, sono nulle ipso iure le clausole che determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio di diritti e obblighi, salvo che siano state oggetto di specifica trattativa. Molti schemi standard di leasing predisposti da intermediari non sono negoziati ma semplicemente sottoscritti dal cliente, per cui il consumatore può far valere la nullità di clausole come: esonero totale di responsabilità del concedente, facoltà del concedente di recedere senza analoga facoltà per il consumatore, penali manifestamente eccessive, decadenze ingiustificate, foro esclusivo diverso dalla residenza del consumatore, etc. (si veda oltre Clausole vessatorie). Ad esempio, la clausola “floor” non bilanciata da un “cap” (che pone un tasso minimo all’indicizzazione ma non un massimo) è stata considerata vessatoria dalla Corte d’Appello di Milano in contratti con consumatori, in quanto crea un ingiustificato squilibrio a sfavore dell’utilizzatore. Di converso, se l’utilizzatore non è consumatore, tale controllo di vessatorietà non si applica e clausole come il floor unilaterale possono non essere nulle (restando però soggette ad altri possibili censure, es. difetto di trasparenza se non evidenziate chiaramente).
- Normativa antiusura (L. 108/1996, art. 644 c.p.): Si applica anche ai contratti di leasing. Ogni trimestre il Ministero stabilisce i tassi soglia usurari per varie categorie di credito (tra cui i leasing, distinti in leasing mobili strumentali, leasing autoveicoli/aeronavali, leasing immobiliari a tasso fisso o variabile, etc.), calcolati sulla base dei TEGM rilevati dalla Banca d’Italia aumentati di un margine. Pattuire interessi (corrispettivi o moratori) superiori alla soglia di legge integra usura: la conseguenza civilistica è che “non sono dovuti interessi” (art. 1815 co.2 c.c.), ossia la clausola è nulla e l’utilizzatore deve restituire solo il capitale senza alcun interesse. Più avanti (§ Usura nel leasing) vedremo i dettagli applicativi e le più recenti sentenze in materia.
In sintesi, un contratto di leasing “legittimo” deve rispettare tutte queste regole: chiarezza e determinatezza dei costi, tassi entro i limiti legali, equilibrio nelle clausole di risoluzione, rispetto delle tutele del consumatore quando applicabili. Nei paragrafi seguenti analizzeremo le patologie contrattuali più frequenti (usura, anatocismo, indeterminatezza del tasso, clausole vessatorie, ecc.), indicando come il debitore può individuarle e farle valere a propria tutela.
Irregolarità nei contratti di leasing: principali vizi e come rilevarli
In questa sezione esamineremo nel dettaglio le più comuni irregolarità o illegittimità riscontrabili nei contratti di leasing finanziario, dal punto di vista di chi le subisce (utilizzatore/debitore). Per ciascun vizio o clausola problematica verranno descritti: in cosa consiste, quali norme vengono violate, come è possibile dimostrarlo (onere della prova) e quali sono le conseguenze giuridiche (nullità, risarcimenti, ricalcoli, ecc.) che l’utilizzatore può ottenere invocando tale vizio.
1. Tasso di interesse non trasparente o costi occulti (violazione di trasparenza)
Descrizione del vizio: Nel leasing, come in ogni finanziamento, il tasso d’interesse effettivo pagato dall’utilizzatore può differire sensibilmente dal tasso nominale pubblicizzato. Ciò avviene perché i canoni di leasing sono tipicamente pagati in modo infrannuale (mensile, trimestrale) e possono includere anche commissioni o spese. Ad esempio, un TAN del 5% annuo con rate mensili corrisponde a un tasso effettivo annuo ben superiore (circa 5,12% in regime composto). Se il contratto si limita a indicare il TAN 5% senza chiarire il TAEG/ISC o almeno il tasso leasing effettivo su base annua, il cliente potrebbe non rendersi conto del costo reale. Ulteriori elementi come maxicanoni anticipati, spese di istruttoria, commissioni sui premi assicurativi inclusi, o la presenza di capitalizzazione composta (tipica nei piani “alla francese”), incidono sul costo totale.
La mancata indicazione chiara di tutti questi elementi può rendere il costo indeterminato o ingannevole. Ad esempio, il contratto dovrebbe specificare il regime di calcolo degli interessi (interesse semplice vs composto), l’eventuale piano di ammortamento con la suddivisione di capitale e interessi in ogni rata, e l’indice sintetico di costo su base annua. In assenza, l’utilizzatore potrebbe scoprire ex post che il tasso effettivo applicato è più alto di quello contrattualmente dichiarato.
Norme violate: Art. 117 TUB (obbligo di indicare tassi e condizioni) e art. 1346 c.c. (determinabilità dell’oggetto). Come visto, la giurisprudenza ha sanzionato con la nullità parziale queste omissioni. Il Tribunale di Roma nel 2025 ha affermato che indicare solo il TAN senza il tasso effettivo né allegare il piano di ammortamento viola l’art. 117 TUB e rende la pattuizione degli interessi nulla per indeterminatezza. Anche la Corte d’Appello di Torino nel 2018 rilevò che la discordanza tra tasso leasing pattuito e tasso effettivo applicato concretizza una violazione dell’art. 117 TUB, facendo scattare la sanzione del tasso BOT sostitutivo. Pertanto, un “tasso nascosto” o incomprensibile è contrario al contenuto minimo del contratto imposto dal TUB.
Come dimostrarlo: Il debitore che sospetta costi occulti deve:
- Reperire il contratto e la documentazione precontrattuale (es. offerte, SECCI se consumatore) per vedere quali tassi sono indicati. Verificare se nel testo compaiono termini come “TAN”, “TAEG/ISC”, “TAE” o “Tasso Leasing” e se è allegato un piano finanziario.
- Ricalcolare il tasso effettivo: In caso di dubbio, è spesso necessario far eseguire a un esperto un calcolo finanziario: partendo dai canoni pagati (o da pagare), dall’importo finanziato e dalla maxi-rata finale, si può determinare il TAEG effettivo implicito. Questo confronto metterà in luce eventuali discrepanze. Ad esempio, se il contratto indicava TAN 5% ma il consulente finanziario trova che considerando i canoni mensili e spese il costo effettivo è 6%, si ha evidenza di un costo occulto.
- Confrontare con normative di trasparenza: Verificare se il periodo in cui è stato stipulato il leasing era in vigore qualche istruzione specifica di Banca d’Italia. Ad esempio, per i consumatori, il mancato rispetto delle formule di calcolo del TAEG può emergere confrontando l’ISC calcolato dall’esperto con quello (eventualmente) dichiarato.
- CTU in giudizio: In sede di causa, il giudice può disporre una Consulenza Tecnica d’Ufficio per accertare il TEG/TAEG effettivo applicato. È prassi nelle liti bancarie ottenere perizia sui tassi effettivi. La sentenza di Roma 2025 citata fa esplicito riferimento alle risultanze della CTU contabile che confermava l’assenza di indicazione del tasso effettivo e del piano di ammortamento.
Conseguenze e tutele per il debitore: Se viene accertata la violazione dell’obbligo di trasparenza e la indeterminatezza del tasso, la clausola degli interessi viene dichiarata nulla. Ciò comporta che:
- Gli interessi corrispettivi vengono ricalcolati al tasso sostitutivo previsto dall’art. 117 TUB, ossia il tasso minimo BOT (generalmente vicino a 0% negli ultimi anni). In pratica, il leasing diventa quasi senza interessi per il periodo in cui aveva applicato tassi non trasparenti. L’utilizzatore può quindi chiedere la restituzione degli interessi eccedenti pagati, o l’abbattimento del debito residuo di un importo equivalente a tali interessi non dovuti.
- Anche gli interessi moratori eventualmente pattuiti, se anch’essi non erano chiaramente indicati nel tasso effettivo, saranno non dovuti oltre il tasso legale. Il tribunale di Roma 2025, ad esempio, ha annullato sia gli interessi corrispettivi sia quelli di mora per violazione art.117 TUB, applicando a entrambi i tassi sostitutivi ex lege.
- Il contratto nel suo complesso rimane valido (non viene annullato interamente, salvo casi estremi di indeterminabilità totale), ma viene purgato delle clausole abusive: si ottiene quindi una significativa riduzione dell’onere economico per il debitore.
È importante sottolineare che non ogni differenza tra TAN e TAEG costituisce illecito: se il tasso effettivo è determinabile dal contratto (ad esempio tramite una formula di indicizzazione chiara, o se è allegato un piano di ammortamento completo), la clausola resiste. La Cassazione ha chiarito che la “mera difformità” tra tasso dichiarato e tasso effettivo non implica nullità se il tasso effettivo è comunque ricavabile e il cliente poteva calcolarlo. Tuttavia, in pratica molti contratti di leasing di qualche anno fa omettevano il TAEG per non dover computare certi costi – oggi, con l’evoluzione giurisprudenziale, tali omissioni non sono più tollerate.
Esempio pratico: Tizio stipula un leasing auto di €20.000 con TAN 6% e canoni mensili per 5 anni + maxirata finale €5.000. Il contratto non menziona TAEG. Dopo aver pagato per 2 anni, Tizio si accorge (grazie a un consulente) che includendo la capitalizzazione mensile e le commissioni il costo effettivo è ~7%. Decide di agire. In giudizio emerge che il tasso leasing effettivo non era indicato e mancava il piano di ammortamento: il tribunale dichiara nulla la pattuizione degli interessi per indeterminatezza e applica il tasso BOT (es. 0.5%). L’esito: la finanziaria deve ricalcolare tutti i canoni pagati come se il tasso fosse 0.5%, e rimborsare a Tizio la differenza rispetto a quanto aveva effettivamente corrisposto con il 7% effettivo (oppure accreditarla a scomputo delle rate residue). Tizio così recupera, poniamo, diverse migliaia di euro di interessi pagati in eccesso e le rate future vengono ridotte al solo importo capitale (più un minimo interesse BOT).
2. Clausole di indicizzazione poco chiare o derivati impliciti
Descrizione del vizio: Molti contratti di leasing prevedono che i canoni siano indicizzati a determinati parametri finanziari: ad esempio tasso variabile legato all’Euribor o al tasso BCE, clausole di cambio valuta (leasing in valuta estera), oppure formule più complesse (legate a indici azionari, tassi swap, etc.). L’indicizzazione comporta che l’importo dei canoni e il costo finale possano variare nel tempo. Ciò non è illecito in sé – anzi, è lecito pattuire un tasso variabile – ma la clausola di indicizzazione deve essere determinata o determinabile in modo preciso. Se la formula è troppo complessa, arbitraria o comprensibile solo a un esperto, il rischio è che il costo diventi aleatorio e indeterminabile ex ante, trasformando il leasing in un’operazione quasi speculativa. Ad esempio, alcune clausole prevedevano che il tasso leasing fosse collegato alla variazione del cambio Euro/Franco Svizzero o di un paniere di titoli: tali meccanismi di adeguamento possono integrare un “derivato implicito” nel contratto, con uno spostamento del rischio sul cliente non immediatamente percepibile.
Esempi frequenti:
- Leasing in franchi svizzeri (o altra valuta) a un tasso apparentemente più conveniente: se l’euro si deprezza, l’utilizzatore vede lievitare l’importo dei canoni (rischio cambio). Diversi tribunali (Udine, Trieste) hanno scrutinato queste clausole.
- Clausole floor/cap: p.es. tasso variabile Euribor con floor 0% (tasso minimo) ma senza cap (nessun tetto massimo). Se non opportunamente evidenziate, sbilanciano il contratto a favore della banca.
- Indicizzazione a indici IRS o tassi di mercato poco noti al cliente, magari con spread variabili se certe condizioni si avverano.
Norme violate: Art. 1346 c.c. (se l’indicizzazione è così oscura da rendere il tasso non determinabile ex ante) e, in casi estremi, art. 1322 c.c. sulla meritevolezza degli interessi: una clausola che introduce una componente speculativa non chiara potrebbe essere giudicata non meritevole di tutela. Inoltre, se l’utilizzatore è consumatore, clausole di indicizzazione sbilanciate (come floor senza cap) possono essere dichiarate vessatorie ex art. 33 Cod. Consumo (come visto nel caso di floor non simmetrico ritenuto abusivo). La giurisprudenza in materia offre indicazioni:
- Nullità per indeterminatezza: Il Tribunale di Udine (sent. 20.04.2017) ha dichiarato nulla per indeterminatezza dell’oggetto una clausola di indicizzazione in un leasing in valuta estera, dove il tasso dipendeva dal cambio Franco Svizzero/Euro, ritenendo che introducesse un derivato implicito senza chiara definizione del costo. Similmente, la Corte d’Appello di Trieste (2018) ha ritenuto immeritevole di tutela una clausola di rischio cambio che spostava interamente sul cliente il rischio di forti oscillazioni valutarie, in un contratto la cui causa tipica non era la speculazione valutaria.
- Clausole floor: La già citata sentenza Trib. Milano 5/9/2024 n.7889 evidenzia che una clausola floor può essere nulla se applicata a un consumatore senza adeguata controparte (cap), perché genera un significativo squilibrio. Nel caso specifico il giudice milanese però rigettò l’eccezione di nullità in quanto l’utilizzatore era società (quindi Codice del Consumo inapplicabile), confermando però indirettamente che in ambito consumer quella clausola sarebbe stata considerata abusiva e quindi nulla.
- Indicizzazione con derivati: Qualora la formula di adeguamento incorpori di fatto un contratto derivato (es. un interest rate swap o opzione), si pone anche un problema di rispetto della normativa sugli strumenti finanziari (TUF): un derivato implicito potrebbe necessitare di un contratto separato e di specifiche avvertenze. In mancanza, si potrebbe prospettare la nullità per violazione di norme imperative finanziarie (es. mancato rispetto art. 23 TUF sulla forma scritta e consegna di documenti informativi per derivati).
Come dimostrarlo: Il debitore dovrà:
- Analizzare il testo contrattuale: individuare la clausola di indicizzazione e comprenderne la formula. Spesso queste clausole sono lunghe e tecniche: se risultano incomprensibili a una lettura normale, è già un indizio. Se legate a parametri esotici, ancora di più.
- Documentare l’andamento: se la clausola ha causato variazioni anomale dei canoni (es. raddoppio per effetto cambio), raccogliere i dati storici (andamento del parametro, notifiche di variazione canone della società di leasing, ecc.) per mostrare l’effetto sproporzionato.
- CTU tecnica: in giudizio è quasi d’obbligo far esaminare la clausola a un consulente finanziario. Ad esempio, nel caso di clausola cambio, il CTU può calcolare quale porzione dei canoni pagati è dovuta al rialzo del cambio e valutare se il cliente poteva prevederlo. Nel caso di floor, si può quantificare quanto il cliente ha pagato in più rispetto a uno scenario senza floor.
- Richiamare precedenti simili: citare sentenze come Udine 2017 o Trieste 2018 aiuta a convincere il giudice della validità delle proprie censure. Ad esempio, nella causa di Udine il giudice definì la clausola in CHF un “derivato implicito” non esplicitato: se la vostra clausola è simile, evidenziatelo.
Conseguenze e tutele:
- Se la clausola di indicizzazione è dichiarata nulla, viene espunta dal contratto. Ciò significa che il tasso variabile applicato potrebbe dover essere ricalcolato come tasso fisso (ad esempio, se il contratto prevedeva Euribor + 2% con floor 0%, eliminando il floor si ricalcolano i canoni come se il floor non ci fosse mai stato, rimborsando l’eccedenza pagata). Oppure, se la clausola valuta estera è nulla, il contratto andrebbe convertito in euro al tasso iniziale senza adeguamenti, con restituzione di quanto pagato in più per l’effetto cambio.
- A volte la nullità parziale può far venire meno l’interesse del concedente a proseguire: in tal caso si può rinegoziare un accordo transattivo. Ma di regola il contratto prosegue alle condizioni ricalcolate.
- Se la clausola ha generato un pagamento di importi non dovuti, l’utilizzatore può chiederne la restituzione come indebito oggettivo (art. 2033 c.c.). Ad esempio, se a causa di un floor 0% il cliente ha pagato €10.000 in più di interessi rispetto allo scenario con tassi negativi, potrà ottenerne la restituzione dalla finanziaria.
- Importante: la nullità della clausola non travolge l’intero contratto a meno che le parti non l’avrebbero stipulato solo in funzione di quell’indicizzazione (cosa difficile da sostenere da parte del leasing). Quindi il leasing rimane valido ma a tasso ricalcolato.
- In alcuni casi estremi, se la clausola era contraria a norme imperative di settore (es. derivato implicito senza rispetto TUF), il cliente potrebbe anche chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento o la nullità totale, ma è un rimedio più raro. Più spesso, conviene far valere la nullità parziale mantenendo i benefici del contratto.
Esempio pratico: Caio, piccolo imprenditore, stipula nel 2015 un leasing in CHF per un macchinario da €100.000: rata mensile indicizzata al cambio CHF/€ con tasso base 2%. Tra 2015 e 2017 il franco svizzero si apprezza molto; Caio vede i suoi canoni aumentare del 20%. La clausola di indicizzazione recita formule complicate sul cross-currency swap. Caio fa causa nel 2018: il tribunale riscontra che la clausola di cambio non era formulata in modo trasparente e faceva ricadere sull’utilizzatore un rischio eccessivo non evidenziato (di fatto un contratto derivato sul cambio). Rifacendosi a Trib. Udine 2017, dichiara nulla la clausola di indicizzazione valutaria per difetto di causa meritevole e indeterminatezza. Dispone quindi che i canoni vengano ricalcolati come se il leasing fosse stato in euro a tasso 2% fisso (senza adeguamento cambi). La società di leasing è tenuta a restituire a Caio la differenza tra quanto pagato in più a causa del cambio (circa €20.000) e quanto avrebbe pagato col tasso fisso in euro. Inoltre, per le rate future, Caio pagherà l’importo fisso in € stabilito all’origine (senza più oscillazioni).
3. Interessi usurari (tassi oltre la soglia di legge)
Descrizione del vizio: L’usura contrattuale si verifica quando il tasso d’interesse, pattuito ab initio, supera il cosiddetto tasso soglia vigente al momento della stipula, come definito dalla Legge 108/96 (cioè il Tasso Effettivo Globale Medio del tipo di operazione aumentato di un margine, pubblicato trimestralmente dal MEF). Nei contratti di leasing possiamo avere due categorie di interessi potenzialmente usurari:
- Gli interessi corrispettivi pattuiti sui canoni (in genere incorporati nei canoni stessi).
- Gli interessi moratori previsti in caso di ritardato pagamento delle rate.
Va premesso che la giurisprudenza ha dibattuto se, ai fini del calcolo dell’usura, si debba considerare separatamente il tasso corrispettivo e quello di mora, oppure cumularli. Oggi l’orientamento prevalente – confermato dalla Cassazione – è di non sommare i due tassi, ma di confrontarli separatamente con le rispettive soglie. In altre parole, si verifica se il tasso corrispettivo eccede la soglia per interessi corrispettivi e se il tasso di mora eccede la soglia per interessi di mora. Quest’ultima soglia però non è espressamente data: usualmente si considera la soglia corrispettivi aumentata di un punto percentuale (secondo indicazioni ministeriali) o comunque si fa riferimento ai criteri della Banca d’Italia. Ad ogni modo:
- Usura originaria nei corrispettivi: se fin dall’inizio il costo leasing supera la soglia d’usura del suo tipo (ad es. leasing strumentale < €50k aveva soglia 10% e il tasso leasing effettivo pattuito risulta 12%), la clausola interessi è nulla per usura. Ex art. 1815 co.2 c.c., nessun interesse è dovuto, e le somme pagate a tale titolo vanno restituite. Il contratto rimane in piedi limitatamente al rimborso del capitale.
- Usura originaria nei moratori: se il tasso di mora stabilito (es. “interessi di mora al 1% mensile” ~ 12% annuo) eccede la soglia usura per le moratorie (che potrebbe essere, p.es., il tasso soglia corrispettivi + 2-3%), allora la clausola di mora è nulla. Si discuteva se tale nullità estingue anche gli interessi corrispettivi (alcune sentenze minori dicevano di sì, chiamando in causa art.1815 c.c.). La Cassazione civile n. 24992/2020 ha chiarito che la nullità della clausola di interessi moratori usurari non si estende agli interessi corrispettivi lecitamente pattuiti. Dunque, in caso di usura della mora, il debitore non pagherà penali di mora (se non eventualmente il tasso legale come risarcimento), ma dovrà comunque i normali interessi corrispettivi se erano entro soglia.
- Usura sopravvenuta: è il caso in cui inizialmente il tasso era sotto soglia, ma per effetto di variazioni legislative o di mercato la soglia scende (o il tasso aumenta) e durante l’esecuzione del contratto il tasso diviene superiore alla soglia vigente. La Cassazione (Sez. Unite n.24675/2017 in ambito mutui) ha escluso che l’usura sopravvenuta comporti la nullità della clausola: il contratto resta valido e gli interessi originariamente pattuiti restano dovuti, ma non possono prodursi oltre certi limiti se il legislatore prevede soluzioni ad hoc. Nel leasing, talvolta si è ritenuto di “ricondurre a soglia” il tasso per il periodo eccedente. Alcune Corti d’Appello (es. Milano 2017) hanno affermato che, in caso di usura sopravvenuta, vi sia necessità di ricondurre il tasso entro la soglia per il periodo successivo, in applicazione analogica di principi di buona fede contrattuale. Comunque, l’usura sopravvenuta è una questione meno frequente praticamene nei tempi recenti (tassi calati fino al 2022, poi risaliti ma restando i contratti perlopiù a tasso variabile adeguati entro soglia).
Cause di usura nel leasing:
- Spesso l’usura contrattuale può annidarsi quando si includono nel calcolo commissioni o spese rilevanti. Ad esempio, commissioni di intermediazione, spese di istruttoria elevate, assicurazioni obbligatorie imposte ecc., concorrono a formare il TEG. Se il concedente non le ha computate correttamente, il TEG reale può sforare la soglia.
- Nei leasing “a tasso zero apparente” (promozioni) a volte si celano costi occulti che portano il TEG sopra soglia.
- Interessi di mora: notoriamente sono più alti (spesso +2-3% sul tasso base). Bisogna verificare se esiste una soglia specifica per mora: la Banca d’Italia fornisce indicazioni per il calcolo (storicamente suggeriva di aggiungere 2 punti al tasso soglia corrispettivi per avere una soglia mora). Ad esempio, Cass. 27442/2018 conferma che anche i moratori rientrano nell’ambito di applicazione della legge antiusura, ma vanno considerati con criteri propri, senza cumularli con i corrispettivi.
Come dimostrarlo:
- Calcolo del TEG: Il debitore deve innanzitutto calcolare (direttamente o con ausilio tecnico) il Tasso Effettivo Globale del leasing come definito dalla normativa antiusura. Questo implica prendere tutti gli importi dovuti (interessi, commissioni, spese, assicurazioni obbligatorie) rapportandoli al capitale e tempo secondo le Istruzioni Banca d’Italia. Va confrontato con il tasso soglia del trimestre in cui è stato stipulato il contratto. I decreti trimestrali del MEF elencano soglie diverse, es.: “Leasing autoveicoli < €25k: soglia 15%; Leasing immobiliare tasso fisso: soglia 10.88%…”. Tali valori sono pubblici (Gazzetta Ufficiale, sito MEF).
- Documentazione contrattuale: è fondamentale avere copia del contratto e degli allegati economici (piano finanziario, prospetti) per identificare tutte le voci di costo. Ad esempio, se c’è un “coefficiente leasing” o “TAEG” dichiarato, confrontarlo con la soglia.
- Rilevazione tassi di mora: se si contesta la mora usuraria, raccogliere i dati: tasso contrattuale di mora, tasso soglia di mora (che si desume aggiungendo percentuale alla soglia base). Ad esempio, se soglia corrispettivi era 10% e contratto prevede mora 12%, probabilmente c’è usura sulla mora.
- CTU/Perizia: data la complessità tecnica, in giudizio il CTU bancario effettuerà il calcolo ufficiale del TEG e confronterà con soglia. È opportuno che il debitore in causa sollevi l’eccezione di usura e fornisca sin dall’atto introduttivo i calcoli di parte, chiedendo al giudice di accertarli via perizia.
Conseguenze e rimedi per il debitore:
- Usura originaria accertata (corrispettivi): scatta l’applicazione dell’art. 1815 co.2 c.c.: la clausola d’interessi è nulla e non sono dovuti interessi. Il leasing dunque si converte, per così dire, in leasing a tasso zero (fatti salvi eventuali interessi sostitutivi legali in alcuni casi, ma la norma letterale dice proprio zero). Il debitore potrà chiedere la ripetizione degli interessi pagati in più. Ad esempio, il Tribunale di Milano nel 2019 ha accertato l’usurarietà degli interessi pattuiti in un leasing immobiliare e ha condannato la società concedente a restituire la quota di corrispettivo non dovuto (gli interessi pagati in eccesso). Inoltre, ha rilevato che l’ammortamento “alla francese” impiegato aveva generato interessi anatocistici che contribuivano al superamento del tasso soglia.
- Usura originaria della mora: la clausola di mora è nulla. In caso di ritardi del debitore, il concedente potrà al più pretendere il danno da ritardo nella misura degli interessi legali o del minor danno provato, ma non la percentuale pattuita. Questo spesso riduce notevolmente l’esposizione per interessi di mora. Come detto, la Cassazione 2020/24992 ha escluso che, eliminata la mora usuraria, si elimini anche il diritto agli interessi corrispettivi lecitamente pattuiti: quindi il debitore non può sperare di azzerare tutti gli interessi a causa di una mora usuraria, ma eviterà almeno la penale di ritardo.
- Usura sopravvenuta: non dà diritto a rimedi automatici di nullità, ma il debitore può richiedere in via equitativa un’adeguamento. Alcuni giudici in passato hanno ridotto il tasso per il periodo successivo al calo delle soglie, in base ai doveri di buona fede e solidarietà contrattuale. Ma è una materia incerta. Al limite, il consumatore potrebbe recedere senza penali se il costo diventa eccessivo (invocando l’art. 33 co.2 lett. f Cod. Consumo, che considera vessatoria la clausola che impone al consumatore prezzi eccessivi in caso di recesso anticipato).
- Profili penali: Ricordiamo che l’usura è anche reato (art. 644 c.p.). Un debitore può segnalare all’Autorità giudiziaria se ritiene di aver subito usura bancaria. In molti casi di contenzioso civile, però, ci si limita alle vie civilistiche. La soglia antiusura funge già da criterio oggettivo: la banca di solito non “voleva” fare reato, ma se ha superato la soglia incorre nelle stesse conseguenze civili come qualsiasi usuraio. Sta al debitore valutare se fare anche una denuncia: talvolta le denunce inducono le società a transigere temendo conseguenze reputazionali.
Esempio pratico: Alfa Srl stipula nel 2018 un leasing strumentale di €50.000. Il contratto prevede un tasso implicito (TAEG) dell’8%, più interessi di mora al tasso del 14% annuo in caso di ritardo. La soglia usura nel trimestre era, poniamo, 7,5% per operazioni di leasing analoghe. Alfa dopo aver pagato 2 anni, in difficoltà, fa verificare i conti: scopre che l’8% pattuito era oltre soglia già alla stipula. Fa causa nel 2023. Il CTU conferma che il TEG contrattuale (8,5% includendo spese) superava soglia 7,5%. Il giudice dichiara la nullità della clausola interessi corrispettivi per usura: Alfa deve restituire solo il capitale residuo senza interessi, e ha diritto a ripetere gli interessi corrispettivi già pagati. La finanziaria dovrà rifare i conti: supponiamo che Alfa avesse pagato €10.000 di interessi in due anni, quella somma va imputata a decurtazione del capitale, abbattendo il debito. Inoltre la clausola di mora 14% era anch’essa sopra soglia (ipotizziamo soglia mora 11%), quindi nulla: eventuali penali di ritardo non saranno dovute, sostituite semmai dal tasso legale per i giorni di ritardo (irrilevante). L’effetto combinato è che Alfa paga molto meno e può estinguere il leasing pagando il solo capitale residuo diminuito. Nel caso in esame, il giudice potrebbe anche condannare la banca a restituire somme se il leasing era già terminato con interessi indebiti incassati.
4. Anatocismo e interessi composti occulti
Descrizione del vizio: L’anatocismo è la produzione di interessi su interessi già dovuti. In Italia vige il divieto di anatocismo salvo casi tassativi (art. 1283 c.c.: interessi scaduti possono produrre altri interessi solo da quando vi sia domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e comunque per interessi dovuti almeno da 6 mesi). Nei contratti bancari, l’anatocismo è tema noto soprattutto per i conti correnti (capitalizzazione trimestrale degli interessi, oggi per legge consentita solo se reciproca e con periodicità non inferiore all’anno, dopo delibera CICR 2000 e successive modifiche). Nei leasing finanziari, l’anatocismo può manifestarsi in forme meno evidenti:
- Nel piano di ammortamento “alla francese”, utilizzato in moltissimi leasing e mutui: la formula di calcolo delle rate costanti prevede di fatto una capitalizzazione composta degli interessi nel calcolo matematico della rata. Alcuni studiosi e periti sostengono che ciò configuri anatocismo occulto (perché il tasso nominale applicato su base mensile porta a un interesse effettivo maggiore, come se gli interessi maturati venissero aggiunti al capitale periodicamente). La maggioranza della giurisprudenza però nega che il piano francese sia anatocismo illecito, argomentando che gli interessi sono calcolati solo sul capitale residuo a ogni rata, non su interessi già scaduti (in ogni rata si pagano gli interessi maturati su quel residuo nel periodo, e poi li si paga effettivamente, quindi non diventano mai arretrati su cui maturano ulteriori interessi). Resta comunque il fatto che il TAN e il TAEG differiscono proprio per questo meccanismo composto: se la banca non lo chiarisce, torna il problema della trasparenza visto prima.
- Interessi di mora su rate scadute: Quando un canone leasing scade, esso comprende una quota interessi. Se il contratto prevede che gli interessi di mora si calcolino sull’intero importo scaduto (capitale + interessi della rata), tecnicamente si stanno computando interessi moratori anche sulla parte di interessi contenuta nella rata → questo è anatocismo. La giurisprudenza ha oscillato: taluni giudici hanno ritenuto che la mora su una rata scaduta, comprensiva di interessi, viola il divieto di anatocismo, perché il creditore avrebbe dovuto scorporare la quota interessi e applicare mora solo sul capitale. Altri però osservano che quando una rata giunge a scadenza ed è impagata, tutta la rata diventa una somma liquidata dovuta, su cui è lecito applicare interessi di mora come risarcimento, senza doversi mettere a separare capitale e interessi (specie se convenzionalmente pattuito) – analogamente a quanto succede nelle obbligazioni pecuniarie in generale. Sul punto, la recente Delibera CICR del 2016 (in attuazione del D.L. 18/2016) ha permesso anche alle banche di capitalizzare interessi di mora solo al 31 dicembre, ma subito dopo deve essere reso esigibile e gli interessi di mora non ulteriormente produttivi (questo per armonizzarsi col 1283 c.c.).
In sintesi, l’anatocismo nel leasing viene spesso denunciato dal debitore, ma ottenere una pronuncia favorevole richiede di individuare una specifica pattuizione che lo consenta in violazione del 1283 c.c. (che, ricordiamo, è norma di ordine pubblico). Due possibili bersagli:
- Clausole contrattuali che prevedano espressamente la capitalizzazione periodica degli interessi dovuti (ad es. “gli interessi di mora non pagati saranno addebitati sul capitale e a loro volta frutteranno interessi”). Queste sarebbero nulle senza dubbio.
- Struttura del piano di ammortamento alla francese: è un tema più tecnico. Alcuni giudici hanno definito anatocistici gli interessi calcolati con ammortamento francese e tasso nominale, perché la differenza tra TAN e TAEG sarebbe imputabile ad anatocismo (gli interessi maturati fra una rata e l’altra generano interessi ulteriori perché pagati posticipati). Un esempio: Trib. Brescia 2017 in un mutuo e alcune pronunce di merito su leasing hanno dato spazio a questa tesi minoritaria. Ad esempio, il Tribunale di Milano nel caso 2019 citato ha evidenziato come nel leasing esaminato fossero stati “applicati interessi anatocistici mediante l’utilizzo del piano di ammortamento alla francese” e ciò ha contribuito alla declaratoria di nullità per usura. Dunque quell’autorità ha implicitamente bollato il piano francese come generatore di anatocismo (almeno in quanto concorreva a usura).
Di contro, altre pronunce (Tribunale di Napoli 16/6/2020 n.4102) hanno affermato che nel leasing l’uso del piano francese non viola di per sé il divieto di anatocismo se gli interessi sul capitale sono calcolati solo sul debito residuo; ed hanno escluso che gli interessi di mora possano essere considerati anatocistici se non vi è un’ulteriore capitalizzazione successiva.
Come dimostrarlo:
- Analisi del contratto e piano: leggere attentamente se il contratto contiene clausole di capitalizzazione. A volte, nelle condizioni generali, può esserci scritto ad es. “gli interessi di mora maturano giorno per giorno e, se non pagati, sono produttivi di ulteriori interessi al tasso legale” oppure altre formule. Segnalare ogni frase simile. Se esplicitamente c’è, la prova è fatta (anatocismo pattuito).
- Calcolo comparativo: per sostenere che il piano francese comporta anatocismo, il consulente di parte può mostrare, ad esempio, che scomponendo le rate emergono interessi su interessi. Questa è però materia controversa e occorre un perito esperto e un giudice disponibile a seguire tale impostazione. Similmente, per la mora su rata scaduta, evidenziare l’ammontare di interessi su interessi.
- Jurisprudenza di supporto: citare Trib. Milano 2019 (nel passaggio in cui parla di interessi anatocistici nel piano francese), oppure Trib. Bari 2017, ecc. per dare forza alla tesi. Purtroppo non c’è ancora un intervento delle Sezioni Unite su questo punto specifico in materia di leasing.
Conseguenze e rimedi:
- La nullità di pattuizioni anatocistiche fa sì che il debitore debba pagare solo interessi semplici. Se aveva pagato in passato importi anatocistici, ha diritto di ripetizione. In pratica, se il giudice concorda che la metodologia di calcolo ha indebitamente generato interessi composti non pattuiti regolarmente, disporrà un ricalcolo del piano di ammortamento con ammortamento a interessi semplici (senza capitalizzazione). Questo di solito porta a una lieve riduzione del montante dovuto, a vantaggio del debitore.
- Anatocismo e usura: spesso la questione anatocistica viene affrontata insieme all’usura. Eliminare la parte di interesse composta a volte può far scendere il TEG sotto soglia. Quindi può essere un passaggio in subordine: se il giudice non vuole dichiarare usura perché il superamento soglia è piccolo e forse dovuto a calcolo di composto, può comunque ridurre gli interessi eliminando la capitalizzazione. In ogni caso, anche se non c’è usura, l’anatocismo di per sé è illegittimo se non rientra nelle eccezioni di legge. Quindi il debitore potrebbe ottenere almeno la caducazione di quell’effetto moltiplicatore.
- Nell’aspetto pratico, se si elimina anatocismo, i canoni già pagati in eccesso potrebbero essere considerati come comprensivi di una quota capitale maggiore. Quindi il debito residuo si riduce.
- Esempio: se in 5 anni un leasing ha generato €2.000 di interessi anatocistici oltre gli interessi semplici, il giudice potrebbe detrarre quei €2.000 dal dovuto dell’utilizzatore.
Esempio pratico: Beta spa ha un leasing immobiliare decennale da €1 milione al tasso nominale annuo 6%, rate trimestrali costanti (piano alla francese). Dopo 5 anni, Beta è in difficoltà e scopre che il TAEG effettivo era ~6.18% per via del regime composto trimestrale. Beta sostiene che sta pagando interessi su interessi. In giudizio, il CTU accerta che non vi sono clausole esplicite di capitalizzazione periodica (quindi niente anatocismo convenzionale), ma calcola l’ammontare di interessi “composti” pagati. Il giudice potrebbe non definire illegittimo il piano francese in sé; tuttavia, se Beta ha anche eccepito usura, potrebbe emergere un TEG del 6.18% a fronte di soglia 6.1%, quindi leggermente oltre. Il giudice allora riconosce che tale superamento è dovuto alla capitalizzazione infratrimestrale (anatocismo di fatto) e, pur non dichiarando usura piena, riduce gli interessi dovuti eliminando la componente anatocistica: ordina di ricalcolare gli interessi come se fossero calcolati in modo lineare (per semplificare, come se fossero conteggiati su base trimestrale senza comporre). Ciò può equivalere a ridurre il tasso effettivo al 6% lineare. Beta ottiene così uno sconto sugli interessi futuri e forse un rimborso minimo sugli interessi già pagati in eccesso. Non è un azzeramento, ma un alleggerimento del debito.
5. Clausole vessatorie o abusive (per il consumatore) e clausole penali eccessive
Descrizione del vizio: Il contratto di leasing è spesso predisposto dal concedente in moduli standard. Ciò implica la possibile presenza di clausole squilibrate a sfavore dell’utilizzatore, specialmente se quest’ultimo è un contraente debole (consumatore o piccola impresa con scarsa capacità di negoziazione). Alcuni esempi tipici di clausole potenzialmente vessatorie o nulle:
- Clausole di esonero/limitazione di responsabilità del concedente: es. “Il concedente non risponde in alcun modo dei vizi del bene, né dei ritardi o mancata consegna da parte del fornitore scelto dall’utilizzatore”. Questa clausola è comune (il leasing tende a scaricare sull’utilizzatore i rischi del bene, dovendo questi rivalersi sul fornitore). Tuttavia, se l’utilizzatore è consumatore, una clausola che escluda totalmente la responsabilità del professionista per inadempimenti contrattuali può essere vessatoria (art. 33 co.2 lett. b Cod. Consumo). Inoltre, anche in ambito B2B, una completa manleva potrebbe essere contraria a buona fede se ad esempio il concedente, pur sapendo di problemi sul bene, tace. Va detto però che sul punto la legge 124/2017 non ha risolto del tutto: essa prevede che l’utilizzatore possa agire verso il fornitore per difetti salvo patto contrario, ma consente di pattuire diversamente. In caso di assenza di pattuazioni, la giurisprudenza ha riconosciuto all’utilizzatore certi diritti verso il concedente (Trib. Cassino 25/1/2017, per un leasing di auto mai consegnata, ha ritenuto responsabile il concedente che non aveva attivato la risoluzione col fornitore). Quindi certe esenzioni assolute potrebbero essere ridimensionate dal giudice.
- Clausola risolutiva espressa e decadenza dal beneficio del termine: Spesso nel contratto c’è una clausola che stabilisce la risoluzione automatica se l’utilizzatore ritarda il pagamento anche di una sola rata o comunque al primo sintomo di insolvenza (es. “mancato pagamento di un solo canone – o altra obbligazione – comporta decadenza dal termine e facoltà di risoluzione anticipata del contratto”). Dopo la L.124/2017 queste clausole devono fare i conti con la soglia di grave inadempimento: non è più possibile risolvere per un ritardo minimo. Infatti, il comma 137 funge da norma imperativa: eventuali clausole risolutive più severe (“risoluzione dopo 1 rata”) dovrebbero considerarsi nulle nella parte in cui riducono la soglia legale, poiché la legge prevede che sotto 4-6 rate non pagate non si possa considerare grave inadempimento. Quindi tali patti vanno riletti come risoluzione al raggiungimento delle soglie di legge. Per contratti pre-2017, la clausola risolutiva espressa anticipata veniva comunque sindacata ex art.1455 c.c. (importanza dell’inadempimento): i giudici spesso negavano la risoluzione per pochi giorni di ritardo o somme irrisorie, ritenendo quella clausola “eccessiva”. Dunque un debitore può difendersi invocando che il ritardo non è “grave” ai sensi di legge. In ambito consumer, clausole che danno facoltà di risoluzione immediata per inadempimenti lievi del consumatore sono presumibilmente vessatorie (art. 33 co.2 lett. f: decadenze eccessive).
- Clausola penale in caso di risoluzione: Questa è cruciale. Tipicamente, i contratti di leasing prevedono che, in caso di risoluzione anticipata per inadempimento dell’utilizzatore, questi perda tutte le somme pagate e debba pagare tutte le restanti in linea capitale, magari scontate, come penale. Ad esempio: “in caso di risoluzione il concedente tratterrà i canoni incassati a titolo di indennità e l’utilizzatore dovrà versare i canoni a scadere scontati al tasso X, detratto quanto ricavato dalla ricollocazione del bene” (patto di deduzione). Questa clausola, se ben formulata, in realtà rispecchia oggi il meccanismo legale (vedi sopra patto marciano): prevedere la detrazione del ricavato della vendita del bene è fondamentale per la validità. Infatti, Cassazione 2025 (ord. n.588) ha confermato che è coerente con l’art.1526 c.c. una penale che acquisisce i canoni pagati ma detrae dal dovuto l’importo ricavato dalla futura vendita del bene. Diversamente, è contraria alla legge la clausola che consente al concedente di incamerare, oltre all’intero credito residuo, anche il valore del bene senza conguaglio, realizzando un arricchimento ingiustificato. In tali casi la clausola penale va dichiarata nulla o quanto meno va ridotta dal giudice ex art.1384 c.c. per evitare lo squilibrio. Prima della riforma, molti contenziosi vertevano proprio su questo: se la clausola penale del leasing traslativo non contemplava restituzioni, i giudici applicavano art.1526 c.c. in via analogica, imponendo il conguaglio del valore del bene. Ora, con la norma 2017, tali clausole devono essere lette come soggette all’obbligo di conguaglio. Dunque, un debitore oggi può dire: anche se il mio contratto (post-2017) non lo dice espressamente, la legge impone che dopo aver ripreso il bene la società di leasing mi restituisca l’eventuale eccedenza del ricavato sul debito. Se la società pretende tutto senza vendere il bene o senza restituire nulla, è in difetto.
- Altre clausole potenzialmente vessatorie: foro competente diverso (per il consumatore è nullo di regola se fuori dal suo domicilio), esclusione del diritto di compensazione da parte dell’utilizzatore, facoltà del concedente di modificare unilateralmente condizioni economiche, obblighi eccessivi a carico dell’utilizzatore (es. mantenere polizze assicurative solo presso compagnie indicate dal concedente, ecc. – possibili violazioni antitrust), etc.
Come dimostrarlo:
- Nel caso di consumatore, la dimostrazione è spesso intrinseca: si tratta di condizioni generali predisposte, non trattate individualmente (far emergere che il cliente non ha potuto negoziarle). Per la vessatorietà basta in teoria rientrare nelle categorie dell’art. 33 Cod. Consumo. Si può depositare il contratto e evidenziare le clausole incriminate, spiegando perché squilibrano il rapporto. Ad esempio, per la clausola floor, si può argomentare che “non dà al consumatore alcun beneficio correlato e lo penalizza solo lui – squilibrio evidente”.
- Per un professionista/P.M.I., invocare vessatorietà non è possibile ai sensi del Codice del Consumo, ma si può comunque sostenere la nullità per illiceità della causa di singole clausole se veramente abnormi (es. patto commissorio implicito, visto sopra) o chiedere la riduzione equitativa (per penali, art.1384). Anche i principi di buona fede e correttezza possono essere invocati: es. un eccesso di garanzie per il concedente a fronte di obblighi tutti a carico dell’utilizzatore può essere letto come contrario a buona fede contrattuale.
- Prova in giudizio: spesso non c’è bisogno di prova testimoniale, è questione di interpretazione legale. Se c’è dubbio su come operi la clausola penale, a volte viene disposta CTU per calcolare l’arricchimento. Ad esempio, nel caso di clausola penale, il CTU può quantificare: quanti canoni l’utilizzatore perderebbe e qual è il valore del bene ripreso, per vedere se c’è sproporzione rispetto al danno del concedente. Questa analisi è stata fatta in molti casi: se risulta che la penale supera il danno, il giudice può ridurla.
Conseguenze e rimedi:
- Nullità clausole vessatorie (consumer): la clausola viene eliminata e il contratto resta in vigore senza di essa (art. 36 Cod. Cons.). Ad esempio, se è dichiarata nulla la clausola di foro esclusivo, il consumatore potrà agire davanti al suo giudice naturale nonostante quella scritta. Se è nulla la clausola floor, si applicherà la variante più favorevole al consumatore (tasso variabile intero senza floor).
- Nullità o inesigibilità clausole penali eccessive: il giudice può o eliminarle del tutto o ridurle ad equità (art. 1384 c.c.). Spesso i giudici riducono la pretesa del concedente alla differenza tra credito e valore del bene (cioè di fatto applicano l’equo compenso ex 1526 c.c. o il patto marciano). Se la clausola prevedeva che il debitore pagasse, per dire, €50.000 di penale, ma il bene restituito vale €30.000, il giudice può decurtare la penale di quell’importo, o dichiarare che la clausola va intesa già così. In alcuni casi, la nullità per patto commissorio di un lease-back ha portato all’inopponibilità dell’operazione: es. l’azienda riotteneva il bene e restituiva il finanziamento ricevuto, sciogliendo il contratto.
- Risoluzione del contratto: se la clausola vessatoria riguarda un aspetto centrale (tipo un aggravio improprio), il consumatore potrebbe anche chiedere la risoluzione per inadempimento o annullamento per vizio del consenso (se fu indotto da clausole abusive a sottoscrivere). Tuttavia, la strada più comune è conservarlo rimuovendo la clausola.
Esempio pratico 1 (consumatore): Mario, consumatore, stipula un leasing auto. Il contratto contiene: clausola di foro competente Milano (Mario risiede a Napoli), una clausola che dice che non può sospendere i pagamenti neanche se l’auto presenta vizi gravi (dovendo rivolgersi solo al concessionario), e una clausola floor 1% sul tasso variabile senza cap. Mario scopre che queste clausole possono essere vessatorie. In caso di lite, il giudice:
- Dichiara nulla la clausola di foro: Mario può fare causa a Napoli.
- Valuta la clausola “paghi anche se l’auto è difettosa”: può considerarla nulla ex art.33 Cod. Consumo lett. t) (esclusione di eccezioni, poiché limita i diritti del consumatore in caso di inadempimento altrui). Ciò consentirebbe a Mario di eccepire i vizi del bene come causa di sospensione dei pagamenti, nonostante il testo del contratto.
- Clausola floor: riconosciuta vessatoria perché crea squilibrio (evita che Mario goda dei tassi bassi, senza vantaggi corrispettivi). Quindi la elimina: il tasso di Mario verrà ricalcolato ignorando il floor (ha diritto agli interessi più bassi quando Euribor <1%).
Risultato: il contratto di leasing rimane, ma Mario ottiene un rimborso per gli interessi pagati in più durante il periodo in cui era attivo il floor, e potrà sospendere i pagamenti se riesce a dimostrare un grave vizio dell’auto (finché il giudice non decide diversamente).
Esempio pratico 2 (leasing traslativo penale): La Alfa spa aveva un leasing traslativo su un macchinario del valore iniziale €100.000, riscatto simbolico €1. Dopo aver pagato €60.000 in canoni, Alfa spa fallisce e il contratto si risolve. La clausola penale del contratto prevede che “tutti i canoni pagati restano acquisiti dal concedente a titolo di indennità e l’utilizzatore deve pagare tutti i canoni residui attualizzati, senza ulteriore obbligo di conguaglio”. Il concedente vende poi il macchinario recuperato a €50.000. Se quella clausola operasse letteralmente, il concedente incasserebbe: €60k già presi + (€40k attualizzato ~ €35k) dai crediti residui + €50k dalla vendita = totalizzerebbe €145k a fronte di un credito originario di €100k, arricchendosi di €45k. La Cassazione (nel 2025, caso simile) ha affermato che clausole del genere contrastano con l’art. 1526 c.c. perché consentono un arricchimento ingiustificato e vanno ritenute nulle. Dunque, il curatore di Alfa spa in opposizione allo stato passivo contesta la clausola: la Corte d’Appello conferma che il concedente aveva diritto a trattenere solo equo compenso e non tutto, e dispone che dalla liquidazione del concedente va stornato il surplus. In pratica, al concedente viene riconosciuto solo: capitale residuo €40k – ricavato vendita €50k = nulla a credito (anzi dovrebbe restituire €10k all’azienda, ma essendo fallita andrà al fallimento). I canoni incassati €60k li tiene come corrispettivo uso (equo compenso). L’eccedenza viene eliminata. Questo esempio riflette esattamente l’applicazione di 1526 c.c. analogica che i giudici fanno in assenza di disciplina, e che ora con la legge 2017 sarebbe anche obbligo normativo.
Tutele pratiche del debitore e strategie (punto di vista dell’utilizzatore)
Abbiamo illustrato i vari vizi; ma come può agire concretamente un debitore di leasing per far valere i propri diritti? Ecco alcune indicazioni pratiche:
- Contestazione stragiudiziale e richiesta di rinegoziazione: Appena il debitore ravvisa un’irregolarità (es. scopre usura o costi occulti), può inviare un reclamo scritto alla società di leasing esponendo le proprie ragioni e chiedendo un rimedio (ricalcolo del piano, restituzione di somme, ecc.). Le banche/finanziarie hanno per legge un ufficio reclami tenuto a rispondere entro 60 giorni. Se la risposta è negativa o insoddisfacente, per i clienti consumatori o piccole imprese è spesso previsto il ricorso all’Arbitro Bancario Finanziario (ABF). Ad esempio, l’ABF ha deciso su molte questioni di leasing (vedi ABF Napoli 6646/2017 sul TAEG nel leasing) e rappresenta una via più rapida ed economica del giudizio. Il debitore può allegare perizie e documenti al ricorso ABF. L’arbitro emette decisioni non vincolanti ma generalmente rispettate dagli intermediari, pena segnalazione pubblica.
- Azione giudiziale ordinaria: In caso di importi elevati o complessità, spesso è necessario agire in tribunale. L’utilizzatore può promuovere:
- Azione di accertamento negativo/ripetizione: chiedere che si accerti la nullità di clausole (interessi, penali…) e si condanni la banca a restituire gli importi indebitamente percepiti. Questa è tipica se il leasing è già finito o se comunque vuole regolarsi l’aspetto economico.
- Opposizione a decreto ingiuntivo: se la società di leasing, in caso di morosità, ottiene decreto per canoni o penale, l’utilizzatore oppone e in quella sede fa valere usura, nullità clausole, ecc. (es. Trib. Roma 4/5/2018, opposizione a DI per risoluzione: il giudice ha ridotto ad equità la penale e rilevato usura nella mora).
- Domanda riconvenzionale in risoluzione: se è il debitore a voler sciogliere il contratto perché ad esempio il bene è inutilizzabile e il concedente non coopera con il fornitore, può chiedere in giudizio la risoluzione del leasing per inadempimento del concedente/fornitore (ipotesi rara ma possibile, come visto in Trib. Cassino 2017).
- CTU e consulenze di parte: È quasi sempre determinante far svolgere una perizia econometrica. L’utilizzatore può incaricare un consulente di fiducia (ingegnere finanziario, commercialista) per redigere una perizia tecnica di parte (PTP) che evidenzi gli extracosti, i tassi effettivi, i superamenti di soglia, ecc. Tale perizia, allegata agli atti, farà da base per la CTU ufficiale. Consigliabile scegliere consulenti con esperienza bancaria, perché spesso le banche portano proprie analisi contrarie.
- Segnalazioni alle Authority: In parallelo, specie per clausole vessatorie verso consumatori, si può segnalare la questione all’AGCM (Antitrust) per pratiche commerciali scorrette o clausole abusive nei contratti standard. L’AGCM ha il potere di sanzionare le società e talora ottiene che queste modifichino i modelli contrattuali. Anche l’IVASS se riguarda polizze abbinate, o la Banca d’Italia per violazioni di trasparenza, possono essere destinatari di esposti.
- Sospensione delle rate: Attenzione a come muoversi: se il leasing è in corso e il debitore autonomamente smette di pagare sostenendo di aver riscontrato usura o vizi, rischia la risoluzione per inadempimento (a meno che i vizi non riguardino proprio la fornitura del bene, es. bene inutilizzabile, in quel caso la sospensione può essere giustificata). È preferibile cercare tutele giudiziarie (ad es. chiedere al giudice un provvedimento d’urgenza per sospendere pagamenti in caso di evidenti gravi anomalie, oppure accordarsi temporaneamente col concedente). Dopo la soglia di 4 o 6 rate non pagate, il concedente può legittimamente risolvere, dunque il debitore non dovrebbe oltrepassarla senza una strategia legale in atto. Meglio pagare con riserva e poi agire per ripetere l’indebito, piuttosto che incorrere in decadenze.
- Rinegoziazione e piani di rientro: Dal punto di vista pratico, a volte sollevare certe eccezioni consente al debitore di ottenere un accordo. Le società di leasing, di fronte al rischio di perdere tutti gli interessi per usura o di dover affrontare lunghe cause, possono accettare una transazione: ad esempio ridurre il debito residuo, eliminare penali, diluire i pagamenti. È sempre bene coinvolgere un legale esperto in diritto bancario per condurre queste trattative, facendo leva sui punti deboli del contratto.
Aspetti fiscali e tributari del leasing irregolare
Dal punto di vista fiscale, il leasing finanziario presenta peculiarità sia in condizioni normali sia quando vi siano vicende patologiche (risoluzioni anticipate, nullità di clausole, ecc.). Comprendere gli effetti fiscali è importante per imprenditori e professionisti che utilizzano il leasing, in modo da non incorrere in sgradite sorprese con il Fisco a seguito di una vertenza sul leasing. Di seguito alcuni punti chiave aggiornati:
1. Deducibilità dei canoni e durata minima fiscale:
Per le imprese (soggetti IRES o IRPEF autonomi), i canoni di leasing sono deducibili a titolo di costo d’esercizio. Fino al 2013 vigevano rigide durate minime contrattuali ai fini fiscali (es. minimo 8 anni per leasing immobili, minimo 2/3 del periodo di ammortamento per beni mobili) – se il contratto era più breve, i canoni non erano deducibili interamente. Dal 2014 la normativa è cambiata: la durata minima non è più un vincolo di validità della deduzione, ma serve a scaglionare la deducibilità. In pratica, se un leasing ha durata inferiore a quella “minima fiscale”, l’impresa può comunque dedurre i canoni, ma li deve spalmare come se la durata minima fosse rispettata (quindi deduzione più lenta). Se invece la durata contrattuale è >= minima fiscale, deduce i canoni per competenza normalmente. Ad esempio, per macchinari con coefficiente di ammortamento 20% (5 anni ammortamento), durata minima fiscale leasing sarebbe 5* (il 50%) = 2.5 anni; se un leasing dura 2 anni, l’azienda dovrà dedurre i canoni su 2.5 anni comunque, differendo una parte a dopo la scadenza (in pratica deduce solo la quota corrispondente a 2.5 anni). Se il leasing è risolto anticipatamente, la circolare AdE chiarisce che rileva la durata originaria per valutare la deduzione, e che l’estinzione anticipata di per sé non implica elusione. Dunque i canoni già dedotti restano dedotti, e l’eventuale maxicanone non ancora dedotto interamente (per via dei risconti) può essere dedotto immediatamente nell’esercizio di risoluzione come costo residuo. Questo è importante: se il contratto viene annullato o risolto, l’impresa non perde le deduzioni fatte prima (non deve restituire nulla al fisco).
2. Trattamento fiscale delle somme in caso di risoluzione o rinegoziazione:
- Se il leasing si risolve anticipatamente per inadempimento, e l’utilizzatore paga una penale finale (differenza canoni, etc.), tale importo per l’impresa utilizzatrice è deducibile come costo nell’esercizio in cui è sostenuto, in quanto configurabile come perdita su contratto (sopravvenienza passiva deducibile). Ad esempio, se Alfa paga €10.000 come saldo risolutivo, lo deduce tutto subito.
- Se invece la società di leasing restituisce qualcosa all’utilizzatore (ad es. surplus ricavato dalla vendita del bene), per l’utilizzatore quello è un provento tassabile (sopravvenienza attiva) nell’esercizio in cui lo percepisce. È logico: prima aveva dedotto canoni pieni, ora se gliene tornano indietro, deve tassarli.
- In caso di sconto o rinegoziazione del debito (ad esempio la finanziaria condona parte dei canoni residui in un accordo transattivo), l’importo condonato potrebbe configurare una sopravvenienza attiva tassabile per l’utilizzatore (se aveva dedotto i costi originari). Tuttavia, se è un consumatore o ente non commerciale, questo rilievo non c’è.
- Iva: i canoni di leasing sono assoggettati ad IVA (per beni mobili l’IVA è al 22%, per immobili strumentali 22% salvo esenzioni, per immobili abitativi generalmente esente IVA salvo opzione). Se il contratto si risolve e alcuni canoni restano impagati, la società di leasing potrà emettere nota di credito IVA per recuperarli, e l’utilizzatore dovrà rettificare la detrazione relativa (ossia restituire l’IVA che si era detratto su quei canoni mai pagati). Inoltre, sull’eventuale importo finale addebitato a saldo (penale) di solito viene applicata l’IVA perché considerato parte del corrispettivo contrattuale; c’è però dibattito se la penale per risoluzione abbia natura risarcitoria fuori campo IVA – in generale le società di leasing applicano IVA anche sulle penali contrattuali, e l’utilizzatore detrae quell’IVA se ne ha diritto.
- Bene non riscattato: se il leasing termina senza riscatto, il bene non entra mai nel patrimonio dell’utilizzatore, quindi l’utilizzatore non ha da contabilizzare né ammortamenti né plus/minusvalenze. Tutto rimane “a livello di conto economico” coi canoni. Questo significa che se l’utilizzatore aveva una aspettativa di riscatto con futura rivendita, quell’operazione non avverrà e non avrà impatto fiscale, salvo il conguaglio canoni già discusso.
3. Impatto delle irregolarità contrattuali sul fisco:
- Interessi indebiti restituiti: se in sede di causa la società di leasing deve restituire all’utilizzatore degli interessi pagati in eccedenza (per usura o nullità della clausola), come tratta fiscalmente l’utilizzatore questo incasso? In genere, se quell’utilizzatore è impresa che aveva dedotto gli interessi passivi quando li pagò, ora la restituzione costituisce un provento tassabile (recupero di costo dedotto). Tecnicamente è una sopravvenienza attiva imponibile ex art. 88 TUIR. Quindi, l’azienda debitore vince la causa e riceve ad esempio €5.000 di interessi da restituire: dovrà contabilizzarli come ricavo straordinario tassato nell’anno. Di contro, la società di leasing probabilmente li dedurrà come onere straordinario (perdita) su sua sponda.
- Nullità parziale del contratto: se la clausola di interessi è nulla e si ricalcola il piano al tasso BOT, ciò riduce gli interessi passivi per l’utilizzatore. Fiscalmente, l’utilizzatore aveva magari dedotto interessi più alti, ora di fatto non li deve: bisognerebbe rettificare. In pratica, probabilmente avviene come sopra: la differenza viene resa e tassata come sopravvenienza attiva. Non è previsto un meccanismo specifico, ma la logica di tassazione dei recuperi di costo copre il caso.
- Spese legali: le spese peritali e legali sostenute dal debitore per difendersi in una causa di leasing sono deducibili (per un’azienda, come costo di gestione straordinaria; per un consumatore non rileva se non ai fini di eventuale detrazione se rientra tra quelle detraibili, ma di solito no salvo alcuni casi di spese legali per risarcimenti).
- Leasing abitativo privati – detrazioni IRPEF: Un caso speciale: la Legge di Stabilità 2016 (L.208/2015) ha introdotto per i privati (non esercenti imprese) forti incentivi fiscali per l’acquisto della prima casa tramite leasing. Questi incentivi sono tuttora applicabili (prorogati oltre la scadenza iniziale del 2020). In sintesi, chi stipula un contratto di locazione finanziaria abitativa per la prima casa può godere di:
- Detrazione IRPEF del 19% sui canoni e relativi oneri accessori, fino a €8.000 annui di importo (quindi max €1.520 di detrazione l’anno) se ha meno di 35 anni; il limite scende a €4.000 annui (detrazione max €760) se ha 35 anni o più.
- Detrazione IRPEF del 19% sul costo di riscatto finale, fino a €20.000 se under-35 (quindi max €3.800 detraibili nell’anno di riscatto) o fino a €10.000 se over-35 (max €1.900).
- Imposta di registro ridotta all’1,5% (anziché 2% o 9%) sull’acquisto finale della casa tramite riscatto, equiparando alle agevolazioni prima casa..
- Requisiti: non essere proprietari di altre case, reddito < €55.000.
Queste detrazioni rendono il leasing prima casa attraente. Dal punto di vista del “leasing irregolare”, se un privato ha fruito di tali detrazioni e poi il contratto viene risolto anticipatamente o annullato, potrebbe dover rinunciare parzialmente al beneficio. Ad esempio, se non riscatta più la casa perché il leasing è risolto, ovviamente non potrà detrarre la quota di riscatto (che non paga). I canoni già detratti restano validi se effettivamente pagati nei periodi d’imposta, salvo che li recuperi indietro: se la banca restituisce qualche canone, il privato dovrebbe teoricamente riliquidare la detrazione di quell’anno restituendo il 19% di quanto detratto su somme non effettivamente rimaste a suo carico. Ma sono casistiche limitate, da valutare con il CAF/commercialista.
In generale, il fisco “segue” l’andamento del contratto: se il leasing va liscio, l’impresa deduce i costi secondo le norme; se il leasing si interrompe o viene ricalcolato, si fanno conguagli fiscali (deduzioni extra o tassazioni di recuperi). È fondamentale che un imprenditore, prima di intraprendere una causa sul leasing, coinvolga anche il proprio consulente fiscale per capire gli effetti: ad esempio, recuperare interessi usurari può portare liquidità ma anche un’imposta da pagare su quella liquidità recuperata (in quanto diviene reddito tassabile). Comunque, i vantaggi economici di eliminare clausole illegittime di solito superano l’eventuale costo fiscale su somme restituite.
Domande Frequenti (FAQ) su leasing illegittimo e tutela del debitore
D: Quali sono i segnali che un contratto di leasing potrebbe essere irregolare o illegittimo?
R: Ci sono vari campanelli d’allarme. Ad esempio, se sul contratto di leasing non è chiaramente indicato il tasso effettivo globale o il piano di ammortamento, oppure se l’importo delle rate è aumentato rispetto al previsto senza chiara spiegazione (indice di clausole di indicizzazione poco trasparenti). Altri segnali: un tasso di mora molto elevato (potenzialmente usurario), clausole che appaiono estremamente penalizzanti (es. “perdi tutto quanto pagato in caso di ritardo”), o ancora costi iniziali occultati (commissioni non menzionate nel TAEG). Anche un TAN insolitamente basso a fronte di rate alte può indicare che ci sono spese non dichiarate. In generale, se il leasing risulta più oneroso di quanto inizialmente compreso, conviene farlo analizzare da un esperto per scoprire eventuali irregolarità nei tassi o nelle clausole.
D: Ho scoperto che il tasso effettivo del mio leasing supera il tasso soglia usura. Posso smettere di pagare gli interessi?
R: Attenzione: non è consigliabile interrompere i pagamenti unilateralmente senza un accordo o una pronuncia. Se effettivamente c’è usura originaria (tasso contrattuale oltre soglia), hai diritto a non pagare gli interessi, ma la via corretta è far accertare tale condizione in sede legale. Puoi però scrivere alla banca contestando formalmente l’usura e chiedendo il ricalcolo del piano senza interessi (o con interessi legali). La banca difficilmente accetterà subito, ma la tua contestazione servirà come prova che sollevi il problema. Nel frattempo, è prudente continuare a pagare i canoni (magari in riserva ossia segnalando che paghi salvo conguaglio finale per usura) fino a quando un giudice non dichiara la nullità della clausola di interessi. Se smetti di pagare del tutto, rischi la risoluzione del contratto e un’azione ingiuntiva, complicando la vicenda. L’ideale è presentare un ricorso (es. in via d’urgenza ex art.700 c.p.c., se ci sono i presupposti di gravità e urgenza) per bloccare gli interessi in corso, oppure far valere l’usura in un’opposizione a decreto se la banca ingiunge. In breve, sì hai diritto a non pagare interessi usurari, ma assicurati che ciò venga formalizzato legalmente per evitare di passare dalla parte del torto (come inadempiente).
D: Il bene in leasing presenta difetti o il fornitore è inadempiente. Posso rifiutarmi di pagare i canoni?
R: Questa è una situazione difficile. In teoria, nel leasing finanziario classico, i rischi legati al bene (vizi, difetti, mancata consegna) sono a carico dell’utilizzatore, che dovrà rivalersi sul fornitore, mentre verso il concedente deve continuare a pagare. Molti contratti prevedono espressamente che “l’utilizzatore rinuncia a eccepire eccezioni relative ai rapporti col fornitore” al fine di non pagare i canoni. Tuttavia, se il bene è totalmente inutilizzabile o non consegnato, potresti avere titolo per sospendere i pagamenti, invocando l’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.) verso il concedente, specie se questi ha omesso di tutelarti verso il fornitore. La legge 124/2017 suggerisce che l’utilizzatore ha facoltà di chiedere l’esecuzione del contratto di fornitura se il bene non arriva. Quindi, prima cosa: metti in mora sia il fornitore sia la società di leasing, denunciando i vizi o la mancata consegna e chiedendo rimedio. Se nulla cambia, puoi tentare di sospendere i canoni, motivando per iscritto che lo fai perché il bene è inutilizzabile per colpa del fornitore (e allegando le prove, per es. perizia che attesta il difetto grave). Preparati però alla reazione della società di leasing, che potrebbe dichiarare la risoluzione per tuo inadempimento. A quel punto, la questione verrà verosimilmente decisa in tribunale: dovrai dimostrare che la gravità del difetto giustificava la sospensione. Ci sono precedenti in cui il giudice ha dato ragione all’utilizzatore, soprattutto se il concedente era a conoscenza del vizio e nonostante ciò pretendeva i canoni. In ogni caso, questa strada è rischiosa: meglio cercare di coinvolgere il concedente come alleato per farsi sostituire il bene o ottenere sconti, anziché arrivare allo scontro frontale.
D: In caso di risoluzione del leasing per inadempimento, cosa posso fare per evitare di pagare penali esorbitanti e perdere tutto?
R: La legge oggi è dalla tua parte: se hai già pagato molti canoni e il bene ha ancora valore, la società di leasing non può tenere sia i soldi che il bene senza conguaglio. Assicurati che il concedente segua la procedura corretta:
- Restituisci il bene entro i termini richiesti (evitando altre penali per ritardo nella riconsegna).
- Chiedi formalmente che il bene sia venduto o ricollocato a valori di mercato e che ti sia fornito un rendiconto.
- Secondo la L.124/2017, hai diritto a essere informato sulla vendita e sulle valutazioni fatte. Puoi anche indicare un perito di fiducia per stimare il bene.
- Una volta venduto, se il ricavato meno le spese supera il tuo debito residuo (capitale ancora dovuto + canoni scaduti + opzione), la differenza ti spetta indietro.
Se il concedente non rispetta questo e pretende l’intero importo finanziato senza vendere il bene o senza restituirti nulla, mettilo in mora richiamando l’art. 1 co.138 L.124/2017. In un eventuale giudizio o procedimento esecutivo, solleva la nullità della clausola penale e chiedi l’applicazione del patto marciano legale. Le ultime sentenze (Cass. 2025) sono molto chiare: ogni arricchimento oltre il proprio credito da parte del concedente è vietato. Quindi il giudice quasi sicuramente ti darà ragione moderando la penale. In pratica, se il concedente vuole €50k e ha il bene che vale €30k, al massimo ti condanneranno a pagare €20k. Ricorda poi che hai sempre la chance di trovare un accordo: spesso le società di leasing, pur di non affrontare lunghe cause, accettano soluzioni intermedie (ad es. paghi una parte del dovuto e finisce lì). Fai leva sulle sentenze e sulla legge per negoziare: sanno che se tirano troppo la corda, rischiano di doverti pure restituire qualcosa.
D: Che succede se un leasing viene dichiarato nullo o viene risolto? Devo restituire i benefici fiscali che ho avuto?
R: Dipende dal tipo di beneficio:
- Per un’impresa, i canoni leasing dedotti rimangono dedotti se il contratto era genuino. La risoluzione anticipata non richiede di restituire nulla al Fisco, a patto che la durata contrattuale iniziale rispettasse i criteri (vedi § fiscale). In caso di durata breve sotto il minimo, l’azienda avrebbe comunque dedotto in base alla durata minima, quindi anche se finisce prima, i costi non variano su base annua.
- Se in causa ottieni la restituzione di interessi o canoni, tecnicamente quell’entrata straordinaria sarà tassata come recupero di costi. Quindi non è una restituzione di benefici fiscali, ma pagherai le tasse su quel rimborso. Esempio: deducevi €10k di interessi che ora la banca ti restituisce – quei €10k diventano reddito tassabile. Quindi, indirettamente, perdi il beneficio fiscale sugli interessi perché li tassano quando li recuperi.
- Per un privato consumatore, la questione fiscale è minima perché di solito non ci sono deduzioni (tranne il caso leasing prima casa). Se avevi il leasing abitativo con detrazioni 19%, e il contratto si risolve prima del riscatto, mantieni comunque le detrazioni sui canoni pagati finché ne avevi diritto. Non le devi restituire allo Stato. Però se la società di leasing ti restituisce parte di quei canoni, in teoria non ne avevi diritto e l’Agenzia potrebbe chiederti di ricalcolare la detrazione spettante. Ad ogni modo, trattandosi di scenari non frequentissimi, è bene farsi consigliare dal proprio consulente fiscale quando succede.
- Infine, se il leasing viene proprio annullato come se non fosse mai esistito (ipotesi rara, ad es. nullità radicale per patto commissorio), fiscalmente si dovrebbe rimettere le parti nella situazione originaria: il Fisco potrebbe reclamare deduzioni fatte negli anni su un contratto inesistente. Tuttavia, questi casi si gestiscono di solito transando anche col fisco o con norme ad hoc. Nella pratica comune, si parla di nullità parziale o risoluzione: lì valgono le regole viste sopra, senza sanzioni fiscali particolari (a meno che non si configuri un abuso del leasing a fini elusivi, ma se sei in buona fede non è questo il punto in un leasing contestato per tassi/clausole).
D: Conviene intraprendere azioni legali per queste irregolarità? I costi legali non rischiano di superare i benefici?
R: La convenienza dipende dall’entità delle somme in ballo e dalla tua situazione. Se ritieni di aver pagato decine di migliaia di euro in più (ad esempio per tassi usurari o clausole nulle), allora intraprendere un’azione può recuperare buona parte di quei soldi – in genere vale la pena. Anche come strategia difensiva: se sei moroso e la banca ti chiede €100k, contestando puoi ridurre il dovuto forse a €50k, evitando magari un fallimento. Certo, le cause legali hanno costi (avvocato, perizie) e durano anni. È cruciale farsi fare una stima preventiva da un esperto: ad esempio, con un’analisi preliminare il consulente può dirti “hai pagato €20k di interessi, secondo me €5k sono usurari e €3k anatocistici”. Su quella base valuti. Spesso, solo minacciare azioni ben argomentate porta a una trattativa: potresti ottenere uno sconto sul debito senza arrivare a sentenza (risparmiando tempo e spese). Ricorda che se vinci la causa, in linea di massima la controparte è condannata a pagare le spese legali e di CTU, quindi il costo ti ritorna. Se però la contestazione è pretestuosa o non provata, rischi di pagarle tu. Quindi valuta con l’avvocato le chance: se sono buone (giurisprudenza a favore, numeri chiari), l’azione ha ottima probabilità di convenire economicamente. Per importi modesti (es. <€5.000 di danno) forse non conviene fare causa lunga: meglio tentare ABF o accordo transattivo. Ultimo fattore, non monetario: far valere i tuoi diritti ha anche un valore di principio e di pulizia del sistema, scoraggiando pratiche scorrette degli intermediari.
D: In quali casi un contratto di leasing può essere dichiarato nullo interamente, e con quali effetti?
R: La nullità totale è rara, perché i giudici tendono a mantenere il contratto in vita espungendo solo le clausole illegittime (nullità parziale). Tuttavia, potrebbe accadere se manca un elemento essenziale o se l’operazione è illecita nella causa. Esempi:
- leasing simulato per coprire un patto commissorio (es. sale & lease-back usato solo per garantire un prestito): se riconosciuto, l’intera operazione è nulla per illiceità causa (violazione art.2744 c.c.). Effetto: le parti vanno rimesse in stato quo ante. Il concedente deve restituire il bene e l’utilizzatore restituire il denaro ricevuto (con eventuale interesse legale).
- Nullità per contrarietà a norme imperative finanziarie: se il leasing incorporava un derivato non autorizzato e questo era inseparabile dalla causa, si potrebbe argomentare nullità ex art.1418 c.c. (ma finora non si registrano casi del genere portati a termine).
- Manca la forma scritta (improbabile, ma se contratto non fosse firmato da cliente): nullità assoluta art.117 TUB. Anche lì, si restituisce il bene e il capitale, e basta interessi.
Gli effetti tipici della nullità totale sono: l’utilizzatore deve restituire il bene (che non poteva acquisire validamente) e il concedente deve restituire all’utilizzatore tutti i canoni incassati, salvo diritto a un equo compenso per il godimento che l’utilizzatore ha avuto (spesso determinato equitativamente). Questo è simile a quanto avviene nell’art. 1526 c.c. difatti. Dunque alla fine, anche nella nullità totale spesso il risultato economico coincide con un rimborso di parte dei canoni.
Da notare: la nullità parziale (di singole clausole) non intacca il resto: es. clausola interessi nulla → contratto diventa “senza interessi” ma resta valido, come fosse a tasso zero. Clausola penale nulla → si applica disciplina legale. Quindi l’utilizzatore raramente riesce a liberarsi dall’obbligo di restituire il capitale finanziato: quel che può evitare o ridurre sono interessi e addebiti ulteriori. Una nullità totale potrebbe teoricamente far cadere anche l’obbligo di riscatto finale, ma tanto se il contratto è nullo, il bene resta al concedente, quindi il riscatto non avviene.
D: Quali sentenze recenti potrei citare per dare forza alla mia posizione di debitore in una causa di leasing?
R: Eccone alcune molto rilevanti (oltre a quelle citate nelle fonti di questa guida):
- Cass. Civ. Sez. III, ord. 10 gennaio 2025 n. 588 – conferma applicazione art.1526 c.c. ai leasing traslativi pre-2017 e nullità delle clausole che arricchiscono il concedente senza conguaglio.
- Cass. Civ. Sez. I, ord. 28 febbraio 2018 n. 4698 – caso di sale & lease-back: ha affermato la nullità per violazione divieto di patto commissorio se manca clausola marciana (la citazione in fonte riguarda la clausola marciana come requisito).
- Cass. Civ. Sez. III, 30 ottobre 2018 n. 27442 – sugli interessi di mora usurari: ribadisce che anche la mora soggiace alla legge usura e va confrontata con soglia appropriata (senza cumulo corrispettivi+moratori).
- Cass. Civ. Sez. III, 9 novembre 2020 n. 24992 – sull’usura: clausola di interessi moratori oltre soglia nulla, ma ciò non travolge gli interessi corrispettivi lecitamente pattuiti.
- Tribunale di Roma, sent. 23 giugno 2025 n. 9363 – leasing immobiliare: dichiarata nullità della clausola interessi per mancata indicazione tasso effettivo e piano, violazione art.117 TUB e 1346 c.c. (applicati tassi BOT).
- Cass. Civ. ord. 30 maggio 2025 n. 14575 – leasing: sottolinea l’importanza del piano di ammortamento e dell’ISC; afferma che l’assenza di piano può rendere nullo il contratto per indeterminatezza nonostante un tasso indicato.
- Tribunale di Milano, sent. 5 settembre 2024 n. 7889 – clausola floor senza cap in leasing: se utilizzatore è consumatore, clausola abusiva ex art.33 Cod. Consumo (in quel caso però utilizzatore era società, quindi non applicato, ma ribadito principio).
- Corte d’Appello di Torino, sent. 16 aprile 2018 – (non riportata sopra) caso noto: riscontrata difformità tasso leasing pattuito/applicato, applicata sanzione art.117 TUB con tasso BOT su tutto il rapporto.
- Corte d’Appello di Trieste, sent. 28 maggio 2018 – leasing in valuta: ritenuta la clausola di rischio cambio non meritevole di tutela e nulla per mancanza di trasparenza e squilibrio (derivato implicito).
- Cass. Civ. Sez. Un. 28 gennaio 2021 n. 2061 – (Sezioni Unite) ha risolto questione intertemporale: disciplina L.124/2017 non retroattiva; ribadito differenza traslativo/godimento per risoluzioni ante 2017, con restituzione canoni se traslativo (con equo compenso).
Citare queste pronunce – magari allegando i testi integrali principali – mostrerà al giudice che la tua tesi è fondata su precedenti solidi e aggiornati. Ovviamente bisogna selezionare quelle pertinenti al tuo caso specifico (es: se discuti di usura, citi quelle; se di clausola penale, Cass. 2025 ord.588; se di clausole floor, Trib. Milano 2024, etc.).
Riepilogo delle principali irregolarità e conseguenze (Tabella)
Di seguito una tabella riepilogativa che sintetizza le più comuni irregolarità nei contratti di leasing dal punto di vista del debitore, con i riferimenti normativi e gli effetti sul contratto:
Irregolarità/Vizio | Descrizione | Norme violate | Effetti/Rimedi per il debitore |
---|---|---|---|
Costo indeterminato (mancata trasparenza tassi) | Tasso leasing effettivo non chiaro (manca ISC/TAEG, nessun piano ammortamento allegato, discordanza TAN vs rate). L’utilizzatore non conosce il costo reale. | Art. 117 TUB (obblighi di indicazione tassi); Art. 1346 c.c. (indeterminatezza oggetto). | Nullità clausola interessi (corrispettivi e mora). Applicazione tasso sostitutivo (BOT 12 mesi) su interessi corrispettivi e tasso legale su mora. Restituzione degli interessi pagati in eccedenza come indebito. |
Clausola indicizzazione oscura | Formula di adeguamento tasso/canoni troppo complessa o con derivati impliciti (es. cambio valuta). Rischio aleatorio non evidenziato. | Art. 1346 c.c. (indeterminabilità); Art. 1322 c.c. (causa non meritevole, se sproporzionata). Se consumer: art. 33 Cod. Consumo (squilibrio). | Nullità clausola indicizzazione. Contratto ricalcolato senza di essa (tasso fisso base). Restituzione somme pagate in più per l’oscillazione. Se derivato implicito: possibile nullità per violazione TUF (non comune). |
Tasso corrispettivo usurario | TEG del leasing > soglia usura vigente alla stipula. Pattuizione in violazione L.108/96. | Art. 644 c.p. e art.1815 co.2 c.c. (usura originaria). | Nullità clausola interessi corrispettivi per usura. Nessun interesse dovuto sul capitale. Canoni ricalcolati al netto interessi; interessi già pagati recuperabili dall’utilizzatore. Eventuale rilevanza penale (usura) del concedente. |
Tasso di mora usurario | Interessi di mora pattuiti eccedono soglia usura (considerata separatamente, p.es. soglia corrispettivi + X). | L.108/96; art.1815 co.2 c.c. (applicato alle mora). | Nullità clausola interessi di mora. L’utilizzatore non paga interessi di mora (oltre eventualmente il tasso legale come danno). Clausola penale ridotta se basata su mora. Gli interessi corrispettivi restano dovuti se leciti. |
Anatocismo (interessi su interessi) | Presenza di capitalizzazione non autorizzata: mora calcolata anche su quota interessi; formula di ammortamento con interessi composti non convenuti chiaramente. | Art. 1283 c.c. (divieto anatocismo se non posticipato). Delibere CICR sul regime interessi. | Nullità pattuizione anatocistica. Ricalcolo interessi in regime semplice (no interesse su interesse). Riduzione dell’ammontare dovuto; interessi indebitamente capitalizzati rimborsati. |
Clausole vessatorie (consumer) | Clausole squilibrate non negoziate: esoneri responsabilità, facoltà unilaterali del finanziatore, floor unilaterale, foro lontano, decadenze anticipate, ecc.. | Art. 33-36 Cod. Consumo (clausole abusive). | Nullità delle clausole abusive (contratto resta valido senza di esse). Consum. non vincolato da quelle condizioni: es. può agire in tribunale competente, non subisce floor, ecc. Eventuale rimborso se clausola gli aveva causato esborso (es. interessi da floor). |
Clausola penale eccessiva (traslativo) | Clausola risolutiva che fa perdere all’utilizzatore tutti i canoni + pagamento di tutti i residui senza conguaglio valore bene. Arricchimento del concedente. | Art. 1526 c.c. analogia (vendita con riserva, equo compenso); Art. 1384 c.c. (eccesso penale); Principio divieto patto commissorio (se appropriazione bene senza conguaglio). | Nullità o riduzione della clausola penale. Si applica la regola del patto marciano: concedente trattiene canoni a compenso uso, ma deve dedurre ricavato bene dal suo credito. L’utilizzatore paga solo eventuale differenza. Se già pagato di più, ottiene restituzione eccedenza. Giudice può ridurre penale ex 1384 c.c. se manifestamente esosa. |
Patto commissorio (lease-back) | Operazione di sale & leaseback finalizzata solo a garantire un credito: il concedente di fatto si appropria del bene in caso di default. Manca clausola marciana. | Art. 2744 c.c. (divieto patto commissorio). | Nullità del contratto di leasing in toto (come schema elusivo). Si ristabilisce la situazione precontrattuale: il bene torna al debitore, il finanziamento va restituito al concedente (senza interessi usurari o con equo compenso uso bene). Possibile ridenominazione come mutuo garantito da ipoteca giudiziale sul bene. |
Nota: in tutti i casi di nullità parziale, il debitore deve attivarsi per farla dichiarare dal giudice (o riconoscere dalla controparte). La nullità opera ipso iure, ma spesso la controparte non la ammetterà spontaneamente. Inoltre, le pronunce giurisprudenziali citate orientano l’interpretazione: un giudice potrebbe ad es. preferire ridurre equamente una penale e non cassarla del tutto, a seconda delle circostanze.
Conclusioni
Il leasing finanziario, strumento di finanziamento ampiamente utilizzato da privati e imprese, può talora celare insidie contrattuali significative. Dal punto di vista del debitore è fondamentale conoscere i propri diritti e le difese a disposizione di fronte a un leasing irregolare o illegittimo. Grazie all’evoluzione normativa e giurisprudenziale degli ultimi anni (specialmente post-2017), molte clausole che un tempo gravavano pesantemente sull’utilizzatore oggi possono essere contestate con successo: tassi occulti possono portare alla restituzione di interessi (art. 117 TUB), interessi usurari possono essere spazzati via (art. 1815 c.c.), penali sproporzionate vengono ricondotte all’equo compenso (art. 1526 c.c. analogico e L.124/2017).
L’esperienza insegna che prevenire è meglio che curare: prima di firmare un leasing, leggere con attenzione o farsi assistere da un legale può evitare di trovarsi vincolati a condizioni capestro. Ma se il contratto è già in corso e sorgono problemi (difficoltà di pagamento, vizi del bene, costi inattesi), non bisogna esitare a far valere le tutele previste. Le Corti mostrano oggi una sensibilità maggiore verso l’utilizzatore, riconoscendo ad esempio che “la restituzione del bene locato e la detrazione del suo valore sono condizioni necessarie a mantenere l’equilibrio del contratto in caso di risoluzione”. Questo equilibrio è il filo conduttore: il leasing è sì un finanziamento, ma non deve mai divenire uno strumento di abuso o di arricchimento ingiustificato a danno del debitore.
In conclusione, se ritieni che il tuo leasing sia illegittimo su qualche fronte, agisci in modo informato: raccogli documenti, fatti supportare da consulenti tecnici e legali, e fai valere i tuoi diritti attraverso i canali opportuni (ABF, negoziazione, tribunale). Spesso il solo mostrare alla controparte di conoscere la materia e di essere pronto a dare battaglia induce un atteggiamento più conciliante. E laddove ciò non basti, le sentenze e le norme oggi offrono strumenti efficaci per ottenere giustizia, sia che tu voglia semplicemente pagare il giusto, sia che tu voglia liberarti da un contratto ormai insostenibile. Un leasing regolare deve essere un vantaggio per entrambe le parti; se così non è, l’ordinamento fornisce i mezzi per riequilibrare la bilancia dal lato del debitore.
Fonti e riferimenti normativi
- Codice Civile: artt. 1283, 1341-42, 1346, 1384, 1455, 1460, 1523-1526, 1815, 2744 c.c.
- D.lgs. 385/1993 (Testo Unico Bancario), art. 117 e Titolo VI (trasparenza bancaria); art. 125-quinquies (credito ai consumatori, applicabile ai leasing consumer).
- L. 108/1996 (legge antiusura) e decreti MEF trimestrali sui tassi soglia (v. Tegm e Tassi soglia su sito Banca d’Italia).
- L. 124/2017, art.1 commi 136-140 (Disciplina del leasing finanziario tipico).
- L. 208/2015, commi 76-84 (Leasing immobiliare abitativo, agevolazioni prima casa).
- Delibera CICR 9/2/2000 (anatocismo bancario) e Delibera CICR 3/8/2016 (interessi moratori).
- Corte di Cassazione – Sezioni Unite civili, sent. 28/01/2021 n. 2061: Leasing traslativo – applicabilità L.124/2017 retroattiva (negata) – differenza traslativo/godimento.
- Cass. Civ. Sez. III, ord. 10/01/2025 n. 588 (Pres. Scarano, Rel. Pellecchia): Leasing traslativo risolto ante 2017 – art.1526 c.c. analogico – clausola penale senza conguaglio nulla.
- Cass. Civ. Sez. III, ord. 30/05/2025 n. 14575: Leasing – obbligo piano ammortamento – nullità per indeterminatezza se manca – definizione ISC/TAEG.
- Cass. Civ. Sez. I, ord. 28/02/2018 n. 4698: Sale and lease-back – patto commissorio – necessità clausola marciana, nullità in mancanza.
- Cass. Civ. Sez. III, 30/10/2018 n. 27442: Interessi moratori usurari – rilevanza ai fini usura – non cumulabilità con corrispettivi.
- Cass. Civ. Sez. III, 13/11/2018 (n. cassa): Usura e risoluzione leasing per inadempimento.
- Cass. Civ. Sez. I, 10/07/2019 n. 18543: Leasing e art.72-quater L.Fall. – contratto risolto prima del fallimento – distinzione leasing trasl/godim confermata.
- Cass. Civ. Sez. III, 28/06/2019 n. 17447: Leasing immobiliare – usura – esclusione sommatoria interessi corr. e mora.
- Cass. Civ. Sez. III, 09/11/2020 n. 24992: Usura – interessi di mora oltre soglia – nullità clausola mora – no estensione a corr..
- Cass. Civ. Sez. Unite, 18/09/2020 n. 19597: (rilevante per mutui, su usura sopravvenuta – menziona tasso soglia mora).
- Cass. Civ. Sez. I, 16/03/2021 n. 7289: Fideiussione leasing – nullità schema ABI (indirettamente su leasing).
- Tribunale di Roma, sent. 23/06/2025 n. 9363 (est. Coderoni): Leasing imm. – TAN indicato ma manca tasso effettivo e piano – violazione art.117 TUB e 1346 c.c. – interessi sostitutivi BOT.
- Tribunale di Milano, sent. 05/09/2024 n. 7889: Leasing – clausola floor 0% senza cap – se consumatore è abusiva ex art.33 Cod. Cons..
- Tribunale di Napoli, sent. 16/06/2020 n. 4102: Leasing – amm.to francese – anatocismo – interessi di mora.
- Tribunale di Milano, sent. 31/05/2019 n. 5194: Leasing imm. – usurarietà interessi pattuiti – condanna a restituzione – interessi anatocistici da amm.to francese rilevati.
- Corte d’Appello di Venezia, sent. 20/05/2019: Leasing – clausola penale e usura – tasso interno errato non causa nullità.
- Corte d’Appello di Trieste, sent. 28/05/2018: Leasing – clausola rischio cambio CHF – giudicata non meritevole e nulla per trasparenza.
- Corte d’Appello di Milano, sent. 05/12/2017: Leasing – usura: vanno considerati tutti oneri, ma senza cumulo tra corr. e mora – usura sopravvenuta da ricondurre a soglia.
- Corte d’Appello di Torino, sent. 16/04/2018: Leasing – difformità tasso leasing dichiarato vs effettivo – applicato art.117 TUB (tasso BOT).
- Tribunale di Roma, sent. 04/05/2018: Opposizione a DI leasing risolto – riduzione equitativa penale – usura della mora rilevata.
- Tribunale di Udine, sent. 21/04/2017: Leasing in valuta (CHF) – clausola indicizzazione – derivato implicito – nullità per indeterminatezza.
- Tribunale di Cassino, sent. 25/01/2017: Leasing – mancata consegna bene – obblighi del concedente verso utilizzatore – risoluzione per inadempimento fornitore.
- Arbitro Bancario Finanziario – Collegio di Napoli, dec. 13/06/2017 n. 6646: Leasing nautico – discordanza tasso leasing pattuito (3,778%) vs applicato (3,844%) – ISC non obbligatorio per leasing – metodo calcolo – art.117 TUB non applicato se tasso determinabile.
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- Addebiti anticipati non dovuti (es. spese di gestione, assicurazioni, interessi preammortamento occulti)
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Conclusione
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