Cartella Di Pagamento Da Controllo Automatizzato: Come Difendersi

Hai ricevuto una cartella di pagamento da controllo automatizzato e ti stai chiedendo se sia legittima, se puoi contestarla o se sei obbligato a pagare tutto subito? Ti spaventa l’idea che un semplice errore possa trasformarsi in un debito con l’Agenzia delle Entrate?

Molti contribuenti ricevono cartelle basate su controlli automatici senza sapere se quei conteggi sono corretti o se possono essere annullati. Ma ci sono strumenti precisi per difenderti e bloccare la pretesa prima che diventi definitiva.

Cos’è una cartella da controllo automatizzato?
– È una richiesta di pagamento basata sui dati dichiarati nella tua dichiarazione dei redditi
– L’Agenzia delle Entrate verifica se hai dimenticato di versare imposte dovute o commesso errori formali
– Non nasce da un accertamento vero e proprio, ma da una verifica matematica automatica

Quando puoi riceverla?
– Dopo una comunicazione di irregolarità (avviso bonario) non contestata o non pagata
– In assenza di risposta o pagamento nei termini, l’importo viene iscritto a ruolo e notificato tramite cartella esattoriale

È possibile contestare una cartella da controllo automatizzato?
Sì, se contiene errori materiali o se l’importo richiesto non è effettivamente dovuto
– Puoi contestarla con istanza di autotutela all’Agenzia o, nei casi più gravi, con ricorso al giudice tributario
– Devi agire entro 60 giorni dalla notifica, altrimenti la cartella diventa definitiva

Cosa verificare prima di pagare?
– Se hai già versato le imposte indicate ma non risultano per errore
– Se la cartella riporta un codice tributo errato o un anno di imposta sbagliato
– Se c’è mancata compensazione di crediti regolarmente indicati
– Se non hai mai ricevuto l’avviso bonario, ma solo la cartella

Cosa puoi fare per difenderti?
– Inviare subito una richiesta di sospensione in autotutela, con documenti alla mano
– Presentare ricorso entro i termini, se la cartella è infondata o sproporzionata
– Chiedere una rateizzazione solo se il debito è corretto ma troppo alto da pagare in un’unica soluzione
– Se rientri nei casi previsti, puoi valutare anche il ricorso al ravvedimento operoso o allo stralcio parziale

Cosa NON devi fare mai?
– Ignorare la cartella: dopo 60 giorni può partire il pignoramento
– Pagare senza aver controllato i dettagli: potresti versare somme non dovute
– Agire senza un parere esperto: rischi di usare strumenti sbagliati o fuori termine

Una cartella da controllo automatizzato non è sempre giusta. E hai il diritto di difenderti, se sai come farlo.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario – ti spiega cos’è una cartella da controllo automatizzato, quando è impugnabile e come bloccarla prima che diventi definitiva.

Hai ricevuto una cartella e vuoi sapere se puoi contestarla?

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Introduzione

La cartella di pagamento da controllo automatizzato è un atto con cui l’Agenzia delle Entrate-Riscossione richiede al contribuente il pagamento di imposte, interessi e sanzioni emersi da un controllo automatico della dichiarazione dei redditi o IVA. Si tratta di uno strumento di riscossione diretta e immediata, emesso senza un previo accertamento formale, basandosi esclusivamente sui dati dichiarati dallo stesso contribuente. Questo tipo di cartella (spesso denominata cartella ex art. 36-bis) può cogliere impreparati contribuenti, professionisti e imprese, ed è essenziale comprenderne il funzionamento e i mezzi di difesa disponibili.

Nella presente guida, aggiornata a giugno 2025 con riferimenti normativi e giurisprudenziali recenti, esamineremo in dettaglio:

  • La normativa di riferimento italiana (norme tributarie e statutarie) relativa ai controlli automatizzati e alla riscossione;
  • Il procedimento di liquidazione automatica delle dichiarazioni che porta all’emissione di comunicazioni di irregolarità e successivamente di cartelle di pagamento;
  • I termini procedurali (decadenza, prescrizione) e le garanzie per il contribuente, incluso il diritto al contraddittorio preventivo quando previsto;
  • Tutti i possibili motivi di opposizione alla cartella (vizi formali e sostanziali, mancata notifica dell’avviso bonario, errori nel calcolo, decadenza dei termini, vizi di notifica, ecc.), con focus sulle più recenti pronunce giurisprudenziali;
  • Gli strumenti di tutela del debitore: dal ricorso tributario (ex D.Lgs. 546/1992) con eventuale richiesta di sospensione, alle istanze in autotutela presso l’Agenzia delle Entrate, fino alle soluzioni di rateizzazione del debito;
  • Esempi pratici, tabelle riepilogative dei termini e delle procedure, nonché una sezione di domande e risposte frequenti per chiarire i dubbi più comuni dal punto di vista del contribuente-debitore.

L’obiettivo è fornire una guida completa, con linguaggio giuridico accurato ma dal taglio divulgativo, rivolta sia a professionisti legali e fiscali (avvocati tributaristi, commercialisti) sia ai contribuenti privati e imprenditori che vogliono comprendere come difendersi efficacemente da una cartella esattoriale originata da controllo automatizzato.

Quadro normativo di riferimento

Per contestualizzare la materia, è opportuno richiamare le principali norme italiane che disciplinano i controlli automatici sulle dichiarazioni fiscali e la successiva riscossione delle somme dovute:

  • Art. 36-bis DPR 29 settembre 1973, n. 600Liquidazione delle imposte, dei contributi, dei premi e dei rimborsi dovuti in base alle dichiarazioni. Questa disposizione regola il controllo automatizzato delle dichiarazioni dei redditi e delle relative imposte dirette (IRPEF, IRES), stabilendo che l’Amministrazione finanziaria verifica aritmeticamente e automaticamente i dati dichiarati dal contribuente e liquida le imposte dovute. In caso di differenze tra il dovuto e il versato, l’ufficio procede alla comunicazione dell’esito al contribuente e, in mancanza di regolarizzazione, all’iscrizione a ruolo (emissione della cartella). Il comma 3 dell’art. 36-bis prevede espressamente l’invio di una comunicazione di irregolarità (c.d. avviso bonario) prima dell’iscrizione a ruolo, “salvo che non sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione*”. Questa clausola di salvaguardia – ripresa anche dall’art. 6, comma 5 dello Statuto del Contribuente (L. 212/2000) – è cruciale, poiché delimita i casi in cui la preventiva comunicazione è obbligatoria (si veda oltre per i dettagli).
  • Art. 54-bis DPR 26 ottobre 1972, n. 633Liquidazione dell’IVA dovuta in base alle dichiarazioni. Norma analoga all’art. 36-bis, ma in materia di IVA. Anch’essa disciplina il controllo automatizzato delle dichiarazioni IVA annuali, con eventuale comunicazione dell’esito e iscrizione a ruolo delle somme non versate o risultate dovute. Le stesse garanzie procedurali (comunicazione preventiva in caso di irregolarità salvo incertezze rilevanti) si applicano in ambito IVA.
  • Art. 36-ter DPR 600/1973Controllo formale delle dichiarazioni. Si tratta del diverso istituto del controllo formale (a campione o su specifiche posizioni, successivo al 36-bis) in cui l’Agenzia delle Entrate verifica la correttezza formale della dichiarazione, richiedendo al contribuente documenti giustificativi (ad es. scontrini per oneri detraibili, certificazioni di ritenute, ecc.). La legge impone tassativamente che, prima di iscrivere a ruolo somme derivanti dal controllo formale, l’ufficio invii sempre una comunicazione di esito al contribuente, aprendo un contraddittorio endoprocedimentale. La cartella emessa senza tale comunicazione nei controlli formali è da ritenersi nulla per violazione di legge. Pur non essendo il focus principale di questa guida (incentrata sul controllo automatizzato ex 36-bis), è importante distinguerlo poiché alcune garanzie differiscono.
  • Art. 6, comma 5, L. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente) – Dispone che “l’amministrazione finanziaria, prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti da controlli sulle dichiarazioni, comunica al contribuente l’esito del controllo […] affinché il contribuente possa fornire eventuali dati o elementi non considerati o contestare i risultati”, a meno che non vi siano “incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”. Questa norma ribadisce l’obbligo del contraddittorio preventivo nei controlli automatizzati e formali, salvo che la pretesa riguardi somme dichiarate dallo stesso contribuente (quindi senza incertezze). Come vedremo, gran parte del contenzioso verte sull’interpretazione di questa clausola di esclusione dell’obbligo di avviso bonario.
  • Art. 2 D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462 – Disciplina le “Sanzioni e riscossione frazionata” a seguito dei controlli automatici e formali. Stabilisce le sanzioni ridotte applicabili in caso di pagamento entro 30 giorni dalla comunicazione (riduzione ad un terzo della sanzione ordinaria, equivalenti al 10% dell’imposta non versata, essendo la sanzione piena il 30%) e consente la rateizzazione del dovuto in tale sede. Va notato che dal 1° settembre 2024 la sanzione base per omesso versamento è stata ridotta al 25% (dal previgente 30%), con conseguente abbassamento a circa l’8,33% della sanzione ridotta ad un terzo. Le comunicazioni elaborate dal 2025 beneficiano inoltre di un termine di pagamento esteso a 60 giorni, come vedremo.
  • Art. 25 DPR 29 settembre 1973, n. 602 – Fissa i termini di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento relative alle somme dovute a seguito dei controlli automatici e formali. In particolare, per i ruoli derivanti da controllo automatizzato ex art. 36-bis, la cartella deve essere notificata entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (termine perentorio a pena di decadenza). Per i ruoli da controllo formale ex art. 36-ter, il termine è il 31 dicembre del quarto anno successivo alla dichiarazione. Questa tempistica sarà approfondita in seguito (unitamente alle sospensioni straordinarie, ad es. quelle legate all’emergenza Covid-19).

Oltre a queste norme chiave, nel panorama legislativo tributario italiano vanno menzionati:

  • D.Lgs. 546/1992 (processo tributario) per quanto riguarda le modalità di impugnazione della cartella innanzi alle Commissioni/Corti di Giustizia Tributaria;
  • Legge 160/2019 (Legge di bilancio 2020) e successive, che hanno introdotto novità sulla riscossione accelerata (ad es. gli “avvisi di accertamento esecutivi” che bypassano la cartella, sebbene non attinenti ai controlli automatizzati sulle dichiarazioni);
  • Decreti “Riscossione” del 2023-2024 (es. D.Lgs. 30 agosto 2021 n. 119 e D.Lgs. 5 agosto 2024 n. 110) che hanno modificato la disciplina delle rateazioni e altre misure di sollievo per i debitori;
  • Le varie definizioni agevolate recenti (ad es. “tregua fiscale” 2023) che in alcuni casi hanno riguardato anche le somme da controlli automatizzati, consentendo la riduzione delle sanzioni (fino al 3% in certe ipotesi). Queste misure eccezionali saranno accennate ove rilevanti, pur non costituendo strumenti di “difesa” in senso tecnico ma opportunità offerte dal legislatore.

Infine, un ruolo fondamentale lo svolge la giurisprudenza. La Corte di Cassazione, specie negli ultimi anni, ha consolidato principi interpretativi in materia di cartelle da controllo automatizzato: dalla necessità (o meno) dell’avviso bonario in taluni casi, alla sufficienza della motivazione “per relationem” basata sulla dichiarazione del contribuente, fino agli obblighi di dettaglio sul calcolo degli interessi. Nel prosieguo citeremo le sentenze più recenti e significative – incluse pronunce del 2023-2025 – che delineano il perimetro dei diritti del contribuente (es. Cass. 13499/2020, Cass. 33344/2019, Cass. 28773/2021, Cass. 5981/2024, Cass. 7620/2024, SS.UU. 22281/2022, etc.), sempre dal punto di vista del debitore che intende far valere le proprie ragioni.

Controllo automatizzato e cartella di pagamento: definizioni e differenze

Per capire come difendersi, occorre innanzitutto avere chiaro cosa sono il controllo automatizzato e la cartella derivante da esso, nonché in cosa differiscono da altri atti impositivi. Di seguito forniamo le definizioni essenziali e una tabella comparativa per inquadrare i diversi strumenti accertativi e di riscossione:

Controllo automatizzato (liquidazione automatica) – È la verifica svolta in modo massivo e informatizzato dall’Agenzia delle Entrate su tutte le dichiarazioni fiscali presentate (modello Redditi, 730, dichiarazione IVA, modello 770 dei sostituti d’imposta, IRAP, ecc.). Questo controllo avviene “entro l’inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni dell’anno successivo” e consiste nel:

  • riscontro di errori materiali e di calcolo nella dichiarazione (es.: somme non corrette, incoerenze aritmetiche);
  • confronto tra l’imposta, i contributi e i premi dovuti in base ai dati dichiarati e quanto effettivamente versato dal contribuente tramite F24;
  • verifica delle eccedenze di imposta richieste a rimborso o in compensazione con i dati presenti nell’Anagrafe tributaria (ad es. controlli sui crediti d’imposta, sulle ritenute risultanti dalle certificazioni, ecc.).

Se da questa liquidazione automatizzata emergono differenze – per esempio, un’imposta dichiarata ma non versata, un minor versamento rispetto al dichiarato, oppure uno sfasamento tra un credito di cui si è chiesto rimborso e quello risultante agli atti – l’Agenzia delle Entrate elabora una comunicazione di irregolarità indirizzata al contribuente. Tale comunicazione, conosciuta colloquialmente come avviso bonario, indica le somme dovute (imposta non versata, interessi calcolati sino a quella data, sanzione ridotta) e concede un termine per regolarizzare.

Comunicazione di irregolarità (avviso bonario) – È la lettera con cui il contribuente viene preventivamente informato dell’esito del controllo automatizzato (o formale) prima che avvenga la vera e propria iscrizione a ruolo del debito. Essa ha natura di atto interno o pre-atto, non immediatamente impugnabile in giudizio (salvo eccezioni dibattute), ma cruciale perché consente di evitare la cartella pagando tempestivamente o segnalando errori. L’avviso bonario riporta in dettaglio le voci discordanti e l’ammontare di imposte, interessi e sanzioni ridotte dovuti. In base alla normativa previgente al 2025, il contribuente aveva 30 giorni dal ricevimento per pagare o chiedere correzioni; a seguito della riforma del 2024, per gli avvisi elaborati dal 1° gennaio 2025 il termine è esteso a 60 giorni, uniformandolo a quello delle cartelle di pagamento. Durante questo periodo, il contribuente può:

  • Pagare integralmente le somme richieste, beneficiando delle sanzioni ridotte ad un terzo (ad esempio, su un’omissione di versamento soggetta a sanzione piena 30%, paga solo 10%; ora, con sanzione piena 25%, paga ~8,33%). In caso di pagamento entro tale termine, non seguirà alcuna cartella e la posizione sarà definita;
  • Rateizzare l’importo, secondo le regole dettate dall’art. 3-bis D.Lgs. 462/1997: per importi fino a €5.000 sono previste fino a 8 rate trimestrali, per importi superiori fino a 20 rate trimestrali (o bimestrali), con interessi al tasso legale sulle rate successive alla prima. La prima rata va pagata entro il medesimo termine di 30/60 giorni;
  • Segnalare errori o chiedere verifica: il contribuente che ritiene infondato (in tutto o in parte) l’addebito può inviare all’ufficio fiscale una comunicazione (anche via PEC o attraverso il cassetto fiscale) con cui contesta i risultati, fornendo elementi correttivi (es. attestazione di un pagamento già effettuato ma non incrociato dal sistema, documenti che giustificano un credito, ecc.). Questo avvia un contraddittorio endoprocedimentale: l’ufficio esaminerà le controdeduzioni e, se fondate, emetterà una nuova comunicazione con l’eventuale ricalcolo (comunicazione definitiva). In caso contrario, solleciterà il pagamento.
  • Non fare nulla: opzione sconsigliabile, ma di fatto se il contribuente ignora l’avviso bonario senza pagare né replicare, dopo la scadenza dei 30/60 giorni l’Amministrazione procederà con l’iscrizione a ruolo delle somme dovute a titolo definitivo. Ciò significa che il debito viene affidato all’Agente della Riscossione per il recupero forzoso.

Cartella di pagamento (ruolo) – È l’atto, notificato dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia), con cui le somme non pagate vengono formalmente richieste al contribuente ai fini della riscossione coattiva. La cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato costituisce il primo atto impositivo vero e proprio notificato al contribuente, avente forza esecutiva. Essa contiene: l’intimazione a pagare entro 60 giorni; l’indicazione delle somme dovute (ripartite in imposta, interessi e sanzioni amministrative ora al loro valore intero, ad es. 30% o 25%); il riferimento normativo all’origine del debito (es. “DPR 600/1973 art. 36-bis, anno imposta XXXX, dich. presentata il…”); e le istruzioni per il pagamento o eventuale impugnazione. La cartella viene formata su un modulo standard e generalmente notificata via PEC ai titolari di posta elettronica certificata (per legge obbligatoria per società e professionisti) oppure tramite raccomandata a/r o messo notificatore nelle altre ipotesi. Dal momento della notifica, decorrono i 60 giorni per pagare o proporre ricorso; trascorso tale termine senza pagamento né sospensione, la cartella diventa titolo esecutivo e l’Agente della Riscossione potrà attivare misure cautelari (fermi, ipoteche) e azioni esecutive (pignoramenti) a carico del debitore.

Accertamento tributario e avviso di accertamento – Per completezza, distinguiamo la cartella da controllo automatizzato dagli avvisi di accertamento, che sono atti impositivi emanati a seguito di attività di controllo sostanziale (verifiche, controlli in ufficio, accertamenti approfonditi oltre la dichiarazione). L’avviso di accertamento (oggi spesso “esecutivo” e idoneo alla riscossione senza cartella) presuppone un atto formale motivato, notificato al contribuente, contro cui è possibile ricorrere entro 60 giorni. Nel contesto del controllo automatizzato, invece, non c’è un accertamento in senso proprio: non vengono contestati redditi non dichiarati o violazioni diverse, si tratta di liquidazione di imposte dovute sulla base di ciò che il contribuente stesso ha dichiarato. Pertanto, la cartella ex 36-bis viene emessa senza passare da un avviso di accertamento e senza alcuna istruttoria ulteriore rispetto ai dati di dichiarazione. Questa differenza è cruciale: mentre nell’accertamento c’è margine per contestare nel merito la pretesa (ad esempio disconoscere la pretesa fiscale in quanto infondata), nella cartella da controllo automatizzato spesso il margine sul merito è ridotto, poiché la base è la dichiarazione stessa del contribuente. Ciò non toglie, come vedremo, che vi siano possibili eccezioni e difese anche nel caso di cartelle ex 36-bis (ad es. errori di calcolo, differenze dovute a crediti spettanti non considerati, vizi procedurali, decadenza, ecc.), ma l’approccio difensivo cambia rispetto a un accertamento classico.

Di seguito una tabella riepilogativa che confronta le caratteristiche salienti di controllo automatizzato, controllo formale e accertamento tributario, per evidenziarne le differenze dal punto di vista procedurale e delle garanzie:

CaratteristicaControllo automatizzato (36-bis, 54-bis)Controllo formale (36-ter)Accertamento tributario (es. avviso di accertamento)
Oggetto del controlloLiquidazione aritmetica e riscontro tra il dichiarato e il versato (o rimborsi/crediti). Nessuna valutazione discrezionale su elementi extra-dichiarazione.Verifica documentale della correttezza della dichiarazione (oneri, ritenute, ecc.), con possibile rettifica di elementi dichiarati (es: esclusione di oneri non documentati).Accertamento sostanziale di basi imponibili non dichiarate o difformi (ricavi non dichiarati, costi indeducibili, ecc.), mediante controlli, verifiche in loco, indagini finanziarie, ecc.
Atto iniziale verso il contribuenteComunicazione di irregolarità (obbligatoria salvo casi di omesso versamento/assenza incertezze).Comunicazione di esito del controllo formale (obbligatoria sempre) prima della liquidazione.Notifica di avviso di accertamento (motivato) con indicazione dei maggiori tributi accertati e sanzioni. In alcuni casi invito al contraddittorio precedente (obbligatorio in materie specifiche, es. transfer pricing, o per accertamenti esecutivi dal 2020).
Esito in caso di mancato accordo/pagamentoIscrizione a ruolo a titolo definitivo delle somme dovute; emissione cartella di pagamento entro i termini di decadenza (3 anni dalla dichiarazione).Iscrizione a ruolo delle somme rettificate; emissione cartella di pagamento entro 4 anni dalla dichiarazione.Iscrizione a ruolo non necessaria per avvisi di accertamento emessi dal 2020 (divengono essi stessi esecutivi dopo 60 giorni). Per accertamenti meno recenti, emissione cartella entro 2 anni dal passaggio in giudicato dell’atto.
Sanzioni applicatePer omessi versamenti: sanzione amministrativa ordinaria 30% (25% dal 2024) dell’imposta non versata, ridotta al 10% (o 8,33%) se pagata entro 30 (ora 60) giorni. Per altri errori: sanzione 30% sull’imposta o minor credito, anch’essa ridotta in sede bonaria.Sanzioni del 30% sulle imposte liquidate o sui crediti indebiti, ridotte se pagate in sede bonaria (1/3 del 30%, cioè 10%). In alcuni casi si applicano sanzioni specifiche (es. 20% su oneri indebiti).Sanzioni variabili a seconda della violazione contestata (es: dal 90% al 180% dell’imposta evasa per redditi non dichiarati). Possibilità di definizioni agevolate (adesione, acquiescenza con riduzione a 1/3, ecc. non applicabili ai controlli 36-bis).
Contraddittorio con l’ufficioPrevisto in forma semplificata su iniziativa del contribuente dopo l’avviso bonario (per segnalare errori o chiedere correzioni prima della cartella). Non è previsto un contraddittorio obbligatorio ante emissione della comunicazione, data la natura automatica.Previsto e obbligatorio prima della cartella: il contribuente viene invitato a fornire documenti e chiarimenti; solo dopo, l’ufficio liquida le somme. La mancata comunicazione rende nulla la cartella.Di norma obbligatorio prima dell’emissione dell’avviso (almeno per accertamenti scaturiti da verifica in loco, art. 12 c.7 L. 212/2000, o in materia di tributi armonizzati per importi rilevanti). L’assenza di contraddittorio può invalidare l’atto in alcuni casi.
Impugnabilità immediataLa comunicazione di irregolarità in sé non è atto impugnabile autonomamente (non essendo atto impositivo definitivo), salvo contestare eventualmente la cartella successiva. – Nota: Alcune pronunce dibattono se l’avviso bonario sia impugnabile quando si contesta l’anomalia del procedimento (es. per far valere subito un pagamento già effettuato), ma l’orientamento prevalente lo esclude, imponendo di attendere la cartella.Anche in questo caso, la comunicazione di esito controllo formale non è impugnabile direttamente. Bisogna attendere la cartella di pagamento per adire il giudice tributario.L’avviso di accertamento è impugnabile entro 60 giorni davanti alla Corte di Giustizia Tributaria (ex CTP/CTR). La cartella successiva (per gli atti non esecutivi) è impugnabile solo per vizi propri, non nel merito già definito dall’accertamento.

Come si evince, la cartella da controllo automatizzato presenta peculiarità proprie. Essa “salta” la fase dell’accertamento e nasce spesso da un’omissione di pagamento o un errore materiale facilmente individuabile. La difesa del contribuente, pertanto, sarà incentrata su aspetti procedurali e su eventuali elementi che l’elaborazione automatica non ha colto o ha gestito scorrettamente. Nei capitoli successivi analizzeremo l’iter di formazione di questa cartella e tutte le strategie di difesa, tenendo ben presente il contesto normativo sopra delineato.

Iter del controllo automatizzato e formazione della cartella

Vediamo nel dettaglio il percorso che conduce dalla dichiarazione dei redditi (o IVA) all’eventuale cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato. Comprendere le varie fasi consente al contribuente di individuare il momento opportuno per intervenire e prevenire o gestire la cartella.

1. Presentazione della dichiarazione e controllo automatico iniziale: dopo che il contribuente presenta la propria dichiarazione annuale (ad esempio il Modello Redditi entro il 30 novembre, ovvero il 730 entro il 30 settembre, o la dichiarazione IVA entro fine aprile dell’anno successivo), i sistemi informativi dell’Agenzia delle Entrate avviano un controllo automatizzato sui dati. Questo avviene normalmente entro l’anno successivo: ad esempio, per una dichiarazione presentata nel 2024 riferita al periodo d’imposta 2023, il controllo automatizzato viene effettuato indicativamente entro il 2025. Non c’è una comunicazione in questa fase se tutto risulta regolare. Il contribuente generalmente non si accorge di nulla se la dichiarazione risulta coerente e i pagamenti dovuti sono stati effettuati.

2. Emergenza di un’irregolarità – predisposizione della comunicazione: se il sistema riscontra disallineamenti o errori, genera una segnalazione interna. Le tipologie comuni di irregolarità da 36-bis includono:

  • Omissione totale o parziale di versamenti dichiarati: ad esempio, l’importo del rigo “differenza a versare” del modello F24 risulta non pagato o pagato solo in parte. Questo è il caso più frequente: il contribuente ha presentato la dichiarazione indicando un debito d’imposta ma, per dimenticanza o carenza di liquidità, non ha versato quanto dovuto. In tale scenario, l’irregolarità è palese e non richiede valutazioni ulteriori.
  • Errori di calcolo o trascrizione: ad esempio, il contribuente somma erroneamente i redditi, oppure sbaglia a riportare un acconto versato. Il sistema ricalcola l’imposta esatta e rileva la differenza.
  • Incongruenze su crediti d’imposta o eccedenze: un esempio è il contribuente che indica un credito di anni precedenti in compensazione, ma il dato non risulta nelle dichiarazioni pregresse o nei pagamenti registrati. Oppure crediti d’imposta (bonus, agevolazioni) non spettanti secondo l’Anagrafe Tributaria. In tal caso il sistema liquida l’imposta senza riconoscere il credito.
  • Scostamenti tra sostituto e sostituito: frequente per i modelli 770 (ritenute) o dichiarazioni con CU: se un sostituto d’imposta (datore di lavoro) dichiara di aver trattenuto e versato X, ma i percettori dichiarano ritenute diverse, il sistema segnala la divergenza (ma qui spesso si passa al controllo formale per chiedere chiarimenti, specie se la divergenza comporta maggior imposta a carico del percettore).
  • Liquidazione dei rimborsi: il controllo 36-bis può riguardare anche i casi di richiesta di rimborso d’imposta: se il sistema rileva che il rimborso non è dovuto in tutto o in parte (magari perché il credito indicato non trova riscontro), più che emettere un avviso bonario di pagamento, di solito riduce d’ufficio il rimborso. Se però da tale riduzione emerge un’imposta dovuta (es. il contribuente chiedeva 5.000€ di rimborso ma in realtà risultano 2.000€ a debito), viene emessa una comunicazione con l’importo da versare.

Una volta individuata l’irregolarità, l’ufficio elabora la comunicazione di irregolarità. Questa viene predisposta in forma cartacea o elettronica, contenendo: il dettaglio delle voci contestate (con riferimenti ai quadri della dichiarazione e agli importi dichiarati vs accertati); il ricalcolo dell’imposta dovuta; gli interessi maturati fino a (di solito) l’ultimo giorno del mese precedente all’elaborazione; la sanzione ridotta ad 1/3; il totale da pagare. In calce indica anche come pagare (modelli F24 precompilati allegati, o codice per pagamento online) e la possibilità di rateizzare secondo D.Lgs. 462/1997. Importante: la comunicazione non è un atto “firmato” da un funzionario, ma un elaborato informatico con intestazione dell’Agenzia Entrate – ciò è normale e non inficia la validità, essendo un atto amministrativo massivo.

3. Notifica o invio dell’avviso bonario: l’Agenzia delle Entrate trasmette la comunicazione al contribuente. Oggi questo avviene preferibilmente in modalità telematica: ad esempio, se il contribuente ha un domicilio digitale (PEC) registrato, l’avviso bonario può essere inviato via PEC (di solito da mittente pec della Agenzia, contenente un PDF cifrato). In alternativa viene inviato per posta ordinaria all’indirizzo di residenza o domicilio fiscale risultante in Anagrafe Tributaria. Non è richiesta la notifica formale a mezzo ufficiale giudiziario, trattandosi di atto non impositivo definitivo; tuttavia, la prassi è l’invio con posta semplice o raccomandata semplice. Spesso il contribuente viene anche avvisato della presenza di comunicazioni nel proprio cassetto fiscale online, dove può accedere per scaricare il dettaglio.

Da questo momento decorre il termine di 30 giorni (o 60 giorni per le comunicazioni elaborate dal 2025 in poi) per aderire o reagire. Il contribuente che riceve un avviso bonario deve tempestivamente analizzarlo e decidere il da farsi: se lo ritiene corretto, prepararsi al pagamento/rateazione; se lo ritiene errato o in parte non dovuto, raccogliere la documentazione e contattare l’Agenzia o il consulente per formulare una risposta.

4. Pagamento o mancato pagamento nei termini:

  • Se il contribuente paga interamente entro il termine, il procedimento si chiude positivamente: l’Agenzia non iscriverà a ruolo le somme (o annullerà il ruolo eventualmente già formato) e non ci sarà cartella. Il pagamento può essere in un’unica soluzione oppure la prima rata di un piano di dilazione accordato: in quest’ultimo caso, occorre rispettare le scadenze delle rate successive (pena decadenza dalla dilazione). Il pagamento tempestivo dà diritto, come detto, alla sanzione ridotta e interrompe il calcolo degli interessi al mese precedente.
  • Se il contribuente non paga (né integralmente, né la prima rata) entro i 30/60 giorni e non ha fornito elementi idonei a superare l’irregolarità, l’Agenzia procede con la fase successiva. Lo stesso vale nel caso in cui il contribuente abbia presentato osservazioni ma l’ufficio le abbia rigettate: in tal caso, di solito viene inviata una seconda comunicazione definitiva che conferma le somme dovute (magari prorogando di poco il termine di pagamento); se anche questa non viene seguita dal versamento, si passa al ruolo. In sintesi, trascorso il termine senza esito, le somme diventano definitivamente dovute (a titolo definitivo) e iscritte a ruolo. È importante evidenziare che la mancata risposta o pagamento implica anche la perdita del beneficio della sanzione ridotta. Infatti, decadendo dalla fase bonaria, la sanzione applicata torna alla misura intera prevista per la violazione: generalmente il 30% (25% per violazioni da fine 2024) dell’imposta non versata. La cartella verrà quindi emessa con la sanzione piena. Un aspetto degno di nota, confermato dalla Cassazione, è che l’assenza di avviso bonario non priva il contribuente della possibilità di ottenere comunque la sanzione ridotta se paga entro un certo termine. In passato, alcune sentenze hanno affermato che, qualora l’ufficio non invi una comunicazione dovuta, il contribuente può pagare con la riduzione anche dopo aver ricevuto direttamente la cartella. Questo principio, tuttavia, non è previsto da una norma chiara e potrebbe necessitare di un ricorso per essere riconosciuto: si tenga presente come argomento di difesa nel caso in cui l’Agenzia non abbia inviato l’avviso bonario pur dovuto (vedi oltre). In pratica: se ci si vede recapitare una cartella senza aver mai ricevuto l’avviso bonario, e ricorrono le condizioni per cui l’avviso era obbligatorio, si può provare a pagare l’imposta e richiedere la riduzione sanzioni ad 1/3, oppure sollevare la questione in ricorso.

5. Formazione del ruolo e della cartella di pagamento: l’iscrizione a ruolo è l’atto amministrativo con cui l’Agenzia delle Entrate formalizza il credito da riscuotere e lo trasferisce all’Agente della riscossione. Avviene attraverso un flusso informatico in cui sono elencati i debitori, le somme dovute e i relativi riferimenti. Una volta formato il ruolo (detto “ruolo ordinario” se è nei termini ordinari), l’Agente della riscossione provvede a generare e notificare la cartella di pagamento al contribuente. La notifica della cartella deve rispettare, a pena di decadenza, i termini previsti per legge (discutiamo a breve); la notifica può essere per PEC (se il contribuente ha una casella PEC attiva e conosciuta) oppure tramite messo notificatore o posta raccomandata.

La cartella conterrà una sezione con la descrizione del debito, spesso del tenore: “Controllo automatizzato ex art.36-bis DPR 600/73, Dich. anno 2023, imposta IRPEF”, con gli importi di imposta, sanzione (30% o 25%) e interessi fino alla data del ruolo. In molti casi, in allegato alla cartella, l’Agente allega anche la comunicazione di irregolarità precedente (se c’era) o quantomeno ne riporta i dati essenziali. La motivazione della cartella è ritenuta valida se fa riferimento alla dichiarazione originaria e agli esiti del controllo, senza necessità di ulteriori spiegazioni: la Cassazione ha infatti chiarito che, trattandosi di somme risultanti dai dati forniti dallo stesso contribuente, il richiamo a tali dati è sufficiente a soddisfare l’obbligo motivazionale. Ad esempio, se la cartella cita l’omesso versamento del saldo IRPEF dichiarato per un certo anno, ciò basta a far capire al contribuente la ragione della pretesa (il contribuente “è già a conoscenza” dei presupposti, essendo quelli da lui dichiarati).

6. Decorso dei 60 giorni e attivazione riscossione coattiva: dal momento in cui la cartella è notificata, il contribuente ha 60 giorni per adempiere. Entro tale termine può: pagare (tutto o prima rata se chiede rateazione), oppure presentare ricorso in Commissione Tributaria (ora Corte di Giustizia Tributaria di 1° grado) per contestarla, oppure farne entrambe le cose (vedremo l’eventualità di pagare in pendenza di ricorso). Se trascorrono 60 giorni senza pagamento né ricorso, la cartella diventa definitiva. L’Agente della riscossione a quel punto può procedere con mezzi cautelari (ad esempio iscrizione di fermo sul veicolo, ipoteca sugli immobili, trascorsi almeno 60 giorni) e esecutivi (pignoramenti di stipendi, conti correnti, immobili, dopo i preavvisi di rito). È dunque fondamentale non ignorare una cartella esattoriale: o la si contesta formalmente, o la si gestisce (pagamento/rateazione), ma lasciarla decadere porta inevitabilmente a conseguenze più gravi per il debitore.

Riassumendo, il percorso dalla dichiarazione alla cartella è strutturato in modo da dare al contribuente un’opportunità preventiva di sistemare spontaneamente le cose (fase bonaria). Tuttavia, se il contribuente non si attiva, il sistema sfocia rapidamente nella fase coattiva (fase esattoriale). Nei prossimi paragrafi analizzeremo proprio come il contribuente può difendersi e far valere i propri diritti nelle varie fasi, con particolare attenzione a cosa può opporre una volta ricevuta la cartella e quali strumenti giuridici utilizzare.

Termini di notifica e decadenza della cartella

Un aspetto cruciale per la difesa del contribuente è la verifica del rispetto dei termini di decadenza da parte dell’Amministrazione finanziaria. I termini di decadenza sono i limiti temporali entro cui l’ente impositore (o il concessionario della riscossione) deve compiere determinati atti, pena la perdita del potere di agire per recuperare il tributo. Per le cartelle derivanti da controlli automatizzati, i termini sono stabiliti principalmente dall’art. 25 DPR 602/1973, come richiamato in precedenza.

Decadenza per le imposte dichiarate (ruoli da 36-bis): la regola generale è che la cartella di pagamento, emessa a seguito di controllo automatico su una dichiarazione, va notificata entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. Alcuni esempi pratici aiuteranno a chiarire:

  • Dichiarazione presentata nel 2022 (anno d’imposta 2021): cartella da controllo automatizzato notificabile fino al 31 dicembre 2025.
  • Dichiarazione presentata nel 2023 (anno d’imposta 2022): termine di notifica della cartella il 31 dicembre 2026.
  • Dichiarazione presentata nel 2024 (anno d’imposta 2023): termine il 31 dicembre 2027.
  • Dichiarazione presentata nel 2025 (anno d’imposta 2024): termine il 31 dicembre 2028, e così via.

Tale regola si applica a tutte le imposte liquidate in dichiarazione (IRPEF, IRES, addizionali, IVA, IRAP, ritenute, contributi previdenziali dichiarati nel quadro RR, ecc.), salvo eccezioni specifiche. Attenzione: il termine decorre dalla data di presentazione effettiva della dichiarazione. Dunque, se una dichiarazione è presentata tardivamente (ad esempio entro i 90 giorni di ritardo ed è considerata valida), il conteggio parte comunque dall’anno di presentazione originario. Se invece la dichiarazione è omessa (non presentata affatto nei termini, o oltre i 90 giorni), non si applica il 36-bis bensì un accertamento d’ufficio: in quel caso la cartella può essere emessa senza avviso bonario (come da giurisprudenza, vedi oltre Cass. 28773/2021) ma rientra nello scenario degli accertamenti con termine più ampio (generalmente entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione sarebbe dovuta, per emettere l’avviso di accertamento).

Decadenza per i controlli formali (36-ter): qui la legge concede un anno in più, poiché la lavorazione richiede spesso l’interlocuzione col contribuente. La cartella conseguente a un controllo formale deve essere notificata entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. Ad esempio, per un 730 presentato nel 2022, la cartella da 36-ter (se il contribuente non paga dopo l’esito del controllo formale) va notificata entro il 31 dicembre 2026.

Termini per atti derivanti da accertamenti: come visto nella tabella precedente, se la cartella deriva non da un controllo automatico ma da un avviso di accertamento (ad esempio per annualità più vecchie in cui serviva ancora la cartella, come accertamenti 2018 o precedenti non “esecutivi”), il termine è diverso: due anni dalla data in cui l’accertamento è divenuto definitivo. Però, dal 2020 in poi, gli avvisi di accertamento sono esecutivi trascorsi 60 giorni e non richiedono cartella, quindi questo aspetto è divenuto meno comune. Nel nostro contesto, ci concentriamo sui ruoli da liquidazione automatica.

Proroghe straordinarie: è importante ricordare che, negli anni recenti, alcuni termini di decadenza sono stati prorogati per legge in via straordinaria. In particolare, a causa dell’emergenza Covid-19, il legislatore ha spostato in avanti molte scadenze. Ad esempio:

  • Le cartelle da 36-bis relative a dichiarazioni presentate nel 2018 (periodo d’imposta 2017), che in condizioni normali sarebbero decadute al 31/12/2021, hanno beneficiato di una proroga al 31/12/2022 per effetto dell’art. 157 DL 34/2020 (Decreto Rilancio) che ha aggiunto un anno.
  • Similmente, quelle relative alle dichiarazioni del 2017 (periodo d’imposta 2016), normalmente in scadenza al 31/12/2020, sono state prorogate al 31/12/2022, cumulando gli effetti del DL 18/2020 art. 68 e del D.Lgs. 156/2015 (che aveva a sua volta differito termini in fase di “rivoluzione” del calendario fiscale).
  • In generale, il 2020 è stato un anno di “congelamento” per la riscossione: l’invio di avvisi bonari fu sospeso per molti mesi e i termini dilazionati. Anche la “rottamazione quater” (definizione agevolata 2023) ha sospeso per alcuni mesi i termini in scadenza nel 2023.

La conseguenza è che, per verificare la decadenza, il contribuente deve considerare eventuali norme speciali intervenute. Ad oggi, per le dichiarazioni dal 2019 in poi, la situazione è tornata alla normalità con i termini triennali/quadriennali standard, fatte salve ulteriori proroghe che potrebbero arrivare in futuro. In questa guida, daremo per scontato che le cartelle esaminate rientrino nei termini ordinari (salvo diversa indicazione), ma il lettore è invitato a controllare le normative emergenziali per l’anno di imposta di interesse.

Effetti della decadenza: se la cartella viene notificata oltre il termine di decadenza applicabile, essa è affetta da nullità insanabile. In altre parole, l’Amministrazione finanziaria ha perso il potere di riscuotere coattivamente quelle somme, perché il legislatore le aveva imposto una scadenza massima. Ad esempio, se un contribuente riceve nel marzo 2025 una cartella riferita a un controllo automatizzato sulla dichiarazione presentata nel 2019 (anno imposta 2018), tale cartella è tardiva poiché avrebbe dovuto arrivare entro il 31/12/2022 (essendo scadenza terzo anno post-dichiarazione 2019). Questa nullità deve essere fatta valere dal contribuente in sede di ricorso: il giudice tributario, accertato il mancato rispetto del termine, annullerà la cartella per intervenuta decadenza, facendo venire meno la pretesa.

È importante sottolineare che la decadenza attiene al termine di notifica della cartella, non al termine di elaborazione della comunicazione bonaria (che è considerato ordinatorio, non perentorio). In altri termini, non rileva se l’Agenzia ha inviato l’avviso bonario in ritardo (ad esempio molto oltre l’anno successivo alla dichiarazione); ciò che conta è che la notifica della cartella avvenga entro il termine triennale (o quadriennale). Un avviso bonario tardivo potrebbe semmai ridurre il tempo a disposizione del contribuente per reagire, ma non costituisce di per sé motivo di nullità della cartella, a meno che comporti sforamento del ruolo oltre il termine. La Cassazione ha infatti chiarito che il termine per la comunicazione bonaria è solo sollecitatorio, mentre quello per la cartella è perentorio.

Computo e prova della notifica: la notifica si considera avvenuta, per il notificante, alla data di consegna al servizio postale o all’ufficiale notificatore entro il 31 dicembre del termine. Quindi è possibile ricevere una cartella a gennaio dell’anno successivo che tuttavia risulti spedita a fine dicembre: in tal caso la notifica è tempestiva, a nulla rilevando se la ricezione da parte del contribuente è avvenuta formalmente dopo il termine (fa fede la data di spedizione/PEC). La cartella stessa o i documenti postali ad essa allegati (relata di notifica, attestazione di invio PEC) riportano tali date. In giudizio, l’onere di provare la tempestività grava sull’Agente della Riscossione, che esibirà l’eventuale report di invio PEC o l’avviso di ricevimento con timbro postale.

Interruzioni e sospensioni dei termini: oltre alle proroghe straordinarie già dette, va ricordato che i termini di decadenza possono essere “interrotti” dall’eventuale notifica di un atto precedente. Per fortuna, nel contesto del 36-bis, di norma non esistono atti infraprocedimentali con valenza interruttiva (l’avviso bonario non interrompe né sospende la decadenza, è un passaggio interno). Un caso particolare è se il contribuente impugna l’avviso bonario ritenendolo già impugnabile: in passato qualche contribuente lo ha fatto e la lite talvolta è stata riqualificata come impugnazione della cartella poi emessa. In generale però per i controlli automatici non ci sono atti intermedi che possano allungare il termine. Diverso è in ambito accertamento: un ricorso pendente contro un avviso di accertamento sospende i termini di decadenza per il ruolo, ma questo esula dalla trattazione odierna.

In definitiva, verificare la data di notifica della cartella e confrontarla con la data di presentazione della dichiarazione fiscale da cui origina è uno dei primi passi difensivi per il contribuente/debitore. Se il termine risulta superato, si è di fronte a una eccezione di decadenza da sollevare nel ricorso, che tipicamente conduce all’annullamento totale della cartella (nullità “originaria”). Il tutto a prescindere dal merito della pretesa: anche se le imposte fossero dovute, lo Stato non può più pretenderle coattivamente oltre il termine fissato, dovendo semmai procedere a iscrivere a bilancio la perdita per decadenza (salvo ipotesi di consapevole sottrazione fraudolenta, che portano ad altri rimedi come il dolo accertativo con termini raddoppiati, ma questo riguarda gli accertamenti, non i controlli automatici su dichiarazioni presentate).

Vizi della cartella da controllo automatizzato: motivi di nullità o annullabilità

Una volta ricevuta la cartella di pagamento, il contribuente interessato a opporsi deve individuare quali vizi o motivi di illegittimità possa far valere. Elenchiamo qui i principali motivi di nullità o annullabilità delle cartelle derivanti da 36-bis, alla luce delle norme e delle più recenti sentenze, dal punto di vista del debitore che intende eccepirle:

a) Mancata o irregolare preventiva comunicazione di irregolarità (avviso bonario): questo è forse il motivo più discusso negli ultimi anni. La questione: una cartella ex art. 36-bis è valida se l’Agenzia non ha inviato l’avviso bonario al contribuente? La risposta, frutto di evoluzioni giurisprudenziali, è articolata. Occorre distinguere due situazioni:

  • Caso 1: Omesso versamento di somme dichiarate (nessuna incertezza) – Se la cartella si riferisce esclusivamente a importi che il contribuente stesso ha dichiarato come dovuti ma non versato, la giurisprudenza oggi prevalente ritiene legittima la cartella anche senza previo avviso bonario. Ciò si basa sull’interpretazione combinata dell’art. 36-bis e dell’art. 6 dello Statuto Contribuente: l’obbligo di comunicazione preventiva è mirato a consentire al contribuente di chiarire “incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, ma se non vi è alcuna incertezza – perché la pretesa si fonda su dati che lo stesso contribuente ha indicato (esempio tipico: l’importo del rigo RN della dichiarazione è 1000 euro, e il contribuente ha versato 0 euro) – allora la comunicazione non è strettamente dovuta. In altre parole, secondo la Cassazione, l’avviso bonario è necessario solo in presenza di errori materiali nella dichiarazione o di situazioni dubbie; mentre quando si tratta di mera omissione di versamento, il Fisco può procedere direttamente con la cartella senza contraddittorio, in quanto il contribuente già sa di non aver pagato quanto dichiarato. Su questo punto possiamo citare plurime pronunce: Cass. 33344/2019, Cass. 1711/2018, Cass. 28034/2022, e più di recente Cass. 5981/2024, le quali ribadiscono che “la notifica della cartella a seguito di controllo automatizzato è legittima anche se non preceduta dall’avviso bonario, ogniqualvolta la pretesa derivi dal mancato versamento di somme esposte in dichiarazione”. Perfino in caso di omessa dichiarazione IVA, la Suprema Corte (SS.UU. 17758/2016, confermata da Cass. 28773/2021) ha ritenuto legittimo procedere con cartella immediata: se un contribuente non presenta proprio la dichiarazione, il Fisco può iscrivere a ruolo eventuali importi risultanti (ad esempio dall’incrocio di dati, come IVA dovuta su versamenti periodici effettuati) senza contraddittorio, trattandosi di controllo “formale” su un’omissione, privo di valutazioni sostanziali. Dal punto di vista difensivo, ciò significa che se la cartella riguarda un’omissione di pagamento conclamata, sollevare la mancanza di avviso bonario di per sé non porterà all’annullamento, in quanto i giudici seguiranno l’orientamento che la comunicazione non era obbligatoria in quel caso.
  • Caso 2: Errori, discordanze o incertezze sui dati dichiarati (aspetti rilevanti incerti) – Se la pretesa nasce da una rettifica dei dati dichiarati dal contribuente – ad esempio la non ammissione di un credito esposto, la correzione di un errore di calcolo, l’eliminazione di un onere dedotto perché ritenuto non spettante – allora cambia tutto. In queste situazioni c’è un’“incertezza su aspetti rilevanti”: il contribuente potrebbe avere elementi per contestare la rettifica. La legge prevede l’obbligo di avviso bonario, e la giurisprudenza afferma che la sua omissione comporta la nullità della successiva cartella. Nelle parole della Cassazione: “l’emissione della cartella ex art. 36-bis senza preventiva comunicazione è nulla quando la procedura automatizzata non si limiti a rilevare meri errori materiali ma richieda rettifiche dei dati dichiarati, in presenza di incertezze su aspetti rilevanti”. In tal caso, l’omesso invio dell’avviso bonario viola il diritto di difesa del contribuente e rende invalida la cartella per violazione dell’art. 6, co. 5 Statuto, che è considerato norma procedimentale cogente. Esempio pratico: il contribuente ha indicato un credito di imposta di €5.000 a riduzione dell’IRPEF dovuta, ma l’Agenzia ritiene che quel credito non esista (magari perché nell’anno precedente non risultava). Questa non è una semplice omissione di pagamento, ma un disaccordo su un dato (il credito) che andrebbe chiarito. Se l’Agenzia saltasse l’avviso bonario e iscrivesse direttamente a ruolo l’IRPEF “non pagata” negando il credito, la cartella sarebbe nulla per difetto di contraddittorio. In sede di ricorso, il contribuente eccepirà tale nullità e la Commissione, accertata la mancanza di comunicazione, annullerà la cartella. Molte sentenze confermano questo: di recente, la Cass. ord. n. 7620 del 17/03/2024 (menzionata in un caso di controllo formale) ha ribadito che la comunicazione è passaggio obbligato e la sua omissione determina nullità dell’iscrizione a ruolo. Anche in ambito 36-bis vi sono precedenti che annullano cartelle per mancato avviso su errori rilevati: si pensi a Cass. 4785/2016, Cass. 12023/2019, e altre.

In pratica, come distinguere i casi? Spesso la differenza sta nel tipo di codice tributo e causale indicati nella cartella: se la cartella riporta come causale “omesso versamento dichiarazione anno X” o simili, è probabile che si tratti del primo caso (nessuna incertezza, solo importo dichiarato e non pagato). Se invece compaiono diciture come “rettifica credito”, “errore di calcolo”, “dichiarazione infedele emergente da 36-bis” o se allegato c’è un prospetto di calcolo che modifica dati, allora è il secondo caso. Dal punto di vista difensivo, il contribuente deve:

  • Se è Caso 1 (omesso versamento): concentrare la difesa su altri motivi (vizi formali, prescrizione, ecc.), poiché puntare sulla mancanza di avviso bonario difficilmente avrà successo alla luce della giurisprudenza attuale. È bene tuttavia verificare anche qui: a volte l’Agenzia invia comunque l’avviso bonario anche per omessi versamenti (di solito lo fa), per cui se il contribuente non l’ha ricevuto, potrebbe provare a sostenere che l’ufficio non l’ha inviato. Ma l’orientamento, come detto, non gli darebbe ragione se l’obbligo non c’era.
  • Se è Caso 2 (rettifiche): allora la mancata notifica della comunicazione di irregolarità è un ottimo motivo di ricorso. Andrà evidenziato nel ricorso che l’ufficio ha violato l’art. 6 Statuto e 36-bis co.3 DPR 600/73, negando al contribuente il contraddittorio. Spetterà poi all’ente provare di aver eventualmente inviato la comunicazione (spesso l’Agenzia in giudizio produce la copia della comunicazione e la prova di postalizzazione). Se non riesce a dimostrarlo, la cartella verrà annullata integralmente per vizio procedurale.

Da notare che in talune circostanze la comunicazione potrebbe essere stata inviata ma ad un indirizzo sbagliato o tramite canale errato (es. invio al vecchio domicilio fiscale). In questi casi, il contribuente può lamentare di non averla ricevuta, chiedendo comunque l’applicazione della tutela. Non sempre i giudici accolgono tale tesi se l’ufficio prova di aver fatto quanto dovuto, ma qualora ci siano errori (es. spedita a indirizzo non aggiornato mentre il contribuente aveva comunicato la variazione), ciò può giovare alla causa.

b) Vizi di notifica della cartella: la cartella di pagamento, in quanto atto da notificare, deve essere notificata con modalità corrette. I possibili vizi di notifica includono:

  • Notifica a soggetto o indirizzo errato: ad esempio, consegna a un familiare non convivente, o invio PEC ad un indirizzo non appartenente al destinatario. Se la notifica non raggiunge il contribuente, o lo fa in modo irrituale, la cartella può essere impugnata per nullità della notifica. Va però precisato che la giurisprudenza distingue tra notifica inesistente (completamente fuori schema) e notifica nulla ma sanabile. Se il contribuente è comunque venuto in possesso dell’atto (come spesso accade, perché magari l’ha trovato nella cassetta postale anche se consegnato a persona sbagliata), l’eventuale vizio di notifica si considera sanato “per raggiungimento dello scopo”. Ciò significa che non potrà più eccepirlo se ha fatto ricorso tempestivo: il fatto stesso di impugnare l’atto implica che lo ha ricevuto e identificato, sanando la notifica. Viceversa, se la notifica è del tutto inesistente (ad es. spedita a indirizzo completamente diverso e mai arrivata), allora la cartella potrebbe essere impugnabile senza limiti di tempo per difetto assoluto di notifica, ma è un caso raro.
  • Mancato rispetto delle formalità previste: per la notifica via posta, la legge richiede la raccomandata informativa in caso di consegna a terzi o di irreperibilità relativa (art. 60 DPR 600/73). Se tali passi non sono stati compiuti, c’è nullità. Per la notifica PEC, è richiesto l’uso di PEC mittente ufficiale e firma digitale sull’atto: vizi in questi elementi possono essere eccepiti (ad esempio, invio da indirizzo PEC non appartenente a Agenzia Entrate Riscossione, o file privo di firma digitale valida). Anche qui, però, la sanatoria per conoscenza potrebbe limitare la rilevanza.
  • Notifica oltre orari o in giorni non consentiti: in teoria è un vizio (atti notificati di sabato sera, ecc.), ma rientra in quelli relativi.

In sintesi, i vizi di notifica possono essere eccepiti ma raramente conducono a soluzioni definitive se l’atto è comunque giunto al destinatario. Una strategia del debitore può essere, se scopre vizi di notifica gravi, di sollevare la questione in via principale, perché l’annullamento per vizio di notifica significherebbe che la cartella non è mai formalmente esistita come atto notificato, e dunque eventuali termini decadenziali potrebbero essere superati. Tuttavia, occorre prudenza: se impugna l’atto, come detto, spesso sana i vizi a meno che ne contesti l’inesistenza. Un esempio: cartella consegnata al portiere dello stabile senza invio della raccomandata informativa al destinatario – la Cassazione ha annullato notifiche simili in alcuni casi, ma se il contribuente l’ha impugnata entro 60 giorni, significa che l’ha avuta, rendendo più arduo sostenere il pregiudizio.

c) Difetto di motivazione o di elementi essenziali: la cartella, pur essendo generata automaticamente, deve contenere i requisiti previsti dall’art. 7 L. 212/2000 e dall’art. 3 L. 241/1990 (richiamati in materia tributaria): indicazione chiara delle somme richieste e delle relative causali, dell’anno di imposta, nonché dell’ufficio che ha svolto l’attività di liquidazione. Un tempo si contestava la mancata sottoscrizione della cartella da parte di un funzionario: oggi è pacifico che la cartella non richiede firma autografa, essendo emessa in forma massiva. La Cassazione ha più volte respinto l’eccezione di “cartella priva di firma” richiamando la normativa che consente documenti meccanografici. Quindi questo non è un motivo vincente.

Più rilevante è la questione della motivazione circa gli interessi e il calcolo: come accennato, le Sezioni Unite della Cassazione nel 2022 hanno posto fine a un contrasto stabilendo che se la cartella è il primo atto con cui vengono richiesti interessi per ritardato versamento, essa deve indicare il tasso di interesse applicato e da quale data decorrono gli interessi. Non è necessario dettagliare ogni singolo calcolo o le aliquote via via mutate, ma almeno specificare la base normativa degli interessi (es. “interessi da ritardata iscrizione a ruolo ex art. 20 DPR 602/73 al tasso X%”) e la decorrenza (solitamente dalla scadenza originaria del pagamento fino a una certa data). Se manca del tutto questa indicazione e la cartella richiede un importo globale di interessi incomprensibile, la stessa Cassazione ha affermato che la cartella è illegittima limitatamente agli interessi. In pratica, il contribuente potrebbe ottenere l’annullamento della sola voce “interessi” mantenendo comunque dovute imposta e sanzione. Ad esempio, Cass. ord. n. 34634/2022 ha confermato l’annullamento parziale di una cartella perché non era chiaro come fossero stati computati gli interessi su IRAP e IVA dovute. Dunque, un motivo di ricorso efficace è controllare se la cartella spiega gli interessi: spesso nella sezione “dettaglio degli addebiti” c’è un rigo con “interessi di mora” o “interessi da… a…”. Se così non fosse, oppure se manca completamente il riferimento normativo, conviene eccepire la carenza motivazionale su quel punto. La giurisprudenza post-Sez.Unite 2022 è coesa nel ritenere necessario garantire la comprensibilità delle voci per permettere la difesa del contribuente.

Oltre agli interessi, anche altre componenti potrebbero essere contestate per difetto di motivazione. Ad esempio, la sanzione: la cartella dovrebbe indicare quale sanzione viene applicata (omesso versamento art. 13 D.Lgs 471/97, nella misura del 30%/25%). Di solito c’è un codice tributo specifico (ad es. 8901 per sanzioni IRPEF). Se, poniamo, una cartella richiedesse un importo di sanzioni senza chiarire su quali basi, si potrebbe contestare. Tuttavia, nella prassi le cartelle sono abbastanza standardizzate e riportano queste info.

d) Errore di persona o difetto di legittimazione passiva: capita raramente ma è possibile che la cartella sia indirizzata al soggetto sbagliato (es. omonimia, o debito di una società notificato per errore al socio). In tal caso ovviamente il ricorso verte sulla “non debenza perché non sono io il debitore”. Anche errori come richiesta a un contribuente deceduto (invece che agli eredi) sono vizi di nullità notificatoria e sostanziale. L’Agente della Riscossione di solito annulla in autotutela simili errori se segnalati.

e) Importo già pagato o non dovuto: questo è più un motivo di merito che formale: se il contribuente può dimostrare che le somme richieste in cartella erano state già versate o comunque non erano dovute (magari per un errore dell’ufficio), può farlo valere. Ad esempio, se l’Agenzia non ha considerato un F24 regolarmente pagato, allegando la ricevuta di versamento al ricorso si può ottenere l’annullamento della pretesa (il giudice accerterà che nulla è dovuto). Attenzione: ciò implica che il contribuente non ha segnalato prima quel pagamento; in teoria, doveva farlo in risposta all’avviso bonario. Ma se per ipotesi la comunicazione bonaria non è mai arrivata, il contribuente potrebbe essersi accorto solo con la cartella di un debito che in realtà aveva già sanato. In questi casi, il ricorso è senz’altro fondato sul merito (assenza di debito). L’Agenzia in genere riconosce l’errore già in sede di controdeduzioni, se la prova è evidente.

Un caso particolare: ravvedimento operoso. Se il contribuente, prima di ricevere l’avviso bonario, aveva autonomamente effettuato un ravvedimento (pagando imposta dovuta con mini-sanzione e interessi) per sanare il mancato versamento, può succedere che il sistema non ne abbia tenuto conto in tempo e abbia generato lo stesso l’avviso/cartella con sanzione piena. In ricorso, provando di aver già ravveduto, il contribuente può ottenere l’annullamento della sanzione (già sostituita da quella ridotta pagata col ravvedimento) e degli interessi oltre la data di pagamento, restando eventualmente dovuto solo un conguaglio se gli importi differiscono. Anche qui, però, l’ideale sarebbe agire in autotutela appena arriva l’avviso bonario, segnalando il ravvedimento effettuato.

f) Prescrizione del credito: da non confondere con la decadenza. La prescrizione riguarda il decorso del tempo dopo che la cartella è divenuta definitiva. In questa sede, trattando come difendersi dalla cartella appena notificata, la prescrizione non è ancora maturata (di solito i tributi erariali hanno prescrizione decennale). Tuttavia, se il contribuente riceve tardivamente una cartella che in realtà era stata notificata anni prima e mai pagata, potrebbe eccepire la prescrizione sopravvenuta del credito. Ad esempio: cartella notificata nel 2010, mai impugnata, e l’Agente non ha fatto atti per oltre 10 anni, se nel 2022 inizia un pignoramento, il debitore può opporsi per prescrizione del credito sottostante. Ma questo esula dalla difesa in sede di impugnazione della cartella, perché qui parliamo del momento immediatamente successivo alla notifica.

g) Altri vizi formali: ad esempio la mancanza dell’indicazione del responsabile del procedimento (norma introdotta dallo Statuto). In passato, la giurisprudenza oscillava: la mancata indicazione del responsabile era ritenuta causa di nullità della cartella. Oggi tale nullità è stata relativizzata: la mancanza del nominativo è un’irregolarità che però non invalida l’atto se l’ente è comunque identificabile, specie dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 58/2018 che ha escluso l’illegittimità costituzionale della norma. Dunque, non è un filone vincente. Comunque, normalmente le cartelle riportano tale nome (responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo in genere individuato nella posizione finale dell’atto).

h) Cumulo di più annualità in un’unica cartella: se una cartella include più partite (es: IRPEF 2018 e IVA 2019) ciò è lecito. Il contribuente può impugnarla anche parzialmente contestando solo una delle partite. Non è un vizio, è solo da sapere che la cartella è unitaria ma divisibile in giudizio.

i) Errata intestazione del ruolo (soggetto attivo): raramente, capita che la cartella rechi un creditore diverso da quello legittimato. Ad esempio, un tributo comunale iscritto come se fosse dovuto all’Agenzia Entrate. In questi casi, la difesa è sostenere la nullità perché chi ha iscritto a ruolo non era titolato. Ma per controlli automatizzati statali, il creditore è sempre l’Agenzia Entrate, dunque il punto non si pone salvo errori macroscopici.

In sede di ricorso tributario, tutti i motivi sopra elencati possono essere fatti valere cumulativamente. È buona prassi per l’avvocato tributarista/debitore eccepire tutti i vizi riscontrati, sia formali che sostanziali, per massimizzare le chance di successo (il giudice potrebbe accogliere anche un solo motivo e tanto basta per annullare l’atto). Ad esempio, un ricorso tipico contro una cartella 36-bis potrebbe contenere: (i) eccezione di decadenza; (ii) nullità per omesso contraddittorio (se pertinente); (iii) carenza di motivazione su interessi; (iv) contestazione di merito su importi non dovuti o già versati; (v) richiesta di riduzione sanzione a 1/3 in mancanza di avviso bonario; (vi) eventuale vizio di notifica.

Ovviamente, occorre valutare caso per caso quali motivi siano applicabili. Non conviene sollevare motivi manifestamente infondati (es. lamentare assenza di avviso bonario quando il caso è di omesso versamento chiaro, o contestare motivazione quando la cartella è chiarissima), perché si rischia di ridurre la credibilità delle proprie ragioni. Un consulente esperto saprà individuare i punti deboli reali dell’atto.

Nei prossimi capitoli vedremo come utilizzare questi vizi nel contesto degli strumenti di difesa a disposizione (autotutela, ricorso), nonché alcune strategie pratiche (come la rateazione) che, più che vizi, sono scelte di gestione del debito.

Strumenti di difesa del debitore: autotutela e ricorso tributario

Una volta appurata la presenza di possibili errori o illegittimità nella cartella da controllo automatizzato, il contribuente ha davanti a sé due percorsi principali per difendersi: la tutela amministrativa (autotutela) o la tutela giurisdizionale (ricorso in commissione tributaria). Vediamole in dettaglio, senza dimenticare alcuni strumenti complementari come la sospensione e la rateizzazione.

Richiesta di annullamento in autotutela (tutela amministrativa)

L’autotutela è il potere/dovere dell’amministrazione finanziaria di correggere i propri atti errati o illegittimi, di propria iniziativa o su istanza del contribuente, senza necessità di attendere il giudice. In pratica, il contribuente può rivolgersi all’ufficio che ha emesso la cartella (tipicamente l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale, Settore Controlli) e presentare un’istanza motivata in cui chiede l’annullamento (totale o parziale) della cartella, spiegandone i motivi.

Nel caso di una cartella da 36-bis, l’ufficio competente è generalmente lo stesso che ha curato la liquidazione automatizzata e inviato l’eventuale avviso bonario. Sull’intestazione della cartella spesso è indicato l’ente creditore e un riferimento (ad es. “Agenzia Entrate DIREECZIONE PROVINCIALE DI XXX, Ufficio Liquidazioni”).

Quando usare l’autotutela? È particolarmente indicata quando il vizio è evidente e documentabile, ad esempio:

  • Errore di calcolo palese: se il contribuente nota che c’è un errore numerico (raramente accade, ma possibile: es. la cartella riporta importo duplicato).
  • Pagamento già effettuato: allegando le quietanze di pagamento, l’ufficio spesso provvede allo sgravio (annullamento) del ruolo se riconosce che il versamento c’era.
  • Decadenza maturata: se la cartella è oltre termini, talvolta gli uffici in autotutela resistono (lasciano al giudice), ma si può comunque far presente.
  • Errore di persona: tipico caso da autotutela: se hanno intestato a te un debito altrui, l’ufficio dovrebbe annullare subito.
  • Doppia imposizione: es. se per lo stesso tributo e periodo sono stati emessi due ruoli per errore informatico.

L’autotutela ha il vantaggio della rapidità e informalità: basta una semplice istanza (anche via PEC) e non costa nulla, né richiede formalità processuali. Tuttavia, ha due svantaggi: (1) non sospende automaticamente i termini di pagamento né quelli di ricorso; (2) non c’è garanzia di accoglimento, essendo discrezionale per l’ufficio.

Infatti, presentare un’istanza di autotutela non ferma il termine di 60 giorni per il ricorso: se questo decorre e l’ufficio rifiuta l’annullamento, il contribuente perde la possibilità di impugnare in giudizio. Dunque, se mancano pochi giorni alla scadenza per ricorrere, conviene comunque predisporre il ricorso per cautela, magari chiedendo in udienza la sospensione se l’autotutela viene accolta nel frattempo.

Inoltre, l’amministrazione spesso è restia ad annullare in autotutela quando la questione è controversa (es. eccezione giuridica su avviso bonario mancante). Più facilmente interviene su errori materiali. Per questioni interpretative (tipo “secondo me la cartella è nulla perché…”), l’ufficio tende a sostenere la legittimità del proprio operato e lascia che sia il giudice eventualmente a decidere. C’è però un caso in cui l’autotutela è facilitata: la circolare interna. Se esistono direttive o circolari dell’Agenzia che sposano la tesi del contribuente (ad es. in passato circolari che invitavano a sgravare ruoli risultati duplicati, o riconoscere ravvedimenti), allora citarle nell’istanza può convincere l’ufficio.

Esiste anche la possibilità di rivolgersi direttamente all’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) per una sorta di autotutela: dal 2013 vige una norma (art. 1, commi 537-543 L. 228/2012) che consente al contribuente di presentare all’Agente della Riscossione un’istanza di sospensione amministrativa della cartella, allegando documenti che provano ad esempio l’avvenuto pagamento, la prescrizione, un provvedimento di sgravio, o un contenzioso pendente sull’atto presupposto. In tali casi, l’Agente blocca le procedure e trasmette la pratica all’ente creditore per le verifiche; se l’ente non risponde entro 220 giorni, il debito è annullato di diritto. Questa procedura è utile se, ad esempio, avete un atto del Fisco che annulla in autotutela l’avviso bonario dopo che però la cartella è partita: presentando tale documentazione ad AER, la cartella viene sospesa ed eliminata. Nel contesto 36-bis, questa istanza di solito è usata quando dopo la formazione del ruolo il contribuente riesce a farsi riconoscere dall’Agenzia un errore (ma intanto la cartella è arrivata). Si allega lo sgravio e si fa cessare la riscossione.

Riassumendo: l’autotutela è complementare al ricorso. È consigliabile tentarla subito se si ha un buon rapporto con l’ufficio locale o se l’errore è macroscopico. Ma non bisogna affidarsi esclusivamente ad essa se il tempo stringe o se la questione è delicata, altrimenti si rischia di perdere il treno del ricorso.

Ricorso tributario (tutela giurisdizionale)

Il ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria) è lo strumento principale di difesa giudiziale contro la cartella di pagamento. Vediamo gli aspetti pratici:

Competenza territoriale: va presentato presso la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado territorialmente competente, di norma quella relativa al domicilio fiscale del contribuente (per le persone fisiche, la provincia di residenza; per le società, la sede legale) al momento della notifica della cartella. Fa fede l’indirizzo sul frontespizio della cartella. Ad esempio, se Tizio risiede in provincia di Milano, sarà la CGT di Milano; se è una società di Roma, CGT Roma, ecc.

Termine per proporre ricorso: 60 giorni dalla data di notifica della cartella (non dalla ricezione dell’eventuale avviso bonario, ma proprio della cartella). Attenzione che per le notifiche via PEC la giurisprudenza fa decorrere i termini dall’apertura della casella PEC o comunque dopo 15 giorni dal deposito sul server, ma per semplicità calcoliamo 60 giorni dalla data di consegna PEC o di ritiro raccomandata. Ci sono 30 giorni aggiuntivi (quindi 90 totali) solo se il contribuente risiede all’estero. Nel computo, se il 60° giorno cade di sabato o festivo, si proroga al primo giorno lavorativo successivo.

Forma del ricorso: Il ricorso va redatto in forma scritta, indicando l’ente contro cui si ricorre (Agenzia delle Entrate in persona del direttore pro tempore, per i vizi del ruolo, e eventualmente Agenzia Entrate-Riscossione per gli aspetti di notifica o riscossione), i motivi di fatto e di diritto (che saranno quelli visti al punto precedente, declinati sul caso concreto), e le conclusioni (ad es. “annullamento della cartella impugnata, con vittoria di spese”). Dal 2023 circa, il processo tributario è telematico obbligatorio: il ricorso si deposita tramite il portale SIGIT/Portale Giustizia Tributaria, previa notifica all’ente impositore (via PEC agli indirizzi ufficiali).

Motivi di ricorso tipici: come detto, il ricorso conterrà tutte le eccezioni utili: decadenza, nullità per omesso avviso bonario, vizi di notifica, errori di calcolo, ecc. Non vi sono limiti particolari: anche motivi che attaccano il merito della pretesa sono ammessi (es: “il contribuente non doveva pagare l’IRPEF in quanto si trattava di reddito esente, erroneamente indicato in dichiarazione” – benché su ciò potrebbe obiettarsi che la dichiarazione non è stata corretta in tempo, ma c’è un principio di diritto che la cartella da 36-bis può essere impugnata anche per far valere la non debenza nel merito del tributo, in certi limiti). Una recente ordinanza Cass. n. 12984/2025 ha ribadito che “il contribuente può opporsi alla pretesa scaturente da controllo automatizzato dimostrando che nulla era dovuto” anche dopo aver indicato il debito in dichiarazione, se emerge un errore scusabile in dichiarazione. Dunque, non va esclusa a priori la contestazione del merito: se c’è una ragione forte (ad es. un’agevolazione spettante ma non indicata correttamente), si può provare a farla valere davanti al giudice, magari invocando la facoltà di emendare la dichiarazione in sede contenziosa se l’errore è evidente e non nuovi elementi di reddito.

Pagamento o meno in pendenza di ricorso: diversamente da alcuni contenziosi civili, nel processo tributario non c’è obbligo di pagare prima di ricorrere (salvo che per gli accertamenti esecutivi, dove è dovuto un terzo dopo la sentenza di primo grado sfavorevole). Nel caso delle cartelle da 36-bis, se fai ricorso entro 60 giorni, l’Agente della Riscossione non può avviare azioni esecutive immediatamente, ma attenzione: la presentazione del ricorso non sospende automaticamente la riscossione. Significa che, trascorsi 60 giorni dalla notifica della cartella, se nel frattempo non hai ottenuto una sospensione, teoricamente l’agente potrebbe iniziare a notificare intimazioni, fermi o pignoramenti, anche se hai fatto ricorso. Per evitare ciò, si deve presentare una istanza di sospensione al giudice tributario (o ottenere quella amministrativa da AER se possibile) – vedi sezione successiva.

Alcuni contribuenti preferiscono pagare parzialmente per evitare rischi e poi ricorrere: è una scelta possibile (ricorso “per rimborso” della parte pagata che si ritiene non dovuta). Ad esempio, potresti pagare l’imposta e impugnare solo sanzioni e interessi. Questo garantisce che non maturino ulteriori interessi e che non partano azioni per quella parte non pagata. Tuttavia, pagando integralmente, rischi di vederti dichiarare il ricorso “improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse” (perché hai soddisfatto la pretesa). Quindi è una strategia da valutare con legale: in genere, meglio chiedere sospensione e non pagare subito, a meno che la cartella non sia di importo modesto e vuoi toglierti l’incombenza.

Iter e risultati del ricorso: depositato il ricorso, l’ente resistente (Agenzia Entrate e/o Riscossione) si costituirà con proprie controdeduzioni. Se riconoscono errori evidenti, talvolta in quella sede propongono sgravio parziale; se no, difendono l’operato. Si arriva poi all’udienza e alla decisione. In caso di esito positivo per il contribuente, la Commissione emette sentenza di annullamento (totale o parziale) della cartella. Questa sentenza è esecutiva: se annulla del tutto, l’Agente dovrà rinunciare alla riscossione e disporre lo sgravio; se parziale (es. annulla sanzioni, ma non imposta), allora resterà dovuto il resto. In caso invece di rigetto del ricorso, il contribuente può appello entro 60 giorni alla CGT di secondo grado e chiedere eventualmente sospensione in quella sede. Se non appella, la sconfitta in primo grado implica che deve pagare, e anzi l’Agenzia può attivarsi per riscuotere (in base alle norme attuali, dovrebbe chiedere il pagamento di un importo pari a quello non pagato + interessi).

Spese di lite: nelle cause tributarie, chi perde di regola viene condannato a pagare le spese legali dell’altro (salvo compensazione per complessità). Quindi, se il contribuente vince, può ottenere un rimborso delle spese sostenute per il legale per importo deciso dal giudice (di solito sulla base dei parametri forensi). Questo è un incentivo a far valere le proprie ragioni, specie se la cartella era palesemente errata: il Fisco potrebbe dover pagare anche le spese.

Transazione o conciliazione: in alcuni casi è possibile trovare un accordo con l’ufficio in corso di causa (ad esempio, conciliazione giudiziale) con riduzione di sanzioni. Tuttavia, per le cartelle da controlli automatizzati, o hai ragione o no – non c’è molto margine di negoziazione (a differenza di un accertamento dove potresti chiudere al 1/3 delle sanzioni). Però se il contenzioso riguarda solo sanzioni, nulla vieta di proporre una conciliazione riducendo queste.

In conclusione, il ricorso tributario è lo strumento con cui far valere compiutamente i motivi di opposizione di cui al paragrafo precedente. È un percorso tecnico, che consigliamo di affrontare con l’assistenza di un professionista abilitato (avvocato tributarista o commercialista iscritto all’albo dei difensori tributari), specie data la complessità di alcune eccezioni. Il punto di vista del debitore dev’essere chiaro: se la cartella presenta vizi, il ricorso è il mezzo per farli riconoscere ufficialmente e annullare la pretesa. Senza ricorso, l’errore dell’ufficio – anche se macroscopico – difficilmente verrà sanato, a meno di un raro intervento in autotutela.

Sospensione della riscossione (tutela urgente)

Come anticipato, presentare ricorso non blocca automaticamente la riscossione della cartella. Per evitare che, in attesa della sentenza, il contribuente subisca pignoramenti o altre azioni, è fondamentale valutare la richiesta di sospensione. Esistono due tipi di sospensione: amministrativa e giudiziale.

  • Sospensione amministrativa da parte dell’Agente della Riscossione: l’abbiamo accennata sopra parlando dell’istanza ex L.228/2012. Se, ad esempio, hai un provvedimento di sgravio o stai presentando ricorso per motivi manifesti (tipo decadenza), puoi chiedere ad Agenzia Entrate-Riscossione di sospendere ogni procedura fino all’esito del ricorso. AER tende a concederla se alleghi prova che il ricorso è stato presentato e che hai chiesto sospensione al giudice. In mancanza di riscontro dall’ente creditore, come detto, trascorsi 220 giorni, la legge prevede l’annullamento (ma 220 giorni nel processo tributario sono tantissimi: in tale lasso magari hai già la sentenza!). Quindi questa strada è più complementare che risolutiva.
  • Sospensione giudiziale (provvisoria) in sede di ricorso: è quella fondamentale. Il contribuente, nel ricorso o con istanza separata, può chiedere alla Corte tributaria la sospensione dell’esecuzione della cartella impugnata. I requisiti per ottenerla sono: fumus boni iuris (cioè apparenza di fondatezza del ricorso) e periculum in mora (rischio di danno grave e irreparabile se dovesse pagare subito). In pratica, va dimostrato al giudice che il ricorrente ha buone ragioni (es. la cartella è chiaramente fuori termine, o l’importo non dovuto è ben documentato) e che pagare quella somma, o subire azioni esecutive, gli causerebbe un pregiudizio serio (ad es. pregiudizio economico, crisi di liquidità, rischio di fallimento, ecc.). Nei casi di cartelle da 36-bis, se gli importi sono ingenti è quasi sempre opportuno chiedere la sospensiva, perché l’Agente potrebbe avviare pignoramenti dopo 60 giorni. Bisogna depositare l’istanza (solitamente integrata nel ricorso stesso) e il giudice fisserà un’udienza ad hoc in tempi rapidi (in genere entro 30-45 giorni dalla richiesta). Se accolta, la sospensione blocca la riscossione fino alla decisione di merito (sentenza) o fino a una data stabilita. Se rigettata, il contribuente può valutare di appellarsi (incidentalmente) in secondo grado per ottenere sospensione, ma intanto deve considerare misure alternative (es. rateizzare per congelare azioni).

Effetti della sospensione giudiziale: se concessa, l’Agente non potrà attivare o dovrà interrompere qualsiasi atto esecutivo. Inoltre, in caso di accoglimento del ricorso a fine causa, la sospensione evita che nel frattempo tu abbia pagato (o se hai pagato, facilita il rimborso). Attenzione però: se la causa dura a lungo, la sospensione non ferma il decorso degli interessi di mora sulla cartella. In teoria, se poi perdi, dovrai anche gli interessi maturati. In pratica, se il giudizio di primo grado dura un anno, gli interessi di mora (attualmente circa 3,5-4% annuo) si aggiungono. A volte il contribuente preferisce depositare in cassaforte la somma o pagarla in parte per non far correre troppi interessi. È una valutazione economica da fare caso per caso.

Ricapitolando: è fortemente consigliato chiedere la sospensione al giudice tributario quando si ricorre contro una cartella esattoriale, specie se di importo rilevante o se il contribuente è in difficoltà economica. Dal punto di vista del debitore, ottenere la sospensione significa “prendere fiato” e condurre la causa senza la spada di Damocle del pignoramento. Il suo legale dovrà quindi preparare una buona istanza con documenti che provino il pericolo (ad es. bilanci in perdita, impegni finanziari in corso, ecc.) e sottolineare i punti di forza del ricorso (ad es. “si chiede sospensione attesa la chiara decadenza del potere impositivo per tardività – fumus – e considerato che la società ricorrente versa in grave crisi di liquidità – periculum – onde il pagamento integrale ora la comprometterebbe irreversibilmente”).

Definizione del debito: rateazione e altre opzioni

Oltre a combattere la cartella sul piano legale, il debitore ha a disposizione strumenti per gestire pragmaticamente il debito, specialmente quando riconosce almeno in parte la fondatezza della pretesa o comunque vuole evitare conseguenze immediate. Le due principali opzioni in questo senso sono: la rateizzazione e le definizioni agevolate/condoni se presenti. Vediamole brevemente.

Rateizzazione della cartella di pagamento

La rateizzazione (o dilazione) consente di pagare il debito riportato in cartella a rate mensili, evitando così il pagamento in un’unica soluzione che potrebbe essere oneroso. Questa facoltà è prevista dall’art. 19 DPR 602/1973, recentemente modificato dal D.Lgs. 5 agosto 2024 n. 110 nell’ambito della riforma fiscale, con condizioni migliorative per il contribuente. Ecco i punti salienti aggiornati:

  • Importi fino a €120.000: per debiti di importo non elevato, la legge consente di ottenere la rateazione con una semplice richiesta dichiarando di essere in temporanea difficoltà economica, senza necessità di documentare tale difficoltà. Fino al 2024 la soglia era €60.000 poi elevata a €120.000, con un massimo di 72 rate mensili (6 anni) per importi fino a quella soglia. Dal 1° gennaio 2025, la riforma prevede un progressivo incremento del numero di rate concedibili senza documentazione:
    • richieste presentate nel 2025-2026: fino a 84 rate mensili (7 anni) se importo ≤ €120.000;
    • richieste nel 2027-2028: fino a 96 rate;
    • richieste dal 2029: fino a 108 rate.
    Questo significa che, ad esempio, un contribuente con una cartella da €50.000 nel 2025 può chiedere di dilazionarla fino in 7 anni (84 mesi) senza dover provare nulla, semplicemente barrando la casella di difficoltà sul modulo.
  • Importi superiori a €120.000 o piani più lunghi: se il debito supera €120.000, oppure se pur sotto tale soglia si vuole un piano oltre il numero standard di rate, occorre presentare un’istanza documentando la temporanea situazione di obiettiva difficoltà (ad esempio, presentando Indici di liquidità per le imprese, ISEE per persone fisiche, ecc.). In tal caso, l’Agente della riscossione può concedere fino a 120 rate mensili (10 anni). Nello specifico:
    • Oltre €120.000: si può sempre arrivare fino a 120 rate con adeguata prova di difficoltà;
    • Fino a €120.000 ma con difficoltà comprovata: dal 2025 si possono ottenere da 85 a 120 rate, a seconda dell’anno di richiesta (ad es. 2025: minimo 85 rate se si vuole superare 84, massimo 120). In pratica, con documentazione, si possono chiedere piani più lunghi rispetto a quelli “automatici”.
  • Modalità di richiesta: la domanda di dilazione si presenta all’Agenzia Entrate-Riscossione, preferibilmente tramite i servizi online (c’è un servizio ad hoc sul sito AeR) oppure con modulo da inviare via PEC o portare agli sportelli. Serve indicare le generalità, il numero della cartella e scegliere in quante rate si intende pagare (compatibilmente con i limiti). Se sopra soglia o si vuole più rate, allegare la documentazione finanziaria richiesta dal DM 6/11/2013 (patrimonio, liquidità, ecc. per le imprese; situazione reddituale per persone fisiche).
  • Effetti della rateazione: quando la rateazione è concessa, il debitore deve pagare puntualmente ogni rata. La concessione della rateazione comporta la sospensione di eventuali azioni esecutive già avviate e il divieto di intraprenderne di nuove, a condizione di rispettare il piano. Di fatto, ottenendo una dilazione, il debitore “mette in sicurezza” la posizione, perché AeR non iscriverà fermi né ipoteche (salvo quelli già iscritti, che comunque su richiesta possono essere rimossi per ipoteche leggere) e non procederà a pignoramenti, purché non ci siano morosità. Inoltre, con la domanda di rateazione presentata entro 60 giorni dalla notifica della cartella, si evita l’aggravio ulteriore di costi di procedura (l’aggio di riscossione, ormai abolito come percentuale ma di fatto sostituito da un interesse di dilazione e compensi fissi). Le rate sono normalmente mensili, e il tasso d’interesse applicato sulle rate è fissato periodicamente (era attorno al 3-4% annuo recentemente, ma soggetto a variazioni in base ai tassi di mercato). Non c’è interesse sulle sanzioni (già fisse), ma solo sulle imposte. Comunque, gli interessi di dilazione sono indicati nel piano.
  • Decadenza dalla rateazione: attualmente la decadenza si verifica se non si pagano 8 rate, anche non consecutive. Questo è un altro aspetto migliorato: fino al 2021 erano 5 rate non pagate (anche non consecutive) a causare la decadenza; la normativa emergenziale ha portato il limite a 8 rate, ora stabilizzato. Se uno decada, l’intero debito residuo diventa riscuotibile subito e non si può ottenere un’altra rateazione a cuor leggero (bisogna aspettare un certo periodo o pagare una quota). Nel 2023, con la “tregua fiscale”, è stata data la possibilità di riammettere piani decaduti pagando le rate arretrate: conviene sempre tenersi in regola onde evitare complicazioni.

Relazione tra rateazione e ricorso: chiedere una rateazione non è di per sé incompatibile col presentare ricorso, ma attenzione: l’orientamento giurisprudenziale vede nella richiesta di dilazione un atto di sostanziale riconoscimento del debito. In pratica, se fai ricorso e al contempo chiedi di rateizzare quell’importo, potresti vederti opporre dall’Avvocatura erariale che hai accettato il debito (il che può rendere il ricorso improcedibile per cessata materia del contendere, almeno secondo alcuni giudici). Altre pronunce invece dicono che la rateazione non implica rinuncia al ricorso, specie se la chiedi per evitare danni in attesa di giudizio. Ma è rischioso. Consiglio pratico: se si intende contestare la cartella, meglio non attivare la rateazione (se si ha liquidità per evitare azioni, tanto vale pagare e non ricorrere; se non si ha, allora ricorrere e chiedere sospensione). In alcuni casi, però, un compromesso è: rateizzare parzialmente o temporaneamente, ad esempio pagando qualche rata e poi interrompere se si ottiene sospensione. Ma anche questo può creare questioni.

D’altro canto, se invece il contribuente riconosce il debito e non vuole/può ricorrere, la rateazione è un’ottima soluzione per gestire il pagamento dilazionato. Dal punto di vista psicologico, va anche detto che la rateizzazione di una cartella comporta l’impegno a pagarla: se poi il contribuente non paga le rate e pensa di ricorrere, è tardi (perché il termine di 60 giorni è passato). Quindi è una scelta di campo: o contesti (ricorso) o chiedi tempo per pagare (rate).

In sintesi sulla rateazione: il debitore ha oggi margini più ampi per dilazionare fino a 6–10 anni i debiti delle cartelle, con procedure abbastanza semplici, specie se sotto 120 mila €. È uno strumento di sollievo finanziario, non un modo per annullare il debito ma per renderlo sostenibile. Attenzione però che gli interessi nelle lunghe dilazioni possono pesare e che un impegno decennale va rispettato scrupolosamente.

Definizioni agevolate, annullamenti di debito e altre misure straordinarie

In questi anni il legislatore fiscale ha introdotto diverse misure di definizione agevolata o annullamento parziale di debiti fiscali che possono includere anche quelli derivanti da controlli automatizzati. È bene citarle, perché dal punto di vista del debitore rappresentano opportunità di “difesa” in senso lato, benché non giurisdizionale:

  • Definizione agevolata degli avvisi bonari (Legge di bilancio 2023): per gli esiti dei controlli 2019 e 2020, è stata prevista la possibilità di pagarli con sanzione ridotta al 3% invece che 10%. Ciò ha riguardato i debiti da 36-bis di quegli anni non ancora cartellati. Se un contribuente ha aderito, ha sanato la posizione con notevole risparmio sulle sanzioni. Questa misura chiaramente si applica prima della cartella (infatti se arrivi alla cartella, hai perso l’opportunità dell’avviso bonario).
  • Rottamazione delle cartelle (“Rottamazione-quater” 2023): ha permesso di chiudere le cartelle notificate dal 2000 al 30/6/2022 pagando solo l’imposta e una parte di interessi, con azzeramento di sanzioni e interessi di mora. Dunque, se la cartella 36-bis rientrava tra quelle rottamabili, il debitore poteva aderire entro il 30/6/2023 e ottenere l’abbuono completo delle sanzioni amministrative (30% ecc) e interessi di mora, pagando solo imposte e interessi legali da ritardata iscrizione (e rateizzando eventualmente in 18 rate). Questa è stata una notevole forma di “pace fiscale” per chi magari non aveva contestato per tempo ma voleva sanare a costi ridotti.
  • Stralcio dei mini debiti: sempre la L. 197/2022 ha disposto lo stralcio automatico dei ruoli fino a €1.000 relativi agli anni fino al 2015. Questo poteva includere vecchie cartelle da controlli automatici di importi piccoli, che sono stati annullati d’ufficio (salvo che enti diversi dallo Stato abbiano escluso lo stralcio).
  • Future misure: in tema di controlli automatizzati, periodicamente escono provvedimenti per rendere più graduale la riscossione. Ad esempio, dal 2025 gli avvisi bonari si pagano a 60 giorni come visto, e con sanzione base ridotta (25%). Non si esclude che il legislatore possa introdurre ulteriori definizioni agevolate per i contenziosi pendenti su cartelle da 36-bis (in passato c’è stata la definizione liti pendenti, ma riguardava atti accertativi; però anche su cartelle c’è stato dibattito se includerle).

Il debitore, dal suo canto, dovrebbe mantenersi informato su eventuali sanatorie: se pendesse un ricorso, potrebbe decidere di aderire alla definizione agevolata (ove consentito) rinunciando in parte alle pretese ma con benefici economici.

Va evidenziato però che queste misure non sono soluzioni ordinarie: sono eccezioni politiche. La difesa di base rimane quella procedurale/giudiziale. Ma è utile averle in mente: a volte “difendersi” può voler dire cogliere l’opportunità di un condono o rottamazione per chiudere la questione con esborso ridotto, soprattutto se il rischio di perdere in giudizio è alto.

Esempi pratici di difesa (casi simulati)

Per comprendere come applicare tutti i concetti esposti, presentiamo alcuni casi pratici simulati, focalizzati sulla prospettiva del contribuente-debitore e sulle possibili strategie di difesa. Ogni caso rappresenta una situazione tipo che potrebbe verificarsi nella realtà italiana.

Caso 1: Omesso versamento con cartella legittima (nessun avviso bonario richiesto)
Situazione: Il sig. Rossi presenta la dichiarazione dei redditi 2021 nel mese di settembre 2022. Dalla dichiarazione risulta un IRPEF a debito di €5.000, che Rossi non versa entro le scadenze (dimenticanza o mancanza di liquidità). Nel marzo 2023, l’Agenzia delle Entrate elabora il controllo automatizzato: rileva che €5.000 erano dovuti e non pagati. Viene emessa una comunicazione di irregolarità, che viene spedita per PEC all’indirizzo risultante per Rossi. Tuttavia, la PEC di Rossi non è attiva (casella piena, o indirizzo non più valido) e la comunicazione non viene recapitata. Rossi quindi non riceve alcun avviso bonario. Nel luglio 2024, Rossi si vede notificare (via raccomandata a/r) una cartella di pagamento per €5.000 di IRPEF, più €1.250 di sanzioni (25% essendo violazione post-settembre 2024) e interessi per ritardata iscrizione a ruolo. Totale circa €6.300. Rossi resta sorpreso perché non era a conoscenza dell’avviso bonario e pensava di avere più tempo.
Analisi difensiva: In questo scenario, la pretesa deriva interamente da omesso versamento di somme dichiarate. Secondo la giurisprudenza consolidata, l’avviso bonario era opportuno ma non strettamente obbligatorio in base all’art. 36-bis co.3, essendoci omissione senza incertezze. Quindi la cartella non è nulla solo perché Rossi non ha ricevuto l’avviso. Rossi potrebbe essere tentato di impugnare lamentando la mancata comunicazione, ma difficilmente avrebbe successo. Invece, Rossi dovrebbe verificare: (a) Termini di notifica – la dichiarazione 2021 presentata nel 2022 comporta decadenza 31/12/2025; la cartella è arrivata a luglio 2024, quindi nei termini. Nessuna decadenza da eccepire. (b) Interessi motivati? – controllando la cartella, Rossi vede che negli dettagli c’è indicato “interessi calcolati al tasso legale dal 01/07/2022 al 31/05/2024: €50” (ad esempio). Quindi gli interessi sono motivati correttamente. (c) Importo esatto? – Rossi ricalcola e vede che in effetti 25% di 5.000 è 1.250 e gli interessi paiono congrui. Quindi nessun errore materiale. (d) Notifica regolare? – la raccomandata è stata ritirata dalla moglie convivente: va bene, è valida.
Opzioni: Il sig. Rossi, consultandosi con un legale, realizza che non ci sono vizi forti della cartella su cui fare leva. La somma, per quanto spiacevole, è dovuta perché lui stesso l’aveva autoliquidata. Fare ricorso significherebbe molto probabilmente perdere, accumulando ulteriori spese. Pertanto, la strategia consigliabile è: evitare il contenzioso e puntare a gestire il pagamento. Rossi può: chiedere una rateizzazione all’Agenzia Riscossione (il debito è €6.300, sotto €120k, quindi concessa su semplice richiesta). Potrebbe ottenere 72 rate mensili di circa €90 l’una, sostenibili col suo reddito. Così eviterebbe l’aggravio di un pignoramento, e diluirebbe l’impatto. In alternativa, se dispone di liquidità (o può farsela prestare), potrebbe aderire alla rottamazione se fosse ancora aperta (nel 2024 c’era rottamazione per cartelle entro 2022, ma la sua è del 2024 quindi no). Dovrà dunque pagare interamente. Rossi decide per la rateizzazione in 6 anni. Si reca sul sito AeR, inserisce i dati della cartella e chiede 72 rate. La richiesta viene accolta automaticamente, sospendendo ogni azione esecutiva.
Epílogo: Rossi paga regolarmente le rate. Non subisce ulteriori azioni. In questo caso, “difendersi” ha significato scegliere la via della dilazione, poiché non vi erano vizi su cui far annullare l’atto. Rossi ha imparato la lezione di tenere la PEC attiva e di non ignorare eventuali solleciti.

Caso 2: Cartella per errore di compilazione della dichiarazione (mancato contraddittorio)
Situazione: La sig.ra Bianchi presenta il modello Redditi 2020 a ottobre 2020. Nella dichiarazione, per errore di un software, un suo credito IRPEF anno precedente (€3.000) non viene riportato nel campo corretto (magari viene indicato in un quadro ma non scalato dall’imposta dovuta). Risulta così che Bianchi abbia un’imposta a debito di €3.000, quando in realtà avrebbe dovuto usare il credito per azzerarla. L’Agenzia, nel controllo automatizzato, vede solo che c’è un debito di €3.000 non versato. Emette dunque una comunicazione di irregolarità ad ottobre 2021 chiedendo €3.000 + sanzioni 10% + interessi. La comunicazione arriva a Bianchi, la quale però non comprende che si tratta di un errore di compilazione e, consigliata male, ignora l’avviso bonario. Non paga né risponde. A gennaio 2023 arriva la cartella: €3.000 di IRPEF, €900 di sanzioni (30%), €… di interessi. La sig.ra Bianchi finalmente consulta un tributarista, che ricostruisce l’accaduto: in effetti dal cassetto fiscale risulta che aveva un credito 2019 di €3.000 che non venne riportato; presentando una dichiarazione integrativa ora sarebbe fuori tempo (dopo il 2021 non può più far valere quel credito in diminuzione 2020).
Analisi difensiva: Questo caso configura un’incertezza su un aspetto rilevante della dichiarazione: la contribuente aveva un credito spettante. L’Agenzia doveva attivare il contraddittorio per chiarire la questione (e l’ha fatto tramite avviso bonario). Tuttavia, Bianchi non ha risposto in sede bonaria. La cartella è stata emessa. C’è da chiedersi: l’avviso bonario è stato inviato, quindi formalmente l’obbligo di contraddittorio è stato assolto (non importa se la contribuente l’ha ignorato; la legge richiede l’invio, non la risposta). Dunque la cartella non è affetta da nullità per difetto di avviso – l’avviso c’è stato. La sig.ra Bianchi però nel frattempo ha effettivamente versato più imposte del dovuto, perché quei €3.000 li aveva pagati nell’anno precedente (aveva maturato quel credito). Il tributarista valuta due strade: (a) autotutela – provare a convincere l’ufficio che annulli la cartella riconoscendo il credito. Presenta un’istanza allegando la dichiarazione 2019 e documenti che provano l’esistenza del credito. L’ufficio risponde che, a termini di legge, il credito non fu riportato in dichiarazione 2020 e che non può essere riconosciuto ora se non con istanza di rimborso separata, ma la cartella intanto va pagata. (b) Ricorso tributario: motivi possibili – errore del contribuente che però non toglie il diritto sostanziale al credito? La Cassazione talvolta ammette la possibilità di far valere in giudizio errori di dichiarazione in favore del contribuente se emergono ictu oculi. In questo caso, la dichiarazione 2019 con credito €3.000 e la dichiarazione 2020 senza quel credito sono elementi già agli atti dell’AdE. Il legale può sostenere che la pretesa di €3.000 è infondata nel merito, perché il fisco trattiene un doppio pagamento. Inoltre, potrebbe giocare la carta del contraddittorio violato in sostanza: vero che l’avviso fu inviato, ma la contribuente non ha realmente avuto modo di spiegare (anche se per colpa sua). Non molto solido come argomento, però. Dato che l’importo è notevole, Bianchi decide di ricorrere.
Ricorso: Viene impostato così: “Annullamento della cartella in quanto il tributo non era dovuto per esistenza di un credito d’imposta compensabile, erroneamente non portato in diminuzione in dichiarazione. Si chiede dunque riconoscersi l’eccedenza di imposta anno 2019 a scomputo del saldo 2020. In subordine, annullamento della sanzione per obiettiva condizione di incertezza ed errore scusabile.”. Si aggiunge anche un motivo subordinato: “qualora si ritenesse dovuto il tributo formalmente dichiarato, si chiede quantomeno la riduzione della sanzione dal 30% al 10%, pari all’ammontare edittale previsto in caso di comunicazione bonaria non recapitata correttamente (poiché la contribuente, in ragione dell’errore commesso in buona fede, avrebbe aderito se avesse compreso la situazione).”
Esito possibile: La Commissione tributaria potrebbe in questi casi avere un po’ di “equità”: riconoscere che l’imposta non era sostanzialmente dovuta e annullare la cartella. Giuridicamente è un percorso tortuoso (dovrebbero dire che la dichiarazione può essere emendata in giudizio). Se c’è fortuna, accade. Se invece fossero rigidi, confermerebbero l’imposta ma magari annullerebbero le sanzioni per via dell’errore scusabile. Ci sono precedenti in cui, a fronte di errori formali del contribuente ma nessun danno erariale, le sanzioni sono state tolte.
Epílogo: Mettiamo che la Commissione decida un compromesso: imposta dovuta (perché dichiarata e non più emendabile), ma sanzione annullata in applicazione dell’art. 6, c.5 Statuto (riconoscendo la buona fede e la collaborazione tardiva). La sig.ra Bianchi dovrà quindi pagare i €3.000 di imposta e gli interessi modesti, ma risparmierà €900 di sanzione. Inoltre, potrà ancora presentare (entro fine 2026) un’istanza di rimborso per il credito 2019 non utilizzato, anche se la ottiene difficilmente se non aveva presentato dichiarazione integrativa entro fine 2021.
Insegnamento: Questo caso mostra come anche un errore del contribuente possa essere parzialmente rimediato in sede contenziosa, specie sul fronte sanzionatorio. Dimostra anche l’importanza di non ignorare gli avvisi bonari: se la sig.ra avesse risposto nel 2021 spiegando il credito, l’ufficio probabilmente le avrebbe suggerito di fare integrativa o avrebbe comunque congelato la cartella in attesa di verifica.

Caso 3: Cartella fuori termine (decadenza del credito tributario)
Situazione: La società Alfa Srl presenta nel 2017 la dichiarazione dei redditi 2016, con un debito IRES di €20.000 che però non versa integralmente (versati solo 5.000, restano 15.000 non pagati). L’avviso bonario viene correttamente emesso a fine 2018, ma la società è in crisi e non lo paga. Secondo i termini di legge vigenti allora, la cartella avrebbe dovuto essere notificata entro il 31 dicembre 2020. Tuttavia, complici i rinvii Covid, l’ufficio tarda a formare il ruolo. Nel frattempo Alfa Srl cambia sede senza aggiornare il domicilio fiscale. La cartella viene spedita con raccomandata nel novembre 2021 al vecchio indirizzo, tornando indietro come “trasferito”. AGENZIA Riscossione non effettua nuovi tentativi. Nel 2025, la società Alfa, risanata e con nuovo amministratore, scopre casualmente tramite una visura che esiste un debito a ruolo di €15.000 IRES + sanzioni e interessi, iscritto a suo nome. Richiede all’Agenzia Riscossione copia della cartella: ottiene la relata di notifica 2021 andata negativa. Formalmente, la cartella risulta non notificata (irreperibilità relativa). A questo punto, l’Agenzia potrebbe tentare una notifica via PEC (ora la società ha PEC attiva) a gennaio 2025 della stessa cartella originaria. Cosa che fa: in gennaio 2025 Alfa Srl riceve via PEC la cartella datata 2021.
Analisi difensiva: Situazione ingarbugliata ma favorevole a Alfa Srl: il debito risale alla dichiarazione 2016, quindi la decadenza ordinaria sarebbe stato 31/12/2019, prorogata al 31/12/2021 per via delle sospensioni Covid. La notifica PEC del 2025 è chiaramente tardiva rispetto anche al 2021. Inoltre, la notifica del 2021 era inesitata. Dunque, Alfa Srl può eccepire la decadenza del potere di riscossione: l’iscrizione a ruolo avvenuta nel 2018 era tempestiva, ma la notifica al debitore no, completata solo nel 2025, ben oltre il 31/12/2021 ultimo giorno utile.
Difesa: Si presenta ricorso immediatamente, chiedendo l’annullamento totale per intervenuta decadenza ai sensi art. 25 DPR 602/73. A supporto, si cita la giurisprudenza che ribadisce la perentorietà di quei termini. Anche se l’Agenzia sostenesse che la notifica 2021 fece fede (magari affermando di aver depositato l’atto presso il Comune per irreperibilità e di aver fatto l’adempimento previsto), Alfa controbatte che non c’è prova di completamento della notifica nel 2021 (non fu fatta la CAD). Quindi l’atto è rimasto “sospeso” fino al 2025, troppo tardi.
Possibile esito: La Corte Tributaria con ogni probabilità accoglierà il ricorso, dichiarando nulla la cartella per decadenza, poiché la notifica valida è arrivata fuori tempo massimo. L’intero debito di €15.000 (più sanzioni e interessi) viene così cancellato.
Considerazioni: Qui il contribuente non nega di dovere quelle imposte, ma la legge lo tutela perché l’ente ha perso il suo diritto a riscuotere oltre una certa data. È il classico caso in cui l’opposizione formale vince sul merito. Dal punto di vista di Alfa Srl, ciò è un sollievo: aveva accantonato quei soldi sperando in un condono, e di fatto ottiene un effetto simile (non deve più pagare per vizio di decadenza). Occorre comunque aver vigilato: se la società non avesse fatto la visura e la PEC del 2025 fosse passata inosservata (perché magari non controllata), l’Agente avrebbe potuto avviare pignoramenti e allora la società avrebbe dovuto opporsi in esecuzione, complicando la cosa. Quindi il merito qui è aver colto l’irregolarità in tempo e agito entro i 60 giorni dalla notifica PEC.

Caso 4: Cartella con errore nel calcolo degli interessi (annullamento parziale)
Situazione: Il sig. Verdi riceve nel 2023 una cartella da controllo automatizzato relativa a IVA 2018. Aveva dimenticato di versare €2.000 di IVA, l’avviso bonario del 2020 ignorato, cartella per €2.000 + €600 sanzioni + €300 interessi. Totale €2.900. Verdi, controllando il dettaglio, nota qualcosa: gli interessi di €300 sembrano eccessivi rispetto al tempo trascorso (2018-2023). Chiede al suo consulente, il quale nota che la cartella non indica affatto da dove derivino quei €300: non c’è scritto il periodo né il tasso. Dovrebbero essere interessi dal 2019 al 2022 al tasso via via annuale (mediamente il 2% annuo, su €2.000 farebbero circa €200, non 300). Sembra che abbiano calcolato male oppure includano qualche mora.
Difesa: Verdi impugna la cartella contestando il difetto di motivazione e il calcolo errato degli interessi. Cita la Cassazione 34634/2022 e SS.UU. 22281/2022 per sostenere che la cartella è illegittima nella parte relativa agli interessi perché il contribuente non può capire come siano stati computati. Inoltre, con un ricalcolo, quantifica l’importo corretto (es. €200) e chiede di annullare il resto. Non contesta invece l’imposta né la sanzione, che sa di dovere.
Esito possibile: La Commissione accoglie il ricorso limitatamente agli interessi eccedenti. Potrebbe ad esempio annullare €100 di interessi e ordinare all’ente di ricalcolarli secondo legge. Oppure annullare proprio l’importo interessi per intero, se la motivazione è totalmente omessa, costringendo l’ente a rinunciare a quelli. Verdi dunque dovrà pagare €2.600 anziché €2.900.
Valutazione: Un successo parziale, ma comunque utile. È il tipico caso in cui fare ricorso per un vizio puntuale (anche se l’importo non enorme) è questione di principio e di diritto: il fisco deve rispettare le regole di trasparenza. Dal punto di vista del debitore, può essere opportuno ricorrere anche solo per €100-200 se c’è un principio importante in gioco o per evitare pericolosi precedenti (ad es. se quell’errore di calcolo si ripete per più anni). Se Verdi avesse altre cartelle simili, vincere su questa gli darebbe forza per risolvere le altre allo stesso modo.

Questi esempi evidenziano nella pratica concreta come le varie forme di difesa si applicano: difesa passiva (rateizzare/pagare quando non ci sono appigli), difesa attiva procedurale (eccepire decadenza, vizi formali), difesa nel merito (contestare l’effettiva debenza, far emergere crediti), e difesa “parziale” (ottenere l’annullamento di sanzioni o interessi). In ciascun caso, il punto di vista adottato è quello del contribuente che, con l’aiuto di un professionista, analizza l’atto e valuta la strategia più conveniente, sia in termini economici che di probabilità di successo.

Domande frequenti (FAQ) sulla cartella da controllo automatizzato

Di seguito una serie di domande comuni che i contribuenti si pongono riguardo alle cartelle esattoriali da controllo automatizzato, con risposte basate sulla normativa e le considerazioni svolte nella guida:

  • D: Che cos’è esattamente il “controllo automatizzato” della dichiarazione?
    R: È la verifica informatica che l’Agenzia delle Entrate effettua su tutte le dichiarazioni fiscali, confrontando i dati dichiarati con quelli in suo possesso e controllando la correttezza formale. In pratica, il sistema calcola le imposte dovute secondo la dichiarazione e le confronta con i versamenti effettuati. Se trova differenze (imposte non versate, errori di calcolo, crediti anomali), elabora una segnalazione (avviso bonario). Il controllo è detto “automatizzato” perché non c’è intervento umano valutativo: è un mero riscontro meccanico di dati.
  • D: Quali errori o irregolarità può individuare il controllo automatizzato?
    R: Principalmente: omessi o carenti versamenti di imposte dichiarate; errori aritmetici (es. somme sbagliate); incongruenze tra importi dichiarati e quelli risultanti da altri documenti (per esempio, ritenute indicate ma non presenti nelle certificazioni, crediti d’imposta non risultanti altrove); duplicazioni o omissioni evidenti. Non rileva invece redditi occultati o costi indebiti – questi richiedono un accertamento vero e proprio, non emergono dal 36-bis se il contribuente non li ha indicati. Il 36-bis si basa su ciò che è dichiarato: se dichiari 100 di debito e paghi 90, segnala 10; se dichiari un credito che l’Anagrafe Tributaria non conferma, lo segnala; se sbagli un totale, lo ricalcola.
  • D: Che differenza c’è tra l’avviso bonario (comunicazione di irregolarità) e la cartella di pagamento?
    R: L’avviso bonario è una comunicazione informale e preventiva: indica le irregolarità e consente al contribuente di regolarizzare con sanzioni ridotte o segnalare errori, prima che il debito sia iscritto a ruolo. Non è un atto di riscossione coattiva, infatti non comporta azioni esecutive immediate e non è impugnabile in giudizio da solo. La cartella di pagamento, invece, è l’atto formale di riscossione coattiva: viene emessa dall’Agente Riscossore dopo l’iscrizione a ruolo del debito e costituisce intimazione a pagare entro 60 giorni, trascorsi i quali si può procedere con pignoramenti, fermi, ecc. In breve, l’avviso bonario preavvisa e facilita il pagamento, la cartella intima e aziona la riscossione.
  • D: Entro quanto tempo dopo la dichiarazione può arrivare una cartella da controllo automatizzato?
    R: Di regola entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. Ad esempio, dichiarazione presentata nel 2022 → cartella entro fine 2025. Se la cartella arriva oltre questo termine, il debito è caduto in decadenza e la cartella può essere annullata. Fai attenzione che eventi eccezionali (es. normative Covid) possono aver prorogato di un anno o due alcune scadenze, quindi verifica per l’anno specifico. Per i controlli formali (36-ter) il termine è un anno in più (quarto anno successivo).
  • D: Non ho ricevuto alcun avviso bonario prima della cartella: la cartella è nulla?
    R: Dipende dal motivo del debito. Se la cartella riguarda un importo che avevi dichiarato e semplicemente non pagato, purtroppo la cartella è considerata legittima anche senza avviso bonario. La legge infatti esonera il fisco dall’obbligo di comunicazione quando non ci sono “incertezze” – e l’omesso versamento è considerato un fatto certo. Invece, se la cartella nasce da una rettifica o un errore nella dichiarazione (qualcosa che avrebbe richiesto un tuo chiarimento), allora l’avviso bonario era obbligatorio e se non ti è stato inviato la cartella può essere contestata come nulla. In pratica: omesso versamento = avviso facoltativo; errore o dubbio = avviso obbligatorio. Nota bene: a volte l’avviso viene inviato ma magari non ti è arrivato (indirizzo errato, ecc.): se il fisco prova di averlo spedito regolarmente, la cartella resta valida.
  • D: Posso impugnare direttamente l’avviso bonario, per non aspettare la cartella?
    R: In linea generale no. Le comunicazioni di irregolarità non sono atti impugnabili in Commissione, perché non determinano una pretesa definitiva ma solo un importo “proposto”. La legge (art. 6 co.5 Statuto) prevede che sono mezzi di interlocuzione, non avvisi accertativi. Fanno eccezione situazioni particolari in cui si potrebbe sostenere che l’avviso bonario contiene già una pretesa definitiva (cosa rara). La prassi è: se non sei d’accordo, rispondi all’avviso bonario spiegando le tue ragioni all’ufficio; e se poi arriva la cartella, allora farai ricorso contro quella.
  • D: Ho saltato il termine di 60 giorni per fare ricorso contro la cartella: cosa posso fare ora?
    R: Se sono passati i 60 giorni, la cartella è divenuta definitiva. Non puoi più impugnarla per i motivi di merito o procedurali ordinari. Puoi solo:
    1. Pagare (o rateizzare) il dovuto;
    2. Sperare in qualche definizione agevolata/condono se il legislatore la prevede;
    3. Verificare se c’è un vizio di notifica radicale (ad es. non ti è mai stata notificata davvero la cartella): in tal caso puoi fare ricorso tardivo eccependo la notifica inesistente, ma devi avere prove solide (è raro).
    4. Se il fisco avvia un pignoramento, puoi provare un’opposizione all’esecuzione per far valere magari la prescrizione o errori gravi, ma è una strada costosa e dall’esito incerto.
      Insomma, dopo 60 giorni le possibilità di difesa si riducono drasticamente. È importante agire entro i termini.
  • D: Nel frattempo posso chiedere la rateizzazione anche se ho intenzione di fare ricorso?
    R: Tecnicamente sì – la legge non vieta di chiedere una dilazione entro i 60 giorni. Tuttavia, come spiegato, la rateizzazione comporta un’adesione al debito che potrebbe essere interpretata come accettazione, indebolendo il ricorso. Se prevedi di ricorrere per annullare la cartella, è preferibile non rateizzare (o comunque confrontati con l’avvocato: in alcuni casi si può concordare di impugnare solo una parte e pagare il resto a rate). Invece, se non farai ricorso, allora chiedi pure la rateazione entro i 60 giorni dalla notifica, così eviti che la cartella decada e ti arrivino misure esecutive.
  • D: Ho ricevuto la cartella via PEC: come faccio a sapere se è autentica e valida?
    R: La cartella via PEC arriva come un file allegato (tipicamente un PDF con firma digitale .p7m). Per prima cosa, verifica che il mittente PEC sia un dominio ufficiale @pec.agenziariscossione.gov.it o simili (puoi controllare sul sito dell’Agenzia Riscossione l’elenco). Poi dovresti aprire il file con un software che legge le firme digitali per assicurarti che la firma sia valida e apposta da Agenzia Riscossione. L’oggetto della PEC di solito riporta un codice atto e il nome “Cartella di pagamento”. Se l’allegato non è firmato digitalmente o il mittente non è quello ufficiale, potrebbe essere un tentativo di frode. In caso di dubbio, contatta l’Agente della Riscossione. Sul piano legale, la notifica PEC è valida se inviata all’indirizzo risultante dai registri (Indice PA, INI-PEC per imprese, ecc.) e se il file è firmato digitalmente. Fai attenzione: la lettura della PEC equivale alla notifica, quindi i 60 giorni decorrono da quando la PEC è consegnata nella tua casella, non da quando apri il PDF.
  • D: Nella cartella vedo un importo per “interessi di mora” aggiuntivi oltre agli interessi per ritardata iscrizione: cosa sono?
    R: Gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo sono calcolati dall’organo impositore (Agenzia Entrate) dal momento in cui dovevi pagare l’imposta (ad es. scadenza dichiarazione) fino alla data di elaborazione dell’avviso bonario/ruolo. Gli interessi di mora, invece, scattano se non paghi la cartella entro 60 giorni: dal 61° giorno in poi maturano interessi moratori sul debito iscritto, a favore dell’Agente della riscossione. Nella cartella di per sé non dovresti trovare già interessi di mora (perché non sono ancora decorsi 60 giorni). Se li vedi, potrebbe voler dire che la cartella è stata formata molto prima e poi ti è arrivata in ritardo (accumulando mora), oppure stai riesaminando una cartella scaduta da tempo. In ogni caso, prima paghi meglio è, per evitare tali interessi. Se contesti la cartella con ricorso e ottieni sospensione, la maturazione degli interessi di mora dovrebbe fermarsi per il periodo di sospensione (ma su questo c’è dibattito: in genere li congelano se c’è sospensiva).
  • D: La cartella può riguardare anche contributi previdenziali o solo tributi?
    R: Può includere anche contributi previdenziali se erano dichiarati nel modello fiscale. Ad esempio, i contributi IVS artigiani/commercianti dichiarati nel quadro RR del Modello Redditi, oppure i contributi INPS gestione separata su redditi da lavoro autonomo. Questi importi vengono anch’essi liquidati automaticamente dall’Agenzia Entrate per conto dell’INPS e, se non versati, finiscono in cartella. La procedura è simile (c’è pure avviso bonario per contributi). Quindi attenzione: una cartella da 36-bis può contenere sezioni per IRPEF, addizionali, IVA, ma anche contributi INPS. In tal caso, potresti dover ricorrere sia contro AdE sia contro l’ente previdenziale. Comunque, la logica difensiva (termini, avviso bonario) è analoga poiché anche l’INPS fa parte del controllo automatizzato sulle dichiarazioni unificate.
  • D: Se pago la cartella entro 60 giorni, ho diritto a qualche riduzione (ad esempio sulle sanzioni)?
    R: In generale, no, la cartella va pagata per intero. La riduzione delle sanzioni (a 1/3) valeva solo se pagavi entro 30 giorni dall’avviso bonario. Una volta emessa la cartella, quella chance è persa e la sanzione è applicata in misura piena (salvo particolari sentenze che ammettono riduzioni in caso di mancato avviso, ma devi farle valere tu in giudizio). L’unico beneficio a pagare entro 60 giorni è evitare l’aggiunta di interessi di mora e spese di esecuzione. Se proprio vuoi “risparmiare”, potresti aderire a eventuali sanatorie (come la rottamazione, se previste) che appunto tolgono sanzioni e interessi. Ma pagamento spontaneo della cartella = importo totale dovuto.
  • D: Dopo aver ricevuto la cartella, posso ancora chiedere all’Agenzia delle Entrate di annullarla perché c’è un errore (senza andare in Commissione)?
    R: Sì, puoi presentare un’istanza di autotutela all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate (quello che ha generato il ruolo) spiegando l’errore e chiedendo l’annullamento o la rettifica. Ad esempio, “ho già pagato questa imposta, ecco le ricevute” oppure “c’è un palese errore di persona…”. Se l’errore è riconoscibile, l’ufficio può procedere a sgravare la cartella (annullarla) o correggerla. Tieni però a mente che l’autotutela è discrezionale e, soprattutto, non sospende i 60 giorni per il ricorso. Quindi, se fai istanza di autotutela, conviene comunque predisporre il ricorso per sicurezza, a meno che l’ufficio non accolga subito la tua richiesta. In ogni caso, tentare l’autotutela è sempre bene se hai ragione: a volte risolve il problema in pochi giorni senza cause. E se anche finisci in Commissione, mostrare che avevi chiesto autotutela e magari l’ufficio non ha risposto può metterti in luce favorevole.
  • D: Ho vinto il ricorso in Commissione: la cartella è annullata. Cosa devo fare per togliere il debito dal ruolo?
    R: Se la sentenza è definitiva (passata in giudicato, o con provvisoria esecutorietà), devi trasmetterne copia all’Agente della Riscossione con un’istanza di sgravio per provvedimento giurisdizionale. In realtà, l’ente impositore dovrebbe comunicare al riscossore di cancellare il ruolo (soprattutto se l’Agenzia Entrate non appella la sentenza). Ma per velocizzare, meglio attivarsi: invia la sentenza all’Agenzia Entrate (creditore) chiedendo lo sgravio amministrativo, e all’AdE-Riscossione per conoscenza. L’agente poi annullerà la posizione debitoria. Se nel frattempo avevi pagato qualcosa, potrai chiederne il rimborso all’ente creditore, anch’esso allegando la sentenza. I tempi di rimborso variano, ma sono dovuti interessi dal giorno del pagamento indebito.
  • D: Questa guida ha trattato il punto di vista del debitore/contribuente. Ma cosa cambia dal lato del Fisco?
    R: Dal lato dell’amministrazione finanziaria, il controllo automatizzato è uno strumento efficace per recuperare velocemente somme autoliquidate. La loro posizione è che il contribuente ha già avuto modo di determinare l’imposta da solo (in dichiarazione) e, se non ha pagato, non c’è molto da discutere – salvo errori evidenti. Le difese del contribuente, specie su avviso bonario mancante, vengono viste a volte come espedienti per sfuggire a pagamenti dovuti. Tuttavia, il Fisco è tenuto a rispettare le norme sul contraddittorio e i termini, e in Commissione spesso vede annullarsi atti per aver forzato la mano (ad es. cartelle notificate senza avviso in casi dubbi). Negli ultimi anni, l’amministrazione ha recepito alcuni indirizzi: ad esempio, dopo le Sezioni Unite sugli interessi, ci si aspetta che le cartelle future siano più chiare nei conteggi. Inoltre, dal 2023-2024 si nota un tentativo del legislatore di rendere più “morbido” il controllo automatico (più tempo per pagare, sanzioni ridotte al 3% in certi casi, ecc.), a conferma che l’obiettivo non è vessare il contribuente in buona fede ma recuperare il dovuto evitando contenziosi. Quindi, lato Fisco cambia che se tu fai valere seri motivi, spesso (non sempre) potrebbero cedere in autotutela o in giudizio. Ma ciò dipende caso per caso.

Con queste FAQ speriamo di aver chiarito i dubbi più frequenti. In conclusione, ribadiamo l’importanza per il contribuente di: prestare attenzione alle comunicazioni dell’Agenzia (avvisi bonari), non sottovalutare le cartelle di pagamento (agendo prontamente), far valere i propri diritti nei termini previsti, e farsi assistere da professionisti qualificati nelle controversie, data la tecnicità della materia. La normativa tributaria è complessa, ma offre anche tutele significative: conoscerle è il primo passo per difendersi efficacemente.

Fonti e riferimenti normativa e giurisprudenza

  • DPR 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis e 36-ter – Liquidazione automatica e controllo formale delle dichiarazioni. (Disciplina base dei controlli automatici e dell’obbligo di comunicazione).
  • DPR 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54-bis – Liquidazione automatizzata IVA. (Controllo automatico delle dichiarazioni IVA, analoghi obblighi procedurali).
  • Legge 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5 – Statuto del Contribuente – Comunicazione esiti controlli. (Prevede la comunicazione dell’esito dei controlli automatizzati/formali salvo casi di incertezza).
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462 – Sanzioni ridotte e rateazione avvisi bonari. (Pagamento entro 30 giorni con sanzione 1/3, possibilità di dilazione).
  • DPR 29 settembre 1973, n. 602, art. 25 – Termini di notifica cartelle di pagamento. (Termine triennale e quadriennale per ruoli da 36-bis e 36-ter, biennale per accertamenti definitivi).
  • Circolare Ag. Entrate n. 17/E del 29.04.2016, §1.3 – (Chiarisce la riduzione sanzioni su avvisi bonari e termini; citata per ravvedimento e riduzioni).
  • Cass., Sez. Unite, sent. 8 settembre 2016 n. 17758: legittima la cartella su dichiarazione IVA omessa senza avviso bonario, considerandola controllo formale senza contraddittorio necessario.
  • Cass., Sez. V, ord. 17 dicembre 2019 n. 33344: principio: cartella da 36-bis legittima senza avviso se trattasi di omesso versamento dichiarato.
  • Cass., Sez. V, ord. 2 luglio 2020 n. 13499: conferma non necessità di avviso bonario per mero confronto debito dichiarato/versato; obbligo motivazione assolto con richiamo dichiarazione; mancato avviso non dà diritto ad annullamento né incide su riduzione sanzioni.
  • Cass., Sez. V, ord. 6 marzo 2024 n. 5981: ribadisce che nessun obbligo di avviso bonario se il contribuente ha omesso di versare quanto da lui dichiarato (richiama Statuto art.6 c.5).
  • Cass., Sez. V, ord. 15 marzo 2024 n. 7620: in ambito 36-ter, sancisce nullità cartella se manca comunicazione esito controllo formale (diritto al contraddittorio violato).
  • Cass., Sez. V, ord. 24 novembre 2022 n. 34634: cartella da 36-bis illegittima riguardo agli interessi se non indica base normativa e decorrenza degli interessi richiesti. (In linea con SS.UU. 22281/2022)
  • Cass., Sez. Unite, sent. 14 luglio 2022 n. 22281: risolve contrasto su obbligo di motivazione del calcolo interessi in cartella, imponendo che il contribuente possa comprenderne causale e base di calcolo.
  • Cass., Sez. V, ord. 2 marzo 2023 n. 6357: conferma che definizioni agevolate (come rottamazione) si applicano anche a cartelle da controllo automatizzato, non ostando il fatto che derivino da dichiarazione.
  • Cass., Sez. V, ord. 1 luglio 2025 n. 17735: (massimata) ribadisce i principi su controlli automatizzati ex art.36-bis e art.54-bis, presumibilmente confermando orientamenti su avviso bonario e contestazioni possibili (fonte: notiziario fiscale).

Hai ricevuto una cartella di pagamento da controllo automatizzato? Fatti Aiutare da Studio Monardo

L’Agenzia delle Entrate può emettere una cartella di pagamento a seguito di un controllo automatizzato, cioè una verifica effettuata in modo meccanizzato sui dati delle dichiarazioni fiscali.
Molti contribuenti, però, ricevono richieste di pagamento non dovute o errate, e non sanno di potersi difendere legalmente.

Con l’assistenza giusta puoi bloccare o ridurre gli importi richiesti, e far valere le tue ragioni in modo efficace.


Cos’è il controllo automatizzato (art. 36-bis del DPR 600/73)?

Il controllo automatizzato confronta i dati dichiarati dal contribuente con quelli presenti negli archivi dell’Agenzia delle Entrate (modelli 730, redditi, IVA, versamenti F24).
Se emergono disallineamenti, errori formali o omessi versamenti, viene notificata una cartella con gli importi da pagare.

⚠️ Ma spesso questi controlli contengono:

  • 🧾 Errori materiali o duplicazioni
  • 💸 Versamenti effettuati ma non registrati
  • 🧮 Calcoli automatici sbagliati
  • ⚠️ Applicazione di sanzioni e interessi non dovuti

La cartella è sempre dovuta? No: può essere contestata

Anche se nasce da un controllo automatizzato, la cartella:

  • Non è intoccabile: può contenere vizi formali o sostanziali
  • 🛑 Può essere annullata o ridotta con ricorso o istanza in autotutela
  • ⚖️ È impugnabile entro 60 giorni dalla notifica, se errata o infondata
  • 🔁 Può essere oggetto di rateizzazione, sospensione o sgravio parziale

Spesso basta una verifica accurata della documentazione per far emergere errori e annullare l’importo richiesto.


Come puoi difenderti da una cartella da controllo automatizzato?

Hai più possibilità, anche senza andare subito in tribunale:

  1. ✍️ Presentare un’istanza di autotutela all’Agenzia delle Entrate, allegando i documenti correttivi
  2. ⚖️ Fare ricorso alla Commissione Tributaria entro i termini di legge
  3. 🔎 Verificare se i pagamenti risultano realmente omessi o solo non abbinati
  4. 💬 Avviare un contraddittorio preventivo, se notificata come avviso bonario
  5. 🔁 Valutare rateizzazione o sospensione se il debito è corretto ma oneroso

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Analizza la cartella e la tua posizione fiscale
📑 Verifica la legittimità della pretesa tramite controllo incrociato dei versamenti
⚖️ Presenta ricorso tributario o istanza di autotutela documentata
✍️ Ti assiste nel rapporto con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione
🔁 Ti guida nella rateizzazione o nella sospensione del debito se necessario


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e cartelle esattoriali
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Difensore di contribuenti privati, partite IVA e professionisti
✔️ Consulente per la tutela fiscale e la difesa contro pretese errate


Conclusione

Una cartella da controllo automatizzato può essere contestata, corretta o annullata.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi difenderti in modo efficace, bloccare pretese ingiuste e pagare solo ciò che è realmente dovuto.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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