Hai un’attività commerciale, sei sommerso dai debiti e ti stai chiedendo se c’è una via d’uscita prima che tutto crolli? I fornitori premono, l’Agenzia delle Entrate ti invia solleciti e non riesci più a pagare mutui, tasse e dipendenti?
Non sei solo. Molti commercianti si trovano in questa situazione e la cosa peggiore che puoi fare è restare fermo. Esistono strumenti concreti per ristrutturare il debito, bloccare le azioni dei creditori e ripartire in modo pulito.
Come si accumulano i debiti per un commerciante?
– Meno incassi e margini sempre più stretti
– Tasse e contributi che continuano a crescere
– Rate di finanziamenti non più sostenibili
– Fornitori che pretendono pagamenti immediati
– Errori di gestione, mancato accesso al credito o semplicemente crisi di settore
Cosa rischi se non intervieni subito?
– Pignoramenti su conto corrente, incassi, merce o auto intestate
– Blocco dell’attività da parte dell’Agenzia delle Entrate
– Iscrizione in centrale rischi, che ti chiude le porte a ogni nuovo prestito
– Perdita della reputazione commerciale e dell’affidabilità
Come puoi uscirne legalmente e senza perdere tutto?
– Valutando gli strumenti di composizione della crisi previsti dalla legge
– Usando la procedura di sovraindebitamento per il debitore civile o imprenditore minore
– Presentando un piano di ristrutturazione del debito, con riduzione o cancellazione delle somme
– Bloccando i creditori con l’apertura di una procedura giudiziale protetta
Cosa si può ottenere concretamente?
– Sospensione di pignoramenti, cartelle e decreti ingiuntivi
– Riduzione o stralcio dei debiti con accordo omologato dal giudice
– Possibilità di continuare a lavorare e mantenere l’attività
– Piano di pagamento sostenibile, senza interessi aggiuntivi e con tempi lunghi
– Esdebitazione finale, cioè liberazione totale dai debiti residui
Cosa NON devi fare mai?
– Fare altri debiti per coprire quelli vecchi
– Vendere beni all’ultimo minuto: rischi la revocatoria
– Affidarti al “fai da te” o a soluzioni improvvisate
– Aspettare l’ultimo avviso prima del pignoramento: potrebbe essere troppo tardi
Anche se sei un commerciante con i debiti alle stelle, puoi ancora salvare la tua attività. Ma serve agire subito, con competenza e con una strategia su misura.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa e tutela del patrimonio – ti spiega come funziona la ristrutturazione del debito per commercianti, quali strumenti legali puoi usare e cosa fare per ripartire.
Hai un negozio, sei soffocato dai debiti e non sai da dove cominciare?
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Introduzione
Un commerciante indebitato – sia esso un imprenditore individuale, un socio di società o un privato con attività commerciale – si trova di fronte a una complessa rete di norme giuridiche pensate per gestire e risolvere le situazioni di crisi da debito. Questa guida, aggiornata a giugno 2025, offre un approfondimento avanzato (ma con linguaggio chiaro e divulgativo) su come un debitore possa uscire dai debiti in Italia, con particolare riguardo al nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 15 luglio 2022) e alle ultime novità normative e giurisprudenziali. Il taglio è pratico ma rigoroso: verranno esaminate tutte le tipologie di debito che un commerciante può accumulare, gli strumenti di soluzione previsti dall’ordinamento (incluse le procedure introdotte dalla recente riforma della crisi d’impresa), le tutele personali di cui il debitore può godere, nonché le sentenze più aggiornate delle magistrature superiori che hanno chiarito punti fondamentali. Il tutto dal punto di vista del debitore, per capire quali sono i suoi diritti, le sue opzioni e i passi da compiere per liberarsi dal peso dei debiti.
Seguendo un approccio strutturato, la guida è organizzata in sezioni tematiche con tabelle riepilogative, esempi pratici e anche un’area Domande & Risposte per chiarire i dubbi più frequenti. In fondo, è presente una sezione Fonti con riferimenti normativi (leggi, articoli del Codice, ecc.) e giurisprudenziali (sentenze) autorevoli citati nel testo, così che professionisti e lettori interessati possano approfondire ogni aspetto. Procediamo dunque con ordine, iniziando dai diversi tipi di debito che possono gravare su un commerciante e dalle relative conseguenze.
Tipologie di debiti di un commerciante e relative conseguenze
Un commerciante può contrarre debiti di varia natura nell’esercizio della propria attività e nella vita personale. Ogni tipologia di debito è regolata da norme specifiche e comporta differenti rischi e rimedi. Di seguito analizziamo le principali categorie di debiti, evidenziandone le caratteristiche, le conseguenze in caso di insolvenza e le possibili strategie per gestirli.
Debiti bancari e finanziari
Sono i debiti contratti con banche o altri intermediari finanziari, ad esempio mutui ipotecari, finanziamenti per l’impresa, affidamenti di conto corrente (scoperti), leasing, prestiti personali o carte di credito. Questi debiti sono spesso assistiti da garanzie: può trattarsi di ipoteche su immobili (come nel caso dei mutui), di pegno su beni mobili, oppure di fideiussioni e garanzie personali prestate dal debitore o da terzi (come un familiare garante). Le condizioni contrattuali di questi prestiti sono regolate dal Testo Unico Bancario e dalle norme civilistiche sui contratti, e in genere prevedono tassi d’interesse (fissi o variabili) e un piano di rimborso rateale.
- Inadempimento e rischi: Se il commerciante non paga le rate o sconfina oltre i limiti concessi, la banca può dichiarare la decadenza dal beneficio del termine e richiedere l’immediato pagamento del debito residuo. In caso di ulteriore inadempimento, l’istituto può avviare azioni esecutive: ad esempio, pignorare l’immobile ipotecato e metterlo all’asta (nel mutuo ipotecario) oppure escutere la fideiussione chiedendo al garante il pagamento. Per i crediti bancari non assistiti da garanzie reali, la banca può comunque agire in giudizio ottenendo un decreto ingiuntivo e procedere a pignoramenti dei beni del debitore (conti correnti, beni mobili, crediti verso terzi, ecc.). Da notare che l’eventuale iscrizione del debitore nei registri dei cattivi pagatori (es. Centrale Rischi della Banca d’Italia o CRIF) ne compromette l’accesso al credito per anni.
- Soluzioni specifiche: Il debitore in difficoltà con i pagamenti bancari può tentare un accordo stragiudiziale con la banca, ad esempio chiedendo una rimodulazione del piano di ammortamento (allungamento del termine, periodo di sola quota interessi, ecc.) o un saldo e stralcio (pagare subito una parte a fronte di uno sconto sul totale). Tali accordi vanno preferibilmente formalizzati per iscritto. Se il rapporto è già deteriorato, può essere utile verificare la legittimità degli interessi applicati (anatocismo, usura): interessi usurari sono nulli e comportano la ricalcolazione del debito senza interessi eccedenti. In extremis, se l’esposizione bancaria è insostenibile, i debiti finanziari possono rientrare in una procedura concorsuale o di sovraindebitamento (come vedremo più avanti) per ottenere una ristrutturazione o l’esdebitazione. È importante ricordare che un eventuale pignoramento di un immobile dato in garanzia può essere fermato prima dell’asta, ad esempio presentando istanza di conversione del pignoramento (versando un acconto almeno del 20% e ottenendo di pagare il resto a rate, ex art. 495 c.p.c.) o avviando una procedura di composizione della crisi che sospenda le azioni esecutive.
Esempio pratico: Mario, titolare di un negozio, aveva contratto un mutuo ipotecario sulla casa per ottenere liquidità. A causa di un calo delle vendite non riesce più a pagare le rate. Dopo sei mesi di morosità, la banca invia la lettera di decadenza dal termine e minaccia l’esecuzione sull’immobile. Mario, assistito da un consulente, negozia con la banca una moratoria di 12 mesi e una successiva ripresa dei pagamenti con rate ridotte. Parallelamente, verifica che alcuni addebiti per interessi di mora erano eccessivi rispetto alla legge antiusura. La trattativa va a buon fine: la banca accetta di ricalcolare il debito senza gli interessi illegittimi e di prorogare il mutuo, evitando la procedura esecutiva. In alternativa, se la banca non fosse stata disponibile, Mario avrebbe valutato l’accesso a una procedura di sovraindebitamento per bloccare il pignoramento e ristrutturare il debito in sede giudiziale.
Debiti verso il fisco e gli enti previdenziali
Tra i più gravosi per un imprenditore vi sono i debiti fiscali (imposte non pagate: IVA, IRPEF, IRES, IRAP, tributi locali come IMU, TARI, ecc.) e i debiti contributivi (contributi INPS per i lavoratori o per se stessi, contributi INAIL, ecc.). Questi debiti hanno un regime particolare, in quanto la loro riscossione è affidata all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER) tramite la procedura delle cartelle esattoriali. Inoltre, molti debiti fiscali e previdenziali beneficiano di privilegi (hanno priorità di pagamento) e sono assistiti da norme speciali (ad esempio, alcuni devono essere pagati integralmente in caso di procedura, salvo accordi con l’ente pubblico).
- Inadempimento e azioni di riscossione: Se il commerciante non paga un tributo alle scadenze previste, l’Agenzia delle Entrate o l’ente competente iscrive a ruolo l’importo dovuto, e l’AER notificherà una cartella di pagamento. Trascorsi 60 giorni senza pagamento né impugnazione, la cartella diventa definitiva. A questo punto l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può attivare misure cautelari ed esecutive anche senza bisogno di un giudice (la cartella è già un titolo esecutivo). Le azioni tipiche sono: fermo amministrativo sui veicoli del debitore, ipoteca su immobili e, soprattutto, pignoramenti diretti di beni e crediti. Ad esempio, l’AER può pignorare somme sul conto corrente del debitore o una percentuale dello stipendio/pensione (se il debitore percepisce redditi da lavoro) o ancora avviare il pignoramento immobiliare. La legge tuttavia pone limiti importanti a queste azioni, in particolare a tutela dell’abitazione principale e dei mezzi di sostentamento:
- Prima casa: l’Agenzia delle Entrate-Riscossione non può ipotecare né pignorare l’unico immobile adibito ad abitazione principale del debitore, salvo che sia di lusso e a condizione che il debito totale superi una certa soglia. In concreto, se il contribuente possiede solo la casa in cui risiede (non di categoria di lusso) e il debito fiscale complessivo è sotto 120.000 €, vige il divieto assoluto di espropriazione esattoriale. Se invece il debito supera 120.000 € e/o il contribuente ha altri immobili, l’Agenzia può iscrivere ipoteca e, in caso di persistente inadempimento, procedere al pignoramento e vendita all’asta. Prima di eseguire il pignoramento, però, deve notificare un preavviso di esecuzione con 30 giorni di anticipo, offrendo al debitore un’ultima chance di pagamento o rateazione.
- Stipendi e conti correnti: per legge, i salari e stipendi sono pignorabili entro limiti: generalmente un quinto del netto mensile (20%) per creditori ordinari (art. 545 c.p.c.), mentre per il Fisco la percentuale dipende dall’importo dello stipendio (ad esempio, circa 1/10 se lo stipendio netto è basso, 1/7 se medio, 1/5 se elevato). Le pensioni godono di una franchigia impignorabile (pari all’assegno sociale aumentato della metà). I conti correnti possono essere bloccati tramite pignoramento presso la banca: la somma sul conto fino a concorrenza del debito viene congelata e successivamente girata all’ente riscossore se il debitore non si oppone. Importante: se sul conto affluisce lo stipendio o la pensione, la legge tutela l’ultima mensilità depositata rendendola non pignorabile, mentre le somme eccedenti restano aggredibili (sempre nei limiti percentuali indicati).
- Strumenti di difesa e soluzione del debitore verso il Fisco: Per gestire i debiti fiscali senza incorrere in misure esecutive, il debitore ha a disposizione varie opzioni:
- Rateizzazione amministrativa: Prima che intervenga un’azione esecutiva, è spesso possibile chiedere all’Agenzia Entrate-Riscossione un piano di rateazione del debito. Per importi fino a € 120.000 la dilazione è concessa in modo automatico fino a 72 rate mensili; per importi superiori serve documentare lo stato di difficoltà e si può arrivare fino a 6 o 10 anni (72–120 rate) in casi di grave e comprovata situazione (la normativa è stata recentemente resa più flessibile). La concessione della rateazione evita nuove azioni esecutive finché si pagano regolarmente le rate. Anche l’INPS consente piani di dilazione per contributi omessi.
- Definizioni agevolate (“rottamazioni”): Negli ultimi anni il legislatore ha introdotto diverse misure straordinarie di definizione agevolata dei carichi fiscali. Ad esempio, la “Rottamazione-quater” (prevista dalla L. 197/2022, Legge di Bilancio 2023) ha permesso ai debitori di estinguere i carichi affidati all’AER dal 2000 al giugno 2022 pagando solo l’imposta e i contributi, con stralcio di sanzioni e interessi, in un massimo di 18 rate sino al 2027. Altre misure hanno previsto lo “stralcio” automatico dei debiti sotto una certa soglia (es. annullamento dei ruoli fino a € 1.000 relativi al 2000–2015 disposto nel 2023). Queste iniziative rappresentano opportunità preziose per il debitore onesto in difficoltà, ma sono finestra temporali limitate decise dal Parlamento: è fondamentale restare informati sulle eventuali nuove “rottamazioni” o condoni fiscali.
- Transazione fiscale nelle procedure concorsuali: Se il commerciante decide di intraprendere una procedura di regolazione della crisi (concordato preventivo, accordo di ristrutturazione, ecc.), può proporre al Fisco una transazione fiscale, cioè un accordo che prevede il pagamento parziale e/o dilazionato dei debiti tributari e contributivi, in deroga al principio di integrale soddisfazione dei crediti privilegiati. Il Codice della Crisi ha integrato questo strumento: oggi il piano di concordato può includere un trattamento falcidiato di IVA e ritenute, purché l’offerta sia più conveniente della liquidazione e vi sia il rispetto di alcune percentuali minime. Grazie alle riforme 2023–2024, il tribunale può perfino omologare il concordato anche senza il voto favorevole dell’Erario (cram-down fiscale) se ritiene la proposta vantaggiosa per il Fisco rispetto alle alternative. Ad esempio, nel concordato preventivo la falcidia dell’IVA è ormai possibile previa transazione, superando il vecchio divieto che imponeva il pagamento integrale di tale imposta – divieto che la Corte Costituzionale ha giudicato irragionevole. Questa evoluzione normativa (avallata dalla sentenza n. 245/2019 della Consulta) mette i debiti tributari sullo stesso piano degli altri, permettendo di includerli efficacemente nei piani di ristrutturazione.
- Impugnazioni e autotutela: Il debitore ha diritto di contestare i carichi fiscali infondati. Può presentare ricorso alle Commissioni Tributarie (ora “Corti di Giustizia Tributarie”) entro i termini di legge contro cartelle illegittime o chiedere in autotutela l’annullamento di somme palesemente non dovute (ad esempio, doppie iscrizioni). La pendenza di un ricorso può sospendere la riscossione coattiva, se si ottiene la sospensiva dal giudice tributario.
- Sovraindebitamento e concordati preventivi: In ultima istanza, se l’esposizione fiscale è parte di una crisi più ampia, l’imprenditore può ricorrere alle procedure concorsuali o di sovraindebitamento previste dalla legge (illustrate oltre) per congelare le azioni esecutive e proporre un piano. Ad esempio, la presentazione di un ricorso per concordato preventivo determina il blocco immediato delle esecuzioni e dei pignoramenti da parte di tutti i creditori (incluso il Fisco) ex lege. Allo stesso modo, la domanda di apertura di una procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore o di concordato minore sospende le procedure esecutive in corso, offrendo al debitore respiro e la possibilità di non perdere, ad esempio, la prima casa, se nel piano è prevista la conservazione dell’immobile.
Esempio pratico: Lucia gestisce un negozio e ha accumulato €50.000 di debiti IVA e INPS in seguito a alcuni anni difficili. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha già iscritto ipoteca sul suo secondo immobile (un piccolo magazzino) e minaccia di pignorarle la casa. Lucia verifica di avere i requisiti per la “rottamazione-quater” e presenta domanda: così blocca temporaneamente le azioni esecutive. La definizione agevolata viene accolta, riducendo il debito a €35.000 (eliminando sanzioni e interessi) da pagare in 18 rate. Tuttavia, Lucia capisce di non riuscire comunque a sostenere le rate perché la sua attività non è ripartita. Decide quindi di accedere a un concordato minore: con l’aiuto di un OCC, predispone un piano che prevede di liquidare il magazzino ipotecato e pagare il 30% del debito complessivo (inclusa una transazione fiscale per IVA e INPS). Il tribunale ammette il concordato e sospende l’esecuzione immobiliare sulla casa. Il piano viene omologato e Lucia, venduto il magazzino, paga quanto promesso. Ottiene così l’esdebitazione e conserva la sua abitazione.
Debiti commerciali verso fornitori e locatori
I debiti verso fornitori sono quelli contratti nell’ambito dell’attività per l’acquisto di merci, materie prime, beni strumentali o servizi. Rientrano qui anche i canoni di locazione del locale commerciale, le utenze (bollette luce, gas, telefono per l’azienda) e altri crediti di natura commerciale. Questi debiti, di regola, non sono garantiti (a meno di specifici patti come riserva di proprietà) e diventano scaduti se non pagati entro il termine concordato in fattura o nel contratto. La legge (D.Lgs. 231/2002) prevede per i ritardi di pagamento tra imprese degli interessi moratori automatici a tasso maggiorato, a tutela del creditore.
- Conseguenze dell’inadempimento: Se un commerciante non paga un fornitore, quest’ultimo può interrompere ulteriori forniture (mettendo in crisi l’operatività dell’azienda) e ha facoltà di agire giudizialmente. Spesso il primo passo è un decreto ingiuntivo per ottenere un titolo esecutivo in tempi brevi (30-40 giorni se non c’è opposizione). Ottenuto il titolo, il fornitore può procedere con il pignoramento dei beni aziendali o personali del debitore. Nel caso di un’impresa individuale, non vi è distinzione tra patrimonio dell’azienda e patrimonio personale: quindi possono essere pignorati sia i beni presenti nell’esercizio (mobili, attrezzature, scorte) sia i beni personali del titolare. Nel caso di debiti di una società, i beni aggredibili sono quelli sociali, ma se la società è di persone (snc, sas) anche il patrimonio dei soci illimitatamente responsabili è esposto. Uno specifico rischio per il commerciante locatario è la morosità nei canoni di affitto: il proprietario dell’immobile può attivare uno sfratto per morosità e, contestualmente, ottenere un decreto ingiuntivo per i canoni arretrati. Lo sfratto porta alla perdita del locale (con conseguente danno all’attività), mentre il decreto può portare a pignoramenti dei beni. Inoltre, debiti verso fornitori importanti possono far scattare azioni di recupero particolari, come la rivendita del bene non pagato (per i beni mobili con riserva di proprietà) o l’escussione di eventuali titoli di credito rilasciati (cambiali, assegni).
- Strategie di gestione: Per i debiti commerciali è spesso possibile (ed auspicabile) trovare un accordo stragiudiziale. Molti fornitori preferiscono ottenere qualcosa in più in tempi certi anziché attendere lunghe procedure esecutive dall’esito incerto. Il debitore può proporre un piano di rientro dilazionato o un saldo e stralcio (pagare una percentuale del debito a titolo definitivo). Tali accordi andrebbero formalizzati per iscritto (meglio se con l’assistenza di un legale) e, se coinvolgono più creditori, possono assumere la forma di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 e ss. CCII (omologato dal tribunale) o di un semplice patto privato. Bisogna fare attenzione però: pagare alcuni fornitori e non altri potrebbe, in caso di successivo fallimento o liquidazione giudiziale, esporre a azioni revocatorie (i pagamenti preferenziali fatti nei sei mesi precedenti il fallimento possono essere revocati). Pertanto, se la situazione è già compromessa, meglio ricorrere a strumenti concordatari che sterilizzano le revocatorie. Un altro strumento utile introdotto dal Codice della Crisi è la convenzione di moratoria (art. 62 CCII), un accordo in cui uno o più creditori finanziari o fornitori accettano di attendere il pagamento, guadagnando tempo per permettere al debitore di riequilibrare la situazione. Tale convenzione, se sottoscritta dalla maggioranza di una certa categoria di creditori, può essere resa efficace anche verso i dissenzienti con omologazione in tribunale.
- Azioni difensive: Se un fornitore ha già ottenuto un decreto ingiuntivo, il debitore può valutare l’opposizione (entro 40 giorni) se ha motivi validi (contestazioni sulla merce, prescrizione del credito, errori di calcolo, ecc.). In alternativa, se il decreto è definitivo e si prospetta un pignoramento, l’avvio di una procedura concorsuale (es. concordato) può sospendere o impedire l’esecuzione: dopo la pubblicazione della domanda di concordato al registro imprese, i creditori chirografari non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali (art. 54 CCII). Lo stesso vale in un concordato minore o piano del consumatore per i debiti commerciali di un piccolo imprenditore: il giudice, accettata la domanda, dispone la sospensione dei pignoramenti in corso. Questa “protezione concorsuale” consente di evitare lo smembramento disordinato dell’attivo da parte di singoli creditori e di trattare tutti in modo equilibrato nel piano.
Esempio pratico: La ditta individuale di Paolo, commerciante all’ingrosso, accumula €80.000 di debiti verso vari fornitori di merci, che hanno iniziato a metterlo in mora. Un fornitore ottiene un decreto ingiuntivo e sta per pignorare il magazzino di Paolo. Quest’ultimo, per evitare di perdere tutta la merce in asta (con il rischio di ricavare poco e dover comunque pagare il resto), concorda con i fornitori un piano di rientro: propone di pagare il 50% dei debiti in 24 mesi con garanzia di un effetto cambiario. La maggior parte dei fornitori accetta, attratti dalla prospettiva di ricevere presto almeno metà del dovuto. Per dare forza all’accordo, Paolo decide di omologarlo come “accordo di ristrutturazione” in tribunale: depositata la domanda con il consenso di oltre il 60% dei creditori, ottiene la protezione dalle azioni esecutive. Il tribunale omologa l’accordo, vincolando anche i pochi fornitori dissenzienti. Paolo riesce così a pagare nei tempi convenuti il 50% (anche grazie a un finanziamento bancario ponte ottenuto una volta omologato l’accordo) e ad uscire dalla crisi, evitando il fallimento.
Debiti verso dipendenti e istituti (retribuzioni non pagate)
Un commerciante con dipendenti (pensiamo a chi gestisce un negozio con commessi, o un piccolo imprenditore artigiano con operai) può trovarsi nell’impossibilità di pagare regolarmente stipendi, TFR e contributi. Questi debiti hanno una natura peculiare: i dipendenti sono considerati creditori “deboli” e godono di tutele speciali. Le retribuzioni non pagate costituiscono credito privilegiato di grado elevato, che viene soddisfatto prima di molti altri crediti in caso di procedura concorsuale. Inoltre, il mancato pagamento di stipendi e contributi può esporre l’imprenditore a responsabilità civili e penali.
- Conseguenze dell’inadempimento retributivo: Un dipendente non pagato può agire in giudizio molto rapidamente, ottenendo un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo (ex art. 636 c.p.c., in materia di crediti di lavoro) o promuovendo un’azione davanti al Tribunale del Lavoro. Inoltre, dopo almeno due mensilità non pagate, il lavoratore può rassegnare le dimissioni per giusta causa e chiedere anche il risarcimento. In caso di fallimento o liquidazione dell’azienda, i dipendenti hanno diritto di insinuarsi come creditori privilegiati. Se vi sono somme insufficienti, interviene il Fondo di garanzia INPS, che paga ai lavoratori il TFR e ultime mensilità dovute, surrogandosi poi nel credito (sarà l’INPS a rivalersi sul datore). Va evidenziato che omessi versamenti contributivi e omesso versamento di ritenute fiscali oltre soglie di importo costituiscono reati: ad esempio, non versare le ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni per un importo superiore a circa €10.000 annui è reato penale (art. 2 D.L. 463/1983), così come non versare IVA per oltre €250.000 è reato (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000). Dunque, l’imprenditore che si trova in difficoltà deve fare il possibile per evitare di accumulare debiti di questo tipo o per porvi rimedio prontamente, onde non incorrere in conseguenze ben più gravi di una causa civile.
- Possibili soluzioni e tutele per il debitore: Se il commerciante non riesce a pagare gli stipendi, è segno che la crisi di liquidità è molto acuta. A breve termine, l’unica soluzione lecita è cercare nuove risorse (finanziamenti di emergenza, apporti dei soci, ecc.) per saldare almeno in parte i dipendenti. È importante dialogare con i lavoratori: a volte si possono concordare dilazioni (ad esempio pagare lo stipendio in due rate), ma va considerato che il lavoratore ha diritto pieno e non è tenuto ad accettare ritardi. Un accordo individuale transattivo è possibile solo a certe condizioni di forma (meglio se in sede sindacale o protetta). In caso di cessazione dell’attività o insolvenza conclamata, il datore può valutare di attivare subito una procedura concorsuale: ciò, pur doloroso, consente ai dipendenti di attingere al Fondo di Garanzia INPS per ricevere almeno TFR e ultime 3 mensilità arretrate (in caso di concordato preventivo liquidatorio o fallimento). Dal lato del debitore, l’apertura della procedura lo protegge da cause esecutive individuali e canalizza i pagamenti secondo le regole concorsuali, evitandogli, ad esempio, che un singolo pignoramento sul conto sottragga tutte le risorse impedendo poi di pagare gli altri lavoratori. Se invece l’impresa vuole proseguire, potrebbe considerare strumenti come i contratti di solidarietà o la cassa integrazione (ove applicabili), per alleggerire temporaneamente il costo del lavoro in accordo con i lavoratori e gli enti preposti. Ricordiamo infine che nell’ambito di procedure come il concordato preventivo o il concordato minore in continuità, è previsto che i crediti dei lavoratori maturati nei 12 mesi anteriori abbiano un trattamento di riguardo: devono essere pagati integralmente e subito (al più tardi entro 30 giorni dall’omologazione), a meno che i lavoratori stessi non acconsentano a un trattamento differente (art. 86, co. 2, CCII). Questa regola impone al debitore in concordato di reperire la finanza necessaria per soddisfare i dipendenti recenti, pena l’inammissibilità del piano.
Esempio pratico: La “Alfa Snc” (due soci) gestisce un ristorante e impiega 5 dipendenti. A seguito di un calo del fatturato, la società accumula 4 mensilità arretrate e non versa i contributi relativi. I dipendenti, ormai esasperati, minacciano azioni legali. I soci constatano che non hanno liquidità sufficiente e decidono di mettere in liquidazione la società avviando una liquidazione controllata (procedura concorsuale per soggetti non fallibili). Questo comporta la chiusura del ristorante, ma consente ai lavoratori di accedere subito al Fondo di Garanzia INPS per ottenere TFR e ultime retribuzioni. Nella procedura, gli immobili personali dei soci (che sono illimitatamente responsabili) vengono liquidati: i dipendenti, creditori privilegiati, verranno soddisfatti per quanto possibile con precedenza. Al termine della liquidazione, i soci – che hanno agito senza frodi – potranno chiedere l’esdebitazione per liberarsi dei debiti rimasti (inclusi quelli contributivi verso INPS).
Debiti personali extra-impresa
Oltre ai debiti contratti direttamente nell’attività commerciale, un commerciante è pur sempre anche un consumatore e può avere debiti personali: ad esempio prestiti al consumo, finanziamenti auto, spese familiari non pagate, multe e contravvenzioni amministrative, ecc. Questi debiti “non d’impresa” rilevano anch’essi, specialmente se l’imprenditore è una ditta individuale (dove persona e impresa coincidono) o se è socio illimitatamente responsabile di una società di persone: in tali casi, il patrimonio personale è esposto per tutti i debiti, sia quelli d’impresa sia quelli privati.
- Esempi e rischi: Un commerciante potrebbe avere una carta di credito utilizzata anche per spese personali, un mutuo casa intestato come privato, oppure debiti per assegni protestati e così via. Il mancato pagamento di questi debiti comporta azioni di recupero simili a quelle già viste: finanziarie e banche che agiscono legalmente, segnalazioni nelle banche dati creditizie, pignoramenti su beni personali (stipendio del coniuge, conto cointestato, ecc.). Particolare menzione meritano i debiti derivanti da obblighi familiari: il mancato pagamento di assegni di mantenimento a coniuge o figli, stabiliti da un giudice, può portare a esecuzioni e addirittura a conseguenze penali (violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570 c.p.). Questi debiti per mantenimento, così come quelli da risarcimento di danni extracontrattuali o le sanzioni penali/amministrative, hanno un trattamento speciale nelle procedure: non possono essere cancellati con l’esdebitazione (lo vedremo nel dettaglio più avanti). Ciò significa che, ad esempio, i debiti per una multa o per un risarcimento danni causato da illecito rimangono dovuti anche dopo una eventuale procedura concorsuale conclusa.
- Approccio alle passività personali: Anche per i debiti personali, l’imperativo è gestire attivamente la situazione. Se i debiti familiari sono preminenti (ad esempio, un ex commerciante cessata l’attività ma oberato di debiti personali e magari di fideiussioni escusse), potrebbe essere opportuno affrontarli con gli strumenti da consumatore: il piano di ristrutturazione del consumatore (ex “piano del consumatore” L.3/2012) permette di ristrutturare tutti i debiti personali in un unico piano omologato dal tribunale, senza necessità di accordo con i creditori ma con valutazione della meritevolezza. Un caso frequente: il socio illimitato di una società fallita si ritrova inseguito personalmente da banche e fornitori; se ora non ha più un’attività, può qualificarsi come “consumatore” per quei debiti (in quanto, cessata l’impresa, i debiti residui sono personali). La Cassazione ha chiarito che anche un ex imprenditore può accedere come consumatore alle procedure di sovraindebitamento per i debiti non legati all’attività. In alternativa, se i debiti personali si sommano a quelli d’impresa ancora in essere, occorrerà valutare la procedura appropriata: un concordato minore se i debiti sono promiscui ma prevalgono quelli d’impresa, oppure il frazionamento in due procedure (ad esempio concordato minore per i debiti d’impresa e piano del consumatore parallelo per quelli personali – soluzione complessa ma a volte possibile).
- Prescrizione e altre difese: I debiti personali, come tutti, sono soggetti a termini di prescrizione. Un consumatore attento verifica sempre se il creditore ha agito tempestivamente: ad esempio, le bollette e le utenze si prescrivono in 5 anni, così come le rate di mutuo scadute, mentre un decreto ingiuntivo non eseguito si prescrive in 10 anni dalla definitività. Far valere l’eccezione di prescrizione in giudizio può liberare il debitore da obblighi ormai “invecchiati”. Attenzione però a non effettuare riconoscimenti di debito involontari (come un pagamento parziale o una comunicazione scritta che riconosce il dovuto), perché fanno ripartire il termine di prescrizione. Un’altra difesa per i debiti extracommerciali è contestare clausole vessatorie o tassi e costi illegittimi (ad esempio nei contratti al consumo): in ambito consumeristico, il giudice può ridurre interessi e penali e dichiarare nulle clausole non trasparenti. Anche gli interessi usurari sono nulli nei contratti di prestito ai consumatori e limitano il recupero del credito.
Tabella 1: Principali tipologie di debito e caratteristiche
Tipo di debito | Esempi comuni | Rischi e peculiarità | Strumenti di gestione |
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Bancari/Finanziari | Mutui, prestiti, scoperti di conto, leasing, carte di credito. | – Garanzie reali (ipoteche, pegni) o personali (fideiussioni) frequenti.- Inadempimento: risoluzione del contratto e procedure esecutive (espropriazione beni dati in garanzia, pignoramenti).- Segnalazione nelle banche dati creditizie (CRIF, Centrale Rischi) in caso di insolvenza. | Rinegoziazione del piano di ammortamento; saldo e stralcio; consolidamento debiti; in procedura concorsuale: transazione su interessi/usura; sospensione aste con concordato/sovraindebitamento. |
Fiscali/Contributivi | IVA, imposte sui redditi, IMU, TARI; contributi INPS, premi INAIL. | – Riscossione tramite Agenzia Entrate-Riscossione (cartelle esattoriali) senza intervento del giudice.- Azioni esecutive speciali: fermo auto, ipoteche, pignoramenti rapidi.- Limiti legali: impignorabilità prima casa (condizionata); soglie per pignoramento stipendi/pensioni.- Possibile rilevanza penale per omessi versamenti oltre soglie (es. IVA, ritenute). | Rateizzazioni amministrative (fino a 120 rate in casi gravi); definizioni agevolate (“rottamazioni”, stralcio) previste da leggi speciali; transazione fiscale nell’ambito di concordato o accordo; ricorso alle procedure concorsuali/sovraindebitamento per diluire o ridurre i debiti con omologazione giudiziale. |
Commerciali/fornitori | Fatture di fornitori merci/servizi; affitti locali; utenze business. | – Crediti in genere chirografari (senza garanzia), salvo patti di riserva proprietà.- Inadempimento: sospensione forniture, azioni legali rapide (decreto ingiuntivo) e pignoramenti di beni aziendali.- Interessi moratori commerciali elevati (D.Lgs. 231/2002).- Rischio di revocatorie fallimentari su pagamenti preferenziali a fornitori in crisi. | Accordi stragiudiziali (piano di rientro, saldo a stralcio) possibilmente omologati ex art. 57 CCII per vincolare tutti; convenzioni di moratoria per dilazionare; in procedura: trattamento uniforme dei chirografari e sospensione azioni esecutive. |
Dipendenti | Retribuzioni, TFR, straordinari, ferie non pagate; contributi previdenziali. | – Crediti privilegiati altamente tutelati (pagamento prioritario).- Omesso versamento contributi e retribuzioni: rischio di cause lavoro e decreti ingiuntivi immediati; dimissioni per giusta causa dei lavoratori; intervento Fondo di Garanzia INPS in caso d’insolvenza.- Possibili reati per contributi/ritenute non versati (oltre soglie). | Tentare accordi con i dipendenti (dilazioni in sede protetta); ricorrere a ammortizzatori sociali (cassa integrazione) se disponibili; in procedura concorsuale: pagamento prioritario delle ultime mensilità (obbligatorio in continuità) e accesso al Fondo INPS per TFR; chiusura attività con liquidazione fallimentare se insostenibile, con successiva esdebitazione per l’imprenditore onesto. |
Personali/extra impresa | Prestiti personali, debiti familiari, mutuo prima casa, carte di credito, multe, mantenimenti. | – Possono cumularsi con debiti d’impresa se il soggetto è unico (imprenditore individuale).- Alcuni debiti “personali” non sono esdebitabili (alimenti, risarcimenti da illecito, multe) e rimangono anche dopo la procedura.- Azioni esecutive tipiche: pignoramento stipendio conto corrente familiare, ipoteca su casa (da banche o creditori privati, poiché il divieto prima casa vale solo per il Fisco).- Segnalazioni nelle banche dati creditizie per insolvenze su prestiti personali. | Verificare la prescrizione ed eccepirla se maturata; rinegoziare con le finanziarie un consolidamento debiti; utilizzare la procedura da consumatore (piano di ristrutturazione del consumatore) se i debiti sono per scopi estranei all’attività; eventualmente combinare procedure (concordato minore + piano consumatore) se doppia natura di debiti; tutela del patrimonio personale tramite strumenti legittimi (fondo patrimoniale, trust) ma solo se costituiti prima e non in frode ai creditori (vedi oltre). |
Strumenti di soluzione della crisi da debiti (procedure di risanamento e insolvenza)
Quando i debiti diventano insostenibili nonostante gli sforzi individuali di negoziazione, l’ordinamento prevede una serie di procedure strutturate per affrontare in modo organico la crisi. Tali strumenti – profondamente rivisitati dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – consentono al debitore di rinegoziare o cancellare i debiti sotto il controllo dell’autorità giudiziaria, ottenendo spesso la sospensione delle azioni esecutive individuali. Possiamo distinguere due grandi famiglie di procedure: quelle destinate agli imprenditori “fallibili” (in genere imprese di maggiori dimensioni, soggette alle procedure concorsuali classiche come concordato preventivo o liquidazione giudiziale) e quelle destinate ai debitori “non fallibili” (piccoli imprenditori sotto soglia, imprenditori agricoli, professionisti, consumatori – ossia le procedure di sovraindebitamento, ora anch’esse coordinate nel CCII). Di seguito esaminiamo i principali strumenti di soluzione, dai piani di risanamento extragiudiziali fino alle procedure giudiziali vere e proprie, evidenziando per ciascuno chi può accedervi e quali effetti producono.
Composizione negoziata della crisi (strumento extragiudiziale assistito)
La composizione negoziata è uno strumento introdotto di recente (D.L. 118/2021, poi trasfuso nel Codice come art. 23 CCII) per aiutare le imprese in crisi a trovare un accordo con i creditori fuori dalle aule giudiziarie, con l’assistenza di un esperto indipendente. È una procedura volontaria e riservata: l’imprenditore commerciale (di qualsiasi dimensione) può richiedere la nomina di un esperto tramite una piattaforma telematica gestita dalle Camere di Commercio. L’esperto esaminerà la situazione aziendale e riunirà debitore e creditori chiave (banche, fornitori principali, fisco) per negoziare soluzioni quali la ristrutturazione dei debiti, nuove finanze o cessioni di rami d’azienda. La composizione negoziata è caratterizzata da flessibilità: inizialmente non vi è pubblicità né coinvolgimento del tribunale, salvo la possibilità per l’imprenditore di chiedere alcune misure protettive temporanee (come la sospensione delle azioni esecutive dei creditori per la durata delle trattative, autorizzata dal tribunale). Durante la composizione negoziata, l’impresa continua la sua attività sotto la guida dell’imprenditore stesso, ma è coadiuvata dall’esperto che cerca di far convergere le parti verso un accordo.
- Esiti possibili: Se le trattative riescono, il risultato può essere un accordo stragiudiziale con i creditori (ad esempio una moratoria sui debiti, una riduzione concordata, o la cessione dell’azienda a un terzo) che evita l’insolvenza formale. Questo accordo può restare privato oppure, se include il Fisco o altri enti pubblici, può essere omologato per maggiore efficacia. Una novità del 2024 è che durante la composizione negoziata si può concludere anche una transazione fiscale con l’Erario, cosa prima non espressamente prevista. Se invece le trattative falliscono, l’esperto chiude la procedura negoziata. In tal caso, il legislatore ha previsto un “piano B”: l’imprenditore può presentare al tribunale un concordato semplificato per la liquidazione (art. 25-sexies CCII) entro 60 giorni dalla relazione finale dell’esperto. Si tratta di un concordato senza voto dei creditori, in cui il debitore propone di liquidare il patrimonio sotto controllo giudiziario e distribuire il ricavato secondo le regole di legge (anche con possibili falcidie ai creditori privilegiati). Questo concordato semplificato è approvato dal tribunale se ritiene la proposta migliore dell’alternativa liquidatoria ordinaria. È uno strumento speciale per evitare che, dopo il fallimento delle trattative, si debba per forza andare verso il fallimento “classico” – però va ribadito che esso è possibile solo come sbocco della composizione negoziata, non in via autonoma.
- Vantaggi e svantaggi: La composizione negoziata permette di affrontare la crisi con riservatezza (evitando lo stigma di una procedura concorsuale) e con tempestività, prevenendo magari il dissesto conclamato. Inoltre, incentiva le banche a collaborare perché eventuali finanziamenti autorizzati durante la negoziazione hanno privilegio speciale (prededucibilità) e non sono revocabili. Tuttavia, lo strumento è volontario: i creditori non sono obbligati a partecipare né ad accettare proposte, per cui il successo dipende molto dalla buona volontà e convenienza percepita dalle parti. In mancanza di adesione, il debitore dovrà comunque ripiegare su strumenti giudiziari tradizionali.
Esempio: Una piccola società di commercio all’ingrosso, con 10 dipendenti, si trova in crisi di liquidità ma ha buone prospettive di mercato se riesce a ridurre l’indebitamento. I debiti verso banche e fornitori ammontano a €800.000. L’imprenditore attiva la composizione negoziata. Viene nominato un esperto, il quale organizza incontri con le banche finanziatrici e i fornitori principali. Dopo intense trattative, si raggiunge un accordo: le banche accettano di riscadenzare i mutui su 5 anni e di concedere nuovi fidi, i fornitori accettano un taglio del 20% sui loro crediti in cambio di pagamento tempestivo del restante 80%. Anche l’Agenzia delle Entrate concorda (tramite una transazione fiscale) una dilazione decennale sui €100.000 di debiti IVA, con stralcio parziale di sanzioni. L’accordo viene formalizzato privatamente e l’esperto chiude con esito positivo. L’impresa evita il fallimento, onora l’accordo e prosegue l’attività.
Piano attestato di risanamento (accordo stragiudiziale con attestazione)
Il piano attestato di risanamento (art. 56 CCII, già art. 67 LF) è uno strumento totalmente extragiudiziale, ma disciplinato dalla legge al fine di agevolare il risanamento evitando il fallimento. Consiste in un piano di risanamento dell’impresa, idoneo a riequilibrarne la situazione finanziaria, che viene asseverato (attestato) da un professionista indipendente circa la sua fattibilità e veridicità dei dati. Il piano attestato di risanamento è sostanzialmente un accordo privato tra il debitore e alcuni o tutti i creditori, accompagnato però dalla relazione di un esperto attestatore che “certifica” che, seguendo quel piano, l’impresa potrà superare la crisi e pagare i debiti concordati.
- Effetto principale: esenzione da revocatoria – Il vantaggio di formalizzare un piano di risanamento in questo modo è che gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del piano non possono essere revocati in un eventuale successivo fallimento (art. 56, co. 3, CCII). Ciò dà sicurezza ai creditori che accettano il piano: ad esempio, se una banca acconsente a una ristrutturazione del credito o concede nuova finanza in base al piano attestato, non rischia che tali operazioni vengano invalidate come pagamenti preferenziali o atti pregiudizievoli in caso di successivo default (purché il piano fosse realistico e regolarmente attestato). In pratica, il piano attestato offre un “ombrello protettivo” sugli accordi privatistici di risanamento.
- Limitazioni: Il piano attestato non vincola i creditori dissenzienti. Diversamente dal concordato o dall’accordo ex art. 57 CCII, qui non vi è omologa del tribunale né efficacia erga omnes: solo chi lo sottoscrive ne è vincolato. Pertanto, funziona bene se c’è un numero ristretto di creditori critici e l’imprenditore riesce a coinvolgerli tutti nell’accordo. Spesso i piani attestati riguardano ristrutturazioni con le banche (che sono poche e rilevanti, e tipicamente richiedono l’attestazione per fiducia) e i fornitori strategici. Se rimangono fuori piccoli creditori non aderenti, il debitore dovrà comunque farvi fronte separatamente, altrimenti costoro potrebbero agire esecutivamente minando il piano.
- Esempio tipico di contenuto: Un piano attestato può prevedere, ad esempio, che l’imprenditore ceda alcuni cespiti non essenziali e utilizzi il ricavato per pagare parzialmente i debiti, che le banche convertano parte dei crediti in capitale di rischio o li ristrutturino allungando le scadenze, e che i soci apportino nuova finanza. Il tutto accompagnato da proiezioni di bilancio che mostrano il ritorno in bonis dell’azienda. L’attestatore, di regola un commercialista o revisore esperto in crisi, verifica la attendibilità dei dati aziendali e la ragionevole fattibilità del piano (ovvero che l’impresa, in condizioni normali di mercato, possa generare flussi di cassa sufficienti a rispettare l’accordo). La sua relazione deve essere molto rigorosa: se l’attestazione fosse falsa o grossolanamente errata, l’attestatore ne risponde anche penalmente.
- Procedura formale: Il piano attestato non richiede deposito in tribunale, ma può essere pubblicato volontariamente nel Registro delle Imprese (art. 56, co. 2, CCII) per dare pubblicità e opponibilità ai terzi dell’avvenuto risanamento. Molte imprese lo fanno per migliorare la propria immagine creditizia dopo la ristrutturazione. La pubblicazione, però, rende pubblici i termini dell’accordo, cosa che qualcuno preferisce evitare se possibile.
Esempio: La società Beta Srl, con debiti bancari per 2 milioni, vede avvicinarsi la scadenza di un grande mutuo che non riuscirà a rimborsare. Non essendo ancora insolvente ma solo a rischio di liquidità, elabora con un advisor un piano di risanamento: cedere un ramo d’azienda per 1 milione e rinegoziare il residuo debito bancario su 5 anni, con garanzia aggiuntiva dei soci. Le due banche coinvolte sono disponibili, ma vogliono la certezza che il piano sia serio. Beta Srl incarica dunque un professionista indipendente di redigere un’attestazione. L’esperto analizza i conti e redige una relazione in cui attesta che il piano è completo e potenzialmente idoneo a riportare l’azienda in equilibrio finanziario. Le banche firmano quindi nuovi accordi di ristrutturazione del debito in linea col piano. Beta Srl esegue la vendita del ramo e paga parte dei debiti, il resto viene spalmato negli anni successivi. Il piano viene pubblicato al Registro delle Imprese per pubblicità. Tre anni dopo, la società ha recuperato redditività e termina di pagare i mutui ristrutturati. Nel frattempo, eventuali pagamenti fatti alle banche in base al piano non avrebbero potuto essere revocati da terzi, garantendo stabilità all’operazione.
Accordo di ristrutturazione dei debiti (procedura con omologazione)
L’accordo di ristrutturazione dei debiti (ARD) è una procedura formalizzata (artt. 57-64 CCII) che consente all’imprenditore in crisi di siglare un accordo con la maggioranza dei creditori e di ottenere dal tribunale un’omologazione che lo rende efficace anche verso i creditori non aderenti. È uno strumento intermedio tra il piano attestato (totalmente privato) e il concordato (che coinvolge tutti i creditori e prevede anche voto): qui il debitore deve ottenere il consenso qualificato di almeno il 60% dei crediti (quota che il CCII conferma), mentre per i creditori rimasti fuori è assicurato comunque il pagamento integrale (devono essere pagati per intero entro 120 giorni dall’omologa o dalle scadenze previste).
- Caratteristiche: L’accordo di ristrutturazione è negoziato liberamente col 60% (o più) dei creditori in termini di riduzione e dilazione dei debiti. Può riguardare tutti i creditori o solo alcune categorie, purché quelli estranei siano soddisfatti al 100%. Il tribunale, su ricorso del debitore, verifica la regolarità dell’accordo (che deve essere accompagnato da una relazione di un professionista attestatore sulla fattibilità e sull’integrale pagamento dei creditori estranei) e, se tutto è in regola, omologa l’accordo rendendolo vincolante per tutti i creditori aderenti e opponibile ai terzi. Non c’è un voto formale in assemblea come nel concordato – il 60% si calcola sulle adesioni scritte raccolte. I creditori che aderiscono sono vincolati ai nuovi termini (es. accettano un pagamento al 70% del credito in 2 anni) mentre i non aderenti vengono normalmente pagati per intero (ma beneficiano anch’essi del fatto che l’impresa evita il fallimento e continua l’attività).
- Vantaggi rispetto al concordato: L’ARD è più snello: coinvolgendo solo i principali creditori, evita la necessità di classi o di maggioranze su tutte le posizioni. È anche riservato fino all’omologa – se il debitore vuole, può tenere riservate le trattative e depositare il ricorso per omologa solo a firme raccolte (volendo, può anche chiedere misure protettive durante le trattative, con pubblicazione, ma è facoltativo). Questo riduce il rischio di allarme tra clienti e fornitori. Inoltre, grazie alle modifiche normative recenti, l’accordo di ristrutturazione può includere clausole di cram-down fiscale: con D.L. 69/2023, infatti, il legislatore ha previsto che l’accordo possa essere omologato anche se l’Agenzia delle Entrate o l’INPS non aderiscono, a patto che venga offerto loro almeno il 30% (40% se pagamento oltre 10 anni) del credito e che un professionista asseveri la convenienza di tale trattamento. Si tratta di un’importante innovazione: prima, per ridurre i debiti fiscali serviva necessariamente il consenso dell’Erario; ora, se il piano è conveniente e sopra certe soglie di soddisfacimento, il tribunale può “forzare” l’omologa anche senza il placet formale del Fisco.
- Possibilità particolari: Esistono varianti dell’ARD: il “accordo esteso” (art. 61 CCII) in cui, se si raggiunge il 75% di consenso, l’accordo può essere esteso anche ai creditori dissenzienti della stessa categoria con autorizzazione del tribunale (questo era già nel vecchio art. 182-septies L.F. per le banche in accordi di ristrutturazione). Inoltre, il CCII prevede i “accordi ad efficacia estesa” per crediti bancari e finanziari diffusi, e la nuova figura del “piano di ristrutturazione soggetto a omologazione” (PRO) per le grandi imprese, che è assimilabile a un accordo con percentuali più basse di voto ma con classi – tuttavia, questi dettagli superano l’ambito di questa trattazione focalizzata sul commerciante.
Esempio: La Gamma S.p.A., azienda commerciale di medie dimensioni, accumula 5 milioni di debiti: 3 verso banche e 2 verso fornitori vari. L’azienda è in difficoltà ma ancora operativa. Propone ai creditori un accordo di ristrutturazione: le banche (che detengono il 60% dei crediti totali) accettano di trasformare linee a breve in prestiti a medio termine e di ridurre i tassi; diversi fornitori strategici (un altro 20% di crediti) accettano uno stralcio del 30% con pagamento del 70% entro un anno. Complessivamente, aderiscono soggetti rappresentativi dell’80% dell’esposizione. I piccoli fornitori che non hanno aderito verranno pagati integralmente a scadenza naturale. Depositato l’accordo, con l’attestazione di un esperto che conferma la sostenibilità e il pagamento dei non aderenti, il tribunale lo omologa. Da quel momento l’accordo è vincolante: i creditori aderenti non possono più agire esecutivamente e devono rispettare le nuove scadenze. Gamma S.p.A. esegue l’accordo e, superata la crisi, torna in bonis. I pochi creditori estranei sono stati pagati regolarmente come promesso.
Concordato preventivo (continuità o liquidatorio)
Il concordato preventivo è la più nota procedura concorsuale giudiziale utilizzata dalle imprese fallibili (medio-grandi) per evitare il fallimento attraverso un accordo con i creditori approvato a maggioranza e omologato dal tribunale. Nel Codice della Crisi, il concordato preventivo è disciplinato agli artt. 84-120 CCII e mantiene l’impianto fondamentale: l’imprenditore in stato di crisi o insolvenza propone un piano ai creditori, questi votano, e se si raggiungono le maggioranze di legge (maggioranza per teste e per ammontare dei crediti votanti, in ciascuna classe se il piano prevede classi) il tribunale verifica la legalità e fattibilità del piano ed emette un decreto di omologa vincolante per tutti.
- Tipologie di concordato: Il CCII distingue principalmente tra:
- Concordato in continuità aziendale (art. 84, co. 2): quando è prevista la prosecuzione dell’attività d’impresa (diretta o indiretta, cioè anche tramite cessione o affitto dell’azienda a terzi che la proseguono). In questo concordato la logica è ristrutturare i debiti mantenendo viva l’impresa, così da massimizzare la soddisfazione dei creditori nel tempo. Richiede generalmente il voto dei creditori e deve assicurare che i creditori ricevano almeno quanto otterrebbero da una liquidazione.
- Concordato liquidatorio (art. 84, co. 3): quando il piano prevede solo la liquidazione del patrimonio del debitore e la cessazione dell’attività. Questo tipo di concordato è ammesso solo a certe condizioni rafforzate: il Codice richiede un apporto di risorse esterne che aumenti in misura apprezzabile l’attivo (almeno il 10%), salvo casi particolari (ad es. concordato proposto da un consumatore con cessione di tutti i beni). Inoltre, deve assicurare un pagamento minimo del 20% ai creditori chirografari (salvo eccezioni). Lo scopo è evitare concordati liquidatori “punitivi” per i creditori rispetto al fallimento e fare in modo che il debitore offra qualcosa in più (spesso denaro fresco da terzi) per meritare l’accordo.
- Concordato semplificato: già menzionato prima, è riservato al caso di esito negativo della composizione negoziata e segue regole proprie (no voto). Non è accessibile liberamente, quindi generalmente quando si parla di concordato preventivo ci si riferisce a quello “ordinario” con voto.
- Procedure e maggioranze: L’iter del concordato preventivo prevede inizialmente il deposito di una proposta e di un piano dettagliato corredato da relazione di un professionista attestatore (art. 87 CCII). Il tribunale, verificati i requisiti, ammette la società al concordato e nomina un commissario giudiziale. Da quel momento scatta l’automatic stay: i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive né acquisire diritti di prelazione (pignoratizi o ipotecari) sul patrimonio del debitore (art. 94 CCII). Si forma quindi l’adunanza dei creditori e i creditori votano sulla proposta. Servono maggioranze differenziate: se i creditori sono divisi in classi, serve il voto favorevole della maggioranza delle classi e, nel complesso, di crediti che rappresentino almeno il 50% di quelli ammessi al voto. Se non ci sono classi, serve il sì di creditori rappresentanti la maggioranza del totale crediti ammessi (oltre il 50%). Vi sono tecnicismi (per es., i creditori privilegiati non intaccati non votano; se rinunciano a parte del privilegio votano per quella parte, ecc.). Una volta approvato, il concordato passa al vaglio del tribunale per l’omologa: qui possono esserci opposizioni di creditori dissenzienti, ma se il tribunale ritiene il piano valido e conveniente rispetto all’alternativa (liquidazione giudiziale), lo omologa rendendolo obbligatorio per tutti i creditori anteriori.
- Trattamento dei crediti nel concordato: Una delle sfide è distribuire il sacrificio in modo equo. I creditori privilegiati (come il Fisco, banche ipotecarie, lavoratori) vanno normalmente pagati integralmente per la parte coperta da garanzia o privilegio, ma il piano può prevedere di dilazionarne il pagamento (entro un anno dall’omologa per i privilegiati di grado generale, o più se autorizzato). Se però l’attivo non basta a coprirli al 100%, essi diventano chirografari per la parte scoperta e votano per quella parte. I creditori chirografari (senza garanzie) ricevono una percentuale che dipende dalla ricchezza del piano: a loro la legge impone solo il minimo del 20% in caso di concordato liquidatorio. Nel concordato in continuità, non c’è una soglia minima percentuale, perché l’idea è che possano anche essere soddisfatti parzialmente nel tempo coi risultati dell’attività, purché ottengano di più di quanto avrebbero in una liquidazione immediata (principio di convenienza). Come detto, per i creditori pubblici (Erario e previdenza) il CCII ha introdotto meccanismi di cram-down: se l’ente non aderisce alla proposta di transazione fiscale, il tribunale può ugualmente omologare se ritiene che riceveranno almeno quanto in caso di fallimento e se un esperto attesta la convenienza. Ad esempio, un concordato in continuità potrebbe prevedere di pagare il 30% dei debiti fiscali in 5 anni: se l’Agenzia rifiutasse ma quell’offerta è giudicata migliore dell’incasso stimato in fallimento (magari zero), il tribunale potrà forzare l’omologa grazie all’art. 48, co. 5 CCII (introdotto dal D.L. 118/2021).
- Esdebitazione e effetti finali: Per l’imprenditore individuale, l’omologazione del concordato e la sua integrale esecuzione portano alla liberazione dai debiti residui conformemente al piano: ciò significa che se nel piano il creditore A riceveva il 50%, dopo l’esecuzione il restante 50% è definitivamente inesigibile per quel creditore. In altre parole, il concordato omologato ed eseguito funziona come esdebitazione consensuale. Se invece il debitore è una società, la questione della liberazione dai debiti ulteriori non si pone in termini personali, ma l’effetto è che la società prosegue senza i debiti non soddisfatti (non c’è una persona fisica liberata, a meno di soci garanti). Va ricordato però che, per l’imprenditore collettivo, i soci che abbiano prestato garanzie o siano illimitatamente responsabili non sono liberati dall’omologazione del concordato sociale, salvo accordi specifici: i creditori potrebbero quindi rivalersi su di loro per la parte eccedente (a meno che anch’essi non accedano a procedure personali).
Esempio (concordato in continuità): La Delta S.p.A., catena di negozi, ha 50 milioni di debiti e rischia il collasso. Elabora un piano di concordato in continuità: chiuderà i punti vendita meno redditizi, manterrà gli altri e riceverà nuova finanza dai soci per €5 milioni. Il piano prevede di pagare integralmente dipendenti e fornitori strategici (man mano entro un anno), di pagare l’Erario al 40% in 5 anni e di pagare i fornitori chirografari al 30% in 5 anni. I creditori sono divisi in classi: dipendenti (classe A) 100% in 6 mesi, fornitori essenziali (B) 100% in 1 anno, Erario e INPS (C) 40% in 5 anni, banche chirografarie (D) 30% in 5 anni, fornitori residuali (E) 30% in 5 anni. Nella votazione, tutte le classi tranne l’Erario (classe C) approvano. L’Agenzia delle Entrate vota contro perché lo sconto 60% è forte, ma il commissario giudiziale certifica che in liquidazione il Fisco prenderebbe zero, mentre così avrà 40%. Il tribunale, rilevato che classi A, B, D, E hanno detto sì e che comunque la maggioranza dei crediti ha approvato, applica l’art. 112 CCII e omologa il concordato anche senza il voto dell’Erario (cram-down). Delta S.p.A. esegue il piano nei 5 anni successivi, risanando l’azienda. Al termine, i creditori chirografari ricevono il 30% previsto e non possono più pretendere il restante 70%, che è cancellato dall’effetto esdebitatorio del concordato omologato ed adempiuto.
Esempio (concordato liquidatorio): La Epsilon Srl, piccola impresa commerciale, è ferma e decotta. Propone un concordato liquidatorio offrendo: liquidazione di tutti i beni (che stima frutteranno 100.000 €) e un apporto da parte di un terzo interessato di ulteriori 30.000 € (risorse esterne pari al 30% dell’attivo iniziale). Queste somme permettono di pagare i creditori privilegiati (dipendenti e banca ipotecaria) al 100% e i chirografari al 25%. Il piano supera la soglia minima del 20% per i chirografari. I creditori votano e approvano (essendo i privilegiati soddisfatti integralmente, votano solo i chirografari e la maggioranza di essi è favorevole, allettati dal 25% subito contro il probabile 10% in caso di fallimento). Il tribunale omologa. Si procede a vendere i beni, il terzo versa i 30.000 € promessi e i creditori vengono pagati come da piano. La Epsilon Srl viene di fatto chiusa, ma grazie al concordato ha evitato il fallimento giudiziale e ha ottenuto di liberare i suoi soci garanti dalle esposizioni eccedenti (le banche con fideiussione dei soci avevano anch’esse aderito al concordato, rinunciando ad escutere i soci per la quota falcidiata).
Concordato minore (procedura per piccoli imprenditori e non fallibili)
Il concordato minore è la procedura concordataria introdotta dal Codice della Crisi (artt. 74-83 CCII) per i debitori non fallibili in stato di sovraindebitamento. In sostanza, è l’equivalente del concordato preventivo ma riservato ai piccoli imprenditori, professionisti, imprenditori agricoli ed enti non commerciali che non superano le soglie di fallibilità. Esso ha sostituito il “vecchio” accordo di composizione della crisi della L.3/2012, mantenendone l’impianto di base ma con alcune differenze.
- Soggetti ammessi: rientrano nel concordato minore tutti i debitori non consumatori che versano in stato di sovraindebitamento. In pratica: l’imprenditore minore (colui che non supera le soglie di cui all’art. 2, c.1, lett. d) CCII: attivo ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000, debiti ≤ €500.000), gli imprenditori agricoli (esenti da fallimento per definizione), i professionisti e gli enti non profit. Il consumatore puro invece non può accedere al concordato minore – per lui c’è il piano del consumatore. Se un debitore è misto (parte debiti d’impresa, parte personali), occorre valutare la prevalenza o eventualmente seguire due strade parallele.
- Finalità e tipologia: il concordato minore è concepito in via ordinaria come concordato in continuità: l’art. 75 CCII incoraggia la continuazione dell’attività anche per il piccolo imprenditore, come via per soddisfare meglio i creditori. È però ammesso anche in forma liquidatoria, ma in tal caso è richiesto – similmente al concordato preventivo liquidatorio – un apporto di risorse esterne apprezzabile per aumentare l’attivo. Dunque, un piccolo imprenditore può proporre un concordato minore liquidatorio solo se aggiunge qualcosa (denaro proprio, di terzi, ecc.) a beneficio dei creditori, altrimenti verrebbe preferita la semplice liquidazione controllata.
- Struttura: Il debitore presenta una proposta di concordato minore con l’ausilio dell’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) nominato dal tribunale. Il piano può prevedere qualsiasi forma di ristrutturazione: pagamento parziale, dilazioni, suddivisione in classi di creditori, ecc.. La differenza principale rispetto al piano del consumatore è che qui serve il voto dei creditori: il concordato minore deve essere approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza (oltre il 50%) dei crediti ammessi al voto. Non c’è suddivisione in classi obbligatoria, ma se il piano le prevede, serve comunque il voto maggioritario complessivo (non è previsto un meccanismo di classi separate come nel concordato maggiore, data la scala più piccola della procedura). Una volta ottenuta la maggioranza di adesioni, il tribunale omologa il concordato – anche qui valutando la meritevolezza e la fattibilità del piano, e potendo procedere ad omologa forzosa se c’è qualche creditore dissenziente che ha votato contro in mala fede. Va notato che il CCII ha introdotto la possibilità di cram-down dei creditori dissenzienti anche nel concordato minore, analogamente a quello preventivo.
- Effetti: Con l’omologazione, il concordato minore diviene vincolante per tutti i creditori anteriori, compresi quelli che non hanno aderito (purché soddisfatti almeno in misura pari all’alternativa liquidatoria). Il debitore esegue il piano sotto la vigilanza di un gestore della crisi nominato (figura simile al commissario). Se il piano viene adempiuto con successo, il debitore ottiene la liberazione dai debiti residui (esdebitazione) relativamente ai crediti stralciati. Se invece il concordato minore fallisce (ad esempio, non vengono rispettati i pagamenti promessi), il CCII prevede la conversione automatica in liquidazione controllata su istanza del debitore, così da evitare il ritorno al caos delle esecuzioni individuali.
- Meritevolezza e cause ostative: Anche nel concordato minore si applicano criteri di meritevolezza simili a quelli del consumatore. L’art. 77 CCII richiama infatti le cause ostative di cui all’art. 69 CCII: non può accedere chi ha commesso atti in frode ai creditori, chi ha già ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti, chi ha utilizzato più di due procedure da sovraindebitamento in totale, ecc.. La riforma del 2024 ha leggermente allentato tali vincoli: ad esempio, ha eliminato l’ostacolo per chi nei 5 anni precedenti aveva solo presentato altre procedure (ora rileva solo se ha già ottenuto l’esdebitazione, non se semplicemente aveva fatto un altro concordato minore). In generale, il debitore deve dimostrare correttezza e trasparenza: documenti completi e veritieri (pena l’inammissibilità) e assenza di comportamenti gravemente scorretti. Per gli imprenditori, la valutazione di meritevolezza punta soprattutto alla mancanza di atti di frode.
Esempio: Un artigiano (ditta individuale) ha debiti per €250.000, di cui €50.000 verso fornitori locali, €100.000 verso una banca, €30.000 di tasse arretrate e il resto vari. Non essendo “fallibile” (sotto soglia), presenta un concordato minore proponendo di continuare l’attività. Il piano prevede che l’artigiano venda un macchinario inutile e versi nel concordato €20.000, ottenendo in cambio una riduzione dei debiti: offre ai creditori chirografari (fornitori e banca chirografaria) il 40% in 4 anni e all’Erario il 30% in 4 anni. I creditori votano: la banca (40% dei crediti) e molti fornitori (15%) approvano, altri piccoli no, ma in totale si raggiunge il 55% di consensi, sopra la maggioranza richiesta. Il tribunale omologa nonostante il Fisco non abbia formalmente aderito, valutando che comunque otterrà di più di quanto prenderebbe liquidando gli scarsi beni (principio di cram-down fiscale applicabile). L’artigiano esegue il piano nei 4 anni successivi, risollevando la propria attività. Pagato il 40% dovuto, i creditori chirografari non possono più pretendere il restante 60%, che viene cancellato. I debiti fiscali residui invece potrebbero restare formalmente a carico (non essendo il consumatore esdebitabile per le sanzioni), ma in questo caso l’accordo omologato funge da transazione fiscale.
Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore
Destinato esclusivamente ai debitori civili (consumatori), il piano di ristrutturazione del consumatore (artt. 67-73 CCII) – erede del “piano del consumatore” della legge 3/2012 – è una procedura che consente al debitore persona fisica, non imprenditore, di ottenere dal tribunale l’omologazione di un piano di pagamenti dei propri debiti, anche senza il consenso dei creditori. È dunque una procedura unilaterale: il debitore presenta un piano dettagliato, e il giudice lo omologa se lo ritiene fattibile e se il debitore è meritevole. I creditori non votano: subiscono la ristrutturazione, purché tutelati dal rispetto della par condicio e del principio di migliore soddisfazione rispetto alla liquidazione.
- Ambito soggettivo: Solo il consumatore sovraindebitato può accedere al piano. Il CCII definisce “consumatore” la persona fisica che ha contratto obbligazioni per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta, anche se socio illimitatamente responsabile di società, limitatamente ai debiti estranei a quelli sociali. Questa definizione, ampliata dalla riforma, permette per esempio a un ex imprenditore di qualificarsi consumatore se i debiti residui sono solo personali, o al socio di una SNC di fare un piano per i suoi debiti personali. È una differenza importante rispetto alla vecchia legge: ora contano la natura dei debiti più che la qualifica soggettiva. L’ultimo “Decreto correttivo” del 2024 ha ulteriormente chiarito che anche un socio illimitatamente responsabile può accedere come consumatore per i debiti estranei all’impresa, senza che la potenziale estensione del fallimento sociale glielo impedisca (salvo pregiudizio ai creditori sociali).
- Contenuto del piano: Il consumatore, con l’ausilio di un OCC, propone come intende pagare i debiti: può prevedere qualsiasi forma di ristrutturazione, anche pagamenti parziali e differenziati tra creditori, purché rispetti una regola fondamentale: garantire ai creditori privilegiati almeno quanto otterrebbero nella liquidazione. Questo vuol dire che, se il consumatore possiede beni ipotecati, nel piano deve prevedere di pagare il creditore ipotecario almeno nei limiti del valore di realizzo di quell’immobile, altrimenti il giudice non potrebbe omologare (a meno che il creditore ipotecario acconsenta espressamente). I creditori chirografari possono invece essere falcidiati anche drasticamente, se il piano dimostra che con la liquidazione prenderebbero comunque zero o pochissimo. Il piano può anche prevedere la moratoria fino a 2 anni sui crediti privilegiati non pagati immediatamente, e (novità) consentire che il debitore mantenga la titolarità della prima casa pagando regolarmente le rate del mutuo residuo: la riforma 2024 ha introdotto la possibilità di escludere dalla liquidazione l’abitazione principale se il debitore è in regola con il mutuo o se il giudice lo autorizza a pagare le rate scadute.
- Procedimento e meritevolezza: Depositata la proposta e la documentazione (elenco creditori, redditi, atti degli ultimi anni, ecc.), il giudice fissa l’udienza e verifica i presupposti. Non serve il voto dei creditori, ma questi possono presentare opposizioni se ritengono che il piano li danneggi oltre i limiti di legge o che il debitore non sia meritevole. Il fulcro infatti è la meritevolezza del consumatore: il tribunale omologa solo se ritiene che il sovraindebitamento non sia stato causato da dolo o colpa grave del debitore (parametro di meritevolezza). La normativa su questo punto è cambiata nel tempo: la L.3/2012 originaria prevedeva un rigido “triplice test” (no debiti contratti senza ragionevole prospettiva di pagamento, no colpa grave nell’indebitarsi, no ricorso al credito sproporzionato). Dal 2020, invece, è rimasto un unico criterio generale: il piano è inammissibile se il debitore ha determinato il sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode. Quindi il giudice deve valutare se il consumatore è stato globalmente onesto e sfortunato, oppure no. La Cassazione ha chiarito che, nelle procedure avviate dopo la riforma, si applica il criterio attuale più favorevole e meno restrittivo. Ad esempio, un consumatore che in passato ha fatto spese eccessive può ancora essere meritevole se non c’era malafede o una sproporzione folle rispetto alle sue capacità al momento, mentre prima sarebbe stato bocciato. In ogni caso, frodi o condotte astute (es. aver dissipato patrimonio per non pagare) porteranno al rigetto.
- Omologazione e effetti: Se il giudice reputa il piano conforme a legge e il debitore meritevole, lo omologa nonostante l’eventuale dissenso dei creditori. Da quel momento il piano è obbligatorio per tutti: i creditori devono accontentarsi di quanto previsto e non possono agire per il resto. Durante l’esecuzione, un gestore (di solito l’OCC stesso) vigila sui pagamenti. Al termine, se il debitore adempie, ottiene la definitiva esdebitazione per la parte di debito eccedente pagata. Va ricordato però che anche qui restano esclusi dall’esdebitazione i debiti impignorabili per legge (alimenti, risarcimenti da fatto illecito, multe), i quali formalmente restano ma spesso, se non pagati, difficilmente saranno riscossi (ad esempio le multe molto vecchie prescritte). Se invece il piano non viene rispettato per colpa del debitore, può essere revocato su istanza dei creditori, riaprendo la strada alle azioni individuali o a una possibile conversione in liquidazione controllata.
Esempio: Giulia, consumatrice senza attività d’impresa, ha debiti per €100.000 (prestiti personali, carte revolving, bollette arretrate) e un solo reddito da stipendio. Non possiede immobili. Propone un piano del consumatore offrendo di pagare €30.000 in 5 anni (tra stipendio cedibile e aiuto dei familiari), ripartiti proporzionalmente tra i creditori chirografari. Nel piano dimostra che, se fosse liquidato il suo (scarso) patrimonio, i creditori prenderebbero a malapena €5.000, quindi il piano al 30% è vantaggioso. Spiega anche la causa del sovraindebitamento: alcuni anni di spese mediche impreviste e l’uso eccessivo della carta di credito; riconosce l’errore ma non vi è stata frode. I creditori finanziari contestano sostenendo che Giulia abbia agito con leggerezza. Il giudice però valuta che non vi sia mala fede né colpa grave (Giulia ha perso il lavoro per un periodo e ha usato la carta per vivere, poi ha ripreso a lavorare). Omologa il piano. Giulia esegue tutti i pagamenti nei 5 anni: i creditori ricevono complessivamente €30.000 su €100.000 e, a fine piano, non possono più pretendere la differenza. I debiti sono estinti (esdebitazione) e Giulia può ripartire da zero.
Tabella 2: Confronto sintetico tra procedure concorsuali/sovraindebitamento
Procedura | Soggetti ammessi | Consenso creditori | Esiti principali | Riferimenti normativi |
---|---|---|---|---|
Composizione negoziata (strumento stragiudiziale assistito) | Imprese di qualsiasi dimensione in crisi (anche sovraindebitate non fallibili). | Volontaria; creditori coinvolti su base consensuale. (Nessun voto, trattativa privata mediata da esperto). | Accordo stragiudiziale con alcuni o tutti i creditori (eventuale omologa solo se richiesto per efficacia erga omnes limitata). Se fallisce, possibile accesso a concordato semplificato liquidatorio (senza voto). | D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021; art. 23 CCII e ss. |
Piano attestato di risanamento (stragiudiziale con attestazione) | Imprese in crisi (di regola fallibili). | Consensuale con singoli creditori (nessuna adesione minima di legge). | Accordi privati protetti da esenzione da revocatoria. Nessun effetto diretto sui dissenzienti (che vanno pagati integralmente). Nessun intervento del tribunale (solo eventuale pubblicazione registro imprese). | Art. 56 CCII (ex art. 67 L.Fall.). |
Accordo di ristrutturazione (ARD) | Imprese in crisi (fallibili). Non per consumatori o piccolissimi. | Richiede adesione ≥ 60% dei crediti. Nessun voto formale, adesioni scritte. I creditori estranei (non aderenti) vanno pagati al 100% entro 120 giorni dall’omologa. | Omologato dal tribunale. Vincola tutti i creditori aderenti; i non aderenti restano da pagare integralmente ma nel frattempo, su richiesta, il tribunale può sospendere le azioni esecutive. Possibile cram-down fiscale (omologa nonostante diniego Fisco se ≥30-40% offerto e convenienza attestata). Se accordo non eseguito, creditore può chiederne la risoluzione giudiziale. | Artt. 57-64 CCII. Varianti: accordi agevolati (debiti finanziari diffusi), accordi ad efficacia estesa (75% banche). |
Concordato preventivo (in continuità o liquidatorio) | Imprenditori commerciali fallibili (oltre soglie). Anche grandi società. (Non disponibile per non fallibili). | Voto richiesto: maggioranza dei crediti ammessi (50%+). Se classi, maggioranza per classi + maggioranza assoluta crediti. Cram-down possibile su classi dissenzienti se il piano è comunque conveniente e rispettoso delle priorità. | Omologa tribunale. Vincola tutti i creditori anteriori (anche dissenzienti). Esecuzione sotto controllo del commissario o liquidatore. Se in continuità, impresa prosegue secondo piano; se liquidatorio, beni venduti e società cessata. Esdebitazione: il debitore persona fisica è liberato dai debiti residui dopo l’adempimento del piano. Per società, chiusura posizione debitoria salvo garanzie verso terzi. Se il concordato fallisce (risoluzione per inadempimento), si apre la liquidazione giudiziale (fallimento). | Artt. 84-120 CCII. (Prima: art. 160 e ss. L.Fall.). Concordato semplificato: art. 25-sexies CCII (post-composizione negoziata). |
Liquidazione giudiziale (ex fallimento) | Imprenditori fallibili insolventi (su sentenza tribunale). | No consenso richiesto (procedura coattiva). | Nomina di curatore, spossessamento del debitore, liquidazione di tutto l’attivo e distribuzione secondo prelazioni. Impresa cessa. Esdebitazione persona fisica: su istanza, liberazione dai debiti non pagati a fine procedura (o dopo 3 anni dall’apertura) se il fallito è meritevole. Società si estingue; soci illimitati possono chiedere esdebitazione personale. | Artt. 121-270 CCII (liquidazione giudiziale). Esdebitazione ex art. 278-281 CCII. |
Concordato minore (sovraindebitamento) | Debitori “non fallibili” non consumatori (piccoli imprenditori sotto soglie, professionisti, agricoli, start-up, enti non profit). Stato di sovraindebitamento (crisi/insolvenza). | Voto richiesto: maggioranza crediti > 50%. Niente classi obbligatorie (ma possibili). Cram-down su dissenzienti poss. con giudizio di meritevolezza. | Omologato dal tribunale se conforme a legge e debitore meritevole (assenza frode, ecc.). Vincola tutti i creditori anteriori. Automatic stay: dalla pubblicazione domanda, sospese le esecuzioni. Esecuzione sotto controllo OCC/gestore. Esdebitazione: liberazione residui a fine piano adempiuto. Se non approvato o non omologato, possibile conversione in liquidazione controllata d’ufficio; se omologato ma poi inadempiuto, può essere risolto e aprirsi liquidazione controllata. | Artt. 74-83 CCII. (Ex “accordo di composizione L.3/2012”). |
Piano del consumatore (ristrutturazione debiti del consumatore) | Persona fisica consumatore sovraindebitato (debiti estranei ad attività d’impresa). | No voto creditori. (Creditori possono opporsi, ma decisione spetta al giudice in base a meritevolezza e convenienza rispetto a liquidazione). | Omologa giudice se piano fattibile e debitore meritevole (no colpa grave/frode). Vincola tutti i creditori anteriori (anche dissenzienti). Il debitore paga secondo il piano, sotto supervisione OCC. Esdebitazione: al termine, cancellazione debiti residui (eccetto debiti esclusi ex lege esdebitazione). Se il piano non è eseguito, revoca e possibilità di aprire liquidazione controllata. | Artt. 67-73 CCII. (Ex piano consumatore L.3/2012). |
Liquidazione controllata (del sovraindebitato) | Qualsiasi debitore sovraindebitato (persona fisica o giuridica non fallibile) può chiedere la liquidazione di tutti i suoi beni. Anche i creditori possono chiederla (se debitore insolvente). | No voto (è procedura giudiziale liquidatoria). | Nomina di un liquidatore (OCC o professionista) che vende i beni del debitore e distribuisce secondo le cause di prelazione. Il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione dei debiti non soddisfatti al termine (su decreto del giudice). Durata massima procedura 3 anni dall’apertura (il correttivo 2024 ha eliminato il precedente minimo 4 anni). Se non c’è attivo, la domanda può essere dichiarata improcedibile per evitare costi inutili. | Artt. 268-277 CCII (liquidazione controllata, ex “liquidazione del patrimonio” L.3/2012). Esdebitazione debitore sovraindebitato: art. 282-283 CCII. |
Esdebitazione del debitore incapiente | Persona fisica sovraindebitata priva di beni o redditi (nullatenente “incapiente”), meritevole. Ammessa una sola volta. | N/A (non è procedura di pagamento, ma istanza di benefecio). | Il tribunale cancella tutti i debiti senza alcun pagamento ai creditori. Il debitore è però obbligato, per i 4 anni successivi, a segnalare e versare ai creditori sopravvenienze attive (redditi o utilità rilevanti acquisite in quel periodo). Se nei 4 anni non sopravviene nulla, i creditori non potranno più pretendere nulla in futuro: il debitore ha il fresh start immediato. Se invece compaiono nuove risorse (es. vincita, eredità), deve destinarle a soddisfare i vecchi creditori, pena revoca del beneficio. | Art. 283 CCII (introdotto da L.176/2020, prima art. 14-quaterdecies L.3/2012). |
Tutele personali del debitore (protezione del patrimonio e diritti nella riscossione)
Oltre agli strumenti formali di soluzione della crisi, il nostro ordinamento prevede varie tutele individuali per il debitore, volte a bilanciare il diritto di credito con la dignità e i diritti fondamentali della persona. Queste tutele, che analizziamo qui di seguito, riguardano ciò che non può o non dovrebbe essere toccato dai creditori, nonché i limiti e le regole delle azioni esecutive. Affronteremo inoltre il tema di come un debitore può cercare di proteggere in anticipo parte del proprio patrimonio (es. con il fondo patrimoniale o altri strumenti leciti) e quali sono i confini di tali strumenti alla luce della giurisprudenza.
Impignorabilità e limiti nelle esecuzioni forzate
La legge italiana individua alcuni beni e redditi impignorabili, ossia che i creditori non possono aggredire nemmeno in caso di debiti. Inoltre, dove il pignoramento è ammesso, spesso sono previsti limiti quantitativi per salvaguardare il minimo vitale del debitore e della sua famiglia.
- Beni mobili indispensabili: L’art. 514 c.p.c. elenca i beni mobili impignorabili, tra cui: l’abbigliamento, i mobili ed elettrodomestici essenziali di casa, i letti, tavoli e sedie necessari, gli oggetti di culto, le scorte di viveri, e anche gli strumenti di lavoro indispensabili per la professione del debitore (entro un certo limite di valore). Ciò significa che un ufficiale giudiziario che accede all’abitazione o all’azienda non può pignorare, ad esempio, gli utensili base con cui l’artigiano lavora per vivere, a meno che il pignoramento riguardi debiti per il loro acquisto o debiti alimentari. Questa norma garantisce al debitore la possibilità di continuare a svolgere la sua attività lavorativa e a vivere dignitosamente nonostante l’esecuzione in corso.
- Prima casa e limiti per il creditore pubblico: Come già evidenziato, esiste un divieto legale per il Fisco di pignorare la prima casa del debitore in determinate condizioni. Questo non vale per i creditori privati: una banca o un privato creditore (p.es. il danneggiato da un incidente) può in teoria pignorare l’abitazione del debitore, in mancanza di altri beni aggredibili. Tuttavia, in pratica, se il debitore possiede una sola casa di modesto valore e molti debiti, spesso i creditori chirografari evitano il pignoramento immobiliare perché antieconomico (la procedura è lunga e costosa, e l’immobile potrebbe restare invenduto o essere aggiudicato a prezzo molto ribassato). Per il debitore, una tutela importante è data dall’esdebitazione post-vendita: se la casa viene pignorata e venduta ma il ricavato non basta a coprire tutti i debiti, il debitore può liberarsi del debito residuo aderendo ad una procedura concorsuale (ad es. liquidazione controllata con successiva esdebitazione). Fuori dalle procedure, invece, il residuo rimane in linea di principio esigibile.
- Limiti al pignoramento di stipendi e pensioni: Abbiamo accennato che solo una quota dello stipendio o pensione è pignorabile, per evitare di lasciare il debitore senza mezzi. In generale, per creditori ordinari, un quinto dello stipendio netto mensile può essere pignorato (20%). Per le pensioni, prima si deve sottrarre una “quota impignorabile” pari all’assegno sociale aumentato della metà (circa €1.000 nel 2025), su cui non si può toccare nulla; oltre tale soglia, la parte eccedente è pignorabile sempre nei limiti del quinto. Per i crediti alimentari (es. mantenimento), il giudice può autorizzare pignoramenti anche più elevati caso per caso. Per il Fisco, come visto, il D.L. 16/2012 ha introdotto un meccanismo a scaglioni: 1/10 dello stipendio se l’importo netto mensile è sotto ~€2.500; 1/7 se è tra ~€2.500 e ~€5.000; 1/5 oltre €5.000. Queste misure mirano a equilibrare il diritto del creditore a recuperare e il diritto del debitore a un’esistenza dignitosa (principio quest’ultimo anche tutelato dall’art. 36 Cost. per le retribuzioni).
- Conti correnti cointestati e altri casi: Se il conto corrente è cointestato con un soggetto non debitore (ad es. conto familiare), l’attuale orientamento pretorio è che si presume diviso in parti eguali, quindi il pignoramento a carico di uno dei cointestatari può colpire al massimo la sua presunta metà salvo prova contraria. Anche i beni in comunione legale tra coniugi seguono regole particolari: il creditore di uno solo dei coniugi non può aggredire beni che sono personali dell’altro o che non rientrano nella comunione. Ad esempio, se i debiti riguardano l’attività commerciale del marito, i beni acquistati dalla moglie con proventi del suo lavoro potrebbero essere esclusi dal pignoramento se opportunamente dimostrato.
- Sospensione e rinvio delle aste: Il debitore esecutato ha alcune possibilità di frenare la procedura esecutiva: può chiedere al giudice dell’esecuzione un termine di grazia per pagare (soprattutto nelle espropriazioni immobiliari, può essere concesso un rinvio dell’asta se c’è la prospettiva di un saldo in breve). Inoltre, come già ricordato, esiste l’istituto della conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.): il debitore può evitare la vendita forzata offrendo una somma pari al debito, interessi e spese (anche a rate, con acconto 1/5 subito). Questa è una tutela “ultima”, attivabile però se il debitore riesce a reperire fondi (spesso lo si fa con l’aiuto di terzi, parenti o con un nuovo finanziamento).
In sintesi, l’ordinamento processuale cerca di evitare che l’esecuzione si traduca in una condizione insostenibile per il debitore: non tutto è pignorabile e non fino all’ultimo centesimo.
Fondo patrimoniale e altri vincoli sui beni di famiglia
Molti imprenditori, prima o durante l’attività, cercano di proteggere i beni della famiglia (in particolare la casa coniugale) dai rischi di impresa. Uno strumento previsto dal codice civile a tal fine è il fondo patrimoniale (artt. 167-171 c.c.). Il fondo patrimoniale consiste nel destinare determinati beni – tipicamente immobili, titoli o altri cespiti – a far fronte ai bisogni della famiglia, con atto pubblico stipulato tra coniugi (o da un terzo donante). I beni così conferiti diventano vincolati: non possono essere liberamente alienati se non per bisogni della famiglia e, soprattutto, i creditori non possono eseguirvi pignoramenti per debiti che il debitore abbia contratto per scopi estranei ai bisogni familiari (art. 170 c.c.). Questa è la teoria: in pratica, l’efficacia del fondo patrimoniale nei confronti dei creditori è stata spesso ridimensionata dalla giurisprudenza.
- Bisogni della famiglia: La chiave è stabilire se un certo debito fu contratto per scopi familiari o no. Secondo la Cassazione, la nozione di “bisogni della famiglia” è ampia: include non solo le spese necessarie a mantenimento ed educazione dei figli, ma anche quelle volte a migliorare la qualità di vita e la capacità lavorativa dei membri della famiglia. Sono escluse solo le spese “voluttuarie o speculative” del tutto estranee all’economia familiare. Ad esempio, un debito contratto per comprare un’auto per la famiglia rientra nei bisogni; uno contratto per investire in borsa a fini speculativi probabilmente no. E un debito dell’imprenditore per la sua attività? Questo è il punto cruciale: in astratto, il debito dell’azienda non è fatto per la famiglia, ma la Cassazione ha ritenuto che se quell’impresa è la fonte di reddito per mantenere la famiglia, molte obbligazioni connesse potrebbero considerarsi finalizzate (anche) ai bisogni familiari. Ad esempio, le tasse non pagate dell’imprenditore potrebbero essere viste come collegate al reddito familiare, dunque non estranee completamente.
- Onere della prova e consapevolezza del creditore: In caso di pignoramento di un bene in fondo patrimoniale, spetta al debitore (coniuge) che vuole bloccare l’esecuzione provare che il debito oggetto di esecuzione fu contratto per scopi estranei ai bisogni familiari e che il creditore lo sapeva. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’art. 170 c.c. esclude il pignoramento se il debitore fornisce, anche tramite presunzioni, indizi su: a) l’estraneità del debito ai bisogni familiari; b) la consapevolezza di tale estraneità da parte del creditore quando concesse il credito; c) (ulteriore elemento utile) che il fondo fu costituito prima del sorgere del debito. Tutti questi elementi sono oggetto di apprezzamento caso per caso dal giudice. Quindi, se un commerciante vuole opporsi al pignoramento della casa in fondo patrimoniale da parte, poniamo, di una banca: dovrà dimostrare che il finanziamento ottenuto dalla banca era per fini d’impresa non legati alla famiglia e che la banca lo sapeva (nel contratto di mutuo magari era scritto che serviva per l’attività). Inoltre, se il fondo è stato creato molto prima del mutuo, questo aiuta a escludere finalità elusive; se invece il fondo è successivo, il creditore potrebbe aver iscritto ipoteca prima o eccepire la revocabilità del fondo.
- Limiti e revocatoria: Il fondo patrimoniale non protegge in caso di debiti fiscali? Formalmente sì, anche il Fisco è soggetto all’art. 170 c.c., e difatti la Cassazione ha annullato ipoteche esattoriali se il debito tributario era estraneo ai bisogni familiari e l’agente ne era consapevole. Tuttavia, spesso si presume che il fisco (su IVA, ad esempio) sia inerente all’attività che dà reddito alla famiglia, e risulta difficile provare il contrario. In più, se il fondo patrimoniale è stato costituito in prossimità dell’insorgere dei debiti, i creditori possono reagire con l’azione revocatoria: l’atto di costituzione del fondo è a titolo gratuito (salvo che un terzo lo abbia dotato per finalità di liberalità), quindi revocabile entro 2 anni ex art. 64 L.F. se interviene fallimento, o entro 5 anni ex art. 2901 c.c. se arreca pregiudizio ai creditori ed è successivo ai debiti (o precedente ma in frode). Molti fondi patrimoniali sono infatti stati dichiarati inefficaci perché fatti quando già pendevano situazioni di insolvenza – i giudici li considerano spesso strumenti di mera distrazione del patrimonio se attuati in extremis.
In conclusione, il fondo patrimoniale può offrire una tutela aggiuntiva per l’imprenditore coniugato, ma solo in scenari specifici: debiti chiaramente estranei ai bisogni familiari e comportamento accorto (fondo istituito prima dei debiti). La giurisprudenza recente è abbastanza severa: “il fondo patrimoniale non è uno scudo facile”. Ad esempio, Cassazione 11/04/2024 n. 9789 ha ribadito che spetta al debitore dimostrare l’estraneità del debito e la consapevolezza del creditore, e che non basta che il debito sia di natura imprenditoriale per escludere i bisogni familiari, serve verifica concreta caso per caso.
Esdebitazione: il “fresh start” del debitore onesto
Una tutela fondamentale (più che patrimoniale, personale in senso economico) introdotta negli ultimi decenni è il principio del fresh start: dare al debitore sovraindebitato onesto la possibilità di ripartire, liberandolo dai debiti residui dopo aver messo a disposizione il proprio patrimonio. Ne abbiamo parlato in relazione alle varie procedure (l’esdebitazione è l’effetto finale auspicato di concordati adempiuti, liquidazioni, ecc.). Qui ricapitoliamo gli aspetti salienti:
- Esdebitazione post-procedura: Il Codice della Crisi prevede che tanto nel fallimento (liquidazione giudiziale) quanto nella liquidazione controllata del sovraindebitato, il debitore persona fisica possa ottenere un decreto che dichiara inesigibili tutti i debiti concorsuali rimasti insoddisfatti. Nel caso della liquidazione giudiziale (ex fallimento), oggi l’esdebitazione può essere concessa anche automaticamente dopo 3 anni dall’apertura della procedura, senza attendere la chiusura, e addirittura d’ufficio (il nuovo art. 281 CCII post-correttivo 2024 stabilisce che dopo 3 anni il tribunale provvede comunque, senza bisogno di istanza del debitore). Ciò mostra l’intento di agevolare e accelerare il reinserimento del fallito onesto. In ogni caso, restano alcune cause di diniego: l’esdebitazione è negata se il debitore ha commesso irregolarità gravi o violazioni (ad esempio non ha collaborato con gli organi della procedura, ha sottratto beni, o rientra nei casi di indegnità previsti). Quanto ai contenuti, l’esdebitazione comporta che i creditori interessati non possano più pretendere il pagamento dei crediti residui non soddisfatti. Sono fatti salvi i diritti verso eventuali coobbligati e fideiussori (che restano obbligati), e restano esclusi alcuni debiti di natura personale come alimenti, risarcimenti da illecito e sanzioni (che quindi restano dovuti). La Cassazione ha di recente ribadito un concetto importante: la cd. “meritevolezza” è requisito essenziale (soggettivo), mentre non è più richiesto un requisito oggettivo di pagamento minimo ai creditori. In passato, si discuteva se concedere l’esdebitazione solo se i creditori avevano avuto un soddisfacimento “non irrisorio”. Oggi è chiaro che la scarsa consistenza del patrimonio non è di per sé ostacolo: anche chi ha pagato lo 0,001% ai chirografari può essere esdebitato, purché la sua insolvenza non sia frutto di condotte ostative o fraudolente. La Suprema Corte (sent. 28505/2024) ha sancito che non si può ostracizzare il debitore dal beneficio solo perché aveva poco attivo, se ciò dipende da sfortuna e non da sua malafede o negligenza grave. Questo allineamento al principio del fresh start è un segnale forte: l’esdebitazione è uno strumento di giustizia sociale ed economica, non un premio riservato a chi comunque ha pagato molto.
- Esdebitazione del sovraindebitato incapiente: Caso ancor più particolare è quello dell’incapiente, già introdotto. Qui il debitore persona fisica davvero non ha nulla da offrire ai creditori. La legge (art. 283 CCII) gli permette, una tantum, di chiedere la cancellazione dei debiti subito. Il tribunale verifica: se non c’è colpa grave o frode e il debitore non ha ottenuto altri benefici negli ultimi 5 anni, può accogliere la domanda. Il debitore ottiene un decreto di esdebitazione immediata: da quel momento i creditori non possono più agire per i vecchi debiti. In contropartita, per i 4 anni successivi il debitore ha l’obbligo morale-giuridico di versare ai creditori qualunque utilità rilevante sopravvenuta (eredità, vincite, ecc.). Se in quei 4 anni affiorano beni e il debitore non li destina ai creditori, il beneficio può essere revocato. Se invece trascorrono 4 anni senza novità, i creditori resteranno definitivamente insoddisfatti. Questa misura è stata definita “fresh start immediato”: rappresenta una scelta forte del legislatore per dare una seconda chance a chi, pur di buona fede, è finito completamente al lastrico. Ovviamente i creditori non l’apprezzano, ma è giustificata dal principio che nulla si può cavare dalle pietre – se una persona ha zero risorse, perpetuare la sua posizione debitoria non giova a nessuno, anzi impedisce la sua riabilitazione economica che potrebbe, in futuro, renderlo di nuovo contribuente attivo nel sistema.
Altre tutele: legge anti-usura, privacy e dignità del debitore
Da ultimo, vale la pena menzionare alcune ulteriori protezioni del debitore:
- La legislazione anti-usura (L. 108/1996) prevede che se un tasso di interesse applicato supera il tasso soglia usuraio, il debitore non è tenuto a pagare alcun interesse: sono tutti nulli e già versati vanno restituiti. Questo vale sia in sede civile (il giudice ricondiziona il debito detraendo gli interessi usurari) sia in sede penale contro il creditore usuraio. Dunque un debitore che sia vittima di tassi eccessivi ha un’arma legale importante. Ci sono anche fondi di solidarietà e sospensioni di termini per vittime di usura o estorsione.
- Il Codice del Consumo e il Testo Unico Bancario contengono norme a tutela del debitore-consumatore: ad esempio, il divieto di anatocismo (interessi su interessi) salvo particolari condizioni, la trasparenza nei contratti di credito, la possibilità di estinguere anticipatamente i finanziamenti pagando una penale limitata, ecc. Il mancato rispetto di queste norme può ridurre il dovuto.
- Tutela della privacy e divieto di molestie: le società di recupero crediti devono rispettare la dignità del debitore. Il Garante Privacy e il codice deontologico stabiliscono che non possono essere usate pratiche aggressive come telefonate continue a orari improbabili, diffusione a terzi dell’informazione del debito, messaggi offensivi. Il debitore molestato può sporgere reclamo. Inoltre, l’art. 131-bis c.p. punisce la molestia continuativa. Eccessi (come minacce, simulazione di atti giudiziari non veri) possono integrare reati (violenza privata, estorsione tentata).
- Nessuna detenzione per debiti: principio storico del nostro ordinamento (art. 2740 c.c. e art. 21 Cost.) è che per le obbligazioni civili non adempiute non si può essere privati della libertà personale. Il carcere per debiti non esiste, salvo casi eccezionali come il mancato pagamento intenzionale di una multa pecuniaria comminata in sede penale (convertibile in carcere) o la violazione di obblighi familiari (che possono portare a reati). Ma per il resto, un debitore civile insolvente non rischia la galera. Questa non è una tutela patrimoniale, ma certamente incide sulla serenità personale: il debitore sovraindebitato, per quanto pressato, deve sapere che non potrà mai essere imprigionato solo perché non riesce a pagare. Può perdere beni, ma non la libertà.
Domande frequenti (FAQ)
D: Un piccolo commerciante con molti debiti può fallire come una grande azienda?
R: Dipende dalle dimensioni. In Italia non tutti gli imprenditori sono soggetti a fallimento (ora liquidazione giudiziale). Se il commerciante è individuale o società di persone che negli ultimi esercizi non ha superato i parametri di cui all’art. 2 CCII (attivo €300k, ricavi €200k, debiti €500k), allora è un imprenditore minore non fallibile. Ciò non significa che i debiti spariscono, ma che i creditori non possono chiederne il fallimento in tribunale. Dovrà semmai gestire la crisi con le procedure da sovraindebitamento (concordato minore, liquidazione controllata, ecc.) o con le esecuzioni individuali. Se invece supera quelle soglie, è fallibile: i creditori o il debitore stesso possono attivare la liquidazione giudiziale. Anche l’imprenditore agricolo, per definizione, non è soggetto a fallimento (art. 1 LF; ora art. 2 CCII), a prescindere dalle dimensioni.
D: Ho debiti personali (carta di credito, prestito auto) e debiti della mia ex attività cessata. Posso fare un’unica procedura per liberarmi di tutto?
R: Sì, il Codice della Crisi consente di trattare tutti i debiti insieme, ma occorre scegliere la procedura adatta. Se l’attività è cessata e tu ora sei un consumatore, potresti utilizzare il piano del consumatore includendo anche i debiti ex attività, purché ormai “personali” (ad es. fideiussioni escusse dopo la chiusura). La definizione di consumatore include l’ex imprenditore per debiti non attinenti più all’impresa. In alternativa, se alcuni debiti sono legati all’attività ancora in corso, potresti fare un concordato minore (per la parte imprenditoriale) e parallelamente un piano del consumatore per quelli personali – strada complessa ma a volte praticata. È importante farsi aiutare da un OCC o professionista per valutare la situazione. L’obiettivo è coprire tutto il passivo nella soluzione scelta, così che al termine si ottenga l’esdebitazione completa.
D: Posso includere i debiti fiscali in un piano di sovraindebitamento o in un concordato? Mi cancelleranno anche le cartelle esattoriali?
R: Sì, tutti i debiti (anche cartelle) possono essere ricompresi nelle procedure di composizione della crisi, e l’esdebitazione finale cancella anche i debiti fiscali residui, tranne quelli per sanzioni se non erano accessorie a debiti estinti. Ovviamente, i piani e concordati devono rispettare certi vincoli verso il Fisco: i crediti tributari assistiti da privilegio (IVA, ritenute) di regola vanno pagati almeno in parte. Con le riforme recenti, è diventato possibile falcidiare (ridurre) l’IVA e le ritenute, cosa prima vietata – serve però includere la transazione fiscale nella proposta e offrire al Fisco almeno quanto otterrebbe liquidando tutto. Se il Fisco dissente ma la proposta è conveniente, il giudice può omologare lo stesso (cram-down). Quindi sì: se hai cartelle esattoriali, puoi proporre di pagarne una percentuale e, a buon fine della procedura, la parte restante sarà inesigibile. L’importante è che la percentuale proposta sia giustificata dal valore del tuo patrimonio disponibile. Ad esempio, se senza procedura il Fisco incasserebbe 10 su 100, un piano che ne offre 30 su 100 dovrebbe passare (salvo questioni di meritevolezza).
D: Ho sentito parlare di cancellazione dei debiti per chi non possiede nulla. È vero?
R: Sì, è l’esdebitazione del debitore incapiente. Introdotta prima nel 2020 e ora stabilizzata nell’art. 283 CCII, consente al debitore persona fisica completamente privo di beni e di reddito di chiedere al tribunale la cancellazione di tutti i suoi debiti senza pagare nulla. Ovviamente il tribunale verifica attentamente che il debitore sia meritevole (non deve aver sperperato o nascosto i beni volontariamente, né aver fatto nuovo debito con colpa grave). Inoltre, per 4 anni dopo il provvedimento, il debitore dovrà versare ai vecchi creditori qualsiasi sostanza gli dovesse pervenire (per eredità, donazione, vincite, ecc.). Se dopo 4 anni ancora non ha nulla, è definitivamente libero. Questa è una misura una tantum (si può ottenere solo una volta nella vita). La ratio è dare una possibilità di ripartenza a chi è totalmente schiacciato dai debiti ma incolpevole – è inutile tenerlo sorretto dai debiti a vita se non pagherà mai, meglio liberarlo e incentivarlo a reinserirsi nell’economia legale. Tieni conto che non copre eventuali debiti derivanti da illeciti o obblighi di mantenimento, quelli rimarrebbero. Ma per debiti finanziari, commerciali, fiscali, sì, può azzerarli.
D: Se faccio una procedura di queste (concordato, piano, ecc.) i miei garanti o coobbligati sono liberi anche loro?
R: No, l’effetto esdebitativo è solo personale. La legge lo dice chiaramente (es. art. 278 co.6 CCII): i creditori conservano i diritti contro eventuali fideiussori, coobbligati o debitori in regresso. Quindi, se tu ti liberi dal debito verso la banca, ma tua moglie lo aveva garantito come fideiussore, la banca potrà chiedere a tua moglie l’intero importo residuo non pagato da te. Idem se c’è un socio coobbligato o un altro soggetto che aveva firmato insieme (p.es. co-firmatario di un mutuo): quello rimane vincolato. L’unico caso in cui i garanti “partecipano” è se li coinvolgi attivamente nell’accordo: ad esempio, se nel concordato prevedi che la banca rinunci ad agire verso il fideiussore (cosa che a volte succede in cambio di un pagamento maggiore immediato). Ma se ciò non è pattuito, il garante resta obbligato. Perciò, se hai garanti e vuoi salvaguardarli, devi considerare la loro posizione separatamente (magari anche loro accedono a una procedura, oppure trovi accordi paralleli con i creditori).
D: Quanto dura una procedura di sovraindebitamento? I creditori possono perseguitarmi all’infinito?
R: Le procedure hanno durate variabili ma la tendenza è di accorciarle. Un piano del consumatore tipicamente prevede pagamenti in 4–5 anni (può essere anche 7 anni, ma più lungo diventa, meno è credibile), e l’esecuzione si conclude in quel periodo. Un concordato minore pure di solito non supera i 4–5 anni di piano esecutivo. La liquidazione controllata, come liquidazione concorsuale, può durare qualche anno: il Codice originariamente prevedeva almeno 4 anni di durata, ma il correttivo 2024 ha eliminato il minimo legale e fissato in 3 anni il massimo salvo eccezioni. Ciò significa che, salvo casi complessi, la liquidazione deve chiudersi entro 3 anni dall’apertura (il giudice può prorogare se serve, ma l’orientamento è di stringere). In più, l’esdebitazione può arrivare anche prima della chiusura: nel fallimento, dopo 3 anni, o in fine liquidazione controllata appena liquidato l’attivo. Dunque no, non è un incubo infinito: se agisci per via concorsuale, puoi ragionevolmente pensare che nel giro di 3–5 anni la questione debitoria sarà risolta e chiusa per sempre, con la liberazione dai debiti. Viceversa, se non fai nulla e lasci i creditori all’azione individuale, alcuni debiti (specialmente quelli bancari o tra privati con titolo esecutivo) si prescrivono in 10 anni se il creditore non agisce; ma di solito agiscono. Debiti tributari hanno prescrizioni di 5 anni (la cartella si prescrive in 5 anni se niente interruttivo succede), però enti come Agenzia Entrate Riscossione tipicamente mandano solleciti e atti interruttivi che allungano i termini. In teoria, se un creditore non riesce a riscuotere e continua a rinnovare le azioni, potrebbe tenere la pratica aperta per moltissimi anni. E con gli interessi che maturano, il debito cresce. Ecco perché conviene affrontare in modo definitivo tramite una procedura, che mette un punto fermo.
D: Possono togliermi la casa se è l’unico bene che ho?
R: Dipende da chi è il creditore e come agisce. Un creditore privato (una banca, un fornitore) può legalmente pignorare l’unica casa, non c’è una protezione generale salvo che la casa sia in un fondo patrimoniale (vedi discussione sopra) o in casi particolari di impignorabilità per natura (es. casa dello Stato estero, non il tuo caso). Tuttavia, spesso se l’immobile è di valore modesto e su di esso grava magari un mutuo (quindi c’è un’ipoteca prioritaria), i chirografari non procedono. Il Fisco invece NON può pignorare l’unica casa di residenza se non sono presenti altre proprietà e se non è di lusso (art. 76 DPR 602/1973). Può però mettere un’ipoteca a garanzia (che è preoccupante ma non ti caccia via finché paghi o vendi tu spontaneamente) e può procedere se hai altri immobili o se il debito supera €120.000. In ogni caso, se ti trovi minacciato da un pignoramento immobiliare, ricorda due cose: prima, puoi sempre tentare di sospendere/evitare la vendita con la conversione del pignoramento (pagando un acconto e rateizzando il resto, se hai come); seconda, se aderisci a una procedura concorsuale (ad esempio, presenti un piano del consumatore o un concordato minore), la procedura blocca le aste in corso. Molti debitori salvano la casa proponendo un piano e includendo la casa nel piano (magari mettendo a disposizione somme alternative, o prevedendo di vendere la casa a valore di mercato invece che all’asta – solitamente l’asta è deleteria perché vende a meno). In un piano del consumatore, se la casa è bene essenziale e riesci a sostenere il mutuo, puoi addirittura tenerla fuori facendoti autorizzare a continuare a pagare le rate. Insomma, perderai la casa solo se non riesci a trovare accordi o procedure alternative e il creditore ha convenienza ad andare fino in fondo.
D: Cos’è l’Organismo di Composizione della Crisi (OCC)? Devo rivolgermi a loro?
R: L’OCC è un ente previsto dalla legge (L.3/2012 e ora CCII) per assistere i debitori nelle procedure di sovraindebitamento. Spesso è istituito presso gli Ordini professionali (commercialisti, avvocati) o le Camere di Commercio. Se sei un debitore sovraindebitato (non fallibile), puoi presentare una domanda all’OCC locale: ti nomineranno un gestore della crisi, un professionista che ti aiuterà a raccogliere i documenti, predisporre la proposta di piano/concordato e redigerà la relazione da presentare al tribunale. L’OCC è quindi il tuo advisor pubblico. La sua assistenza ha un costo (contenuto rispetto al valore del debito) che di solito viene pagato all’interno della procedura. Non è obbligatorio passare dall’OCC se hai già un professionista di tua fiducia disposto a fare da gestore e se il tribunale lo nomina. Ma in pratica rivolgersi all’OCC è la via più semplice per attivare la procedura, perché loro sanno già come muoversi. Per le composizioni negoziate, invece, c’è una piattaforma nazionale (gestita da Camere di Commercio) dove fai istanza e ti nominano un esperto. In sintesi: sì, se intendi usare gli strumenti di sovraindebitamento, contatta l’OCC sul territorio – è il primo passo per partire con la procedura in modo corretto.
D: Dopo l’esdebitazione o l’omologa del concordato, risulto protestato o segnalato?
R: La segnalazione nei sistemi tipo Centrale Rischi o CRIF per inadempimento di un debito passato rimane secondo le loro regole (di solito fino a 36 mesi dopo l’ultima segnalazione negativa, se poi il debito risulta chiuso). Ottenere l’esdebitazione significa che il debito non è più dovuto, ma non cancella la storia pregressa creditizia. Tuttavia, puoi far iscrivere nel tuo registro dei protesti (se avevi assegni o cambiali protestati) la notizia che il debito è stato poi regolato con procedura concorsuale. La normativa (L.235/2000) consente in alcuni casi la cancellazione dei protesti per avvenuto pagamento entro un anno. Ma se il pagamento è parziale per concordato, non credo si cancelli, rimane con l’annotazione. In ogni caso, dopo 5 anni dalla levata del protesto, il tuo nominativo esce automaticamente dal Registro Protesti. Riguardo alla reputazione: l’omologa di un concordato o l’esdebitazione di un fallito vengono pubblicate (nel registro imprese o nei registri ufficiali del tribunale), quindi la procedura è conoscibile per chi fa visure. Ma va detto che sempre più la stigma è minore – queste procedure sono viste come strumenti leciti di gestione della crisi, non come “furbate”. Dopo l’esdebitazione, sei legalmente riabilitato: ad esempio, se eri un fallito, l’esdebitazione fa cessare anche le eventuali incapacitazioni civili (tipo non potevi fare l’amministratore di società, ora puoi di nuovo). Insomma, dal punto di vista legale torni “pulito”. Dal punto di vista del rating creditizio, dovrai ricostruirti col tempo: inizialmente ottenere nuovi prestiti sarà difficile, ma col passare degli anni e magari con la costruzione di storici positivi (pagando bollette, affitti, ecc.) la situazione migliora.
D: Ho un fondo patrimoniale e dei debiti dell’attività: posso stare tranquillo che la casa è salva?
R: Non del tutto. Il fondo patrimoniale offre una protezione solo per i debiti non contratti per bisogni familiari. Se i tuoi debiti d’attività sono considerati “per bisogni della famiglia” (perché l’attività genera reddito per la famiglia), allora il creditore potrebbe comunque pignorare i beni del fondo. Starà a te opporlo in tribunale e provare che quel credito era estraneo e che il creditore ne era consapevole. Spesso questa prova è complicata. Ad esempio, per i debiti fiscali la giurisprudenza presume di solito che servano a sostenere l’attività di famiglia, quindi non concede l’impignorabilità. Inoltre, atti come la costituzione del fondo possono essere revocati se fatti in pregiudizio dei creditori (entro 5 anni). E se hai messo la casa nel fondo dopo aver contratto debiti o quando già c’erano segnali di insolvenza, è quasi certo che i creditori faranno un’azione revocatoria e la vinceranno, rendendo il fondo inefficace verso di loro. Anche le banche, quando concedono mutui, spesso fanno firmare clausole per cui il debitore rinuncia a opporre il fondo ex art.170 c.c. in caso di inadempimento – e quella rinuncia è valida. Dunque, il fondo può aiutare, ma non è una garanzia assoluta. La Cassazione negli ultimi anni, con sentenze come la n. 9789/2024, ha di fatto reso difficile invocare il fondo per debiti d’impresa ordinari. In conclusione: non fare troppo affidamento sul fondo patrimoniale come scudo per i debiti commerciali; meglio valutare soluzioni concrete di rientro o procedure, perché il fondo potrebbe non salvare la casa se i crediti sono riconducibili al sostentamento familiare.
D: Ho troppi debiti, cosa mi consigliate di fare come primo passo?
R: Primo: non ignorare il problema. Fai un elenco chiaro di tutti i debiti (importi, creditori, eventuali scadenze o atti ricevuti). Secondo: verifica se hai situazioni di morosità imminente (pignoramenti avviati? Utenze che ti staccano? Dipendenti senza stipendio?). Quelli vanno affrontati subito magari con accordi ponte (es: chiedere rate, prendere tempo legalmente con opposizioni se fondate, ecc.). Terzo: consulta un professionista esperto in crisi o un OCC. Servirà capire se la tua situazione è risanabile (tramite un accordo stragiudiziale o un concordato con continuità) oppure no (allora meglio predisporre una liquidazione regolare per chiudere la partita con esdebitazione). Non avere vergogna: l’insolvenza capita a molti. Meglio agire attivamente piuttosto che subire passivamente infinite cause. Quarto: occhio alle scadenze di eventuali opportunità normative (es. se c’è una finestra per definizione agevolata col Fisco, sfruttala; se puoi fare ricorso contro un atto entro 30gg, valuta se farlo). Quinto: proteggi i beni essenziali con le misure lecite (es. se hai uno stipendio, tieni solo il necessario sul conto e il resto magari su conto intestato al coniuge se lui/lei non ha debiti – evitando confusione, perché i creditori possono pignorare conti a tuo nome). Non intestarti cose superflue mentre hai debiti, perché potrebbe essere visto come atto in frode. Piuttosto, se temi aggressioni, valuta se avviare una procedura concorsuale: da quando depositi una domanda di concordato o simile, nessuno può pignorare senza autorizzazione e quelli in corso si sospendono. È un beneficio notevole per prendere fiato e gestire tutto in modo ordinato. Insomma, la strategia dipende dal caso concreto: se hai un’attività che genera flussi, forse la salvi con un piano di ristrutturazione; se sei soffocato irrimediabilmente, forse conviene liquidare e ripartire pulito. In ogni caso, agisci presto: più aspetti, più i debiti lievitano e i creditori perdono fiducia (rendendo più arduo qualsiasi accordo).
Conclusione
Dal punto di vista del debitore, uscire da una situazione di forte indebitamento è una sfida complessa ma non impossibile. L’ordinamento italiano, specie dopo le riforme culminate nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, mette a disposizione una gamma articolata di strumenti che bilanciano le ragioni del creditore con la possibilità per il debitore onesto di ottenere un “nuovo inizio”. Abbiamo visto come un commerciante indebitato possa: rinegoziare privatamente con i suoi creditori (magari con l’aiuto della composizione negoziata), oppure accedere a procedure giudiziali – dal concordato al piano del consumatore – per ridurre e ristrutturare il debito sotto controllo del tribunale, oppure ancora liquidare il proprio patrimonio ma in modo ordinato e con la garanzia di essere liberato dai debiti residui (esdebitazione). Nel frattempo, esistono limiti alle azioni esecutive che evitano conseguenze eccessivamente afflittive (come la tutela di un minimo vitale su stipendi e pensioni, l’impignorabilità di beni essenziali e – per i soli debiti fiscali – della prima casa non di lusso). Strumenti come il fondo patrimoniale possono offrire ulteriore protezione dei beni familiari, ma la giurisprudenza ne richiede un uso corretto e non fraudolento, pena la sua inefficacia.
Il debitore deve dunque muoversi con consapevolezza e tempestività: conoscere i propri diritti (ad esempio, il diritto a non essere più perseguitato dopo l’esdebitazione) e adempiere ai propri doveri di lealtà (la buona fede è sempre premiata, la frode punita). Dal punto di vista pratico, rivolgersi per tempo a professionisti (OCC, avvocati, commercialisti esperti in crisi) è essenziale per valutare le opzioni migliori. Le procedure di composizione della crisi non sono scorciatoie facili – richiedono trasparenza, spesso il sacrificio di parte dei beni del debitore e l’accettazione di regole – ma offrono l’uscita dal tunnel: la soluzione definitiva. Le alternative (subire pignoramenti su pignoramenti, vedersi lievitare il debito con interessi e spese, rischiare atti penali per disperazione) sono decisamente peggiori.
In conclusione, un commerciante con debiti può “uscirne” pianificando con lucidità: utilizzare le tutele personali per preservare la propria dignità e il minimo indispensabile, e impiegare gli strumenti giuridici di risanamento o liquidazione per comporre il contenzioso in maniera equa e sostenibile. Il tutto con l’obiettivo finale, garantito dalla legge, di tornare ad essere economicamente libero, imparando magari dalla crisi per non ripetere gli errori e potersi rilanciare nell’attività imprenditoriale o in una nuova vita finanziaria con rinnovata prudenza. Come affermato in giurisprudenza, “l’insolvenza del debitore civile non è una colpa da scontare a vita, ma una condizione da superare, con gli strumenti offerti dall’ordinamento, per il bene sia del debitore sia dell’economia generale”. Questa guida ha fornito le coordinate normative e pratiche per intraprendere con successo questo percorso di risanamento.
Fonti
- Codice Civile, art. 167–170 (fondo patrimoniale); art. 2740 (no prigione per debiti).
- Codice di Procedura Civile, art. 514 (beni mobili impignorabili) e 545 (limiti pignoramento di stipendi/pensioni).
- D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 76: divieto di espropriazione prima casa da parte dell’Agente Riscossione (come modificato da D.L. 69/2013); art. 72-ter e 72-bis: pignoramento stipendi su scaglioni.
- Legge 27 gennaio 2012 n. 3 (vecchia legge sul sovraindebitamento, abrogata nel 2022, rilevante per precedenti storici).
- D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 – Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), in vigore dal 15 luglio 2022, e s.m.i. (D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024): articoli principali citati:
- art. 2 (definizioni di imprenditore minore, consumatore, ecc.);
- art. 23 (composizione negoziata e transazione fiscale in essa);
- art. 25-sexies (concordato semplificato post-composizione negoziata);
- art. 56 (piano attestato di risanamento, esenzione revocatoria);
- artt. 57–64 (accordi di ristrutturazione, soglia 60%, trattamento creditori estranei);
- art. 63 (accordi di ristrutturazione con transazione fiscale, come modificato da D.L.69/2023);
- art. 67–73 (piano di ristrutturazione del consumatore, requisiti);
- art. 69 (meritevolezza sovraindebitato: colpa grave, malafede o frode);
- art. 74–83 (concordato minore: requisiti soggettivi e oggettivi);
- art. 75 (concordato minore in continuità come regola, liquidatorio con risorse esterne);
- art. 77 (cause ostative concordato minore, 5 anni, frode, ecc.);
- art. 84–120 (concordato preventivo, continuità vs liquidatorio, % minime 20%) – es. art. 84 co.3 (risorse esterne 10% attivo); art. 88 (transazione fiscale nel concordato preventivo); art. 112 (cram-down classi dissenzienti, incl. Erario);
- art. 121–270 (liquidazione giudiziale, ex fallimento);
- art. 142 L.Fall. / art. 278 CCII (esdebitazione condizioni e esclusioni);
- art. 279–282 CCII (esdebitazione procedura concorsuale);
- art. 283 CCII (esdebitazione debitore incapiente).
- Cass., Sez. I, 11 aprile 2024 n. 9789 – Fondo patrimoniale e debiti d’impresa: principi di diritto (bisogni famiglia in senso ampio; onere su debitore di provare estraneità e consapevolezza del creditore).
- Cass., Sez. I, 27 luglio 2023 n. 22890 – Sovraindebitamento consumatore: va applicato il nuovo criterio di meritevolezza introdotto nel 2020 (non più il “triplice test” previgente).
- Cass., Sez. I, 6 novembre 2024 n. 28505 – Esdebitazione fallito: la minima soddisfazione dei creditori non preclude il beneficio se l’insolvenza non è dovuta a condotte ostruzionistiche; confermato che CCII ha eliminato il requisito oggettivo del “grado non irrisorio” di pagamento, mantenendo solo il requisito soggettivo (Massima ufficiale).
- Cass., Sez. Un., 18 novembre 2011 n. 24215 – (precedente storico su esdebitazione fallito; nomofilachia su requisiti soggettivi/oggettivi, citato in Unijuris).
- Corte Costituzionale 22 ottobre 2019 n. 245 – Dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 co.1 L.3/2012 nella parte in cui escludeva la falcidiabilità dell’IVA nei piani del consumatore, per contrasto con principi di ragionevolezza e con l’evoluzione del diritto UE.
- Corte Costituzionale 19 gennaio 2024 n. 6 – (Respinte questioni su durata minima 4 anni liquidazione sovraindebitato, poi peraltro eliminate dal correttivo 2024).
- Relazione illustrativa al D.Lgs. 136/2024 (Correttivo-ter) – conferme sulla razionalizzazione esdebitazione e preferenza procedure concordate.
- Ministero della Giustizia – Relazioni e note normative (es. relazione CCII 2019, relazione correttivo 2024 sui vari articoli).
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- 🔁 Saldo e stralcio con fornitori, banche, finanziarie o agenzia delle entrate
- 🛡️ Accesso alla composizione negoziata della crisi per attività ancora in vita
- 🧮 Verifica tecnica di contratti di leasing, prestiti e mutui (anatocismo, usura)
- ❌ Esdebitazione a fine procedura: cancellazione totale dei debiti residui
Ogni caso va valutato con attenzione professionale, per scegliere il percorso più efficace e meno invasivo.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📂 Analizza la tua situazione debitoria complessiva
📑 Verifica se puoi accedere a strumenti di composizione della crisi o sovraindebitamento
⚖️ Redige il piano di ristrutturazione e lo presenta al tribunale competente
✍️ Ti difende da pignoramenti, decreti ingiuntivi e procedure esecutive
🔁 Ti accompagna nel negoziato con creditori pubblici e privati
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in crisi d’impresa e debiti commerciali
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Difensore di imprenditori individuali e piccoli esercenti
✔️ Consulente per la protezione patrimoniale e la continuità aziendale
Conclusione
Se sei un commerciante con debiti, puoi ancora salvare la tua attività.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, hai al tuo fianco un professionista che ti guida fuori dal sovraindebitamento, ti aiuta a negoziare e difenderti, e ti accompagna verso una nuova stabilità.
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